Interview with Federico Martinotti

Title

Interview with Federico Martinotti

Description

Federico Martinotti reminisces over the Pavia bombing on the 26 September 1944, describes the effects on the buildings near the Ticino River (the old bridge being the aiming point of the attack), mentions the salvaging of valuable items from the debris. He recalls the attitude of his grandfather, a solicitor, who had his vast studio destroyed but was still grateful for not having lost his life. Federico describes improvised shelters, 'Pippo', and black out precautions. He describes bombs being dropped as resembling paratroopers jumping out of an aircraft. He also gives an account of the Canottieri Ticino, the rowing club.

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Date

2017-03-09

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00:14:13 audio recording

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Identifier

AMartinottiF170309

Transcription

FA: Sono Filippo Andi e sto per intervistare il signor Federico Martinotti. Siamo a Pavia, è il 9 marzo 2017. Ringraziamo il signor Martinotti per aver permesso questa intervista. È inoltre presente all’intervista il signor Maggi. La sua intervista registrata diventerà parte dell’archivio digitale dell’International Bomber Command Centre gestito dall’Università di Lincoln e finanziato dall’Heritage Lottery Fund. L’università s’impegna a preservarla e tutelarla secondo i termini stabiliti nel partnership agreement con l’International Bomber Command Centre. Signor Martinotti
FM: Spengo un attimo.
FA: Signor Martinotti, vuole raccontaci la sua esperienza durante il periodo di guerra, appunto sui bombardamenti?
FM: Ho dei ricordi abbastanza vivi su questi bombardamenti. Avevo allora dieci anni. Eravamo sfollati in Piazza Castello, dove c’era il vecchio zio che aveva lì una casetta perché sembrava effettivamente molto pericoloso il rimanere, data la frequenza dei bombardamenti, nella casa che era situata in, si chiamava allora Corso Vittorio, era Corso Vittorio Emanuele poi la Strada Nuova. E questo edificio era ubicato all’interno del Voltone degli Isimbardi, dove attualmente si trova la farmacia Tonello. Stiamo scendendo per Strada Nuova, diciamo negli ultimi cento metri. Lì avevamo, i Martinotti avevano una grande casa di abitazione, veramente un bell’appartamento, eran più di trecento metri molto ben arredato e uno studio altrettanto grande dove il nonno, che si chiamava Federico come me, aveva una biblioteca e un archivio di primissimo ordine, aveva delle collezioni dei testi giuridici ancora delle origini del foro italiano, della giurisprudenza italiana ma una serie anche di volumi di grande pregio, di grande importanza. Uno studio che oggi è impensabile perché i nostri studi per uno o due persone sono intorno ai cento metri, qui per un avvocato solo erano oltre trecento metri ed erano tutti pienamente occupati, arredati anche con molto gusto. In quest’ultimo bombardamento che mi pare sia del 26 settembre 1944, sette bombe hanno colpito tutto il nostro complesso per cui abbiamo visto soltanto i muri, l’unica cosa che ricordo, rimasta appesa in un muro era un quadro a parete delle [unclear] che portava il Ponte Vecchio, era proprio un simbolo, c’era ancora lì il ponte bello da una parte e l’altro distrutto appena il giorno prima dei bombardamenti. Si è ricuperato poco pochissimo anche perché, siccome l’appartamento e lo studio erano molto arredati non si sapeva dove fare un trasloco, dove portare determinati beni. È rimasto là tutto ed è rimasto tutto. Mi ricordo mio padre che era appena dopo i bombardamenti sceso a vedere, ha avuto un momento di euforia quasi vedendo il Voltone intatto e poi una delusione molto forte quando ha visto lo scempio che c’era, però poi è tornato a darci la notizia dicendo ‘bene, ringraziamo il signore perché ci siamo ancora, siamo noi in vita’ e qui tanta gente purtroppo c’ha lasciato, c’ha lasciato la pelle, c’ha lasciato la vita stessa. Accanto a questa esperienza, bene poi ci sono state tutte le operazioni che abbiamo fatto nel ricuperare quel poco che era salvabile, ho ricuperato un po’ di libri dallo studio che sono poi rimasti, sono stati portati avanti nello studio di mio padre, poi nel mio e alcuni oggetti, praticamente ecco è andato tutto quanto. Parallelamente vorrei ricordare che come frequentatore del fiume, mio padre era uno tra i soci che era molto attivo nella Canottieri Ticino, avevamo presso la Canottieri i soci dall’origine, da quando mio padre era ancora molto giovane, avevamo delle imbarcazioni, un doppio da regata che mio padre l’aveva preso in un’occasione, sperava di andare con la moglie ma è stato un’utopia, incominciava invece a portarmi, ero ragazzino con, non avevo neanche una decina d’anni, mi sedeva sul seggiolino, mi diceva di stare bene aggrappato agli scalmi e un pésin da caccia, che uno zio cacciatore che lo usava con la spingarda l’aveva lasciato dato che aveva una certa inclinazione, un certo desiderio di usare le armi, di sparare. Se n’è andato tutto il barcone con tutte queste attrezzature e la Canottieri Ticino è stata completamente distrutta. A quel punto c’è stato il dottor Carlo Saglio che gestiva l’idroscalo che, appassionato e legato ai colori della Canottieri, ha detto ‘venite, vi ospito all’idroscalo’. Sono rimasti una quarantina di soci che sono rimasti aggregati, tenuti in vita negli ideali sportivi da Carlo Saglio e che hanno dato poi vita alla nuova società. Saglio è diventato presidente della Canottieri Ticino, anzi a proposito di Carlo Saglio presidente, ricordo degli episodi che erano estremamente simpatici. Lui andava, volava con gli idrovolanti e ogni tanto arrivava l’idrovolante di Saglio e attraccava alla zattera. Insomma, vedere il presidente che arriva in aereo in società era un fatto significativo soprattutto per allora, adesso magari lo fanno con l’elicottero. Non so ecco questi sono i ricordi più vivi di quei momenti veramente molto molto tristi che sono stati luttuosi per la città tutta.
FA: Quindi anche la Canottieri Ticino fu colpita da, dalle bombe?
FM: Sì sì, è stata colpita, è stata disintegrata.
AM: Dicevano [emphasis], che era stato così.
FM: La Canottieri Ticino era a valle del Ponte Coperto sulla riva sinistra, sulla riva della città, adesso è rimasto ancora un muraglione, è rimasto. L’unica cosa che era rimasta era un pezzo di cancello che è stato portato come cimelio nella nuova Canottieri Ticino che si trova adesso sull’altra parte del fiume, sulla riva destra, a monte del Ponte delle Libertà, ma prima la Canottieri poteva ospitare circa centocinquanta soci, erano tutti uomini, le donne non erano ammesse. Adesso ci sono settecentocinquanta soci effettivi, più gli aggregati che sono i familiari e coloro che frequentano perché legati strettamente ai soci e siamo in millesettecento. È un grosso complesso, sono più di dieci ettari di terreno, si fanno delle cose molto, molto valide sotto un profilo sportivo. Oggi nella velocità della canoa è la prima società italiana. Negli ultimi due anni è stata la prima tant’è vero che il Manfredi Rizza è stato il canottiere, è stato il canoista italiano che si è comportato meglio di tutti alle Olimpiadi di Montréal, è uno dei dieci più veloci al mondo, è il più veloce in assoluto sulla distanza dei duecento metri cioè ha il record assoluto, mai nessun italiano ha fatto il tempo che lui ha realizzato.
AM: Alle Olimpiadi di Rio.
FM: Come Rio, questo, a Rio è stato sesto e è uno dei dieci più veloci attualmente al mondo. Si è laureato in ingegneria a 24 anni e quindi, diciamo, l’espressione bellissima, noi nel panathlon siamo molto sensibili a questo, lo dico rivolgendomi all’amico Antonio Maggi che del [unclear] panathlon è una colonna grande perché cerchiamo di dare, di valorizzare il risultato grande sotto un profilo sportivo e sotto il profilo del rendimento scolastico. Non so mi dica se [unclear] qualcos’altro va bene.
FA: Certo. Tornando un attimo indietro nel suo racconto, lei ha assistito, si ricorda quando hanno bombardato diciamo la sua abitazione, ha un ricordo di quel?
AM: Dei bombardamenti [unclear] tedeschi [unclear]
FM: Dunque sì, io, beh almeno, io ero in Piazza Castello insieme a tutti i familiari quando c’erano, appena dopo i bombardamenti c’era il papà che aveva, andava immediatamente a vedere che cosa era successo per la casa. Quando è avvenuto il bombardamento sono andato anch’io a vedere e nei momenti in cui si poteva, passavo anch’io delle ore a scavare, cercare di prendere qualche cosa che poi non si trovava, quindi è un ricordo abbastanza vivo, ricordo la, il timore che si verificava perché quando c’era un bombardamento su Pavia, citta’, grande citta’, sì, Piazza Castello non era molto lontano, eran, cos’è, solo un kilometro e mezzo.
AM: Sarà un kilometro dal borgo.
FM: Un kilometro dal borgo, quindi si sentiva la deflagrazione di tutte queste bombe, lo vedevamo, lo sentivamo, eravamo in questo rifugietto che poi era lo scantinato della casa e si tirava un sospiro di sollievo appena veniva il segnale del cessato allarme e i bombardieri si erano allontanati. Allora c’era il desiderio di vedere. Ma l’ho vissuto anch’io proprio questo desiderio, cos’è successo, andiamo a vedere. Quello che ricordo ma soprattutto la serenità di mio padre, sì, abbiamo perso un sacco di beni ma siamo tutti vivi.
FA: Ha parlato di un rifugio. Potrebbe descrivere com’era, diciamo, costituito questo rifugio?
FM: Non era un rifugio vero e proprio. Era una villetta e c’era uno scantinato. Si andava più in basso per evitare che ci fosse non so. Se non veniva colpita direttamente quella, di fatto non fosse stato colpito direttamente, essendo quasi immerso nel terreno poteva esserci un po’ di protezione, non esserci lo spostamento d’aria determinato dalle bombe. Era forse una sensazione piu’ psicologica che effettiva quella di, cioè, di andare in un rifugio.
FA: Ehm, che sensazioni provavate quando entravate, quando andavate in un rifugio dopo il segnale d’allarme, si ricorda?
FM: Ma mi ricordo che c’era un aeroplanino che veniva tutte le, quasi tutte le notti, si chiamava Pippo.
AM: E se lo ricordano tutti.
FM: E lo ricordano. C’era Pippo che arrivava, evabbè spegniamo tutte le luci, ci mettiamo, mettiamoci a posto. Ma diciamo che non preoccupava forse piu’ di tanto. I primi bombardamenti avvenuti su Pavia hanno fatto capire invece che le cose si facevano serie e che gli americani volevano effettivamente demolire il ponte sul Ticino e il Ponte Vecchio resisteva con una forza incredibile per cui hanno dovuto tornare e ritornare. Dopo i primi bombardamenti c’era veramente un panico, un panico forte. Mi ricordo, addio, arriva il bombardamento, questi vogliono buttarci giu’ il ponte, finché non ce lo buttano giu’ ci distruggono. E quindi c’era timore forte.
FA: C’era forte timore.
FM: Sì, sì.
FA: Eh, e quindi la sua esperienza di sfollamento in seguito a bombardamento della sua abitazione è avvenuta, si è risolta a livello familiare.
FM: Sì, sì, sì .
FA: Lei si è trasferito e
FM: Esatto.
FA: Non ha dovuto, trovare
FM: No, cioè gli zii , il fratello del nonno che aveva questa villetta, di de’ l’era? A Piazza Castello.
FA: Vabbè vuole, ha altri ricordi legati a questi periodi inerenti appunto i bombardamenti?
FM: Ma direi di no, almeno l’essenziale è questo poi finirei a ripetermi magari con qualche altro particolare che magari è di scarso significato. Direi che posso fermarmi.
FA: Va bene. Allora la ringraziamo.
AM: Un’ultima cosa, aspetta. Tu non hai mai visto magari materialmente degli aerei che bombardavano?
FM: Una volta di Piazza Castello ho visto le bombe che scendevano, sganciate dagli aerei.
AM: [unclear]
FM: Erano le fortezze volanti allora, erano quadrimotori americani. Ecco arrivano, le fortezze volanti. E ho visto un grappolo perché arrivava, uno due, uno, due, tre quattro, che venivano lasciate andare con molta frequenza. Sembrava di vedere i paracadutisti in gruppo che uno dopo l’altro si buttano dall’aereo. Questo qui l’è unico ricordo.
AM: Pero’ non ti ha fatto impressione perché magari era una delle prime volte perché poi non hai piu’ avuto occasione di vedere.
FM: Ma quella volta, quella volta lì non so come mai dovevamo correre giu’ in, e quando è suonata l’allarme forse c’erano, sono arrivati gli aerei subito non so come. Ci siamo mossi in ritardo e nel correre giu’ si è visto questo aereo, ricordo di aver visto questo aereo che lasciava questo grappolo di bombe, che erano spostate abbastanza, ecco di un po’
FA: D’accordo. Va bene allora la ringraziamo per questa intervista.
FM: Io sono grato per esser stato intervistato e
AM: Poi, bisogna fare delle copie, eh.

Citation

Filippo Andi, “Interview with Federico Martinotti,” IBCC Digital Archive, accessed December 14, 2024, https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/collections/document/473.

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