Interview with Paola Bianchi

Title

Interview with Paola Bianchi

Description

Paola Bianchi (b. 1938) recalls daily life in wartime Tuscany. She describes Rosalinda, a strict midwife, and recounts how people used to take refuge in shelters. She also gives an account of how, during the evacuation to Arezzo, at night, they rushed to take shelter in the nearest ditch. Paola also remembers her father’s decision to return to Florence and his subsequent attempts to get food on the black market.

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00:04:40 audio recording

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Identifier

Memoro#1722

Transcription


PB: Il 1939. Quando seppi della Banca della Memoria, mi tornarono in mente gli anni della guerra che vissi a Firenze con la mia famiglia. Sono certa che i trascorsi di bambina abbiano fortemente determinato la mia vita. Com’era consuetudine a quei tempi la mamma partorì in casa, con l’aiuto di una levatrice: la signorina Rosalinda, che tutti chiamavamo Linda. Era una donna già in là con gli anni, dall’aspetto mascolino, almeno a giudicare dal sigaro che teneva sempre in bocca. Le difficoltà della vita l’avevano resa fredda, risoluta e impassibile, con la gonna blu e la camicetta bianca bene accollata, aveva l’aspetto di un’austera governante. Una donna severa ma simpatica. Avevo appena un anno quando l’Italia entrò a fianco dei tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale. Ricordo che erano momenti drammatici. Non appena la sirena dall’arme ci avvertiva di un imminente bombardamento, correvamo nei rifugi, quei luoghi freddi, lugubri, anonimi, dove si pregava tutti insieme. C’erano uomini, donne, bambini tutti uniti dallo stesso destino ma con una spina nel cuore, e la certezza che di lì a poco sarebbe ricominciato tutto come prima. Poi fummo costretti ad un primo sfollamento a Scopeto, un paesino vicino ad Arezzo. La sera dopo cena tutti gli sfollati si riunivano intorno alla grande tavola della cucina a giocare a tombola, per esorcizzare i momenti drammatici che stavamo vivendo. Poi le luci dei bengala che illuminavano il buio della notte, ci faceva scappare attraverso i campi, ci facevano scappare attraverso i campi, terrorizzati, e ci sdraiavamo lungo i solchi per nasconderci alla loro maledetta vista. Ma non bastò, perché i commenti, i notiziari radiofonici dicevano che Firenze era minacciata dai bombardamenti. Allora il babbo decise di trasferirsi in via Santa Elisabetta dietro piazza del duomo. “Qui saremo al sicuro” disse il babbo “Non vorranno sganciare le bombe sulla cupola del Brunelleschi”. Le sue parole non furono infondate. Faceva grandi code per procurarci un chilo di pane. Qualche volta al mercato nero trovava pacchetti di pasta, bottiglie di latte, sacchetti di zucchero, ed era una grande festa. Durante questo periodo stavamo, dopo tutta [?] la notte, sui gradini delle scale, sempre a pregare, ma anche ad ascoltare terrorizzati il rumore degli aerei che volavano sopra le nostre teste, seguito dal fischio delle bombe che per fortuna correvano lontane da noi. Sentivo una grande nostalgia della mia casa di via Berchet mi mancava il giardino con le sue piante, il bersò con l’altalena, dove amavo rincorrere le nuvole, era il mio luogo magico, dei sogni. Questo ed altri sono racconti che ho raccolto in un libro autobiografico scritto in omaggio ai miei genitori.

Citation

“Interview with Paola Bianchi,” IBCC Digital Archive, accessed December 7, 2024, https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/collections/document/77.

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