Interview with Adriana Ventriglia
Title
Interview with Adriana Ventriglia
Description
Adriana Ventriglia remembers the bombings of Milan. She talks about her evacuee life in the Lodi countryside and describes how her father was injured in a train strafing. She mentions her early life in a mixed family, the impact on anti-Semitic laws, and how her grandmother was deported, never to return. Adriana describes life under the bombs, civil defence precautions and the atmosphere inside a shelter. She tells how her parents tried to spare her as much hardship as possible and describes war as a relatively care-free period. She talks about Pippo and describes how her sister tried to cope with its menacing presence.
Creator
Date
2017-05-07
Temporal Coverage
Coverage
Language
Type
Format
00:15:50 audio recording
Rights
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Identifier
AVentrigliaA170507
Transcription
ST: L’intervista è condotta per l’International Bomber Command Centre. L’intervistatrice è Sara Troglio. L’intervistata è Adriana Ventriglia. Nella stanza è presente Sara Buda e il marito della signora, Maurizio Ghiretti. Ha luogo in [omitted] a Milano. Oggi è il 7 maggio del 2017 alle ore 11. Signora Ventriglia, per iniziare io le chiederei un po’ com’era la sua famiglia, dove vivevate all’inizio della guerra.
AV: Certo. Beh, all’inizio della guerra eravamo, cosiddetti sfollati. Quando ci sono stati i primi bombardamenti, siamo sfollati nel Lodigiano, nella campagna del Lodigiano. Nel ’43, di quello non ricordo nulla. Io sono nata nel 1940, nell’ottobre, per cui sì, ricordo la campagna, ricordo un pochino la casa, ho dei flash, ma di bombardamenti non ricordo assolutamente niente. Ricordo invece quando poi siamo tornati a Milano dopo il ’43 e quando c’erano i bombardamenti noi eravamo in Via Bronzetti al 33. Eravamo mia madre, mio padre e le mie tre sorelle, io ero la piu piccola, quindi ero molto piccola, diciamo che avevo un massimo di cinque anni, che quando era finita la guerra avevo cinque anni. E non ho un ricordo di angoscia, di paura, forse perché ero molto piccola, forse perché i miei genitori hanno fatto di tutto per non trasmettermi la paura che sicuramente loro avevano, ma ho dei ricordi molto tranquilli di quel periodo. E quando, per esempio ricordo il Pippo, che era il famoso aereo da ricognizione che girava sopra Milano, e so che il Pippo, io non avevo ovviamente paura, ma so che il Pippo veniva guardato con preoccupazione. Per esempio, la mia sorella maggiore, Licinia, quando c’era il Pippo che sorvolava, andava nervosamente in balcone a mangiare, mamma diceva, pane e formaggio per la paura e per l’ansia. Io invece dei bombardamenti ho un ricordo quasi, non dico allegro, ma molto sereno, perché quando succedeva che dovevamo andare in cantina nel rifugio, mamma faceva vestire tutte quante e poi mi ha raccontato che vestiva mia sorella Cicci e Cicci, di notte, e Cicci si rispogliava un’altra volta e si metteva a letto e lei la doveva rivestire di nuovo. E mi prendeva sotto il braccio, non in braccio ma sotto proprio il braccio e mi portava giù per le scale, tutti quanti giù per le scale insieme ai vari abitanti della casa, tutti giù in cantina e giù in cantina si stava buoni e zitti. Della cantina ricordo molto bene l’odore di umidità e devo dire, tra, sa quel momento per me l’odore di umidità, non so come mai ma io l’ho sempre associato a qualcosa di simpatico. A me la cantina piaceva, forse perché era un diversivo, chissà mai no. Comunque, senso di angoscia mai, senso di pericolo mai. Io ho capito cos’era la guerra dopo, quando sono diventata più grande. Quando poi ho sentito che mia madre cercava dappertutto mia nonna, che era stata deportata e lei sperava ancora che tornasse. Sono cominciate le mie prime domande quando avevo sei anni. Prima assolutamente la guerra non, non mi hanno trasmesso i miei, sono stati capaci di non trasmettermi nessuna paura. Questi sono i ricordi che ho dei bombardamenti e direi che si chiude lì non ho, non ho altro.
ST: Se posso, come mai siete rientrati a Milano nel ’43?
AV: Era successo che mio padre, che noi eravamo a Ospedaletto Lodigiano, tutta la famiglia allargata perche noi famiglia eravamo, avevamo, mia madre aveva preso in affitto una, sopra una, piccolo appartamento sopra una trattoria ricordo bene il cortile c’era l’orto e invece mia nonna e anche mia zia erano andate vicinissime, cinquecento metri, ospiti in una cascina, avevano preso in affitto una stanza in una cascina. Mio padre, una volta la settimana, mio padre, che faceva l’archivista della Prefettura, una volta la settimana prendeva il treno e veniva a trovarci. Una volta c’è stato un mitragliamento dagli aerei e hanno mitragliato il treno, mio padre è rimasto ferito, mia madre gli è andata incontro con, lui l’avevano portato su un carretto perché allora c’era poco altro con la gamba ferita e da quel momento mia madre ha deciso che saremmo tornati tutti a. Siamo andati in Via Bronzetti 33 perché mia nonna nel frattempo era stata portata, perché eravamo venuti via tutti, mia nonna era stata portata da mio zio in, alla frontiera svizzera e l’avevano presa, lui quindi era tornato indietro tranquillo, tutti noi credevamo, pensavamo che la nonna fosse in Svizzera e quindi la mamma, poi in realtà la nonna il giorno dopo era stata rimandata fuori, poi è stata arrestata in treno e deportata ma. Quindi noi siamo andati nella casa della nonna, in Via Bronzetti 33 e, non so se questo c’entri tanto con il discorso dei bombardamenti ma io l’ho saputo vent’anni, trent’anni dopo che eravamo tornati indietro che la data era dopo il luglio, dopo la caduta del Fascismo e dopo la formazione della RSI, ma noi avremmo potuto essere stati tutti deportati, ma mia madre, siccome aveva fatto un matrimonio misto, senza conoscere la storia perché poi i particolari si sanno sempre dieci anni, vent’anni dopo, credeva di poter stare tranquilla perché lei aveva fatto matrimonio misto. In realtà [laughs] eravamo nella casa della nonna che è stata deportata e avremmo potuto essere stati tutti tranquillamente deportati, magari un po’ dopo perché matrimonio misto nelle leggi prevedeva intanto un atto successivo a quello del prendere anche le persone che avevano fatto matrimonio misto ma vabbè è stato un atto di pura incoscienza da parte di mia madre ma così è stato, è andata bene.
ST: Posso chiederle quindi la sua famiglia era composta, sua madre era quindi di origine ebraica?
AV: Mia madre era ebrea e mio padre era cattolico, era un buon cattolico napoletano e noi eravamo stati tutti battezzati, non subito, la mia prima sorella è stata battezzata dopo sei mesi ma poi via via siamo stati tutti battezzati. Quindi eravamo figli di matrimonio misto, battezzati. Quindi per la legge italiana c’era un certo tipo di legge, quindi saremmo stati non tanto noi figli non tanto sotto la legge perché eravamo stati battezzati alla nascita. Per le leggi tedesche il discorso era un po’ diverso.
ST: Posso chiederle se successivamente quando lei ha iniziato a crescere in famiglia si è riparlato della guerra, dei bombardamenti?
AV: Sì, altroché. Ci sono tutti i racconti della mia mamma, mio padre è morto nel ’54 e non ricordo racconti da parte sua. Però la mia mamma appunto raccontava, raccontava di come reagivano le mie sorelle. Il racconto della sorella maggiore che andava in balcone me l’ha fatto la mamma. Il racconto della prima sorella che si svestiva insonnolita perché non capiva perché dovesse vestirsi in piena notte, anche quello me l’ha raccontato mia madre. Ma direi che, il discorso dei bombardamenti forse era un discorso corale e non sento, non ricordo grande angoscia per quanto a proposito la nostra prima casa quella dove abitavamo nel ’40 quando siamo venuti via era stata bombardata, eravamo in via, vicino a Piazzale Susa, e infatti non non, quella casa non c’era più per quello che siamo andati poi nella casa della nonna. Ma, non, anche nei racconti di mia madre c’era qualcosa di superato, ma probabilmente perché il tutto è stato poi sovrastato invece, per molti anni, dall’angoscia della perdita della nonna, della mamma di mia mamma. La ricerca nei primi anni, sperando che tornasse, l'andare per le varie organizzazioni, scrivere, si parlava soprattutto di quello. Direi che io sono stata segnata più da questo che non dai bombardamenti. I bombardamenti erano una casa che avevamo vissuto tutti a Milano, per cui erano una specie di grande tempesta che era arrivata, l’avevamo passata tutti, qualcuno c’era rimasto sotto ma insomma non, ripeto non c’era angoscia in casa nostra per i bombardamenti. Tra l’altro allora, soltanto dopo ho percepito, ho fatto un po’ i calcoli, erano i bombardamenti degli alleati, non erano i bombardamenti dei tedeschi prima. E, anzi no nel ’43, sì nel ’43 erano gli alleati, certo certo. Ehm, che erano i nostri liberatori [laughs] per cui forse per questo non si protestava tanto.
ST: Quindi lei come bambina pensava a un bombardamento tedesco o non si dava spiegazioni?
AV: Da bambina, non c’era nemmeno il concetto di tedesco o di italiano, a cinque anni hai la famiglia, hai, non hai questo, forse in un’altra casa avrei potuto sentire le differenze, ma non, assolutamente no. Non, sono tutte, queste delle differenze, delle nazioni, sono tutte cose che ho sentito, ma che ho capito, non sentito, ho capito soltanto da adolescente, poi da adulta, prima assolutamente no.
ST: Si ricorda per caso durante i bombardamenti ad esempio, le sirene o comunque cosa succedeva?
AV: Ecco, quello che sapevo benissimo, giusto me l’ha fatto ricordare. Certo, le sirene le sentivo benissimo. E non solo, che andando in giro per la città, perché io andavo lì intorno, c’era, c’erano gli scantinati delle case, che avevano di fianco dei segni, grandi segni bianchi con delle grandi freccie bianche, che indicavano il rifugio, cioè in caso di bombardamento indicavano. Io anche allora sapevo che in caso di bombardamento era lì che si andava e questi segni sono rimasti poi per decenni sulle case, poi pian piano sono spariti, poi via via sono stati cancellati e al posto delle, di quelle finestrine basse che davano nelle cantine che c’erano nelle vecchie case, nelle nuove case non ci sono più, erano, son state messe poi le inferriate, poi tutto è stato dimenticato. Ma, certo le sirene me le ricordo bene io, certo.
ST: Ehm, lei si ricorda per caso, chi è che le aveva spiegato cosa bisognasse fare in caso di bombardamento, se…
AV: A me nessuno ha spiegato nulla perché ero piccola, ero protetta, ero molto protetta io. Ero la più piccola e quindi mi gestivano in caso di problemi. Non, io nulla sapevo, nessuno mi diceva niente, no, no.
ST: E si ricorda cosa facevate lei e le sue sorelle durante le ore che si passavano nel rifugio?
AV: Ho dei ricordi vaghi. Ricordo tante persone che si conoscevano tra di loro e non era neanche tanto buio, c’era un semibuio, forse una lampadina. Un po’ si chiacchierava, un po’ si taceva. Non ricordo di mio, poi ho saputo da altri racconti ma di mio non, non ricordo altre cose,se, cosa facessero, se qualcuno dormiva per esempio ma, sono cose che non ho, di cui non ho ricordo proprio. Ero piccola, cioè cinque anni. Di solito, beh oggi forse i bambini sono diversi perché cominciano prima ma allora i bambini erano molto, come dire, molto protetti dall’esterno, gli si raccontava molto poco, non aveva importanza di spiegargli le cose, dovevano fare quel che dicevano i genitori e basta, ecco, per cui. Poi le nozioni quindi non se ne hanno, si hanno solo delle impressioni, dei sentimenti, non molto altro.
ST: Quando, relativamente a quell’evento che raccontava di suo padre che venne mitragliato, che subì un mitragliamento al treno su cui stava viaggiando, anche di quello in famiglia come, rimase soltanto la paura di sua madre oppure ci fu anche un discorso attorno a quel fatto? Ci fu della rabbia, magari legata ai bombardamenti?
AV: No, non ricordo. Mia madre è rimasta molto spaventata ma non ricordo rabbia, ricordo molta paura. Mi ricordo quando la mamma a Ospedaletto Lodigiano era uscita, era andata a prendere il papà, ma era solo paura, non c’era rabbia. Devo dire che di rabbia nei confronti dei bombardamenti a casa mia non ne ho mai sentiti. Probabilmente proprio perché, ma è una mia ipotesi, venivano proprio percepiti da, come bombardamenti di qualcuno che ci veniva a liberare dai tedeschi. È possibile, però è una mia idea. Comunque sicuramente io non ricordo rabbia nei confronti dei bombardamenti, no.
AV: Certo. Beh, all’inizio della guerra eravamo, cosiddetti sfollati. Quando ci sono stati i primi bombardamenti, siamo sfollati nel Lodigiano, nella campagna del Lodigiano. Nel ’43, di quello non ricordo nulla. Io sono nata nel 1940, nell’ottobre, per cui sì, ricordo la campagna, ricordo un pochino la casa, ho dei flash, ma di bombardamenti non ricordo assolutamente niente. Ricordo invece quando poi siamo tornati a Milano dopo il ’43 e quando c’erano i bombardamenti noi eravamo in Via Bronzetti al 33. Eravamo mia madre, mio padre e le mie tre sorelle, io ero la piu piccola, quindi ero molto piccola, diciamo che avevo un massimo di cinque anni, che quando era finita la guerra avevo cinque anni. E non ho un ricordo di angoscia, di paura, forse perché ero molto piccola, forse perché i miei genitori hanno fatto di tutto per non trasmettermi la paura che sicuramente loro avevano, ma ho dei ricordi molto tranquilli di quel periodo. E quando, per esempio ricordo il Pippo, che era il famoso aereo da ricognizione che girava sopra Milano, e so che il Pippo, io non avevo ovviamente paura, ma so che il Pippo veniva guardato con preoccupazione. Per esempio, la mia sorella maggiore, Licinia, quando c’era il Pippo che sorvolava, andava nervosamente in balcone a mangiare, mamma diceva, pane e formaggio per la paura e per l’ansia. Io invece dei bombardamenti ho un ricordo quasi, non dico allegro, ma molto sereno, perché quando succedeva che dovevamo andare in cantina nel rifugio, mamma faceva vestire tutte quante e poi mi ha raccontato che vestiva mia sorella Cicci e Cicci, di notte, e Cicci si rispogliava un’altra volta e si metteva a letto e lei la doveva rivestire di nuovo. E mi prendeva sotto il braccio, non in braccio ma sotto proprio il braccio e mi portava giù per le scale, tutti quanti giù per le scale insieme ai vari abitanti della casa, tutti giù in cantina e giù in cantina si stava buoni e zitti. Della cantina ricordo molto bene l’odore di umidità e devo dire, tra, sa quel momento per me l’odore di umidità, non so come mai ma io l’ho sempre associato a qualcosa di simpatico. A me la cantina piaceva, forse perché era un diversivo, chissà mai no. Comunque, senso di angoscia mai, senso di pericolo mai. Io ho capito cos’era la guerra dopo, quando sono diventata più grande. Quando poi ho sentito che mia madre cercava dappertutto mia nonna, che era stata deportata e lei sperava ancora che tornasse. Sono cominciate le mie prime domande quando avevo sei anni. Prima assolutamente la guerra non, non mi hanno trasmesso i miei, sono stati capaci di non trasmettermi nessuna paura. Questi sono i ricordi che ho dei bombardamenti e direi che si chiude lì non ho, non ho altro.
ST: Se posso, come mai siete rientrati a Milano nel ’43?
AV: Era successo che mio padre, che noi eravamo a Ospedaletto Lodigiano, tutta la famiglia allargata perche noi famiglia eravamo, avevamo, mia madre aveva preso in affitto una, sopra una, piccolo appartamento sopra una trattoria ricordo bene il cortile c’era l’orto e invece mia nonna e anche mia zia erano andate vicinissime, cinquecento metri, ospiti in una cascina, avevano preso in affitto una stanza in una cascina. Mio padre, una volta la settimana, mio padre, che faceva l’archivista della Prefettura, una volta la settimana prendeva il treno e veniva a trovarci. Una volta c’è stato un mitragliamento dagli aerei e hanno mitragliato il treno, mio padre è rimasto ferito, mia madre gli è andata incontro con, lui l’avevano portato su un carretto perché allora c’era poco altro con la gamba ferita e da quel momento mia madre ha deciso che saremmo tornati tutti a. Siamo andati in Via Bronzetti 33 perché mia nonna nel frattempo era stata portata, perché eravamo venuti via tutti, mia nonna era stata portata da mio zio in, alla frontiera svizzera e l’avevano presa, lui quindi era tornato indietro tranquillo, tutti noi credevamo, pensavamo che la nonna fosse in Svizzera e quindi la mamma, poi in realtà la nonna il giorno dopo era stata rimandata fuori, poi è stata arrestata in treno e deportata ma. Quindi noi siamo andati nella casa della nonna, in Via Bronzetti 33 e, non so se questo c’entri tanto con il discorso dei bombardamenti ma io l’ho saputo vent’anni, trent’anni dopo che eravamo tornati indietro che la data era dopo il luglio, dopo la caduta del Fascismo e dopo la formazione della RSI, ma noi avremmo potuto essere stati tutti deportati, ma mia madre, siccome aveva fatto un matrimonio misto, senza conoscere la storia perché poi i particolari si sanno sempre dieci anni, vent’anni dopo, credeva di poter stare tranquilla perché lei aveva fatto matrimonio misto. In realtà [laughs] eravamo nella casa della nonna che è stata deportata e avremmo potuto essere stati tutti tranquillamente deportati, magari un po’ dopo perché matrimonio misto nelle leggi prevedeva intanto un atto successivo a quello del prendere anche le persone che avevano fatto matrimonio misto ma vabbè è stato un atto di pura incoscienza da parte di mia madre ma così è stato, è andata bene.
ST: Posso chiederle quindi la sua famiglia era composta, sua madre era quindi di origine ebraica?
AV: Mia madre era ebrea e mio padre era cattolico, era un buon cattolico napoletano e noi eravamo stati tutti battezzati, non subito, la mia prima sorella è stata battezzata dopo sei mesi ma poi via via siamo stati tutti battezzati. Quindi eravamo figli di matrimonio misto, battezzati. Quindi per la legge italiana c’era un certo tipo di legge, quindi saremmo stati non tanto noi figli non tanto sotto la legge perché eravamo stati battezzati alla nascita. Per le leggi tedesche il discorso era un po’ diverso.
ST: Posso chiederle se successivamente quando lei ha iniziato a crescere in famiglia si è riparlato della guerra, dei bombardamenti?
AV: Sì, altroché. Ci sono tutti i racconti della mia mamma, mio padre è morto nel ’54 e non ricordo racconti da parte sua. Però la mia mamma appunto raccontava, raccontava di come reagivano le mie sorelle. Il racconto della sorella maggiore che andava in balcone me l’ha fatto la mamma. Il racconto della prima sorella che si svestiva insonnolita perché non capiva perché dovesse vestirsi in piena notte, anche quello me l’ha raccontato mia madre. Ma direi che, il discorso dei bombardamenti forse era un discorso corale e non sento, non ricordo grande angoscia per quanto a proposito la nostra prima casa quella dove abitavamo nel ’40 quando siamo venuti via era stata bombardata, eravamo in via, vicino a Piazzale Susa, e infatti non non, quella casa non c’era più per quello che siamo andati poi nella casa della nonna. Ma, non, anche nei racconti di mia madre c’era qualcosa di superato, ma probabilmente perché il tutto è stato poi sovrastato invece, per molti anni, dall’angoscia della perdita della nonna, della mamma di mia mamma. La ricerca nei primi anni, sperando che tornasse, l'andare per le varie organizzazioni, scrivere, si parlava soprattutto di quello. Direi che io sono stata segnata più da questo che non dai bombardamenti. I bombardamenti erano una casa che avevamo vissuto tutti a Milano, per cui erano una specie di grande tempesta che era arrivata, l’avevamo passata tutti, qualcuno c’era rimasto sotto ma insomma non, ripeto non c’era angoscia in casa nostra per i bombardamenti. Tra l’altro allora, soltanto dopo ho percepito, ho fatto un po’ i calcoli, erano i bombardamenti degli alleati, non erano i bombardamenti dei tedeschi prima. E, anzi no nel ’43, sì nel ’43 erano gli alleati, certo certo. Ehm, che erano i nostri liberatori [laughs] per cui forse per questo non si protestava tanto.
ST: Quindi lei come bambina pensava a un bombardamento tedesco o non si dava spiegazioni?
AV: Da bambina, non c’era nemmeno il concetto di tedesco o di italiano, a cinque anni hai la famiglia, hai, non hai questo, forse in un’altra casa avrei potuto sentire le differenze, ma non, assolutamente no. Non, sono tutte, queste delle differenze, delle nazioni, sono tutte cose che ho sentito, ma che ho capito, non sentito, ho capito soltanto da adolescente, poi da adulta, prima assolutamente no.
ST: Si ricorda per caso durante i bombardamenti ad esempio, le sirene o comunque cosa succedeva?
AV: Ecco, quello che sapevo benissimo, giusto me l’ha fatto ricordare. Certo, le sirene le sentivo benissimo. E non solo, che andando in giro per la città, perché io andavo lì intorno, c’era, c’erano gli scantinati delle case, che avevano di fianco dei segni, grandi segni bianchi con delle grandi freccie bianche, che indicavano il rifugio, cioè in caso di bombardamento indicavano. Io anche allora sapevo che in caso di bombardamento era lì che si andava e questi segni sono rimasti poi per decenni sulle case, poi pian piano sono spariti, poi via via sono stati cancellati e al posto delle, di quelle finestrine basse che davano nelle cantine che c’erano nelle vecchie case, nelle nuove case non ci sono più, erano, son state messe poi le inferriate, poi tutto è stato dimenticato. Ma, certo le sirene me le ricordo bene io, certo.
ST: Ehm, lei si ricorda per caso, chi è che le aveva spiegato cosa bisognasse fare in caso di bombardamento, se…
AV: A me nessuno ha spiegato nulla perché ero piccola, ero protetta, ero molto protetta io. Ero la più piccola e quindi mi gestivano in caso di problemi. Non, io nulla sapevo, nessuno mi diceva niente, no, no.
ST: E si ricorda cosa facevate lei e le sue sorelle durante le ore che si passavano nel rifugio?
AV: Ho dei ricordi vaghi. Ricordo tante persone che si conoscevano tra di loro e non era neanche tanto buio, c’era un semibuio, forse una lampadina. Un po’ si chiacchierava, un po’ si taceva. Non ricordo di mio, poi ho saputo da altri racconti ma di mio non, non ricordo altre cose,se, cosa facessero, se qualcuno dormiva per esempio ma, sono cose che non ho, di cui non ho ricordo proprio. Ero piccola, cioè cinque anni. Di solito, beh oggi forse i bambini sono diversi perché cominciano prima ma allora i bambini erano molto, come dire, molto protetti dall’esterno, gli si raccontava molto poco, non aveva importanza di spiegargli le cose, dovevano fare quel che dicevano i genitori e basta, ecco, per cui. Poi le nozioni quindi non se ne hanno, si hanno solo delle impressioni, dei sentimenti, non molto altro.
ST: Quando, relativamente a quell’evento che raccontava di suo padre che venne mitragliato, che subì un mitragliamento al treno su cui stava viaggiando, anche di quello in famiglia come, rimase soltanto la paura di sua madre oppure ci fu anche un discorso attorno a quel fatto? Ci fu della rabbia, magari legata ai bombardamenti?
AV: No, non ricordo. Mia madre è rimasta molto spaventata ma non ricordo rabbia, ricordo molta paura. Mi ricordo quando la mamma a Ospedaletto Lodigiano era uscita, era andata a prendere il papà, ma era solo paura, non c’era rabbia. Devo dire che di rabbia nei confronti dei bombardamenti a casa mia non ne ho mai sentiti. Probabilmente proprio perché, ma è una mia ipotesi, venivano proprio percepiti da, come bombardamenti di qualcuno che ci veniva a liberare dai tedeschi. È possibile, però è una mia idea. Comunque sicuramente io non ricordo rabbia nei confronti dei bombardamenti, no.
Collection
Citation
Sara Troglio, “Interview with Adriana Ventriglia,” IBCC Digital Archive, accessed December 12, 2024, https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/collections/document/512.
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