Interview with Fausta Maggioni

Title

Interview with Fausta Maggioni

Description

Fausta Maggioni recalls memories of her wartime life in Milan. She describes a sizeable shelter reinforced with wooden props, a little bag with the few valuables she had always to bring along, as well as the many duties of her father as warden, who checked the attic for incendiaries and bombs with a gas mask and small fire extinguisher. Emphasises how air raid precautions were informally learned and how sometimes children remain at home watching the bombing, guessing the points of impact. Describes emotions swinging from excitement to fear, people reciting the rosary or other prayers and stresses the fear of losing her treasured toys. Recollects a bombing at school, the dash to the shelter among incendiaries, target indicators, and how she stumbled upon three armed boys and the subsequent runoff to home. Recollects the gruesome sight of corpses at the entrance of the Mosucco cemetery and a fire exchange between fascists and partisans in which two men were killed. She describes the war as a fratricidal struggle between young men who had no other choice than being called up or join the partisans. Recalls an example of a young man’s bravado who remained in the middle of the street yelling 'Fire! I’m here'. Remembers German troops retreating, as well as the elation of her father, a man of the socialist persuasion, on hearing of Mussolini’s hanging. Gives an account of her post-war life: his father toiling as a construction worker, her job as a seamstress, the first radio set she had, her first home with a bathroom, and a doll handcrafted by her mother.

Creator

Date

2016-12-03

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Format

00:43:27 audio recording

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Contributor

Identifier

AMaggioniF161203

Transcription

ST: Volevo chiederle signora Fausta se ci può parlare della sua famiglia, della sua vita negli anni ‘30.
FM: Sì, sì, dunque niente io sono nata nel ‘31 e la guerra l’ho vissuta un po’ da ragazzina, da bimba, da bimba, ragazzina. Mi ricordo che quando c’erano i bombardamenti eeh avevano fatto sotto nel nostro casolario ehm un rifugio, così. E mi ricordo che mio papà era capo, per per correre sempre avanti e indietro sui solai perché allora avevamo i solai pieni di di di legna, carbone, e per vedere se cadeva qualche, adesso io non mi ricordo come si chiamavano quando bombardavano in città. Siccome che io abitavo in, un po’ in fuori, perché siamo abitavo a Trenno ma è sempre Milano, e si vedevano cadere delle, non so come come spiegarmi, che cosa si diceva, allora c’era mio papà che era a capo, capo di lì con un altro ragazzo che giravano tutti il condominio su in solaio per vedere se cadeva qualche, ma guarda che non riesco a, va beh insomma lasciamo perdere lì andiamo avanti. E niente, però nel frattempo, nel giro di due anni o che, la cosa è cambiata anche perché io ormai ero già grande e, e c’erano i partigiani e i, partigiani, c’erano i partigiani e i tedeschi, ma più che i tedeschi erano i, come si dice, aiutatemi, i fascisti, fascisti contro i ragazzi che non andavano a militare. Io avevo mio fratello con due o tre suoi amici e allora ci incaricavano noi ragazzi, se eravamo sulla strada così fuori, se vedevamo qualcuno che arrivava col mitra in spalla di chiamare subito. E allora i ragazzi avevano fatto una buca all’esterno del cortile e si nascondevano lì con delle foglie, avevano fatto. Ecco quello lì era la, il nostro lavoro da fare, i primi i primi anni eh della guerra così che io mi ricordo da bambina che andavo a scuola, siccome che mio papà non era fascista, non mi davano neanche la possibilità di andare in vacanza con gli altri bambini perché mio papà era fascista, e mio papà non voleva che mettessi la gonna e la camicetta quando c’erano, c’eran dei giochi da fare, ed io ero esclusa perché chi non aveva la tessera di, del partito fascista non avevano diritto a niente. Vabbeh, e io però ero una bambina, non mi pesava più di tanto, poi col passar degli anni ho cominciato anche ad andare anche a scuola e io son rimasta sotto bombardamento, la mia scuola è crollata un pezzetto, e allora la mamma per, per paura mi ha mandato dai parenti fuori Milano, che poi quel lato lì la scuola non era identica a quella che facevo io, insomma sono andata a terminare la scuola con, con nessun voto e dovevo ripetere e non sono andata più a scuola, vabbeh poi dopo ho passato degli anni così. Ecco il ricordo più brutto che ho, dopo quello lì che hanno ucciso e c’è la lapide anche sulla strada, hanno ucciso due persone perché si scontravano fascisti e tedeschi, c’erano i tedeschi che non so, perché io ho visto perché essendo anche ragazzini però avevi la curiosità, eravamo anche scemi o proprio non capivamo niente, eh di andare tutti in bicicletta facendo la strada un po’ nascosta nei nei prati per vedere come erano i tedeschi che passavano sulla strada, così eravamo già alla ritirata. Perché io faccio un po’ da dall’inizio alla fine eh, perché qui adesso un po’. È un ricordo che ho, una mattina, siccome che mio nonno lavorava in una cascina, proprio qua vicino, e tutte le mattine le davano il latte e allora io col mio calderino col coperchio sopra andavo sempre a prendere il latte, dovevo attraversare, te ti ricordi dove c’è la pista dei cavalli? Ecco lì avevano fatto un buco nella siepe per, per arrivare prima lì e non fare tutto il giro della strada, io mi ricordo, sono andata, ho preso il mio latte, sto ritornando esco dal buco della, mi trovo lì tre ragazzi col fucile in mano, io non so cosa mama, ‘Ma cosa fai?’ che si mettono a gridare ‘Ma cosa fai in giro?! Vai via che ci sono i fascisti di là! Corri a casa!’. Io correvo correvo col mio calderino del latte, sono arrivata a casa senza latte, arrivo a casa il portone, il mio portone del, del palazzo era chiuso perché nel frattempo era arrivato il carro che trasportava il latte, per portarlo in centrale, c’era il carro col cavallo e l’han portato dentro in cortile senza lasciarlo fuori e io avevo una paura, ero lì fuori e non c’era nessuno, ho cominciato a picchiare la porticina dove si poteva entrare, finché a un certo punto qualcuno mi ha aperto ecco lì poi son crollata, son scoppiata a piangere mi ricordo ancora e senza il latte, il latte era andato per terra non c’era più neanche il coperchio ‘Vabbeh il coperchio lo andrai a cercare, lo troverai’ e niente tutto qua. E anche la storia che se andava, mio fratello quando poteva se sapeva che c’era e non c’erano tante persone in giro a cercarli, perché allora c’erano anche i partigiani, i partigiani li cercavano per avere qualcuno che li aiutasse, mentre i fascisti li cercavano perché mio fratello era del ‘24 era un periodo che loro dovevano essere, essere i militari, e lì piuttosto di andare coi fascisti beh ha rinunciato, se poi andava bene bene. Poi un’altra cosa, io mi ricordo che nel frattempo avevo mio zio, era stato trasportato con quei treni dell’accidente lì in Germania nel campo di concentramento e, e m’era arrivato a casa mia, perché lui viveva con mia mamma e con noi, era era da solo, era arrivato un cartellino, un biglietto della croce rossa in cui si diceva ‘Un familiare della sua famiglia è stato ricoverato, è stato trasportato, è stato mandato in Germania come come prigioniero’ e allora con quel biglietto lì mia mamma me lo ha messo sulla, sul buffet, me lo ha appiccicato su, e mi diceva sempre ‘Ti ricordo che lì c’è quel biglietto, se per caso arrivano i fascisti a bussare alla porta e cercano il Mario gli dici che Mario non c’è perché l’han portato in Germania, perché c’è qua il biglietto della Croce Rossa’. E allora con quella storia di quel biglietto lì mio fratello ne approfittava un po’, perché mio zio si chiamava Bele però non c’era il nome, c’era solo ‘Un vostro familiare’, e allora per mio fratello insomma gli andava un pochino alla grande diciamo, che non doveva sempre scappare e così niente. Poi altre cose, che dovevi andare a cercare da mangiare perché noi avevamo gli orticelli che, però mancava, mancava tutto, mancava sale, mancava qua, le patate e allora mio fratello quando, quando c’era il periodo un po’ che andava bene, assieme ad altre persone alla notte, alla sera uscivano e andavano nei paesi a cercare, cercare qualcosa da mangiare, basta, tutto tutto qua. E io quando quando sono rimasta sotto il bombardamento meno male che non è successo niente, lì in corso Magenta c’era una scuola, delle superiori e niente poi, eh ce ne sarebbero di cose da raccontare però ecco il ricordo più più brutto è stato quando ho incontrato quei tre ragazzi lì e quando come cretini siamo andati sulla via Novara a vedere i tedeschi che andavano e lì c’erano i partigiani, dove c’è adesso la, il cimitero degli inglesi, perché su via Novara hanno fatto il cimitero degli inglesi e proprio lì c’erano lì i partigiani, non lo so perché adesso spiegare bene non mi ricordo proprio, io so che c’era tedeschi sulla via, la via Novara, quella là, quella là grande che passavano coi carrarmati, ne ho visti due, la curiosità di andare a vedere i carrarmati, avevo, avevo quindici anni ok? Quattordici quindici anni, eravamo dei stupidi proprio, eravamo in cinque o sei la compagnia solita, però camminavamo a un certo punto abbiamo lasciato la bicicletta nella, nei campi e corravamo, correvamo, per andare a vedere, nel frattempo invece c’erano i partigiani dall’altra parte che seguivano quattro o cinque s’chaman, fascisti e lì c’è stato uno scontro perché anche un signore di quelli lì che hanno ucciso era un fascista e c’è andato di mezzo anche un altro signore che quello là non c’entrava niente e però sono stati uccisi tutti e due lì. Ah un ricordo brutto che adesso mi mi viene in mente: la domenica, domenica pomeriggio, allora questo eravamo bambini ancora, i primi anni della guerra cioè, i priami anni che è iniziato esistere, i come si chiama, i, dunque i fascisti, eeh gli altri, aiutatemi a dire la parola.
ST: I nazisti? I tedeschi?
FM: Quelli che combattevano contro i fascisti.
ST: Ah i partigiani?
FM: I partigiani ecco, scusate eh ma io vado anche, dunque la domenica pomeriggio, andavamo all’oratorio, ai tempi nostri si andava all’oratorio e con le suore così, allora c’erano le suore che ci portavano al cimitero di Musocco, perché allora quando c’era qualche morto sulle strade portavano al cimitero, e quel giorno lì c’era un signore che mi ha detto ‘Cià dai venite vi porto io sul carro’ invece di andare a piedi perché noi andavamo a piedi, era come se andavamo a fare una passeggiata per andare al cimitero. Oh mamma, lì abbiamo iniziato a vedere morti sulle strade, siamo arrivati al cimitero, l’entrata principale, il signore l’avevamo lasciato giù era col carro col cavallo, immaginatevi voi. Siamo scesi, morti dappertutto c’era all’entrata del cimitero, dico ‘Suora ma io non entro’ ‘Ma no, ma poi avanti non ce ne sono più di morti, sono tutti qui’. Insomma siamo entrati, meno male che poi l’uscita abbiamo fatto la, il retro e siamo tornati a piedi, ma quel ricordo lì, una cosa pazzesca. Ricordo quando mio papà mi ha detto che è andato in piazza Loreto a vedere la, l’impiccagione del, che avevano appeso il Duce. Io non sono andata, l’ho visto solo in fotografia, ma mio papà è andato con una soddisfazione, contento come una Pasqua. Ho dì ‘Papà però, potevano fargli scontare la pena e non ucciderli così’ e va beh, niente, penso di aver detto tutto di quello che mi ricordo, ricordi ce ne sarebbero, prima di tutto faccio fatica a parlare, anche quello, poi i ricordi si. C’ho un bel ricordo ma questo c’entra c’entra si e no con la guerra, perché prima di tutto quello che ho raccontato, io e mia sorella, la nonna di Greta, eravamo due bambine e con la storia della guerra le nostre mamme ci han mandato a Prabiago [Parabiago] in una famiglia, erano gli zii dei nostri, delle nostre mamme, perché qua, c’era poco da mangiare e là si pensava che si poteva mangiare di più. E invece, noi due, dunque io avevo forse sette otto, otto anni non so, e mia, la nonna di lei ne aveva due in meno di me, pensavamo di andare dalla zia su là e trovare qualcosa da mangiare, no cosa abbiamo trovato? Un, due vasi di vetro grandi così anche di più, uno pieno di cipolline, uno pieno di cetrioli, questa qui vien da ridere. Solo che noi due mangiavamo poco, ci davano poco da mangiare, o, o se riuscivamo ad andare in un campo vicino dove c’erano delle angurie, andavamo a rubare le angurie per mangiarla, però non sempre, e se no dovevamo mangiare quello che ci dava la zia ma era poco, allora a un certo punto, mia, mia Silvana mi dice ‘Eh telefoniamo, scriviamo a casa di venire a prenderci’ e le era ancora più piccola di me ‘Eh ma come facciamo? Dai andiamo, tanto che non c’è la zia tiriamo fuori un cetriolo’. E allora quando non c’era nessuno, perché avevano come una specie di bar, quando vedevano che non c’era nessuno ero io quella che doveva mettere la mano e tirare fuori il cetriolo, poi dare un cetriolo a lei, un cetriolo a me, una cipollina, e mangiavamo un po’ così, guarda un po’, certo punto dice ‘Senti proviamo a scrivere’ ‘E dove andiamo a prendere la cartolina?’. Soldi non ne avevamo perché eravamo là dagli zii che son lì, e allora c’era lì una signora ‘E madonna maria non ha un bigliettino un, dovremmo scrivere alla mamma e al papà e far sapere dove siamo?’ ‘Sì sì ti do io un biglietto’ era un biglietto postale, allora c’erano quelli lì. E allora di nascosto abbiamo messo insieme quattro parole ‘Venite a prenderci perché abbiamo fame, abbiamo fame’ tutto quello che abbiamo scritto. E sua mamma, lo stavo dicendo un giorno, mi ha detto ‘Ma a chi l’ha indirizzata?’. Oddio io non mi ricordo a chi la abbiamo indirizzata, io so che dopo tre o quattro giorni sono venute tutte e due a portarci a casa, eh, abbiam finito di mangiare i cetrioli. Questo qui vien da ridere però, a vedere i tempi di quegli anni là, niente non so se è sufficiente quello che ho detto.
ST: Volevo, volevo chiederle una cosa sulla sua scuola, lei ha detto che la sua scuola in corso Magenta venne bombardata.
FM: Ma non ha, non ha avuto tanti danni, però noi siamo riusciti tutti a uscire sani e salvi, non c’è stato niente, solo che poi io non ho potuto più andare perché mi han mandato dagli zii, io facevo la la scuola, di là c’era solo la, quella per imparare un mestiere e invece qui facevo la, come si chiamava, quella che ha fatto la nonna, eh chi si ricorda come si chiamava, comunque era una scuola che poi potevi andare all’università, e invece là no, non c’era, perciò non avevo nessuno che mi seguiva, che poi più che giocare non si faceva e finito l’anno mia mamma mi ha detto ‘Senti hai perso un anno, adesso ti metti e impari un mestiere’. Mi ha mandato dalla sarta a imparare a cucire poi da lei non mi piaceva perché lei mi faceva fare solo l’imbastitura e a me non andava, allora sono andata da un signore che era parrucchiere, sarto e parrucchiere e ho cominciato a fare i pantaloni, da allora in poi ho vissuto coi pantaloni in mano. Poi ho trovato una ditta, ditta Fraizzoli che all’epoca era il presidente dell’Inter così, e ho lavorato un po’, poi mia mamma quando siamo venuti in questa casa ha avuto un ictus, dovevo seguire mia mamma o chiamare la badante, o curarla io e allora anziché andare alla ditta a lavorare andavo a prendere il lavoro, venivo a casa col borsone pieno di pantaloni tagliati, facevo e tornavo là a portare i pantaloni fatti, fin che a quando a 56 anni sono andata in pensione. Finito la, andata in pensione, finito di fare i pantaloni ho iniziato a fare, come si chiama, aiuto, aiutatemi, come adesso che si va dai cinesi a fare riparazioni, ho cominciato a lavorare, fare riparazioni, lavoravo di più di quando facevo i pantaloni. E così curavo mia mamma e ho lavorato fino a che la nonna è arrivata a 91 anni e ha chiuso gli occhi ecco. Poi di punto in bianco mi è venuta una maculopatia che sono vent’anni che non ci vedo, adesso poi non ci vedo proprio più, vedo solo le cose, i vostri visi non li vedo, e poi, eh ancora ancora un po’, la Greta perché è qua un pochino più vicino, ma vedo solo, non tutto il viso, vedo una parte e basta, scrivere non riesco più, leggere mi avevano dato il video lettore, ho letto per qualche anno e adesso piano piano sul video vedo solo tre lettere dell’alfabeto e basta, e non riesco andare avanti, e sono qua tutto il giorno, non posso leggere non posso, non faccio un cavolo di niente, eh tutto qua.
ST: Volevo fare qualche domanda ancora se se la sente, volevo chiederle, quando lei andava a scuola o quando andava all’oratorio, le suore o le maestre, vi avevano spiegato a voi bambini dei bombardamenti, cosa bisognava fare, come scappare.
FM: No quando ero a scuola, beh a scuola io ormai ero già grandicella, avevamo imparato noi cosa fare, perché quando suonava l’allarme, se eravamo fuori a giocare per strada correvamo in cortile e che poi si sentiva bombardare perché cacchio, ci sono state delle serate o dei giorni che vedevi proprio che cadevano le bombe in città o fuori, anche quando eravamo fuori che eravamo a Prabiago [Parabiago], alla sera quando sentivamo i bombardamenti andavamo su al secondo piano per vedere i bombardamenti e capivamo dove le bombe cadevano, se era Milano o era più spostato, a momenti era, una cretinata lì a momenti sembrava un divertimento per noi, per noi ragazzi. No no ma quando suonava l’allarme scappava subito dentro il cortile, poi si vedeva subito se bombardavano vicino, un pochino più lontano, se era proprio vicino che vedevi proprio quei razzi lì che che madonna, sembrava che bruciavano dappertutto, e allora si, correvamo giù in rifugio, e andavamo avanti così. Io mi ricordo che avevo una, quando la mamma andava a lavorare, aveva là una borsettina, fa ‘Guarda che quando suona l’allarme che vai in cantina tira su quella borsettina qui che c’è dentro tutte le cose che abbiamo’. C’erano le cose d’oro che una catenina poche cose perché, mi hanno messo la catenina d’oro quando ho fatto la prima comunione, poi finita la cerimonia me l’hanno tolta, eh ho fatto la fotografia con la catenina d’oro ma non era mia, me l’ha, me l’ha messa la mia madrina, quando è finito che sono andata a casa mi hanno tolto la catenina d’oro, potevi fare a meno di metterla, no? Cosa me ne fregava a me della catenina d’oro. Ecco qua.
ST: E un’altra cosa, mi ha detto che suo papà e altri uomini della casa andavano a controllare se il solaio e tutto erano.
FM: Sul solaio cadevano i i razzi, perché se ti cadeva solo un razzo sul sul tetto che riusciva a bucarlo, sotto noi avevamo, come vi dicevo prima, il solaio, era solaio per tutto [?] ogni famiglia aveva il suo pezzo di solaio, che non avevamo il riscaldamento, non avevamo neanche l’acqua a momenti, perché dovevamo andare giù in cortile a tirare la tromba per portar su l’acqua. Io mi sono sposata non avevo il bagno perché io ho abitato sempre là in cooperativa, adesso abito qua ma questo è il terzo, è il terzo appartamento che cambio in 74 anni della mia vita sempre qua. Ma là quando mi sono sposata io nel ’54 non avevamo l’acqua in casa, l’acqua era sulla ringhiera, sulla ringhiera c’erano i tre gabinetti per quattro famiglie, e l’acqua dovevi andar giù a prenderla in cortile che poi dopo pochi, pochi mesi che mi ero sposata hanno messo l’acqua sulla sulla sulla ringhiera in fondo almeno avevamo l’aqua ghei [?] ma non avevamo i bangi, se avevi bisogno dovevi andare lì sulla sulla ringhiera che c’erano tre, tre gabinetti, e avevi la tua tua catena, c’era sempre quella che puliva più degli altri perché, e niente poi han fabbricato lì in piazza Scolari, son venuta via di lì, son andata di qua, lì almeno c’era tutto, il bagno e il riscaldamento.
ST: E il rifugio invece come era fatto, il rifugio dove vi nascondevate?
FM: Alto tutto coi pali sotto, legno per terra, coi pali infilati dentro e tutte le panchine lì di legno, e non lo so però se se cadeva una bomba lì, non lo so. Però una volta mia mamma con mio fratello quello più piccolo, che avevo un altro fratello, eeh m’ha portato la cascina, la cascinella che adesso non si chiama più neanche cascinella perché adesso han costruito, ma lì c’erano degli ortolani, dei, e avevano fatto un rifugio nel prato, nel campo, hanno scavato un po’ e poi ha fatto, messo lì tutto un mucchio di terra, non so come come l’han fatta perché ci stava una ventina di persone, han fatto lì sto, e allora una notte mia mamma m’ha detto ‘Dai, dai che andiamo lì alla cascinella, dai siamo più sicuri’. Mamma abbiam fatto la strada da lì alla cascinella, quanti razzi che venivan giù, mama io andavo con gli occhi chiusi, piangevo, avevo paura, c’era mio fratello che mi prendeva sotto braccio ‘Dai dai chiudi gli occhi che ti tengo io’ tutto di corsa per arrivare là in sto rifugio. Ma però era bruttissimo vedere tutti sti razzi che venivano giù, sembrava che ti colpissero, tutti sti rossi, cosi rossi, madonna dì ma di ma chi, madonna gente scusate ma, vedete se ho un bicchiere qualcosa, no ma fu quello lì [unclear].
ST: Volevo chiederle, lei e i suoi fratelli quando eravate nel rifugio durante i bombardamenti, come passavate le ore lì nel rifugio.
FM: Guarda dipende da come era anche sopra. Perché se era una cosa grande che sentivi proprio le bombe cadere allora ti, noi bambini, cominciavi a piangere e va beh, o se no c’era quella che cominciava a dire il rosario, poi c’era quell’altro che diceva altre, altri rosari, e niente si stava lì poi quando si calmava un po’ che arrivava giù mio papà o quell’altro ragazzo, perché bisognava fare tutto il giro, veniva giù, l’impressione di vedere la la maschera antigas sempre al collo e poi aveva la, qualcosa per spegnerlo, per spegnere se c’era un piccolo, un piccolo incendio, e insomma, tante volte era anche un, non un divertimento per colpa, però insomma quando sei bambini con qualsiasi cretinata ti diverti. Ma bello quando quando si sapeva, quando, perché qui a Trenno è stato ucciso uno, che era uno di qui ma era un fascistone proprio, lo uccisero lì avanti della cascina, come gl’era [?], è stato ucciso lì, immaginarsi tutti che andavano a vedere, mia mamma ‘Non penserai di andare a vedere, te stai qui’ e non son andata, però il via vai che c’era, mamma, è stato ucciso dai partigiani, e lì uno contro l’altro, eravamo fratelli ma eravamo uno contro l’altro. E quando sentivamo la sirena, però c’era dei ragazzi, c’era il Franco Curzani, quello là ha la mia età, dopo, non tonto perché non posso dire che era tonto, ma lui voleva farsi farsi vedere che lui era bravo e usciva sulla strada e stava là con le braccia ‘Sparate! Sparate, io sono qua’ ‘Ma sei cretino veh?!’ a gu dit ‘Ma se ti attiva davvero un, un?’ ‘Ma no, ma non mi prendono’ e allora gu dì ‘Entra vieni dento, non fare il cretino, lì te, stai lì ad aspettare che cade davvero qualcosa’. Comunque, comunque è stato davvero un periodo da cane proprio, mah.
ST: Quando.
FM: Sì sì, me papà, ha fatto la sua bella, bella, ne avevamo anche là noi in cooperativa di persone, c’erano i Gripa [?] che faceva la, il bidello a, ai Boschetti. Ah ma quello lì ce c’aveva su con mio papà, meno male che non si è mai permesso di picchiare mi papà perché se si permetteva glielo faceva vedere mio fratello chi era.
ST: Quando è iniziata la guerra, quando sono iniziati i bombardamenti, suo papà le ha spiegato cosa stava succedendo, con chi era in guerra l’Italia?
FM: No, ai tempi i genitori non si mettevano, no i genitori erano presi a lavorare a fare qualcosa, mio papà andava via la mattina, faceva il puntatore, nella quando voi non lo sapete perché i puntatori di adesso, adesso fanno tutto coi tubi, invece mio papà mi ricordo quando hanno fatto l’albergo in piazza [pause], quel, il primo grattacelo che han fatto a Milano, adesso non dirmi dove perché non mi ricordo più, e mio papà faceva il puntatore, vuol dire che andavano su coi pali, come i pali della luce di legno e dovevano inchiodarli tutto uno uno. Di fatti mio papà aveva i pantaloni che mia mamma gli aveva fatto una una tasca qua grande di rinforzo per avere i chiodi a portata di mano, e mano a mano andava su e si chiamava puntatore. E io mi ricordo di quel, di quel lavoro lì, com’era com’era fatto perché non riuscivo a capire quando mio papà mi diceva ‘Ma io devo salire, devo salire’ e non sapevo fino a dove poteva andare. E allora mi ricordo che una volta, allora non era ancora cominciata la guerra non so se può interessare, e mi ha portato a fare una visita e m’ha detto ‘Dai siamo qui, andiamo in centro, andiamo a vedere, ti faccio vedere dove lavora papà’. E allora siamo venuti, madonna il, quel, che piassa l’è, non mi ricordi più, beh insomma siamo arrivati lì, mia mamma è andata a parlare con quel capo lì noi e allora sento che mi dice ‘Cià vieni vieni che chiamiamo tuo papà’ e allora si mette col megafono a gridare e chiamare il Maggioni ‘Maggiun!’ in milanese ‘Maggiun! Maggiun!’ e mio papà che rispons ‘Ste gh’è!’ ‘Vin giò! Vin giò che gh’è chi la tua miè con la tua tosa, vin giò!’ ‘Arrivo’. Ho visto mio papà che scendeva da questi pali attaccato come il tarzan e scendeva attaccato al palo è arrivato giù, eh. È stata una soddisfazione enorme vedere mio papà e così ho capito cosa voleva dire puntatore, ecco. Son tante cose ma non è che avessero il tempo di spiegarci, sì dopo quando ho cominciato ad andare a scuola, però non è che ti spiegavano tante cose come adesso.
ST: Quindi quando.
FM: Dai dai partigiani ai fascisti così, ormai ne sapevi perché tramite, perché la radio non ce l’avevo, io la radio l’ho avuta nel, dunque mi son sposata nel ’54, nel ’50 o ’51 il primo anno che c’è stato la la, chi ha vinto la la, che ha vinto la, come se chama, aspetta eh, sì, aveva la, prima, il primo, aiutami, quello che incomincerà la settimana prossima o è già incominciato, quello dei cantanti, delle canzoni.
ST: San Remo?
FM: San Remo, ecco la radio me l’hanno comperata quell’anno, il primo anno di San Remo che mi ricordo che ero là appoggiata alla radio, c’era mio papà e mia mamma a letto e io in cucina appoggiata per tenerla bassa bassa che c’era la la, quella che spiegava gli abiti che avevano su le ragazze e i ragazzi mama ecco guarda, è stata una una gioia immensa avere la radio. Perciò l’è no che i noster genitour, beh ci saranno stati anche quelli che avevano più possibilità, ma il papà e la mamma quando era sera andavano a dormire. E io anche quando avevo otto o nove anni che la mamma, mia mamma faceva la magliaia con la macchina però quando aveva poco che c’era lavoro in campagna andava in campagna. E prima di andare in campagna io sapevo già che quando tornavo avevo il mio centrino sul tavolo pronto per lavorare, per ricamare, perché avevo imparato dalle suore, ero piccola però prima, primo andavo giù a giocare perché in cortile avevamo il gioco delle bocce perché il nostro cortile là era grande, era bello, e ci divertivamo lì a giocare, un po’ con le bocce un po’ senza bocce, poi quando mancava, sapevo che mancava circa mezz’ora o un pochino di più, andavo di sopra mi sedevo sul mio seggiolino col mio centrino in mano, facevo vedere alla nonna che ho lavorato tanto, e quel centrino lì ce l’ho dentro ancora nel cassetto, tutto rotto, tutto mezzo rotto, e non lo butterò via fino a quando sarò morta che me li butten [sic] via gli altri, fa vedere quanti anni è durato quel centrino lì. Però quando la mamma entrava in casa ‘T’ho detto di fare questo!’ ‘Eh vabbeh mamma son stata giù un momento’. Erano sberloni che si prendevano eh, e tante volte che io mi rendevo conto che le avrei dovute prendere, cosa facevo, io andavo in gabinetto, in gabinetto mi chiudevo dentro e aspettavo che arrivava mio papà. Perché quando sentivo la pedana che faceva le scale mio papà, perché ormai riconoscevo le pedane di tutti, i passi di tutti. Quando mio papà arrivava io uscivo e andavo in casa. ‘Nana fa la brava’ ‘Sì sì papà’. Se la mia mamma faceva finta di, le ciapava lè non mì, ecco perciò la sera si arrivava, e arrivavano e quando aveva mangiato mio papà scendeva in cortile e portava su due secchi, prima andava in cooperativa a bere il suo bicchierino, poi usciva, riempiva due secchi d’acqua e se li portava su, e poi andava a letto, la giornata era finita e il mattino si ricominciava.
ST: E lei si era fatta una idea di, durante la guerra di chi fossero i soldati che vi bombardavano?
FM: Ah beh lo sapevamo che erano inglesi, perché tedeschi li avevamo qui, [unclear] chissà perché anche adesso coi tedeschi non mi vanno né davanti né dietro.
ST: E di quei, di quei soldati che vi bombardavano lei cosa pensava all’epoca?
FM: Eh no, noi quei momenti lì noi eravamo bambini, bambini, ragazzine, eh cosa vuoi pensare, io avevo paura ‘Adesso se mi bombardano poi la mia casa non ce l’ho più’. Ecco si pensava, tante volte si pensava questo, magari c’era l’altro che diceva ‘Ma no, con tutti i giocattoli che ho in casa’ eh oddio ‘E invece io non ho niente, non mi rompono niente perché c’ho solo la bambola di pezza che mi ha fatto la nonna’. Perché quel giorno, guarda, questo qui della bambola di pezza è un altro dicordo di quella sera, di quella sera che siamo andati nel rifugio là alla cascinella, che avevo mio fratello che aveva, poi era del ’27 perciò era già più grande di me, e e io piangevo ‘Eh ma dopo arriva, se arriva però quando, quando poi dopo arriva Gesù Bambino che mi porta la bambola (perché allora era Gesù Bambino che portava i giochi, i doni non era Babbo Natale, Babbo Natale è arrivato dopo) e Babbo Natale mi porta Gesù, mi porta il dono, mi porta la bambola, e lui cretino mi dice ‘Stai tranquilla che non è Babbo Natale, che non è Gesù Bambino che ti porta i doni, è la mamma, e la mamma non c’ha i soldi per prenderti la bambola’. A voi sembra una cosa normale che in una notte così, una sera così, piangevo già per la paura, lui mi disse che era la mamma. E allora la mamma cos’ha fatto, piano piano mi ha fatto m’ha fatto lei una bambola di pezza, è durata una vita, e poi non so più dove è andata a finire, e non, non me lo ricordo, basta. Comunque quell’anno lì ho avuto la mia bambola di pezza ed era anche bella, mia mamma poi era brava con la. Niente non so ancora cosa vi posso dire.
ST: Per noi è stata, va benissimo così è stata davvero interessante.
FM: Ah si.
ST: Ci ha detto cose davvero davvero interessanti per noi.
FM: Dovevamo lavorare, voi invece avete trovato tutto piano, tutto pianato eh, gradini già pronti da salire, eh.
ST: Aggiungo che durante l’intervista nella stanza è presenti anche Erica, Greta Fedele, nipote della signora, e Zeno Gaiaschi dell’associazione Lapsus.

Collection

Citation

Sara Troglio, “Interview with Fausta Maggioni,” IBCC Digital Archive, accessed April 23, 2024, https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/collections/document/253.

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