Interview with Maurizio Ghiretti

Title

Interview with Maurizio Ghiretti

Description

Maurizio Ghiretti describes his early life at Monticelli Terme, a small town near Parma. He remembers various episodes of wartime hardships: food shortages, a tree taken down at night for firewood, men hiding in concealed rooms to avoid roundups, and how his father and other men escaped capture because they were forewarned by a German soldier. Describes how they ran for shelter in a nearby ditch covered by bushes, and how they passed the time there. Explains the perception of bombings among civilians, stressing how they were generally seen as the price to pay for being liberated. Mentions the effects of different operations on various cities in the Po river valley and describes bright target indicators descending on nearby bridges. Recounts hearing a siren which, in his uncle’s words, sounded like a donkey braying. Recounts of Jewish women and children being guarded in a hotel before being sent to the Fossoli concentration camp. Remembers various anecdotes of Allied prisoners of war, some working as farmhands, others building the first sewage system. Stresses how his parents never kept him in the dark about the war situation and he was always abreast of what was going on, to the point that even the children took political sides. Describes the fall of the fascist regime mentioning propaganda murals being desecrated with faeces. Recounts the end of the war when cheering crowds welcomed the Allies by waving hawthorn brushes at them, which reminded him of Palm Sunday. Mentions briefly the post-war political situation.

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Date

2017-05-07

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00:38:57 audio recording

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Contributor

Identifier

AGhirettiM170507

Transcription

L’intervista è condotta per L’Interantional Bomber Command Centre. L’intervistatrice è Sara Buda. L’intervistato è Maurizio Ghiretti. Nella stanza sono presenti Sara Troglio per l’IBCC, la moglie Adriana Ventriglia. L’intervista ha luogo in [omitted] a Milano. Oggi è il 7 maggio 2017, ore 11:35. Allora, buongiorno.
MG: Buongiorno.
SB: Ehm, vorrei partire da prima della guerra. Intanto, appunto, se mi dice la sua data di nascita e il luogo.
MG: 5, la mia data è il 5 aprile 1940. Non ricordo, i miei primi ricordi iniziano nel ’43 e l’unica cosa che, insomma, ricordo con una certa, anzi, la prima che ricordo, è la caduta del Fascismo. Per una, questo perché, perché in casa mia, anche se io ero piccolino, tutti gli avvenimenti, quelli successivi di cui ho un po’ di ricordi, venivano esplicitati, quindi non cercavano di tenermi ovattato al di fuori di quel che accadeva e ma soprattutto questo fatto, la caduta del Fascismo mi è rimasta in mente perché di fronte a casa mia c’era una casa con una grande scritta inneggiante al Duce e dopo il 25 luglio del ’43, il giorno dopo o due giorni dopo adesso non posso ricordare, di notte era stata imbrattata con feci umane ecco, tanto per dare un’idea e io mi ricordo la padrona della casa che con la scopa e il secchio stava cercando di pulire la facciata della sua casa, ecco. Quindi questo fatto è. Un altro episodio che ricordo è quello invece dell’8 di settembre perché in casa mia, dopo l’annuncio, io mi ricordo l’annuncio alla radio, noi non possedavamo la radio ma si andava ad ascoltare, ma per lo meno i grandi andavano ad ascoltare la radio in un bar vicino e l’appello del nuovo primo ministro, che era Badoglio, no? Il generale Badoglio il quale aveva detto che insomma la guerra continuava eccetera eccetera ma che avevano chiesto, l’Italia aveva chiesto un armistizio. E questa cosa qua me la ricordo anche perchè mio padre disse che, mentre tutti festeggiavano, la guerra è finita, la guerra è finita, mio padre invece era pessimista e disse che ‘e i tedeschi? Adesso dovremo vedere la reazione dei tedeschi’. Due o tre giorni dopo sono piombati i tedeschi. Ah proposito, i miei, io non vivevo a Milano, io allora vivevo in un paese a otto chilometri da Parma, Monticelli Terme, quindi i miei ricordi sono lì, in questo paese, ecco. Non, non ho ricordi cittadini, comunque ricordo, ricordo poi i mitragliamenti, i bombardamenti che però vedavamo da lontano soprattutto di notte.
SB: Io vorrei partire, vorrei fare un salto all’indietro.
MG: Sì.
SB: Vorrei capire intanto appunto cosa faceva la sua famiglia prima della guerra e come era composta la vostra famiglia.
MG: La mia famiglia era composta da padre, madre e una zia che viveva con noi perchè il marito in quel momento era in guerra, era militare. E il nonno, quindi eravamo
SB: Il nonno padre di?
MG: Il padre di mio padre e la zia era la sorella di mio fratello.
SB: Stavate appunto a Monticello...
MG: Sì, erano artigiani.
SB: Cosa facevano appunto...
MG: Parrucchieri.
SB: Parrucchieri.
MG: Sì, la mamma, il papà. La zia non faceva nulla, no, la zia non faceva nulla e neanche il nonno, il nonno ormai, comunque, non so. In gioventù aveva fatto il fuochista, non so, in una fabbrica, quindi non.
SB: [laughs] Ok, quindi a un certo punto cambia qualcosa. Quando, qual’è il suo primo ricordo riguardo a un cambiamento radicale della situazione attorno a lei? Quando cambiano le cose?
MG: Eh, il, le cose cambiano in quel periodo appunto, dalla caduta, dal luglio del ’43 e poi con l’8 di settembre. Perché immediatamente dopo le cose si fanno piuttosto complicate. Intanto vabbè lì nel paese arrivano i tedeschi perché lì c’erano degli alberghi e quindi gli alberghi sono occupati dai tedeschi e quindi abbiamo proprio i tedeschi in casa. Le cose cambiano perché ci sono i rastrellamenti notturni e quindi gli uomini, mio padre ed altri, sempre e comunque quasi sempre avvertiti, io non so da chi ma probabilmente dagli stessi tedeschi, non dai [emphasises] tedeschi ma probabilmente da un [emphasises] tedesco, perché la cosa strana è che, tutte le volte che di notte c’erano dei rastrellamenti per prendere gli uomini e mandarli in Germania a lavorare, guarda caso, tutti gli uomini che conoscevo io compreso mio padre in casa non c’erano e si nascondevano. Dietro la nostra casa c’era una cosa strana, noi avevamo anche un orto, avevamo un, non so, non so neanche come dire, vabbè insomma un edificio che si raggiungeva solo con una scala a pioli e se uno tirava su la scala a pioli lì non si vedeva nulla e questi uomini se ne stavano lì nascosti, tutti quelli del vicinato no, se ne stavano lì nascosti quindi non hanno mai portato via nessuno. Poi c’era il problema, il problema del cibo, c’era il problema del riscaldamento, perché allora c’erano le stufe. Io mi ricordo che d’inverno, questo per sentito dire in famiglia, mio padre con sua sorella, con i cugini di notte sono andati a rubare una pianta intera in un campo vicino e siccome nella notte aveva nevicato, quando loro hanno trascinato la pianta nel cortile era rimasta tutta la scia e ma di notte loro hanno, dunque hanno, hanno tagliato la pianta, l’hanno portata nel cortile, hanno tagliato tutti i rami, hanno messo via tutta la roba, al mattino poi non so verso le dieci tanto sto inventando, arriva la padrona del fondo dove, dove avevano rubato e lei non era, non era Sherlock Holmes ma aveva visto la scia [laughs], perché era proprio, noi avevamo il, un, come si chiama, ho detto il cortile, ma anche che il,
SB: Orto.
MG: non un giardino
SB: Orto.
MG: l’orto che confinava proprio con questa,
SB: [unclear]
MG: il possedimento della signora, quindi insomma, nella neve si vedeva benissimo cos’era successo ecco. E poi vabbe’ il cercare anche il cibo, devo dire che comunque in casa mia non c’erano grandi problemi perché i miei zii erano proprietari terrieri quindi insomma le cose, tanto per dirne una, io non, ho sempre mangiato pane bianco e anzi siccome i bambini trovano che in casa d’altri si mangi meglio, io contrabbandavo il pane bianco con la casa di un vicino il quale mi dava pane con la crusca e per me era più buono il pane con la crusca. Queste sono sciocchezze di bambini. Eh!
SB: E quindi andando avanti.
MG: E andando avanti, poi, vabbe’ allora sempre la storia qua dei tedeschi in casa, e poi, a partire dal ’44 i bombardamenti e i mitragliamenti degli alleati che lì, allora c’erano questi alberghi con le truppe tedesche, e poi c’era qualche fabbrica di conserve di pomodoro, con le vecchie fabbriche con il camino ecco. Allora io sono stato varie volte testimone dei mitragliamenti. Suonava l’allarme perché quasi sempre quando si sentivano e arrivavano degli aerei insomma suonava l’allarme e mi ricordo una volta, ero in campagna con uno dei miei zii e c’era un solo, un solo aereo, era un aereo da ricognizione mi pare, però di solito sparavano, sparavano non so bene se sparavano alle mucche, agli animali ma, o se sparavano anche alla gente. Fatto sta che comunque quella volta eravamo in campagna ha suonato l’allarme e non so per quale ragione mio zio mi ha detto no, non è l’allarme, è l’asino di un vicino, di un altro coltivatore lì vicino, invece era proprio un piccolo aereo e ci ha anche sparato. Vabbè, ci siamo tuffati in un fosso e buonanotte, non è successo nulla. E poi invece, altre volte mi sono trovato nella piazza del paese proprio mentre mitragliavano gli alberghi e lì io sono proprio scappato, però anche lì non ci sono stati né morti né feriti. Altre volte, invece, vedavamo, per esempio c’era una fabbrica che era a un chilometro e così di giorno hanno tirato varie bombe, c’è stato qualche morto, tutte cose che naturalmente io ho sentito ma nel frattempo, tutte le volte che quando io ero a casa, tutte le volte che c’era, c’era così, suonava l’allarme eccetera, o mio padre o mia zia mi prendevano e mi portavano, sempre attraverso il famoso orto, giù, e ci rifugiavamo in una, aspetta, c’era un canale con tante fronde, no, e lì pensavamo di essere al sicuro, insomma, tranquilli. Però, così, mi ricordo che il senso del, paura, non so, paura, mia zia era terrorizzata, mio padre pure, mia madre non gliene fregava niente, lei non si è mai mossa da casa, mai [emphasises] mossa da casa. Era, non so per quale ragione, ma aveva detto che a lei proprio non le interessava, se doveva morire [laughs] preferiva morire in casa propria. Poi un’altra, altri ricordi sono i bombardamenti invece di notte, che avvenivano per bombardare i ponti. Avevamo un ponte su un fiume poco distante, il fiume Enza, che in linea d’aria sarà stato a due chilometri, tre chilometri, adesso, più o meno, magari anche quattro, dai. Poi i bombardamenti a Parma e i bombardamenti probabilmente sul Po. Il Po però era molto distante, non so, sessanta chilometri almeno, ma di notte io mi ricordo che sempre scappavamo da casa in mezzo alla campagna, via, e, dopo aver sentito le sirene e poi la cosa impressionante, quella mi è rimasta in mente, era la luce dei bengala, perché i ponti venivano illuminati a giorno, no. Beh, il ponte non lo vedevo ma vedevo il bagliore, no, lontano, e anche quando bombardavano i ponti sul Po, la stessa cosa, o altri ponti su altri torrenti, che ne so io, fiumi della zona, e se lo facevano di notte, si vedeva, si vedeva questo bagliore, perché veramente buttavano giù un sacco di bengala, da lontano si vedeva. E poi io mi ricordo anche che qualche notte i miei dicevano che stavano bombardando Milano, però a centotrenta chilometri di distanza, non lo so, era estate però, sempre per via dei bagliori, poteva, loro dicevano Milano ma chi lo diceva che era Milano poteva essere,che ne so io, Piacenza, o poteva essere Brescia o un’altra città, adesso, o Cremona, non lo so insomma ecco. Però questo, questa attività dei bombardieri insomma io me la ricordo piuttosto bene.
SB: Ok. Ehm dunque, mi ha colpito le cose che diceva riguardo alle sirene. Nel senso che, io mi sono sempre immaginata che le sirene avessero un suono univoco ovunque, mentre invece lei ha detto che in alcuni casi c’erano delle sirene che potevano essere assimilate al suono.
MG: Ma potrebbe essere.
SB: ad un suono.
MG: Sì, ma io ci penso adesso. Può anche darsi che mio zio non volesse impressionarmi.
SB: Lei ha ricordi di questi rumori.
MG: Perché Oddio suona la sirena, ah è l’asino di, adesso io non mi ricordo più, il nome della persona che aveva veramente. Be’ adesso io non so se assimilare. La sirena era una roba non so, non saprei spiegare, non ha nulla a che vedere con le sirene, con le sirene che sentiamo adesso negli appartamenti o nelle macchine, quando rubano le macchine eccetera. Aveva, gracidava. Suono un po’, un po’ strano.
SB: A me interessa molto perché è, nel senso, persone della mia generazione non hanno mai sentito una sirena, gli aerei [unclear]
MG: [unclear] credo che andava a manovella eh, mi pare. Non era una cosa elettrica, a manovella, c’era una persona, appena sentivano. C’è da tenere presente che lì nell’Emilia Romagna, dove abitavamo noi, eh beh, la maggior parte degli aerei che venivano a bombardare verso il Nord, soprattutto in direzione Milano, passavano di lì. Magari quelli che andavano, non so, verso il Veneto no, perché erano più lontani ma gli altri nella zona nord-occidentale passavano tutti di lì, e quindi. E tutte le volte naturalmente che si sentiva, facevano andare ‘sta, questa sirena ed eravamo, [unclear] io se penso ai grandi, quando passavano che, non rimanevano in zona ma tiravano diritto e dicevano ah quei poveri disgraziati a cui tocca oggi, però insomma finiva lì. Era, era una cosa quasi normale. E la fuga con la zia, perché poi alla fine poi era sempre la zia che mi portava via, io mi ricordo che quando finalmente sono arrivati i liberatori il 25, il 26, io non mi ricordo, è che io, perché allora gli ultimi tempi la zia tutti i giorni fuggiva e non c’era niente da fare. Andavamo là in questo posto, sotto le frasche, e quando si sparse la voce che gli americani, non, sì, gli alleati, perché poi lì sono arrivati, mi pare che fossero i brasiliani, che erano arrivati i liberatori, allora io dissi alla zia; ‘beh ma qua non torniamo più’, eh no, non torniamo più, [unclear] non torniamo più, e a noi dispiaceva un po’ perché giocavamo noi, noi bambini, lì, era un modo come un altro per passare, per passare la giornata insomma.
SB: Quindi, c’erano dei momenti comuni con degli altri bambini
MG: Sì.
SB: che avevano luogo nello stesso luogo in cui voi vi rifugiavate.
MG: Sì, quelli che scappavano andavano tutti lì, nel, dove c’era questo canaletto, con queste fronde, no, gaggìe, si chiamano, no, gaggìe.
SB: E quindi vi ritrovavate lì, tutti i bambini del paese.
MG: Non tutti perché dipende, ognuno aveva la sua, la sua zona, ma quelli dove abitavo io era la più vicina, eh sì, diciamo, per lo più erano donne, donne che chiacchieravano. Naturalmente i loro discorsi sull’arrivo degli alleati era ‘ci, non arrivano mai, ci mettono troppo tempo’ e quando mitragliavano, bombardavano, erano maledizioni, perché insomma. Si capiva che loro dovevano anche bombardare, ma quando bombardavano, per esempio quando era giunta la notizia che a Parma avevano bombardato, quella volta di giorno, e in un rifugio dove si erano rifugiati gli abitanti di un gruppo di case, mi pare che ci sia stato più di sessanta morti perché la bomba ha colpito proprio l’ingresso del rifugio, e è scoppiata dentro al rifugio. Quindi, insomma, liberatori sì ma nello stesso tempo soprattutto, poi quando era giunta la notizia che la maggior parte degli edifici più belli della città erano stati bombardati, edifici che non avevano nessun, eh, non erano un obiettivo militare eccetera, la stazione più o meno, [laughs] è rimasta quasi, quasi illesa ecco insomma non è che ricordi proprio bene ma voglio dire insomma. Ecco allora quando c’erano queste cose c’era un po’ di, e poi non si poteva. Altri discorsi contro invece gli occupanti non sempre gente ne parlava perché c’erano anche i sostenitori degli occupanti, dei tedeschi, quindi insomma bisognava stare anche attenti, all’erta.
SB: E quindi, tornando a questi momenti, mi interessa molto il fatto che il momento del salvataggio, cioè nel senso della corsa al nascondiglio fosse anche un momento ludico, se ho capito bene.
MG: Sì, sì, per noi bambini sì. Sì, sicuramente.
SB: E c’era in quello che facevate qualcosa di connesso all’esperienza che stavate vivendo?
MG: Non ricordo.
SB: Canzoni, o
MG: No no no no, anzi no, guai, quando passavano gli aerei guai se parlavamo perché dicevano che ci sentivano, [laughs] le donne, le persone grandi ci dicevano che ci sentivano, ‘zitti, zitti’, cose di questo genere insomma. Ricordo, ecco, oh un altro episodio. Durante il tentativo di bombardare la fabbrica e di colpire quel famoso camino lunghissimo camino, io ero con mio padre e quando hanno incominciato a sganciare le prime bombe, dunque era a un chilometro di distanza, mio padre pensò bene, eravamo in aperta campagna ma c’era un tombino, c’era una canaletta per l’irrigazione con un tombino e mio padre mi prende e si cala dentro il tombino. In quel momento lì passa un prigioniero di guerra, non so di che nazionalità era, era alleato, non era americano, doveva essere stato o inglese, o, o, sì probabilmente era inglese oppure australiano, il quale in un stentato come militare dice a mio padre, in uno stentato italiano, ‘guardi, che se tirano una bomba qua vicino a terra, molto meglio star [laughs] nel, su un piano insomma e non dentro a un tombino ecco perché è pericoloso’. Questa cosa e’ un altro dei fatti che proprio mi è rimasto indelebile. E allora fuori subito. Perché c’erano dei prigionieri alleati che vivevano, erano stati mandati ad aiutare i contadini a lavorare nei campi anziché starsene tutto il giorno dentro le baracche perché a trecento, sì, no a un chilometro e mezzo c’erano delle baracche, dove c’erano questi militari e allora alcuni di loro preferivano invece andare a lavorare, anche perché in questo modo mangiavano meglio. Un’altra cosa che ricordo sono sempre questi prigionieri, questi qua invece so che erano inglesi, invece che avevano accettato di fare la prima, non mi viene la parola, adesso ci siamo, lo scolo delle acque come si chiama?
SB: Fogna.
MG: La fogna. La prima fognatura io me li ricordo che, un pezzo insomma è stato fatto da questi, da questi soldati inglesi che erano prigionieri. Ricordo, questo invece me l’ha raccontato mia madre, che una vicina è uscita con una mica di pane, era proprio, in campagna facevano del pane grosso così no, e l’ha dato a questi militari e qualcun’altro, qualche altra donna l’ha redarguita: ‘come, dai il pane ai nemici?’ eccetera eccetera e lei ha risposto che, siccome aveva un figlio militare e che non sapeva che fine avesse fatto, sperava che trovasse, suo figlio trovasse qualcuno insomma di buon cuore e quindi lei si è sentita [unclear]. Questo fatto mi ha raccontato mia madre che mi è rimasto, mi è rimasto in mente. [pause] Altro fatto è l’arrivo appunto degli alleati che provenivano dal reggiano e lungo, avevano preso la strada verso Parma e la gente era accorsa con, e agitavano, molti agitavano delle fronde di biancospino come saluto. Sembrava quasi il Gesù della Domenica delle Palme [laughs], fatto che mi è rimasto impresso, quello lo proprio, l’ho visto io insomma, ecco, non mi è stato raccontato. E c’era un’euforia, un’esaltazione, naturalmente. Poi ricordo la fuga, la fuga sì in un certo senso, l’abbandono degli alberghi da parte dei tedeschi. Nel frattempo prima dell’arrivo degli alleati erano arrivati alcuni partigiani. I partigiani avevano cominciato a scendere, a scendere dalle montagne, e niente l’ultima, così, l’ultimo tedesco mi ricordo, questo mi ricordo benissimo perché questa volta invece eravamo andati in cantina, non eravamo scappati fuori, ma eravamo giù in cantina perché si sapeva che le cose stavano precipitando e a un certo, un gran silenzio e a un certo momento si sente uno sparo. Era un partigiano che aveva sparato e allora un tedesco motociclista è ritornato indietro, strombazzando con la sua moto, facendo vedere che non aveva assolutamente paura, ha fatto il giro della piazza del paese e poi se ne andato. Questo poi mi ha raccontato mio padre, io poi ho sentito il rumore della moto ma naturalmente è mio padre che me l’ha detto, guardava fuori dalla cantina dal finestrino che era il tedesco in motocicletta, con grande sollievo perché la paura era che bruciassero, facessero, come hanno fatto in altri posti, uccidessero, che invece qui per fortuna. Ecco un’altra cosa invece che ricordo, però naturalmente io non, per sentito dire, è la fucilazione di quattro partigiani condannati a morte da un tribunale della Repubblica Sociale a Parma e li hanno fucilati nel cimitero di Monticelli. Basta, altre cose non, non le ricordo.
SB: E quindi ad un certo punto si è tornati a una sorta di normalità, oppure no?
MG: Sì, una normalità in cui però erano forti, forte le contrapposizioni tra i comunisti e i, insomma tra le forze, quelle che poi diventeranno forze democristiane e i vecchi fascisti da un lato, e le forze social-comuniste dall’altro immediatamente. Mi ricordo la grande euforia per il referendum e soprattutto la grande euforia per la vittoria della Repubblica contro la monarchia. Ah poi ecco, sempre invece durante, nel ’43, ecco nel ’43, forse io ho detto che sono arrivati i tedeschi ma li non, negli alberghi subito dopo l’8 di settembre ma questo è un errore perché, tra, negli gli alberghi tra il gennaio e il, mi pare il marzo, insomma i primi mesi del ’44. Faccio, ritorno indietro un attimo. I tedeschi sono, certo che hanno preso il potere ma lì in quel paese i tedeschi si sono installati qualche mese dopo l’8 di settembre e prima dei tedeschi nel, in uno degli alberghi avevano deportato donne e bambini ebrei, in attesa di essere trasferiti a Fossoli. E io mi ricordo, mi ricordo benissimo, anche perché mi ricordo, vabbe’ a parte il fatto che a casa se ne parlava e poi nel, ero nel negozio della mamma e è venuta una signora ebrea per farsi lavare i capelli perché permettevano a uscire, a parte il fatto che questa signora aveva dei bambini quindi. Io non so se questa signora o era la moglie del rabbino di Parma o era la cognata ecco, comunque appartenevano a, be’ adesso le famiglie non mi ricordo più il cognome come si chiamavano. Io mi ricordo benissimo perché così con questa signora e lei mi aveva detto che c’aveva dei bambini, però quando lei mi ha detto che i suoi bambini erano più grandi di me, insomma la cosa non mi ha interessato più di tanto perché insomma ecco. Questo, questo è un altro dei fatti che io ricordo. Mi ricordo che quando li hanno portati via nel marzo del ’44, per portarli a Fossoli ma lì non si sapeva dove, e allora la gente si, questo mi ricordo proprio nel, si chiedeva che fine avrebbero fatto e mi ricordo che qualcuno ha detto: ‘eh, sì, figurati, li porteranno in Germania, chissà mai cosa gli faranno’, ecco. E basta, poi. Poi dopo sono arrivati i tedeschi, negli stessi edifici.
SB: E senta, quindi in questo periodo in cui ci sono stati questi ebrei in questo, questo edificio. Intanto loro avevano l'obbligo di residenza lì?
MG: No, erano, sono italiani.
SB: Erano sorvegliati.
MG: sorvegliati.
SB: [unclear]
MG: Sorvegliati, però sorvegliati non da tedeschi ma da italiani.
SB: Da italiani. Ed è capitato che ci fosse, suonasse l’allarme durante il periodo in cui loro erano li’? Non se lo ricorda, se qualcuno nel paese
MG: Ma credo che
SB: Si chiedeva cosa facessero questi ebrei, se potessero uscire dal palazzo, se potessero andare a nascondersi da qualche parte oppure no?
MG: No, questo non lo so.
SB: Non se lo ricorda.
MG: No. Ma non mi pare che, perché quel che, l’idea che ho io e che lì i mitragliamenti e i bombardamenti, nei dintorni insomma, a cominciare da Parma, siano avvenuti qualche mese dopo. Cioè proprio primavera-estate del ’44.
SB: Ho capito. E senta, ultima domanda. Qualcuno ha mai, si è fermato mai a ragionare su queste persone che mitragliavano, che bombardavano, qualcuno ha mai, si è mai lasciato sfuggire un commento in famiglia oppure, sia durante che dopo? Cioè come si parlava di queste persone che bombardavano, che mitragliavano?
MG: Si riteneva, si riteneva che fosse necessario. Era lo scotto che noi dovevamo pagare per esser liberati. Poi vabbe’, quando, noi in molti casi naturalmente l’abbiamo saputo dopo. Molti dei bombardamenti tendevano a terrorizzare più che colpire obiettivi militari, su questo non c’è dubbio, perché quando hanno bombardato Piazza della Scala e il duomo eccetera qui a Milano, e così in tantissime altre città, era proprio cioè il tentativo di demoralizzare la popolazione, ma sicuramente cioè quella popolazione non c’era bisogno di bombardarla, era sicuramente demoralizzata, all’infuori dei fascisti che erano legati alla Repubblica di Salò insomma. Io però non mi ricordo, sì che in casa, in casa appunto l’idea che così, l’impressione che mi è rimasta, è proprio quella del, è lo scotto che dobbiam pagare perché i nemici vengano, i nemici che abbiamo in casa vengano cacciati insomma, per esser liberati, ecco. Quindi, chiaro che chi ha avuto la casa, io non episodi di questo ma, in città chi ha avuto la casa bombardata o chi ha avuto dei congiunti che sono rimasti sotto le bombe, sicuramente hanno avuto un atteggiamento diverso insomma.
SB: Senta quindi da quello che mi dice, lei comunque ha approfondito l’argomento dopo la fine della guerra. Ha avuto un percorso professionale o,
MG: Sì.
SB: Si è trovato appunto a studiare, a riprendere queste esperienze che ha vissuto da un punto di vista storico, da un punto di vista di approfondimento.
MG: Le mie personali?
SB: Sì, nel senso lei ha delle conoscenze che appunto non potevano scaturire dalla sua esperienza ma che
MG: Sì, sicuramente.
SB: Sono venute dopo. Ha approfondito queste tematiche.
MG: Sì, sì. Soprattutto non so, l’attività partigiana, perché molte cose per sentito dire, non in casa. Ripeto in casa mia, io non, casa mia tutte le cose che accadevano, vita, morte e miracoli, non hanno, non mi hanno mai nascosto nulla. Qualsiasi cosa accadeva, ne parlavano in modo naturale, non c’era ‘ah è piccolo, non dobbiamo spaventarlo’, no no, tutte le cose venivano dette, commentate, naturalmente sempre con molta attenzione. Poi ripeto sia durante l’occupazione che dopo l’occupazione, anche per ragioni politiche su certe cose insomma così era meglio. Perché probabilmente in città la cosa era diversa dove, ma lì nei piccoli centri dove tutti si conoscevano quindi bisognava muoversi, io sto parlando dei grandi naturalmente.
SB: Certo.
MG: Ma anche noi bambini comunque eravamo schierati, eh, io mi ricordo. I comunisti e gli altri. Mi ricordo benissimo. Io ero tra gli altri [laughs]. Non appartenevo a una famiglia comunista, anche se il nonno, sì, era stato comunista e aveva preso l’olio di ricino ma insomma ormai a quell’età lì non se ne occupava più ma gli altri membri della famiglia non erano comunisti.
SB: Va bene, allora io la ringrazio, se non ha null’altro da aggiungere.
MG: È stato un piacere.
SB: E interrompo.

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Sara Buda, “Interview with Maurizio Ghiretti,” IBCC Digital Archive, accessed April 26, 2024, https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/collections/document/535.

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