Interview with Annunciata Buffadossi
Title
Interview with Annunciata Buffadossi
Description
Annunciata Buffadossi recollects her wartime life in Milan. Annunciata describes poor-quality housing in a low-class neighbourhood close to potential targets; emphasises how much she feared Germans and Fascists; and speaks with affection of her old house, a block of flats with shared balconies. She describes the effects of fire on her house and recollects what shelter life was like. She contrasts the boldness of her mother with the behaviour of her father, who was easily frightened, despite his role as warden. Annunciata stresses her own care-free attitude, explaining how day bombings were welcomed as opportunities to skip school tests, and night attacks regarded as an annoyance rather than a serious menace. She mentions her brief experience as an evacuee, which ended in 1943 when the bombing war intensified and the family resolved to face the danger together in Milan.
She describes aircraft flying over Lake Maggiore, and how children tried to guess their target. She talks about subterfuges to get food in spite of rationing and mentions many war-related anecdotes: reprisals and post-war revenge; a draft dodger hiding in a concealed room for years; and military internees. Annunciata talks about Eugenio Bussa, one of the Righteous Among the Nations, explaining his benevolent activities, as well as his role as helper of partisans and Jews. She also tells various anecdotes of her relatives, especially in connection with the Duchess of Sartirana and her charitable activities. She describes Pippo as an aircraft piloted by an Italian American, who relied on information passed to him by helpers. She describes Americans as, generally, hated for the bombing of cities and killing of innocent people.,She links the bombing war with Italy’s change of allegiance and recognises the contribution of the allied forces after the end of the conflict
She describes aircraft flying over Lake Maggiore, and how children tried to guess their target. She talks about subterfuges to get food in spite of rationing and mentions many war-related anecdotes: reprisals and post-war revenge; a draft dodger hiding in a concealed room for years; and military internees. Annunciata talks about Eugenio Bussa, one of the Righteous Among the Nations, explaining his benevolent activities, as well as his role as helper of partisans and Jews. She also tells various anecdotes of her relatives, especially in connection with the Duchess of Sartirana and her charitable activities. She describes Pippo as an aircraft piloted by an Italian American, who relied on information passed to him by helpers. She describes Americans as, generally, hated for the bombing of cities and killing of innocent people.,She links the bombing war with Italy’s change of allegiance and recognises the contribution of the allied forces after the end of the conflict
Creator
Date
2017-05-28
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Spatial Coverage
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Language
Type
Format
01:19:20 audio recording
Rights
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Identifier
ABuffadossiA170528
PBuffadossiA1701
Transcription
ZG: Abbiamo iniziato? Sì.
AB: Il mio nome...
ZG: Allora, l’intervista è condotta per l’International Bomber Command Centre. L’intervistatore è Zeno Gaiaschi, l’intervistata è Annunciata Buffadossi. Nella stanza sono presenti Marialuigia Buffadossi, la sorella, Nava Spizzichino, l’amica delle due sorelle, e Sara Buda, come, dell’Associazione Lapsus. Siamo in [omitted] a Milano ed è il 28 maggio 2017. Nell’intervista saranno fatti dei cenni all’intervista fatta precedentemente da Sara Buda alla signora Marialuigia. Iniziamo. Si presenti pure.
AB: Io mi chiamo Buffadossi Annunciata. Sono nata l’11 ottobre 1932 a Milano, perciò sono proprio del tempo di guerra.
ZG: Ehm...
AB: Nel ’32, sono nata nel ’32, perciò è iniziata la guerra nel ’40, quando io avevo otto anni e facevo la terza elementare. Facevo la terza, siccome sono sempre, sono nata in Via Confalonieri 11,
MB: All’Isola.
AB: Eh, all’Isola, che adesso è diventata una zona di pregio, no, perché è la zona della movida e di però ai tempi, miei tempi era una zona molto degradata ed era ritenuta una zona proprio popolarissima, piena di ladri di galline proprio, non di grande, di grande [laughs] levatura. Però io abitavo in una casa che aveva, noi abitavamo nel, al quarto piano, una casa naturalmente senza né ascensore, né niente né, addirittura tanti appartamenti non avevano neanche il servizio in, all’interno. Siccome era una casa di ringhiera, tanti, tutti quelli che abitavano gli appartamenti che erano nella ringhiera, nella parte della ringhiera, avevano il servizio comune per tutti i quattro appartamenti che c’erano nella, sul piano. Perciò case proprio popolarissime. Però la veniva chiamata la casa di sass, perché era una casa molto antica ed era fatta di sasso proprio e dicevano che avesse duecento anni di età questa casa ed era di fronte alla Brown-Boveri , che era una, sì, la Brown-Boveri era una azienda che fabbricava le, forse le armi, era una, insomma una, ed era anche di fronte alle, alle linee varesine. Le linee varesine erano quelle che portavano a Varese, quella zona lì, che adesso invece hanno, sono state trasformate nella, come si chiama, la stazione di Porta Garibaldi, eh, quelle erano le varesine. Perciò potevano venire bombardate ed erano bombardate, era una zona bombardata perché c’era Brown-Boveri, che era proprio di fronte a casa nostra, noi eravamo all’undici, la Brown-Boveri aveva un numero pare, ma proprio di fronte, e di fronte c’erano pure le linee varesine che erano invitanti per i bombardamenti. Quando è arrivata, quando è venuta la guerra, che è stato nel 1940, noi l’abbiamo saputo dalla radio, che avevamo una radio regalata dalla mia nonna, l’unico regalo di mia nonna che, insomma, per quel poco che poteva fare, no, quella nonna lì poteva fare di più ma insomma ci aveva fatto solo il regalo della radio, avevamo saputo che era stata, scoppiata la guerra nel 1940. Da un discorso di Mussolini che diceva: ’Italiani, al di là del mare, al di là dei monti’, l’Italia insomma adesso mi ricordo che faceva dei discorsi roboanti proprio, che però prendeva tanta gente di, dalla parte proprio della passione così, comunque. Mio padre non era, né un fascista né niente, non aveva, perché aveva fatto sì la guerra del ’14-18, però siccome non era fra gli Arditi, era un alpino di artiglieria di montagna, che un tempo invece degli Alpini c’erano, c’era l’artiglieria di montagna. E’ che il papà amava molto sulla, cosa aveva fatto, sul, eh non mi ricordo più, comunque parlava sempre di avere fatto la guerra nell’artiglieria di montagna. Amava gli asini, che erano i compagni, i compagni degli artiglieri perché gli ha, ha salvato tante vite eh l’asino, il mulo anzi, più che l’asino il mulo perché portava, aveva.
ZG: Ma.
AB: Un capo, non so. Comunque mio padre quando raccontava le sue imprese, però non l’aveva finita, perché si era ammalato, aveva avuto la polmonite e l’avevano messo nelle retrovie. Perciò non aveva visto la fine della guerra ed era diventato l’attendente del colonnello, di un colonnello che stava a Torino ed era il capo della, dell’accademia degli artiglieri mi pare perciò mio padre, ecco. Però veniva da un paese della Lomellina, che erano contadini. Niente, questo per quanto riguarda la mia famiglia.
ZG: Eh
AB: Mio padre faceva il muratore, però veniva da un paese di contadini. E la mia mamma veniva sempre da un paese di contadini che era la Lomellina ed era, faceva la sarta. Io avevo una sorella maggiore, che era mia sorella Marialuisa che era della. Marialuisa, Io dico sempre Marialuisa ma il vero nome è Marialuigia perché così è. Rinnovava la nonna, sa che un tempo si rinnovava, io invece avevo rinnovato la nonna da parte materna, mia sorella invece da parte paterna ed era la preferita da, da quelle nonne lì, da quella nonna lì, mentre io ero la preferita della nonna Mussiada, insomma, è logico. Comunque quando è scoppiata la guerra, io facevo le elementari. Mi ricordo quando era scoppiato perché c’era stato il discorso del, di Mussolini. Il fratello di mia mamma, invece, siccome aveva fatto la guerra negli Arditi, era del 1800 eh perciò erano, avevano fatto la guerra del, era fra gli Arditi, era diventato un fascista, era piuttosto fascista perché gli Arditi, che erano del, del gruppo del, insomma erano tutti fascisti quando erano tornati dalla guerra, ti ricordi eh, lo zio Berto, ehm. Però era una bravissima persona, eh, una persona retta, che si interessava delle colonie per mandare, le colonie i bambini, che a quel tempo, se non andavano a fare la villeggiatura nelle colonie, i bambini non vedevano il mare neanche dopo vent’anni. Io ero stata mandata a Pietra Ligure per esempio, tant’è vero che avevo fatto la prima comunione a Pietra Ligure quando ero lì nella colonia, mandata da mio zio, che non avevo che da ringraziare perché ero una, avevo visto il mare per la prima volta [laughs] nel ’41 forse, ’41 o ’42, non so, perciò ero, avevo visto il mare per la prima volta, se no non conoscevo. Conoscevo la campagna della Lomellina quando andavo a trovare la mia nonna contadina e se no, non conoscevo altro. Comunque, vabbe’. Quando è scoppiata la guerra, io per i primi anni sono stata a Milano e ho finito la scuola, le elementari qui perciò devo averlo finito nel ’42, perché avevo dieci anni. Però mia mamma aveva cercato di mandarmi a, sfollata presso mia zia che abitava a Pallanza sul Lago Maggiore. E lì, purtroppo ecco lì non mi piaceva tanto perché mi trovavo bene con la mia zia, che era la mia zia preferita però tutte le sere, quasi tutte le notti si sentivano gli aerei che passavano sopra il Lago Maggiore. Venivano dalla Francia probabilmente, o dalla Svizzera, non lo so, e si sentivano i rumori e noi dicevamo tutti, sia mia zia sia le mie compagne di scuola che sentivo, che parlavo con le amichette, dicevo: ’Questi sono gli aerei che vanno a bombardare Milano’. Perché passavano sul Lago Maggiore, passavano Luino e venivano a Milano e questo mi faceva un bel dispiacere perchè io sapevo che a casa c’erano la mia mamma, il mio papà e mio fratello. Mia sorella no perché nel ’43 era andata, sapevo che era sfollata sul Lago di Como, perché era andata in banca e la banca aveva sfollato tutti i suoi dipendenti sul Lago Maggiore, eh sul Lago di Como. Perciò per lei ero tranquilla. Sapevo, sentivano dei bombardamenti. Nel ’43 è stato l’anno proprio brutto per i bombardamenti perché si sentiva parlare dei bombardamenti su Milano, massicci, proprio i più brutti, infatti c’erano stati tanti morti. Siccome noi abitavamo in una casa di fronte a un’azienda che faceva, che faceva proiettili, non so, era la Brown-Boveri , era una ditta che faceva forniture per la guerra, era pericolosa. E in più di fronte anche alle varesine, alle linee varesine era una casa, tant’è vero che avevano buttato delle bombe e avevano bruciato tutte le gelosie. Una volta le gelosie rientravano dentro nella, non so se voi, no, voi siete giovani non lo sapete, ma una volta rientravano nel muro e si chiamavano le gelosie. Erano di legno. Naturalmente hanno buttando tante bombe incendiarie hanno bruciato tutte le gelosie della nostra casa e lì mio padre che era il capofabbricato era, ha dovuto intervenire, fare venire non so i pompieri, quello che era, però ha annerito tutto il davanti della casa e abbiamo avuto delle, non era successo nient’altro però tanti rimanevano senza casa ad un certo momento. Noi abbiamo avuto solo quell’inconveniente lì delle gelosie, però, che erano bruciate e non so, adesso non mi ricordo più come. Ad un certo momento però io nel ’43, alla fine del ’43 dovevo fare l’esame di ammissione per la scuola media perché volevo fare la scuola media, che dopo forse avrei fatto magari le magistrali come mia sorella però i miei non potevano farmi studiare. Comunque c’era la mia sorella che lavorava, lavorava in banca, insomma avevamo qualche cosa di più da poter contare. E ho fatto la scuola, l’esame di ammissione alla scuola media lì a Pallanza e poi sarei tornata per fare la scuola media a Milano e sono ritornata nel ’43, ’44. Nel ’44 avevo quanti, dodici anni, avrei fatto la seconda media, ma ho fatto anche la prima media a Milano. E siccome non c’erano scuole, tutte le scuole medie erano un po’, sono andata a finire nella scuola che c’è in Via Giusti che è una scuola per capomastri. Infatti la mia scuola mi ricordo che aveva tutti i disegni, tutte le formine di architravi, cose del genere, però era diventata una scuola media perchè scuole per capomastri non venivano fatti in tempo di guerra, erano tutti ragazzotti che erano stati richiamati, avevano magari sedici, diciasette anni, erano richiamati. E allora andavo e tutti i giorni da, dall’Isola mi portavano nella zona dei cinesi, la Via,
MB: Paolo Sarpi
AB: Via Giusti, Via Paolo Sarpi, perchè la mia scuola era nella via che proseguiva la Via Giusti, la Via Giusti. Andavo però sempre accompagnata da un mio compagno di, un vicino che studiava nelle scuole che aveva un anno più di me e perciò non era richiamato perché, eh. E veniva, mi accompagnava, facevo tutta la strada insieme, dovevo passare dalla Via Guercino dove c’erano, dove c’era il comando dei, e dalla scuola Tenca, la scuola Tenca che adesso è la scuola magistrale che aveva frequentato mia sorella, che era la sede della Muti. La Muti era un’associazione di fascistotti, ragazzotti fascisti, che mettevano una paura solo con la loro divisa, non so lei no lei che non se ne ricorda ma io quando passavo davanti alla scuola Tenca, che era una scuola che mi piaceva perché era la scuola di mia sorella, mi faceva paura perché si vedevano questi ragazzotti che avevano sui diciotto, vent’anni, tutti vestiti di nero, con i baschi con il pennacchio rosso, era una cosa, con gli scarponi che facevano un rumore solo a sentir scandire queste, queste passi, erano una cosa che metteva, e io dovevo passare anche dalla Via Guercino dove c’era la sede dei tedeschi. Era terribile, la Via Guercino era sempre piena di questi tedescotti che mettevano paura perché marciavano in una maniera diversa da, anche dai nostri, che so io, dai nostri alpini, dai nostri bersaglieri che erano simpatici, così. Loro erano, facevano paura proprio, ecco. E io tutti i giorni dovevo fare e ogni tanto si sentiva suonare l’allarme perché di giorno, bombardavano anche di giorno, soprattutto di sera ma di giorno bombardavano e allora si sentiva. Noi eravamo a scuola e allora dovevamo scendere nelle cantine che io ero anche contenta eh di questa facenda perché mi impediva di essere interrogata, perché mi piaceva. Fra l’altro la mia professoressa di latino e di italiano e di latino così, era la professoressa Lighini che era la sorella del dottor Lighini, che, dell’ingegner Lighini che era il luogotenente del generale Cadorna e perciò lei non diceva mai, non parlava mai dei ribelli come erano chiamati i partigiani, erano chiamati ribelli no, non erano chiamati partigiani. I partigiani sono venuti dopo, quando dopo la fine della guerra che allora erano partigiani. Lei diceva sempre: ’ quei ragazzi’, i ragazzi che sono contro i fascisti logicamente, però sono partigiani, parteggiano per una certa parte. L’abbiamo saputo dopo che era la sorella di un, del luogotenente di, del generale Cadorna e infatti dopo era diventata la preside della Carlo Tenca perché era diventata, era la sorella di un cotanto personaggio, eh, perciò. E allora, questo per quanto riguarda i miei ricordi di. Invece di notte suonava sempre l’allarme, spesso l’allarme ma mia mamma non aveva paura e io pure non avevo paura, poi ero un po’ smemorata, non sentivo neanche l’allarme, non lo sentivo. Mia mamma se non mi svegliava io dormivo beatamente poi quando aveva l’allarme, il cessato allarme, mi risvegliavo ma andavo avanti a dormire. Invece mio padre scappava via come una lepre perchè era un pauroso, prendeva su la valigia dove c’erano tutti i tesori della famiglia e andava in cantina con mio fratello, mia sorella non c’era perché era sfollata e noi andavamo, andavamo avanti così. Alla fine della guerra quando c’è stata il 25 aprile, io mi ricordo che in Via Borseri che è una via dell’Isola era passato un convoglio di tedeschi con davanti l’ufficiale con, che imbraccava la rivoltella e faceva così con la mano per tener lontano perché tutta la gente lì che guardava i tedeschi che se ne andavano finalmente, perché mettevano paura, erano vestiti e si atteggiavano in una maniera che mettevano paura solo a vederli, mettevano paura. I fascisti vestiti, quelli della, delle brigate nere e i tedeschi mettevano proprio paura. Erano arrivati i partigiani. Ad un certo momento i partigiani però, insomma ne hanno fatte anche loro perché uccidevano i fascisti o quelli che ritenevano tali. Ci sono state tante vendette anche, insomma, fatte, fatte così ad arte che. Noi avevamo il nostro Don Eugenio Bussa che era il capo della Chiesa del Sacro Volto, che aveva salvato tanti ebrei, ma vicino al loro oratorio, c’era un muro dove venivano uccisi i partigiani che venivano presi o renitenti alla leva, perché c’erano tanti renitenti alla leva. Anche nella nostra casa c’erano due o tre amici di mia sorella che erano del ’24, ’25, che erano proprio giusto giusto per essere renitenti alla leva e loro cercavano di non andare, di non essere, perché se no andavano in Germania e non ritornavano più. E la guerra non la volevano fare, giustamente, perché poi, dopo il ’43 quando c’era stata l’armistizio, tanti erano scappati, magari erano anche militari ma erano scappati come un mio zio, quello zio lì del Lago Maggiore che era un carabiniere che era in Iugoslavia neh, si era levato le mostrine di carabiniere perché se no lo ammazzavano e si era presentato come un povero profugo, era riuscito però era stato preso dai tedeschi e mandato in Germania. Però è riuscito a sopravvivere perché mangiava, però quando ritornava, quando è ritornato ci ha raccontato che mangiava la pelle delle patate che buttavano via i tedeschi. Mio zio era molto furbo, eh furbetto anche lui ma, però insomma, che lavorava in banca anche lui, però all’istituto, dov’era, al, ehm, coso di Novara, ne. E lì a Pallanza c’era la, ma era furbo furbo mio zio e perché per riuscire a e quando è ritornato però, è ritornato nel ’46 o ’47 dopo perché, sa, prima che ritornassero indietro, ma insomma, comunque, è ritornato. Io poi mi ricordo altre cose. Che ogni tanto, con la mia mamma, andavamo al paese di mia nonna, che ci dava magari qualche gallina magari che riuscivo perché dovevano portare tutto all’ammasso ai tedeschi e invece lei riusciva a rubacchiare qualche chilo di farina, qualche uovo, qualche gallina, così andavamo lì, prendavamo il treno, andavamo lì a Sartirana, che mia mamma era di Sartirana, e riuscivamo a portare a casa qualche sacchetto di farina, qualche uova, così, che mia mamma sulla stufa faceva, faceva da mangiare. Faceva il pane bianco, che il pane bianco era un dolce addirittura, oppure metteva l’uovo, faceva qualche cosa di, insomma, una gallina che riusciva. Perché la tessera annonaria è continuata anche dopo la fine della guerra eh, perché è continuata mi pare fino al ’47, non, fino al ’47, perciò si è. Non è che si stesse tanto bene anche finita la guerra, no. Mio zio, mio zio, quello lì, il fratello di mia mamma che era un, ritenuto un fascista perché, ma siccome non aveva fatto male a nessuno, anzi, faceva solo piaceri appunto, faceva andare i bambini alle colonie, accompagnava alle colonie così, non ha avuto niente, è scappato dalla mia zia, quella lì di, che era la sua sorella insomma praticamente, lì sul Lago Maggiore, ma è stato via due o tre giorni e poi è ritornato che nessuno gli ha fatto niente, non, perché era una bravissima persona mio zio Berto. Niente, basta, questo per quanto riguarda il. Poi nel ’47 io trovato il lavoro presso un ragioniere, però avevo fatto giusto le tre medie e basta, non avevo né diploma né niente, avevo appunto fatto solo la terza media. E però mi piaceva di più ragioneria che fare le magistrali. Prendevo sempre da mia sorella che gli ricopiavo gli appunti, lei li faceva magari in stenografia, io invece li facevo in chiaro e allora lei mi dava magari una lira o dieci lire forse perché dopo mi pagava di più. E io guadagnavo la mancetta ma dopo prendevo anch’io lo stipendio, poco, perché i ragionieri non pagavano per niente ma insomma piuttosto di niente e poi imparavo. Dopo nel ’47, questo sono andato nel ’47 neh dal ragioniere, ecco. Nel ’47 mi sono iscritta alle scuole civiche, che erano le scuole civiche di Milano che facevano ragioneria al Parini. Al Parini facevano le serali, era la scuola civica di Milano che facevano ragioneria. E poi mi sono nel ’54, no, dopo ho cambiato, però sono andata in una scuola privata alla, al Volta neh, e poi ho fatto gli esami e mi sono diplomata nel ’54 ecco. E nel ’55 invece ho trovato posto a Selezione del Reader’s Digest, era un giornale, era il giornale di, Reader’s Digest era americano, era uno dei giornali più in voga, mensile, è un mensile. Ma faceva, vendeva anche tante e dischi e giradischi e libri e tutto, oltre la rivista, la rivista era, ecco. E sono stata lì 32 anni. 32 anni più 8 del ragioniere ho fatto 40 anni di iscrizione all’INPS, ecco. E nel ’50, nel ’87 invece sono andata in pensione, ecco, con quarant’anni di anzianità. E adesso sono qui, malata, malandata, sì, no, e perché purtroppo con quello che ho avuto non sono, non sto tanto bene, ma.
ZG: Sì. Io volevo fare.
AB: Dica.
ZG: Mi sono segnato un sacco di domande.
AB: Sì.
ZG: Se vuole, iniziamo. Allora. La prima era una curiosità mia. La sua era una famiglia contadina, giusto?
AB: Sì. La mia mamma viene da una famiglia contadina. Anche mio padre veniva da una famiglia contadina, però faceva il muratore. Dalla Lomellina venivano.
ZG: Però una sua nonna ha potuto regalarvi una radio, ha detto prima.
AB: Sì perché mia nonna, la nonna, la mamma di mio papà viveva con la figlia, la quale si era sposata molto bene e aveva, vero, aveva un albergo. Lei, cioè il marito aveva un albergo. Mia nonna era andata a aiutare, era furba, tremenda era mia nonna, era una donna molto in gamba ma un po’ tremenda. Era riuscita, era l’unico regalo che ci aveva fatto, eh, perchè lei naturalmente viveva con la figlia, il figlio lo teneva meno da conto ecco. E l’unica cosa, ma siccome mia sorella si chiamava come lei, quel regalo lì ce l’ha fatto, ecco. E c’aveva regalato la radio, che a quel tempo la radio, avere la radio era una cosa, una cosa che non si poteva, per noi era un lusso, ecco, era un lusso.
ZG: E senta invece, oltre a suo zio, avevate altri parenti che, insomma...
AB: Erano fascisti?
ZG: Sì.
AB: No, altri parenti no, c’era solo mio zio, che era il fratello della mia mamma, l’unico fratello della mia mamma. Perché loro erano in cinque in famiglia, un fratello e quattro sorelle erano. No, solo mio zio, quel mio zio lì.
ZG: E lui come mai non è tornato in guerra?
AB: Chi, mio zio?
ZG: Sì.
AB: Eh mio zio perché aveva fatto la guerra del ’15-’18, era più giovane di mio papà, non era stato richiamato, ma non so per quale ragione. Lavorava dove, lavorava in un’azienda farmaceutica perché aveva un po’ studiato, Perché, adesso le spiego. Sartirana era sotto la, c’era un duca che era il padrone del paese, ducato di Sartirana era ed era imparentato con i, gli Aosta. Tant’è vero che il ragazzino, quando era stato, nel ’42 o ’43 che era, era lì nel castello di Sartirana. Ma mio zio, ma questo duca di Sartirana era, aveva due figlie. Una non si era sposata perché era mezza inscemita. Invece una aveva sposato un principe di Hannover e quando il marito era morto lei, per non perdere il titolo di principessa, non si era più sposata. Però aveva fatto tante, era padrona, praticamente era padrona di tutto il paese, di tutti i terreni, così. Aveva fatto molto per la, per la gente del paese. Per le donne, aveva, ad Alessandria aveva messo su la scuola per sarte e mia mamma l’aveva potuta frequentare, tant’è vero che mia mamma faceva bene, era una brava sarta perché aveva studiato proprio nella scuola della principessa. E invece mio zio l’aveva, si vede forse perché era tornato lì dal, eh no, tu non lo sai perché tu non ti sei mai interessata, ma io le sapevo queste cose perché mia mamma le raccontava, raccontava. La principessa poi aveva preso mia mamma per fare i vestiti di, prima che lei si sposasse, per fare i vestiti, i vestiti di casa delle domestiche insomma e anche per lei, fare i vestiti di casa, così. E li voleva molto bene. Poi siccome si aggirava per i boschi una volta si era persa lì dei boschi de, perché mia mamma abitava in una cascina ma sperduta, vicino alla, Bisognosa si chiamava, si figuri che cascina poteva essere. Comunque era vicino al Po mort perché lì passa, passavano i bracci del Po ma che chiamavano il Po mort perché sono bracci un po’ di, da poco ecco, e che tagliava il Monferrato alla Lomellina. Perché qui c’è la Lomellina dalla parte della, nella parte della Lombardia e invece nella parte del Po ma piemontese c’è il Monferrato e mia mamma veniva dal Monferrato, i suoi del, contadini ma del Monferrato che insomma si sono trasferiti lì nella Lomellina. E una volta si era sperduta la principessa, mia mamma questa qui lo raccontava sempre, e mio nonno l’aveva tirata fuori dai pasticci, come la signora con mia sorella. E allora è diventato e poi l’aveva portata a casa e le aveva presentato la famiglia, era praticamente un suo dipendente perché lavorava le terre della principessa, del duca, del duca di Sartirana e gliele aveva presentate e siccome c’era mia, l’unica che non faceva la contadina era la mia mamma perché faceva la sarta ma se no le sue tre sorelle facevano tutte le contadine. E gliel’aveva, allora lei ogni tanto quando, e poi gli aveva dato da mangiare o da bere, non so, il latte, così, e si era affezionata, la principessa si era affezionata sia alla mia mamma che la, che. Poi aveva dei domestici che erano parenti della mia mamma e perciò era particolarmente, insomma, la conosceva bene. E perciò non. Invece per le donne aveva messo sù questo atelier dove imparavano a fare le sarte e invece per gli uomini li aveva mandati, mio zio veniva dalla guerra ed era un dipendente di, che sarebbe finito di fare il contadino, le aveva fatto studiare, aveva fatto qualche scuola tant’è vero che poi aveva trovato da impiegarsi in questo, in questa la Paganini Villani, che era una ditta farmaceutica. E allora non era andato a militare perché... Poi si era sposato.
ZG: Fantastico. Ehm, senta invece, della vita in Isola, quando eravate in Isola....
AB: Ah, si stava bene, guardi. Io venivo a casa di sera, alle undici di sera, con un nebbione che non, perché venivo a casa dalle, dalla scuola serale. Venivo a casa magari con dei miei compagni che abitavano. Ma io entravo all’Isola che era piena di nebbia da non finire, io mi sentivo sicura, guardi, non avevo nessunissima paura. L’isola era un, una zona bella. La Via Confalonieri, la Via Volturno, la Via Borsieri. Eh, e poi, che si doveva fare la Via Borsieri, Piazzale Tito Minniti, che cos’è, ah cantavi , sì è vero, io salivo dalle, siccome avevo paura invece fare le scale perché ero al quarto piano, allora cantavo, e la gente, però erano le undici, era. Mia mamma mi sentiva, veniva fuori che mi preparava da mangiare perché io mangiavo alle undici di sera, quando ritornavo da scuola. E cominciavo a cantare e allora mia mamma veniva fuori, mi veniva ‘Tina, Tina, Tina’ e io arrivavo a casa e sapevo di essere aspettata, insomma.
ZG: Ma lei faceva le serali quando faceva le medie?
AB: No, facevo le serali quando ero andata dal ragioniere. Quando nel, dopo il ’47. Perchè io le medie le ho finite nel ’45. In aprile del ’45 io ho finito, il 25 aprile io facevo la terza media. Nel ’45 avevo tredici anni, no.
ZG: Eh, senta.
AB: Tant’è vero che non le ho finite, non le ho finite ma mi avevano promosso lo stesso perché.
ZG: E senta, sempre lì in Isola, prima sua sorella faceva riferimento però al fatto che, anche lei le diceva prima che era un quartiere molto popolare, che c’era un po’ di delinquenza.
AB: Oh, sì, sì, era ritenuto un, era ritenuto ed era proprio popolare, popolare, popolare. Case vecchie, erano case vecchie, tutte, Via Borsieri, Via Confalonieri, Via
MB: Via Serio
AB: Viale, no Via Serio era già più avanti, era già più verso la, la fontana. Piazzale Tito Minniti, ecco lì, proprio là, Piazzale Tito Minniti. Quando noi andavamo a fare il mese di maggio nel ’45 si andava in chiesa a fare il mese di maggio, sa, che mese di maggio è mese della Madonna. E mi ricordo che quando siamo passati di lì era il 25 aprile, era appena passato e maggio siamo passati di lì. Io mi ricordo che c’era uno appeso perché era stato ucciso, era stato strangolato, non so, che era il fratello della pollivendola che abitava nella casa ed era stato ucciso dai e alcuni invece li avevano uccisi nel, nel muro dell’oratorio di, del Don Eugenio, che è il Sacro Volto, questa. Lì in Via Volturno c’è la chiesa del Sacro Volto che era la chiesa del Don, Don Bussa, che però dopo è stato fatto uno dei giusti del... Ti ricordi quando il Peppino è andato che l’hanno festeggiato e mio fratello è andato in Israele che avevano, che l’avevano festeggiato, l’avevano. Perciò una personalità, il Don Eugenio.
ZG: Ehm, senta, volevo. Arrivando al periodo della guerra,
AB: Sì.
ZG: Lei ci ha detto prima che ha scoperto tramite la radio che era scoppiata la guerra.
AB: Sì, sì.
ZG: In famiglia se ne era parlato?
AB: Ma, non mi pare. Forse se ne parlava che doveva scoppiare la guerra perché c’era, ma non mi ricordo, non mi ricordo, no.
ZG: E la sera del discorso alla radio di Mussolini, eravate tutti insieme in famiglia?
AB: Eh probabile, probabile, sì, senz’altro.
ZG: Ah ok. Quindi non si ricorda se suo padre o sua madre avevano fatto dei commenti, sul discorso?
AB: No, ma loro non s’interessavano nè di politica nè niente. E non erano neanche nè fascisti nè niente perché.
MB: [unclear]
AB: Eh, sì, c’era mio padre che solo che diceva: ’mi raccomando, scrivete Duce bene, eh, scrivetelo bene’ perché a quel tempo il fascista era ritenuto e anche con mio zio:’ mi raccomando eh, zio Berto’, che era, noi sapevamo che era fascista perché quando era ritornato e poi quando andava a accompagnare i bambini, mia zia, che era la moglie, andava a accompagnare con la moglie del federale, andava a accompagnare i bambini alle colonie, passeggiava avanti e indietro sulle panchine della stazione centrale, a noi sembrava che fosse la moglie del federale invece era la moglie di un povero diavolo, ma insomma. Poi noi eravamo vestiti da piccoli italiani, ti ricordi? Che avevamo le calze nere delle mamme, che a quel tempo portavano le calze nere. Li facevano sulla un bottone e si faceva la,
MB: Ah sì.
AB: Il cappello, si metteva su in testa la calza della mamma con il fondo, mettevano il bottone veniva il cappellino della piccola italiana. Mia mamma m’aveva fatto la divisa eh! Perché a quel tempo si usava così, eh. D’altra parte ancora tanta grazia che ogni tanto davano dei pacchi, ti ricordi, che la
MB: Noi, non ne avevamo mai usufruito.
AB: No, dai, ma non dir pacchi dai
MB: Io mi ricordo quando è andata a dare la.
AB: Io mi ricordo quando andavo a prendere
MB: Io mi ricordo quando è andata a prendere la vera, io mi ricordo quando è andata a prendere la vera.
AB: Ah sì, perché forse c’è stato un periodo, forse nel ’38-’39, chiedevano,
MB: Dalle tombole di San Marco [?]
AB: Sì, chiedevano. Il Duce ha chiesto la
MB: L’oro.
AB: L’oro alla patria e allora tutte le donne, anche per farsi vedere, per, davano la vera, la vera, gli ori. Ce n’erano pochi, c’era poco, l’unico oro che avevano erano delle verone perché usavano. Però mia mamma l’aveva portata e dopo se l’era fatta rifare.
[ ZG: laughs]
MB: Perché poverina.
MB: Non so se aveva portato la, quella di mio papà o aveva portato la sua ma so, mi ricordo che erano una, erano vere alte, più alte di quelle che si usano adesso.
ZG: Quindi ha fatto fare rifare la fede?
MB: E aveva fatto rifare la fede.
ZG: E in che materiale era?
MB: Eh materiale d’oro. Aveva…
ZG: Dopo averla donata?
MB: Eh sì, perché dovevano far vedere perché lì venivano scritti, eh. Buffadossi, eh, ha lasciato la vera.
AB: Ha fatto la strada quella sera lì.
ZG: Senta, invece, suo padre era capofabbricato.
AB: Sì.
ZB: Il suo lavoro che cos’era esattamente?
AB: Eh doveva curare che, quando suonava l’allarme, venisse diretto bene il flusso alla cantina perché le cantine erano cantinacce, non erano mica le cantine che ci sono adesso, che sono belle pulite. C’erano, io mi ricordo che passavano i topi, eh, perché erano case vecchie, erano umide così. E doveva guardare che ci fosse le panchine perché mettevano le panchine, la gente andava lì, si sedeva e stava lì ad aspettare, contarsela sù che...
ZG: Quindi lui faceva questo lavoro di insomma far affluire le persone in cantina.
AB: Sì.
ZG: La cantina spettava soltanto al vostro palazzo o c’erano anche altri palazzi che dovevano [unclear]?
AB: No, ogni palazzo aveva la sua cantina.
ZG: E come mai vostro padre non vi svegliava, quando suonava l’allarme?
AB: Eh perché era compito della mia mamma ma mia mamma, lui scappava via [laughs] e mia mamma stava lì. Lei non c’era, c’ero solo io e io non avevo paura come non aveva paura la mia mamma. Mio fratello seguiva mio padre e via, perché lavorava anche lui. Aveva cinque anni più di me, perciò nel ’43 così.
MB: Lavorava alla Grazioli.
AB: Lavorava alla Grazioli.
ZG: Ma, e non avevate paura neanche dopo che si era incendiato il tetto della casa?
AB: No, non si era incendiato il tetto, si erano incendiato le gelosie.
ZG: Ah, le gelosie, giusto. E neanche dopo quell’occasione?
AB: Io non, non avevo paura, tant’è vero che pochissime volte sono andata giù in cantina. Non mi piaceva perché bisognava andare su e giù dalle scale, mamma mia, e dormivo. No, non mi piaceva.
ZG: E invece quando eravate a scuola è capitato che suonasse l’allarme?
AB: Ah sì, di giorno e lì era di giorno, lì invece mi piaceva perché ero con i miei compagni. Stavamo lì e magari dovevamo essere interrogate perciò c’era andata bene. La professoressa Lighini era un po’ severotta, eh.
ZG: E alle elementari come passavate il tempo nel rifugio?
AB: E niente, chiacchierando, chiacchierando.
ZG: Le maestre non vi, non c’erano compagni spaventati, qualcuno che aveva paura?
AB: Ma era solo le medie, perché io nelle elementari no eh. Nelle elementari non mi è mai successo. Perché nelle elementari, le avevo già finite perchè nel, io sono andata a scuola nelle elementari fino al ’42 perché, ma nel ’42 non c’erano i bombardamenti, ecco, sono incominciati nel ’43 i bombardamenti feroci che erano, che erano, e dopo ’43, dopo che c’era stato l’armistizio, perché prima no. C’erano i tedeschi che erano nostri alleati e noi effettivamente, quando abbiamo fatto l’armistizio li abbiamo lasciati, li abbiamo traditi in un certo senso e adesso.
ZG: Senta invece, tornando invece alle cantine di, a casa vostra. Com’è che le persone scendevano in queste cantine, c’era tipo una gerarchia, scendevano prima alcune persone poi delle altre?
AB: No, no no, venivano giù. Il primo piano era il primo a sedersi e poi c’erano gli altri piani e noi eravamo al quarto piano, eravamo gli ultimi a scendere.
ZG: Ok. Ehm, invece un’altra domanda. Lei era andata sul Lago Maggiore?
AB: Sì, da mia zia, da questa mia zia che era la moglie di un carabinieri che era stato richiamato. Lui era più giovane di mia mamma perché aveva forse un dieci anni, mia zia aveva dieci anni meno, lui era del ’92, lei era del ’02 e lui, eh, sarà stato del ‘900. Perciò nel ’40 quando era stato richiamato aveva quarant’anni.
ZG: Ehm, lei era andata sul Lago Maggiore per sfuggire ai bombardamenti.
AB: Eh sì perché.
ZG: E come mai nel ’43 ha deciso di tornare?
AB: Eh perché mia mamma a un certo momento ha detto: ’ritorna, se moriamo, moriamo tutti insieme’, ecco.
ZG: Ehm, senta invece mi. Volevo farle una serie di domande sempre su, sempre sul quartiere Isola durante proprio il periodo dei bombardamenti. Avevate paura di rapine in casa o?
AB: No, rapine no, perché cosa vuole, si chiudeva la porta. A quel tempo non si chiudeva neanche la porta perché io a dir la verità, avevamo la porta e l’antiporte, erano case così. Ma spesso e volentieri noi andavamo a dormire senza, anche dopo appena finita la guerra non chiudavamo neanche la porta. Non sempre si chiudeva la porta.
MB: Eh dai.
AB: Sa, rapine, cosa vuole che rapinassero in casa nostra? Se portavano via noi [laughs], dovevano darci da mangiare, no no per carità. Non c’era niente da rubare. Giusto quando andavamo al paese della mia nonna, che portavamo a casa quel sacchetto di, e dopo per passare il Ticino perché noi dalla Lomellina bisogna passare il Ticino a Vigevano bisogna passare il Ticino e il treno si fermava prima del Ticino, noi lo facevamo a piedi il pezzo del Ticino perché se no c’era il pericolo che bombardassero e poi c’era un altro treno che dal Ticino, dal ponte del Ticino a Milano via San Cristoforo, e noi poi prendavamo l’8 perché qui girava l’8 in Piazzale Tirana. A quel tempo l’8 era il tram principe per arrivare alla, alla Isola. C’era il 4 e l’8, che girava l’Isola. Noi prendavamo lì da San Cristoforo o da Porta Genova, ma noi scendavamo a San Cristoforo con il nostro pacchettino e il chilo di farina, e due o tre uova, la gallina, così e andavamo a casa, io e la mamma.
ZG: E senta.
AB: Perché tu non sei mai andata a Sartirana quando, invece io andavo con la mia mamma.
ZG: Però suo padre durante i bombardamenti la valigia con i gioielli di famiglia [unclear] [laughs]
AB: Sì, i gioielli [laughs], cosa vuole,
ZG: Quelli lì li portava via però.
AB: Ah sì, li portava via. C’era, io mi ricordo che c’era un taglio di vestito, poi forse c’erano delle lenzuola c’era un, era un valigione tutto grande, sa di quelli di cartone e pressato. Quello, c’era un taglio di vestiti, c’era, c’erano le lenzuola e che cosa d’altro, niente, nient’alto, non c’era nient’altro di, cosa vuole che portasse. E da mangiare, da mangiare sì, portava giù qualche cosa ma, un panino ma, ma non certamente pane e salame che non si trovava. Era tutto tesserato, si figuri.
ZG: Ehm, e gli spostamenti invece erano, per andare al paese di sua nonna erano facili o?
AB: No no, non tanto facili, perché c’era sempre il pericolo che bombardassero il, perché le vie ferrate erano le più, le più appetibili per le bombe, eh capisce? Magari erano spostamenti di forze armate addirittura, non era, non guardavano se. Perché erano odiati poi gli americani perché erano gli americani dicevano, che i russi non bombardavano perché erano troppo lontano. Invece gli americani erano quelli che bombardavano e venivano odiati perché erano loro che bombardavano.
ZG: Ma ehm, della possibilità che le ferrovie potessero venire bombardate lei lo sapeva già allora. Cioè chi glielo diceva?
AB: Eh me lo, eh si sapeva, cosa vuole, si è, si diventa svegli anche, quand’anche, anche se siamo bambini ma.
ZG: Senta invece volevo farle le ultime domande. Tornando al quartiere Isola. Quando mi diceva che aveva paura di attraversare la via in cui c’erano prima i fascisti e poi i tedeschi.
AB: Eh sì. Via Guercino guardi, e la Via Guercino c’era il comando tedesco e prima nella via, quella via lì che poi è attraversata da Via Guercino, c’era la Carlo Tenca ed era la sede delle Brigate Nere. Facevano, mettevano paura proprio, vedeva, sentiva questo passo cadenzato erano magari tre o quattro insieme [makes a thumping noise], le cose chiodate credo che avessero i, mettevano paura.
ZG: Ma avevano anche un atteggiamento nei suoi confronti oppure giravano delle voci su qualcosa?
AB: No, dicevano che erano cattivi e andavano a prendere i renitenti, renitenti alla leva venivano. Ogni tanto passavano le ronde, vero, ti ricordi? No, tu non te lo ricordi, io mi ricordo che nella nostra casa c’era un ragazzo, un ragazzo che era un poco più vecchio del e proprio lui che era il fidanzato di una sua amica che aveva la sua età, lui aveva forse due o tre anni più di lei e quando è stato chiamato che aveva giusto vent’anni è stato chiamato perché mandavano a chiamare no, con un foglio così e lui. I suoi hanno fatto così ma hanno fatto male perché poi vivevano male. Hanno chiuso una camera, l’hanno chiusa e come se non esistesse. Avevano tre camere e invece hanno fatto come se fossero due camere. E in quello lì c’era il ragazzo però ogni tanto lui si, guardava fuori dalla finestra e la gente della casa, guardando fuori, lo vedeva che veniva fuori. Poi lui era sparito, ‘sto ragazzo era sparito, perché era come noi, erano tre figli, lui in quella famiglia lì, era tre, di tre figli maschi. Invece noi, una figlia femmina e aveva 25, a quel tempo era del ’25, il primo, il Camillo avrà avuto, sarà stato del ’22 o del ’23, poi c’era il Franco che aveva l’età di mio fratello e poi c’era l’Antonio che era quello che mi accompagnava a scuola quando andavo a fare le medie, che aveva, era forse, io sono del ’32, lui forse era del ’31 o del ’30. E mi ricordo che mi, mi accompagnava lì in via e mia mamma mi lasciava andare perché se no cosa faceva. Io non potevo andare a scuola, lei non poteva mica venirmi a accompagnare che doveva lavorare [unclear] non faceva tutte queste e allora andavo. Erano proprio come una scalletta così e quando è sparito, che non si è visto più il Camillo, eh, dov’è andato a finire, poi abbiamo capito perché la sua casa, il suo appartamento era di tre camere e ad un certo momento si è trovato solo due camere. Perché era lì. Loro lì si vede che gli passavano da mangiare e via.
ZG: Ma ehm, lo hanno scoperto le autorità?
AB: No, non l’hanno scoperto.
ZG: Qaunto tempo ha passato così?
AB: Eh, avrà passato due anni. Eh sì. Ha vissuto male.
ZG: E poi è riapparso, finita la guerra.
AB: Poi è riapparso. Poi era fidanzato con, con la
MB: Con la Bruna.
AB: Con la Bruna.
ZG: Ehm
AB: Che poi non ha sposato però.
ZG: Senta invece, l’altra storia di quartiere, mi può parlarmi di quella di Don Eugenio?
AB: E di Don Eugenio era ritenuto una brava, una bravissima persona, infatti dopo, finita la guerra, è stato l’unico che ha messo su sulla. L’oratorio, nell’oratorio dove prendeva solo i ragazzi, i maschi, non era un oratorio misto. Però lui ha fatto, faceva i film al giovedì e alla domenica mi pare, i film che noi, il cinema non si andava al cinema, invece da lui si vedevano dei bei film, magari.
MB: La sera.
AB: Alla sera.
MB: L’Amante indiana.
AB: L’Amante indiana. Una volta abbiamo visto, sì, era bello. I film che magari non erano recentissimi però per noi erano recente perché non vedevamo mai niente. Cinema, dov’è che, c’era il Vox, c’era il Farini come qui nel, il Vox che era in Via Farini. E il Farini che è in Via Farini. E lì erano due cinema che c’erano in tutta la, in tutta l’Isola. Perché gli altri, non c’erano altri e noi si andava lì a. Ah, poi faceva il teatro e le parti da donna le faceva fare dagli uomini, neh. Eh perché non si usava fare, le ragazze, fate lavorare le ragazze. Però erano belle perché poi a un, ah, ecco dell’Alfredo e del Luciano. Nella casa di Don Eugenio poi era stata messa una famiglia di gente che veniva forse da Rovigo così, neh. Comunque insomma era stata messa che i Bussa erano andati a stare con il Don Eugenio a fare la mamma e la sorella, gli facevano da perpetua diciamo ed erano state, stavano lì in canonica con il e in questa casa è stato il Luciano, c’era l’Alfredo che aveva, era un pochettino più vecchio di te e il Luciano che era un pochettino più vecchio di me. Siccome era un ragazzotto che un po’ avventuroso, il Luciano l’ultimo figlio che ehm, non so, si era messo nei pasticci, era stato messo in prigione a San Vittore. Un ragazzo che poco più vecchio di me, avrà avuto, nel ’44 così avrà avuto, io quanti avevo, avevo dodici anni, lui avrà avuto un quindici anni eh. Era stato messo e allora lì. Sua mamma, siccome noi avevamo la legna, facevamo andare la stufa e avevamo la legna perché mio padre portava a casa dei rimasugli di legna e la sua mamma veniva sempre su da noi che così si scaldava e nello stesso tempo chiacchierava lì con la mia mamma. Mia mamma lavorava a macchina e lei, lei chiacchierava. Era grossa [emphasises], era grossissima. Sì, la mamma del, eh dai, dell’Alfredo, no, no, era, sarà stato un centocinquanta chili. E non avevamo né poltrone né sedie per farla sedere allora si sedeva in una cassa dove c’era dentro la legna, però un giorno si è seduta, l’ha sfondata [laughs], ed è caduta dentro la cassa. La cassa era una cassa di legno ma grande eh, grande così. Il coperchio si è rovesciato e lei è caduta dentro. È che da rompersi l’osso del collo, altro che fare il [unclear].
ZG: E questo, e Don Eugenio ha aiutato il, il ragazzo a San Vittore?
AB: Eh, credo di sì. Eh certo che l’avrà aiutato, avrà cercato di portarlo fuori perché era un suo protetto, era uno di quelli.
ZG: E voi avete scoperto che Don Eugenio ha aiutato degli ebrei e dei partigiani dopo, finita la guerra?
AB: No, questo l’abbiamo, questo l’abbiamo scoperto finita la guerra. Che abbiamo saputo che lui ha salvato degli ebrei e dei partigiani. Mentre invece, sono venuti. Questo l’abbiamo saputo dopo. E quello di, della, quando è stato, è stato un po’, è stato poi mica neanche tanti anni fa che l’hanno, hanno messo l’albero dei giusti. Perché sa che gli ebrei hanno una foresta fatta con gli alberi.
MB: [laughs] Perché sai che, sì [laughs]
AB: E perché, non è così? è vero. C’è una foresta fatta solo di alberi con i nomi dei giusti che hanno aiutato gli ebrei.
ZG: Senta, le faccio le ultime due domande. Il Pippo, cosa si ricorda del Pippo?
AB: E del Pippo dicevano che era un italiano andato in America, un americano che era diventato diventato americano e che veniva a bombardare [background noise]
AB: Buongiorno, scusi tanto. Dicevano così e, si diceva che fosse un italiano americano che avesse delle spiate di qualcuno che gli diceva dove buttare la bomba. Ma lo chiamavano il Pippo, non so io. Era noto dappertutto dicevano il Pippo. Stanotte arriva il Pippo perché guardavano la giornata, se era una bella giornata questo si sapeva quando si, quando era in. Noi, io ero sul Lago Maggiore, se era una bella giornata, oggi il Pippo va a Milano. E noi avevamo paura perché a Milano c’erano tutti, tutti quelli sfollati perché ce n’erano di sfollati lì sul Lago Maggiore.
ZG: Ehm, questa storia qua lì del Pippo chi la raccontava?
AB: Eh ma tutti lo dicevano. Parlando sì, tutti. Perchè vede anche mia sorella lo sapeva che, non sapeva niente mia sorella perché mia sorella non. Io invece parlavo con gli altri bambini, gli altri, perché giocavamo eh, nonostante la guerra, noi si giocava per la strada in Via Confalonieri, si correva, si faceva. Poi nella, nella nostra casa, in Via Confalonieri 11, c’era un bel cortile che adesso dopo ultimamente era diventato il box di tutta la gente che, ma un tempo. Che bel colore di pantaloni che ha, e molto, è vero.
ZG: Senta, proprio ultimissime domande. Lei sapeva chi vi bombardava?
AB: Dicevano gli americani.
ZG: Che cosa, che cosa pensava allora di chi bombardava?
AB: Eh male. Perché devono bombardarci, di colpa non ne abbiamo noi, noi gente. I civili che cosa devono fare? I soldati va bene, sono comandati, ma noi che non eravamo neanche comandati, non sparavamo mica a loro. Eh, bombardarci voleva dire farci fare la morte del topo proprio perché non potevamo scappare, potevamo andare via.
ZG: Finita la guerra, ha più ripensato a, ai bombardamenti, a cosa si provava?
AB: No, perché dopo, quando sono venuti gli americani, gli americani hanno portato l’UNRRA, c’era l’UNRRA che davano le stoffe,
MB: I vestiti.
AB: Che davano i vestiti, così e vabbè, ben, ringraziamo, cosa dobbiamo fare.
ZG: Senta, adesso che cosa pensa invece di chi bombardava?
AB: Eh sempre male perché non era mica giusto. Però d’altra parte anche noi che abbiamo tradito i tedeschi, cosa pretendi. E poi se la prendevano con noi, con la gente inerme, mentre invece erano i capi che avevano sbagliato eh. Il re per esempio si è comportato male.
ZG: Senta, ultimissimissima domanda. La casa di sass, la vostra casa. Esiste ancora?
AB: Sì, certo. Adesso c’è la targa proprio per il Don Eugenio. C’è la targa che all’11 di Via Confalonieri, lei vede la targa proprio che qui è stata la casa dove è vissuto Don Eugenio Bussa, uno dei giusti d’Israele mi pare, mi pare che ci sia. Che è bruttissima. Adesso però l’hanno un po’ rimessa a posto perché mi pare che abbiano messo l’ascensore. Figuriamoci che noi la facevamo tutta a piedi, adesso adesso chissà come farei.
ZG: Senta, io vi ringrazio moltissimo e concluderei l’intervista.
AB: Va bene. Che sono intervenuta quando non dovevo.
ZG: Ma no.
SB: Ma no, ci mancherebbe.
AB: Il mio nome...
ZG: Allora, l’intervista è condotta per l’International Bomber Command Centre. L’intervistatore è Zeno Gaiaschi, l’intervistata è Annunciata Buffadossi. Nella stanza sono presenti Marialuigia Buffadossi, la sorella, Nava Spizzichino, l’amica delle due sorelle, e Sara Buda, come, dell’Associazione Lapsus. Siamo in [omitted] a Milano ed è il 28 maggio 2017. Nell’intervista saranno fatti dei cenni all’intervista fatta precedentemente da Sara Buda alla signora Marialuigia. Iniziamo. Si presenti pure.
AB: Io mi chiamo Buffadossi Annunciata. Sono nata l’11 ottobre 1932 a Milano, perciò sono proprio del tempo di guerra.
ZG: Ehm...
AB: Nel ’32, sono nata nel ’32, perciò è iniziata la guerra nel ’40, quando io avevo otto anni e facevo la terza elementare. Facevo la terza, siccome sono sempre, sono nata in Via Confalonieri 11,
MB: All’Isola.
AB: Eh, all’Isola, che adesso è diventata una zona di pregio, no, perché è la zona della movida e di però ai tempi, miei tempi era una zona molto degradata ed era ritenuta una zona proprio popolarissima, piena di ladri di galline proprio, non di grande, di grande [laughs] levatura. Però io abitavo in una casa che aveva, noi abitavamo nel, al quarto piano, una casa naturalmente senza né ascensore, né niente né, addirittura tanti appartamenti non avevano neanche il servizio in, all’interno. Siccome era una casa di ringhiera, tanti, tutti quelli che abitavano gli appartamenti che erano nella ringhiera, nella parte della ringhiera, avevano il servizio comune per tutti i quattro appartamenti che c’erano nella, sul piano. Perciò case proprio popolarissime. Però la veniva chiamata la casa di sass, perché era una casa molto antica ed era fatta di sasso proprio e dicevano che avesse duecento anni di età questa casa ed era di fronte alla Brown-Boveri , che era una, sì, la Brown-Boveri era una azienda che fabbricava le, forse le armi, era una, insomma una, ed era anche di fronte alle, alle linee varesine. Le linee varesine erano quelle che portavano a Varese, quella zona lì, che adesso invece hanno, sono state trasformate nella, come si chiama, la stazione di Porta Garibaldi, eh, quelle erano le varesine. Perciò potevano venire bombardate ed erano bombardate, era una zona bombardata perché c’era Brown-Boveri, che era proprio di fronte a casa nostra, noi eravamo all’undici, la Brown-Boveri aveva un numero pare, ma proprio di fronte, e di fronte c’erano pure le linee varesine che erano invitanti per i bombardamenti. Quando è arrivata, quando è venuta la guerra, che è stato nel 1940, noi l’abbiamo saputo dalla radio, che avevamo una radio regalata dalla mia nonna, l’unico regalo di mia nonna che, insomma, per quel poco che poteva fare, no, quella nonna lì poteva fare di più ma insomma ci aveva fatto solo il regalo della radio, avevamo saputo che era stata, scoppiata la guerra nel 1940. Da un discorso di Mussolini che diceva: ’Italiani, al di là del mare, al di là dei monti’, l’Italia insomma adesso mi ricordo che faceva dei discorsi roboanti proprio, che però prendeva tanta gente di, dalla parte proprio della passione così, comunque. Mio padre non era, né un fascista né niente, non aveva, perché aveva fatto sì la guerra del ’14-18, però siccome non era fra gli Arditi, era un alpino di artiglieria di montagna, che un tempo invece degli Alpini c’erano, c’era l’artiglieria di montagna. E’ che il papà amava molto sulla, cosa aveva fatto, sul, eh non mi ricordo più, comunque parlava sempre di avere fatto la guerra nell’artiglieria di montagna. Amava gli asini, che erano i compagni, i compagni degli artiglieri perché gli ha, ha salvato tante vite eh l’asino, il mulo anzi, più che l’asino il mulo perché portava, aveva.
ZG: Ma.
AB: Un capo, non so. Comunque mio padre quando raccontava le sue imprese, però non l’aveva finita, perché si era ammalato, aveva avuto la polmonite e l’avevano messo nelle retrovie. Perciò non aveva visto la fine della guerra ed era diventato l’attendente del colonnello, di un colonnello che stava a Torino ed era il capo della, dell’accademia degli artiglieri mi pare perciò mio padre, ecco. Però veniva da un paese della Lomellina, che erano contadini. Niente, questo per quanto riguarda la mia famiglia.
ZG: Eh
AB: Mio padre faceva il muratore, però veniva da un paese di contadini. E la mia mamma veniva sempre da un paese di contadini che era la Lomellina ed era, faceva la sarta. Io avevo una sorella maggiore, che era mia sorella Marialuisa che era della. Marialuisa, Io dico sempre Marialuisa ma il vero nome è Marialuigia perché così è. Rinnovava la nonna, sa che un tempo si rinnovava, io invece avevo rinnovato la nonna da parte materna, mia sorella invece da parte paterna ed era la preferita da, da quelle nonne lì, da quella nonna lì, mentre io ero la preferita della nonna Mussiada, insomma, è logico. Comunque quando è scoppiata la guerra, io facevo le elementari. Mi ricordo quando era scoppiato perché c’era stato il discorso del, di Mussolini. Il fratello di mia mamma, invece, siccome aveva fatto la guerra negli Arditi, era del 1800 eh perciò erano, avevano fatto la guerra del, era fra gli Arditi, era diventato un fascista, era piuttosto fascista perché gli Arditi, che erano del, del gruppo del, insomma erano tutti fascisti quando erano tornati dalla guerra, ti ricordi eh, lo zio Berto, ehm. Però era una bravissima persona, eh, una persona retta, che si interessava delle colonie per mandare, le colonie i bambini, che a quel tempo, se non andavano a fare la villeggiatura nelle colonie, i bambini non vedevano il mare neanche dopo vent’anni. Io ero stata mandata a Pietra Ligure per esempio, tant’è vero che avevo fatto la prima comunione a Pietra Ligure quando ero lì nella colonia, mandata da mio zio, che non avevo che da ringraziare perché ero una, avevo visto il mare per la prima volta [laughs] nel ’41 forse, ’41 o ’42, non so, perciò ero, avevo visto il mare per la prima volta, se no non conoscevo. Conoscevo la campagna della Lomellina quando andavo a trovare la mia nonna contadina e se no, non conoscevo altro. Comunque, vabbe’. Quando è scoppiata la guerra, io per i primi anni sono stata a Milano e ho finito la scuola, le elementari qui perciò devo averlo finito nel ’42, perché avevo dieci anni. Però mia mamma aveva cercato di mandarmi a, sfollata presso mia zia che abitava a Pallanza sul Lago Maggiore. E lì, purtroppo ecco lì non mi piaceva tanto perché mi trovavo bene con la mia zia, che era la mia zia preferita però tutte le sere, quasi tutte le notti si sentivano gli aerei che passavano sopra il Lago Maggiore. Venivano dalla Francia probabilmente, o dalla Svizzera, non lo so, e si sentivano i rumori e noi dicevamo tutti, sia mia zia sia le mie compagne di scuola che sentivo, che parlavo con le amichette, dicevo: ’Questi sono gli aerei che vanno a bombardare Milano’. Perché passavano sul Lago Maggiore, passavano Luino e venivano a Milano e questo mi faceva un bel dispiacere perchè io sapevo che a casa c’erano la mia mamma, il mio papà e mio fratello. Mia sorella no perché nel ’43 era andata, sapevo che era sfollata sul Lago di Como, perché era andata in banca e la banca aveva sfollato tutti i suoi dipendenti sul Lago Maggiore, eh sul Lago di Como. Perciò per lei ero tranquilla. Sapevo, sentivano dei bombardamenti. Nel ’43 è stato l’anno proprio brutto per i bombardamenti perché si sentiva parlare dei bombardamenti su Milano, massicci, proprio i più brutti, infatti c’erano stati tanti morti. Siccome noi abitavamo in una casa di fronte a un’azienda che faceva, che faceva proiettili, non so, era la Brown-Boveri , era una ditta che faceva forniture per la guerra, era pericolosa. E in più di fronte anche alle varesine, alle linee varesine era una casa, tant’è vero che avevano buttato delle bombe e avevano bruciato tutte le gelosie. Una volta le gelosie rientravano dentro nella, non so se voi, no, voi siete giovani non lo sapete, ma una volta rientravano nel muro e si chiamavano le gelosie. Erano di legno. Naturalmente hanno buttando tante bombe incendiarie hanno bruciato tutte le gelosie della nostra casa e lì mio padre che era il capofabbricato era, ha dovuto intervenire, fare venire non so i pompieri, quello che era, però ha annerito tutto il davanti della casa e abbiamo avuto delle, non era successo nient’altro però tanti rimanevano senza casa ad un certo momento. Noi abbiamo avuto solo quell’inconveniente lì delle gelosie, però, che erano bruciate e non so, adesso non mi ricordo più come. Ad un certo momento però io nel ’43, alla fine del ’43 dovevo fare l’esame di ammissione per la scuola media perché volevo fare la scuola media, che dopo forse avrei fatto magari le magistrali come mia sorella però i miei non potevano farmi studiare. Comunque c’era la mia sorella che lavorava, lavorava in banca, insomma avevamo qualche cosa di più da poter contare. E ho fatto la scuola, l’esame di ammissione alla scuola media lì a Pallanza e poi sarei tornata per fare la scuola media a Milano e sono ritornata nel ’43, ’44. Nel ’44 avevo quanti, dodici anni, avrei fatto la seconda media, ma ho fatto anche la prima media a Milano. E siccome non c’erano scuole, tutte le scuole medie erano un po’, sono andata a finire nella scuola che c’è in Via Giusti che è una scuola per capomastri. Infatti la mia scuola mi ricordo che aveva tutti i disegni, tutte le formine di architravi, cose del genere, però era diventata una scuola media perchè scuole per capomastri non venivano fatti in tempo di guerra, erano tutti ragazzotti che erano stati richiamati, avevano magari sedici, diciasette anni, erano richiamati. E allora andavo e tutti i giorni da, dall’Isola mi portavano nella zona dei cinesi, la Via,
MB: Paolo Sarpi
AB: Via Giusti, Via Paolo Sarpi, perchè la mia scuola era nella via che proseguiva la Via Giusti, la Via Giusti. Andavo però sempre accompagnata da un mio compagno di, un vicino che studiava nelle scuole che aveva un anno più di me e perciò non era richiamato perché, eh. E veniva, mi accompagnava, facevo tutta la strada insieme, dovevo passare dalla Via Guercino dove c’erano, dove c’era il comando dei, e dalla scuola Tenca, la scuola Tenca che adesso è la scuola magistrale che aveva frequentato mia sorella, che era la sede della Muti. La Muti era un’associazione di fascistotti, ragazzotti fascisti, che mettevano una paura solo con la loro divisa, non so lei no lei che non se ne ricorda ma io quando passavo davanti alla scuola Tenca, che era una scuola che mi piaceva perché era la scuola di mia sorella, mi faceva paura perché si vedevano questi ragazzotti che avevano sui diciotto, vent’anni, tutti vestiti di nero, con i baschi con il pennacchio rosso, era una cosa, con gli scarponi che facevano un rumore solo a sentir scandire queste, queste passi, erano una cosa che metteva, e io dovevo passare anche dalla Via Guercino dove c’era la sede dei tedeschi. Era terribile, la Via Guercino era sempre piena di questi tedescotti che mettevano paura perché marciavano in una maniera diversa da, anche dai nostri, che so io, dai nostri alpini, dai nostri bersaglieri che erano simpatici, così. Loro erano, facevano paura proprio, ecco. E io tutti i giorni dovevo fare e ogni tanto si sentiva suonare l’allarme perché di giorno, bombardavano anche di giorno, soprattutto di sera ma di giorno bombardavano e allora si sentiva. Noi eravamo a scuola e allora dovevamo scendere nelle cantine che io ero anche contenta eh di questa facenda perché mi impediva di essere interrogata, perché mi piaceva. Fra l’altro la mia professoressa di latino e di italiano e di latino così, era la professoressa Lighini che era la sorella del dottor Lighini, che, dell’ingegner Lighini che era il luogotenente del generale Cadorna e perciò lei non diceva mai, non parlava mai dei ribelli come erano chiamati i partigiani, erano chiamati ribelli no, non erano chiamati partigiani. I partigiani sono venuti dopo, quando dopo la fine della guerra che allora erano partigiani. Lei diceva sempre: ’ quei ragazzi’, i ragazzi che sono contro i fascisti logicamente, però sono partigiani, parteggiano per una certa parte. L’abbiamo saputo dopo che era la sorella di un, del luogotenente di, del generale Cadorna e infatti dopo era diventata la preside della Carlo Tenca perché era diventata, era la sorella di un cotanto personaggio, eh, perciò. E allora, questo per quanto riguarda i miei ricordi di. Invece di notte suonava sempre l’allarme, spesso l’allarme ma mia mamma non aveva paura e io pure non avevo paura, poi ero un po’ smemorata, non sentivo neanche l’allarme, non lo sentivo. Mia mamma se non mi svegliava io dormivo beatamente poi quando aveva l’allarme, il cessato allarme, mi risvegliavo ma andavo avanti a dormire. Invece mio padre scappava via come una lepre perchè era un pauroso, prendeva su la valigia dove c’erano tutti i tesori della famiglia e andava in cantina con mio fratello, mia sorella non c’era perché era sfollata e noi andavamo, andavamo avanti così. Alla fine della guerra quando c’è stata il 25 aprile, io mi ricordo che in Via Borseri che è una via dell’Isola era passato un convoglio di tedeschi con davanti l’ufficiale con, che imbraccava la rivoltella e faceva così con la mano per tener lontano perché tutta la gente lì che guardava i tedeschi che se ne andavano finalmente, perché mettevano paura, erano vestiti e si atteggiavano in una maniera che mettevano paura solo a vederli, mettevano paura. I fascisti vestiti, quelli della, delle brigate nere e i tedeschi mettevano proprio paura. Erano arrivati i partigiani. Ad un certo momento i partigiani però, insomma ne hanno fatte anche loro perché uccidevano i fascisti o quelli che ritenevano tali. Ci sono state tante vendette anche, insomma, fatte, fatte così ad arte che. Noi avevamo il nostro Don Eugenio Bussa che era il capo della Chiesa del Sacro Volto, che aveva salvato tanti ebrei, ma vicino al loro oratorio, c’era un muro dove venivano uccisi i partigiani che venivano presi o renitenti alla leva, perché c’erano tanti renitenti alla leva. Anche nella nostra casa c’erano due o tre amici di mia sorella che erano del ’24, ’25, che erano proprio giusto giusto per essere renitenti alla leva e loro cercavano di non andare, di non essere, perché se no andavano in Germania e non ritornavano più. E la guerra non la volevano fare, giustamente, perché poi, dopo il ’43 quando c’era stata l’armistizio, tanti erano scappati, magari erano anche militari ma erano scappati come un mio zio, quello zio lì del Lago Maggiore che era un carabiniere che era in Iugoslavia neh, si era levato le mostrine di carabiniere perché se no lo ammazzavano e si era presentato come un povero profugo, era riuscito però era stato preso dai tedeschi e mandato in Germania. Però è riuscito a sopravvivere perché mangiava, però quando ritornava, quando è ritornato ci ha raccontato che mangiava la pelle delle patate che buttavano via i tedeschi. Mio zio era molto furbo, eh furbetto anche lui ma, però insomma, che lavorava in banca anche lui, però all’istituto, dov’era, al, ehm, coso di Novara, ne. E lì a Pallanza c’era la, ma era furbo furbo mio zio e perché per riuscire a e quando è ritornato però, è ritornato nel ’46 o ’47 dopo perché, sa, prima che ritornassero indietro, ma insomma, comunque, è ritornato. Io poi mi ricordo altre cose. Che ogni tanto, con la mia mamma, andavamo al paese di mia nonna, che ci dava magari qualche gallina magari che riuscivo perché dovevano portare tutto all’ammasso ai tedeschi e invece lei riusciva a rubacchiare qualche chilo di farina, qualche uovo, qualche gallina, così andavamo lì, prendavamo il treno, andavamo lì a Sartirana, che mia mamma era di Sartirana, e riuscivamo a portare a casa qualche sacchetto di farina, qualche uova, così, che mia mamma sulla stufa faceva, faceva da mangiare. Faceva il pane bianco, che il pane bianco era un dolce addirittura, oppure metteva l’uovo, faceva qualche cosa di, insomma, una gallina che riusciva. Perché la tessera annonaria è continuata anche dopo la fine della guerra eh, perché è continuata mi pare fino al ’47, non, fino al ’47, perciò si è. Non è che si stesse tanto bene anche finita la guerra, no. Mio zio, mio zio, quello lì, il fratello di mia mamma che era un, ritenuto un fascista perché, ma siccome non aveva fatto male a nessuno, anzi, faceva solo piaceri appunto, faceva andare i bambini alle colonie, accompagnava alle colonie così, non ha avuto niente, è scappato dalla mia zia, quella lì di, che era la sua sorella insomma praticamente, lì sul Lago Maggiore, ma è stato via due o tre giorni e poi è ritornato che nessuno gli ha fatto niente, non, perché era una bravissima persona mio zio Berto. Niente, basta, questo per quanto riguarda il. Poi nel ’47 io trovato il lavoro presso un ragioniere, però avevo fatto giusto le tre medie e basta, non avevo né diploma né niente, avevo appunto fatto solo la terza media. E però mi piaceva di più ragioneria che fare le magistrali. Prendevo sempre da mia sorella che gli ricopiavo gli appunti, lei li faceva magari in stenografia, io invece li facevo in chiaro e allora lei mi dava magari una lira o dieci lire forse perché dopo mi pagava di più. E io guadagnavo la mancetta ma dopo prendevo anch’io lo stipendio, poco, perché i ragionieri non pagavano per niente ma insomma piuttosto di niente e poi imparavo. Dopo nel ’47, questo sono andato nel ’47 neh dal ragioniere, ecco. Nel ’47 mi sono iscritta alle scuole civiche, che erano le scuole civiche di Milano che facevano ragioneria al Parini. Al Parini facevano le serali, era la scuola civica di Milano che facevano ragioneria. E poi mi sono nel ’54, no, dopo ho cambiato, però sono andata in una scuola privata alla, al Volta neh, e poi ho fatto gli esami e mi sono diplomata nel ’54 ecco. E nel ’55 invece ho trovato posto a Selezione del Reader’s Digest, era un giornale, era il giornale di, Reader’s Digest era americano, era uno dei giornali più in voga, mensile, è un mensile. Ma faceva, vendeva anche tante e dischi e giradischi e libri e tutto, oltre la rivista, la rivista era, ecco. E sono stata lì 32 anni. 32 anni più 8 del ragioniere ho fatto 40 anni di iscrizione all’INPS, ecco. E nel ’50, nel ’87 invece sono andata in pensione, ecco, con quarant’anni di anzianità. E adesso sono qui, malata, malandata, sì, no, e perché purtroppo con quello che ho avuto non sono, non sto tanto bene, ma.
ZG: Sì. Io volevo fare.
AB: Dica.
ZG: Mi sono segnato un sacco di domande.
AB: Sì.
ZG: Se vuole, iniziamo. Allora. La prima era una curiosità mia. La sua era una famiglia contadina, giusto?
AB: Sì. La mia mamma viene da una famiglia contadina. Anche mio padre veniva da una famiglia contadina, però faceva il muratore. Dalla Lomellina venivano.
ZG: Però una sua nonna ha potuto regalarvi una radio, ha detto prima.
AB: Sì perché mia nonna, la nonna, la mamma di mio papà viveva con la figlia, la quale si era sposata molto bene e aveva, vero, aveva un albergo. Lei, cioè il marito aveva un albergo. Mia nonna era andata a aiutare, era furba, tremenda era mia nonna, era una donna molto in gamba ma un po’ tremenda. Era riuscita, era l’unico regalo che ci aveva fatto, eh, perchè lei naturalmente viveva con la figlia, il figlio lo teneva meno da conto ecco. E l’unica cosa, ma siccome mia sorella si chiamava come lei, quel regalo lì ce l’ha fatto, ecco. E c’aveva regalato la radio, che a quel tempo la radio, avere la radio era una cosa, una cosa che non si poteva, per noi era un lusso, ecco, era un lusso.
ZG: E senta invece, oltre a suo zio, avevate altri parenti che, insomma...
AB: Erano fascisti?
ZG: Sì.
AB: No, altri parenti no, c’era solo mio zio, che era il fratello della mia mamma, l’unico fratello della mia mamma. Perché loro erano in cinque in famiglia, un fratello e quattro sorelle erano. No, solo mio zio, quel mio zio lì.
ZG: E lui come mai non è tornato in guerra?
AB: Chi, mio zio?
ZG: Sì.
AB: Eh mio zio perché aveva fatto la guerra del ’15-’18, era più giovane di mio papà, non era stato richiamato, ma non so per quale ragione. Lavorava dove, lavorava in un’azienda farmaceutica perché aveva un po’ studiato, Perché, adesso le spiego. Sartirana era sotto la, c’era un duca che era il padrone del paese, ducato di Sartirana era ed era imparentato con i, gli Aosta. Tant’è vero che il ragazzino, quando era stato, nel ’42 o ’43 che era, era lì nel castello di Sartirana. Ma mio zio, ma questo duca di Sartirana era, aveva due figlie. Una non si era sposata perché era mezza inscemita. Invece una aveva sposato un principe di Hannover e quando il marito era morto lei, per non perdere il titolo di principessa, non si era più sposata. Però aveva fatto tante, era padrona, praticamente era padrona di tutto il paese, di tutti i terreni, così. Aveva fatto molto per la, per la gente del paese. Per le donne, aveva, ad Alessandria aveva messo su la scuola per sarte e mia mamma l’aveva potuta frequentare, tant’è vero che mia mamma faceva bene, era una brava sarta perché aveva studiato proprio nella scuola della principessa. E invece mio zio l’aveva, si vede forse perché era tornato lì dal, eh no, tu non lo sai perché tu non ti sei mai interessata, ma io le sapevo queste cose perché mia mamma le raccontava, raccontava. La principessa poi aveva preso mia mamma per fare i vestiti di, prima che lei si sposasse, per fare i vestiti, i vestiti di casa delle domestiche insomma e anche per lei, fare i vestiti di casa, così. E li voleva molto bene. Poi siccome si aggirava per i boschi una volta si era persa lì dei boschi de, perché mia mamma abitava in una cascina ma sperduta, vicino alla, Bisognosa si chiamava, si figuri che cascina poteva essere. Comunque era vicino al Po mort perché lì passa, passavano i bracci del Po ma che chiamavano il Po mort perché sono bracci un po’ di, da poco ecco, e che tagliava il Monferrato alla Lomellina. Perché qui c’è la Lomellina dalla parte della, nella parte della Lombardia e invece nella parte del Po ma piemontese c’è il Monferrato e mia mamma veniva dal Monferrato, i suoi del, contadini ma del Monferrato che insomma si sono trasferiti lì nella Lomellina. E una volta si era sperduta la principessa, mia mamma questa qui lo raccontava sempre, e mio nonno l’aveva tirata fuori dai pasticci, come la signora con mia sorella. E allora è diventato e poi l’aveva portata a casa e le aveva presentato la famiglia, era praticamente un suo dipendente perché lavorava le terre della principessa, del duca, del duca di Sartirana e gliele aveva presentate e siccome c’era mia, l’unica che non faceva la contadina era la mia mamma perché faceva la sarta ma se no le sue tre sorelle facevano tutte le contadine. E gliel’aveva, allora lei ogni tanto quando, e poi gli aveva dato da mangiare o da bere, non so, il latte, così, e si era affezionata, la principessa si era affezionata sia alla mia mamma che la, che. Poi aveva dei domestici che erano parenti della mia mamma e perciò era particolarmente, insomma, la conosceva bene. E perciò non. Invece per le donne aveva messo sù questo atelier dove imparavano a fare le sarte e invece per gli uomini li aveva mandati, mio zio veniva dalla guerra ed era un dipendente di, che sarebbe finito di fare il contadino, le aveva fatto studiare, aveva fatto qualche scuola tant’è vero che poi aveva trovato da impiegarsi in questo, in questa la Paganini Villani, che era una ditta farmaceutica. E allora non era andato a militare perché... Poi si era sposato.
ZG: Fantastico. Ehm, senta invece, della vita in Isola, quando eravate in Isola....
AB: Ah, si stava bene, guardi. Io venivo a casa di sera, alle undici di sera, con un nebbione che non, perché venivo a casa dalle, dalla scuola serale. Venivo a casa magari con dei miei compagni che abitavano. Ma io entravo all’Isola che era piena di nebbia da non finire, io mi sentivo sicura, guardi, non avevo nessunissima paura. L’isola era un, una zona bella. La Via Confalonieri, la Via Volturno, la Via Borsieri. Eh, e poi, che si doveva fare la Via Borsieri, Piazzale Tito Minniti, che cos’è, ah cantavi , sì è vero, io salivo dalle, siccome avevo paura invece fare le scale perché ero al quarto piano, allora cantavo, e la gente, però erano le undici, era. Mia mamma mi sentiva, veniva fuori che mi preparava da mangiare perché io mangiavo alle undici di sera, quando ritornavo da scuola. E cominciavo a cantare e allora mia mamma veniva fuori, mi veniva ‘Tina, Tina, Tina’ e io arrivavo a casa e sapevo di essere aspettata, insomma.
ZG: Ma lei faceva le serali quando faceva le medie?
AB: No, facevo le serali quando ero andata dal ragioniere. Quando nel, dopo il ’47. Perchè io le medie le ho finite nel ’45. In aprile del ’45 io ho finito, il 25 aprile io facevo la terza media. Nel ’45 avevo tredici anni, no.
ZG: Eh, senta.
AB: Tant’è vero che non le ho finite, non le ho finite ma mi avevano promosso lo stesso perché.
ZG: E senta, sempre lì in Isola, prima sua sorella faceva riferimento però al fatto che, anche lei le diceva prima che era un quartiere molto popolare, che c’era un po’ di delinquenza.
AB: Oh, sì, sì, era ritenuto un, era ritenuto ed era proprio popolare, popolare, popolare. Case vecchie, erano case vecchie, tutte, Via Borsieri, Via Confalonieri, Via
MB: Via Serio
AB: Viale, no Via Serio era già più avanti, era già più verso la, la fontana. Piazzale Tito Minniti, ecco lì, proprio là, Piazzale Tito Minniti. Quando noi andavamo a fare il mese di maggio nel ’45 si andava in chiesa a fare il mese di maggio, sa, che mese di maggio è mese della Madonna. E mi ricordo che quando siamo passati di lì era il 25 aprile, era appena passato e maggio siamo passati di lì. Io mi ricordo che c’era uno appeso perché era stato ucciso, era stato strangolato, non so, che era il fratello della pollivendola che abitava nella casa ed era stato ucciso dai e alcuni invece li avevano uccisi nel, nel muro dell’oratorio di, del Don Eugenio, che è il Sacro Volto, questa. Lì in Via Volturno c’è la chiesa del Sacro Volto che era la chiesa del Don, Don Bussa, che però dopo è stato fatto uno dei giusti del... Ti ricordi quando il Peppino è andato che l’hanno festeggiato e mio fratello è andato in Israele che avevano, che l’avevano festeggiato, l’avevano. Perciò una personalità, il Don Eugenio.
ZG: Ehm, senta, volevo. Arrivando al periodo della guerra,
AB: Sì.
ZG: Lei ci ha detto prima che ha scoperto tramite la radio che era scoppiata la guerra.
AB: Sì, sì.
ZG: In famiglia se ne era parlato?
AB: Ma, non mi pare. Forse se ne parlava che doveva scoppiare la guerra perché c’era, ma non mi ricordo, non mi ricordo, no.
ZG: E la sera del discorso alla radio di Mussolini, eravate tutti insieme in famiglia?
AB: Eh probabile, probabile, sì, senz’altro.
ZG: Ah ok. Quindi non si ricorda se suo padre o sua madre avevano fatto dei commenti, sul discorso?
AB: No, ma loro non s’interessavano nè di politica nè niente. E non erano neanche nè fascisti nè niente perché.
MB: [unclear]
AB: Eh, sì, c’era mio padre che solo che diceva: ’mi raccomando, scrivete Duce bene, eh, scrivetelo bene’ perché a quel tempo il fascista era ritenuto e anche con mio zio:’ mi raccomando eh, zio Berto’, che era, noi sapevamo che era fascista perché quando era ritornato e poi quando andava a accompagnare i bambini, mia zia, che era la moglie, andava a accompagnare con la moglie del federale, andava a accompagnare i bambini alle colonie, passeggiava avanti e indietro sulle panchine della stazione centrale, a noi sembrava che fosse la moglie del federale invece era la moglie di un povero diavolo, ma insomma. Poi noi eravamo vestiti da piccoli italiani, ti ricordi? Che avevamo le calze nere delle mamme, che a quel tempo portavano le calze nere. Li facevano sulla un bottone e si faceva la,
MB: Ah sì.
AB: Il cappello, si metteva su in testa la calza della mamma con il fondo, mettevano il bottone veniva il cappellino della piccola italiana. Mia mamma m’aveva fatto la divisa eh! Perché a quel tempo si usava così, eh. D’altra parte ancora tanta grazia che ogni tanto davano dei pacchi, ti ricordi, che la
MB: Noi, non ne avevamo mai usufruito.
AB: No, dai, ma non dir pacchi dai
MB: Io mi ricordo quando è andata a dare la.
AB: Io mi ricordo quando andavo a prendere
MB: Io mi ricordo quando è andata a prendere la vera, io mi ricordo quando è andata a prendere la vera.
AB: Ah sì, perché forse c’è stato un periodo, forse nel ’38-’39, chiedevano,
MB: Dalle tombole di San Marco [?]
AB: Sì, chiedevano. Il Duce ha chiesto la
MB: L’oro.
AB: L’oro alla patria e allora tutte le donne, anche per farsi vedere, per, davano la vera, la vera, gli ori. Ce n’erano pochi, c’era poco, l’unico oro che avevano erano delle verone perché usavano. Però mia mamma l’aveva portata e dopo se l’era fatta rifare.
[ ZG: laughs]
MB: Perché poverina.
MB: Non so se aveva portato la, quella di mio papà o aveva portato la sua ma so, mi ricordo che erano una, erano vere alte, più alte di quelle che si usano adesso.
ZG: Quindi ha fatto fare rifare la fede?
MB: E aveva fatto rifare la fede.
ZG: E in che materiale era?
MB: Eh materiale d’oro. Aveva…
ZG: Dopo averla donata?
MB: Eh sì, perché dovevano far vedere perché lì venivano scritti, eh. Buffadossi, eh, ha lasciato la vera.
AB: Ha fatto la strada quella sera lì.
ZG: Senta, invece, suo padre era capofabbricato.
AB: Sì.
ZB: Il suo lavoro che cos’era esattamente?
AB: Eh doveva curare che, quando suonava l’allarme, venisse diretto bene il flusso alla cantina perché le cantine erano cantinacce, non erano mica le cantine che ci sono adesso, che sono belle pulite. C’erano, io mi ricordo che passavano i topi, eh, perché erano case vecchie, erano umide così. E doveva guardare che ci fosse le panchine perché mettevano le panchine, la gente andava lì, si sedeva e stava lì ad aspettare, contarsela sù che...
ZG: Quindi lui faceva questo lavoro di insomma far affluire le persone in cantina.
AB: Sì.
ZG: La cantina spettava soltanto al vostro palazzo o c’erano anche altri palazzi che dovevano [unclear]?
AB: No, ogni palazzo aveva la sua cantina.
ZG: E come mai vostro padre non vi svegliava, quando suonava l’allarme?
AB: Eh perché era compito della mia mamma ma mia mamma, lui scappava via [laughs] e mia mamma stava lì. Lei non c’era, c’ero solo io e io non avevo paura come non aveva paura la mia mamma. Mio fratello seguiva mio padre e via, perché lavorava anche lui. Aveva cinque anni più di me, perciò nel ’43 così.
MB: Lavorava alla Grazioli.
AB: Lavorava alla Grazioli.
ZG: Ma, e non avevate paura neanche dopo che si era incendiato il tetto della casa?
AB: No, non si era incendiato il tetto, si erano incendiato le gelosie.
ZG: Ah, le gelosie, giusto. E neanche dopo quell’occasione?
AB: Io non, non avevo paura, tant’è vero che pochissime volte sono andata giù in cantina. Non mi piaceva perché bisognava andare su e giù dalle scale, mamma mia, e dormivo. No, non mi piaceva.
ZG: E invece quando eravate a scuola è capitato che suonasse l’allarme?
AB: Ah sì, di giorno e lì era di giorno, lì invece mi piaceva perché ero con i miei compagni. Stavamo lì e magari dovevamo essere interrogate perciò c’era andata bene. La professoressa Lighini era un po’ severotta, eh.
ZG: E alle elementari come passavate il tempo nel rifugio?
AB: E niente, chiacchierando, chiacchierando.
ZG: Le maestre non vi, non c’erano compagni spaventati, qualcuno che aveva paura?
AB: Ma era solo le medie, perché io nelle elementari no eh. Nelle elementari non mi è mai successo. Perché nelle elementari, le avevo già finite perchè nel, io sono andata a scuola nelle elementari fino al ’42 perché, ma nel ’42 non c’erano i bombardamenti, ecco, sono incominciati nel ’43 i bombardamenti feroci che erano, che erano, e dopo ’43, dopo che c’era stato l’armistizio, perché prima no. C’erano i tedeschi che erano nostri alleati e noi effettivamente, quando abbiamo fatto l’armistizio li abbiamo lasciati, li abbiamo traditi in un certo senso e adesso.
ZG: Senta invece, tornando invece alle cantine di, a casa vostra. Com’è che le persone scendevano in queste cantine, c’era tipo una gerarchia, scendevano prima alcune persone poi delle altre?
AB: No, no no, venivano giù. Il primo piano era il primo a sedersi e poi c’erano gli altri piani e noi eravamo al quarto piano, eravamo gli ultimi a scendere.
ZG: Ok. Ehm, invece un’altra domanda. Lei era andata sul Lago Maggiore?
AB: Sì, da mia zia, da questa mia zia che era la moglie di un carabinieri che era stato richiamato. Lui era più giovane di mia mamma perché aveva forse un dieci anni, mia zia aveva dieci anni meno, lui era del ’92, lei era del ’02 e lui, eh, sarà stato del ‘900. Perciò nel ’40 quando era stato richiamato aveva quarant’anni.
ZG: Ehm, lei era andata sul Lago Maggiore per sfuggire ai bombardamenti.
AB: Eh sì perché.
ZG: E come mai nel ’43 ha deciso di tornare?
AB: Eh perché mia mamma a un certo momento ha detto: ’ritorna, se moriamo, moriamo tutti insieme’, ecco.
ZG: Ehm, senta invece mi. Volevo farle una serie di domande sempre su, sempre sul quartiere Isola durante proprio il periodo dei bombardamenti. Avevate paura di rapine in casa o?
AB: No, rapine no, perché cosa vuole, si chiudeva la porta. A quel tempo non si chiudeva neanche la porta perché io a dir la verità, avevamo la porta e l’antiporte, erano case così. Ma spesso e volentieri noi andavamo a dormire senza, anche dopo appena finita la guerra non chiudavamo neanche la porta. Non sempre si chiudeva la porta.
MB: Eh dai.
AB: Sa, rapine, cosa vuole che rapinassero in casa nostra? Se portavano via noi [laughs], dovevano darci da mangiare, no no per carità. Non c’era niente da rubare. Giusto quando andavamo al paese della mia nonna, che portavamo a casa quel sacchetto di, e dopo per passare il Ticino perché noi dalla Lomellina bisogna passare il Ticino a Vigevano bisogna passare il Ticino e il treno si fermava prima del Ticino, noi lo facevamo a piedi il pezzo del Ticino perché se no c’era il pericolo che bombardassero e poi c’era un altro treno che dal Ticino, dal ponte del Ticino a Milano via San Cristoforo, e noi poi prendavamo l’8 perché qui girava l’8 in Piazzale Tirana. A quel tempo l’8 era il tram principe per arrivare alla, alla Isola. C’era il 4 e l’8, che girava l’Isola. Noi prendavamo lì da San Cristoforo o da Porta Genova, ma noi scendavamo a San Cristoforo con il nostro pacchettino e il chilo di farina, e due o tre uova, la gallina, così e andavamo a casa, io e la mamma.
ZG: E senta.
AB: Perché tu non sei mai andata a Sartirana quando, invece io andavo con la mia mamma.
ZG: Però suo padre durante i bombardamenti la valigia con i gioielli di famiglia [unclear] [laughs]
AB: Sì, i gioielli [laughs], cosa vuole,
ZG: Quelli lì li portava via però.
AB: Ah sì, li portava via. C’era, io mi ricordo che c’era un taglio di vestito, poi forse c’erano delle lenzuola c’era un, era un valigione tutto grande, sa di quelli di cartone e pressato. Quello, c’era un taglio di vestiti, c’era, c’erano le lenzuola e che cosa d’altro, niente, nient’alto, non c’era nient’altro di, cosa vuole che portasse. E da mangiare, da mangiare sì, portava giù qualche cosa ma, un panino ma, ma non certamente pane e salame che non si trovava. Era tutto tesserato, si figuri.
ZG: Ehm, e gli spostamenti invece erano, per andare al paese di sua nonna erano facili o?
AB: No no, non tanto facili, perché c’era sempre il pericolo che bombardassero il, perché le vie ferrate erano le più, le più appetibili per le bombe, eh capisce? Magari erano spostamenti di forze armate addirittura, non era, non guardavano se. Perché erano odiati poi gli americani perché erano gli americani dicevano, che i russi non bombardavano perché erano troppo lontano. Invece gli americani erano quelli che bombardavano e venivano odiati perché erano loro che bombardavano.
ZG: Ma ehm, della possibilità che le ferrovie potessero venire bombardate lei lo sapeva già allora. Cioè chi glielo diceva?
AB: Eh me lo, eh si sapeva, cosa vuole, si è, si diventa svegli anche, quand’anche, anche se siamo bambini ma.
ZG: Senta invece volevo farle le ultime domande. Tornando al quartiere Isola. Quando mi diceva che aveva paura di attraversare la via in cui c’erano prima i fascisti e poi i tedeschi.
AB: Eh sì. Via Guercino guardi, e la Via Guercino c’era il comando tedesco e prima nella via, quella via lì che poi è attraversata da Via Guercino, c’era la Carlo Tenca ed era la sede delle Brigate Nere. Facevano, mettevano paura proprio, vedeva, sentiva questo passo cadenzato erano magari tre o quattro insieme [makes a thumping noise], le cose chiodate credo che avessero i, mettevano paura.
ZG: Ma avevano anche un atteggiamento nei suoi confronti oppure giravano delle voci su qualcosa?
AB: No, dicevano che erano cattivi e andavano a prendere i renitenti, renitenti alla leva venivano. Ogni tanto passavano le ronde, vero, ti ricordi? No, tu non te lo ricordi, io mi ricordo che nella nostra casa c’era un ragazzo, un ragazzo che era un poco più vecchio del e proprio lui che era il fidanzato di una sua amica che aveva la sua età, lui aveva forse due o tre anni più di lei e quando è stato chiamato che aveva giusto vent’anni è stato chiamato perché mandavano a chiamare no, con un foglio così e lui. I suoi hanno fatto così ma hanno fatto male perché poi vivevano male. Hanno chiuso una camera, l’hanno chiusa e come se non esistesse. Avevano tre camere e invece hanno fatto come se fossero due camere. E in quello lì c’era il ragazzo però ogni tanto lui si, guardava fuori dalla finestra e la gente della casa, guardando fuori, lo vedeva che veniva fuori. Poi lui era sparito, ‘sto ragazzo era sparito, perché era come noi, erano tre figli, lui in quella famiglia lì, era tre, di tre figli maschi. Invece noi, una figlia femmina e aveva 25, a quel tempo era del ’25, il primo, il Camillo avrà avuto, sarà stato del ’22 o del ’23, poi c’era il Franco che aveva l’età di mio fratello e poi c’era l’Antonio che era quello che mi accompagnava a scuola quando andavo a fare le medie, che aveva, era forse, io sono del ’32, lui forse era del ’31 o del ’30. E mi ricordo che mi, mi accompagnava lì in via e mia mamma mi lasciava andare perché se no cosa faceva. Io non potevo andare a scuola, lei non poteva mica venirmi a accompagnare che doveva lavorare [unclear] non faceva tutte queste e allora andavo. Erano proprio come una scalletta così e quando è sparito, che non si è visto più il Camillo, eh, dov’è andato a finire, poi abbiamo capito perché la sua casa, il suo appartamento era di tre camere e ad un certo momento si è trovato solo due camere. Perché era lì. Loro lì si vede che gli passavano da mangiare e via.
ZG: Ma ehm, lo hanno scoperto le autorità?
AB: No, non l’hanno scoperto.
ZG: Qaunto tempo ha passato così?
AB: Eh, avrà passato due anni. Eh sì. Ha vissuto male.
ZG: E poi è riapparso, finita la guerra.
AB: Poi è riapparso. Poi era fidanzato con, con la
MB: Con la Bruna.
AB: Con la Bruna.
ZG: Ehm
AB: Che poi non ha sposato però.
ZG: Senta invece, l’altra storia di quartiere, mi può parlarmi di quella di Don Eugenio?
AB: E di Don Eugenio era ritenuto una brava, una bravissima persona, infatti dopo, finita la guerra, è stato l’unico che ha messo su sulla. L’oratorio, nell’oratorio dove prendeva solo i ragazzi, i maschi, non era un oratorio misto. Però lui ha fatto, faceva i film al giovedì e alla domenica mi pare, i film che noi, il cinema non si andava al cinema, invece da lui si vedevano dei bei film, magari.
MB: La sera.
AB: Alla sera.
MB: L’Amante indiana.
AB: L’Amante indiana. Una volta abbiamo visto, sì, era bello. I film che magari non erano recentissimi però per noi erano recente perché non vedevamo mai niente. Cinema, dov’è che, c’era il Vox, c’era il Farini come qui nel, il Vox che era in Via Farini. E il Farini che è in Via Farini. E lì erano due cinema che c’erano in tutta la, in tutta l’Isola. Perché gli altri, non c’erano altri e noi si andava lì a. Ah, poi faceva il teatro e le parti da donna le faceva fare dagli uomini, neh. Eh perché non si usava fare, le ragazze, fate lavorare le ragazze. Però erano belle perché poi a un, ah, ecco dell’Alfredo e del Luciano. Nella casa di Don Eugenio poi era stata messa una famiglia di gente che veniva forse da Rovigo così, neh. Comunque insomma era stata messa che i Bussa erano andati a stare con il Don Eugenio a fare la mamma e la sorella, gli facevano da perpetua diciamo ed erano state, stavano lì in canonica con il e in questa casa è stato il Luciano, c’era l’Alfredo che aveva, era un pochettino più vecchio di te e il Luciano che era un pochettino più vecchio di me. Siccome era un ragazzotto che un po’ avventuroso, il Luciano l’ultimo figlio che ehm, non so, si era messo nei pasticci, era stato messo in prigione a San Vittore. Un ragazzo che poco più vecchio di me, avrà avuto, nel ’44 così avrà avuto, io quanti avevo, avevo dodici anni, lui avrà avuto un quindici anni eh. Era stato messo e allora lì. Sua mamma, siccome noi avevamo la legna, facevamo andare la stufa e avevamo la legna perché mio padre portava a casa dei rimasugli di legna e la sua mamma veniva sempre su da noi che così si scaldava e nello stesso tempo chiacchierava lì con la mia mamma. Mia mamma lavorava a macchina e lei, lei chiacchierava. Era grossa [emphasises], era grossissima. Sì, la mamma del, eh dai, dell’Alfredo, no, no, era, sarà stato un centocinquanta chili. E non avevamo né poltrone né sedie per farla sedere allora si sedeva in una cassa dove c’era dentro la legna, però un giorno si è seduta, l’ha sfondata [laughs], ed è caduta dentro la cassa. La cassa era una cassa di legno ma grande eh, grande così. Il coperchio si è rovesciato e lei è caduta dentro. È che da rompersi l’osso del collo, altro che fare il [unclear].
ZG: E questo, e Don Eugenio ha aiutato il, il ragazzo a San Vittore?
AB: Eh, credo di sì. Eh certo che l’avrà aiutato, avrà cercato di portarlo fuori perché era un suo protetto, era uno di quelli.
ZG: E voi avete scoperto che Don Eugenio ha aiutato degli ebrei e dei partigiani dopo, finita la guerra?
AB: No, questo l’abbiamo, questo l’abbiamo scoperto finita la guerra. Che abbiamo saputo che lui ha salvato degli ebrei e dei partigiani. Mentre invece, sono venuti. Questo l’abbiamo saputo dopo. E quello di, della, quando è stato, è stato un po’, è stato poi mica neanche tanti anni fa che l’hanno, hanno messo l’albero dei giusti. Perché sa che gli ebrei hanno una foresta fatta con gli alberi.
MB: [laughs] Perché sai che, sì [laughs]
AB: E perché, non è così? è vero. C’è una foresta fatta solo di alberi con i nomi dei giusti che hanno aiutato gli ebrei.
ZG: Senta, le faccio le ultime due domande. Il Pippo, cosa si ricorda del Pippo?
AB: E del Pippo dicevano che era un italiano andato in America, un americano che era diventato diventato americano e che veniva a bombardare [background noise]
AB: Buongiorno, scusi tanto. Dicevano così e, si diceva che fosse un italiano americano che avesse delle spiate di qualcuno che gli diceva dove buttare la bomba. Ma lo chiamavano il Pippo, non so io. Era noto dappertutto dicevano il Pippo. Stanotte arriva il Pippo perché guardavano la giornata, se era una bella giornata questo si sapeva quando si, quando era in. Noi, io ero sul Lago Maggiore, se era una bella giornata, oggi il Pippo va a Milano. E noi avevamo paura perché a Milano c’erano tutti, tutti quelli sfollati perché ce n’erano di sfollati lì sul Lago Maggiore.
ZG: Ehm, questa storia qua lì del Pippo chi la raccontava?
AB: Eh ma tutti lo dicevano. Parlando sì, tutti. Perchè vede anche mia sorella lo sapeva che, non sapeva niente mia sorella perché mia sorella non. Io invece parlavo con gli altri bambini, gli altri, perché giocavamo eh, nonostante la guerra, noi si giocava per la strada in Via Confalonieri, si correva, si faceva. Poi nella, nella nostra casa, in Via Confalonieri 11, c’era un bel cortile che adesso dopo ultimamente era diventato il box di tutta la gente che, ma un tempo. Che bel colore di pantaloni che ha, e molto, è vero.
ZG: Senta, proprio ultimissime domande. Lei sapeva chi vi bombardava?
AB: Dicevano gli americani.
ZG: Che cosa, che cosa pensava allora di chi bombardava?
AB: Eh male. Perché devono bombardarci, di colpa non ne abbiamo noi, noi gente. I civili che cosa devono fare? I soldati va bene, sono comandati, ma noi che non eravamo neanche comandati, non sparavamo mica a loro. Eh, bombardarci voleva dire farci fare la morte del topo proprio perché non potevamo scappare, potevamo andare via.
ZG: Finita la guerra, ha più ripensato a, ai bombardamenti, a cosa si provava?
AB: No, perché dopo, quando sono venuti gli americani, gli americani hanno portato l’UNRRA, c’era l’UNRRA che davano le stoffe,
MB: I vestiti.
AB: Che davano i vestiti, così e vabbè, ben, ringraziamo, cosa dobbiamo fare.
ZG: Senta, adesso che cosa pensa invece di chi bombardava?
AB: Eh sempre male perché non era mica giusto. Però d’altra parte anche noi che abbiamo tradito i tedeschi, cosa pretendi. E poi se la prendevano con noi, con la gente inerme, mentre invece erano i capi che avevano sbagliato eh. Il re per esempio si è comportato male.
ZG: Senta, ultimissimissima domanda. La casa di sass, la vostra casa. Esiste ancora?
AB: Sì, certo. Adesso c’è la targa proprio per il Don Eugenio. C’è la targa che all’11 di Via Confalonieri, lei vede la targa proprio che qui è stata la casa dove è vissuto Don Eugenio Bussa, uno dei giusti d’Israele mi pare, mi pare che ci sia. Che è bruttissima. Adesso però l’hanno un po’ rimessa a posto perché mi pare che abbiano messo l’ascensore. Figuriamoci che noi la facevamo tutta a piedi, adesso adesso chissà come farei.
ZG: Senta, io vi ringrazio moltissimo e concluderei l’intervista.
AB: Va bene. Che sono intervenuta quando non dovevo.
ZG: Ma no.
SB: Ma no, ci mancherebbe.
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Citation
Zeno Gaiaschi, “Interview with Annunciata Buffadossi,” IBCC Digital Archive, accessed November 14, 2024, https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/collections/document/569.
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