Interview with Speranza Piras

Title

Interview with Speranza Piras

Description

Speranza Piras reminisces about the Alghero bombing on 17 May 1943 and her subsequent life as an evacuee. She describes daily life in wartime; German occupation; anti-aircraft fire; hardships; the black market; and different anecdotes about enlisted people and their relatives. She describes her care-free attitude and explains how the local population was able to differentiate between Italian aircraft and German ones. Speranza reminisces about a woman standing under a tree waving a broom and yelling, “I will cast a spell on you! I will cast a spell on you!”, in an attempt to drive away the aircraft. She discusses the relationships with Allied troops, and her return home at the end of the war

Creator

Date

2018-03-02

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00:23:51 audio recording

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Identifier

APirasS180302
PPirasS1801

Transcription

SU: Sono Stefano Usai per l’International Bomber Command Centre, stiamo intervistando ad Alghero la Signora Piras Speranza in data 2 marzo 2018, sono presenti durante l’intervista la Signora Doppiu Paolina, nuora dell’intervistata. Buongiorno Signora Piras, mi può raccontare come viveva la sua famiglia prima della guerra e come cambiò la vostra vita una volta iniziato il conflitto.
SP: La nostra vita non è cambiata, che abbiamo preso i piatti con le fave li abbiamo lasciati li, mamma ha messo la candela al pianerottolo che tanto diceva che la trovavamo, già l’abbiamo trovata però. Poi però verso le dieci, c’era una signora che chiamava il figlio che stava giocando giù alla strada, che ci voleva poco alle dieci e ‘Tonino!, Tonino!, Tonino!’ non voleva salire, alla fine è salito il bambino, la mamma era in cinta grossa, è salito il bambino e lei doveva picchiarlo perché non era salito. Invece in quel palazzo, che era il palazzo di Caruso, quel palazzo l’hanno buttato giù e sono morti tutti, è morto questa Signora Diega, i quattro figli, zia Pasqualina, la figlia del… no Maria no, zia Pasqualina era una donna anziana, che quella donna non ce l’ ha fatta a scendere ed è morta in quel palazzo comunque [speaks dialect] altra in quella via nostra fra la Misericordia e via Zaccaria, di la ne sono ne sono morti una trentina.
SU: Questo la notte del conflitto, cioè la notte del bombardamento?
SP: La notte del, sì la notte del e poi c’è via principe Umberto, che si va a Santa Maria dritto, li in quel sottano, che abitavano, erano sottani che si viveva, di la ne sono morti, la nonna, il bambino che era nato tre giorni, la… chi altro era morto di la, Vissenta, Vissenta un'altra signora e poi c’è che dicevano il palazzo del Meru, che era un palazzo grande e li ci vivevamo tutti come eravamo, perché noi eravamo una parte e però quelli erano di là e di là quelli di quel palazzo sono morti tutti.
SU: Ma invece, prima della guerra, prima che iniziasse proprio la guerra, la sua famiglia come viveva ? Cosa, cosa facevate di lavoro?
SP: Mio babbo era contadino e noi eravamo piccole e stavamo a casa con mamma, a casa, a casa alla strada a giocare, aspetta che non mi ricordo un particolare. [pause] Ah, prima di bombardare ad Alghero nostro, il giorno di Pasqua hanno bombardato al mare, sette, sette pescatori erano, che sono hanno bombardato, infatti io la sera però sono andata da una signora Goffi, che lei se ne era andata già a Sant’Efisio, da queste parti in campagna e io sono andata con questa signora e poi mamma con gli altri a piedi mi sono arrivati al … no la notte no, alla l’orto, in via degli orti, come si dice, via degli orti, da una comare che aveva, aveva questo orto. Allora mia mamma, mio babbo, mio fratello e il marito di questa signora sono andati a dormire alla stalla, diciamo cosi, per noi una stalla e noi tutte coricate assieme a questa comare di mamma, che era Teresa Caria si chiamava. Ha un nipote che vende cose. Poi dove siamo andati? L’indomani, allora siccome non avevamo niente da mangiare, mia sorella che perché lavorava dal dottore Enrico, le ha detto mamma, le ha detto: ‘Ma, io vado dal dottor, dal Signor Enrico, se ci da qualche pasta’ perché lui aveva pasta e farina e ci ha dato un bel po’ così di reginette, carisagnas. Be siamo arrivate a Pignattaru che Pignattaru è quasi alla, alla traversa della scaletta, lo sai? All’inizio proprio della scaletta, li c’era questa campagna che si chiamava Pignattaru, sempre il nome che davano a Pignattaru, allora li ci siamo coricati, ci siamo riempite tutte di po…, po… come si dice ? I pidocchi delle…?
DP: Le pulci
PS: No, i pidocchi, i pidocchi delle galline.
DP: Ah.
PS: Perché quel signore doveva metterlo a posto, questo, la casa di campagna, perché dormivano le galline di la, mamma quando ci ha coricato noi, non riuscivamo a dormire dal prurito che avevamo. Allora leha detto ‘Ma cosa c’è?’ e mamma inizia a piangere, a piangere perché non sapeva cosa era, allora ha detto ‘Ma Anto?’ gli ha detto, ‘questi cosa hanno?’ e gli ha detto ‘Giuseppì, mi sono dimenticato di [speaks dialect]’. Allora ne ha tolto tutto, l’indomani ha acceso questo fuoco fino alla volta, allora li mamma ci ha messo i letti, li noi giocavamo. Poi quando passavano gli aerei, per c’era una, zia Maria, una donna anziana, poverina quella donna si metteva sotto l’albero e stava con la scopa ‘[speaks dialect]’ mandando via gli aerei ‘[speaks dialect]’, io questa cosa non me la dimenticherò mai.
Poi c’era, una specie di zona di campagna, una piccola zona di campagna, a giocare andavamo la, dove passano di nuovo gli aerei, allora ce ne siamo andate sotto [speaks dialect] le pale del fico d’india, di la, però per noi, diciamo poi perché eravamo piccoli, è stato un bel tempo, lo sapevi? Sai perché? Perché almeno già avevamo il posto da giocare, che mamma non ci lasciava scendere alla strada.
SU: E quindi in quel periodo la, la sirena, quella per gli aerei, suonava tutti i giorni?
SP: Si, no no, dipendeva no, se sentivano che c’era qualche cosa in giro, allora suonavano la sirena, allora come sentivamo la sirena, tutti a nascondersi. Infatti avevano fatto un rifugio, però questo rifugio fatto di terra e pietre, pensa che l’altezza era così, un pochettino cosi lungo e allora ce ne andavamo li che se era caduta una bomba anche li in campagna, era la stessa cosa.
SU: Ed invece la notte quando eravate in casa a mangiare, cosa avete fatto quando avete sentito la sirena?
SP: Abbiamo tolto la candela di petrolio, mamma ci ha mandato giù con babbo, lei ha messo la candela lì e noi siamo scesi giù. In questo sottano che c’era da Pruneri, quello era pieno pieno quel sottano. E perché quando è iniziato, che è caduto il palazzo di fronte, perché questo era il sottano e quell’altro era la piazza. Tutta la piazza dove c’è la Misericordia, quello era tutto palazzi, davanti e di dietro, quello è andato giù tutto e allora li tutte affogate, non c’era acqua, l’acqua per darci da bere e per la gola, non c’era , comunque già ci hanno aggiustato. Allora, dopo che ci hanno portato l’acqua [speaks dialect] e poi li quella strada, la strada di fronte alla Misericordia, li ne sono morti altri cinque, una nonna con un bambino che aveva tre giorni e poi altri due o tre delle persone, perché gli altri sono tutti scappati. Anche se scappavi però non c’era posto da andare, più che ad un portone [speaks dialect] questa cosa però non ci stavi che avevamo paura e camminavamo. Poi la notte proprio che hanno bombardato, c’è la Torre dei cani alla muraglia, li c’era la mitraglia e questi soldati che ogni tanto, perché hanno buttato tutto mezza Alghero li? Questi soldati sentivano gli aerei e con la mitraglia mitragliavano, i soldati sentivano la mitraglia, e dai bombe! Per quello hanno distrutto tutto quel pezzo li. E dicevano, se loro quella l’avessero tolta, non avrebbero potuto fare quel danno che hanno fatto, e invece chissà loro cosa hanno pensato. Perché loro sono in alto, quella è in basso e li ci hanno bombardato per bene perché, per quelle mitraglie. Le mitraglie davano luce e li dove vedevano la luce, buttavano le bombe, per quello hanno preso tutto quel rione li, iniziando dalla Misericordia, tutta la strada nostra e tutta la piazza che c’è. Che la piazza dava, via della Misericordia e poi la nostra era via Zaccaria, è stata sempre via Zaccaria.
SU: Quindi per paura di altri bombardamenti poi dal giorno dopo siete andati …
SP: …dal giorno siamo andati in campagna.
SU: A stare in campagna.
SP: Si, si siamo stati fino al mese di… al mese di Settembre, fin che è finita la guerra, siamo stati.
SU: A settembre sono arrivati gli Americani in Sardegna.
SP: Infatti.
SU: Questa cosa che gli Americani qualche mese prima avessero bombardato la città e poi la hanno occupata, come l’avevate vissuta voi?
SP: No, con gli Americani eravamo tutti in pace. Perché loro andavano alla muraglia, passeggiavano, allora le cingomme non si conosceva non si sapevi e tutti i bambini andavano a presso a loro e loro erano tranquilli. Allora si avvicinavano: ‘Cingomme, ciugan, chewing gum!’, noi no, forse perché eravamo ragazze e invece i maschi, erano diversi, però quando sono arrivati… sono gli Americani che ci hanno salvato.
SU: Lei li vedeva come dei salvatori, come dei liberatori?
SP: Sì, sì, sì, sì
SU:Poi finita la guerra, dopo quanto tempo siete tornati a vivere in cento, dopo quando è tornato tutto normale diciamo?
SP: A vivere in centro siamo arrivati al mese di ottobre.
SU: Subito quindi, prima … nel senso … lo stesso anno.
SP: Dal mese di maggio, sempre lo stesso anno.
SU: Ok
SP: Però prima di entrare a casa, diciamo cosi, la casa nostra come è caduto il palazzo che c’era davanti, ne ha buttato tutta la facciata, non si poteva andare finché non hanno messo a posto. Allora siamo rimasti ancora in campagna, finché non ci hanno messo a posto li.
SU: Prima mi stava dicendo che in quel periodo mangiavate le fave giusto?
SP: Sì
SU: Era un periodo, cioè come si viveva durante il conflitto?
SP: Le fave dal mese prima, fave fresche, non fave secche, quello era il periodo. Gioia mia, tutti gli anni era quello, sempre al mese di aprile ne mangiavamo di crude e cotte.
SU: Cosa altro mangiavate in quel periodo? Era difficile trovare da mangiare, c’erano dei problemi, avevate dei problemi?
SP: Il pane, il pane, perché dovevi andare anche a comprare la farina di nascosto, che non te la davano così perché tu da tutte le parti vedevi poliziotti e allora non potevi. Chi vendeva la farina di nascosto, mercato nero dicevano, chi vendeva la farina non è che erano tutti che te la potevano dare, a volte dicevano: ‘passa di nuovo quando si allontanano loro’ perché non si poteva.
SU: Quindi lei mi diceva, in questa esperienza non ha avuto particolarmente paura, forse perché era piccola, la affrontata diciamo con coraggio.
SP: Io paura non avevo, forse perché vedevo la gente che non era tranquilla, però con questa paura cosi, la paura era soltanto quando sentivamo gli aerei che passavano. Sapevamo quali erano i nostri e quali erano gli americani, perché quelli americani noi dicevamo che avevano la griglia, la griglia, avevano quelle strisce tra la coda e il pezzo dell’aereo, quelli avevano questi due cosi e tutti dicevano: ‘Gli americani, gli americani!’.
SU: Quindi lei…
SP: Ma però dopo, sono anche, anche i tedeschi ci sono stati, anche i tedeschi ci sono stati forse per aiutare i loro, non lo so.
SU: Invece suo padre non è andato in guerra, in quel periodo era ad Alghero?
SP: No, babbo già la aveva fatta la guerra.
SU: Era già grande?
SP: Si, si babbo avrà avuto, no babbo aveva già fatto la guerra, mio babbo mio zio, questa invece erano tutti giovani. Poi c’ era un ragazzo, vicino a noi, Antonino poverino. Quando… la mamma non ha avuto più notizie e quando c’è la guerra e non hai notizie vuol dire che… e allora siccome mio fratello Salvatore, che è carabiniere, le diceva che indovinava tutto e allora un giorno Maria, una ragazza che aveva il ragazzo alla guerra e gli diceva sempre: ‘Giusè… Salvatò ma cosa dici che Gino (si chiamava Gino il ragazzo di questa signora) che ritorna?’. ‘No, non ci ritorna’. ‘E perché?’: ‘Perché non ci viene più’. ‘Guarda se mi dici che viene, Maria ti preparo un bel piatto che quando vedi la pasta asciutta’ (un bel piatto di pasta asciutta così) e lui anche dicendole della pasta asciutta sempre gli ha detto di no e invece si vede che quello era sposato, dopo che aveva finito la guerra se ne è andato. Invece il figlio di Gavini, Antonino, quello era signorino, infatti quando è partito Salvatore mio fratello aveva due mesi, no due giorni. È salito lui, a salutarci a noi e allora ha detto ‘Giuseppì quando ritorno, lo trovo già che è grande a… come si dice… a Salvatore’. C’era questa donna, che stava la mamma, zia Giovannina, che stava sempre a [speaks dialect] la foto del figlio e non… e quando ha sentito di Maria che chiedeva a mio fratello Salvatore, allora lo ha chiamato e gli ha detto: ‘Salvatore, ma Antonino [speaks dialect] licenza ?’. ‘No Antonino [speaks dialect]’ e lei diceva ‘[speaks dialect]’. Tutti i giorni erano queste parole che le diceva, alla fine quando ha visto che iniziavano ad arrivare qualcuno, allora gli ha detto: ‘Ma Salvatore, cosa dici che viene Antonino?’. ‘Antonino [speaks dialect]’. Perché lui [speaks dialect] infatti hanno affondato la nave ed è morto’
SU: In quel periodo pregavate spesso? Eravate religiosi?
SP: Sempre, mamma sempre, mia mamma da quando ti svegliavi ‘andiamo a dire le adorazioni ‘, noi le dicevamo in algherese, a dire le adorazioni. Io a volte le dicevo e a volte nulla a rispondere e allora mi diceva: ‘ Se non le dici non c’è niente’ ed io ‘[speaks dialect]’
SU: Poi come ultima domanda le volevo chiedere, in quel periodo, nel 1943 c’era ancora l’occupazione fascista, c’era ancora lo stato fascista e come viveva la città in quel periodo? Si era stufi di questo periodo politico?’
SP: No, eravamo contenti perché almeno eravamo vestiti, la divisa di piccola italiana, del Balilla, gli altri come si chiamavano, no noi allora, poi facevamo dei saggi al campo sportivo, facevamo.
SU: C’era qualche altro particolare di quel periodo che mi voleva raccontare, qualcosa che si ricorda in particolare, che le è rimasto particolarmente impresso?
SP: No, quello delle barche te lo ho già detto, che le hanno bombardate, quelle barche. Tante volte mi viene in mente.
SU: C’era qualcosa che le raccontavano le persone più grandi? Qualcuno che …
SP: No, allora non era di stare li a chiacchierare, a parte che noi non ci stavamo con le anziane, ce ne andavamo sempre li in campagna a giocare. La giornata la passavamo cosi, che poi questa campagna era vicino alla miniera del cammino della strada di Villanova, di la, e noi entravamo e c’era Felice la guardia, lo hai conosciuto? [speaks dialect]
E noi entravamo li per prenderci le mele, che c’ erano queste mele, che noi dicevamo ‘mele di dama’, raccoglievamo quelle li, di nascosto sempre, perché se ti vedevano non ti lasciavano uscire, cioè non è che non ti lasciavano uscire ma ti sgridavano, sempre a noi perche eravamo piccole, piccole, io dico adesso, tredici anni non ero piccola però non c’era la malizia che c’è oggi, eravamo proprio fatte e lasciate.
SU: Va bene signora, ora che abbiamo concluso l’intervista la vorrei ringraziare ancora una volta per la disponibilità e per la testimonianza.
SP: No, a me mi ha fatto piacere, perché io a loro le racconto, però loro non mi ascoltano.
DP: Io si
SP:Si, tu si, ma [speaks dialect].
SU: Va bene
SP: Poi c’era questo ragazzo, già te lo ho detto, come si chiamava, il figlio di quella che viveva a Valverde, questo ragazzo ha messo la canzone di quando hanno bombardato ad Alghero: ‘[sings dialect] e l ha fatta lunga questa canzone e si vede che di queste ne ha venduto tante copie e se ne è andato da Alghero, si vede che ha fatto fortuna, diciamo così, e non è venuto più, si lui l’aveva messa la canzone [sings dialect]
SU: Va bene. Grazie mille signora.

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Citation

Stefano Usai, “Interview with Speranza Piras,” IBCC Digital Archive, accessed July 22, 2024, https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/collections/document/7648.

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