Interview with Carla Griva

Title

Interview with Carla Griva

Description

Carla Griva (b. 1935) describes different attitudes and various coping strategies of people inside a shelter in Turin: reciting the rosary, putting their hands over their ears to avoid listening, storytelling, and asking children to practice multiplication tables. Remembers an old man who continued sleeping in his own bed in spite of bombing and gives an account of how he was accidentally killed in the last days of war.

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00:05:46 audio recording

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Contributor

Identifier

Memoro#725

Transcription

CG: Dunque eeh il mio ricordo va un po’ indietro all’epoca della guerra quando vicino al mio caseggiato c’era quel cerchio bianco con la R in mezzo che voleva dire ‘rifugio’. Non erano rifugi, erano, era un cortile, un corridoio di una cantina adibita a rifugio con delle panche dove purtroppo quasi tutte le sere quando suonava la guerra, l’allarme eh andavamo in cantina. Io ero piccolina e quella cantina c’erano delle scene: c’era una signora, mi ricordo, che era terrorizzata, si metteva due mani nelle orecchie così e fin quando non era finito l’allarme bisognava dirle ‘Guardi che è ora di andare sopra’ perché lei non si muoveva più. C’era l’altro terrorizzato in altro modo, prendeva il rosario, continuava a dire il rosario. Mia mamma invece raccoglieva noi piccolini in un angolino al fondo della cantina e ci raccontava le favole tanto per distrarci un pochino. Però queste favole non sempre riuscivano a distrarci perché noi abitavamo vicino alla Superga (che poi è diventata Pirelli) e tutte le sere c’erano le bombe, c’erano boati proprio, si sentivano gli apparecchi arrivare, bom bom quel suono cupo e poi le bombe. E quando le bombe erano più vicine le storie di mia mamma non bastavano più, allora mia mamma aveva escogitato un'altra cosa, diceva ‘Adesso basta storie bambine, domani dovete andare a scuola: studiamo le tabelline’ e ci impegnava facendoci dire a tutti le tabelline in continuazione. Però anche le tabelline per me non bastavano, ero terrorizzata per un fatto, noi abitavamo al primo piano, di fianco a noi c’era un signore lui era milanese però era venuto ad abitare a Torino perché sua figlia lavorava anche lei alla Superga dove lavorava mio papà, erano compagni di lavoro. E questo signore che aveva pressappoco l’età di mio padre, di mio nonno scusate, eeeh io lo amavo in un modo infinito anche perché all’epoca della guerra mio nonno non abitava a Torino e le possibilità di andarlo a trovare erano poche, i mezzi di trasporto erano pochi e allora per me era come, lui mi voleva un bene dell’anima e io lo ricambiavo in questo modo. Però cosa succedeva, che in mezzo a tutte ste bombe, tutta sta paura, questo signore era tranquillamente nel suo letto che dormiva perché non è mai voluto alzarsi in tempo di guerra. Mio papà gli diceva ‘Signor (beh diciamo signor G. per non fare il nome) eeh venga in cantina’ anche alla figlia gli diceva ‘Cerchi di convincerlo mio papà ad andare in cantina’. E lui serio serio ha sempre detto queste parole ‘Senti Andrea, tu, tua moglie, tua figlia, la Carletta (che sarei io) la vedete la fine della guerra, io non la vedo, lasciatemi dormire’ e non si è mai alzato. Io tutto il periodo che stava in cantina tremavo dicevo ‘Ah nonno G, nonno G, nonno sopra’. Come arrivavo sopra al mattino, come mi svegliavo prima di andare a scuola andavo a bussare alla porta lo abbracciavo, lo baciavo, ah c’era ancora anche stamattina c’è ancora. E questo è andato avanti per tutto il periodo della nostra guerra. Quando il 26 di aprile sono finite tutte tutte le cose che son finite, che si credeva fossero finite ma, a Madonna di Campagna ial 26 aprile si combatteva ancora, eeeh questo signr Gibelli lui aveva l’abitudine di andarsi a fare la passeggiata, era un pensionato, andava a fare la passeggiata. Il 26 di aprile a Madonna di Campagna dove c’era la Pirelli allora, praticamente la Pirelli era quasi al limite di Torino, c’era la Strada delle Campagne, la chiamavano così perché era proprio in campagna dall’altro lato c’era un convento, c’erano delle casette e poi incominciava la boscaglia che degradava verso la Stura. In questa boscaglia si erano piazzati i tedeschi con le mitragliatrici che cercavano di di di far andar via, di vincere sti operai per poter impossessarsi della fabbrica. Gli operai, aiutati dai partigiani che erano scesi dalla Val di Lanza armati, erano tutti sul tetto, la Superga allora era due piani con un tetto piano e un parapetto che sembrava quasi un balcone, erano piazzati dietro questo parapetto e per tutta la giornata del 26 e c’è stata una schermaglia tra gli operai della Pirelli, della allora Superga e questi tedeschi che erano nella boscaglia. Questo signore che non sapeva niente poverino piglia su e va a farsi la passeggiata in Strada delle Campagne il 27 era tutto finito, ma lui l’hanno mitragliato il 26. Questo è il ricordo che ho.
Unknown interviewer: Il ricordo che ha.
CG: Il ricordo più brutto che ho della mia vita è questo, che lui aveva detto ‘Io la guerra non la vedo finita e non l’ha vista finita’. Nonno Gibelli se n’è andato il 26 di aprile, di aprile, il 27 tutti festeggiavano la, la liberazione praticamente ma nel nostro borgo piangevamo tutti un caro amico che non c’era più.

Citation

Luca Novarino, “Interview with Carla Griva,” IBCC Digital Archive, accessed April 23, 2024, https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/collections/document/261.

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