Interview with Guido Dell’Era

Title

Interview with Guido Dell’Era

Description

Guido Dell’Era recollects daily life in wartime Milan, stressing inadequate war preparation. Describes a disciplined, regimented society which later turned to disillusionment. Recollects the declaration of war, the fall of the fascist regime and the end of the conflict. Contrasts with the situation in Switzerland, emphasising the lack of wartime black-out precautions there. Describes the 20 October 1944 bombing, its effects on the Gorla and Precotto primary schools, and his own role in the subsequent memorialisation of the event. Stresses the ineffectiveness of anti-aircraft fire, the different shelters and what life was like inside them. Mentions the impact of racial laws on his schoolmates. Recalls memories of Italian military internees in Germany. Describes wartime life: execution of partisans, pastimes of children, strafing of marshalling yards, antifascist propaganda, SS recruitment, graffiti on bombed buildings, bomb disposal units, Pippo, and curfew. Mentions fascists who changed camp after the war ended and became active public figures in other political parties. Describes briefly his post-war life working for oil and mining companies.

Creator

Date

2017-02-25

Temporal Coverage

Coverage

Language

Type

Format

00:50:44 audio recording

Rights

This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.

Contributor

Identifier

ADell'EraG170225

Transcription

EP: Ok. L’intervista è condotta per l’International Bomber Command Centre. L’intervistatrice è Erica Picco. L’intervistato è il Signor Guido Dell’Era. Nella stanza è presente Sara Troglio. L’intervista ha luogo in [omitted] a Milano e oggi è il 25 febbraio e sono le undici del mattino. Possiamo cominciare. La prima domanda che le faccio, come si è detto, partiamo da prima della guerra.
GD: Si’
E le chiedo, cosa faceva lei prima della guerra? Studiava? Quanti anni aveva? Come organizzava la sua quotidianità? Quali erano le sue impressioni riguardo a quel periodo?
GD: Prima della guerra, io ero studente. Sono stato studente fino a diciott’anni. Diciott’anni fino quando ho preso il diploma di geometra conseguito presso l’istituto, dunque, Carlo Cattaneo di Piazza Vetra a Milano. Per raggiungere l’istituto dovevo prendere il tram su Viale Monza, la linea Milano-Monza, scendevo a Porta Venezia, da lì prendevo un altro tram per portarmi verso il centro di Milano. Questo è il percorso che facevo, e l’ho fatto per parecchi anni, finché avevo finito la scuola. Il periodo significativo, cioè che ricordo bene è stato il 25 aprile del 1943, quando è stato defenestrato Mussolini e anche lì bisognava vedere le reazioni del popolo. Ricordo la stazione centrale, c’erano due fasci enormi di bronzo, sono stati proprio abbattuti [emphasis] completamente, e si sentiva proprio l’odio verso Mussolini perché indubbiamente, tutti quanti nel giugno del ’40 sembrava che fossero osannanti Mussolini, ah meno male perché, ci sembrava che fosse un motivo logico perché i tedeschi stavano invadendo tutta l’Europa, ‘come mai Mussolini non entra? ah deve entrare’. Sapevamo tutti quanti, lo sapevamo noi che eravamo giovani, che parecchie armi erano finte. C’erano i carri armati di legno per scrivere agli atti. Quando Mussolini ha invitato Hitler in Italia e ha fatto vedere che erano carri carmati di legno, i cannoni di legno, cosa incredibile. Siamo, per cui siamo entrati in guerra nel modo peggiore, tutto perché c’è questa fretta di voler agganciare, agganciarsi ai tedeschi perché, se per caso i tedeschi avessero vinto, noi saremmo rimasti fuori, invece partecipando è stata poi la nostra rovina. E adesso, diceva, scusi?
EP: Le chiedevo appunto, prima della guerra.
GD: Ah, prima della guerra, sì, sì.
EP: Prima proprio dello scoppio.
GD: Appunto, facevo questo dopo scuola. Poi c’è stata l’interruzione nel giugno del ’44 quando mi avevano chiamato per andare a fare lavori agricoli leggeri in Germania. Per cui sono rimasto da quel momento senza tessera, senza niente, ero un isolato, un disertore praticamente perché non mi ero presentato alle armi. E c’era il pericolo effettivamente che se per caso avessero beccato un qualche volantino contro il Fascismo c’era la galera, tant’è vero che un mio compagno di scuola, delle elementari questo di Sesto San Giovanni, Renzo Del Riccio è stato fucilato nell’agosto del 1943, fucilato in Piazzale Loreto, perché Loreto è diventato così famoso in seguito prima di questo omicidio, di questo fatto eh [pause]. Dunque della Svizzera ho già raccontato mi sembra, no.
EP: Ci racconti ancora, ci racconti meglio.
GD: Ho tentato di entrare, ah sì, ero entrato già in Svizzera attraverso il valico ferrovie dello stato sceso a Bienzone un paesino che c’è in Valtellina ho valicato questo pezzo di non dico di Alpi, di montagne, sono arrivato nel, in Svizzera e mi ha colpito molto avendo qui abituati agli oscuramenti a vedere questa vallata tutta illuminata proprio mi ha colpito in un modo terribile perché di la non c’era la guerra di conseguenza bisognava tutto. Dopo due giorni ci hanno rimandato indietro perché non potevamo. Comunque con noi c’era una famiglia, una piccola famiglia costituita da padre, madre e questo bimbetto, si sono fatti cura gli svizzeri di telefonare a Zurigo dove viveva questa nonna, l’hann chiamata e hanno preso il bambino praticamente è rimasta la bambina. Di cinque persone, beh tre sono rimaste, due prigionieri russi che erano con noi, il bambino e noi due invece, noi tre siamo venuti indietro. Io ho potuto riprendere la scuola, mi ero rivolto al presidente, al preside della scuola, ho detto, guardi che io sono nato a febbraio però se lei mi fa un documento come risulta dalla carta da me falsificata, è stato molto gentile tra l’altro, è stato molto comprensivo, e ho potuto finire la scuola. In quel periodo mi ricordo che erano venuti anche a fare propaganda, addirittura c’era uno, me lo ricordo come se fosse ieri, piccoletto, grassoccio con i baffettini, che faceva propaganda per le SS italiane, pensate un po’ che roba. Perché purtroppo in Italia in quel momento lì c’erano quelli che andavano alle SS, quelli che andavano alla Muti, quelli che andavano alla Resiga, insomma [pause] e in questo frangente mi ricordo che.
Unknown person: Scusi, io vado signor Guido, ci vediamo dopo. La chiave è lì al solito posto.
GD: Va bene, grazie ciao. Scusate che mi fermo ogni tanto perché devo fare un po’ mente locale.
EP: Ci mancherebbe altro.
GD: Sono passati troppi anni. E poi, dunque, un momentino, quando ho detto che ho lavorato per due o tre anni in un impresa di costruzioni a Sesto San Giovanni poi mi sono fatto la domanda all’ENI. Combinazione stavano facendo un pezzo di gasdotto e io ho spostato dei materiali di che [unclear] da parte voi ma esistono su alla SNAM, la SNAM non si sapeva cos’era di preciso e allora cosa ho fatto ho presentato domanda in Corso Venezia 16 e mi hanno assunto. Andavano a vedere però se una persona era a posto, se era idee politiche o altro, questo lo guardavano eh, il servizio del personale della SNAM. Poi, non so, l’ho già detto, sono stato all’AGIP mineraria in via Gabba, poi via Gabba siamo, tornati, andati tutti a San Donato Milanese quando San Donato Milanese è diventato grosso quartiere non solamente residenziale ma anche di uffici, hanno fatto il primo palazzo uffici, secondo palazzo uffici, vabbè insomma sono arrivato là. Io sono andato in pensione nel milenovecento, cento, sai che non lo ricordo, beh trentacinque anni dopo, dal ’50 all’86.
EP: Vorrei riportarla al periodo appunto dello scoppio della guerra.
GD: Sì.
EP: Innanzitutto volevo capire meglio la sua famiglia, se era figlio unico, se ha altri fratelli.
GD: Sì, figlio unico.
EP: E in famiglia, l’avvento della guerra com’è stato vissuto, ne avete parlato a casa, come, come è stato vissuto?
GD: Mah, cosa vuole, allora non si poteva parlarne a casa, perché eravamo un po’ inquadrati tutti quanti, no. Beh, io sono stato Balilla, sono stato Avanguardista, tutte queste, marinaretto anche a Milano va bene comunque [laughs] e abbiamo seguito questo però Mussolini era un grande uomo finché è venuto fuori tutte le magagne che sono venute fuori. No, io ricordo per esempio che il primo, nel giugno, non so esattamente se il trenta quando, il primo allarme d’aereo ecco, il primo allarme è stato una cosa scioccante mi ricordo dormivo e c’era mia mamma che veniva a scrollarmi ero in sonno profondo, ero giovane e dice ‘Guido guarda che c’è il bombardamento, c’era l’allarme allora abbiamo incominciato ad assuefarci agli allarmi aerei c’era la prima sirena, la seconda sirena, il pericolo grave, il pericolo non grave, c’era tutto un sistema. Milano, ecco questo, era circondata da batterie di contraerea. Erano cannoni che ci hanno forniti i tedeschi perché anche noi [unclear] andavamo a prendere le inferriate delle case, come a casa mia per fonderli e fare l’acciaio, figurati un po’ che l’autarchia . E quando venivano gli aerei entravano in funzione le batterie e sparavano, sparavano non si sa. Sembrerà che ci fossero anche i tedeschi a aiutarci a usare le batterie. Ho saputo poi che gli aerei, i cannoni arrivavano fino a ottomila metri d’altezza e gli aerei cosa facevano, stavano su una quota superiore per cui non si prendevano mai. Infatti in tutto il periodo di guerra mi sembra che Milano abbia abbattuto tre aerei, tre aerei, pensate un po’. Quando, quando è arrivato, quando sono arrivati dal, sempre dal sud arrivavano, a bombardare Precotto, eh quello me lo ricordo bene, i bombardamenti di Precotto, eravamo io e mio padre sul terrazzo di casa, un po’ incoscienti vediamo cosa c’è, abbiamo visto in cielo un gruppo di aerei ma erano parecchi eh sembrava che, da sotto sparavano ma, mah, dico chissà cosa sono poi abbiamo sentito come il sibilo delle bombe che scendevano e le esplosioni perché per la prima bomba che noi abbiamo scoperto qui da noi era a chilometri di distanza davanti alla chiesa di Precotto era scoppiata la prima bomba. Eh niente c’era un tram, mi ricordo, un convoglio tramviario che era stato bloccato perché c’era l’allarme ma non solo ma perché era stata bombardata la strada. Allora cosa ho fatto io, come mia madre era andata non so per quale motivi in comune, allora io parto alla ricerca di mia madre, speriamo che non sia su questo tram che è stato colpito. E sono arrivato fino a Porta Venezia. A Porta Venezia c’erano ancora le, i baracconi delle fiere lì, tiro a segno, altre giostre, ed era lì che c’erano tutti, guardate cosa è successo, a due chilometri di distanza è stato un bombardamento orca miseria lo sapevo io portavano adesso con i telefonini si sa tutto quanto ma allora e dico guardate che è successo sta roba ma no e dico purtroppo è così allora a piedi torno poi mia madre era riuscita a venire a casa da sola, siamo venuti con dei miei amici siamo venuti a piedi. Ecco un’altra cosa per esempio quando c’era l’allarme a scuola maggior parte cercava di fuggire, di non andare nei rifugi [unclear] per venire a casa, perche’ insomma e facevamo a piedi dal Carlo Cattaneo, Piazza Vetra fino qui a casa. Quando si arrivava a casa arrivava, finiva l’allarme e arrivava il tram, questo è un particolare. Serviva a noi per fare un po’ di ginnastica. Ecco. Vabbè
PD: Permesso, buongiorno
EP: Buongiorno.
GD: Patrizia, Ciao, Patrizia. Mia figlia.
PD: Buongiorno.
EP: Piacere. Possiamo riprendere?
GD: Sì, se volete possiamo parlare anche semplicemente di fatti politici. Perché prima abbiamo parlato, no del momento la caduta di Mussolini è stata il 25 aprile del ’43 e anche lì sfogo della gente perché insomma. E mi ricordo a Porta Venezia c’era ancora uno con i fascetti lì [laughs] ma scusi ma cosa sta facendo lei e gli dico guardi che non c’è più Mussolini dovrebbe averli al contrario [laughs] quello si è preso, è scappato via di volata, vabbè. Ecco invece nel bombardamento di Precotto cosa visto una cosa gravissima, sembra che sia stato un errore logistico cioè anziché prendere le ferrovie dello stato hanno preso il Viale Monza e purtroppo ci sono stati duecento e rotti morti al Gorla. A Precotto invece è stata colpita anche lì la scuola di Precotto infatti c’è ancora la foto, l’ho fatta fare io quella targa ‘scuola bombardata il 20 ottobre del 1944’. I bambini che mi dispiace perché avrei detto a un mio amico se vuoi venire lì per l’intervista era un bambino d’allora [unclear] però insomma fatto sta che grazie alla partecipazione di questo Don Carlo Porro si chiama questo, è intervenuto e altri cittadini che erano li, avevano aiutato hanno passato l’inferriata della cantina e hanno fatto uscire tutti i bambini. Come sono usciti i bambini, è crollato il rifugio antiaereo, che poi momento rifugio antiaereo per modo di dire perché cos’erano delle travi di legno con dei puntelli sotto, no, non c’era niente di particolare. E tant’è vero che Don Carlo Porro è stato insignito della medaglia d’oro al valore civile. Ecco poi andando avanti nel, in questo percorso che facevamo, mi ha colpito una ragazza giovane stesa sul marciapiede. Come pure anche un cavallo, pensate un po’ che roba, quel cavallo ce lo siamo ripresi, ripresi io e un altro mio amico che combinazione era di guardia alla stazione di Greco e dice ma ti ricordi eh? Mi ricordo quel cavallo, poveretto, era squarciato, tant’è vero che l’hanno accoppato subito, per non farlo soffrire [pause]. Ecco, il Viale Monza era, era come, vediamo, può girare la pagina c’era in fondo, ecco Viale Monza era così, ecco linea tramviaria, il percorso andata e ritorno e gli alberi. Era uno spettacolo, in estate sembrava di entrare quasi in una cosa, nell’aria condizionata perché questi rami che si riunivano in cima perché erano alberi molto alti quelli che poi fra l’altro gli alberi sono stati rubati [emphasis] in tempo di guerra perché non c’era niente. Non c’era carbone, non c’era niente. Ogni tanto si prendevano la fune, sotto con l’accetta, rompevano e facevano cadere l’albero e poi saltavano addosso come tanti topi a rosicchiare [laughs]. Insomma allora non c’era proprio più niente.
EP: Mi racconti un po’ meglio com’era il quartiere, com’era organizzato, come conducevate la vostra vita di ragazzi a quell’epoca.
GD: Allora questa zona qui di Milano, da Precotto arrivava fino a Sesto, era tutti terreni agricoli. I terreni agricoli venivano coltivati da dei contadini che risiedevano a Precotto [unclear] perché c’erano delle famiglie intere che venivano qui al mattino, i cascinotti , venivano a lasciare gli animali, facevano i loro lavori e poi alla sera ripartivano questo su con il cavallo, con le cariole perché c’è sempre un chilometro di percorso eh da qui a Precotto. I terreni erano coltivati dunque innanzitutto c’erano i bachi da seta perché ciascuna famiglia aveva un po’ il reparto apposta per i bachi da seta che rendevano qualche cosa, li portavano a Monza dove c’era il, come si chiama lì, il ricupero dei bachi da seta perché il baco da seta era un insetto un po’ schifosetto ma però eh era produttivo eh difatti in Cina per esempio la seta che ha uno sviluppo mica da ridere. Poi l’altra parte dei terreni erano coltivati a verdure. Infatti mi ricordo che c’erano gli asparagi, addirittura, insalate varie e il venerdì sera venivano raccolte questa frutta nei cesti, venivano lavati nei fossi che erano abbastanza fornito bene perché era l’acqua del Villoresi, sai, il Villoresi che usciva da Sesto e veniva qui da noi, si dischiudeva fino a Precotto. Venivano lavate le verdure e venivano portati il sabato mattina al mercato di via Benedetto Marcello, Via Benedetto Marcelo è abbastanza vicino a noi, e allora col carro portavano e vendevano i loro ortaggi e poi rientravano la sera, era una giornata abbastanza. Poi, momentino, poi molta gente invece lavorava negli stabilimenti che sono qua nei dintorni, tant’è vero che la fermata che c’era qui da noi in fondo alla nostra via la chiamavano l’agraria perche la Breda faceva macchine agricole ai tempi, poi si è messa a fare i cannoni, le macchine per, immagina l’agraria. Per cui tra le varie fermate c’era Sesto San Giovanni, agraria, Villanuova, che era a metà strada, e Precotto. Poi nel, quando hanno cominciato i lavori della metropolitana, ecco questo è un altro particolare, quando hanno iniziato i lavori della metropolitana, che qui in fondo c’era la rimessa della metropolitana, hanno scoperto ancora un paio di bombe che erano inesplose e c’era un maresciallo Bizzarri che si chiamava del genio militare, che era comandato qui a Milano, io l’ho visto personalmente proprio, veniva con una sua camionetta di carabinieri, scendeva con la sua chiave inglese, col petrolio perché lubrificava la parte filacciata, si metteva a cavallo e con la chiave inglese girava, un lavoro pericolosissimo. Non so quante bombe ha disinnescato, probabilmente lo troverete da qualche parte questo maresciallo Bizzarri perché è un personaggio troppo importante. E finiva il suo lavoro e senza prendere nessuna precauzione. Noi eravamo ragazzotti ancora e quella volta lì che era venuto eravamo tutti in giro a vedere. Imprudenza, eh, perchè successivamente i lavori che hanno fatto successivamente di disinnesco, adesso chilometri e chilometri li lasciavano completamente liberi eh. Era pericolo.
EP: E il gruppo di voi ragazzi, eravate compagni di scuola dell’istituto geometri e ragionieri?
GD: Beh qualcuno sì. Sì ma erano gli operai figli di contadini no. A parte che noi eravamo in quattro gatti erano pochi bambini qua, a Percotto c’erano, qui da noi. Le palazzine erano state costruite nel ’28, ’29, ’30 per cui non c’erano grandi famiglie. Ecco stavo dicendo che hanno sviluppato, dai terreni agricoli sono diventati, io ho una cartolina tanto che tu lo scriva, hanno lottizzato e fatto dei terreni fabbricabili tant’è vero che su una cartolina c’è scritto ‘acqua, luce, gas e il tram ogni mezz’ora’. [laughs] Questa, la pubblicità di questa cartolina probabilmente c’è anche sul. Ecco, non, altro non. Ah momento, ecco si’.I ragazzi cosa facevano, andavano al naviglio a fare il bagno ecco, il naviglio era diventato una piscina . Oppure peggio ancora e pericoloso le cave, la cava di Precotto, la cava di Crescenzago venivano utilizzate dai ragazzi, da me in particolare, a fare il bagno ed era pericolo perché l’acqua fredda poteva anche creare qualche malessere, ah. Oppure si andava al Villoresi, ma il Villoresi era molto pericoloso perché aveva una velocità d’acqua abbastanza veloce, il Villoresi. Vediamo se c’è ancora qualcos’altro che, ah ecco. Più che i bombardamenti erano i mitragliamenti. Quasi tutti i giorni dalla fine del ’44 all’inizio del ’45 arrivavano due o tre cacciabombardieri da sud, io li vedevo da casa mia, viravano all’altezza dei campi qui di Precotto e si dirigevano verso le Ferrovie dello Stato e mitragliavano, probabilmente su segnalazione del controspionaggio che c’era. E si direbbe i due piloti, guardi era una cosa incredibile, li vedevi che scendevano d’altra parte non c’era più contraerea, quelli venivano giù tranquillamente e mitragliavano ed ogni tanto si sentivano sbuffare il vapore perche’ le caldaie perforate fatti per dire [unclear], ma guarda un po’, tant’è vero che poi sono stati, della resistenza sono stati fucilati tre ferrovieri che facevano parte dei comitati antifascisti.
EP: E durante i mitragliamenti, voi ragazzi cercavate di stare a guardare o vi mettevate al riparo?
GD: No, ma io e mio padre eravamo un po’ incoscienti restavamo sul terrazzo del, perché li vedevamo [unclear] e poi giravano, perché era un percorso fisso non c’era ecco un momentino il Viale Monza tra l’altro era sbarrato, era chiuso da due muraglioni, uno sulla destra, uno sulla sinistra in modo che i metri che dovevano fare, a parte che c’erano pochi metri, dovevano fare questa esse, questo percorso forzato e lì era di sentinella, c’erano dei militari prevalentemente fascisti erano questi e mi ricordo che una volta mi sembra che su quel, su questo qui c’è scritto, era il due o tre gennaio del ’45, credo, si son messi hann visto che arrivavano questi aerei così bassi, si sono messi di sotto a sparargli sopra quelli cosa hanno fatto? Hanno virato ancora e hanno cominciato a mitragliare Viale Monza, la guerra italiana, ah povero. E il 25 aprile poi è stato l’esplosione finale che è la caccia. Ma io ricordo per esempio che i tedeschi avevano tentato, non si sono arresi ai partigiani e hanno tentato di sfondare verso la Svizzera e infatti su Viale Monza vedevo [unclear] un sacco di mezzi dei tedeschi che andavano poi a un certo momentino hanno fatto marcia indietro e son tornati e sono andati in Piazzale Fiume dove c’era la sede principale della Wehrmacht. Ecco un altro particolare per esempio. In tempo di guerra tutte le filovie di Milano erano sparite, erano state depositate al parco di Monza su dei mattoni, su dei supporti perché le gomme le hanno portate via i tedeschi. Pensate un po’ la guerra cosa faceva. Andavamo a rubare, andavano a rubare le ruote delle filovie di Milano per usarle su. Ah rubavano anche le biciclette i tedeschi, eh, intendiamoci. Ultimamente erano abbastanza accaniti contro di noi. Forse avevano anche ragione perché noi li abbiamo traditi eh, i Tedeschi, proprio uguale..
EP: Io vorrei tornare un momento alla, a quando eravate a scuola. Prima accennava al fatto che arrivavano a fare propaganda a scuola.
GD: Sì, sì sì.
EP:Con che modalità cercavano di, insomma ?
GD: Ma io mi ricordo nell’atrio dove ci sono la tromba delle scale no, e c’era lì questo tizio qui vestito da SS. ‘Eh ma dovete se volete partecipare, ah no, volontari vi trattiamo bene’ ci lusingavano un po’ sul mangiare perché c’era poco da mangiare allora e mi ricordo che a un certo momentino nel pieno di questa propaganda qualcuno dall’ultimo piano ha buttato giù volantini antifascisti oh [laughs] lo spaghetto, lo spavento generale e quello si è trovato completamente spiazzato eh, stava facendo propaganda per andare eh, e hanno buttato giù i manifesti. C’è stato indubbiamente qualche testa calda perché il capo era pericoloso eh. Ah poi gli americani dicevano ‘noi bombardiamo perché voi italiani vi dovete ribellare ai tedeschi’ ma come si faceva a ribellare. Chi si faceva. Non avevamo nessuna arma. Mah! E poi quando c’è stato il 25 aprile c’erano, andavano a cercare di prendere beh hanno fermato anche i grossi gerarchi sul ponte di Orla adesso non mi ricordo i nomi quali erano che poi la maggior parte sono stati poi fucilati, eh. Beh, sul Lago Maggiore per esempio, la, credo che sia la famiglia Petacci mi sembra che li abbiano fucilati si buttavano nel lago e venivano presi di mira. E insomma, cose tremende. Eh, insomma. Comunque per carità la guerra.
EP: Quando è scoppiata la guerra, qual’è stato il più grande cambiamento che lei ha potuto vedere, cioè dal momento in cui appunto si discuteva di intervento, non intervento, cosa fare, c’era dibattito all’interno, tra di voi ragazzi magari?
GD: No, non c’era nessun dibattito il 10 giugno del ’40. Non c’era, eravamo tutti inquadrati. Successivamente, allora, sentivamo Radio Londra, sentivamo la Svizzera, quelli si sentiva. Io avevo una piccolo radio a galena che allora e sentivo appunto questi giornali radio che arrivavano dall’estero. Faceva anche piacere sentirli, perché speriamo che finisca [pause]. Mah!
EP: E nel ’44, quando c’è stata appunto la chiamata che c’accennava prima,
GD: Sì.
EP: cosa è successo alla classe, ai compagni di classe?
GD: Eh non lo so perché io poi ho ripreso andare a scuola nel, alla fine di ottobre, ho saltato qualche mese o due mesi. Quando sono andato dal preside che mi sono presentato il quale così così poi mi ha lasciato questa carta bollata e sono riuscito ad entrare. E niente, ci siamo visti, eh allora come va. Come quando per esempio adesso non ricordo esattamente l’anno, c’è stata la campagna contro gli ebrei, ecco. Diceva, ‘allora quest’anno, guardate che il compagno Finzi, il compagno Coen’, nomi tutti ebrei, ‘non saranno più in classe con voi perche sono stati dirottati verso la scuola’. Era una scuola verso il centro di Milano e sapevamo che erano stati invece portati, non portati via ma comunque ma facevano parte di questo gruppo di persone che erano malviste dal fascismo. Anche lì. [pause] Ecco quello che mi ricordo che qualche anno dopo, magari una decina d’anni, sono andato a vedere i miei compagni di scuola quali proprio avevo perso di vista e ho visto che la maggior parte, laureati tra l’altro eh, professor Coen, la Finzi, erano diventate delle personalità perché indubbiamente la cultura di quei ragazzi lì era molto superiore alla nostra, noi eravamo più bambocci.
EP: E sulle leggi razziali, appunto, si diceva qualcosa tra compagni, vi chiedevate che cosa stesse succedendo?
GD: Appunto non sapevamo per casa, non sapevamo che Finzi era ebreo, che Coen era ebreo, non lo sapevamo. Poi dai registri segnati si sapeva che, ma indubbiamente influiva negativamente su di noi ma per quale motivo, se c’era un motivo, uno non si rendeva conto per quale motivo veniva ritirato dalla scuola e portato da un’altra parte. Non è che ti dicessero ‘guardate, li portiamo là perché adesso sono ebrei, sono di religione contraria dalla nostra’. Tant’è vero che bisognava essere, non mi ricordo, si, ariani credo, no, infatti sui nostri documenti ti scrivevano addirittura ‘razza ariana’ [pause]. Che brutte cose.
EP: Riguardo ai rifugi antiaerei
GD [laughs]
EP: [laughs] lei ha avuto esperienza di immagino?
GD: Io ho avuto l’esperienza di Precotto, quando è stata bombardata la scuola. Il rifugio era fatti di puntelli di legno, poi al massimo c’erano delle travi che venivano con dei cunei, rinforzati. Però si direttamente com era successo a Gorla, non servono a niente. C’era qualche rifugio in fondo Via Brera poi lo stavano costruendo, ma è finito la guerra e il rifugio è rimasto ancora lì. Tant’è vero che è stato riutilizzato il ricovero da un mio amico architetto, il quale anzi l’ha comprato e li vendevano gratis e quasi perchè a lungo andare un blocco di cemento non so, due, tre metri di spessore, allora cosa ha fatto quello ha costruito sopra, così maggiore sicurezza [laughs]. Tant’è vero che c’è stata dopo un esplosione in quella casa perché c’era un tizio che caricava gli accendini nel sottoscala, è stata un esplosione, e la casa è rimasta su, fortunatamente. Per esempio anche, al centro di Milano, in Piazza, rifugio di Piazza del Duomo di Milano è stato costruito dalle imprese Morganti, le imprese che ci sono qua dietro, ma probabilmente non è neanche riuscito ad entrare in funzione, credo, bisogna andare a verificare le date. Perché siamo entrati impreparati, inutile fare tante storie. Lo stabilimento c’è la fatto c’è un rifugio anche quello qua dietro in Via Adriano esiste una specie di siluro che scende dove è stata fatta la Esselunga, ecco quello lì è un rifugio antiaereo. Allora devo dire adesso, figuriamoci. Ah sì, il proprietario lì è morto qualche anno fa mi sembra, l’ha tenuto come emblema della sua vita. Per cui non eravamo assolutamente preparati. [pause] Poi la pericolosità dei rifugi antiaerei perché se non c’era lo sbarramento, lo spostamento d’aria fanno crepare tutti quanti che sono dentro, eh. I muri molto sostenuti erano quelli della stazione centrale, perche lì indubbiamente ci sono i muri che sono. [pause] Insomma.
EP: E dentro i rifugi cosa facevate?
GD: Ah niente, c’è chi pregava, chi stava seduto, si portava le candele perché il giorno che manca l’energia elettrica o come frequentemente succedeva [pause]. Non so se c’è qualche altro episodio da raccontare, mah.
EP: Avevate paura?
GD: Eh beh certo ah.
EP: Come facevate per cercare di scongiurare la paura?
GD: Ma io ricordo per esempio che c’erano tutti i campi, come ho detto prima. Gli stessi operai della Marelli quando succedeva l’allarme correvano tutti nei campi si rifugiavano dentro i fossi che asciutti, no. C’era proprio la. Insomma siamo entrati in guerra impreparati [emphasis]. Sì però non vuol dire niente, anche se fossimo stati preparati la guerra è sempre una cosa che [pause] Ha annotato qualcos’altro?
EP: Volevo chiederle se la sua famiglia è stata coinvolta in qualche modo nella guerra. Se ha avuto dei parenti che sono partiti per il fronte.
GD: Beh, Qualcuno sì.
EP: Com’era vissuto in famiglia questo distacco?
GD: Non era qui, perche io sono, mio madre e mio padre, mio padre era di Milano, mia mamma di Agnadello, un paesino vicino appena fuori ,già in provincia di Cremona comunque, dove tra l’altro era la nostra cappella quando saremo morti andremo tutti li. Ma lì avevo avuto, mia mamma aveva avuto innanzitutto un fratello a ventun’anni è morto il giorno dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, pensate un po’ che roba. È morto all’ospedale di Chioggia, per ferite riportate. Poi c’era un altro parente che in Russia è sparito, un altro in Libia, anche lì avuto, tra dispersi e morti ce ne sono un po’ da tutte le parti. E poi ci sono quelli che sono morti in Germania, i deportati in Germania. Io avevo una signora, non so se la conosce, la signora Murri, l’avete conosciuta, perché questa signora racconta molto volentieri per quanto perché ha avuto il papà che è stato deportato in Germania ed è morto, è morto là. Deve sentire raccontare quando hanno, sono riusciti ad individuare il treno, i vagoni, perché i vagoni erano piombati, li inseguivano con questi vagoni non so fino a dove sono arrivati, e parlavano attraverso le pareti chiuse di questa gente. Questa è una cosa molto molto interessante. Tra l’altro lo racconta molto volentieri alle scuole, il suo passato molto molto duro. Abita qui vicino tra l’altro.
EP: E riguardo appunto la fine della guerra.
GD: Sì.
EP: Lei si ricorda quando è stato dato l’annuncio che la guerra stava finendo, era finita, che cosa aveva fatto voi?
GD: Eh, beh certo.
EP: Cosa avete fatto voi? Quali emozioni c’erano? Che tipo di reazione c’è stata?
GD: È stata un emozione generale perché la prima volta quando sembrava che l’8 settembre del ’43 fosse finita la guerra perché lì, si era sentito il marescaglio Badoglio, ‘le nostre truppe reagiranno da qualsiasi parte provenga’, ma cosa vuol dire, tu invece di, ti metti li a sparare ai tedeschi, a parte che un è atto non giusto tra l’altro e tutta la gente in mezzo alla strada è finita la guerra, ah bene l’abbiam preso con un sollievo enorme perché. La stessa impressione che ho avuto io quando sono andato in Svizzera a vedere i viali illuminati e qui invece invece l’oscuramento. C’era addirittura un aereo che lo chiamavano Pippo che di notte veniva a mitragliare o a lanciare le bombette le case che erano illuminate, pensate un po’ che roba. Ma non abbiamo mai saputo se erano italiani oppure no, probabilmente erano italiani. Pippo l’avete sentito nominare anche voi? [laughs] E c’erano i fabbricati, i capi fabbricato, ogni zona aveva il proprio capo fabbricato, il quale veniva a dire se il rifugio era a posto, cosa veniva, i rifugi a posto. Sì i puntelli, vabbè. Certo che se la bomba ti arriva lì dentro non c’era niente da fare, non c’era niente.
EP: E cosa pensavate voi ragazzi di chi stava bombardando, all’epoca?
GD: Quello che si pensava. Se eravamo a scuola, cercavamo di uscire senza andare nel rifugio della scuola e incamminarci a piedi per arrivare a casa. Si sentiva proprio il desiderio di raggiungere la propria casa. Perché la casa sembrava che, raggiungendo la casa, basta siamo a posto. Il senso della casa era incredibile [pause].
EP: E ripensare oggi a quegli eventi, ripensare a chi bombardava, alle, diciamo, vicessitudini politiche della guerra, che opinione ne ha adesso, a distanza di tempo?
GD: Sui delitti politici, dice?
EP: Sulla situazione che proprio era del periodo di guerra, di chi bombardava, che opinione le è rimasta?
GD: Ah, beh, certo ricordo per esempio tutte le case che venivano bombardate, c’era scritto no, ‘casa distrutta dagli anglo-assassini’, anglo-assassini proprio, ma a caratteri cubitali. E però siamo noi che li abbiamo provocati, eh. [pause] Poi le informazioni non è che giravano come adesso, adesso l’informazione se succede un fatto, , non so, Porta Ticinese, si sa subito, allora si sapeva, mah sembra che abbia fatto, aveva bombardato, non so, una certa zona di Milano. Comunque abbiamo fatto cinque anni infiniti, noi abbiamo passato la nostra gioventù in tempo di guerra. Tra l’altro bisognava stare attenti a chi uscire di sera, non si poteva, c’era il coprifuoco. Ci si muoveva tutto così di nascosto, io avevo un amico qui al confine con Sesto e uscivamo di sera di nascosto, cercando di non farsi vedere da nessuno perché c’era sempre il pericolo di trovarsi o arrestato o pigliare qualche pallottata, qualche pallottola di arma da fuoco. [pause] Qualche, io ho sentito qualche, avevamo un inquilino che era reduce dalla Russia, anche lì è stata una cosa tremenda, a piedi, non so quanti chilometri, facevano tra i tutti, tutti quanti cercavano di arrivare in Italia. Un’altra sensazione quando sono arrivati i prigionieri dalla Germania per esempio. Sono arrivati i prigionieri, [pause] la gente che non si sapeva, allora c’era la corrsispondenza erano distribuiti ai militari dicevano ‘oh è arrivata posta oggi’, tutto, la, cartoline no. E io mi ricordo la corrispondenza con mio cugino che era in Iugoslavia, ecco anche lì, che poi ti sparavano, anche di là ti sparavano, mo’ [pause]
EP: Va bene, Signor Dell’Era, io la ringrazio moltissimo del contributo.
GD: Se c’è ancora qualcos’altro ma non, penso proprio di no. [pause] Certo che a pensare la guerra è la cosa peggiore che possa mettere al mondo un uomo, un politico, oh, per carità, lasciamo stare. Ma il fascismo si era comportato bene fino alla fine della guerra. Noi eravamo inquadrati, facevamo i Balilla, facevamo gli Avanguardisti, facevamo, c’era disciplina, ordine, c’era amor di patria , tutto quanto, in apparenza almeno. [pause] Nella nostra zona abitava, ha abitato, oh madonna come si chiama quello lì, Bertinotti, abitava nella via vicino a noi, come si chiama. Poi c’è stato fino alla guerra, c’era Vanoni che era venuto qui a fare una visita a Precotto, non so per quale motivo e giocava, e ha giocato a carte, a carte che non si poteva neanche, in una osteria di Precotto, e lì è stato, non so forse l’ha preso Scala nel suo, ci deve essere, non avevo Vanoni, che gioca a carte, che non si poteva. Invece, Io invece ero a scuola invece con Cossutta, ecco anche lì la [unclear] della gente. Cossutta era un fascistello eh. Quando andava a scuola allo Zucchi di Monza, teneva concerto, teneva il filo lui, ah che, aveva gli stivaletti scuri, perché faceva parte dei piccoli gerarchi fascisti. Poi cos’ha fatto, ribaltato, è diventato il più grande comunista d’italia, anche lì. E’ morto poco tempo fa. La metamorfosi della gente. I politici fanno presto a cambiare idea, eh, e’ difficile che siano coerenti tra di loro.
Allora di questo libro qui posso darglielo, va bene? Questo è importante. Qui c’è tutto eh, c’è scritto tutto di equipaggi, tipo di aereo, la formazione, la provenienza, per cui.
EP: Grazie mille.
GD: Niente.
EP: Grazie dei preziosi materiali e della sua testimonianza.
GD: Eh no, se posso essere utile, qualcosa.
EP: Lo sa. Grazie.
GD: Niente, di niente.

Citation

Erica Picco, “Interview with Guido Dell’Era,” IBCC Digital Archive, accessed April 26, 2024, https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/collections/document/528.

Item Relations

This item has no relations.