Interview with Carla Baietti

Title

Interview with Carla Baietti

Description

Carla Baietti recalls her life as a young labourer in Olgiate Comasco. Chronicles the hardships her family suffered during the war: fascist indoctrination, food shortage, her uncle's desertion and her brother's death while serving in Russia. Speaks with affection of him, emphasising how the sorrow for his loss is still present. Describes the bombing of a textile factory. Reminisces how she and her family went out to hide in the wheat fields near their home; when at work she used the factory shelter. Stresses the fear of night bombings.

Creator

Date

2016-11-11

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00:39:38 audio recording

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Contributor

Identifier

ABaiettiC161118
PBaiettiC1601

Transcription

Sono Sara Troglio per l’International Bomber Commando, stiamo intervistando a Olgiate Comasco, [omitted] la Signora Carla Baietti in data 11 novembre 2016.
ST: Volevo chiederle prima della guerra, se mi può raccontare un po' la sua famiglia, com’era, quanti eravate, che cosa facevate, quali erano le vostre occupazioni.
CB: Ecco guardi prima della guerra una famiglia tranquillissima, dopo a me mi viene da piangere. Eravamo una famiglia tranquilla, io, mia sorella e mio fratello. E mio fratello purtroppo l’hanno chiamato al militare quando aveva vent’anni e cominciava la guerra e tutto è andato abbastanza bene finché mio fratello l’hanno mandato a Bergamo a fare il militare va bene, tutto andava bene fino a che mio fratello è rimasto lì. Poi nel 1942 mio fratello nel mese di settembre è stato trasferito in Russia e lì sa sono cominciati i guai, le sue lettere, le sue cose che insomma che erano tutte cose brutte, tutti dispiaceri, insomma la gente non era più quella di prima. Anche la mia famiglia non era più quella di prima perché insomma mancava qualcuno e poi brutto sapevamo che in guerra mica che era, tanto insomma la vita, mia mamma poi specialmente si è anche ammalata che dopo, tutto per questo è anche morta giovane. Per la mia famiglia posso dirle tutto bene, eravamo una famiglia tranquilla, brava e lavoratrice e basta non posso, non so se posso dire qualcosa di più, non so se, ma noi lavoravamo in una ditta qui a Olgiate, in una ditta tessile che facevano anche cose per militari, poi bombardata qua a Olgiate non ce ne è stati, però a 10 chilometri una ditta è stata troncata tutta perché facevano cose da guerra. E qui noi abbiamo visto tutto, sentito, tutto il fumo, il fuoco, il rumore che ha fatto, gli aeroplani quando sono arrivati in massa che han buttato giù questa fabbrica. Poi la sera c’era sempre quel dispiacere di andare a letto senza sapere come si poteva dormire, rumori ce ne era sempre dagli apparecchi così, poi eravamo disturbati noi, poi un’altra cosa, noi eravamo sempre disturbati perché c’era il fratello di mia mamma che era sotto, l’hanno preso in Germania. Lui non poteva resistere e allora han fatto fare una carta del dottore dicendo che aveva malato il papà e allora l’hanno mandato a casa per otto giorni, lui invece non stava bene e non è più tornato. Noi avevamo, com’è che si dice, qui della Germania, i tedeschi, sempre ormai tutti i giorni, ma guardi almeno una volta alla settimana cercavano mio zio e mio zio era in giro per i boschi di qua e di là e ogni tanto la sera arrivava di nascosto, ma avevamo sempre paura che la gente… è stato che lui si chiamava Giovanni, ma gli avevan dato il nome Cesare e questo Cesare è stato la sua salvezza. Perché la gente chiedeva, i tedeschi chiedevano Baietti Giovanni e la gente non sapeva che era Baietti Giovanni e lui con la scusa del Cesare l’è reussi a salvass da la, perché son venuti quante volte i tedeschi in casa eh, venivano giù e mi dicevano, quando mia zia gli diceva ‘ma noi non l’abbiamo più visto, ma noi’, insomma cantavamo su tutte, perché girava di qua tutto per i monti, tutti, poi magari alla sera veniva in qualche famiglia che lo ospitavano per dormire un po' e gli dicevano sempre, c’era il mio nonno che era vecchio come per me adesso, mio nonno e chiedevano a lui perché pensavano, dicevano ‘questo è un po' anziano parla’ invece poverino è stato zitto e diceva anche lui le cose. Quando gli chiedevano a mia zia ‘lo sa che se lo troviamo lo uccidiamo fuori dalla porta’. Beh insomma per noi è stata una cosa brutta, una guerra brutta solo per quello. Uno morto, l’altro insomma. Pensi che mio papà aveva, un bell’uomo, è arrivato così alla guerra, finita la guerra. Non si mangiava più, non c’era niente, io mi davano qualcosa perché non avevo ancora diciotto anni e allora mi davano la roba in più da mangiare, ma gli altri non avevano niente. Sa che per avere un po' di riso da mangiare dovevamo andare a Verona a prenderlo perché, poi c’erano di quelli che magari c’era il grano turco, c’era tanto grano turco e la notte quando si sentiva solo cominciare il rumore dell’apparecchio si scappavano su in quei prati di qua che c’erano tanti, come si chiamano, grano turchi perché dicevano che grano turco con quelle foglie lì si nascondeva la gente. Eh allora, insomma però la vita è stata brutta, bruttissima, per noi specialmente. Non so cosa è che posso contarvi, dirgli qualcosa. Un altro fazzoletto…Non si poteva parlare, perché se si parlava che magari c’era qualche tedesco, non si poteva parlare perché guai, sentivano che parlavano male dei tedeschi o dei fascisti era una cosa…lo sai cosa hanno fatto? Quando qualche ragazzina, magari incontrava qualche, un giovanotto così, ancora magari sotto le armi, che era un fascista, era proibito parlare con i fascisti, che quelli che parlavano con i fascisti gli tagliavano tutti i capelli. Abbiamo tagliato qui nella nostra cittadina non lo so, quattro, cinque file da ragazze che gli han tagliato tutti i capelli e poi gli han fatto fare il giro tutto del paese, della città con i fascisti e loro senza capelli. Han fatto così.
ST: Mi può raccontare qualcosa sul lavoro di lei e sua sorella in fabbrica durante la guerra?
CB: La fabbrica, beh insomma non è che si stava bene, però non si poteva neanche lamentarsi. Facevano cose per gli aeroplani e per le cose lì, però non è che, si faceva tante, come si chiama, tanti giorni senza magari senza poter lavorare però in compenso beh si poteva abbastanza lavorare e quando c’era l’allarme allora suonava l’allarme quando c’erano gli apparecchi e scappavamo giù nei posti apposta per ripararsi da quelli che magari potevano buttare giù le bombe o qualcosa. Un’altra volta è successo invece qui proprio a Olgiate che le prime case che cominciava Olgiate è venuto giù, han bombardato perché dovevano bombardare non so, una macchina che c’era qualcosa. Invece di prendere la macchina, han preso un carro di buoi con I buoi e ammazzò i buoi.
ST: E quando andavate nel rifugio nella fabbrica come passavate il tempo lei e le altre operaie? Cosa succedeva?
CB: No in fabbrica per quello non posso dire male della fabbrica in se stesso, si lavorava abbastanza bene, non c’era nessuno che voleva che non si parlasse di qui, non si parlava, non si parlava né del Duce, né parlar di fascisti, né parlar, eccola. Però si era abbastanza tranquilli ecco, via fin quando che gh’era l’allarme allora, ma sennò in compenso era abbastanza una ditta tranquilla.
ST: E quando suonava l’allarme cosa succedeva?
CB: E andavamo giù sotto, c’era il posto apposta per ripararsi. Appena che suonava l’allarme scappavano giù, non è che si poteva stare in fabbrica eh.
ST: E si ricorda quando suonava l’allarme o sentivate le bombe quando invece era a casa con la sua famiglia cosa succedeva?
CB: Succede che quando, come per esempio la notte noi avevamo dovuto scappare una notte con i miei genitori in quei boschi lì, in quei prati lì dove c’erano questi grano turchi che almeno ci nascondevamo dentro lì e eravamo su tutti spauriti ad aspettare che l’allarme lasciasse li insomma ecco. Dopo si tornava a casa. Non è, come, non è che proprio c’era tanto disordine come in centro, quelle cose lì, stavano tutti zitti, basta che non si parlava di tedeschi e di fascisti, allora. Però abbiamo trovato anche un morto fuori, noi, fuori dalla nostra porta lì, non si è saputo se era tedesco, se era, perché dopo l’han portato via subito, non si è saputo, almeno noi qua che poi eravamo lì fuori, non si è saputo se era un tedesco, se era un americano, quel che l’è, perché tante volte venivano anche qualche americano, che noi ne avevamo tanti di parenti in America. E qualche volta si trovava che venivano, che conoscevano le nostre zie, sì è successo anche questo. Poi non so, non c’era da mangiare e non si poteva andare a prendere perché, però qui a Olgiate eravamo abbastanza un po' tranquilli, ecco, proprio quando non c’era quegli aeroplani, quando che qualche giorno, certo che alla sera si andava sempre a letto con paura che suonasse l’allarme specialmente di notte scappà l’è mica facile. Poi qui c’erano i partigiani sui nostri monti di qua, c’erano i partigiani che tante volte prendevano magari qualcuno, c’è stata una rivolta un po' per i partigiani. Eh sì qui c’erano tanti partigiani. Però non si sa com’è che finivano, perché tanti dicevano bisogna ringraziare i partigiani, ma come si fa? Tante volte non si può neanche parlare perché si aveva paura, non si poteva dire né Duce, né tedeschi, né fascisti, non si poteva parlare, bisognava guardare quando si parlava. Ero giovane quegli anni lì, però insomma ho passato brutti momenti anche io. Essendo che avevo diciassette anni, insomma, è stata un po' dura anche per i miei genitori, per la mia mamma specialmente diventava matta tanto era una cosa impossibile. Le vuoi vedere quei rob chi de la Russia?
ST: Dopo, le guardiamo dopo.
CB: Le faccio dopo. Allora cos’è che puoi chiedermi qualcosa, perché…eh sai dopo la confusione.
ST: Lei si ricorda quando iniziò la guerra cosa diceva il regime, cosa dicevano ad esempio a scuola, se lei andava a scuola all’epoca? Cosa vi avevano detto, magari cosa aveva sentito dagli adulti?
CB: Eh dicevano, dicevano che noi dovevamo sempre tenere, non potevamo dire, dire per forza viva fascista, viva il Duce, viva, tutte quelle cose lì, perché andavamo anche al corteo, facevano il corteo quando magari per le piccole italiane, giovani italiane, mi facevano il corteo, il corteo al campo della rimembranza perché magari moriva qualche uno di loro, ecco. Non si poteva dire che viva il Duce, viva tutte quelle cose lì, non potevi mica andar là a parlare di altre cose, perché avevi anche paura eh, perché non sai con chi parli.
ST: E quando sono iniziati i bombardamenti si ricorda se le autorità, i fascisti avevano detto qualcosa alla popolazione, vi avevano dato dei consigli o niente?
CB: Eh loro i consigli che mi davano, dicevano sempre appena che sentite l’allarme scappate, ma andate dove, cercate di andare dove è più possibile andare perché, noi tanto avevamo anche la cantina che tante volte andavamo anche giù, perché avevamo paura che magari mi bombardasse la casa e restavamo giù in cantina. E intanto scappavamo nei prati, in quelle campagne lì. Il mio papà, la mia mamma e mia sorella. Certo che, gli ho già detto che non si poteva andare in giro per via a discutere, qualche volta insieme si diceva la guerra, quella bestia qui cosa ha fatto, però si limitavano.
ST: E lei cosa pensava delle persone, dei soldati che la bombardavano?
CB: Pensavo, forse che pensavo che forse poveri cristi loro non ne avevano colpa. Era colpa di quei disgraziati lì, Duce e perché i poverini magari erano anche loro soldati come noi eh. Allora non si poteva dire, non so…stavo pensando…ma insomma non si viveva bene ecco, non si poteva viver bene con la guerra così, con i soldati, con i figli via, con e allora era sempre che si parlava sempre di quello, trovava una mamma trovava un’altra mamma ‘eh vedi, vedi’ e poi via via la storia così. Eh. Quella guerra qui, pensa che mio fratello è morto proprio gli ultimi due mesi che è sta, come si chiama, la Russia l’ha fa, quel gran, come ch’el sa ciama, porco cane ce l’ho scritto lì, quando anche lì, poi me l’ha detto anche lui quando mi ha scritto mio fratello l’ultima lettera che mi ha scritto mi ha detto ‘sono in bocca al lupo’ l’a di, insomma piangeva anche quasi anche lui, lui continuava, quando scriveva, gh’aveva qui non so quante lettere che scriveva, anche dalla Russia perché quei due o tre mesi lì poverino ne scriveva, però continuava sempre. L’ultima lettera mi ha detto ‘mamma fammi un altarino con la Madonna’ che poi ‘sono in bocca al lupo’. Che mo gh’era la ritirata. Dovevamo fare la ritirata e il 23 dicembre ha fatto la ritirata e il 25 dicembre per Natale han scritto che è morto. Proprio subito nella ritirata è rimasto dentro, subito. Era due mesi che era giù, che c’era un mio amico che dopo è diventato mio marito, è partito anche lui, lui era nella cavalleria però era minore di mio fratello, dudes an, l’ultima è stato l’ultima leva che hanno mandato in guerra, dopo non han potuto più, più giovani non han potuto più. L’ultima era quello di mio marito che aveva vent’anni quando è partito. E come si dice, cosa stavo dicendo, una cosa, mi è scappata dalla testa, che stavo dicendo, ah poi che sul treno si sono incontrati e lui questo ragazzo mi ha scritto e mi ha detto ci siamo incontrati con tuo fratello e c’era un amico del mio ragazzo che è saltato giù dal treno perché ha visto il signore, allora lui è saltato giù e si è salvato. E quando scriveva mio fratello mi diceva, perché si chiamava Ganassa quel ragazzo lì, guarda mamma o zia o sorella quello che diceva, guarda che il Ganassa, come si chiamava poi, si è salvato. È saltato giù dal treno, ha visto la croce e allora lui è saltato giù dal treno. È vero eh, dopo è andato a casa, è rimasto fuori, è andato giù, avran pensato che era morto invece si è salvato. È venuto a trovarmi ancora quando è venuto che è finita la guerra è venuto a trovarmi. Non sapeva che mio fratello era morto. E insomma tutti brutti ricordi ecco. Non posso dire, perché anche la nostra vita non è più stata bella per noi. Eravamo noi due, mia sorella era minore ancora due anni meno di me, era più piccola ancora, ma insomma abbiam passato degli anni brutti, la nostra gioventù l’abbiam passata brutta. Andati tutti in guerra. E poi quando passati di qui abbiam visto tanti di quei carri armati che tornavano dalla Svizzera, quelli lì si, passavano tedeschi, americani, tutto. Quanti carri armati che sono tornati indietro eh, invece quel mio ragazzo lì che poi ecco era della cavalleria e quando è venuto che è finita la guerra, quando c’è stato, come se dis, che è finita la guerra insomma, lui è scappato con il cane, col cavallo perché era della cavalleria e aveva il cavallo, e appena che è passato da una chiesa ha messo dentro il cavallo ed è scappato e si è salvato in da Svizzera. Perché dopo ci sono stati tutti quelli che hanno riuscito scappare, son scappati tutti in Svizzera, infatti tra l’altro quel ragazzo lì è stato in Svizzera. Da qui ma dopo dovevi vede tutti i carri armati, soldati, tutti che tornavano dalla guerra. [silence] Dovevi andare ai cortei, tutte le settimane mi facevano portare al cimitero per i caduti, e quando andavamo dovevi sempre gridare viva il Duce, viva il Duce, non si poteva cambiare viva il Re.
ST: Quando suonava l’allarme delle bombe o quando sentivate gli aerei che arrivavano lei con la sua famiglia scappavate tutti insieme o ognuno cercava un rifugio da solo? O lei stava con la sua sorella?
CB: No no almeno la mia casa scappavamo noi, scappavamo sempre assieme. Invece tanti magari se si trovavano fuori, tanti magari erano nelle ditte quando suonava l’allarme se era di giorno, e magari non tutti potevano essere assieme. Se invece di notte allora magari era possibile di più trovarsi assieme.
ST: E lei ha detto che vi rifugiavate nei campi e anche nella fabbrica. Ce n’era uno di questi rifugi dove si sentiva più sicura, dove avrebbe voluto essere quando sentiva le bombe, che le bombe stavano arrivando?
CB: Insomma io mi sentivo più sicura in fabbrica, perché lì ero più sicura, c’era il posto più sicuro. In casa invece non avevo il posto sicuro. Ti ho detto potevo andare in cantina tutt’al più, ma avevamo paura non andavamo neanche, perché avevamo paura magari che veniva giù la casa, allora stavamo sempre nei prati, nei boschi lì, andavamo su di qua, c’erano appunto, perché hanno fatto un campo pieno di grani turchi appunto per nascondersi.
ST: E il rifugio della fabbrica come era fatto?
CB: Come?
ST: Era una cantina, era fatto con i sacchi?
CB: Sì, era una cantina, ma non so tutte ben messe, ben, si poteva avere fiducia. Era bello, tutto sotto. Si andava, non si usciva fuori dalla fabbrica, c’era il posto dove si andava addirittura apposta per quel, lo han fabbricato apposta per quello. Insomma si trovava abbastanza sicuri ecco, non è che si aveva paura quando eravamo giù, perché pareva di essere in un posto sicuro insomma. E grazie a dio non è mai successo qualcosa. Proprio qua ecco, abbiamo avuto quelle due fabbriche lì che sono distrutte, poi quelle bestie lì che hanno ammazzato quell’uomo fuori di qui, ma non si sa neanche come è stato a ucciderlo, chi lo ha ucciso. È stato di notte eh, perché noi siamo alzati al mattino c’era là questo uomo fuori, dal nostro cancello lì per terra.
ST: Quando c’era l’allarme per le bombe, durante il bombardamento, voi cosa facevate per passare il tempo? Parlavate tra voi, cantavate, stavate in silenzio, pregavate?
CB: No cantavano, si parlava, ma più sé che parlare da guerra e di quelle cose lì non si parlava. Non è che si andava a prendere, perché parlare era quello eh, era sempre così. Magari trovavi qualche mamma insieme, magari si incontravano in fabbrica, si trovava magari qualche mamma con un’altra mamma, sposa magari, che aveva il marito ancora giovane, allora più se che parla mal non si poteva fare. Eh è stata brutta perché non si può descrivertela ecco. Però una cosa proprio che non si augura eh. Le case e fuori casa non è che si andava tanto in giro, poi la gente non aveva neanche la voglia. Perché ogni famiglia aveva qualcuno. Eh buona parte ogni famiglia aveva qualcuno, o sposo, o fratello o insomma, a noi per il mio fratello e per mio zio. Va che quattro anni, tre mettiamo, tre anni ha vissuto nei boschi di notte e di giorno, qualche sera è riuscito a venire a casa perché forse non so qualcuno che l’ha, forse i partigiani, che l’hanno portato a casa, sennò por crist, un uomo con due figli piccoli ancora, fa una vita del genere. Eh ma non scherzavano eh, va che venivano in due o tre eh. L’é passada brutta, che di fatti anche lui ha porta adesso mal di cuore, son cose della guerra.
ST: Quand’è che lei e la sua famiglia avete capito che la guerra era finita?
CB: Eh ma quando son suonato tutte la campane, tutti i cosi delle ditte che suonavano e allora han cominciato agli altiparlanti ‘è finita la guerra, è finita la guerra’, ma per tanta gente tutti piangevano, eh insomma, è stata bella. Quando scriveva mio fratello c’era mio nonno, quando scriveva magari c’era quel ragazzo lì che scriveva a me e mio nonno mi diceva a me ‘Carla non dire alla mamma che ha scritto il Piero’ si chiamava Piero mio marito, ‘non dirglielo alla mamma che ha scritto il Piero, perché l’altro non ha scritto’. Eh dopo, dopo da dicembre basta di lettere non ne abbiamo ricevute più. Comincia a pensa che magari si era nascosto, che magari qui, che magari là, mia mamma la ga sempre avuto una speranza di trovarselo a casa, qualche giorno magari lo troviamo qui, lo troviamo, poverina. E invece. Perché gh’è voluto a sapere. Non è mica che me l’han detto un anno dopo, avanti quanti anni, due o tre anni dopo da quello che è successo che mi han mandato qui da, dai reggimenti qui, mi han mandato, prima era disperso e basta, quando invece han fatto tutte ricerche, ricerche, ricerche, qui dallo stato, loro, furia da fa ricerche, mi han mandato queste cose, alura che l’hanno fatto prigioniero che dopo è morto in un campo di concentramento, mi han detto anche che non l’hanno più trovato, insomma il corpo non l’hanno più trovato. Finita così. Proprio stata brutta, la guerra brutta, mangiare non ce n’era, niente c’era, via che, e perché noi eravamo ancora fortunati che avevamo qualche pollaio e abbiamo messo su qualche gallina così, e allora si mangiava qualcosa ogni tanto, ma sennò c’era altra povera gente, quella gene che si vedeva in giro dopo che non si riconosceva più. È vero eh. Anche mio papà che era un bel uomo, era diventato così. Dopo cià un po' si è ripreso un po'. Dovevamo andare a Verona a prendere il riso, perché sennò riso e anche sale non c’era.
ST: Ma all’epoca della guerra lei sapeva chi è che stava bombardando? Chi erano gli eserciti che vi bombardavano?
CB: Ma noi abbiam sempre pensato i tedeschi, erano loro senz’altro. Erano i tedeschi. Noi qui, tutti erano tutti con i tedeschi, gli americani non si parlava quasi nanca, anzi se si trovava un americano si respirava un po'. Erano tutti tedeschi. Tedeschi, fascisti.
ST: Quindi le vostre paure maggiori erano con i tedeschi?
CB: Eh si eh. Se anche te l’ho dit, se ragazzi vedevano qualche donna che si vedeva parlare con i fascisti guai. Cosa han dovuto fare, a tagliare quante ragazze a tagliargli giù tutti i capelli, poi che brutta roba, poi passare per le vie tutte quelle ragazze lì tutte senza capelli.
ST: Adesso lei sa chi è che vi bombardava? Dopo ha scoperto? Che cosa ha pensato?
CB: Abbiamo pensato sempre ai tedeschi. Noi avevamo sempre quella roba lì con i tedeschi. Non erano americani o, no no, erano tedeschi, tutti loro. Tedeschi e fascisti. Se sentivano dire viva il Re lo ammazzavano, dovevano dire per forza viva il Duce. E qualcuno l’han messo anche in prigione per sentire dire viva il Re.
ST: E lei si ricorda durante appunto queste manifestazioni in cui vi facevano urlare ‘viva il Duce’ delle canzoni del periodo, c’erano delle canzoni che vi facevano cantare o magari voi, lei e la sua sorella e le ragazze della sua età che magari cantavate tra di voi?
CB: No, noi non si poteva cantare, via che cantare canzoni del duce, ‘viva i fascisti’, ‘viva il Duce’, sempre bisognava sempre dire ‘viva il Duce’. Guai se sentivano dire ‘viva il Re’ o viva, non si poteva.

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Citation

Sara Troglio, “Interview with Carla Baietti,” IBCC Digital Archive, accessed April 25, 2024, https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/collections/document/3602.

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