Interview with Tito Samorè

Title

Interview with Tito Samorè

Description

Tito Samorè recollects wartime memories in Milan, when he was a member of the Balilla youth organisation. Remembers the outbreak of war and its announcement on the radio. Describes the first bombing of Milan in 1940, stressing how the wooden pannelled attics made it easy for the incendiaries to burn the building. Recollects his fathers attempts to avoid skilled workers being deported to Germany and reminisces on various episodes: food shortages, ration cards, shoot-outs in the streets, strafing of tramways. Describes different kinds of shelters and remembers his evacuee life at Santa Margherita Ligure where he witnessed the sinking of a destroyer. Recollects how he was left maimed for rest of the life after a failed attempt to disassemble a gun shell on 27 February 1944.

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Date

2018-02-06

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01:30:54 audio recording

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Contributor

Identifier

ASamoreT180206
PSamoreT1801

Transcription

ZG: Allora, l’intervista è condotta per l’International Bomber Command Centre. L’intervistatore è Zeno Gaiaschi. L’intervistato è Tito Samorè. Nella stanza è presente Francesco Samorè, il figlio. L’intervista ha luogo a Milano in [omitted] ed è il 6 febbraio 2018. Possiamo iniziare. Quindi, signor Tito, come prima cosa io le chiedo, qual’è il ricordo più vecchio che ha?
TS: Dunque, il ricordo più vecchio, di prima della guerra o durante la guerra?
ZG: Di prima della guerra.
TS: Di prima della guerra. Facevo tiratore scelto con i Balilla [laughs] che eravamo dieci in tutta Italia che ci portavamo a tirare a segno con carabine da tiro a segno e facevamo le gare di tiro a segno. Eravamo bravi, ci mandavano in giro a fare vedere che i Balilla erano bravi, sapevano sparare bene, ecco e via, però . Continuato, diciamo poi anche a nel futuro, nel passato diciamo continuato a tirare, a fare tiro a segno fino a quando mi ha detto: ‘No, non si può perché dovresti passare la nazionale in piedi e io sono un monocolo perché ho perso, durante la guerra ho perso una parte [laughs] e quindi quella lì già una seconda parte e poi si andava a scuola quel giorno, il primo giorno che è stato fatto il bombardamento del primo aprile, no, del giugno mi sembra del ’40, primo bombardamento di Milano, eravamo, era un pomeriggio tra parentesi di solito qui mettono turni invece siamo, siamo nel pomeriggio del, di quel, del primo bombardamento del ’40, del giugno del ’40 era, 16 giugno o il 19, eravamo per strada per Milano con mia madre e noi siamo cinque fratelli però eravamo solo i due maggiori andavano a spasso, gli altri erano ancora da venire certi e quindi. Ed eravamo un giro a spasso per Milano, Via Dante per la precisione, e quando a un certo punto abbiamo sentito suonare l’allarme però la gente, al primo momento non, non pensava neanche che potessero bombardare se ne fregavano un pochettino e se ne sono accorti quando si sono visti il primo [mimics the sound of the artillery] dell’antiaerea, ha cominciato a sparare l’antiaerea e si sentono arrivare gli aerei e la gente ha cominciato a fuggire. Mia madre che era una tipa molto veloce, diciamo, tenendoci saldamente per le mani tutti e due, mio fratello maggiore c’ha ormai novant’anni, io ce ne ho un po’ di meno ma diciamo la gente si scappava, la gente che fuggiva e non si sa bene per dove perché si vedevano gli aerei che arrivavano però la gente fuggiva e mia madre ci ha preso per le mani e ci ha fatto entrare in un portone che si trovava e siamo stati lì ad aspettare e io e mio fratello che eravamo i curosi naturalmente come tutti i ragazzini su questa faccia della Terra e guardavamo, vedevamo gli aerei e vedevamo dagli aerei cadere i grappoli, cadere dei grappoli ma mia madre diceva: ‘Ricordate ragazzi, stanno bombardando’ di mamma, guarda se bombardano adesso sopra di noi le bombe andranno, saranno circa mille metri le bombe andranno giù a ottanta, cento, duecento di qua quindi [laughs] aspettiamo che, che poi sono passati questi qui e poi sono andati via, è stato un bombardamento veloce però c’erano anche i loro morti, le loro, la gente era terrorizzata per un momento poi passato diciamo il terrore praticamente era abbastanza calma, certo, c’era gente che piangeva perché pensava alla casa, pensava ai bambini, pensava robe del genere, non sapeva dove erano cadute le bombe, poi così il terrore delle case che erano in fiamme e quindi, e c’erano case in fiamme, c’erano danni ma a me personalmente non è che abbia fatto terrore, era un’esperienza [laughs] e basta ecco. Questo è il primo bombardamento e poi, poi, poi [laughs] e poi ne sono passati tantissimi altri però in teoria non è che ci facessa paura molto a Milano almeno che è una città un po’ stramba [laughs] non ha dato quel terrore che gli americani, gli inglesi pensavano, speravano che sostenesse e bombardavano il giorno dopo che eravamo già lì a ricostruire o tirare via le macerie in Italia sì, c’erano proprio dei cosi specializzati, andavano subito a controllare che lo stabile stesse ancora in piedi, fosse ben, sgombrarlo e lasciarlo cadere oppure farlo cadere giù del tutto quindi c’era molta roba che veniva tirata via dalle strade, le strade erano pulite e soprattutto anche poi per tirare fuori i morti se c’erano, per evitare infezioni eccetera. Milano era molto tranquilla sotto certo, non ci faceva piacere c’erano case che bruciavano roba del genere però non era piacevole tant’è vero che ad esempio la prima cosa che ha fatto mio padre senza avere ordini specifici perché non gli avevano dato ha detto. Dunque partiamo dal principio che le case di Milano sono fatte di mattoni e di cemento e sono tutte però in legno la parte interna perché i pavimenti non avevano le travi di cemento traverse, c’avevano le travi di legno con su il carnicciato di legno e poi il pavimento. I tetti erano in legno, coperti da tegole ma erano in legno. I solai di solito erano in legno. Quindi erano molto più facili da incendiare ma l’esterno del fabbricato era rimasto così. Uno che passa per Milano dice case vecchie, oh, che strano ma come fanno a essere ancora case vecchie, dicevano che Milano era stata distrutta parecchio. Ma, sì, è stata distrutta perché erano bruciate da questi spezzoni incendiari la casa gli spezzoni erano bruciati. Mio padre aveva fatto, aveva messo uno strato di un metro e mezzo di sabbia in solaio e quella c’ha salvata la casa perché dopo, dopo gli anni che abbiamo cominciato a tirar via quella roba lì per vedere che cosa facesse eccetera eccetera, visto che c’erano questi spezzoni che erano dei pezzi di quaranta centimetri circa dodici esagonali che non esplodevano all’interno, quando riuscivano, quando entravano si incendiavano ma non esplodevano era solo la parte fosforsa, al fosforo perché l’odore era quello, il che scioglieva e incendiava se c’erano dei, e salvato così dal, si infilava nella sabbia e la nostra casa [laughs] non era toccata ecco. Insomma [unclear] [laughs]
ZG: Le faccio subito una domanda ed era, i suoi genitori che lavoro facevano?
TS: I miei genitori, dunque mia madre era casalinga e mio padre era dirigente di una azienda del, di produzione di forni da gas per le, per i grandi città. Difatti poi i tedeschi era stata militarizzata e i tedeschi volevano parecchie cose e lui, grazie a una segretaria italo-tedesca, che doveva fare segretaria dei tedeschi che però era più dalla parte partigiana che dalla parte tedesca e ci dava, dava a mio padre quello che avrebbero chiesto a lui perché sapeva tutto quanto di, lei era segretaria anche stenografa e sapeva quello che dicevano questi qua insomma. E quando hanno fatto le liste dei, diciamo, di presa degli operai specializzati per spedirli in Germania e lui ha fatto una cosa molto semplice. Ha detto dunque quali sono gli operai specializzati? Sono questi qui, allora ha avvisato gli operai specializzati adesso quando dicendo, adesso quando c’è il prossimo bombardamento dunque cominciamo premettendo che tutte le robe che ci interessano a noi di materiale ecco speciale, non so, lo stagno, l’argento, quello, materiali che servivano per fare non solo le aziende del gas ma anche contatori, quelli elettrici eccetera, erano aziende che facevano tante cose non ne facevano due o tre e ha presso tutte queste robe per dire le abbiamo messe dentro, le abbiamo, le ha messe dentro dei capannoni e questi capannoni ha aspettato quando c’è stato un bombardamento e [mimics the sound of a dropping bomb] una bomba è caduta non sul capannone ma su un altro capannone che per fortuna era vuoto e, vuoto di gente, e invece gli altri capannoni hann fatto [makes a booming noise] bella carica di dinamite al posto giusto e ha fatto crollare tutto. Il materiale buono era sotto in cantina, sopra c’era roba e in più c’hann messo dei poveretti che erano morti dopo il bombardamento, no, difatti li hanno sparsi un po’ qua, un po’ la e, irriconoscibili, e poi i, invece gli operai specializzati che avrebbero dovuto essere presi, li ha fatti andare via veloce perché diceva, prima di finire in Germania [unclear] se ritornate [laughs], smammate. Difatti poi dopo, subito dopo la guerra i sindacati, che allora c’erano i sindacati comandavano in quel momento, e l’avevano nominato direttore generale era quello che mandava avanti l’azienda ecco, poi dopo c’è stato qui tutto un insieme di cose.
ZG: Quindi la segretaria che parlava anche tedesco.
TS: La segretaria che parlava tedesco, parlava anche italiano perché naturalmente lei era un italo-tedesca, pardon, di madre credo, non ricordo più.
ZG: E quindi i tedeschi non sapevano che lei parlasse tedesco.
TS: I tedeschi sapevano che lei parlava tedesco perché [unclear] quindi lei aveva in materiale di discussione dei pezzi grossi tedeschi di Milano che sapeva tutto, diffusione, a tutti ma soltanto a quelli che poi dopo sapevano ma. Che poi lì era una cosa un po’ a parte però fa sempre parte della guerra e diciamo i tedeschi avevano dato a mio padre l’obbligo di costruire forni speciali per la distillazione degli alberi per fare benzina. Lì c’hanno impiegato un bel po’ di tempo a farlo, però a un certo punto a dovuto farla. Ha dovuto farla e questi qui sono andati, dovevano andare in Germania a presentare questa proposte dicevano disposizione di sì e poi tornare indietro. E con la macchina c’è andata anche la segretaria. So che, non si sa bene cosa sia successo, con precisione, a meno quanto diceva la segretaria, lei a un certo punto in un certo posto sapeva che c’era un passo di montagna che in un certo punto dietro una curva c’era un masso. Quando la macchina si è fermata, lei ha detto: ‘Ho bisogno urgente di fare la pipì’ [laughs]. E’ sparita. In quel momento sono arrivati degli aerei in picchiata che sapevano evidentemente l’ora, minuto e secondo di quel [unclear] e [makes a shooting sound] hanno spianato i tedeschi con macchine relative perché delle specie di bombe incendiarie di quelle un po’ e quindi tutti i disegni eccetera eccetera. La segretaria poi abbiamo saputo dopo che è passata direttamente tra i partigiani quindi [laughs]. Questa è una cosa che sapevano ben pochi tra parentesi [laughs]. Molto in pochi, soprattutto la faccenda dei, capannoni e della gente che era riuscita, è andata bene insomma. Certo, se lo beccavano [laughs].
ZG: E senta, appunto per questo posso chiederle qual’era il nome dell’azienda?
TS: Eh?
ZG: Il nome dell’azienda qual’era?
TS: La azienda era la Siri Chamont, [clears throat] scusate, la Siri Chamont, era un’azienda di origine francese, fatta da dei francesi, poi era però diretta da italiani ormai durante la guerra, poi siamo passati poi [unclear]
ZG: I capannoni si ricorda in che zona di Milano erano?
TS: Sì, in Via Savona, in fondo Via Savona 98 mi sembra [laughs] si perché sono passati un po’ di anni.
ZG: E senta a questo punto le faccio anche l’ultima domanda ed è, si ricorda per caso l’anno?
TS: L’anno?
ZG: Del bombamento dei capannoni.
TS: L’anno, aspetta un attimo, dunque l’anno era già, dunque nel ’43, deve essere luglio, bombardamento, dunque [mumbling/babbling] mitragliamenti, sempre nel ’43.
ZG: Va bene, non si preoccupi, non è fondamentale.
TS: [mumbling/babbling] era nel ’43, perché era già nel [unclear] solo che non mi ricordo se era nel ’43 o nel ’44, questo è il fatto perché.
ZG: Non si preoccupi, non è, non è necessario. E invece il nome di suo padre qual’era?
TS: Francesco. Francesco Samorè, ingegniere.
ZG: E per caso si ricorda anche il nome della segretaria?
TS: No, anche perché mio padre a un certo punto aveva anche un po’ paura di far sapere a tanti. Con noi, cioè ne aveva parlato praticamente dopo la guerra ma
ZG: Quindi lei ha saputo tutte queste cose finita la guerra.
TS: Finita la guerra, sì, sì, anche perché non potevano sapere, noi eravamo dei bambini, sai ne parli con un altro bambino il quale [unclear] bambino neanche [unclear], ciao.
ZG: Senta invece, tornando a prima della guerra, lei per caso si ricorda quando è scoppiata la guerra?
TS: Sì, sì, sì, sì, mi ricordo che c’è stato il famoso discorso del Duce che diceva appunto che avevano fatto la guerra eccetera eccetera e mio padre aveva già detto mi ricordo quello lì che aveva detto questa è una grande [unclear], potevamo farne anche a meno eravamo neutrali un pezzo per un pezzo siamo rimasti neutrali. L’Italia, l’Italia non ha partecipato subito alla guerra con i tedeschi perché i tedeschi hanno incominciato con la Polonia, non dicendo niente agli italiani. Tieni conto che nel periodo immediatamente prima della guerra i tedeschi volevano invadere l’Austria ma il presidente dell’Austria in quel momento era un socialista ed era un socialista giolittiano come mio padre. Non so perché anche Mussolini ha mandato due divisioni di alpini al confine con l’Austria in Austria, no, per difendere l’Austria dalla Germania. Quindi la cosa è stata stranissima perché Mussolini conosceva già Hitler. Hitler ha imparato da Mussolini malauguratamente. Solo che, non so se la gente lo sapesse questa faccenda perché sono stati mandati a proteggere l’Austria dall’invasione tedesca. Poi è morto il loro presidente e Hitler ha fatto i cavoli suoi, e ha occupato, fatto l’Anschluss, come dicono i tedeschi che [unclear] ecco. Poi cosa c’è d’altro.
ZG: Quindi.
TS: Scusa la voce.
ZG: Si sente benissimo.
TS: [unclear]
ZG: Quindi lei sentì il discorso di Mussolini?
TS: Il primo discorso sì, uno dei primi discorsi, quello precedente, poi quello dell’Etiopia, pi la cessione, la nomina del re Vittorio Emanuele III a imperatore dell’Etiopia, poi la conquista dell’Albania, perché è stata conquistata l’Albania molto prima della guerra e poi cosa mi ricordo? Ci sono state tante cose che, molte, io mi ricordavo che ero giovane mi piaceva, siccome mi piaceva tirare a segno veramente ci portavano al tiro a segno nazionale col fucile. Era una carabina fatta aposta a tiro, non erano moschettini che dicevano dei moschettini, no, no, era una signora carabina, meno pesante, il tiro era soltanto, venticinque metri circa, non era i cinquanta metri, cento metri però facevamo, eravamo in pochissimi [unclear], in tutta Italia eravamo dieci, neanche.
ZG: E quindi
TS: Anche quello c’è poca gente che lo sa [laughs]
ZG: E quindi questi discorsi qua li sentiva alla radio?
TS: Eh?
ZG: Questi discorsi qua li sentiva alla radio?
TS: Eh, c’era la radio, non c’era la televisione in quel periodo. Avevamo già una signora radio super, me la ricordo, una radio che era anche buona, si sentiva bene, si sentiva anche la radio britannica che faceva [mimics the opening of Beethoven’s symphony] facevano [mimics] voleva dire che era la trasmissione inglese per gli italiani, ecco.
ZG: Suo padre dopo lo scoppio della guerra, le ha mai parlato della guerra? Le ha mai detto qualcosa?
TS: Tante cose. Ci commentava ad esempio il fatto di certe, della guerra in Libia, che essendo entrata in guerra, l’Italia era legata poi a difendere la Libia e non ce la faceva. E difatti in pochissimo tempo c’avevano conquistato [unclear] che c’era una famosa canzone di gero bubbo me la ricordo alcuni pezzi [laughs]. Ah, posso dirtela? Dunque, ce n’era uno che colonnello, su questa rima, adesso canto male, colonnello, non voglio il pane, voglio sabbia per il mio sacchetto, poi c’erano tutte le cose, non voglio l’acqua, non la voglio, [unclear] e c’era questa diciamo canzone che l’avevano fatta perché Gera bubo era un posticino disperso in fondo alla Libia, gli inglesi lo potevano mangaire in due minuti e mezzo, non c’aveva niente, avevano fatto dei carri armati con i trattori con delle piastre d’acciaio e dei [unclear] che i carri armati normali erano delle schifezze pazzesche [laughs]. E poi c’erano tante di cose che, che sapevamo noi giovani perché io avevo mio fratello che aveva, che ha sei anni più di me e quindi aveva certe informazioni che io non avevo ancora. Però eravamo tutti e due appassionati dell’aviazione, del, sapevamo dei modellini, ci facevamo noi i modellini, sapevamo tutto, questo qui sono gli aerei tedeschi, le migliori ali tra parentesi. Dicevamo di bercero, diceva, degli inglesi, le migliori ali, no. E così degli inglesi eccetera non mi ricordo più che cosa diceva di male [laughs], non me lo ricordo più, però sapevamo che l’aereo così così era inglese, così così era tedesco, quindi avevamo già una certa conoscenza, è per quello che non avevamo avuto la paura dicendo a mia madre guarda che se li vediamo sulla testa vuol dire che sono già [unclear] le bombe [laughs] anche se non andavano a delle velocità pazzesche, andavano sì e no a seicento chilometri all’ora se c’arrivavano. Se c’arrivavano eh perché un bombardiere carico di allora più di quattrocento chilometri all’ora, ciccia [laughs].
ZG: Ehm.
TS: Tieni conto che l’Italia aveva vinto il campionato mondiale per l’idrovolanti, ce la faccia? Aveva vinto il campionato del mondo per gli idrovolanti quindi era una gara fatta anche con gli inglesi, americani eccetera eccetera. E avevamo fatto un idrovolante che credo che fosse già stato fatto dalla Macchi però i motori non mi ricordo di chi, se erano, non me lo ricordo, era un motore [unclear] in ogni caso avevamo già una forma molto affusolata, e il motore aveva l’elica, due eliche sulla stessa asse di cui una girava in un senso e un’altra in un’altra per evitare che l’aereo avesse, il movimento della coda tendesse a girarlo, ed è arrivato a settecento chilometri all’ora, è stato un record che è rimasto uguale, tutt’ora, perché per i motori a scoppio non sono mai riusciti ad arrivare [laughs] e poi dopo abbiamo fatto delle baracche perché in Italia siamo furbi, molto furbi, avevamo costruito, dunque avevamo costruito gli idrovolanti e poi avevamo costruito anche gli idrovolanti che lanciavano i siluri e potevano lanciare i siluri e poi hanno cessato la produzione e l’hann fatto gli inglesi in confronto. E c’hanno affondato a Taranto, no, a Taranto, sì, sì, ha Taranto hanno affondato la flotta italiana, una parte, con i loro, con i loro idrovolanti, questo, però esattamente se ti devo dire il giorno, l’ora, l’anno non me lo ricordo proprio però è stato uno dei primi [unclear], applicazioni di siluri sugli idrovolanti. Che l’hanno fatto gli inglesi però, non gli italiani, non avevano mandato avanti la cosa. L’abbiamo fatta dopo, come al solito. E così pure anche il radar. Marconi, quando aveva fatto la cosa, il radar l’aveva già fatto, ma non gli hanno dato retta. E’ andato a farlo poi in Inghilterra e in Inghilterra l’hanno fatto. Questo non lo so io se lo sapesse qualcuno ancora [laughs], c’è tanta roba che io so guarda che tu non hai. Perché eravamo interessatissimi io e mio fratello ci interessavamo molto delle armi, del tipo di arma, di quello che veniva fatto ad esempio quando c’è stata la cosa in Russia, a parte il fatto che mio padre ha detto: ‘Ma quello è scemo, come al solito’, ma questo è un altro discorso perché [unclear] mi raccomando [unclear] una cosa del genere [laughs] che hanno mandato gli alpini, li ha mandati con un’attrezzatura che quando ci sarà il gelo saranno dolori, infatti è successo ben così [laughs]. Questo è una poi ce ne sono ancora un po’ parecchie [laughs] c’ho un’enciclopedia ormai dentro di questa roba qui che fa paura quindi non saprei dirti tutto [laughs].
ZG: Ma, dov’è che vivevate? Con suo padre, con la sua famiglia, dove vivevate a Milano?
TS: Noi vivevamo prima a Milano poi siamo sfollati a Santa Margherita Ligure, poi [laughs], poi siamo tornati a Milano, nel ’41 circa eravamo a Milano, Milano in quel momento lì non hanno bombardato, che mi risulti non hanno mai bombardato nel ’41. Poi siamo stati per un pezzo del ’42 ancora a Milano, poi hanno incominciato dei bombardamenti un po’, po’ pesanti a Milano e allora siamo tornati a Santa Margherita. A Santa Margherita ci siamo andati all’inizio del ’43 [unclear] [laughs] e ce l’avevo scritto anche [unclear] non mi ricordo più. In ogni caso, [unclear], in ogni caso Santa Margherita nel ’43 ormai non c’erano ancora le, nel ’43 c’è stato poi l’armistizio, cosiddetto armistizio e guerra contro i tedeschi che è stato un casino perché lì hanno fatto la più grande vaccata che potesse essere fatta, sia dalla parte degli inglesi che dalla parte nostra perché gli inglesi hanno detto, molto prima di quello che doveva essere detto, che l’Italia era passata completamente all’Inghilterra e quindi tutti i soldati, tutta la gente, nessuno aveva ricevuto ordini specifici che bisognava sparare ai tedeschi, bisognava scappare, e i tedeschi hanno avuto piazza libera praticamente. E difatti tieni conto che ci hanno affondato la corazzata Roma, che era stata, era una corazzata che era una cosa fatta bene perché le navi erano fatte bene, non sono mai state usate perché l’Italia [unclear] [laughs] e la corazzata Roma gli sono arrivati i tedeschi sopra, loro non sapevano neanche se dovevano, se potevano sparare ai tedeschi o no, non si, non avevano neanche i [unclear], perché se avessero avuto il sentore di una cosa del genere, avessero cominciato a sparargli ai tedeschi coi mezzi che aveva già la corazzata Roma, non so se arrivavano a tirargli giù la bomba. E i tedeschi staccano prima la bomba col tele, comandata via cavo e guidata da un osservatore, difatti hanno tirato, praticamente non ha fatto [unclear], hanno fatto quasi così, [laughs] ed è entrata dentro in un camino della nave, che è la parte più delicata e hanno fatto un disastro perché pare che ci fosse la termite chissàdio che cosa era, l’ha tagliato in due [unclear].
ZG: Quando chiedevo prima a Milano, in che quartiere vivevate?
TS: In?
ZG: Che quartiere vivevate a Milano?
TS: Abbastanza vicino, qua, Via Etna, Via [laughs], Via Andrea Verga 4 che sarà cento metri, [unclear] duecento metri da qua insomma. [unclear] Via Andrea Verga 4 che è una strada che dopo ha avuto un, poco dopo durante la guerra ci avevano bruciato vicino a casa nostra [unclear], davanti a casa nostra due case, un cantiere di legno, roba del genere, che vendeva legni eccetera eccetera, e poi subito di fianco alla casa o quasi c’era la, una fabbrica che non mi ricordo più il nome, mi è scappato il nome, quello non c’è niente da fare, una fabbrica grossa che è stata incendiata completamente, altre case che sono state incendiate con, perché nessuno aveva fatto la fesseria, ha avuto l’idea di mio padre, di mettere la sabbia sul. Se tanti a Milano hanno messo per ordine tutti [unclear] così, gli inglesi sarebbero rimasti con le braghe di tela. Che sono rimasti ancora con le braghe di tela perché i tedeschi, gli inglesi speravano, bombardando Milano, le ultime bombardamenti gravi in, quelli di agosto e di coso del ’40, ah beh buonanotte, ’41, ’42, nel ’42, nel ’42 [laughs]. Questi bombardamenti qui che avevano fatto ultimi, dunque poi ce n’era uno che era stato fatto in agosto del ’43, il ’43 che quindi c’era già l’accordo tra italiani e inglesi. Perché sono venuti a bombardarci Milano? Ecco, questo perché gli inglesi c’avevano, insomma ce l’avevano su, perché è impossibile che loro sapessero che c’era l’armistizio in atto perché si sa che avevano mandato della gente italiana a parlare a Lisbona, o roba del genere, in Portogallo con inglesi per l’accordo di coso, si sapeva già che c’era già, perché hanno fatto un bombardamento di quel tipo lì che ha massacrato veramente Milano, sono stati più di quattrocento morti e passa eh. Ecco, gli inglesi pensavano di creare una nuova Dresda, a destra gli inglesi quando hanno bombardato coso, o gli americani, non lo so chi l’aveva fatto, avevano bombardato Dresda la quale ormai era costruita tutta in legno, quasi perché era una, un monumento nazionale. Aveva case ancora, in stile, in legno eccetera eccetera quindi quando gli sono arrivati questi qui poi è partita. Poi c’è stato vento eccetera eccetera, morale della favola hanno fatto il vortice di fuoco su a est, è riuscita a bruciate tutta Dresda. Un macello pazzesco, gente che moriva nel fosforo, lasciamo perdere [laughs]. Non tocca l’Italia in questo momento. Ma speravano di fare così anche a Milano. Milano s’è trovato el matun, scusa il termine, milanese, a Milano si è trovato il mattone e sì, e peccato che c’era dentro del legno. Tu vedevi le case di Milano intorno, vedevi le case ancora in piedi eccetera eccetera, guardavi dentro, vuoto completo [laughs].
ZG: E la scuola invece dove l’ha fatta?
TS: Ah, scuole, guarda, non, guardando bene dall’inizio della scuola, anzi non dall’inizio della scuola, dall’inizio della guerra in poi non ho mai fatto più di due mesi e mezzo in [unclear] perché [laughs] si passava da una parte all’altra, dall’altra, [laughs] e quindi il perito ma era dopo la guerra, quindi passato un po’ di tempo. E le medie le ho fatte che c’avevo tredici anni e le ho fatte in due tempi perché era nel ’45, una parte l’ho fatta, poi mio padre c’ha mandato, m’ha mandato a fare, trovare una persona fuori Milano e ho fatto da, da diciamo da privatista la terza, la seconda e la terza di coso perché la prima ero finito male perché mi era scoppiata una bomba vicino e mi ha dimezzato. Non si vede ma ci mancano vari pezzi [laughs], più l’occhio di vetro, un altro pezzo che, come si vede, c’è ancora qualche cosina, più schegge eccetera eccetera. Lì c’è stata una scena pazzesca in ospedale quando, sì, quando è successo questo, è successo così. Andiamo a finire chissà dove. Santa Maria Ligure è successo quersto numero qua. Tu tieni conto che a Santa Margherita Ligure c’erano nel porto due avvisi scorta che avevano delle specie di cacciatorpediniere che avevano ancora del petrolio nei serbatoi e di fianco c’era un avviso scorta come lo chiamavano che non era altro che una vecchia, una nave da trasporto armata con un cannoncino e delle mitragliere della Bred, qusto me lo ricordo perché erano mitragliere. Io, sai, allora noi sapevamo tutto, almeno io e mio fratello perché io c’avevo un fratello maggiore che si interessava di queste cose qui e io seguivo [mimics a dog’s panting] da bravo cagnolino dietro, no, e imparavo tutto anch’io. Il fatto è che in quel, quando è arrivato il non so, non mi ricordo più, il casino dell’8 settembre, 8 settembre del ’43, i due cacciabombardieri, caccia, le due navi veloci e armate, molto armate sono riuscite a scappare, l’altra non aveva gasolio per farla andare, e l’hanno affondata, autoaffondata ma aprendo le saracinesche, il terreno lì sono, il fondo di Santa Margherita non è enorme, tra il fondo e la barca ci sarà stato si e no due metri e mezzo, quindi quando questa è affondata, è affondata per due metri e mezzo e si è fermata lì. Dalla barca avevano buttato in mare a pezzi o interi, dei proiettili, c’erano dei proiettili grossi col relativo bossolo, sai che i proiettili c’è l’ogiva, il corpo del proiettile, poi c’è la parte di cartuccia che viene infilata nel cannone che insieme nei cannoni moderni era insieme ai, al proiettile, dentro, questo coso qua si smontava, tra parentesi se uno voleva smontarselo, se lo smontava infilandolo dentro [unclear] tira via [laughs] poi i bambini. Mettiamo le cose in chiaro, i bambini sono sempre [unclear], i bambini avevamo l’accortezza per prendere la bomba, non la bomba, l’esplosivo che c’è dentro, beh fa niente, mi è scappato di testa, lo scritto da qualche parte non me [unclear], la balistite, se tu la prendi all’aperto e l’accendi così, [unclear], non scoppia, ma se ti viene chiusa dentro a un proiettile, il colpo c’è e sì. Ora, ora tieni conto che c’erano questi proiettili buttati a mare. I ragazi prendevano dei secchi, buttavano in fondo, tiravano su, tiravi su un cannone, un cannone pochi, i colpi di cannone, c’erano una decina di colpi di cannone ma c’erano molti proiettili della mitragliera binata della Breda, posso dire anche il tipo, del diametro di venti millimetri, che erano delle cose alte dieci centimetri, un pochino di più forse, sì, sì vabbè, il proiettile era così, si smontava l’ogiva in alto, poi si tirava via la spoletta intermedia, poi con molta attenzione si faceva andare via la capsula di, fulminata di mercurio. [unclear] [laughs]. Scusa, mi viene da ridere quando. Ora, dopodiché c’era la polvere da sparo che era dentro nel proiettile, la tiravi via così, basta, poi montavi l’ogiva sopra, il proiettile era nuovo, solo che era vuoto, non faceva più niente. L’incoveniente è che c’era molta gente e molti giovani che lo facevano. Di solito erano ragazzi di diciassette, diciotto anni. E’ successo a me, a me particolarmente e a un altro amico, Un giorno di febbraio, il 27 febbraio del 1944, quindi un’anno dopo quasi che avevano affondato la nave. Alle dieci uscivamo dalla messa di Sant’Erasmo, ecco, Sant’Erasmo si chiamava, fino a stamattina non mi ricordavo più che si chiamava [laughs], dalla chiesa di Sant’Erasmo, da, di una chiesa che c’è nella parte del porto di Santa Margherita e noi siamo usciti dalla chiesa di Sant’Erasmo, ero io e questo ragazzo qua che era con me, e andiamo avanti pochi metri più in là e c’era un gruppetto di, mi sembra fossero tre, adesso non mi ricordo più bene, che stavano trafficando e questo amico che avevo con me conosceva questi qui e diceva: ‘Vieni a vedere questa roba qua’ [unclear]. Io vado, vedo che cosa c’hanno in mano e io non sapevo, conoscevo già quegli aggeggi, prendevamo in mano anche noi, non è che [laughs], t’ho detto, eravamo da prendere con le molle anche se c’avevo undici anni, e vedo che c’avevano questa roba qui che stavano smontando e avevano già svitato via l’ogiva, la parte di testa del coso. Io ho detto, ho vsito che facevano quel lavoro lì e ho detto al mio amico: ‘Ohè, questi qui vogliono saltare per aria, diam più in là’ e abbiamo cominciato ad allontanarci. Eravamo circa due o tre metri che forse, sì, tre metri, quasi quattro, mi volto così per vedere se c’erano robe che e malauguratamente vedo, proprio verso di me, che avevano già tirato via l’ogiva e stavano trafficando un qualche cosa che era il fulminante di mercurio. Il fulminante di mercurio è molto delicato [laughs] e questi qui hanno sbagliato qualche cosetta. Morale della favola, mentre mi giravo così ho visto, prima il buco nero e poi qualche secondo dopo la vampata, che mi sembrava verde. Che poi ho avuto i nodi col verde per un fracco di tempo [laughs]. E sono molto veloce di riflessi, ancora adesso e ho tirato su le mani per fortuna perché questo dito qui, come vedi, è partito e questo pezzo qua è ricresciuto. Un altro ne ricresceva così, quindi hanno dovuto tagliarla. Quell’altro ricresceva, è bruciarlo fino a quando e questo è uno. Poi c’è questa mano qui che sembra quasi intera, tieni conto che queste due qui servono così a farsi vedere, a rompere le scatole. La cicatrice parte da qua, non mi si vede più quasi perché mi spariscono le cicatrici come vedi. E’ entrata qui e ha portato via tutto un pezzo o quasi. Questo è uno più una quarantina di buchi [laughs]. Il fatto di avere alzato le mani m’ha salvato. Qui ha fatto questo, questo segno qui che però è un buco, molto più ampio della parte del vetro, della plastica, e un pezzo di faccia, compreso un pezzo di mascella. In più c’era questo [unclear] qui, probabilmente era dovuto all fatto della deviazione che questa mano qua frena il colpo, ha spaccato la mano però questo qui se l’è cavata per un pelo, le cicatrici erano nascoste [unclear] quasi, e sembra una ruga [laughs] non succede niente e poi questo qua che si vede. Che l’è minga troppo aposto [laughs], ecco. Naturalmente quando è successo, è successo che quelli che erano lì, poveretti, sì, li hanno portati all’ospedale ma non so se sono arrivati all’ospedale ecco. E il mio amico che era vicino era stato colpito all’arteria femorale della gamba destra e dopo un pochino hanno dovuto operarlo e tirar via la gamba perché era la cancrena, faceva fretta anche. Poi, ora che c’hanno caricato su una carrozza a cavalli, ci hanno portato dal porto all’ospedale che era in cima, su, dove c’è la stazione ferroviaria e sono, un percorso che fatto a piedi sarebbe [unclear], c’ha perso il suo tempo. Il sottoscritto c’aveva l’abitudine di non gridare di prendere le cose così come stavano arrivando, non ho perso conoscenza e non sono svenuto tutto il periodo. L’unica cosa che mi ricordo è che sono entro dentro a un barbiere che c’era di fronte a chiedere asciugamani per gli altri e questo barbiere me lo ricordo ogni volta, adesso è morto poveretto. Ogni volta [unclear] me lo ricordo cioè mi ricordo che sei entrato [unclear] che non sapevo chi ero, questo qui buttava sangue, qui c’era sangue, lì c’era sangue, un occhio era chiuso, l’altro non c’era più, vestito, mia madre diceva che non c’era più niente, era un buco e c’è magari gente piccola anche [unclear] e ho cercato di salire, ho cercato di salire sulla carrozzella senza accorgermi che non c’avevo più mano praticamente, c’avevo due dita che non funzionavano quasi perché sono lese anche loro non è che sia. E c’ha portato all’ospedale, all’ospedale, siccome io non gridavo, gli altri gridavano tutti e c’avevo gli occhi, c’avevo sangue dappertutto eccetera eccetera m’hanno preso sul tavolo di marmo che è quello delle autopsie [laughs] e nessuno ha guardato il sottoscritto che per fortuna sua, per qualche misteriosa ragione o perché sono, sapevo, avevo studiato qualche cosa di medicina, medicina no, di infermeria, e tenevo una mano dentro l’altra per fermare il sangue. E m’hanno messo su questo marmo, messo su questo marmo e poi nessuno, gli altri gridavano tutti quindi dovevo, dottori erano quelli che erano, gli infermieri anche, era un’ospedale piccolo, non era un’ospedale grande come quello di Santa Margherita e io [unclear] fermo, tranquillo, non dicevo niente e c’avevo gli occhi perché figurati questo qui col taglio qua non vedevo niente anche se ne avessi avuto voglia poi faceva male, questo qui non c’era più praticamente. Morale della favola a un certo punto passa un frate che conoscevo e era un’ex, un frate di [unclear] che ci faceva vedere di segreto i film che aveva girato in Russia durante la ritirata della decima, della Brigata Giulia e sento che mi fa un’estrema unzione. Io sento la voce del frate, la riconosco subito percheé lo conoscevamo bene, gli ho detto, mi raccomando, dica che sono vivo, [mimics a puzzled expression] scioccato perché credeva anche lui che fossi morto guardate che questo qui è vivo. Due minuti dopo [unclear] tutti i medici ormai vedevanko che andavano a farsi friggere poveretti ed erano lì a cercare di richiudere ste mani. Nel frattempo arriva un giornalista lì è la cosa più divertente che mi fa ridere ancora adesso. Arriva un giornalista e ci fa: ‘Come ti chiami?’ ‘Tito Samorè’ ‘E tua madre’? ‘Ada Coerolo’ ‘E tuo padre?’ Figurati, uno sdraiato in quella maniera lì, conciato così, e già fa [unclear] ancora la mascella, si sente che ne manca un toc, e gli faccio: ‘Se mi chiamo Samorè io’, ma l’ho detto abbastanza forte, no, che si è sentito una risata, un casino in quel momento di gente che lanciava urla, che, si vede che ero salvo, sentire questa era una barzelletta sentire, perché era una barzelletta detta da uno che sembrava morto due minuti prima [laughs]. Mi ricordo che c’è stata una risata fortissima proprio, questa me la ricorderò sempre, basta scusa [laughs] se ho tirato fuori delle storie [laughs]. Ecco, questa è stata una delle cose. E poi, vabbè, poi siamo tornati a Milano, giusto in tempo per gli ultimi bombardamenti [laughs], per gli ultimi bombardamenti e ci facevamo a piedi da Milano a Magenta e dormivamo nel [laughs], nella piramide che c’è a Magenta, nel, non so se c’è ancora, nella specie di piramide del cimitero di Magenta, della guerra di Magenta, della guerra del 1800, 1600, no, 1700, dio, vabbè [laughs] e c’era questo bello libero, si poteva dormire, era un po’ [unclear] di gente, c’era molta gente e c’era, cioè, si faceva a piedi per andare via dai bombardamenti, perché non trovavi nessun mezzo che ti portava in giro, non ce n’eran più [laughs]. Poi vabbè, vai avanti pure tu con le domande perché qui fino adesso ho cicerato io [laughs].
ZG: Perché da Milano dovevate andare a Magenta? Perché, non andavate nei rifugi?
TS: Ma perché, tenevamo Milano lontano [laughs], avevamo paura che tornassero di nuovo a farne degli altri bombardamenti e di fatti gli han fatti, dei bombardamenti successivi, a meno [unclear] [laughs].
ZG: Quindi a lei non è mai capitato di andare nei rifugi?
TS: Come?
ZG: Non è mai capitato di andare nei rifugi?
TS: Non parliamo di quei rifugi lì guarda. A Milano di rifugi come si deve c’erano solo quelli delle aziende che costruivano proiettili, bombe, altre robe del genere, che erano fatto a piramide così, no, in cemento armato e erano blindati sotto con dei corridoi sotto, fatti bene. Difatti quelli che erano riusciti a andare nei, diciamo tipo in quei rifugi lì andavano bene. Ma i rifugi delle case erano nient’altro che delle cantine con dei cosi di, di legno per irrobustirle ma basta. [unclear] molta gente a Milano è morta in cantina, in rifugio. Sinceramente guardando bene i rifugi delle case come quelli lì di Via Verga dove eravamo è del 1900, ma certi rifugi, che poi abbiamo visto dopo, anni dopo [unclear], anni dopo finita la guerra, che andavo in giro con mio padre a vedere Milano come l’era e c’erano dei pezzi di romani ancora. Anzi molte rovine romane sono saltate fuori [unclear]. A Sant’Ambrogio che era stato bombardato lateralmente a sinistra dove c’è la cosa della, quel monumento ai caduti, no, era stato bombardato da quella parte lì ed era interessante perché tutte le arcate che c’erano di cose ed erano scoperte dai bombardamenti erano [unclear] da anforette e [unclear] per fare l’arcata. Ed erano così. E non so come nessuno la sapeva [laughs].
ZG: Quindi lei, lei personalmente non è mai scappato in rifugio quindi?
TS: Come?
ZG: Lei personalmente non è mai scappato in rifugio durante un bombardamento.
TS: Simao andati una volta in rifugi quando eravamo ancora nei primi tempi ma a vedere così com’era [unclear] i capelli dritti insomma. E poi avevamo preso un’abitudine tale ai bombardamenti, agli allarmi che c’era un termine, c’era un metodo tedesco che lo diceva prima in tedesco e poi in italiano. Era: ‘Achtung! Achtung! Achtung! [unclear]’ eccetera eccetera, ossia voleva dire: ‘Attenzione! Attenzione! Attenzione! No, avvicinamento [unclear] nel quadrante quattro, cinque, come se fosse un tiro a segno e [unclear] man mano che si avvicinava dicevano tanti, pochi, niente, o uno, o due, o tre che circolano eccetera eccetera. Noi andavamo, io e mio fratello a mangiare alla mensa comunale di Piazza Diaz dove facevano bene da mangiare, quel periodo lì una cosa eccezionale trovare da mangiare era e mio padre ci mandava là a mangiare. Eravamo cinque fratelli quindi [laughs]. Noi che eravamo pià grandi eravamo andati fuori e noi partivamo da questo principio qui bisognava fare la fila. Allora quando cominciava l’allarme, ‘attenzione! Attenzione! Achtung! Achtung! Attenzione! Attenzione! [unclear] la gente scappava via veloce e noi andavamo avanti [laughs] era una cosa da lavativi [laughs] e poi nota bene che i, gli unici due o tre che c’erano a Milano di rifugi antiaerei erano la prima ante, come si chiama, la metropolitana, no, che doveva essere costruita e avevano già fatto un pezzo da Piazza San Fedele, quella dietro al comune, al Duomo. E lì c’era una galleria, [unclear] perché c’era il salone che poi hanno fatto diventare il salone del mobile, dopo, e allora c’era quella lì [laughs] ed era una grossa, ed era abbastanza fonda, quindi c’aveva una certa profondità, cemento di sopra, insomma, e ma se no di, di rifugi antiaerei proprio no, maluccio [laughs]. Ma pensa che [unclear] città morta gente che era morta perché è rimasta nel. C’erano nei rifugi poco dopo la guerra, nelle case bruciate, c’era uscita rifugio e la freccia, o entrata rifugio e c’era la freccia, perché era obbligatorio mettere le freccie sul, oltre i cartelli che diceva, casa distrutta da bombardieri anglo-assassìni, anglo-assàssini una volta era, poi i teschi che erano assàssini anche loro, hanno detto: ‘No, no, nein, non bisogna mettere assàssini, nein’ [makes a noise] allora assassìni, anglo-assassìni [laughs]. Poi è stato cancellato, quando c’è stata la liberazione hanno cancellato ma ogni tanto salta fuori [laughs].
ZG: Si ricorda invece qualcosa dell’occupazione nazista? Si ricorda le truppe tedesche a Milano?
TS: Ah, le truppe tedesche a Milano, effettivamente facevano il lavoro che dovevano fare a Milano, non andavano tanto d’accordo con la popolazione, questo non andava abbastanza bene perché fino a quando c’è stato la Repubblica Sociale c’era da mangiare a Milano. Il periodo più critico è stato dopo la Repubblica, che non c’era da mangiare. Non c’era da mangiare, venivano quelli fuori dalle campagne a portare la roba se arrivavano, e se c’avevi i soldi perchè costavano cari. Questo mi ricordo perché avevamo la carta, la tessera annonaria che ognuno di noi aveva e che era pane, carne eccetera eccetera. Se tu pensi che io che ero considerato un invalido di guerra, avevo diritto a una bistecca di carne ottima ed era controllata tra parentesi e te la dovevano dare buona di un etto al giorno, al giorno [emphasises], quella bistecca da un etto al giorno serviva a cinque persone [laughs]. Il pane era verde, bellissimo, pane verde, facevi così [makes a whistling noise] [laughs] e poi era, [laughs] [blows his nose]
ZG: Senta invece, si ricorda di quando la guerra è finita?
TS: Comes?
ZG: Si ricorda di quando la guerra è finita?
TS: Sì, 25 aprile, Dunque, lì, 25 aprile, niente, a Milano si sono sparati poco ma ci è andata bene che non hanno fatto quello che voleva fare Mussolini, a fare Milano come. Sparacchiavano nelle strade e ammazzavano [unclear], vabbè, normale nella storia. Anche perché pare che Schuster, l’arcivescovo di Milano di allora fosse riuscito ad avere un accordo con i tedeschi che loro se ne potevano andfare fuori dai piedi senza [unclear] resistenza eccetera e gli altri li lasciavano andare e si infatti. Peccato che abbiano fucilato della gente che ne potevano fare a meno di fucilarle, che potevano e quello non è stato un piacere che hanno fatto.
ZG: Senta.
TS: Quando scendevi dalla stazione che mettevano il timbro sul, quando uscivi dalla stazione al buio, alla sera, ti mettevano [makes a noise] il timbro sulla mano che era l’autorizzazione ad andare in giro di notte. [laughs] Non so se, se c’è gente che si ricorda quell’episodio lì. E ti mettevano il timbro, o sulla mano o sul polso, adesso non mi ricordo bene, non so se era sopra, boh [laughs]. E quello me lo ricordo, il fatto che a una certa ora non c’erano mezzi, [unclear] i tram erano bruciati durante, mi ricordo a fine della guerra c’era la fila di tram bruciati e soltanto la carcassa dei tram che ci sono ancora adesso in circolazione del ’35, sono quelli normali che vedi in giro sono quelli del ’35, gli altri moderni è un altro discorso, ma quelli lì erano ricostruiti da quelli che erano bruciati e c’erano, c’era tutta la fila lungo, per andare in Via Domodossola lungo la fiera campionaria che era stata bombardata anche lei che era tutta spazzolata e unclear], Milano [unclear] c’erano le bombe [laughs].
ZG: Come mai le era capitato di dover tornare la sera?
TS: Come?
ZG: Come mai le era capitato di arrivare in stazione la sera?
TS: Perché i treni arrivavano quando, quando c’erano se li trovavi [luahgs[. Mi ricordo che immediatamente dopo la guerra, mio padre ci aveva mandato sempre mio fratello e me [laughs], ci aveva mandato da Milano a Santa Margherita Ligure, era subito finito, era pochi giorni dopo la liberazione e col treno bisognava fare il treno spezzonato perché facevi Milano-Pavia, Pavia scendevi, attraversavi il Ticino, col traghetto [mimics the sound of the ferry’s motor] al Ticino, poi dal Ticino salivi, treno, un pezzettino di treno che c’era rimasto tra il Ticino e il Po, al Po scendevi attraversavi [unclear] [laughs], salivi sopra, facevi, a [unclear] scendevi, avanti così. E poi arrivati a Genova dovevi [laughs], dovevi prendere il tram a Sampierdarena, il tram che erano delle baracche pazzesche e arrivavi fino a Nervi. A nervi scendevi, passavi a Spiaggia, passavi sopra il muro anti, antisbarco fatto dai tedeschi che era tutto [unclear] e salivi su delle chiatte e con le chiatte arrivaci a Camogli. Camogli scendevi, andavi su a Ferrovia, salivi sui carrelli spinti a mano, tu con altre persone c’erano dei carrelli, [unclear] si mettevan dietro, in salita, nella salita della ferrovia poi fino in fondo, fino a Santa Margherita si scendeva [makes a rattling noise] [laughs] ci voleva una giornata circa più o meno. O se perdevi il treno trovavi, se avevi fortuna trovavi alla stazione dell’autostrada trovavi la polizia, la polizia americana che fermava i camion e chiedeva: ‘Dove vai?’, non so ‘A Pavia’, allora c’è qualcuno che va verso Milano [unclear] allora andate su questo qui. Allora siamo andati a finire su un camion carico di cesti di pesce, in maggio inoltrato sul sole su questo camion [unclear], che poi quando si passava nelle gallerie, bisognava stare sdraiati appicicati nel pesce [laughs], era una cosa [laughs], quando ci penso ci rido sopra perché è stata, erano delle cose pazzesche. Raccontate sembrano [unclear] balle [laughs].
ZG: Senta, io le farei giusto le ultime due domande.
TS: Dimmi tutto perché se non me le fai tu le domande [laughs]
ZG: No, chiaro. All’epoca cosa pensava di chi bombardava?
TS: Di?
ZG: Di chi bombardava lei cosa pensava?
TS: Ah, figli di puttana [laughs], [unclear] diceva perché non stava bene in casa nostra [laughs], ma se avessimo preso, difatti a Milano qualche d’uno che era stato abbattuto e coso, sono stati quelli della X MAS o coso che hanno salvato perché la gente. Quando sono arrivati dopo la liberazione, le prime truppe che sono arrivate non hanno mandato gli inglesi, hann mandato gli americani che l’odio che c’era non era più per gli americani, era per gli inglesi, e ti assicuro che per un periodo di tempo l’Inghilterra, con l’Inghilterra non andavamo molto d’accordo. Mi spiace dirlo se questo qui è per gli inglesi ma si ritengano molto, molto poco amati dagli italiani in quel momento lì. Molto, molto poco [laughs].
ZG: Senta, senta invece adesso, ripensandoci, cosa pensa?
TS: Dico, se hanno voluto andare, vogliono fare, l’Inghilterra a isolottolo perso, andate, andate. Cercate di allontanarvi ancora di più dall’Euriopa possibilmente ecco [laughs].
FS: Posso ricordare a mio papà un evento che non ha raccontato?
ZG: Sì, certo.
TS: Che cosa?
FS: Di tutte le cose che hai raccontato, una cosa che non abbiamo detto a Zeno ma che mi ricordi spesso
TS: Dimmi.
FS: E’ quando mitragliavano i tram.
TS: Guarda, quattro volte mi sono trovato con un aereo che mitragliava il tram, il trenino per andare da Milano a Bergamo, che hanno bombardato, l’hann mitragliato e bombardato anche un pochettino durante il viaggio interno nel parco di Monzo. E noi eravamo con mio fratello, giravamo intorno agli alberi [laughs] mentre quelli venivano, no, vedevamo aerei che venivano per mitragliare e noi giravamo dietro l’albero [laughs] . Poi tanti, mitragliavano tanti tram con la gente dentro, e difatti parecchi morti li hann fatti anche lì e coi camion. Coi camion c’era uno sempre sdraiato sul tetto del camion che guardava se c’era qualche aereo che veniva a mitragliare. Perché Milano era accerchiato, accerchiata dall’insieme di coso. Non erano proprio accerchiati, era che fatto un giro di caccia eccetera eccetera che sparavano contro chiunque andasse. Un carro a cavalli, tiravano [mimics the noise of a machine gun]. Bene visti per così io, non so, tramite il 24 che andava a Baggio, qua, era all’altezza circa dell’Ospedale Militare Baggio e da una parte c’è l’ex antico Forlanini dove c’era ancora l’hangar per il dirigibile Italia [unclear] [laughs]. E mi ricordo quella volta che col 24 l’autista si è accorto che stava arrivando quell’aereo che [unclear], ha fermato il tram, ha aperto le portiere e chi era più vicino alle portiere si buttava come me, buttato [makes a noise] giù dalla scarpata che c’era di là, dentro una roggia, una roggia come diciamo a Milano, canale [unclear], e altri, molti altri che sono morti. E ma quello è stato uno dei tanti, quando c’ero io [laughs] [unclear].
ZG: Direi che possiamo concludere. Grazie mille, signor Tito.

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Citation

Zeno Gaiaschi, “Interview with Tito Samorè,” IBCC Digital Archive, accessed April 19, 2024, https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/collections/document/3600.

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