Interview with Guido Toccacieli

Title

Interview with Guido Toccacieli

Description

Guido Toccaceri remembers his wartime experiences as a schoolboy in Milan: the day war broke out, food shortages, his father working at an airfield near Bergamo, train strafing, basements used as makeshift shelters, being evacuated outside Milan with his family, fascist militia round-ups, tortures at ‘Villa Triste’, and disposing his brother’s rifle wrapped in a carpet. Remembers the 1942 and 1943 bombings, describes the Gorla bombing and elaborates on his legitimacy. Gives a first-hand account of Mussolini’s corpse being desecrated at Piazzale Loreto and the capture of a prominent fascist leader. Tells of his brother, a draft-dodger, captured by fascist militiamen. Describes a summary of executions of fascists, and female collaborators head-shaven and paraded in shame at the end of the war. Mentions a sense of helplessness, resignation towards the regime, which changed after the bombing escalated, and describes the attacks as the just retribution for starting the war and siding with Hitler.

Date

2017-12-10

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00:50:49 audio recording

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Contributor

Identifier

AToccacieliG171210
PToccacieliG1701

Transcription

AP: Sono Alessandro Pesaro e sto per intervistare il signor Giulio Toccaceri per l’International Bomber Commande Centre Digital Archive. Siamo a Milano, il giorno 10 dicembre 2012. Grazie signor Guido per aver acconsentito a questa intervista. Come prima domanda,
GT: Dica.
AP: Vorrei chiederle, qual’è il ricordo più antico?
GT: Più antico?
AP: Potrebbe essere qualcosa, un ricordo famigliare. Chi erano i suoi genitori? I suoi fratelli? Dove viveva prima della guerra?
GT: Ah. Vabbè, io sono nato a Bergamo perché mio padre in quel tempo lavorava a un campo d’aviazione di Ponte San Pietro che era il campo della Caproni. Lui era specialista in altimetri e volava con gli Sva, [laughs] ancora, era aerei di molto prima della seconda guerra mondiale, della prima guerra mondiale. Erano gli aerei della prima guerra mondiale. Quindi io sono, fino allora sono stato a Bergamo, fino all’età di cinque anni e qualcosa. Poi arrivato a Milano a sei anni, quindi era il 1935. Io dal ’35 sono, abito a Milano. E fino al trenta, dunque la mia vita cos’è stata? Ragazzino che andavo a scuola fino al fatidico 1940 quando è scoppiata la guerra. Dunque avevo undici anni esatti e facevo la quinta elementare.
AP: Che cosa ricorda di quel giorno?
GT: Della mia vita scolastica?
AP: No, di quando è stata dichiarata la guerra.
GT: Ah, ehm,
AP: Si ricorda dov’era?
GT: Anche sì, ero a Milano, esattamente in Via Ingegnoli che è una zona di, ora dicono Città Studi, era allora una zona vicino a Lambrate, alla stazione di Lambrate e lì è cominciata la, diciamo la vita da, in guerra. Il problema della guerra in quella zona era quello che inizialmente, dunque noi abbiamo subito il primo bombardamento, se a lei questo può interessare, nel ’42. Il primo bombardamento nel ’42, dove, se posso aggiungere, poi [laughs]. La mia nuova moglie che, nuova moglie, moglie da sempre, abitava in una località vicino a me a Piazza Bacone e perse la casa anche lei ma questo io l’ho saputo dopo [laughs] quando ho conosciuto lei da fidanzata. Comunque hanno cominciato lì, il primo bombardamento nel 1942. Ma non penso che fossero, non so se, potevano essere francesi o inglesi in quel momento che c’hanno bombardato, questo non me lo ricordo nel ’42. Se erano già, erano già inglesi che sono arrivati, penso che siano, sì, sì, dovevano essere inglesi e quindi lì abbiamo cominciato ad avere dei morti, no? Nella zona di Milano, nella zona che avevano bombardato, anche perché la nostra zona era particolare. Aveva vicino uno scalo ferroviario, quindi alcune fabbriche abbastanza importanti tra queste l’Innocenti che produceva poi armi per la guerra. E quindi da lì abbiamo incominciato a soffrire e fare la vita di quelli che tutti i momenti, in caso di allarme, si finiva nei rifugi [laughs] che organizzavano naturalmente nelle case allora, erano ponteggi nelle cantine proprio per evitare che questi crolli venissero a discapito nostro, ecco. E questo era la, quello che io conosco, il momento della guerra, dello scoppio della guerra adesso, quindi avevo undici anni però eh, quando è scoppiata la guerra quindi. Quello, il nostro problema maggiore era quello e poi è cominciato il problema, vabbè, della alimentazione, mancanza di cose è stato quello che, è stato il mio inizio, la mia, diciamo, la prima giovinezza diciamo, undici anni, un adolescente che si è trovato così però personalmente non tanto. In seguito poi naturalmente cos’è stato le cose meno, i familiari meno importanti, cioè più complicate furono che mio fratello dovette andare militare. E da quel momento, vabbè era una cosa, non ha fatto la, non è andato in guerra, mio fratello è del 1921 quindi nel ’40 aveva diciannove anni, è andato a fare il servizio militare fino. Dunque nel ’40 quando è successo che il primo armistizio che c’è stato? Nel ’42 mi pare, no, ’44, ‘44. ’43, ecco nel ’43. Sì, nel ’43, dunque, avvenne che mio fratello tornò a casa. Tornato a casa e c’è stato pochissimo tempo perché e lì è cominciata subito la Repubblica Sociale Italiana. Mussolini che era stato poi catturato e liberato da Skorzeny, il famoso tedesco che nel Nido d’Aquila sulla, dov’era? Sul Gran Sasso, ha presente che fosse sul Gran Sasso allora. E da quello è incominciato il problema diciamo del fratello che è scappato, si è richiuso in casa ed era considerato renitente allora. Perché poi la Repubblica Sociale richiamò tutti i militari che avevano lasciato. E un bel giorno, tornando da scuola, ero giovanissimo, facevo le medie allora, tornando da scuola trovai la casa circondata dalle cosidette Brigate Nere che erano state create dal fascismo proprio che era, chiamiamola la polizia politica dei, del momento del regime fascista. Riuscirono a scoprirlo perché c’era stata una, come si dice, una spiata ecco. L’avevano saputo. Io sono arrivato a casa, ho trovato tutta questa cosa, mi hanno fermato ehm, e ho visto mio fratello prendere, caricare su una camionetta e portarlo via. S’immagina il dramma in quel momento nella casa. Quindi siamo arrivati al ’44, ’43. Poi mio fratello fu mandato, ricordo benissimo il tempo di guerra, fu mandato a Carcare. Carcare, Savona, sui colli di Cadibona, sì. Fino a un bel momento quello che era successo fino allora, bombardamenti non ne avevamo poi tanti avuti ehm, fino al ’43. E nel ’43, esatto, cominciarono i bombardamenti, quelli pesanti a Milano fatti dagli americani, penso, o forse dalle forze alleate. E lì subimmo dei bombardamenti molto pesanti. Agosto del ’43 è stato un macello, 15 agosto, 16 agosto a Milano è stato un disastro. Milano è sparita in parte, il centro di Milano in qualche via che non esiste ancora più adesso perché [unclear], è scomparsa e da allora, ecco cosa è successo. Da allora mio fratello riuscì a scappare lo stesso da Carcare e fu nascosto dai miei zii in questo periodo e lì andò bene perché poi non successe più niente. Mentre noi eravamo sfollati in un paesino vicino a Milano in una scuola elementare ed eravamo io, mio, mia sorella, sì, mio padre, mia madre. Mio padre faceva avanti indietro perché lavorava ancora a Milano papà e quindi siamo rimasti là fino a che la guerra è terminata. Ecco, altri episodi che diciamo riguardino me personalmente non ne ho, non ho subito cose. L’unica cosa che posso raccontare è stato bruttissima. Finita la guerra sono arrivati gli americani a Milano e io poi, come tutte le altre persone, siamo andati a vedere quella brutta faccenda di Mussolini impiccato, cioè impiccato, era già ucciso in Piazzale Loreto.
AP: Continui.
GT: Dunque, quella è stata una cosa che ci ha colpito non tanto per, ragazzo cosa avevo, ormai avevo quindici, dunque, ’45, sai [unclear] gli americani a liberarci, ecco quello è stata la causa più, a liberarci, sì, ormai avevano liberato tutta l’Italia, i tedeschi erano scappati. Ah, le cose, il brutto che succedeva allora erano le retate che facevano le Brigate Nere, questi della X Mas mi ricordo che c’era il famoso Osvaldo Valenti che era un attore, allora era molto in voga, e coso. Poi, Ah, ho assistito a, dopo la liberazione, a diverse fucilazioni di cosidetti fascisti di allora, io non potevo conoscere tutte queste cose, ero un po’ fuori dal, di questi fascisti che avevano, non so, li avevano fucilati proprio in mezzo alla strada così cioè. Ragazze rapate, pitturate di rosso sulla testa che camminavano in mezzo a discredito di tutti [laughs] che, ecco, queste cose che la guerra mi ha lasciato dentro. I bombardamenti sì, è la cosa più paurosa anche perché un, devo dire un ragazzo non è che si spaventasse per questo. No, questo no, non ho subito terrore per i bombardamenti, no, non ho provato paura. Ecco questo è quanto posso dire del mio periodo diciamo dal ’40 al ’45, quando è stata la liberazione, insomma.
AP: Mi ha parlato prima di un rifugio.
GT: Sì.
AP: Vuole descrivermelo?
GT: Ah.
AP: Come era fatto?
GT: Il rifugio dove, di casa mia?
AP: Esatto.
GT: Cantina. Cantina, paletti di supporto di legno, basta. Tutto lì. Non c’erano cose particolari. Niente assolutamente. Si andava in cantina sperando che reggesse [laughs]. La casa non era grande d’accordo però e dentro, con le donne che magari pregavano [laughs] come in queste cose e i bombardamenti che arrivavano perché l’allarme arrivava molto spesso. Ah, poi nell’ultimo periodo, prima che finisse la cosa, arrivava un certo Pippo. Era chiamato un aereo che non so di che provenienza fosse, se inglese, francese, americano. Arrivava su Milano, sganciava una bomba e basta, e andava e questo è stato per un po’ di volte. Infatti lo chiamavamo Pippo. ‘Arriva Pippo, arriva Pippo’. Ecco [laughs] questo è un ricordo di quella, del bombardamento.
AP: Si ricorda come la gente viveva
GT: Ah poi, il bombardamento, sì, d’accordo posso aggiungere adesso mano a mano che mi ricordo, l’ultimo quello terribile è stato fatto nella zona di Gorla dove è caduto su una scuola. Sono cadute le bombe su una scuola, hanno fatto molti molti morti per i bambini, questo tra i bambini di scuola proprio. Quelle sono state le cose che hanno colpito di più diciamo il fatto che si bombardasse un po’ così e non certo. Gorla è sempre vicino alla stazione centrale, si può immaginare che magari ci fossero però eravamo già verso la fine della guerra. Non so se è stato il colpo finale che volevano darci per, dare a noi, dare allo stato italiano, a Mussolini soprattutto perché allora eravamo isolati dall’Italia noi eh, siamo stati. I tedeschi avevano preso il potere anche su Milano quindi, c’è la guerra, si era formato il Vallo lì in Toscana, Lazio, cos’era, come si chiamava?
AP: La Linea Gotica?
GT: La Linea Gotica forse sì. No, non era la Linea Gotica, forse eh? Dunque, dunque, era la Linea Gotica, possibile. Montecassino, c’era la Gotica, sì, Gotica [laughs]. Gotica, sì.
AP: Questo mi dà l’opportunità di una domanda.
GT: Sì.
AP: Qual’era la vostra percezione? Lei ha parlato di essere, di sentirsi isolato. Avevate la sensazione che le bombe erano dirette a voi? Allo stato italiano? Ai tedeschi? Come vedevate la cosa allora?
GT: Beh, ma, dunque, no, no, [unclear] lo stato italiano senz’altro. Senz’altro. Eravamo alleati dei tedeschi quindi, sì, sì, vabbè. No, avevamo la sensazione che si creasse proprio il panico, proprio di creare qualcosa tra, che, non so, probabilmente che i civili si ribellassero magari a tutto questo stato di cose. Perché ci bombardavano? Perchè venivano a bombardare le popolazioni? Poi abbiamo saputo pian pianino di cose ancora peggiori perché se pensiamo poi cosa è successo a Dresda [laughs], capisci? Quindi era proprio creare questo stato di, forse di sollevazione contro la guerra, certo, non eravamo certo un alleato comodo nè forte per i tedeschi, e quindi presero in mano il potere loro. Insomma praticamente certamente bombardavano anche noi, ma forse per eliminare, più qualche cosa, togliere diciamo una forza, farci smettere per togliere una forza ai tedeschi.
AP: Vorrei riportarla a quegli anni.
GT: Sì.
AP: Sempre tenendo presente quello che mi ha raccontato adesso.
GT: Sì.
AP: Lei si ricorda conversazioni di adulti a proposito dell’essere bombardati eccetera? Che cosa diceva la gente, ad esempio, in negozio, per strada?
GT: [sighs] Praticamente, no, la gente cominciava ad essere un po’ stufa della guerra, cioè stufa della guerra, non si mangiava eh, questo era il problema, quindi. Ma per un certo momento intendiamoci all’inizio li abbiamo odiati questi bombardamenti perché ci bombardavano. Sì, siamo in guerra, d’accordo però. Quello che ritenevamo forse noi della guerra era farla direttamente sì, ma non, non inserendo le persone, le popolazioni civili in questo coso, forse non era il caso. E l’avevamo chiamato questa era la cosa del terrore, proprio creare un terrore in modo tale che qualcuno si, qualcuno che contava si risvegliasse, somma sai [unclear] è stato, forse è stato quello che poi è successo ma [unclear]. Per cui poi il regime fascista è caduto perché qualcuno si era mosso in quel senso lì o forse perché, forse non aveva visto l’interesse particolare di fare una guerra assieme alla Germania non so, [unclear]. Poi io, sai, io sono sempre vissuto in una famiglia che diciamo. Papà ha avuto sempre delle, delle idee socialiste e quindi eravamo un po’ contro questo, poi accettando tante cose perché devo dire noi siamo stati, all’inizio siamo stati anche abbastanza bene. Ai ragazzi non dispiaceva anche andare a fare le adunate, si divertivano, cioè questo era quello che aveva lasciato un pochettino il regime fascista sulla mentalità delle persone. C’erano, alcune cose insomma, c’erano, erano fatte bene insomma perché difendevano i lavoratori, posto di lavoro, cioè tante cose che avevano, bè, questo era un po’, diciamo il fondo fascista di Mussolini, socialista di Mussolini che poi certamente non è, non è proliferato in quelle cose però è quello. Lo stato però, non eravamo con, all’inizio non eravamo proprio tanto convinti che fosse brutto, è scoppiata, sì la guerra è sempre brutta però, mah, poteva anche starci insomma ecco.
AP: E suo padre.
GT: Io non capivo proprio molto bene quella, non c’era quella comunicazione che c’è adesso, quindi era tutto. Dopo ci siamo accorti che era tutta propaganda quindi abbiamo subito un po’, continuato a subire quello che era, diciamo l’inseminazione data da vari anni di fascismo, dal 1922, e vabbè che non era mica tanto, ’29 sono nato io quindi [laughs].
AP: Suo padre come le ha spiegato la guerra, se gliel’ha spiegata?
GT: [sighs] Mio papà, dunque, la guerra lui non l’ha fatta. Lui era specializzato quindi la prima guerra mondiale papà non l’ha fatta, la ’15-’18 quindi. Lui come specialista ha sempre lavorato nelle aziende che fornivano materiale per la guerra. Quindi la guerra direttamente lui l’ha vissuta attraverso il lavoro che faceva, non è che. Ma all’inizio non, posso dirle che non è che fosse contrario, forse aveva, qualche cosa era rimasto di una educazione socialista quindi non era propenso, però neanche proprio completamente alieno devo dire, questo che un ricordo che possa avere io di papà.
AP: La cosa è cambiata quando sono cadute le prime bombe sui civili?
GT: Eh certo, eh certo, eh certo.
AP: Mi racconti questo passaggio.
GT: Eh, le bombe sui civili proprio hanno cambiato un po’ la mentalità delle persone insomma. Si sono proprio un po’ rivoltate dentro, no, in quello che si sentiva dire, ‘ma questi ci bombardano’. Sì, eh, un certo astio per forza, ci bombardavano loro, non potevamo avere però la colpa, la colpa di che cosa? Nostra che abbiamo fatto la guerra. Nostra che ci siamo, ci siamo messi in questa situazione, eh, questi erano i discorsi che facevano loro. Poi è stato anche poi il dramma che non eravamo, sapevamo di non essere, anche noi ragazzi, di non essere all’altezza. Prima di tutto perché ci si misurava con la capacità, diciamo, di fare la guerra dei tedeschi. Noi non l’avevamo questa capacità. Ehm, visto poi quello che era successo e che avevano riportato dei reduci dalla Grecia disastri, cose, l’organizzazione proprio italiana non fatta proprio, assolutamente una cosa così. E quindi, ma abbiamo cominciato a dire che avevamo sbagliato insomma noi italiani a fare la guerra, ad accettare questa, questa guerra così. La punizione, vabbè forse era troppo forte, i bombardarci e morire, eravamo in guerra, vabbè. Abbiamo detto: ‘E’ così, cosa vuoi, non potevano fare niente’. Dovevamo subire e abbiamo subito.
AP: Provi se, se non le dispiace, a ricordare questo senso di impotenza, l’idea di ricevere bombe dal cielo e non poter fare nulla. Provi a ricordare cosa provava quando era bambino.
GT: Eh, difficile. [pauses] Niente. Per me capitava come una, come una, qualche cosa, una disgrazia che doveva venire, qualche cosa. Un qualcosa che non me la, contro il quale non potevo fare niente dentro di me, non potevo fare niente, non potevo. Ma neanche, però neanche il desiderio di mettermi lì, da ragazzo, con un cannone a sparare agli aerei che scendevano, no, no, no. Però un po’ effettivamente bisogna dire una cosa, siccome questi bombardamenti all’inizio quegli inglesi noi li odiavamo un po’ questi inglesi, eh, pensavamo che fossero un pochettino. Non sapevamo cosa poi succedeva quindi questo poi, questo è un paragone che si, non si può fare perché dopo l’abbiamo visto e quindi dopo ci hanno aperto le cose. Non sapevamo cosa subivano gli inglesi, gli inglesi a Londra con le bombe che, Hitler mandava le V2. Eh, potevamo dire, però è una rivalsa contro quello che, ma non c’era, non c’era, non c’era una volontà politica che, aiutasse a pensare una cosa piuttosto che l’altra, eravamo un po’ allo sbando insomma, non eravamo vabbè, subivamo un po’ questo, del partito, queste cose che ti tenevano un pochettino proprio al di fuori di tutte queste cose. Odiavano questo, quello, bisogna odiarli, sì, famoso manifesto, il nemico ti ascolta [laughs], famoso manifesto, grandioso che faceva. Ridevamo perché dicevamo, la lana Churchill si ritira, dicevamo, la lana Churchill perché si ritira, taci il nemico ti ascolta, avevamo dentro tutte queste cose che venivano dalla preparazione che aveva fatto il partito fascista sul popolo italiano. Quindi abbiamo un po’ fatto fatica proprio a uscire fuori dalla cosa. La guerra all’inizio sì, vabbè c’è la guerra, è inevitabile, dicevano. A un ragazzo però, sapere cos’era la guerra, era stata un po’, era un po’ una cosa, non facile da, sì, da accettare sì forse, forse un gioco più grande di noi o forse volevamo partecipare [laughs], da ragazzi, sa, non è semplice, non eravamo adulti capaci di interpretare tutte queste cose che poi sono successe. Molto difficile.
AP: A proposito dell’interpretazione.
GT: Sì.
AP: Mi ha accennato ai bombardamenti dell’agosto 1943.
GT: ‘43, 15 e 16 agosto.
AP: Vuole raccontarmi qualche cosa di più?
GT: Vediamo.
AP: Provi a tornare a quegli anni, a quei mesi.
GT: ’43, sì fino allora non avevamo subito delle grandi cose a Milano, onestamente. Bombardamento che ci ricordavamo di più era quello di, era dell’inizio della guerra nel ’42. Ppi bombardamenti veri e propri non ne abbiamo avuti a raffica come sono venuti lì con questi enormi aerei che arrivavano a onde [makes a droning noise] e forse no. Sono stati i primi che hanno proprio creato proprio un panico assoluto nella gente che c’era. Proprio è stato, sono stati quelli del ’43. Milano ricorda solo, sì del ’43.
AP: Si ricorda le sue emozioni? Che cosa provava lei?
GT: Gliel’ho detto,
AP: Estate, estate del ’43.
GT: Non paura, chissà perché, personalmente come, non ho provato paura.
AP: Le altre persone attorno a lei, della sua famiglia?
GT: Certo, evidentemente, sì, certo. Vabbè, c’erano, [laughs], erano prese, erano preoccupate per i figli tant’è vero che c’è stata il famoso esodo da Milano, tutti cercavano di andarsene via. Ma sì, un paio di notti siamo andati a dormire nei prati perché bombardavano, sapevamo ehm. No paura non ne ho provato, paura vedendo gli altri che avevano paura, a me sembrava che avessero troppa paura. Però non ho provato nè paura nè, neanche senso di odio, sì, bombardavano e vabbè, è la guerra. Ecco, c’era una certa fatalità nel pensare quelle cose lì, una certa fatalità, infatti non ho riportato nessun trauma del fatto di aver fatto, il trauma che si poteva riportare. Ricordare la fame, ma sì, la ricordo ma non è neanche diciamo una causa di queste cose, non è neanche una cosa. Io personalmente non ho portato dei traumi per queste cose.
AP: Mi ha parlato di Gorla prima. Gorla.
GT: Gorla, sì, sì.
AP: La bomba sulla scuola.
GT: Questo ci ha fatto male, sì.
AP: Si ricorda qualcosa all’epoca? Come è stata annunciata?
GT: Niente, dunque, era stata annunciata che, niente, un bombardamento è avvenuto, hanno buttato giù, no, una solita cosa, hanno fatto un raid, no, come si chiama, aereo ha colpito Gorla. Presumo che dovessero colpire la stazione centrale, ecco, questo lo dico io .Abbiamo tutti pensato che la zona, essendo la stazione centrale un certo posto di smistamento per truppe cose, penso non sia stato un bombardamento però tipo, come si dice, come ho detto, annunciato prima tipo terroristico [emphasises] ecco, no, eravamo già un po’ più verso la fine di questo [unclear]. Io la ritengo, non so, un errore proprio grave di, o forse un ultimo rigurgito. Eh beh ma una bomba poteva capitare, poteva spostarsi di cinquecento metri. Non penso che fosse stato un obiettivo ecco, è caduta ma però Gorla come dico era stata la stazione centrale ecco [laughs] perciò c’era un obiettivo. Come le bombe che sono cadute nella mia zona l’obiettivo c’era, c’era lo smistamento di Lambrate quindi era un nodo ferroviario.
AP: Mi ha parlato prima della Innocenti.
GT: Sì, c’era la Innocenti lì eh. Quindi, lo smistamento, venivano fuori le armi dall’Innocenti e subito partivano con lo smistamento ferroviario.
AP: Quindi.
GT: Ecco, una cosa che non abbiamo, che ho dimenticato, ecco questo. Qualche, c’è stato un momento, adesso l’anno però eravamo già un po’ più avanti, dal 40, i mitragliamenti ai treni.
AP: Me ne parli.
GT: Ecco, questa è stata [unclear] quindi proprio c’era una perché i treni erano, in quel momento non c’erano, non treni militari, erano treni civili e questi caccia che arrivavano, non so se fossero americani, inglesi, non, mitragliavano i treni. Questo è stato proprio brutto perché queste cose le ho riviste magari in tanti film dove si vede che mitragliano proprio i treni e la gente scappa fuori. Questo è stata una cosa, ecco, quello lì. Ecco, c’erano questi contrasti che, non capivo quelle cose lì proprio per creare terrore soprattutto, eh, guardi, che hanno mitragliavano i treni. Non erano convogli militari quelli che ho conosciuto, quelli ho saputo io quindi.
AP: Se dovesse spiegarmi la differenza tra mitragliare un treno e bombardare, come la spiegherebbe?
GT: Dunque, la spiegazione che posso dare oggi. Bombardare, bombardare, mitragliare un treno dipende: è un obiettivo militare o mitragliare un treno così solo per mitragliare un treno, pensando che. Bombardare obiettivi militari o una città per fare terrore? Milano è stata bombardata per fare terrore. Non è stata bombardata per, perché c’erano cose particolari, non era. Differenza, vorrei capirla io, come viene, queste pattuglie che vanno su due caccia [unclear] che vanno lì, mitragliano un treno scoprendo che c’è, magari non sapendo che è un treno civile si bombarda, si mitraglia un treno. A Milano, nella zona intorno a Milano, ma che obiettivo è? Per me è per fare terrore, per far cessare, proprio per fare rimuovere la gente, ‘basta adesso, noi non ne possiamo più’, per me. Però strategicamente, non sono uno stratega.
AP: E Pippo come c’entra in tutto questo?
GT: Come?
AP: Pippo. Lei ha ricordato Pippo. L’aereo.
GT: Ah Pippo anche questo qui, che signi, ecco, il significato. Terrore. Può arrivare un bombardamento, crea panico, perché una bombettina non ha mai fatto, ma non credo che sia mai successo un morto per Pippo. Com’era? Come mai arriva questo aereo? Ma sempre per tenere in allarme, cioè, per provocare questa ansia nella gente che si muova, che faccia qualche cosa, che da dentro, si muova da dentro per far finire queste cose. Eh, solo quello, solo quello. Quella è una strategia che. Altro [unclear]
AP: A distanza di settant’anni, è cambiato la sua opinione verso chi la bombardava o chi la mitragliava? Lei pensa che ci sia una differenza tra quello che pensava da bambino e quello che pensa lei adesso?
GT: No, penso che sia stato proprio una cosa per creare proprio il terrore. Per creare terrore e far smettere la gente di, cioè provocare questa, dall’interno questa, questa rivolta, no, contro, contro chi dei nostri faceva la guerra, farla smettere, insomma, farla cessare, farla cessare.
AP: Lei mi ha accennato a sua moglie che ha perso la casa.
GT: Sì.
AP: Questa cosa vi ha unito in qualche maniera? Avete passato le stesse esperienze? Vi siete sentiti uniti? Ne avete parlato?
GT: No, no, no, in questo no perché, beh ma lì è stata un’altra tragedia, lei era una bambina, aveva nove anni, otto anni, nove anni. Hanno perso la casa perché è caduta a Milano in Piazza Bacone e la sua casa è crollata e lei si è salvata perché era in rifugio con i parenti [laughs], con e basta. Da lì è stata un po’ una tragedia per lei dopo, quello che ha subito lei ma era piccola.
AP: Si ricorda cosa era successo?
GT: Sì, dopo lei ha dovuto, eh, hanno perso tutto la casa, hanno dovuto andare presso dei parenti, insomma c’è stata tutta una concomitanza di cose negative per lei, per la sua infanzia voglio dire eccetera eccetera. Questo sì però è lei che, quello che poi ha provato lei io non lo so [laughs].
AP: Prima mi ha parlato di Mussolini e di altri a Piazzale Loreto.
GT: Sì.
AP: Vuole raccontarmi qualcosa di più?
GT: Beh, noi ci siamo trovati, dunque, a Piazzale Loreto perché ad un certo momento, è abbastanza vicino alla zona dove abito quindi [unclear] scesi in strada [unclear], siamo corsi tutti a Piazzale Loreto e abbiamo visto quello spettacolo abnorme, spettacolo orribile. Da ragazzo non l’ho subito però mi ha dato fastidio subito quindi Mussolini, Petacci, Bombacci, c’era un, beh, c’erano questi gerarchi fascisti che io adesso non ricordo mentalmente chi è che era appeso. La cosa più brutta che ho provato. Dunque poi a un certo momento è arrivato un camion, dopo le spiego perché è arrivato il camion, è arrivato un camion e hanno staccato, hanno incominciato a staccare. Quando sono arrivato io la Petacci era ancora con le gonne giù, cioè al contrario e quindi era praticamente nuda o seminuda. Dunque il camion. Su c’era un deposito di benzina, li avevano attaccati tutti sul deposito di benzina alla base di questo striscione di metallo che c’era su e hanno incominciato a tagliare la corda e li hanno calati a uno a uno. Quando sono arrivati a Mussolini, hanno tagliato la corda di netto, non li hanno presi, l’hanno, l’hanno fatto cadere sul camion apposta. E’ stato una roba, è stato una roba pazzesca, la gente che andava a sputare addosso, a calci, urlando cose inenarrabili, basta, dopo [unclear] questa era, una corrida, con tutti i matador [laughs]. Glielo dico visto adesso, con tutti i matador che sputavano, urlavano, imprecavano ancora contro un’ammasso lì poverino, una cosa, poverino dico perché in quel momento poteva fare, ma non mi ha fatto pena in quel momento. E’ stato troppo la ribellione [unclear] perché lì non è più una ribellione perché tu sei nero io sono rosso, tu sei verde, no, no, è una ribellione contro qualcuno che in fondo la guerra aveva fatto morire i figli, mariti eccetera e quindi una guerra che non, che forse l’italiano non ha sentito insomma, l’ha sentito attraverso la, esclusivamente la politica, la forza del fascismo nel fare propaganda, però questo da ragazzo io l’ho capito dopo eh. Il momento io ho vissuto delle cose basta poi il giudizio allora io non potevo darlo, guardavo e basta. Ora.
AP: Resti per favore
GT: Sì.
AP: Con le emozioni di quel momento
GT: Sì.
AP: A Piazzale Loreto.
GT: Sì.
AP: Si ricorda le grida? Si ricorda che cosa dicevano?
GT: Le devo ripetere?
AP: Se se la sente.
GT: Non credo che siano, ‘Porco! Sei un porco! Hann fatto bene! Bastardo!’ E cose del genere. Ne hanno dette di tutti i colori, adesso degli epiteti che non potevano [unclear]. ‘Ti sputo addosso, in faccia, hai fatto morire mio figlio!’ e tutte cose del genere. ‘Porco te e quella puttana della, della tua Petacci!’. [sighs] Poi un’altra cosa che mi ricordo, beh ma quello non [unclear], ho visto catturare Starace, no, che poi l’hann fucilato lì vicino. Dunque sì, in quel momento è sempre Piazzale Loreto, nella zona e a un certo momento proprio, sì, l’avevano catturato, era Achille Starace, segretario del Partito Fascista Italiano. Achille Starace a un certo momento, non so, lo avevano scoperto non so dove l’avessero preso, questo non lo so, lo portarono lì, lo fecero passare davanti a tutto questo spettacolo, lo portarono lì di fronte e [unclear] gli spararono, lo fucilarono lì, poco distante da dove era, il suo capo era appeso. Quello sì. [unclear] ma sono tutte cose che non si sono, diciamo, proprio susseguite in un modo così da una cosa all’altra, che poi ho visto anche lì come le ho detto prima ho visto uccidere dei, in Piazzale Aspromonte ho visto uccidere un certo, allora. Lo chiamavano Pasqualone, era il ras della zona del partito fascista di, di Lambrate, era proprio segretario del Partito Fascista lui, era un, omone, poi andava sempre con la pistola infilata per fare vedere, sempre camicia nera e lì l’ho visto fucilare anche lui poverino in Piazza Aspromonte, portato lì. E’ sempre brutto, è brutto, sono cose che, uno è difficile credere che sia o non sia, hann messo lì e [unclear] niente. Niente, sono cose che mi ricordo della guerra dal ’40 al ’45 poi sono arrivati gli americani. Ah, poi ho fatto un viaggio su un carro armato che arrivava da Via Padova. Arrivava da Via Padova che è una zona [laughs] est di Milano e a un certo momento mi, questi bei americani che salutavano [unclear], ero lì con diverse persone, un ragazzo, [unclear] un americano mi ha tirato su un carro armato, sono arrivato, avrò fatto trecento o quattrocento metri sul carro armato [laughs], ecco. Allora erano cose che poi non so, sì, in questo caso si ricordano perché giustamente come avete voi [unclear] elencato, si ricordano poco poco, è difficile proprio però perché [unclear] risalendo magari ce ne saranno state anche, non eclatanti no perché quelle me le ricordo di più. Insomma, la cattura di mio fratello è stata eclatante, l’uccisione di Mussolini eclatante nel senso della visione di un ragazzo. Quindici anni, salire su un carro armato americano ecco [laughs]
AP: Mi ha parlato di Osvaldo Valenti.
GT: Sì, Osvaldo Valenti, era della X Mas lui, sì, sì, sì. Ah beh sì, Osvaldo Valenti, quello lo conoscevamo come attore, no? Perché anzi, allora non c’era la televisione [laughs]. Lui e la Luisa Ferida che era la sua amante diciamo o sua moglie, non so cosa fosse. E c’era la famosa Villa Triste a San Siro e lì torturavano i partigiani però, ecco, quello sì, quello me lo ricordo. Poi c’erano le Brigate Nere in Via Rovello. Le Brigate Nere c’erano, sì. Ah, una volta, ecco, in tempo di guerra, verso l’ultimo periodo di guerra, mio fratello era tornato da militare e quando era poi scappato la seconda volta, tornato da militare, no, la prima volta, sì, no, la seconda volta perché poi è andato a fare il militare con i repubblichini e poi è scappato e ha portato a casa il fucile. Un giorno mio padre che se adesso fosse qui forse poverino, ha rischiato con noi, perché? Dunque, amico di un, in quel momento già c’erano i partigiani che aleggiavano ancora in città, no? Qualcuno che era dei partiti. Mio padre conosceva queste persone da vecchio povero socialista e un giorno mi dice: ‘Ma qui abbiamo un fucile in casa. Non preoccupatevi, lo diamo, do io, so io a chi darlo’. ‘E vabbè, ma come facciamo? Chi esce con un fucile?’. Di sera non si poteva, coprifuoco [laughs]. Allora ha inventato una cosa. Ha preso il tappeto che avevamo nella camera e ha messo dentro il fucile. Ha avvolto il tappeto e ha detto a mia sorella e a me di portarlo in un certo posto. Cosa che abbiamo fatto. Pensa il rischio che abbiamo corso due ragazzi con il tappeto con dentro un’arma di guerra, con i partigiani che c’erano in giro e i fascisti che cercavano queste cose. Quello me lo ricordo ma non l’ho mica digerita bene con mio padre che c’ha mandato a fare questo lavoro [laughs], per portare un’arma di guerra, fucile poi praticamente figuriamoci. Ecco questa è una cosa che mi sono ricordato di quelle cose lì poi. Periodo di partigiani non tanto perché, cioè sapevo che ce n’erano, che li prendevano, li catturavano e poi naturalmente li hanno fucilati diversi nella mia zona, li hanno fucilati al Campo Giuriati. E lì è stato una brutta cosa e abitavano lì, c’è ancora la targa adesso di questi partigiani insomma, fucilati al Campo Giuriati. Della guerra, del dopoguerra posso raccontare di più [laughs]. Allora incominciamo dalle bande.
AP: Si ricorda.
GT: Della nera.
AP: Si ricorda la sirena?
GT: La sirena, oh, mamma mia! [mimics the high-pitched prolonged sound of the alarm] eccola e poi quando era finite invece suonava [mimics a different alarm sound] continuava a suonare a lungo, questa suonava a [unclear] e l’altra invece dava un segnale di fine allarme. Perché c’era il preallarme, l’allarme e il fine allarme. Sì, questo sì e anche quello, quello era. Ah, bombardamenti, ‘arrivano, arrivano, arrivano!’, poi magari falso allarme. Che poi di contraerea a Milano non ce n’era, non sparavano neanche un colpo, qualcuno così poi, quindi, sì, le sirene, l’allarme, però dopo. Evidentemente ci siamo abituati anche a quello eh. L’allarme c’è però pazienza [laughs], speriamo che non bombardino qui ecco eh. Dopo un certo momento penso che tutti poi in guerra si rassegnino eh, come una cosa inevitabile ma ormai dopo è venuta, è la guerra, l’hanno fatta, ci hanno obbligato.
AP: E’ stato una bellissima intervista.
GT: Ma, non credo [laughs]
AP: Siamo molto contenti, io e i miei colleghi di aver fatto questa bellissima chiacchierata.
GT: La ringrazio.
AP: E’ stato un piacere parlare con lei. Se non ricorda nient’altro, non vuole aggiungere nient’altro, io concluderei.
GT: Cerco, cerco poi. Uno non è mai preparato a queste cose e poi, ma guardi che. No, non è perché ma uno magari soffre non vuole parlarne, no, no, no, gliel’ho detto, non ho. Non credo di aver subito degli shock perché ho subito la guerra da civile ho subito, da civile, da ragazzzo ho subito la guerra, non credo. Ho sofferto solo un po’ la fame, quello mi dava fastidio, non c’era niente da mangiare, a Milano poi assolutamente, i bollini, andare a prendere il pane con i bollini, con, quelle cose, razionato. E’ così dai [laughs].
AP: Va bene, signor Giulio.
GT: Ma io ringrazio lei.
AP: E’ stata una bellissima esperienza.
GT: Anche per me.
AP: E concludo.
GT: C’era una caserma. Quando io prima ho detto che arrivando a casa avevo visto la casa circondata dalle Brigate Nere e mio fratello fu portato, perché era renitente, era scappato nel ’43, mi pare, no? ’43 è venuto Badoglio.
AP: Sì.
GT: Quando venne Badoglio, ecco, e lo portarono nella caserma di Corso Italia. Corso Italia c’era la caserma dove mettevano dentro tutti quelli che avevano recuperato, scoperto che erano renitenti e li avevano portati lì. E lì li avevano fatto firmare poi l’adesione alla RSI. ‘O ti mandiamo in campo di concentramento in Germani o vieni’. E lui Firmò per la RSI perché e l’unica persona che ha potuto andarlo a visitare è stata mia sorella che è andata a visitare appunto mio fratello prima che lo arruolassero nella Repubblica Sociale Italiana e questo è stato uno dei, diciamo delle cose che mi ha colpito di più come ragazzo diciamo come ragazzo [unclear].
UI: Quanti anni aveva il suo parente?
GT: Eh?
UI: Quanti anni aveva sua sorella?
GT: Mia sorella è dunque del ’24, aveva cinque anni più di me. Quindi io avevo
UI: [unclear]
GT: Nel ’43. Aveva cinque anni più di me. Era, sì, sì, quello è. Quella è una cosa che non ti inventi adesso perché, no, no, non ho nominato la persona a chi abbiamo portato il fucile perché era partigiano [unclear]
AP: Va bene.
GT: No assolutamente, nomi diciamo di persone che

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Alessandro Pesaro, “Interview with Guido Toccacieli,” IBCC Digital Archive, accessed April 26, 2024, https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/collections/document/7769.

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