Interview with Alessandra Rivalta

Title

Interview with Alessandra Rivalta

Description

Alessandra Rivalta recalls her early life, first as member of Opera Nazionale Balilla then as an undergraduate student at the faculty of humanities. Describes the start of the war, early anti-aircraft precautions and wartime life: food shortage, make-do, petrol rationing, lacking of running water, disrupted railway and bus links. Describes the bombing of Borgo Panigale and the droning sound of bombers, stressing the general mistrust for both domestic shelters and dugouts. Remembers using tunnels and the towers of Bologna as public shelters. Mentions news bulletins of Colonel Harold Stevens aired by Radio London, including coded messages for partisans. Remembers the fall from power of the Italian Fascist government in July 1943 and the feeling of trampling on lapel pins on the pavements. Describes how she and her family narrowly escaped the severe Montagnola bombing: outlines the role of wardens and life under the bombs; remembers a person playing always the same piano piece again after the all-clear signal, as way to cope with tension. Mentions Pippo as friendly and reassuring presence in the later stages of war, mainly dropping flares. Stresses the pacific coexistence with Germans and Austrian militarised railwaymen, mentioning acts of kindness, comradeship and humorous situations. Describes the end of the war marked by columns of lorries heading north and troops throwing away arms: provides details on the arrive of allied forces. Remembers life in post war Italy: the Triangolo della morte (death triangle), a zone were people accused to be fascist sympathisers were killed, the 1946 Italian constitutional referendum, politics in the early years of the republic. Summarises life in wartime as the survival of the fittest, an ordeal that greatly increased the resilience of his generation. Contrast her fearless, can-do attitude with the approach of other family members, portrayed as being prone to fear, anxiety, panic and despair.

Creator

Date

2016-11-21

Coverage

Language

Type

Format

01:26:48 audio recording

Rights

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Contributor

Identifier

ARivaltaA161121

Transcription

GF: Ok Alessandra, possiamo incominciare, eeh che ricordi ha di prima della guerra, che cosa faceva, cosa faceva la sua famiglia, se ha voglia di raccontarmi un po’ quel periodo, prima della guerra.
AR: Prima della guerra eh studiavo al liceo, ero al liceo scientifico, però io mi sono laureata in Lettere: spiego subito perché. Amavo le lettere, ero andata al liceo scientifico proprio per sbaglio, perché era più vicino e allora si pensava è più comodo eccetera. Poi preso il liceo, ehm la, conseguita la maturità scientifica, saltai l’ultimo anno per fare più presto, a luglio feci la maturità scientifica, a settembre feci la maturità classica. Fui promossa, mi iscrissi a Lettere, gruppo classico, perché volevo fare il greco anche quindi. [pause] Poi nel 1943, quando venne il primo bombardamento a Bologna, lasciammo Bologna, perché noi avevamo una villetta molto, in linea d’aria molto vicina alla stazione, quindi era una zona pericolosa e infatti fu distrutta. Per cui noi prima lasciammo Bologna, e ci trasferimmo in un paese a Crevalcore, circa a 30 chilometri da Bologna, dove andammo ad abitare in una villa che era di un amico di mio padre, ehm Villa Due Leoni si chiama, molto bella del ‘700 che aveva un enorme parco davanti, che poi fu occupato in parte dai tedeschi, dove nascondevano sotto gli alberi dei carriarmati [sic]. Quindi non era più neanche tanto sicura però non, lì non è mai successo niente. [pause] E poi, e prima, e dopo comincia, comincia la vera guerra. Prima della guerra avevamo sopportato un periodo non bello perché c’erano state le sanzioni, quindi c’era mancanza di, di pane, di latte, di carne, cioè era tutto contingentato. Avevamo delle, diciamo delle tessere, le tessere annonarie si chiamavano, con tanti bollini e ogni giorno potevamo prelevare eeh un tot di pane, un tot ogni persona. In campagna si poteva vivere un po’ meglio perché, pagando a borsa nera [laughs], si riusciva ad andare, a sbarcare il lunario diciamo. Per esempio il pane (che era molto poco quello che ci davano e anche poco buono) ce lo facevamo in casa comprando dai contadini la farina, dopo di che si andava, si faceva il pane, poi si portava al fornaio in paese a fare cuocere. Questo, questo è stata, non so, c’era per l’acqua per esempio: non c’era l’acqua in casa, quindi bisognava prenderla dal pozzo e poi dopo portarsela, portarsela su nelle stanze dove, dove ci si, dove ci si lavava. Per berla, per essere sicuri, dovevamo invece andare in una fontana che era in una località vicina molto alla villa, bho saranno stati 200 metri, e prendere l’acqua, ne prendavamo [sic] una damigiana e poi man mano la consumavamo. Questa era, io sfollai insieme ai miei genitori e poi di tanto in tanto andavo a Bologna quando c’erano gli esami, purtroppo perché non si poteva fare altro. Delle volte riuscivamo andare anche ad andare alle lezioni, però erano sempre interrotte dagli allarmi, da una cosa, dall’altra, quindi. E poi anche andare era diventato difficile e anche pericoloso. Perché i tedeschi, no gli americani, eh si, gli americani, cercavano di bombardare la linea di Crevalcore che era la linea Verona-Bologna, per interrompere insomma appunto, insomma le comunicazioni e infatti poi fu bombardata, mi presi anche io un bombardamento. Ecco, questo è l’antefatto. Mio padre era un ingegnere, e purtroppo anche lui con la guerra smise praticamente il lavoro, perché, lui lavorava fra l’altro per una società di assicurazioni e quindi era, la centrale era a Torino, per cui ormai il lavoro non c’era più. E anche come ingegnere, lavorando privatamente, in quel momento, che costruiva? Per cui io, mia madre e mio padre ci trasferimmo a Bologna, le mie sorelle che invece lavoravano già a Bologna, perché una era segretaria all’intendenza di finanza, l’altra lavorava all’ufficio borsa del Credito Italiano e rimasero, dovevano rimanere lì per lavorare perché erano militarizzati tutti eh, cioè non si poteva abbandonare il lavoro, io come studentessa potevo farlo ma loro no. Per cui loro rimasero a Bologna, per un po’ dove abitavamo noi, poi diventò troppo pericolosa la zona e allora si trasferirono in centro. E anzi, poi si trasferirono in questa casa, che era la casa di mia zia, non qui nell’altro appartamento.
GF: Rimanendo un attimo su questo periodo prima.
AR: Questo è il periodo prima.
GF: Esatto.
AR: Prima dei bombardamenti.
GF: Prima dei bombardamenti, a Bologna.
AR: A Bologna brava, perché in altri posti magari.
GF: No, sono molto interessata a, ehm al fatto che lei facesse l’università, perché non era una cosa così comune fra le donne.
AR: Facevo il primo anno.
GF: C’erano tante donne iscritte?
AR: A lettere più che altro.
GF: A lettere.
AR: Non abbiamo quei numeri che ci sono adesso.
GF: Certo.
AR: Però a lettere erano quasi, quasi tutte donne, però c’erano anche anche vari uomini, però i ragazzi cominciarono dopo a non frequentare più perché se no venivano arruolati, quindi non si facevano vedere. Per cui, comunque, si frequentava ecco, per quanto si poteva. Dopo dovevi poi smettere perché ripeto bisognava andare avanti e indietro, venne interrotta la linea perché fu bombardata, e allora diventava una cosa, bisognava andare in bicicletta. Varie volte ho fatto Bologna Crevalcore e viceversa in bicicletta in un giorno, però, trenta e trenta sessanta, insomma: ero una ciclista provetta. Quindi posso dire [laughs] ma per il resto era un po’ faticoso ecco, e anche pericoloso eh? perché passavano lungo la Persicetana che andava a Verona, passavano tutte le file di carri armati tedeschi e infatti molte volte miravano a quelli. Mi son presa vari allarmi, che poi bombardavano a Bologna e io c’ero in mezzo fra Bologna e Crevalcore. Però dopo poi son venuti i bombardamenti anche a Crevalcore, purtroppo.
GF: E si ricorda quando è scoppiata la guerra?
AR: Quando scoppiò la guerra?
GF: Sì, cioè cosa stava facendo, le emozioni che ha provato.
AR: Beh allora, proprio, ero, frequentavo il liceo, era il Liceo Righi, che allora era in piazza San Domenico. Dopo poi ci trasferimmo nel liceo attuale. Quando scoppiò la guerra, non ci rendemmo forse neanche conto tutto di quello che sarebbe - . Intanto, si pensava fosse una cosa breve, nessuno pensava che durasse tanti anni. In secondo, non si aveva, non si conoscevano i bombardamenti, per cui si ricordava sempre la guerra di una volta, non so i nostri genitori parlavano della guerra del ‘15-’18, ehm che era stata una guerra terribile, però i civili, sono stati toccati meno, diciamo, le retrovie. E allora, non, io mi ricordo che, non so, ci facevano, dicevano di portare, di farli noi, o farli fare alle madri, che erano più brave di noi, non so, calzettoni di lana da dare ai soldati, da dare, ecco, io mi ricordo, questo molto. Però non era la prassi [?]. Ecco si sentiva nel senso che c’era il coprifuoco, quindi la sera doveva essere tutto oscurato, mettere le tende, oppure tutti fogli di carta blu nei vetri, perché non si, poi non tener la luce accesa, perché non, non si vedesse, magari adesso se c’è la luce o non la luce vedon lo stesso, ma allora si pensava di potersi premonire, poi c’è il coprifuoco, dopo una certa ora non si poteva più uscire. Ricordo che tutta via Indipendenza, tutta quelle zone lì avevano, mettevano lungo i portici dei gran sacchetti di sabbia, che dovevano (non si aveva l’idea di cosa fossero veramente i bombardamenti) dovevano salvaguardare se magari uno si trovava lì, insomma ma, ripeto, non avevamo l’idea di cosa sarebbe stato il vero bombardamento. Io ricordo che a Bologna il primo bombardamento che però non so se cadde una bomba o due, poi dopo sfollammo, lì in via Agucchi, da Borgo Panigale, prima di Borgo Panigale, ma fortunatamente non fece vittime. Non so, si danneggiò una parte di casa, ma non, non ci furono né morti né feriti. E io ricordo che noi eravamo ancora nella nostra casa lì vicino alla stazione. Mia madre e mia sorella maggiore, avevano una paura spaventosa, eravamo in tre sorelle noi, l’altra pure ma un po’ meno, ma mia madre e mia sorella erano una cosa tragica. Erano un peggio loro dei bombardamenti. E mi ricordo che allora, quando suonava la sirena, si scappava fuori, andavam nei rifugi. Ma eran rifugi che eran delle trappole perché o si andava in cantina, figurarsi con le bombe che vengono giù la cantina cosa serviva. Oppure si doveva andare ai rifugi pubblici, che bisognava raggiungere correndo dove erano, ma erano, non so, scavati magari in un giardino, come una buca che si andava dentro ma se veniva una bomba non si, era peggio perché io ho conosciuto della gente che è morta così, rimanevano schiacciati dentro, ma ripeto, e si andava dove, i rifugi sicuri erano pochi. Per esempio ce n’era uno qua, proprio in via Alamandini, un po’ più su, che dice che ancora, adesso è chiuso, si andava sotto al monte, proprio qui c’è una specie di colle, si infilava lì, e allora quello era abbastanza sicuro. Come anche alla Montagnola perché andavano sotto, odio, una bomba può penetrare giù parecchi metri, però era sicuro ma se gli altri, mmm erano, delle trappole proprio. E ricordo che allora noi, siccome lo diedero all’ultimo momento, scappammo di corsa nel giardino, c’era un giardino-orto molto grande, dietro la villetta, adesso c’han costruito, e allora noi scappammo lì dicendo ‘Beh siamo fuori dalla casa, se non prende proprio qua’. Solo che c’erano fiori e orto, perché allora non si trovava più niente, si coltivava, anche non solo i fiori ma anche tutto il resto. Di conseguenza ehm avevamo, diciamo, andavamo, ci buttavamo per terra. Io a un certo momento, volevo vedere, non so perché, ci si vedeva qualche cosa, ci si vedevano degli aerei o altro e m’alzai in piedi. Mia madre con la sua paura, che si era tutta messa, eeh sdraiata per terra che poi dico, se vien ‘na bomba, tu sia sdraiato, altro, vabbeh. E allora io stavo in piedi e lei disse: ‘Ma mettiti giù!’. Mi spinse giù, c’era un cactus, guardi le assicuro [laughs] fu peggio delle bombe. E andai a finire su quello, dico che è anche un lato comico nel bombardamento. Ad ogni modo ripeto questo è il pre, diciamo, il pre-bombardamenti. Dopo invece cominciarono i bombardamenti anche nello sfollamento, a Bologna e anche dove eravamo noi. A Bologna passavano, ricordo, le fortezze volanti, che noi, ancora adesso quando sento quel rumore, confesso che mi dà fastidio, facevano uuuuuuh in alto. Passavano, noi sapevamo che dopo un dieci minuti bombardavano a Bologna, cominciavamo a sentire il rumore, perché eran 30 chilometri, però in linea d’aria arrivava, poi lì ne scaricavano parecchie lì a Bologna. E poi vedevamo il fumo, che magari avevano colpito qualche cosa. Ecco, e allora, e mi ricordo quelli erano momenti brutti perché, noi abbiamo, io avevo le mie sorelle, insomma là, quindi, poi avevamo anche degli altri parenti, e allora si dice: ‘Oh mamma mia, dove hanno colpito?’. Per cui ripeto. Poi mi son presa invece io un vero bombardamento sulla testa proprio, che è stato tremendo quello. Ero andata, avevamo fatto il pane, siccome ero l’unica in casa mia oltre mio padre che sapeva andare in bicicletta ero quella che facevo [sic] i trasporti. Di conseguenza, all’una circa andai a prendere il pane per, dal fornaio che dovevo, me l’aveva, ce l’aveva cotto. Con la mia bella cesta del pane, tornavo a casa, a un certo punto suona la sirena: erano già lì gli aerei. Io mi trovavo in mezzo, ero uscita dal paese, avevo alle spalle la ferrovia, che era un loro obiettivo, a sinistra avevo la Ducati che era sfollata lì, e faceva pezzi, non faceva le moto, faceva pezzi si vede meccanici per la guerra non so, e alla destra c’era un silos, che quello non sarebbe stato pericoloso ma poi una specie di, di rotonda, di slargo con molti alberi, sotto i tedeschi avevano messo un sacco di carri armati. Io mi ci trovavo nel mezzo: alle spalle avevo la ferrovia e di qua e di là questi due obiettivi. Sento che cominciano a bombardare la ferrovia, poi cominciano ad arrivare invece sopra di me a bordo rasente, i mitragliatori, quelli che mitragliavano. Dove posso, io dove scappavo? Allora mi buttai in una scolina, quelle specie di fossi, che però era poco profonda, non era che riparasse molto ma non c’era altro. Appoggiai la bicicletta con la cesta del pane in mezzo, lì dalla strada vicino al fosso e io ci andai dentro, poi dissi: ‘Che Dio me la mandi buona’. Proprio mi arrivavano rasenti gli aerei così, poi mitragliavano, poi tornavano indietro, e poi tornavano ancora. E cosa dovevo fare? Aspettai e durò un bel pezzo, perché lì mitragliavano, dissi: ‘Adesso prendono anche me, a forza di mitragliare’, mi passavan sopra. Fortunatamente non mi feci niente, fu un miracolo proprio uscirne viva. Mia madre che era rimasta a casa e che era a, sarà stata la villa neanche a un chilometro dal paese, sì, no non era un chilometro. Figurarsi, vedeva che bombardavano, sapeva che ero proprio lì, cominciò dar a disperazione. Nella nostra villa, erano ehm, avevano occupato, una parte della villa che era molto grande, un comando tedesco di aviazione, e poi c’era, al piano terra avevano occupato un gran salone, degli altri soldati tedeschi che erano austriaci ed erano dei ferrovieri che erano stati arruolati, così dai tedeschi, ehm erano militarizzati. Conclusione: mia madre la vedono tanto disperata, che io quando ritornavo, con la, finito, dico: ‘Beh adesso ho salvato il pane è già molto’, mi ero, vedo arrivare due motociclisti tedeschi che mi fermano, dico: ‘Adesso ho scampato il bombardamento, mi arrestano i tedeschi’ [laughs]. Invece, questi poveretti diciamo, avevano, erano stati anche gentili, vista la disperazione di mia madre, erano venuti incontro per vedere cosa mi poteva essere successo. Me lo chiesero e dissi: ‘No, no, non mi son fatta niente, è andato tutto bene, tornate pure indietro a dare la lieta notizia’ e dopo arrivai io col pane, meno male che avevo salvato quello. Ecco, quello è un bombardamento che proprio me lo sono preso in pieno, non è che l’abbia sentito da lontano. Poi ne ho avuti altri di bombardamenti perché per esempio un’altra volta, ehm ero andata a Bologna proprio per fare un esame, ero ritornata indietro (in bicicletta naturalmente), non avevano ancora bombardato il ponte di Panigale [Borgo Panigale] che era una delle mete preferite perché era un collegamento, Bologna e la Persicetana, cioè poi andare, per andare a Verona. E mi ricordo che arrivò un allarme, ero andata, io ero andata, ero con mio padre, in bicicletta anche lui, solo che lui era più anziano e poi poveretto aveva il diabete. Quindi io sapevo che non poteva correre come potevo correre io, vero? Di conseguenza ci trovammo sul ponte, con l’allarme, e io ero davanti e mio padre che arrancava che non ce la faceva. Allora, l’istinto era di scappare, di mettermi in salvo da qualche parte, nello stesso tempo non mi sentivo di lasciare mio padre. Allora tornai indietro, e poi dissi: ‘Dai vieni!’ e lo tirai così finché non riuscimmo a oltrepassare il ponte e ci mettemmo in un posto che era riparato, per modo di dire, comunque, era verso la campagna insomma. E infatti vennero, sganciarono qualche bomba ma un po’ più in là, per cui non, noi non, eravamo, rimanemmo indenni, diciamo. E dopo ci incamminammo di nuovo. Ripeto, ecco quindi, i bombardamenti, più o meno questa era la nostra impressione, ma devo dire che ogni volta variava. Perché dipendeva, delle volte si stava, ci si preoccupava per chi si sapeva che era sotto il bombardamento, altre volte eeh invece posso dire per esempio, anche quando si avvicinarono molto, anzi, a noi non entrarono gli americani, i primi furono gli inglesi che entrarono a Crevalcore. Poi gli inglesi andarono via e arrivarono gli americani. E infatti ricordo che i primi Alleati che arrivarono dentro da noi erano inglesi, ehm ricordo che, diciamo, a loro, insomma quando, dovevano, stavano per arrivare, mi ricordo che cominciò a venire, e veniva spessissimo, un, Pippo. Dunque Pippo era un aereo piccolino, ma ormai era diventato un amico perché non faceva niente, veniva, arrivava sempre verso le dieci di sera, buttava giù dei razzi, illuminava a giorno, pareva ci fosse il sole, tutta la zona, poi se ne andava. E lo chiamavano Pippo tutti, era un inglese quello, m’han detto. Quindi questo Pippo che era diventato un amico ormai, ecco quello non dava fastidio tanto è vero dicevamo ‘Qui ormai son le dieci, arriva Pippo’ infatti Pippo arrivava. Buttava questi razzi, evidentemente voleva esplorare se c’erano, e pensare che i carri armati erano tutti sotto quegli alberi vicino alla villa, ma si vede che non li ha mai visti, non si vedevano perché erano, erano tutti coperti. Ricordo per esempio che quando arrivarono gli inglesi, perché entraron loro, c’era la strada, sa quelle strade di campagna tutte polverose. E quindi arrivarono queste persone che non si sapevano se erano persone o se erano di gesso, perché erano coperti di, di polvere bianca, poveretti. E arrivarono due da noi che volevano da mangiare, avevano fame. Il guaio è che noi non avevamo niente, perché anche noi ormai eh, c’era poco. E avevamo delle uova, e allora mia madre dice: ‘Se volete delle uova, ve le diamo’. E demmo, facemmo delle uova fritte, cotte al tegame, ma ne mangiarono cinque o sei a testa, gli ho detto ‘Ma mamma, che fame avete?’ [laughs]. E quindi, dopo di che poi loro andarono via, ma son stati poco gli inglesi da noi, due o tre giorni. Dopo arrivarono gli americani, proprio, quindi. E ricordo per esempio l’episodio, della guerra che va nel comico: noi avevamo un gatto, un gatto che si chiamava Teresa. No, non era una gatta, premetto, però quando ce lo diedero dissero che era una gatta, me lo diedero piccolino piccolino: ‘È una gatta’ e allora io allora ero una bambina perché me lo diedero che avrò avuto nove anni, e non so perché, la chiamo Teresina, chissà perché. E dopo lei era rimasta Teresa, era diventato un gattone enorme, bello, era un incrocio tra un angora e un gatto normale, la Teresa. Solo che la Teresa era una ladra matricolata, lei rubava a chiunque non guardava, niente, se uno era italiano, tedesco, americano, lei rubava. E non aveva fame, però rubava. Cosa succede? Che arriva un soldato tedesco, di quelli che avevano occupato la villa da noi, con un pezzo di carne e dice se potevamo cuocerglielo, fare un arrosto. Allora mia madre naturalmente non poteva dire no e poi non c’era motivo, non avevano fatto niente di male in fondo, poveretti. E allora dice: ‘Va bene, te lo cuocio’. Prepara accuratamente l’arrosto poi lo mette sulla, allora c’era il focolare nella cucina e la cucina economica, quelle cucine che andavano a legna, lo appoggia sulla cucina e copre il tegame. Poi noi avevamo la cucina in basso e le stanze in alto, dopo noi lasciamo la cucina, saliamo di sopra. Quando torna giù mia madre dice: ‘Aspetta bene, che tiro fuori l’arrosto così quando viene a prenderlo glielo do, lo preparo’. Apre il tegame: non c’era più niente. Beh ma il bello era che il tegame, era rimasto chiuso il coperchio! Beh ma chi l’ha preso? Chi l’ha preso? La finestra era chiusa, la porta era chiusa. Beh insomma, mia madre disperata, perché non sapeva la reazione di questo che avrebbe auto, perché la prima cosa pensava ce lo fossimo mangiati noi. Allora corre su dalla padrona di casa che si chiamava Gemma e fa: ‘Gemma, ma succede questo, ma chi può averlo preso?!’, e la Gemma fa: ‘Ma chi voi che l’abbia preso? Ma, Dio mio, ma’. Insomma, era, l’arrosto era sparito completamente. Allora mia madre dice, la Gemma fa: ‘Guarda, adesso dico alla contadina che prenda una gallina, una polastra [sic]’, e poi dopo dice ‘Facciamo arrosto quella, e li diamo a quelli’ e la mamma dice ‘Va bene, ma non posso mica dire che un pezzo di vitello è diventato una gallina!’ [laughs]. Dice: ‘Beh, inventiamo una storia’. E io le dico: ‘Senti mamma, dì che l’avevi bruciato, dici che è venuto male, è bruciato, ti ho fatto una galina’. Ah, oh! E allora così fece. Questo arriva, poveretto ripeto era una buona persona, non dava fastidio: ‘Ah sì sì, bene, bene’, prende la gallina e buona lì. Però a noi rimaneva il dubbio di dove era finito questo pezzo d’arrosto. La Teresa era scomparsa, non la vedevamo più, ma andava sempre in giro per i campi, quindi non ci facevamo caso. La sera dico: ‘Ma mamma, dov’è la Teresa?’ Beh, dov’è? Dov’è? La Teresa non c’era. Allora avevamo nella cucina, c’era un divano, mi chino sotto il divano e dico: ‘Non sarà mica andata a dormir qui sotto’. Vedo la Teresa là che dormiva, dico: ‘Teresa vieni, andiamo su andiamo su, andiamo a letto’. Era di sera, lei veniva su con noi nelle stanze. Teresa non si muoveva: ‘Beh ma dic,o cosa fa?’. Allora, continuava a, la tiro fuori di forza: era pesa! Aveva un pancione cosi! [laughs] Dopo saliamo la scala e dico ‘Mamma guarda dove è finito l’arrosto’. Non riusciva a salire le scale. Ma come abbia fatto a mangiarsi un arrosto intero, io non lo so. E poi al chiudere, al chiudere, si vede che ha messo la testa sotto, tirato fuori e il coperchio era caduto giù di nuovo. Ecco, per due giorni la Teresa non mangiò, te lo credo aveva mangiato l’arrosto dei tedeschi, quindi. Questo è un lato buffo della guerra [laughs]. A parte i lati, poi ce ne sono tanti, perché cosa volete, episodi ne sono successi tanti, alcuni che alla fine potevano quasi far ridere, altri invece che erano tremendi. Per esempio anche quando cominciarono, a appunto, quando stavano per arrivare gli americani, cominciavano a sparare i canoni [sic]. Cioè, gli americani si erano avvicinati, per cui sparavano coi canoni i tedeschi che scappavano più in là, cioè, putando verso Verona, quindi a loro puntavano, passavano su Crevalcore, non miravano a Crevalcore, però si sentiva la sera zzzzzz, zzzzzzzz, le palle di cannone, mi davano quasi più fastidio delle bombe delle volte, perché non sapevi se ti colpivano o no, perché dove, eh, ti sentivi, te li sentivi passare sulla testa. E poi dopo, quando arrivarono proprio, che occuparono il paese, piazzarono proprio un canone attaccato alla finestra della nostra, della casa, della cucina. Vi assicuro che c’era da impazzire. E sparavano col canone [sic], ora loro avranno avuto le cuffie, non lo so, tutto andava bene, ma noi, poveri mortali, posso dire, che era una cosa spaventosa. Io diventavo matta se continuava ancora un po’, ormai mi mettevo a sparare io, non ne potevo più [laughs] era una cosa terribile proprio. Per il resto, ripeto, poi dopo è finita la guerra, se Dio vuole, c’è stata la ricostruzione, è stata dura perché eravam rimasti tutti senza casa. Quindi dovemmo andare ospiti di una parente di mio padre, che aveva la casa grande che quindi fra l’altro, se non la affittava noi la occupavano degli altri, perché eravamo tutti, la maggior parte eravam rimasti senza casa. E poi dopo trovammo, dopo trovammo un’altra casa, ma ripeto, la nostra era andata completamente distrutta, una, proprio cinque bombe che andarono sulla casa, distrussero tutto tutto tutto. So che mia sorella, che era molto amante invece a differenza di me della matematica, vero? Era andata a vedere, quello che [unclear]: ‘Pensa, il tuo libro, ho visto tutti i libri sparsi’. Perché sfollando, avevamo portato via poco di quel che si poteva, perché non si trovava un mezzo di trasporto, dice: ‘Pensa, tutti i tuoi libri, ho visto tutti i tuoi libri di matematica sparsi là, per la, tutto per le macerie’. Dico: ‘Beh meno male che erano quelli di matematica’ [laughs]. Infatti quelli di lettere me li ero portata via con me, quelli di italiano, di greco, di latino, quelli me li ero portati con me. Avevo lasciato là matematica, fisica, tutte le materie scientifiche, ne avevo già avuto abbastanza al liceo scientifico, basta. Per i miei gusti era sufficiente [laughs]. Quindi non so.
GF: Se posso tornerei un attimo ai bombardamenti.
AR: Ai bombardamenti.
GF: Ai bombardamenti. Le volevo chiederle se si ricorda proprio quello che facevate, da quando sentivate eeh la sirena, a quando andavate nel rifugio e poi come si svolgeva il tempo che dovevate passare nel rifugio, cosa facevate quando eravate nel rifugio.
AR: Ecco, questo era difficile sapere il tempo perché andavamo con la sirena.
GF: Ok.
AR: Cioè suona, dunque, intanto c’era il capo caseggiato, cioè una persona che doveva, civile, che doveva avvertire quando suonava l’allarme, doveva avvertire la gente di scappare via, se qualcuno per caso non aveva sentito, ecco diciamo così. Di conseguenza, noi come suonava l’allarme scappavamo. Se uno aveva il tempo scappava, in un rifugio; se non ne aveva il tempo perché magari cominciassero a bombardare, dovevamo magari semplicemente o andare in cantina o a noi conveniva più andare all’aperto, nell’orto e poi si vedeva, ecco sperando bene. Per cui questi, dopo, quando l’allarme era finito, suonava di nuovo la sirena e allora voleva dire che si poteva uscire e rientrare. Che poi siccome generalmente, succedeva di sera, di notte, succedeva che nessuno dormiva più. Perché cosa vuoi, fra l’eccitazione della, la paura che si era avuto prima, la paura che si aveva dopo, è vero, non. E poi niente, dopo si viveva sempre così, perché potevi essere fuori per la strada, ti arrivava l’allarme, andavi nel primo rifugio. Per esempio tante volte mi sono trovata, quando andavo a lezione, magari in centro, suonava la sirena, andavo nella torre, che adesso mi pare che sia la Torre Prendiparte, e andavo lì dentro e con me anche gli altri, e le torri dicevano che era un rifugio sicuro. Boh, non so poi quanto ma insomma. Va beh, si magari, è una, un edificio leggermente piccolo, va verso l’alto, non lo so. Effettivamente, non sono mai state colpite perché anche l’Asinelli e la Garisenda non son mai state colpite. Ecco sono andata spesso dentro a quel rifugio lì. Per esempio nel, mi pare che fu il 25 settembre, mi pare sia stato, ehm quando ci fu un massacro qui a Bologna alla Montagnola. Perché lì diedero l’allarme tardissimo, quindi c’era via Indipendenza piena di gente, la stazione la gente arrivava, per cui era, proprio c’era un sacco di gente, l’allarme lo diedero tardi, cominciarono a bombardare via Indipendenza, la stazione che c’era la gente che non era nel rifugio, quindi lì ci fu un massacro proprio, è stato, non so se ci furono ottocento morti, una cosa tremenda. E ricordo che le mie sorelle, si trovavano proprio in quei pressi, e mio padre era venuto a Bologna, e ritornava invece in stazione a casa, era, tornava a casa. Fortunatamente il babbo era già partito prima, per cui si trovava già fuori Bologna, e le mie sorelle si erano già spostate un po’ dalla stazione. Però dice che si presero, quando cominciarono le bombe, perché le bombe son pericolose anche per l’urto, a volte una prende l’urto che ti sbalzano chissà dove, però non si fecero niente. Ma fu, lì fu una cosa tremenda proprio, lì son morte tante persone e distrussero via Indipendenza, via Indipendenza, via Ugo Bassi, San Felice, tutta quella zona lì. Tu andavi, vedevi i muri, prima che non fosse successo niente, era semplicemente in piedi la facciata, di dietro era il vuoto. E furono toccate lì via Marconi, via Indipendenza, via San Felice, tutte le zone che erano fra la stazione e Panigale perché era la zona che portava a Verona. E allora loro miravano al ponte di Panigale che poi lo distrussero. Dopo, poi gli americani ne costruirono uno provvisorio mi ricordo, in ferro, che poi dopo è stato ricostruito di nuovo il ponte che c’è adesso insomma. E prima quando fu bombardato, avevano fatto una passerella di legno sul Reno, che ondeggiava tutta così. Io mi ricordo [laughs] a me che dà fastidio ondeggiare di qua e di là, mi ricordo che dovevo passare con la bicicletta. Poi portavo con me sempre dei viveri da portare alle mie sorelle che noi li compravamo in campagna, quando andavo vero? Magari a lezione o magari o per fare un esame e dovevo passare su questa passerella strettissima così, che c’era di qua e di là due corde, e poi dopo si passava, si passava il fiume, il Reno. Per me era un incubo quella passerella. Dopo fortunatamente costruirono il ponte, ma questo fu fatto dopo, finita la guerra. Quindi, la vita eh si viveva, lì a Crevalcore, e purtroppo io studiavo, suonavo la fisarmonica, quando, allora, adesso non saprei più suonarla [laughs]. Ma comunque ehm, le altre mie sorelle, le altre mie sorelle erano rimaste là. A un certo però, ehm, una delle mie sorelle si sposò e lei rimase a Bologna. L’altra invece, lasciarono che chi voleva poteva sfollare, provvisoriamente abbandonare l’ufficio insomma e, perché tanto, anche in borsa, anche alla banca ormai non facevano più niente. E allora lei che aveva una paura santissima, è vero? Venne anche lei, a Crevalcore. Quindi eravamo rimasti una parte a Crevalcore e un’altra mia sorella che si era sposata invece. Ecco ricordo, per esempio, che invece che quando mia sorella si sposò, fu nel ’44. Ehm, e anzi noi eravamo sotto la parrocchia sarebbe stata di Sacro Cuore, Sacro Cuore è attaccata alla stazione, di conseguenza non era molto da scegliere, come chiesa per un matrimonio, perché poteva scoppiare un bombardamento all’improvviso, e allora lei chiese di sposarsi qui nella cappellina nostra, noi abbiamo una cappellina qui nella chiesa, qui a, dove c’è, c’è la quella croce con San Procolo e poi c’è di fronte, adesso non è più, l’hanno sconsacrata, ma prima era una cappellina a tutti gli effetti, insomma una chiesa a tutti gli effetti. Insomma si sposò lì. Poi il rinfresco, si fa per modo di dire, perché non si trovava niente, è vero? L’andammo a fare in via d’Azeglio, considerata zona abbastanza sicura, perché avevano fatto “Bologna città bianca” cioè il centro storico insomma non doveva essere toccato. E andammo lì, mi pare che fosse allora Zanarini o Maiani, non so, allora, lì. C’era questo, questo caffè bar che aveva il salone anche per, diciamo, per i matrimoni, dove naturalmente ci diedero del cacao che era sintetico, perché il cacao non si trovava più, eh insomma era tutto, tutto sintetico [laughs] però, e lì non ci furono allarmi. Poi ripeto invece fu tremendo il viaggio per andare in là perché la stazione, la ferrovia non funzionava più. Di conseguenza dovemmo venire con un furgoncino di un lattaio che portava il latte a Bologna. In questo furgoncino che però era piccolo, non ci si stava in più di tre perché c’era il conducente, c’ero io, c’era mia madre. Poi rimaneva mio padre poveretto. Il furgone era occupato tutto dai bidoni del latte e allora lui fece tutto il viaggio aggrappato di fuori sul predellino, attaccato, ecco questo fu il viaggio. Sì era una vita impossibile ecco. Un’altra volta mi ricordo, io tornavo da un esame, dell’, all’università, era, allora la ferrovia ancora funzionava era tardi, d’inverno ma era già buio e ricordo che a metà strada, prima di Crevalcore, dopo San Giovanni in Persiceto, saranno stati a un tre chilometri da Crevalcore. Arriva su all’improvviso un gruppo di tedeschi, soldati tedeschi ‘Raus, raus, raus!!’. Ci caccian fuori tutti. Era d’inverno, c’era la neve, ci troviamo tutto questo gruppo di gente che deve scendere e si trova lì in mezzo alla campagna così al buio perché allora non si poteva mica. Allora cosa rimane da fare? Andiamo a piedi! Quindi attraverso i campi, perché nella strada passavano continuamente i carri armati tedeschi con i panzer, i famosi. Eh cominciamo ad andare man mano, fortuna che almen l’eravamo un gruppo, e a piedi, in mezzo ai campi riuscimmo poi ad arrivare a casa. Sì, si son fatte delle vite che veramente, che a parlarne adesso sembra incredibile quello che abbiamo fatto. È per quello che siamo vissuti tanto noi della nostra epoca perché chi è sopravvissuto allora [laughs] dimostra una certa resistenza, ecco. Quindi sì, la vita era questa, ma anche prima, prima della guerra era già, specialmente per i giovani, una vita molto sacrificata. Perché intanto era venuta la proibizione di riunirsi in più di quattro o cinque, per cui guai fare, pensare fare, pensare di fare delle feste uno in casa dell’altro, neanche per idea vero? Locali, tutti chiusi. Aperti erano i cinema, delle volte ma con degli orari ridotti perché c’era il coprifuoco, quindi, in genere alle sei bisognava essere tutti a casa tranne quelli che avevano il permesso per motivi di lavoro. Le automobili erano state tutte requisite, tranne chi, per motivi di lavoro, per esempio mio padre l’aveva per motivi di lavoro, però, i medici l’avevano per motivi di lavoro. E io ricordo per esempio che una volta mio padre, non si trovava niente da mangiare, in città, proprio niente, qualcosa a borsa nera ma non si trovava più neanche a borsa nera perché c’era la polizia proprio annonaria, la polizia proprio per quello che ti controllava quando uscivi non so scendevi dal treno ‘Cos’hai in quella borsa’, quindi era una situazione. E mio padre allora era andato in campagna, in montagna, qui nel modenese da una mia zia, una sorella di mia madre che aveva là dei fondi, dei poderi, e lei viveva infatti là con la famiglia. Eran andata a fare i conti dei contadini, perché ogni anno debbono fare doppi resoconti i contadini, i padroni eccetera. Loro volevano sempre che ci andasse mio padre e allora ci andò mio padre. Quando tornava da là in genere, cercava se trovava in campagna qualche cosa, o un po’ di prosciutto o della farina o altro di portarli ma non era, era difficile. E anche mia zia disse ‘Guarda ho solo delle mele’. E le disse ‘Beh dammi le mele perché non troviamo neanche quelle’ e aveva delle mele. Ma le mele non erano soggette a essere requisite o altro, quindi. Allora lui venne con le mele. Mia madre lo vede arrivare dalla finestra, vede la sua macchina, ma vede che non si ferma, passa e va avanti e dice ‘Beh?!’ ma dice ‘Perché?’ dica ‘Mah non capisco micca il babbo, è arrivato qui poi ha continuato ad andare avanti’ dice ‘Non capisco perché’ e fa ‘Oddio mamma mia’ e vede che dietro c’era una macchina che lo seguiva. Dice ‘Eh vuoi a stare a vedere che ha preso dalla zia della roba e lui non si può fermare perché si è accorto che quelli lo seguono per fare una verifica. E invece lui si era divertito alle loro spalle, sapeva di avere solo delle mele, quindi era a posto, allora si era divertito a farli girare di qua e di là, [laughs] senza girare attorno e loro dietro. Poi a un certo momento s’è fermato, ha visto, loro l’hanno fermato, lui ha fatto vedere che c’erano delle mele ‘Non ho altro’. Allora fa ‘Ma allora scusi perché allora lei girava sempre avanti e indietro’ diceva ‘E voi perché mi venivate dietro?’ dice ‘Io giravo perché mi faceva comodo [?] girare’. Dice ‘Io non potevo girare? Io giravo’. Dice ‘E voi perché mi venivate dietro?’ ‘Ah ma pensavamo che lei avesse della merce’ ‘Beh non l’avevo quindi io ero tranquillo, non l’avevo’. Ecco, sì, era brutto quel, perché proprio non si trovava da mangiare, avere a trovare un pezzo di pane. Noi mangiavamo le patate perché le patate ancora si trovavano abbastanza, le patate lessate nel latte, perché il pane non c’era. Mah, tu rimani inorridita. Le patate, e anche il nostro cane poveretto Alì, che era un cocker (avevamo la Teresa e Alì) e anche Alì poveretto, guardandoci male, si rassegnava a mangiare la zuppa, e nel latte le patate, poi ci guardava proprio come per dire ‘Ma cos’è?!’. Poveretto! [laughs] d’altra parte. Solo che Alì morì prima dello sfollamento, la Teresa invece che era giovane sfollò insieme a noi, mangiando anche l’arrosto ecco.
GF: Prima lei ha più volte ricordato che sua mamma e le sue sorelle avevano paura.
AR: Molta, sì.
GF: Molta, e invece le emozioni che provava lei quali erano quando c’erano i bombardamenti?
AR: La mia impressione?
GF: Si le sue emozioni.
AR: Beh, vedi io per carattere dico: ‘Bisogna affrontare la realtà’. Per triste che sia per brutta che sia la voglio guardare in faccia, basta, l’affronto. Perché scappare è peggio. Chi scappa in genere ci rimette, quindi meglio affrontare il nemico, ah oh poi sarà quel che sarà, a un certo, io nella mia vita ho sempre seguito questa linea, non solo nei bombardamenti, delle disgrazie ne capitano a tutti, bisogna affrontarle, prima o poi una soluzione si trova. Mia nonna che era molto saggia diceva: ‘A tutto c’è rimedio tranne che alla morte’, ed è vero, ed è vero. Oppure quando uno è disperato, eeeh cosa c’è? ‘Eeeeh, si chiude una porta si apre un portone’ oppure ‘C’è sempre meglio dietro la porta’ di cui delle volte c’è anche peggio, ma insomma non importa vediamola così. No, bisogna, e io l’ho sempre affrontata così, però in questo modo, sono riuscita a superare delle avversità tremende, ecco. Per esempio adesso, coi bombardamenti, dimostro la paura? Io eravamo, una domenica, eravamo usciti da messa, io e mia sorella Laura che era l’emblema della paura, mia sorella maggiore poveretta, ed era lei che incontrava poi i guai. Suonò l’allarme, eravamo usciti da messa eravamo avevamo già abbandonato il paese, suonò l’allarme, allora io dissi ‘Va bene’ dico ‘Adesso spostiamoci nei campi dalla strada’ perché la strada era più bersaglio, nel campo ti puoi nascondere di più. E allora dico ‘Va bene’ andiamo attravo i campi, ormai non eravamo lontani da casa, poche centinaia di metri. Mia sorella comincia a correre come una matta. Fra l’altro, io avevo i tacchi bassi, dei sandali con i tacchi bassi, e quindi andava bene, ma lei aveva, siccome non era molto alta di statura, aveva la mania sempre dei tacchi piuttosto alti, quindi, in un, in mezzo a un campo, vero coi tacchi alti si corre male, togliersi i tacchi le facevan male i piedi perché [laughs] ci trovava che c’erano tutte le, le chiamiamo le stoppie noi, avevano tagliato il grano, rimanevano quelle. E allora, insomma, quindi non riusciva neanche a correre. ‘Ma fermati, fermati, è meglio che ci sdraiamo giù e basta’. Continua a correre come una pazza, e io allora le andavo dietro perché la volevo fermare. Arriviamo davanti a una rete spinata che divideva un campo dall’altro, e ho detto ‘Senti non si passa lì’. C’era tutti di, quegli spini arrugginiti, quella, il filo spinato. Niente lei dalla paura ha voluto attraversare, si rovinò una gamba, perché si fece uno squarcio così che dopo dovemmo chiamare il dottore, medico condotto lì del paese, che dovette darle non so quanti punti. Poi non c’era neanche l’alcool, la disinfettò con del cognac, ah ma non c’era niente. Però fortunatamente non si fece, non fece nessuna infezione ma dopo le è rimasta per sempre la cicatrice. Un taglio profondo lungo così, eh! Mah si vedeva l’osso. E io dissi ‘Vedi con la tua paura?!’. Quindi la paura è peggio in quei casi lì, la cosa peggiore che ci sia. Perché anche quando mi trovai sotto quel mitragliamento, che mi venivano radenti, se fossi io, se mi fossi mossa, probabilmente mitragliavano anche me. Stando fermi immobile non, non successe niente, perché in fondo mi avran anche visto perché venivano radenti, però han visto che non ero un militare, non ero un, tuttalpiù avran visto la cesta del pane, se non erano sciocchi, capivano che ero una che [laughs] era andata a prendere del pane. Ma ripeto, per conto mio l’ho vissuta in questo modo ma è questione proprio di carattere. Mia madre invece cominciava a disperarsi, ma quella che batteva ogni record era mia sorella, ah quella guarda, la Laura era famosa, proprio, non, non e lei non riusciva a vincersi, aveva il suo carattere così, aveva paura e basta. Tanto è vero che in paese, per esempio andare avanti e indietro per comprare la roba andavo io. Perché intanto con la bicicletta mi sbrigavo meglio, e poi, beh ripeto, la sua paura si vedeva anche nel fatto che non ha mai imparato ad andare in bicicletta, perché aveva paura di cadere. E io ho detto ‘Insomma dico ma è possibile?’ Magari io era anche scriteriata perché andavo anche senza mani, ma insomma [laughs] ripeto, era così dipende dal carattere delle persone. Però io ho visto che avere paura è peggio, in tutte le cose, se una cosa ti fa paura, adesso a parte i bombardamenti, affrontala via, affrontare è meglio di tutti [sic]. Certo, riuscire, usare il buon senso, ecco, se proprio vedi che il nemico è molto superiore a te come in caso di un bombardamento, beh allora cerca non so di stare ferma, ma è inutile agitarsi perché è peggio. Non, io l’ho vissuto così. Però ho visto tanti che l’han vissuta invece in altro modo, ah oh lì mo, come diceva don Abbondio ‘Il coraggio uno non se lo può dare’, quindi.
GF: E quando era dentro al rifugio, che quindi dovevate aspettare che finivano i bombardamenti.
AR: Ecco beh ripeto, dentro al rifugio ci sono stata poco.
GF: Ok.
AR: Nel senso che, quando, i primi tempi che ehm eravamo ancora a casa andavamo nel giardino, perché ripeto rifugi vicini, sicuri, erano troppo lontano da raggiungere magari, e poi sfollammo quasi subito, perché dopo il primo bombardamento noi sfollammo via. E dove eravamo in quella villa, purtroppo aveva, avevano scavato i contadini del, del proprietario della villa, un, una specie di, di buco nel giardino sotto agli alberi, però si capiva che, intanto era piccolissimo, ci stavano due tre persone, eravamo in tanti ormai, e poi non dava nessuna sicurezza, allora stavamo dentro, stavamo dentro alla villa sperando che Dio ce la mandasse buona, cosa vuoi dire. E d’altra parte non, mi ricordo anche quando finì, proprio gli ultimi giorni della guerra che i tedeschi scappavano, e dopo arrivarono gli inglesi prima e gli americani subito dopo, e ricordo che quando loro scapparono dissero ‘Uscite, uscite dalle case perché può essere pericoloso’, nel senso che loro possono andare dentro, portare via, viceversa no. Erano tanto occupati di scappare nella, erano tanto presi dal fuggire che non, scappavano e basta, anzi rimasi, ecco quella mi è rimasta sempre in mente: li vedevo buttare via le armi, per correre, correre verso verso il nord. Ma, è una cosa che non ho mai capito: davanti c’erano dei camion vuoti, loro, che scappavano, e lasciavano a piedi quegli altri soldati che correvano dietro, ma fermatevi un momento e quegli altri caricateli su! E vedi la paura cosa fa fare, e quindi poveretti, è vero? Continuavano. E, è rimasti impressionati, questi soldati che buttavano le armi, di qua di là, pur di essere più leggeri, proprio. E allora noi lì scappammo, scappammo, in mezzo ai campi, ci dissero, andate in mezzo ai campi. Solo che anche lì fu un consiglio così, perché poi ci trovammo fra due fuochi in quanto c’era, noi eravamo in mezzo a un campo eravamo messi lungo tutto un, ci mettevamo lungo i fossi, perché era l’unica cosa che poteva riparare, dall’altra parte, dei partigiani, cominciavano a sparare verso i tedeschi che scappavano. Alcuni tedeschi, cominciavano a rispondere e noi ci trovammo in mezzo e quello fu una situazione poco piacevole, dico la verità. [pause] Ma anche lì mia sorella che si agitava come una matta, le dicevo, senti ‘Sta ferma, sta buona, perché tanto, resta immobile che è la cosa migliore, perché se no è peggio’. Infatti ricordo che il primo giorno che rimanemmo proprio terra di nessuno, perché i tedeschi erano andati via, gli americani non erano ancora arrivati, eravamo, ed è il periodo peggiore in fondo quello lì. Ehm ricordo che mia madre uscì nel giardino in questo parco enorme della villa che voleva andare dalla contadina a chiedere non so, se aveva della roba da mangiare, da dare delle uova, della roba. E proprio le passò, un miracolo fu, bzzzzzzzzzz una pallottola, che provenienza avesse non non si è mai saputo. Ma lì ti poteva ammazzare uno perché, non capivamo se era stato un partigiano, un tedesco, probabilmente non mirava a lei penso, perché lei non avevano motivo di mirare a lei. Che credesse che fosse, o da lontano l’avesse presa per un, un soldato non lo so, fatto è che bzzzzzzz le passò così, io ero vicino a lei e lo sentii anche io. Proprio le passò così però non, non successe niente insomma quindi, grazie al cielo, se è per quello noi abbiamo avuto la casa completamente distrutta, però non è, non siamo rimasti feriti, noi ecco, ne morti né feriti diciamo in quel caso lì.
GF: E dopo che i tedeschi scapparono via.
AR: Sì.
GF: Vennero i partigiani nella vostra casa? Oppure no?
AR: No, no no. Da noi posso dire, no no i parigiani non sono mai venuti. Vennero ripeto, arrivarono per un giorno, proprio appena prima degli inglesi, ma poi andarono via loro e arrivarono gli americani, però nella nostra casa, ehm nella nostra casa, andati via gli inglesi, non son venuti, andati via i tedeschi non è venuto nessuno lì dove eravam sfollati noi, perché era una villa grande con vari sfollati, c’eravamo noi, c’erano altri due professori che erano professori del Minghetti, e poi c’era una signora svizzera col marito che era professore universitario a Parma e poi c’era la famiglia, l’amico di mio padre che era il proprietario con due sorelle, una vedova e un’altra invece non sposata. Poi c’era la loro la donna di servizio col marito, la bambina, un’altra loro donna di servizio. Sì eravamo parecchi ma eravamo rimasti noi. Andati via i tedeschi dopo la villa non era stata più occupata, perché gli americani si facevano gli accampamenti loro, stavano per conto loro, in un accampamento, facevano un accampamento loro, non, quindi non hanno più occupato almeno quella villa lì non è stata più occupata, ripeto. È stata, fu occupata solo da questo comando tedesco.
GF: E la convivenza coi tedeschi come è stata? La convivenza con i tedeschi.
AR: Lì è stata ottima, non han dato nessun, ripeto abbiamo avuto fortuna, perché ripeto altri invece hanno avuto dei guai seri, no noi abbiamo avuto fortuna. Erano persone normalissime, gentili anzi direi, non hanno mai dato fastidio, sì non, non [pause] d’altra parte, dico la verità, non credo nelle inimicizie tra i popoli, sono i capi che magari trovano fra loro da litigare. Quindi non, uno rispettava l’altro diciamo, non, se loro chiedevano un favore si faceva, se ne avevamo bisogno noi lo facevano, insomma. Ricordo che per esempio c’era fra gli austriaci c’era un italiano, che era di origine italiana, un veneto, erano andati là in Austria come, a scopo di lavoro insomma. Lui dice che la madre si era sempre rifiutata di imparare il tedesco, per cui parlava dialetto veneto, e lui parlava il dialetto veneto, per cui con quello ci si intendeva perfettamente. E quello poveretto era gentilissimo, ma lui [laughs] ricordo che parlando dei tedeschi diceva: ‘Eh, tutta quella todescheria’ in veneto, fra di noi, era comico! No ma a noi non ha dato fastidio. C’era per esempio il capitano, che era un veterinario, che salvò il cane del proprietario. Che poveretto Bill era uno spinone e stava male, stava male, ma che cos’ha? Che cos’ha? Non mangiava, e si accorse che gli era andato un osso nella gola, l’avevano fatto vedere al veterinario del paese ma i veterinari dei paesi magari si intendono di buoi, di mucche ma non di cani, allora. E allora lui che invece di vede che era anche un bravo veterinario dice: ‘Lo voglio vedere io’ e infatti dice ‘Eh ma c’ha un osso in gola’ glilo tolse, poveretto e dopo Bill riprese vita nuova. No ripeto, noi abbiamo avuto ottimi rapporti e con gli uni e con gli altri, anche gli americani fastidi, ma ripeto quelli vivevano molto a sé e non avevano occupato la villa, quindi. Ma, sì non han mai dato fastidio ecco. Sì, sotto quell’aspetto noi siamo stati fortunati, perché sotto quell’aspetto lì non. Ecco quelli per esempio che magari davano più fastidio, più pericolosi, infatti mi volvano requisire anche la bicicletta, erano i repubblichini. Ecco, quelli sì erano i peggiori, perché requisivano loro, non le requisivano i tedeschi le requisivano loro, le biciclette, tutto quello che uno poteva avere. E una volta mi ricordo che arrivò, in due, a casa, dicendo che loro dovevano requisire tutte le biciclette. Figurarsi, io avevo, c’era la bicicletta mia e di mio padre, ma pazienza quella di mio padre, ma la mia era indispensabile perché ero io che andavo avanti e indietro. E io dissi ‘Ma noi non ne abbiamo biciclette’ ‘Come, quelle lì di chi sono?’ ‘Ah non sono mica nostre, sono dei tedeschi’ [laughs] Oh che Dio me la mandi buona, dissi che eran loro. E fortunatamente, questo non convinto, perché era una bicicletta da donna, ma loro erano poveretti quelli austriaci quelli che ripeto io ferrovieri, capirono la cosa, dice ‘Sì, sì, nostre nostre!’. Allora andarono via, ecco. Quindi, vedi, mi salvarono le biciclette. Quindi da quel lato lì non possiamo dire, ecco quelli davano più fastidio, erano più pericolosi, sì, bisognava quasi guardarsi più da loro che dagli stranieri. Ma per il resto, e mi ricordo anzi che mi trovai con il mio collega, la moglie del capo, che era di Crevalcore, lei naturalmente non poteva riconoscermi, perché io ero una ragazza e dopo ci siamo ritrovati che io ero insegnante, e lei dice ‘Ma anche io ero a Crevalcore’ Io l’avevo riconosciuta e dico ‘Sì, sì e suo marito mi voleva portare via la bicicletta’ dico ‘Eh sì sì mi ricordo’. ‘Ah’ dice ‘Sì, sì infatti, ma com’è che non mi ricordo di te’ dico ‘Eh no, non può ricordare, ero una ragazza, non può ricordare’. Io mi ricordavo bene di lei invece [laughs], eccome. Ma sì, noi da quel lato lì siamo stati fortunati, altri invece hanno avuto dei disastri, noi per fortuna no. Bombardamenti ce li siam presi, quelli sì, la casa è andata distrutta, mobili, tutto perché lì mo, quando siam scappati, si portò via proprio il necessario perché era un camioncino piccolo, non si trovava più niente. Sì è stata una vita, e poi si pensava che fosse corta e invece siamo stati via dal ‘43, ‘43 ‘44 ’45, quindi.
GF: E in quegli anni, lei, la sua famiglia, sapevate chi vi stava bombardando?
AR: Come?
GF: Sapevate chi era che vi stava bombardando?
AR: Sapevamo?
GF: Lo sapevate?
AR: Ah beh eran gli americani che venivano in genere, gli inglesi anche. Cioè erano, e quelli che poi son diventati gli Alleati però noi abbiamo avuto i bombardamenti da loro solo. Mano a mano che avanzavano nella linea Gotica eh venivano da noi.
GF: In famiglia ne parlavate? Cosa pensavate di chi vi stava bombardando in quel momento? Che opinione avevate di chi vi stava bombardando in quel momento?
AR: Mah eh, che cosa provavamo? Cosa vuoi, ci si rendeva conto che era una guerra pazza, era stata una guerra folle proprio, che non doveva essere dichiarata quindi. Mi ricordo che noi non avevamo le notizie esatte, neanche né dove fossero arrivati gli americani eccetera. Allora la sera ascoltavamo Radio Londra, era il colonnello Stevenson [Stevens] mi pare si chiamasse, e allora, solo che bisognava ascoltarla molto bassa che non sentissero gli altri perché se lo sentivano o i tedeschi o i fascisti potevano essere guai. Di conseguenza, ci si metteva là con l’orecchio ad ascoltare così, vero? E diceva ‘Qui parla il colonnello Stevenson’ e poi diceva ‘Sono arrivati qui, sono arrivati là’. E che naturalmente non coincideva con quello che dava il nostro giornale, perché da noi eran sempre ‘Sono qua, sono là’ e andava tutto bene. Però dava le notizie, poi cominciava a dare tanti messaggi che evidentemente erano per i partigiani, perché cominciava a dire ‘I portici sono lunghi’. Cosa voleva dire non si sa. Non so ‘Domani piove’ forse così dicevano che madavan giù delle bombe [laughs] non lo so. Ecco e tutti questi messaggi, mi è rimasto in mente ‘I portici sono lunghi’ chissà cosa voleva dire, ehm per cui noi non sapevamo che cosa fossero, ma erano per loro dei messaggi in codice insomma, indubbiamente per o altre truppe alleate o per i partigiani non lo so. E quindi, si sperava sempre che finisse, che finisse e ma eh non finiva mai. Ci dissero ‘Quando suonano che, quando finisce’, quando sapevamo che ormai avevano sorpassato la Linea Gotica e stavano arrivando, e ‘Quando finì, quando finisce suoneremo le campane, il suono, sentirete suonare le campane’. Quando sentimmo tutto, suonano le campane, è finita è finita, viceversa poi non era finito niente, perché Badoglio aveva fatto la tregua ma poi invece lì fu un falso allarme. Quando veramente finì, mi ricordo, e questo mi è rimasto sempre in mente, suonarono le campane, era piovuto, allora andammo tutti però fuori, era poi era venuto il sole andammo tutti fuori, nel giardino, in questo parco enorme, e io ricordo comparire un bellissimo arcobaleno. E io so che dissi, dico ‘Guarda, è l’arcobaleno! Oh, che ci, e che speriamo che annunci veramente la fine, ecco. E infatti lì fu, stavolta fu la fine se Dio vuole. Per noi perché Milano poi cadde dopo eh, qualche giorno dopo. E da noi poi a Bologna invece entrarono i polacchi come primi. [pause] Dopo di che, poi dopo entrarono gli altri, le altre truppe ma insomma prima, i primi entrarono i polacchi.
GF: E si ricorda che cosa avete fatto il giorno della liberazione? Avete festeggiato?
AR: Mah, noi eravamo, io ero a Crevalcore, quindi ehm, festeggiammo poco nel senso che arrivarono prima ripeto, prima gli inglesi pochi però, che poi andarono via, poi arrivarono gli americani. Però in paese non, non ci furono feste particolari per quando io mi ricordi, io poi ero fuori dal paese. A Bologna invece, ma io questo non l’ho visto perché non c’ero, perché ero sfollata, ehm fecero invece, no, lì fecero invece molta festa, accolsero questi polacchi eccetera. E dopo anche arrivarono gli americani. Dopo io mi ricordo che, per un pezzo stettero qui, infatti eravamo pieni di questi militari americani che andarono avanti e indietro, anche inglesi. Dopo poi poco alla volta andarono via. Ma i festeggiamenti furono fatti qui in città, che vennero accolti effettivamente molto bene. Ma ehm a Crevalcore no, no perché fu una cosa talmente così, a spicciolata diciamo, poi io ero fuori dal paese per cui, se qualcosa han fatto è stato nel, dentro al paese, io però non l’ho visto. Ma non mi risulta che ci sia stato granché, perché poi ripeto non ehm, loro si erano accampati lì, avevan, avevano occupato una gran zona fuori e non, sì non, non erano, col paese non avevano molto a che fare ecco diciamo, per cui [pause] Io, sì la liberazione quando sono arrivati non l’ho vista in città. In città no m’han detto che effettivamente ci son stati dei gran festeggiamenti [pause] Ma fuori, nei paesini piccoli, si è notato meno ecco, perché è stata una cosa più silenziosa diciamo.
GF: E neanche dopo la Liberazione avete avuto dei contatti con i partigiani?
AR: Come?
GF: Neanche dopo la Liberazione la sua famiglia ha avuto contatti con i partigiani qua a Bologna?
AR: No, no no. Qui a Bologna, quello che è successo dopo, è stato brutto ma era il famoso triangolo, lo chiamavano ‘Il triangolo della morte’, che era mi pare Carpi, aspetti pure, prendeva qui la zona del modenese, ehm e lì ci son stati molte, è discusso quel periodo lì di storia, anche l’altro giorno sul giornale ci fu un articolo. Ehm c’eran state molte uccisioni, vendette, che non avevano niente a che vedere con la questione politica, con la guerra, proprio vendette diventavano vendette personali, che ammazzavano delle persone che poveretti non avevano fatto un bel niente, ecco. Poi venivano fatte passare per motivi politici. Io ricordo che per esempio c’era un generale, che era sfollato lì, lui era monarchico. Posso capirlo, lui aveva detto ‘Io ho giurato fedeltà al re’, lui era un generale di carriera, e lui dice ‘Beh, io rimango fedele al re’. Beh io rispetto le idee di tutti. Lui era monarchico e dopo, beh poveretto era una persona, una degnissima persona, bravo proprio non, che non aveva mai fatto niente a nessuno. Solo che lui era ligio proprio al, ‘Se dicono così’ era un militare ‘Dev’essere così’. Ecco non stava a discutere. E ricordo che spesso veniva a trovarci, e si metteva a chiacchierare con mio padre, col dottor Biavati che era il proprietario della casa, e si mettevano a parlare lì fra di loro del più e del meno. Siccome si era saputo che ehm, era successo che dei partigiani, o tali si qualificavano, andavano a prendere delle persone, le portavano via, e dopo questa gente la trovavano morta, la trovavan, spariva eccetera, mio padre glielo disse, gli disse ‘Guardi generale, ma lei non si fidi’, lui viveva da solo, non era sposato ‘Non si fidi, non vada se lo chiamano ad andare di qua e di là chiunque. Si fidi solo se è persone che lei veramente conosce bene eccetera’. Invece che cosa è successe? Che una bella sera, arrivaron della gente che disse ‘La vogliono subito al comando’ al comando militare degli americani poi ‘Perché devono darle subito degli ordini che deve seguire per eeh, per Badoglio’ e tirano fuori tutta una storia. Allora lui poveretto li seguì, in buona fede, e invece fece molto male perché invece dopo l’hanno trovato morto, e anche poveretto martoriato, insieme anche a degli altri. Era uno che non aveva mai fatto niente. Lui si dichiarava monarchico, va bene, ogniuno si dichiara quello che è, può seguire il partito che vuole, rispetto le idee di tutti. Quindi non, ecco, e in quella zona lì, poi c’è stata tutta la zona Carpi, poi era, un’altra zona, proprio un triangolo. E lì c’erano state tante uccisioni, ma proprio, uccisioni che li hanno martirizzati, proprio. E le han fatte passare allora per cose politiche, viceversa era gente che con la politica non centrava niente. A parte il fatto che non c’era ragione di ammazzare uno perché era stato in un partito di un altro, cosa c’entra, quello lì ecco. Quello sì, è stato brutto il dopoguerra in quel fatto lì, e ne son successi vari lì nella zona abbiam sentito dire.
GF: E suo padre aveva paura? Suo padre aveva paura di questi per la sua famiglia?
AR: Ma no, mio padre poi di politica non si era mai curato, mai non ha avuto neanche la tessera, fascista perché il suo, il direttore della sua società era un ebreo, quindi figurarsi. Per cui, una degnissima persona, ehm, era l’ingegner Filzi, per cui ripeto, lui non ha mai avuto non si era mai curato particolarmente di politica, non, per cui lui era tranquillo, non, era un tipo che anche andava d’accordo con tutti, diciamo, non era un tipo, per cui non aveva, non aveva motivo neanche di temere molto, quindi non era preoccupato per quello. Però ripeto, c’ha rimesso la pelle anche gente che effettivamente non aveva motivo, ecco. Ma lì erano odi personali, di paese, quello per qualche ragione non so non gli andava e allora [pause] Ma infatti è una questione che è saltata fuori anche adesso ultimamente, quella questione lì, ed è vero, è vero, che son state uccise le persone che proprio non c’entravano niente, non, li hanno ammazzati così. C’erano, lì erano vendette personali che la politica, il patriottismo no? Non c’entrava proprio niente, quella è una cosa che. Del resto?
GF: E invece quando bisognò votare se mantenere la monarchia oppure votare in favore della Repubblica, la sua famiglia come? Ne avete discusso in casa?
AR: Beh lì devo dire che la monarchia non si era comportata bene, per cui i giovani in generale han votato tutti per la repubblica, anche io votai per la Repubblica. Gli anziani invece, io ho notato questo, erano rimasti molto legati alla monarchia. Per loro il re, la regina, la regina poveretta quella non c’entrava niente. Il re era stato, più che altro la sua grande colpa era stata quella di scappar via, ecco, di non aver saputo affrontare. E dicono anche che il Principe Umberto, quello detto re per un, ‘Re di Maggio’, io me lo ricordo bene quello, ehm dicono che volesse rimanere, cioè la vedesse in modo diverso dal re come anche sua moglie, la regina la principessa del Belgio, lei era belga, invece lo costrinse il padre, lo costrinse a scappare e scapparono in Egitto mi pare. Ora, quegli anziani però nonostante tutto questo erano rimasti, erano molto legati alla monarchia e il re e la regina per loro erano molto rimasti legati, e infatti io conosco molta gente anziana che ha votato la monarchia. E debbo dire che, dissero che i voti erano stati lì lì eh, non si sa bene se realmente chi avesse vinto. Poi Alberto con molto buon senso disse ‘Basta io me ne vado in esilio’ e se ne andò poi in esilio là in Portogallo. Io l’ho vista la villa dov’era andato in esilio, non era niente di che. Ah è la Giulia che è arrivata. Ehm si là a Cascais. Che poi la principessa venne via e poi andò in Svizzera, che diceva che lei non sopportava quel clima, ma a Cascais magari c’è del vento a Lisbona, però non è che sia. Ehm e lui invece rimase lì coi figli, ma ripeto, io ho visto anche la casa del suo antenato che era andato a Oporto in esilio [laughs] Carlo Alberto, c’è la casa di Carlos Alberto loro dicevano, c’è anche la piazza lì. Ma ripeto normalmente furono gli anziani che votarono per la, oppure quelli, i romagnoli, per la repubblica. Erano per il partito repubblicano proprio. Non solo, prima ci fu fra monarchia e repubblica ma dopo quando votarono, votarono il Partito Repubblicano. Infatti mio padre lo facevano arrabbiare perché lui votava per il Partito Repubblicano proprio, che allora c’era Democrazia Cristiana, oh ce n’erano in tanti, Partito Repubblicano, Partito d’Azione eh ce n’erano, a bizzeffe. E i romagnoli erano per il Partito proprio Repubblicano e naturalmente votarono per la repubblica. Mia madre ricordo votò per la monarchia. Che noi la prendavamo [sic] in giro, dicevamo ‘ Ma mamma perché la monarchia’. ‘Io voto per la monarchia, basta oh’. Ma ripeto, e per loro, posso capirlo, erano rimasti anche legati agli ideali del risorgimento e quindi [pause] si infatti mi ricordo anche mia nonna, che allora non c’era più, però lei quando parlava del re era, che poi lei ricordava Vittorio Emanuele II, ancora più che Vittorio Emanuele III. Ma era per la monarchia. I giovani no, noi mi ricordo votammo tutti per la repubblica, per il semplice fatto che insomma, ritenevamo in parte anche il re responsabile per aver avallato questa dichiarazione di guerra e poi dopo non aveva fatto niente per, alla fine insomma scappava e allora insomma doveva rimanere ecco, anche se poi lo prendevano ma lui aveva paura, evidentemente, scappò via quindi. E ricordo che quel generale poveretto che fu ucciso, tante volte parlava e diceva: ’Ah, il nostro povero monarca!’ Io mi ricordo [laughs] che con spirito repubblicano dicevo: ‘Ma che monarca?! È scappato via, ma scusi sa poveretto ma vede che lui là sta benissimo in Egitto! Non gli manca mica niente [laughs] Stia tranquillo!’. E invece, ma lui lo capisco, lui dice ‘Oh, ho dato fedeltà al re e io rimango fedele al re. Ecco lui aveva fatto, dice ‘Io ho giurato fedeltà al re e io rimango fedele al re’ quindi era, poveretto, da rispettare sotto questo aspetto.
GF: Ecco io la ringrazio per tutto il suo tempo, per tutte le sue memorie
AR: Prego.
GF: Non so se vuole ancora aggiungere qualcosa magari.
AR: Come?
GF: Non so se vuole aggiungere qualcosa, dire ancora qualcosa?
AR: Non saprei perché la vita è stata quella purtroppo, pareva quasi impossibile che si dovesse tornare alla vita normale, dico la verità, quando eravamo vissuti sempre così, nell’angustia, scappa di qua scappa di là, vero? Alla fine, vogliamo finire con una bella, una nota musicale? Mi ricordo che in tempo, quando eravamo ancora a Bologna e scappavamo fuori per, che c’erano gli, c’erano le sirene, non parlo del bombardamento perché dopo noi eravamo già andati via, ricordo che sistematicamente, in una casa di fronte a noi, quando si rientrava, uno cominciava a suonare il piano. E lo suonava anche bene. Per cui ecco eravamo deliziati da questo piano, ecco, e mi ricordo che uno dei, delle sue musiche preferite era “Il tango del mare”, un tango allora molto famoso che era [unclear] sa la musica del mare eccetera, che era anche bello come tango: lo suonava in continuazione. E noi con la mia ‘Ecco che suona il tango!’, perché si vede che era uno che per sfogare i nervi, si metteva a. Sì c’erano anche a volte i lati comici: per esempio la lattaia, siccome non si trovava latte, era contingentato anche quello, lei per accontentare più clienti aggiungeva acqua al latte. Così, a uno dava invece di un libro gli dava l’idea di dargliene un due litri, era acqua poi. E ricordo che quando si andava là a prenderlo, perché bisognava andare con un recipiente, cominciava a dire: ‘Piano donne, ce n’è per tutti!’. Poi si sentiva andare più in là il rubinetto che andava, ah ecco guarda mo il latte [laughs], ah si ce n’era sì per tutti, aggiungeva dell’acqua al latte! [laughs] quindi ci sono anche i lati comici, ma. E un’altra cosa che ricordo quando cadde Mussolini, che io mi trovavo a Bologna, io e mia sorella (la Renata non la Laura) la sorella di mezzo diciamo ehm, eravamo in tre sorelle, io ero la più piccola, andavamo verso li centro, e non sapevamo che fosse caduto Mussolini, perché non avevamo lì più radio, niente, quindi non c’era nessun mezzo. Vediamo uno che esce da un negozio e urla, era un sarto: ’È caduto Mussolini, è caduto Mussolini!’. Abbiamo detto: ‘Ma quello è matto’ perché pareva incredibile, della caduta di Mussolini. Arriviamo alla piazza della stazione, perché noi dovevamo andare in stazione, a piazza della stazione, non lo dimenticherò mai, la piazza della stazione nostra è grande, c’era una mano così, per tutta la piazza, di tutti i distintivi fascisti. Ma una cosa che, da camminarci, proprio si, si pestavano! Quello mi è rimasto sempre in mente, e ho detto: ‘Beh oh, erano tutti fascisti, adesso non ce n’è neanche uno [laughs]. Tutti i distintivi fascisti, tutti per terra, quello mi è rimasto proprio, ma mi è rimasto impressionato, una cosa così, non lo so, tutto tutto, dopo poi vennero spazzati via, perché non [pause] questa cosa, ho detto ‘Ma possibile?!’ una piazza ben grande, tutta coperta di distintivi fascisti, si vede che uno ha cominciato a buttarlo via e l’han buttato via gli altri. Ah per forza allora poi c’era l’obbligo, gli uomini, di portarlo, quindi, non si poteva mica. Come noi quando andavamo a scuola, dovevamo andare col, sabato con la divisa fascista. E io avevo un professore di filosofia che era un grande fascista, e allora controllava, e allora siccome a noi seccava avere la divisa perché poi dopo andavamo, uscivamo dalla scuola e dovevamo essere in divisa, allora mettevamo sopra il grembiule nero, perché allora dovevamo avere il grembiule nero, poi mettevamo la camicetta bianca e non si, e dopo non si vedeva niente. Ma una volta lui se ne accorse mi vide che avevo una sottana scozzese e quindi non era la sottana nera della divisa, mi mandò in presidenza. Il preside, che io non lo sapevo, ma era un liberale, perché dopo vidi che era nel partito liberale, doveva sgridarmi, secondo il professore, invece lui s’era mosso in [laughs] ‘Che cosa hai fatto?!’ Dico ‘Eh, non ero in divisa’ dice ‘Ma ce l’hai pure’ perché avevo la camicetta bianca, dico ‘Si ma la camicetta bianca, ma il professore mi ha fatto aprire il coso, il grembiule quindi ha visto che era una normale camicetta bianca, e poi infatti la sottana non è della divisa, ne fece una tragedia. Dice ‘Guarda, dì ben che ti ho dato una grave punizione’ ‘Va bene’. Vado dentro, il professore mi dice ‘Che cosa ha detto il preside?’ ‘Eh mi ha tanto sgridato!’ [laughs]. Era un professore che non valeva niente come insegnante, però era molto molto politicizzato, e quindi, veniva dall’estero e aveva insegnato in Grecia mi ricordo, ma anche là han detto che non erano, che non valeva niente poveretto, comunque. Del resto le, questi sono i miei ricordi, e ce ne sono tanti, ma insomma.
GF: Grazie mille.
AR: Questi e talvolta anche buffi, ecco.
GF: Grazie, grazie mille davvero.
AR: No niente.
GF: Grazie, grazie.

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Greta Fedele, “Interview with Alessandra Rivalta,” IBCC Digital Archive, accessed April 23, 2024, https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/collections/document/245.

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