Interview with Sara Ventriglia

Title

Interview with Sara Ventriglia

Description

Sara Ventriglia, the daughter of a Jewish mother and a Catholic father, recalls her early life in wartime Milan. She describes the alarm being sounded, she and her family getting quickly dressed to reach a nearby shelter. She recollects moments inside the shelter emphasising how unpleasant it was on winter nights and mentions the terrifying sight of a building engulfed in flames. She narrates the trials and tribulations of her Jewish grandmother who was arrested in 1943 when trying to escape to Switzerland, likely to be a Holocaust victim. Speaks with an affection for her grandmother and emphasises how the grief is still alive and present. She describes the trials and tribulations of her Jewish relatives forced to live under false identities, one of them deported to Ravensbruck and the subsequent lives of those who escaped the Holocaust. She recounts how she was questioned by a Fascist militiaman for contravening blackout regulations during curfew. Several different wartime anecdotes: how her father was injured when the train he was travelling on was strafed, draft-dodgers hidden in concealed rooms, and the constant presence of Pippo.

Creator

Date

2017-07-25

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Format

00:50:12 audio recording

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Contributor

Identifier

AVentrigliaV170725

Transcription

L’intervista è condotta per l’International Bomber Command Centre. L’intervistatore è Sara Buda. L’intervistata è Vincenzina Ventriglia. Nella stanza sono presenti Sara Troglio e Greta Fedele dell’Associazione Lapsus. L’intervista ha luogo in [omitted] a Milano presso l’abitazione della sorella della signora Ventriglia. Oggi è il 25 luglio 2017.
VV: Oh, no!
SB: E’ presente anche un gatto che non riusciamo a contenere.
VV: Stai giu’, allora stai qui buono.
SB: Allora, cominciamo da prima della guerra. Cerchiamo di capire un pochino quale fosse…
VV: Ecco, il mio primo ricordo di quello che poi è successo della guerra è che ero ai giardinetti, abitavamo in Viale della Argonne e davanti c’erano i giardini…
SB: A Milano?
VV: A Milano. Avevamo una signora. E in quel momento, mentre eravamo seduti lì abbiamo sentito la voce del duce ,molto forte, che stava facendo la dichiarazione di guerra. Quello è stata la prima cosa che… mi pare che era il dieci giugno qualcosa, eh questo. Poi tutto il resto è venuto dopo, e ho sopportato tutto, ma tante cose, non so i rifugi, i rifugi alla sera andavamo nel rifugio ma non nel nostro perché non era abbastanza forte, e andavamo in una casa vicina, nella cantina di una casa vicina che aveva il rifugio fortificato [laughs], mentre noi avevamo un rifugio molto debole. E mi ricordo che alla sera la mamma appena c’era l’allarme ci faceva vestire a tutte, eravamo tre, Adriana era ancora…, e ci vestivamo in fretta e correvamo a questo rifugio che era, diciamo a poco, venti trenta metri da noi, così, basta. Io poi avevo il vizio che quando mia madre mi vestiva dopo pensavo che era ora di andare a letto e mi rispogliavo [laughs]. La mettevo sempre in crisi. Poi stando nel rifugio non è che mi preoccupava molto, ecco, stavo lì e non pensavo che poteva succedere qualcosa di terribile o, però dopo quando poi siamo partiti per Ospedaletto Lodigiano, siamo sfollati, ma è stato dopo il bombardamento che c’è stato forte nel ’43 perche’ io dal fondo della via ero fuori, correvo a casa perché c’era l’allarme ho visto una casa grande in fondo alla strada che bruciava, cioè era stata bombardata e quello mi è rimasto proprio nella mente sempre, per sempre. Dopo altre cose dopo siamo partiti, siamo andati a Ospedaletto Lodigiano, eravamo nascosti, anche perché la mamma si nascondeva non solo per i bombardamenti ma perché essendo ebrea aveva molta paura. Il papà essendo cattolico aveva degli amici, perché lui lavorava in Prefettura a Milano, aveva amici che quando sapevano che i Carabinieri arrivavano vicino a noi, a Orio Litta da quelle parti, c’era la mamma che prendeva Adriana che era piccolissima, la metteva sul sellino della bicicletta e scappava nella campagna. Noi restavamo a casa, però insomma, poteva succedere anche a noi, però no. Poi oltre a noi avevamo a casa lì a Ospedaletto una zia di papà che era scappata, una sorella di papà che era scappata dal meridione, che era venuta per salvarsi su al nord e con una zia sua, quindi eravamo in casa con questa persone, inoltre in un altro appartamento c’era un mio prozio da parte della mia mamma, veronese, che era un fratello della mia nonna. La mia nonna poi è stata presa in Svizzera, cioè non in Svizzera, beh questo dopo. E quindi anche questo zio abitava lì, lui da Verona era scappato, come sua moglie era cattolica e aveva una figlia, erano andati a Verona per prendere la zia, però lei ha detto ’ma io sono cattolica, poi sono una ragazza madre‘ come se non avesse il marito, mentre lo zio era a Ospedaletto. E dopo allora lo zio era difeso, era protetto dal parroco del paese che stava sempre nelle zone del parroco e insomma si era fatto un piccolo centro per lui, è stato lì sempre e si è salvato. Mentre la mia nonna, la mamma di mia mamma, che era anche lì in quel paese sfollata per un po', era in una cascina vicino. Noi eravamo ospiti, era come un ristorante albergo che però ormai dava gli appartamenti così agli sfollati. Allora, era in una cascina vicino a noi e stava lì insieme a mia zia, cioè la sorella di mia madre che non era sposata, era fidanzata con un cattolico che stava a Milano e la zia, purtroppo a un certo punto veniva corteggiata e seguita da un gerarca fascista che abitava proprio lì in un altro appartamento della cascina, quindi non ha più potuto vivere lì, ha dovuto ripartire, è venuta a Milano ed era ospitata da una cognata del suo fidanzato e abitava in via Archimede, eh io mi ricordo tutto questo. Poi era nascosta lì e mi ricordo che la mia mamma quando siamo tornati da Ospedaletto, che non siamo stati lì molto, siamo ripartiti da Ospedaletto a gennaio, febbraio del ’44, perché mio papà venendo a Ospedaletto era stato mitragliato sul treno, quindi non volevamo più, mia mamma non voleva più che corresse questo rischio, siamo tornati a Milano. E siamo andati a vivere a casa della nonna che la nonna non c’era più, era stata presa. Allora la nonna è partita il 5 dicembre, il 5 dicembre del ’43 è stata arrestata. Mio zio che poi aveva perso il lavoro nel ’38, io me lo ricordo quando lui parlava di questo, mio zio non poteva più lavorare, me lo ricordo ancora adesso che parlava con mia mamma ‘non so cosa farò’, poi ha fatto il maestro di sci, è diventato un grande maestro di sci, ha fatto un lavoro indipendente. Ecco, volevo dire che lui e la mia zia sono partiti con la nonna per accompagnarla in Svizzera, e io me la ricordo la nonna quando è partita da Ospedaletto, mi ricordo ancora la corriera che ha preso, perché sono scesa per salutarla, la corriera me la ricordo come se la vedessi adesso, con la pelliccia nera sulla porta della corriera mi salutava. [weeps] E così dopo di allora non abbiamo più saputo niente di lei. La mia sorella più piccola di me, però più grande di Adriana, in mezzo, che vive in America, lei ha dei ricordi vivissimi. Lei invece si ricorda che quando la nonna è partita, lei stava salendo la scala per tornare a casa e la nonna scendeva e si è fermata e gli ha detto ‘Ciao, io vado via‘, lei gli ha detto ’Ma perché vai via?’, così è rimasto il ricordo della nonna. Dopo quando è arrivata in Svizzera con lo zio e la zia che l’hanno accompagnata, non è stata ricevuta, cioè l’hanno scacciata insieme ad altre quindici persone, dicevano perché non aveva ancora sessant’anni, però non lo so per quale motivo. E poi sono scappati tutti insieme, sono arrivati fino a Pino, a Varese e l’hanno arrestata a Pino, poi è passata alla prigione di Varese, dopo è passata a San Vittore, mi sembra quinto raggio, e la mamma mia quando ha saputo che era lì voleva andarla a trovare. È andata al comanda dei tedeschi qui a Milano, e ha detto che voleva parlare con loro, allora una persona che era lì di guardia ’Ma signora lei è sicura che vuole parlare? Guardi vada a casa, non si fermi qua, non insista‘ e così la mamma è tornata a casa, perché se avesse parlato con loro. Così non ha potuto neanche vederla quando era in prigione. Però lei ha mandato una cartolina a una vicina di casa, la nonna, dicendo che, credo che ce l’abbiamo ancora che sia nell’archivio, dicendo che era lì e che così e basta. È stato così. Dopo di allora, insomma tutte cose che, non si trovava la ragione di tutto questo. Io poi non capivo tanto, perché dieci anni, soltanto che mia sorella quella dell’America che ha un anno meno di me, aveva una memoria diversa, aveva, era una osservatrice di tutte le cose che succedevano e si voleva rendere conto, era e ancora adesso ha questi ricordi. Purtroppo è lontana e la sua testa comincia a non lavorare tanto bene. Ecco i miei ricordi sono questi. Quelli della nonna. Poi quelli degli zii che venivano, perché io ho tre cugini che loro hanno proprio vissuto, si sono salvati perché sono stati salvati, ci sono stati delle persone, quelli che li hanno salvati hanno avuto anche il riconoscimento. Loro sono tre, una cugina vive, una vive a Verona, l’altra vive a Haifa, la più grande, e il gemello di quella che vive a Verona sta in Inghilterra. E quindi loro hanno passato tutto il tempo scappando, passando da un posto all’altro, stavano al Sacro Monte di Varallo, e lo zio aveva documenti falsi, nonostante tutto andava a lavorare, incontrava i fascisti sul treno che arriva dal Sacro Monte di Varallo andava a Novara a lavorare e quindi anche questo era, poi la moglie, la zia era russa, non russa, lituana molto religiosa, di famiglia molto religiosa, a parte che ha avuto tutta la famiglia massacrata, tutta la sua famiglia, dove abitava a Kaunas, ma lei essendo bionda e sapeva il tedesco perché si era salvata [cat meows loudly]
VV: Buono! Buono!
SB: Diceva appunto che essendo bionda, sapendo il tedesco probabilmente…
VV: Sì, sapeva il tedesco. Lei, quando lo zio arrivava a Sacro Monte dove abitavano la zia per dirgli che poteva arrivare, che non c’erano guai sulla strada, che non c’erano controlli metteva fuori un panno, come una vecchia divisa di soldato tagliata e quindi lo zio capiva che poteva arrivare a casa. Una volta è successo che sono andati proprio a casa i tedeschi da lei, perché hanno visto questo panno, hanno detto ‘Che cos’è questa cosa?’ ‘Eh questo li uso per fare i vestiti per i miei figli’ gli aveva detto in tedesco, poi è stata molto calma, ha parlato piano piano con loro, loro non hanno neanche pensato che fosse ebrea. Anche quella era una vita stranissima, poi con documenti falsi, i bambini andavano a scuola da lì con i documenti falsi che gli erano stati dati dal comune. Poi so che il sindaco di quel paese è stato fucilato, perché aiutava, forse a Borgo Sesia, è stato fucilato a Borgo Sesia che era vicino a Varallo Sesia. Eh è questo. Io vedevo questi zii che abitavano a Trieste loro, mio zio fratello della mamma con i figli e la moglie russa, che era arrivata in Italia perché doveva studiare, per quello si è salvata e non è stata trucidata come tutti i suoi fratelli che erano a Kaunas. E quindi lei era sempre sempre attenta, avevano i documenti falsi e non insomma vivevano sul filo del rasoio, alla fine si sono salvati, e poi nel ’49 sono andati in Israele, poi la figlia, una della figlie è tornata qua, si è sposata, adesso vive a Verona. Beh loro avrebbero tanto da raccontare, molto più di me. Certe volte penso chissà la nonna che cosa ha fatto quando, non si sa niente, dicono che è stata uccisa subito, ma… e anche una sua sorella, per esempio a Verona c’era la sorella della nonna. Erano diversi fratelli e la sorella della nonna si era rifugiata, viveva a casa insieme alla zia, con la figlia che era ragazza madre, però si è salvata andando a casa di un cugino, Tullio Basevi, che è stato anche lui deportato. Era lì e un giorno sono andati a prendere Tullio Basevi che era la sua casa e dopo due giorni hanno preso anche la zia e è andata a Bolzano, poi Ravensbruck e non abbiamo saputo più niente. Aveva mandato una cartolina chiedendo biancheria e cambi perché quando era a Bolzano, ma dopo… è stata una portiera o chi le portava da mangiare che li ha denunciati, per cinquemila lire li ha denunciati. Ecco così.
SB: Quindi scusi, giusto per capire la mamma era Basevi, quindi era la mamma ebrea?
VV: Sì, sì, la mamma.
SB: Nonostante ciò era il papà che si nascondeva, giusto? Ho capito bene?
VV: Il papà la difendeva.
SB: No, suo papà.
VV: Il papà mio?
SB: Sì, sì suo papà
VV: Era cattolico
SB: Si nascondeva quando eravate sfollati?
VV: Mio papà doveva stare attento perché era proibito sposare una donna ebrea. Mia mamma era ebrea, la legge era già da prima. Loro si sono sposati nel ’31. Devo dire che mio padre è stato molto coraggioso. Ma mio padre però si doveva un po', non si facevano mai vedere insieme perché, se andavano da qualche parte uno da una parte uno dall’altra. Ma io questo non lo sapevo, l’ho saputo dopo. E poi mio padre lavorava in Prefettura, aveva un bellissimo ufficio al primo piano. Questo me l’ha raccontato mia sorella dell’America, perché io, e aveva un bell’ufficio, lavorava per la censura, poi quando hanno capito che lì andavano i tedeschi a controllare i registri anche del personale l’hanno spostato al pian terreno qui alla Prefettura di Milano, perché la stanza dava su un giardino e lui già una volta era scappato uscendo dalla finestra del giardino. Insomma l’hanno aiutato perché, si anche lui doveva stare attento. Poi quando è stato mitragliato, l’abbiamo saputo eravamo a Ospedaletto, lui arrivava con il treno la sera, invece l’abbiamo visto arrivare su una carrozzella, si una carrozzella con il cavallo che era ferito e la mia mamma quando l’ha visto è svenuta. Ecco. Dopo siamo tornati a Milano e abbiamo ricominciato a studiare, abbiamo cercato di riprendere non so l’anno, quando. Stavamo a casa della nonna finché abbiamo potuto poi siamo andati in un’altra casa. Adriana era nata nel ’40 perciò era, non so, tutto questo è dentro di me non è che, è come se avessi una fotografia dentro di me, a parte tutto il resto, ma non so.
SB: Io ho delle domande.
VV: Sì.
SB: Vorrei fare un passo indietro.
VV: Sì.
SB: Intanto le chiedo se ci può far capire un po' come era costituita la sua famiglia, quanti anni avevate voi sorelle e che cosa facevate prima della guerra, che cosa facevano i suoi genitori.
VV: La mia mamma era casalinga, era molto brava a cucire, ci faceva dei bei vestiti, ma per il resto non lavorava, non ha mai lavorato. Il papà era sempre della Prefettura. Io andavo, ho cominciato ad andare a scuola, perché avevo dieci anni, mia sorella aveva un anno di meno, mia sorella Antonietta, Tata, che sta in America, e l’Iginia purtroppo non c’è più, la terza sorella, noi eravamo quattro, è morta nel duemila e due, ha avuto una malattia brutta, improvvisa, ha avuto una leucemia, stava a Roma e poi Adriana era piccola, nata nel ’40. Quello che mi ricordo molto quando la mamma prendeva la bicicletta, metteva Adriana sul sellino e scappava nelle stradine di campagna per non farsi trovare dai tedeschi eventualmente se dovessero venire a casa, se dovevano venire a casa. Perché loro andavano a vedere i registri di tutti, degli sfollati di tutti. Vedevo anche dei ragazzi che quando sapevano che arrivavano i tedeschi o i fascisti si nascondevano da tutte le parti, andavano sotto i letti a casa della persone anche che non conoscevano per non farsi trovare. E poi una volta, quando dalla mia nonna, adesso questo mi ero dimenticato però non è molto importante. Una sera quando stava ancora nella cascina dovevano tornare a casa, era da noi e doveva tornare a casa. Io l’ho accompagnata, ho detto ’Nonna, io ti accompagno’. Sono andata con lei, a un certo punto la nonna aveva in mano c’era una piccola lampadina da tenere che si chiamava mi pare no chiocciola, un altro nome, un nome così aveva, che faceva anche un rumore, che si accendeva e si spegneva toccandola. Allora si è avvicinato un gendarme, c’era già la repubblica no, tutto vestito di nero e ha gridato a mia nonna ’Cosa fa lei con quella luce, lo sa che c’è il coprifuoco’?” E la nonna l’ho sentita proprio gelare e io non ho detto niente, e niente ci ha lasciato andare per fortuna così l’ho accompagnata. Si chiamava forse aspetta, chiocciola. Era un tipo di lampadina che avevano tutti.
SB: A cosa serviva? Come mai ce l’avevano tutti?
VV: Non so perché, era quella che si usava quando c’era buio. Era molto comune come tipo, ma nel coprifuoco certo non si poteva usare, ma la nonna l’aveva usata. Per un tratto di strada non pensava che arrivasse un così, un gendarme. E così è andata.
SB: Senta quindi lei era piccola comunque…
VV: Sì, sì
SB: E quando è scoppiata la guerra lei come lo ha saputo. Qualcuno gliene ha parlato, qualcuno in qualche modo le ha spiegato cosa stava succedendo o lo ha capito lei da sola in un altro modo.
VV: No, no, no, non abbiamo avuto grandi spiegazioni. Abbiamo visto che tutto era cambiato, tutto diverso, le persone molto tese, molto preoccupate, e poi io l’ho sentito annunciare così me lo ricordo. No, no, diciamo non siamo stati preparati ad affrontare la guerra, ad affrontare la situazione, no. Arrivava di giorno in giorno e…
SB: Per esempio la prima volta che siete scesi in un rifugio, la mamma vi ha spiegato, il papà vi ha spiegato che cosa bisognava fare?
VV: E beh ci dicevano di stare buoni, tranquilli e di non muoverci, di non, niente di particolare. Eravamo forse troppo piccole per essere informate. E poi c’era sempre questa tendenza di mia madre di tenerci sempre, come dire, protette, di non darci troppe informazioni. Penso che questo, sempre l’aveva avuto questa. Mia mamma è morta nel 2004, dopo mia sorella, mia sorella nel 2002, mia mamma nel 2004, aveva novantaquattro anni.
SB: Wow.
VV: Ma di queste cose non ne voleva mai parlare. E perché il fatto della nonna è stato una tragedia. Non solo la nonna, anche la sorella, anche il cugino, anche… Per fortuna uno dei fratelli, dico fortuna, il fratello più grande, erano cinque fratelli, la mamma, la sorella e tre fratelli e uno, il più grande, Gino, era morto nel ’38 per un mal di cuore, quindi lui non ha vissuto niente di questo, ma non lo so, forse è stato meglio così. Erano cinque fratelli che si divertivano a Verona, abitavano nel ghetto di Verona, c’era allora ogni tanto mia mamma mi raccontava delle cose, di quello che facevano per divertirsi, andavano sull’Adige con le carriole, insomma cose così, ma questo era proprio prima.
SB: Quindi da Verona la sua mamma è venuta a Milano quando si è sposata.
VV: Quando si è sposata. Ha conosciuto mio papà a Verona, perché lui stava lì alla Prefettura. Si sono conosciuti e dopo è venuta a Milano. Però anche la mia nonna era venuta a Milano a Verona dopo che è stata vedova, che il suo marito è morto nella prima guerra, nella guerra ’15-’18, però è morto nel ’19, nel febbraio del ’19 perché aveva preso una malattia, la spagnola. La guerra era già finita, ma lui era ancora, diciamo, nel campo, allora da allora la nonna è partita da Verona e è venuta a Milano. Poi la nonna ha vissuto sempre a Milano, faceva la sarta, era molto brava, maestra di sartoria, e così. E non so se, prima della guerra era così, non sapevo molto di quello che succedeva, no.
SB: Veniva fuori per caso, prego…
VV: Una volta la mamma quando la zia, quando siamo tornati a Milano nel ’44 e la zia era nascosta in via Archimede, una sera la mamma ha deciso che voleva andarla a vedere, andarla a salutare, allora, c’era il coprifuoco anche a Milano e con noi ha voluto andare fino lì di sera, in fretta, però insomma anche lì è stata un po', e quindi mi ricordo che mio papà ha dato i biglietti per andare al cinema, eravamo andati al cinema, non lontano, in corso Ventidue Marzo c’era un cinema, e dopo del cinema la mamma ha voluto andare a trovare la zia. Comunque ha preso un rischio molto grosso, perché c’era il coprifuoco.
SB: E voi eravate con lei?
VV: Sì. Certe volte non si considera bene il rischio. Forse la mia mamma si sentiva protetta perché diceva ‘Io ho sposato un cattolico, quindi c’è un matrimonio misto quindi a me non mi toccheranno‘ e invece non è stato così. Vorrei raccontarvi di più, ma purtroppo.
SB: Beh io ho sempre delle domande. [laughs]
VV: Sì, sì [laughs]
SB: Posso procedere con le domande.
VV: Ah sì è messo calmo. Allora ha salvato qualche cosa?
SB: Sì, sì, sì.
VV: Il gatto?
SB: Sta ancora registrando, sì, sì.
VV: Ah sì?
SB: Sì, sì, assolutamente. Io volevo chiederle. Ha accennato a un registro degli sfollati. Siccome non ne so nulla, volevo sapere se per caso si ricorda quando siete arrivati a Ospedaletto se vi siete registrati.
VV: No, il registro era di tutti i residenti, ma anche degli sfollati ed era un paese vicino, Orio Litta. A Orio Litta avevano i registri, quindi quando arrivavano i tedeschi così, mio padre veniva avvisato e avvisava la mamma di nascondersi insomma. E no, non so veramente, sarà negli archivi, perché o registri li avranno..
SB: Però comunque voi comparivate in questo registro?
VV: Eh sì, sì.
SB: Ho capito. E senta e mentre eravate sfollati avete avuto delle difficoltà di qualche sorta a vivere in questo posto? Le condizioni com’erano?
VV: Beh, c’erano tanti sfollati, però non credo che considerassero o che pensassero che la mia mamma fosse ebrea, no. Però stava molto attenta, sì, stava molto attenta. Anzi le devo dire che c’era una sorella di mia padre venuta dal sud e la famiglia non era molto d’accordo che mio padre avesse sposato un’ebrea, questo è ovvio no, e allora lei con la mia mamma non andava proprio d’accordo e una volta quando era lì giù nel cortile della casa, il cortile interno, ha detto ‘Senti, smettila di parlarmi così eh’ la zia da giù, da giù a su dal balcone ’Smettila di parlami così perché io guarda che ti denuncio‘ e una zia io questa cosa l’avevo sentita, poi la mamma è rimasta proprio scandalizzata da questo. Del resto c’erano queste cose. Doveva stare attenta, doveva...
SB: Voi avevate contatti con questi altri sfollati?
VV: No. No, avevamo contatti solamente con chi ci ospitava che era il padrone di questo posto, di questo ristorante, credo che ci sia ancora nella strada principale di Ospedaletto Lodigiano. E solo con loro, poi basta. Poi sì, con altri sfollati sì, con delle persone che avevano dei figli nascosti, due figli maschi grandi in età di fare il soldato che erano nascosti e quindi si parlava così tra di loro, si sapeva di questo ma nessuno diceva niente. E poi avevo contatti con un’altra signora, sì una signora, una professoressa di piano che si chiamava Salomone di cognome, ma non abbiamo mai saputo se fosse ebrea o no, ed era molto brava, molto gentile, molto, sì, mi ricordo questo. Però con poche persone.
SB: Non c’era una comunità?
VV: No, no.
SB: E senta in questo posto, Ospedaletto.
VV: Sì.
SB: C’erano anche lì dei rifugi per qualche motivo oppure non c’era nulla di legato, che legasse quella esperienza al contesto più ampio.
VV: No, di rifugi no. No, no. Non c’erano i rifugi, non mi ricordo. Ogni tanto passava un aereo che non so come si chiamava, Pippo mi sembra, che faceva dei sorvoli ma non sapevamo neanche se fosse tedesco, se fosse, beh sarà stato senz’altro italiano o tedesco perché… No non era una vita di collettività, era una vita molto riservata.
SB: E di questo Pippo gliene ha parlato qualcuno o…
VV: No, no lo sentivo, si sentiva quando arrivava, era un aereo che faceva un sorvolo poi andava via.
SB: Quindi non vi, non vi…
VV: No, no.
SB: Non lo temevate.
VV: No. Lì i bombardamenti non ce ne erano, non ne abbiamo mai vissuti i bombardamenti, tranne il mitragliamento del treno. Probabilmente avran bombardato qualche treno, ma non lo sapevo.
SB: E di sirene invece ne avete sentite quando eravate sfollati?
VV: Oh tante, sì, sì eccome.
SB: Lì a Ospedaletto no.
VV: No, no.
SB: A Milano invece?
VV: Sì, sì, tante.
SB: Tante?
VV: Sì, sì, tante. Era molto impressionante. Adesso quando le rifanno sentire qualche volta si torna indietro subito.
SB: C’era una frequenza assidua durante il giorno?
VV: Una frequenza di sirene?
SB: Sì.
VV: Sì, anche due o tre, sì. Quelle di notte erano più brutte, perché bisognava uscire e andare al rifugio fuori con il freddo. Io mi ricordo ancora le persone che stavano magari di fronte a noi così di notte, perché nessuno doveva, a noi ci dicevano di non parlare, di non fare amicizie nel rifugio, così. Poi gli altri non lo so come facevano.
SB: Ma senta, quindi le persone che c’erano nel rifugio voi non le conoscevate?
VV: Eh no.
SB: Erano persone che arrivavano…
VV: Noi eravamo come dire dei fuoriusciti, dei raccomandati. Eravamo dei raccomandati perché andavamo all’altro rifugio. Non so come ha fatto mio padre, ma ci ha fatto andare in quel rifugio.
SB: Perché non si poteva andare in un rifugio a caso?
VV: No erano tutti dei palazzi, dei condomini, dei, si poteva essere ospitati se qualcuno ti ospitava, però ogni casa aveva il suo. Diciamo che eravamo raccomandati.
SB: E senta per tramite di suo padre o come?
VV: Eh non lo so se tramite mio padre o tramite mia madre o forse qualcuno. Mi ricordo ancora là sulla via tra Via Pietro da Cortona, doveva essere verso Piazzale Susa, prima, prima, mi ricordo ancora il numero della casa, cinque, era il numero cinque, ma è possibile che ci si debba ricordare le cose in questo modo? Non lo so. E la mamma diceva dobbiamo andare lì, perché lì siamo più sicuri.
SB: E vi convinceva? Eravate convinti di questa cosa?
VV: Sì, sì.
SB: Quindi lei si autogestiva, anzi no la mamma la vestiva.
VV:Sì, sì la mamma mi vestiva, diceva ‘Bisogna andare’, perché aveva tre da vestire, io più le mie sorelle. E lei mi vestiva e nel frattempo che vestiva le mia sorelle io mi spogliavo, perché pensavo che era l’ora di andare a dormire. Così insomma si vede che non mi rendevo conto neanche del pericolo che c’era.Sì, sì, questa è rimasto come un ricordo. Insomma non sono tanti i ricordi, però sono… Ormai non c’e quasi più, non c’è nessuno, ci sono i miei cugini, la mamma loro, la zia Golda, quella lituana non c’è più, è morta nel 2010, stava ad Haifa, aveva più di novantaquattro anni, lo zio ha avuto un incidente, il marito, il fratello di mia madre, cioè il marito, era in Israele e lui lavorava alle miniere di Timna, lavorava come chimico e niente un giorno è andato lì, un giorno mi pare che era quasi di festa e la macchina, pioveva e la macchina, le ruote non hanno resistito e ha avuto un incidente e nel ’72. Lui ormai era lì già dal ’49.
SB: Quindi dopo la guerra la famiglia si divide, giusto?
VV:Sì, sì.
SB: Voi rimanete a Milano?
VV: Noi sì. Fino a quando abbiamo studiato, poi dopo insomma negli anni ’60 mia sorella che è in America ha conosciuto un ragazzo di Tripoli che era scappato da Tripoli perché, l’ha conosciuto e si sono sposati, allora lei è partita ed è andata in America. Io sono andata a lavorare a Roma e Adriana è rimasta qui a Milano. L’altra mia sorella purtroppo è morta nel 2002 e lei viaggiava anche, alla fine lavorava all’Alitalia, ma aveva fatto anche, aveva fatto la cantante, aveva fatto anche un concorso a Sanremo negli anni Sessanta, poi alla fine lavorava all’Alitalia quindi.
SB: Senta, le è mai capitato di ripensare a questo periodo a cui appunto avete vissuto sotto minaccia?
VV:, sì, molto spesso.
SB: E ripensa, per esempio appunto per quanto riguarda i bombardamenti, le è mai capitato di pensare a chi guidava appunto gli aerei?
VV: A chi guidava l’aereo? Beh più che altro pensavo a chi sganciava le bombe, più che a chi guidava l’aereo. E quello sì. Lo pensavo sempre. Lo penso anche adesso, perché questo palazzo che ho visto tutto con il fuoco in cima, proprio era come un tizzone, un palazzo molto grande, si vede che avevano buttato più di una bomba e quello proprio mi è rimasto nella mente sempre. Non ho molti ricordi come..
SB: Beh non mi sembra. [laughs]
VV: Quello del gendarme quando camminavo con la nonna che si è avvicinato, quello quando ci penso mi vengono ancora i brividi. È stato proprio, dico ’Ma come è possibile sono pochi metri e spunta questo!’. Poi non parlava la nonna, la nonna mi ricordo che si è come raggelata e io non parlavo, per lo meno io non parlavo, perché se avessi parlato non so. Fortunamente se ne è andato. Tanto poi le cose sono andate male lo stesso. Sono un po' diversi i miei ricordi da quelli di mia sorella, no?
SB:, sì, sono di bambine di età diverse.
VV: Eh sì, sì. Beh però è un bel lavoro quello che stanno facendo.
SB: Ci stiamo impegnando. Allora…
VV: Se ha altre domande io sono qui
SB: Io sono soddisfatta. Se, OK interromperei l’intervista se non ha altro da aggiungere.
VV: No, per il momento no. Può darsi che poi mi viene qualche cosa.
SB: Certo. Allora la ringrazio.
VV: Io ringrazio voi.

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Citation

Sara Buda, “Interview with Sara Ventriglia,” IBCC Digital Archive, accessed May 11, 2024, https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/collections/document/715.

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