Interview with Paolo Vivoda

Title

Interview with Paolo Vivoda

Description

Paolo Vivoda remembers a bombing attack which started moments before the show of the stage magician Delfo, his mother barely made to the shelter and was injured, others died. Paolo lost contact with his parents, only for them to reappear two days afterwards, alive but covered in bandages. Describes the shelter under his house able to accommodate about 200 people and mentions a friendly German soldier who used to bring sweets and food to the children. Describes the heated political situation in Monfalcone after the war and mentions a recent CT scan which revealed a tiny, painless, metal splinter still embedded in his forehead.

Date

2016-08-01

Spatial Coverage

Coverage

Language

Type

Format

00:18:10 audio recording

Rights

This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.

Contributor

Identifier

AVivodaP160801

Transcription

PC: Sono Alessandro Pesaro e sto per intervistare Pietro Vivoda, detto Paolo, per l’archivio digitale dell’International Bomber Command Center. Siamo a Monfalcone, in provincia di Gorizia, è il 1 agosto 2016. Grazie Paolo per aver permesso questa intervista. Sono presenti all’intervista Giulio, Giulia Sanzone, Pietro Comisso, Maurizio Radacich. Prima di cominciare vorrei farle alcune domande per essere sicuro che questa intervista venga registrata come desidera. È d’accordo che la sua intervista venga conservata presso l’Università di Lincoln, esclusivamente per scopi non commerciali, che l’Università di Lincoln ne abbia il copyright e che infine essa sia liberamente accessibile in qualsiasi supporto/formato per mostre, attività di ricerca, istruzione e come risorsa online?
PV: Sì.
AP: È d’accordo che il suo nome venga pubblicamente associato all’intervista?
PV: Sì.
AP: È d’accordo ad essere fotografato per l’Archivio Digitale dell’International Bomber Command Center?
PV: Sì.
AP: Grazie, possiamo cominciare. Dunque Paolo, grazie per questa intervista, per cominciare vorrei chiederle: qual è il più remoto ricordo che riesce a recuperare? Qual è l’evento più distante nel tempo che si ricorda?
PV: Questo de la guera, senz’altro pol esser un avvenimento lontano, lontanissimo, [pause] probabilmente proprio quel giorno, ho una foto de esser su, sulle ginocchia de un soldato tedesco, sul camion dove vengono caricati i feriti; ho soltanto una foto di questo, e probabilmente in quel momento è parché no son mai stado poi, né prima né dopo, in ospedal de conseguenza [pause].
AP: Cos’era successo in quel giorno?
PV: Quel giorno l’è stado un spettacolo teatrale al teatro del cantier di, de Monfalcon, durante le ore de lavoro parché non era, non erano presenti i lavoratori ma i famigliari, spettacolo che, de magia, del, Dolfo, par mi era Dolfo ma gaveva un nome simile, il mago e quel che ricordo, che ricordo, l’è un ricordo forse ‘nche ricostruido, ricostruido da mia mamma perché de lei me ricordo benissimo le ferite, le ferite sulle gambe, sulla schiena, anche ferite con degli, grandi cicatrici, e dopo quando se parlava del quele cicatrici, dello spettacolo, del bombardamento, del, dela fuga, dela fuga nel bunker, via dal teatro nel bunker, non mi ricordo le persone però mia mamma diceva sempre che la nonna Boscal col nipote Paolo, metri, cinque, dieci metri dietro a noi dove son rimasti entrambi, vittime, due persone che abitavan nella casa di fronte, quindi. Una delle tante cose del tempo remoto, perché a Monfalcone, a Panzano cerca, nella parte dei cantieri ne iera tantissime de case rotte, per noi era le case rotte, case distrutte dai bombardamenti, e la mia per fortuna no, quelle vicine no, però a cinquanta, cento metri de via de casa mia ghe n’era tantissime de distrutte. Sotto casa mia c’era un grande bunker, uno dei grandi, duecento persone; mi ricordo che passavo tantissimo tempo nel bunker perché era proprio sotto casa mia, e quando sentivo un rumor de un aereo gridavo ‘Mamma, penchi, penchi’, e via in bunker, ‘ndavo anche solo in bunker, e avevo due anni, tre anni, questo me ricordo! Me ricordo anche che lì vicin era, veniva de guardia un vecchio soldato tedesco, de guardia del posto, che lui avendo un figlio della mia età me portava spesso caramelle, cioccolata, qualcosa da, de conforto a mi: el mio, el mio ‘chicchecco’. Ecco questa sé i ricordi, i primi ricordi che go, i ricordi dela guera, dopo comincia a essere i ricordi dopo la guera. Un altro ricordo che digo sempre, che quando sono nato mio, mio ‘pà è andato in Carnia a prende una capra, e la ga portada a Panzan e mi son cresciudo col late de capra, mi son [laughs] un cornuto dall’inizio [laughs], capre che poi gavemo, ecco quel el me ricordo ben perché le gavemo poi fin al 1950-51, quindi me le ricordo ben. Altri ricordi de quel momento non, non go perché iero troppo piccolo, dopo penso che ze stadi anche, iera ricordi de mio fradel, de mia mamma, de mio papà più che miei, no, quindi.
AP: Cosa, cosa la se ricorda de questi racconti? perché magari dopo la guerra o dopo che sé finida, magari se ricorda qualcosa [unclear].
PV: Sì, me ricordo che la sé finida, me ricordo dopo la guera che iera forse più guera che no prima, per noi no, va ben i bombardamenti iera pesanti, ma me ricordo quando mime son sveado per ‘no scoppio sotto casa nostra, quando che i meteva le bombe perc, per, per impaurir per intim, per farche timora ale persone che dimostrava simpatia per, per la Jugoslavia, per la, per Tito disemo; e g’aveva messo ‘na bomba sotto casa nostra dove che poi, due giorni dopo, la zente che doveva ‘ndar sé ‘ndadi via parché i ‘va capio. Me ricordo, me son sveado perché era tutte le lastre rotte, no iera più’na lastra intiera, e questo succedeva nel ’46.
AP: Quindi dopo la guerra.
PV: [pause] Giusto, nel ’42, nel ’47, sì nel ’46, perché poi ‘l nipote di questa signora nasse nel ’47, a Pola, quindi, giusto nel ’46 , forse era anche il ’45 ‘ncora eh, ‘pena ‘penna finita la guera. So che sé stadi tanti casi a Monfalcon de questo, de bombe, de scoppi, de, ricordo che mio fradel andava a scuola, diseva ‘Ah ma mi, tornavo casa de scola, l’ho visto, ‘l mat in bicicleta, se passà, tirà fora la pistola [mimics gunshot] ghe ha sparado a uno’, pe’ strada eh!, davanti de tutti, quindi ecco questo sé, no sé un ricordo mio ma sé quel che diseva lui, ‘vea cinque anni in più de mi, quindi. Ha visto, ha visto meo de mi quel che era la guera.
AP: Lei me ga parlà de sua mamma con delle cicatrici molto evidenti.
PV: Sì, sì.
AP: Sua mamma cosa g’ala contado de questa , de questo fatto?
PV: Ehh che zera successo in quel, in quela volta che semo ‘ndai a veder el teatro, e che mi ero in braccio de mia mamma, mio fradel era per mano, e prima de entrar nel bunker, stavamo entrando nel bunker, sé stado questo scoppio vicinissimo, dove che ela l’è stada molto ferida, mi me ricordo che ‘veva le cicatrici su una gamba, che da ‘na parte iera entrde delle schegge da l’altra che iera uscide, quindi me ricordo del genocio de mia mamma, e poi della schena de mia mamma, e poi quel ela raccontava che mi ero in braccio de ela, me fradel che iera per man sé rimasto completamente spogliado dallo spostamento d’aria, e poi quel che raccontava che dal cantier vien fora tutti, va in cerca de la gente, mio papà trova mia mamma, torva mio fradel e mi no ’l me trova: ‘l me trova due giorni dopo, no iero né fra i vivi né fra i morti; me trova due giorni dopo tutto, tutto fasciado, probabilmente mi no go dito niente, non, no so quanto che rivavo a cavar o quanto che savevo parlar, e mi no g’avevo niente, ero tuto fassado, ma probabilmente dovudo al sangue de me mama, non mio perché mi no go vudo niente, niente altro che, che questo puntin, penso che poi chi, chito che g’abbi dato importanza a ‘na roba del genere, ma no sé gnanca un graffio, perché no sé un segno esterno, e no sé una roba grossa, perché se g’avevo ‘na roba più grossa probabilmente no ero qua, ehh. Quindi, poi sé tutte ricongiutture che sé restade, mi no go mai dado tant’importanza, serto se fossi viva mia mamma oggi ghe domandassi qualcosa in più, ma perché, perché me sé stado destado un attimo de più interesse su questo, se no, se no.
AP: Certo. Quindi lei no la ga mai parlado con i suoi genitori de queste cose qua ?
PV: Sì, sì se ga parlado perché mi sta roba la so dovù da lori, no.
AP: Certo.
PV: Mio papà ga dita ‘Ciò no trovarte fra i vivi iera longhi, no te go trovà gnanca fra i morti’. E dopo iera vignù fora che quei che era drìo de noi, che mi cono, conossevo, mi no me li ricordo perché no me ricordo quela roba lì, ma la nona e ‘l nipote Paolo sono come mi, lori iera rimasti sotto al bombardamento; e l’è stadi anche più morti quella volta perché chi che era stado fora dal bunker iera spacciado.
AP: Un secondo fa lei la ga parlà de un puntino e la se ga indicà la fronte: de cosa se tratta esattamente?
PV: Una, una stella de metallo, un puntin de metallo. Questo sé venudo fuori dopo quarant’anni quando me sta, me sta diagnosticado due ‘carenze nel visus’ , quindi l’oculista me g’avea diagnosticado de metter su i ociai, e la mia dottoressa la ga voludo che fasso i raggi in testa, che non sia qualcos’altro, e iera vignù fora questo, questo stellina de metallo, questo, che sé in mezzo proprio all’osso, perché leggermente qua a sinistra ‘vemo l’osso spesso sei millimetri circa, in mezzo all’osso sé questa scheggia de metallo, che poi mi, chiedendo, digo come posso cavarmi questa scheggia, e l’unica, l’unica pol esser solo che quel bombardamento perché non, non son mai stado in altri momenti; e poi se te ciapi una qualsiasi roba in testa te resta la cicatrice se te ga un bel taio, ma no te resta dentro niente, questa invece iera proprio un, un niente che sé restado dentro ma che sui raggi se lo vedi, e che me g’aveva molto meraviglià quando sé vignuda fora sta roba, solo che mi g’avevo già ormai quarantacinque anni, sì me g’aveva meravigliado però sé finido là insomma, no, no ghe go dat tanta importanza, no me ga mai dado disturbi e ghe ho dita ‘Questa sé una scheggia americana, domanderò i danni, domanderò la pension ai americani, no’ [laughs], che poi no ho mai fatto niente ovviamente [laughs].
AP: Questo sé un aspetto interessante il, all’epoca, cioè, lei la sé stada una persona che se ga preso una bomba addosso, che cosa la pensava de quei eventi? O come ghe li ga spiegadi? Perché ela la sé stado ferido quando l’era ancora bambino, in genere i bambini da piccoli chiedi ‘Perché?’, chiedi giustificazioni: glila ga chiesto informazioni ai suoi genitori, o i suoi genitori, in qualche maniera, ghe ga spiegado cos’era successo?
PV: Ma se ne ga tanto parlà dela guera, poi la guera no ‘a iera finida nel ’45, ga continuado perché qua da noi ga continuado avanti ancora, gente che spariva, gente che, sé lapidi a Monfalcon del ’47 o ’48 che sé stai copadi qualchidun per motivi politici, per motivi pfff, sì più che altro politici. Monfalcon ga ‘na storia abbastanza, poco, poco conossuda penso, ma sé stado un sacco de gente che ga lassado Monfalcon e che sé ‘ndada nella futura Jugoslavia de Tito, nella democrazia futura, no; sé anche tanti ritornadi, e tanti no sé ritornadi perché no i podeva tornar, ma noi g’avemo g’avudo tantissima gente, quindi quel, la guerra no iera solo la guera de bombardamento, perché qua iera, no iera solo la guera del tedesco; quando mi go visto che sé stado portado via, ecco, mi me ricordo questo, ‘l mio tedesco l’era stado portado via da due neozelandesi, finida la guera, quindi quei giorni là, lui sè stado portado via perché frequentava una signora che era ‘na casa vicin, ma iera ‘na roba normale insomma, l’era ‘na roba, mi son nato nela guerra e quindi par mi la guera doveva esser la roba più normale de ‘st mondo, no; poi finalmente e per fortuna la ga anche finido.
AP: Certo. E adesso a distanza de settant’anni, la pensa ancora che sia una cosa normale? Magari ga cambiado?
PV: Noi no semo più entradi in guerra, però oggi noi gavemo soldati italiani che i sé in venti, venti, venticinque parti nel mondo per le guerre: l’è terribile [emphasis]! Però sé la realtà.
AP: Capisso.
PV: L’Europa no sé più in guera direttamente, forsi, forsi invece la sé, la sé diversa, perché vedemo cos che sé oggi in Europa, eh! [scoffs].Quindi la guera sé sempre. Sé una pochi de anni che digo che l’omo, l’omo sé veramente la, l’animale più bestia, no, le bestie no, sé animali, noi semo bestie, perché se continua a ricoparse come che fossimo, oppure co’ quela ‘Sé notizie?’, ieri sé stado sbarcado milleduecento persone, milleduecento ieri, un giorno l’è sta tremila persone, sbarca la nostra Marina o altre marine anche, in Italia de zente che scampa, ma semo nel 2016, no semo nel ’45.
AP: All’inizio dell’intervista lei la ga usado un’espressione curiosa, “penchi”, ‘penchi, penchi’, che cosa vuol dir? Il suo soldato tedesco.
PV: Eh, ‘l ‘Chechecco’.
AP: Sì.
PV: “Chechecco”. Tedesco par mi iera ‘chechecco”, no, nel mio linguaggioera ‘chechecco” perché co’ ‘na roba che mi gavevo imparado prima de dir altre parole mi g’veo imparado a dir ‘Pà’, questo no melo ricordo mi ma era un racconto de mia mamma che mi andavo dalla signora che abitava sotto de casa mia, che la iera friulana de Campolongo, de, sì me par de Campolongo, e che ‘ndavo a domandarghe ‘Tina, Tina pan’, mi no savevo dir né ‘bongiorno” né niente ma saveo dir ‘Tina pan’ ‘E non lo go ancora fatto, vien dopo’, ‘va ben, va ben, vado de Anna’; andavo de ‘n’altra signora, ‘Anna pan’: mi rivavo aportar casa un tocco de pan che lori i rivava a far e che noi, sì probabilmente iera fatto anche da noi perché mio papà a cio’ ‘l sal a Punta Sdobba co’ la bicicletta e i lo portava in Carnia, pe’ portar casa qualcosa de magnar, come che ha portà casa la capra, faseva anche questo. Però no zera de mia prima persona, sé robe riportade dopo, no, perché mi non le go viste.
AP: Certo.
PV: Eh! [pause] Però sé ricordi de quella volta, ricordi che poi magari mi li go anche lassadi andar, che orami pe’ fortuna no i ga presguido, no, mentre qualchidun, ecco quei ch’era ‘ndati a Pola, dopo anni, quando che sé tornadi, che i me contava, lori i ga continuado ‘na vita così, un poco avventurosa anche dopo, che per noi no la iera insomma.
AP: Bene, ghe vien in mente qualcos’altro?
PV: [pause] No.
AP: Bene Paolo, è stà una bellissima intervista, grazie! Go imparà delle cose che mi, personalmente, no savevo, quindi grazie per ‘verme contà delle cose così interessanti. I miei colleghi all’università sarà contentissime de ‘scoltarla, e quindi se no la ga niente de, d’altro de aggiunger podemo finir qua.
PV: Niente, ringrazio voi e fatene buon uso.
AP: Grazie.

Collection

Citation

Alessandro Pesaro, “Interview with Paolo Vivoda,” IBCC Digital Archive, accessed May 10, 2024, https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/collections/document/406.

Item Relations

This item has no relations.