Interview with Marialuigia Buffadossi

Title

Interview with Marialuigia Buffadossi

Description

Marialuigia Buffadossi remembers her wartime life in the Lombardy region. Born in a low-class neighbourhood with poor-quality housing, she first worked as shorthand clerk for a solicitor, and then was employed by a major bank. Remembers her employer’s wife, who had San Marino citizenship and was, therefore, able to obtain un-rationed supplies. Describes her evacuee life in Cernobbio, stressing her handsome salary and enjoyable social life in various resorts on the shores of Lake Como. Remembers how she was troubled by not knowing the fate of her relatives still in Milan. Describes taking shelter inside the bank vault, where she passed the time studying for a teaching qualification. Recalls Pippo and maintains that it was the name of the pilot. Describes the bombing of a church and the subsequent fire. Mentions different attitudes toward bombing: her father, a warden, was fearful and timid; her mother took a resolute and fearless approach, to the point of avoiding the shelter in the basement. Affirms that having been an evacuee greatly increased her resilience, and also strengthen her desire to lead an independent life.

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Date

2017-05-28

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00:52:56 audio recording

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Contributor

Identifier

ABuffadossiM170528
PBuffadossiM1701

Transcription

ZG: È partito.
SB: Ok. Allora, l’intervista è condotta per l’International Bomber Command Centre. L’intervistatore è Sara Buda. L’intervistata è la signora Marialuigia Buffadossi. Nella stanza sono presenti la sorella Annunciata Buffadossi, la signora Nava Spizzichino, amica, e Zeno Gaiaschi dell’Associazione Lapsus. L’intervista ha luogo in [omitted] presso la parrocchia omonima. Oggi è il 28 maggio 2017. Siamo a Milano. Dunque, cominciamo da prima della guerra, giusto per capire un attimo qual’era il suo mondo. Ci racconta un pochino, appunto, come era composta la sua famiglia, che cosa facevano i suoi genitori, e poi appunto ci dice anche quando è nata lei.
MB: Io sono nata il 19 ottobre del ’25. Mio padre lavorava come muratore presso una ditta, una ditta milanese, eravamo poveri e mia madre era casalinga, faceva, cuciva camicette, allora si usava cucire per certe ditte camicette, così e lei guadagnava qualche cosa in questo senso. Io lavoravo, no io lavoravo, io ho fatto le scuole elementari presso la, abitavo, allora abitavo in via Confalonieri 11.
SB: A Milano.
MB: A Milano. Purtroppo era una casa, la chiamavano la casa di sass, perché era una casa storica. L’ambiente era l’ambiente di operai. Poi avevamo nel cortile due persone che passavano per ladri abituali, però io andavo tanto tranquilla, mi trovavo, andavo spesso perché ero, non dico non molto religiosa ma frequentavo l’ambiente religioso. La mia parrocchia era Santa Maria alla Fontana, molto distante da Via Confalonieri perché molto distante. Ma io la mattina mi ricordo che andavo alle sette meno un quarto in parrocchia e non avevo paura assolutamente, andavo tranquilla. Io ho fatto le elementari e poi quando avevo, dopo cinque anni delle elementari bisognava fare l’esame di ammissione e sono stata ammessa alle scuole magistrali inferiori perché il mio desiderio è sempre stato di fare la maestra, ma purtroppo i miei non potevano mantenermi a studi così pesanti perché allora l’ordinamento era quattro inferiori e tre superiori. Hanno potuto fare, farmi fsare il corso magistrali inferiori che io ho finito, dunque ho finito nel 1940, nel 1940, ecco. Poi ho trovato un posto da un avvocato che aveva quasi promesso ai miei che mi avrebbe fatto studiare. Ma insomma anche lui era un avvocato civilista e anche lui non era tanto un avvocato di grido. Questo avvvocato però aveva la moglie che era figlia dei, adesso non ricordo più come si chiamano, era di San Marino la moglie, e quindi lei spesso andava a San Marino e lui faceva le pratiche perché allora di divorzio non se ne parlava neanche, faceva le pratiche perché a San Marino potevano avere il divorzio insomma. Il mio avvocato era bravo perché diceva:’se lei’, io facevo la stenografa, la stenografa un po’ così, ‘se lei non capisce una parola, me lo chieda che io non guardo il suo vocabolario, gliela spiego io’, insomma. E la moglie poi mi voleva un bene immenso, immenso [emphais]. Ecco, questo è tutto. Io quando ero impiegata dall’avvocato ero in Via Podgora che era vicino al tribunale. Loro d’estate andavano via e io rimanevo lì da sola. Avevo una paura santissima perché a quindici anni stare da sola, però insomma stavo ecco, perché avevo la fortuna di aver trovato il posto. Inizlamente non mi aveva messo a posto con le marche, ma poi mi ha messo a posto con le marche, le marche con l’INPS, perché. E siamo arrivati nel ’43. Nel ’43 una mia amica mi ha proposto di entrare in banca perché era all’ufficio del personale e allora nel febbraio del ’43 mi ha fatto fare la domanda e mi hanno preso al Credito Italiano dove io ero all’ufficio del personale quindi in una posizione di privilegio diciamo.
ZG: [unclear]
MB: Nel ’43 siamo stati un po’, qualche tempo, mi hanno assunto, mi ricordo, alla fine del mese di febbraio quindi non hanno neanche aspettato neanche un momento insomma, neanche il primo di marzo, sono stata assunta il 22 di febbraio mi ricordo e poi la banca, siccome c’erano i bombardamenti molto pesanti qui a Milano, la banca ha fatto sfollare il suo personale a Cernobbio vicino nella, in una, si chiama, no filanda, in un, alla Bernasconi insomma che era una, praticamente, uno stabilimento tessile e io sono rimasta lì, non mi ricordo bene, ma insomma sono rimasta lì parecchio. Sono sicura che sono, avevo diciassette anni quando sono entrata in banca ma sono rimasta lì fino almeno un anno, un anno e rotti. E mi ricordo che, quando ho compiuto diciotto anni, andavamo a mangiare in un albergo, prendavamo mi pare 32 Lire di trasferta perciò era una vita meravigliosa, guadagnavo più di mio padre perché insomma prendevo la trasferta. E siamo andati a mangiare e mi ricordo che il mio, il capo ufficio mi ha offerto lo spumante. Quindi noi, effettivamente io stavo bene, stavo bene perché l’unica cosa era il pensiero che i miei fossero a Milano coi bombardamenti. Quando ero dall’avvocato mi ricordo che c’era la, c’era uno, lo chiamavano Pippo, quando io tornavo, bombardava Milano, quando io tornavo alla sera insomma ero spaventata perché Pippo avrebbe agito in modo, io mi ricordo che il Pippo ha agito, non sono certa se era il Pippo ma ha agito un giorno, era il 28 di ottobre, mi pare che sia San Fortunato, ha agito nella mia parrocchia di allora. E mi ricordo che la sera abbiamo sentito il bombardamento, siamo andati a vedere, c’era tutta la porta che fiammeggiava perché era stata colpita. Ecco, poi non mi ricordo bene quando siamo tornati, tornati a Milano. Ad ogni modo è stato un periodo per me che, insomma ero una ragazzina, guadagnavo bene e non è stato un periodo di sofferenza, ecco diciamo. Questo, poi nel ’45, quando c’è stata la liberazione, noi eravamo, sì, io ero ritornata a Milano e mi ricordo quando Mussolini è stato dall’arcivescovo di Milano e, perché praticamente la resa è stata fatta nell’arcivescovado e poi mi ricordo che, quando Mussolini è stato, io non l’ho visto eh, dico la verità perché non sono andata in Piazzale Loreto, invece una mia amica è andata in Piazzale Loreto, ha visto quel, insomma, quello sfacelo, in cui si è verificato la resa del, la resa dei fascisti il giorno della liberazione, insomma, e quando Mussolini è stato attaccato per le gambe eh, in Piazzale Loreto. Ecco, questo è. Io non ho avuto un periodo di sofferenza. Ah, mio padre tra l’altro era capo fabbricato del nostro condominio e la notte quando i primi tempi prima di andare in banca, di notte suonava l’allarme mia mamma non era una che si spaventava e spesso stavamo lì sopra. Noi abitavamo al quarto piano, però quando scendavamo, andavamo in cantina, allora non, era una cantina normale, eh sì insomma, non subivo tante pressioni perché mia mamma non era eh una che ci spaventava. Questi sono i ricordi che ho. Ah poi, quando ero in banca, scendavamo in, nel caveau diciamo e io non ero mai contenta perché avevo il tempo, perché poi mi sono messa a fare privatamente la preparazione alle magistrali superiori, non ero mai contenta perché avevo la possibilità di studiare durante la giornata ecco. Questo, sarà anche una colpa ma insomma io sono riuscita nel 40, poi ho finito nel ’47, nel ’47 mi sono diplomata perché una mia amica che, una mia compagna di scuola delle magistrali, delle magistrali inferiori, era molto intelligente e lei è riuscita a fare l’ordine di studi e mi preparava in matematica dove io ero proprio malandata, matematica e latino. Insomma nel ’47 è vero che ho fatto un periodo dove la guerra era già finita ma insomma sono riuscita a diplomarmi. Questo mi è stato di vantaggio per. Ah, andavo, mi ricordo che andavo da questa migliore amica che mi aveva fatto andare in banca, andavamo alla sera studiare gli ultimi tempi, insomma siamo riusciti aiutandoci a vicenda, siao diventate maestre tutte e due. Però poi abbiamo fatto i concorsi ma naturalmente ai concorsi non abbiamo concluso niente perché io nel concorso ero arrivata a 31 e, insomma, ero, mi mancava uno 0,10 per poter avere la media del sette e quindi non potevo lasciare un posto in banca dove guadagnavo bene per andare a fare la maestra e così sono rimasta in banca 35 anni e, guadagnando bene ma non realizzando i miei sogni perché io sognavo solo di fare la maestra. Quando sono uscita dalla banca, allora mi sono iscritta all’università e ho finito all’università per vent’anni, magnificamente bene. Ecco, questo è la storia della, non ho avuto una vita difficile, devo dire la verità, però insomma, questo è tutto.
SB: Beh allora inizio a parlare io e le faccio delle domande [laughs]. Ecco, allora, io vorrei ripercorrere un attimo insomma dall’inizio, no.
MB: Sì.
SB: Vorrei capire quindi. Quando è scoppiata la guerra, lei aveva quindici anni, giusto?
MB: Sì.
SB: Ehm, e lavorava digià.
MB: Lavoravo digià perché sono, eh sì, nel ’40 mi ha preso l’avvocato.
AB: Sì mah.
MB: Sì, sì.
SB: Lei si ricorda, nel senso, il suo primo ricordo di guerra, appunto, che fosse effettivamente avere visto qualche cosa, oppure aver sentito parlare qualcuno, risale, lei si ricorda se appunto era ancora una studentessa oppure lavorava? Chi gliene ha parlato per primo? Lei come ha scoperto che stava iniziando la guerra?
MB: Eh, si sentiva, lo dicevano per radio. Lo dicevano per radio quando Mussolini ha dichiarato l’entrata in guerra, doveva essere in giugno mi pare. Doveva essere in giugno e si è sentito per radio, per radio s’è sentito. Sì, quello non mi ricordo, non mi ricordo bene ma l’ho sentito per radio.
SB: E dopo di quell’appunto cosa è successo? Qualcuno le ha spiegato, i suoi genitori le hanno spiegato che cosa sarebbe successo?
MB: No, mi ricordo che mio padre, quando avevo sei, sei, sette anni, mi ricordo di questo: ’scrivi bene il nome di Duce, scrivi bene il nome di Duce!’ [emphasises], ecco quello mi ricordo bene. Della guerra non mi ricordo come mi hanno spiegato, non mi ricordo.
SB: Ma qualcuno le ha spiegato qualcosa, come ci si doveva comportare, che cosa sarebbe cambiato?
MB: No.
SB: No.
MB: No, no, non mi ricordo.
AB: Sono cominciate le tessere oltre tutto, le tessere per prendere il mangiare.
MB: Non mi ricordo. Sapevo, insomma, sapevo che cosa sarebbe successo nel senso, ero preoccupata per i bombardamenti appunto, per questo Pippo che, dicevano che avrebbe bombardato Milano e mi ricordo che, quando uscivo la sera dalla, perché l’orario era pesantuccio, quando uscivo dall’avvocato, dalla casa dell’avvocato, insomma avevo paura che durante la notte ci fosse un bombardamento, ecco. Quello. Ma non mi ricordo.
SB: E quindi nel ’40 però lei, insomma quando è iniziata la guerra lei ha continuato a lavorare.
MB: Sì sì sì, ho continuato a lavorare.
SB: E diceva che rimaneva da sola in questo ufficio.
MB: Sì sì, rimanevo da sola, sì sì, rimanevo da sola. Da sola nel periodo estivo perché i datori di lavoro andavano, andavano in vacanza, specialmente in agosto. Lui andava, andava sempre, io ero presente, insomma stavo nello studio ecco, nello studio.
SB: E ha mai pensato appunto alla sua condizione, lì da sola, che cosa avrebbe fatto se fosse successo qualche cosa? Ha mai pensato che potesse avvenire un bombardamento mentre lei era lì?
MB: No, non mi ricordo. Non mi ricordo. Avevo paura a stare lì da sola insomma ma, però non mi ricordo.
SB: E quindi poi, ehm, è andata in banca nel ’43.
MB: Sì.
SB: Prima del ’43 non si ricorda qualcosa di particolare rispetto eh
MB: Prima del ’43 mi ricordo quando hanno bruciato la chiesa e poi...
AB: Le tessere che ti aveva dato la tua...
MB: Ah, la mia, la mia, la moglie del mio ehm avvocato mi dava le tessere annonarie, perché lei andando giù aveva possibilità, andando giù a San Marino e lei non consumava le tessere, per me era manna, le tessere annonarie allora erano considerate sì, mi ricordo che mi dava le tessere annonarie, al suo posto. Non mi ricordo altro. Non mi ricordo altro. Le dico, no, non mi ricordo.
SB: Quindi in quel periodo però viveva ancora con i suoi genitori, in via Confalonieri.
MB: Sì, sì, ma io sono sempre vissuta con i miei genitori. Sì vivevo, io sono sempre vissuta con i miei genitori. E ho anche un fratello e una sorella, che ha sette anni meno di me e mi ricordo che mia sorella era venuta a trovarmi a Cernobbio e mi ricordo che abbiamo fatto il lungolago e io le spiegavo che da Cernobbio, da Cernobbio eravamo preoccupati, eravamo preoccupati,
I: Dell’ora,
MB: Poi
I: Ti ricordi l’ora, quando c’era un’ora differente perché
MB: Ah sì. C’era l’ora
I: In avanti, erano [unclear]
MB: C’era l’ora legale, adesso la storia dell’ora, c’era sempre la differenza di un’ora.
I: Perché la Svizzera aveva un’ora, aveva l’ora legale, noi invece avevamo l’ora solare. E io mi ricordo, e glielo avevo fatto presente a lei, che non, forse non aveva realizzato, e mi aveva fatto fare il tema, ti ricordi?
MB: Ecco, lei aveva fatto un tema su questa storia dell’ora, del cambiamento dell’ora
I: Sul viaggio che e avevo notato la differenza tra, tra noi e loro che erano sulla riva del lago erano nelle vicinanze della, della Svizzera.
MB: Poi Un’altra cosa mi ricordo. Che quando studiavo, che quando studiavo, preparavo alle magistrali superiori, per guadagnare tempo, io, io avevo soldi perché guadagnavo e le davo una lira ogni pagina di appunti che lei mi copiava.
I: Sì.
MB: Sì, ecco, quello me lo ricordo. Perché insomma, io stavo, come soldi stavo bene nel periodo di guerra.
SB: E senta, quindi ehm, poi nel ’43 lei è andata via. No, scusi, nel ’43 è entrata in banca.
MB: No, in banca e poi sono stata sfollata con la banca.
SB: E come, come hanno gestito questa cosa? Come ve l’hanno comunicata?
MB: Ah, ce l’hanno comunicata che saremmo andati, saremmo sfollati con la banca e ci davano le 32 Lire come sulla trasferta. No, noi in quel periodo lì, c’erano le mie colleghe che addirittura a mezzogiorno andavano in barca a fare il pranzo e ce n’era una poi che è diventata la mia capa, che lei andava, no. Per noi in tempo di guerra, sfollati con la banca è stato un periodo che insomma andavamo bene, ecco.
SB: E siccome appunto non, non è certo che tutti sappiano, questa trasferta, ci può spiegare esattamente che cos’era? Come funzionava?
MB: E la trasferte
SB: Voi partivate al mattino?
MB: No, noi
SB: O stavate?
MB: Stavo là.
SB: Quindi avevate un alloggio lì?
MB: Avevamo un alloggio e mi ricordo anche che inizialmente eravamo, eravamo dalle suore a Como, dalle suore di Como e poi ci siamo trasferite, io mi sono trasferita con, sì, con questa mia amica a Cernobbio e siamo andati nella casa di uno chef dell’Hotel, della Villa, dell’Hotel, orpo
I: La Villa d’Este. La Villa d’Este.
MB: della Villa.
I: D’Este.
MB: della Villa D’este. E mi ricordo che avevamo addirittura appese alle pareti le cose egiziane.
I: Gli arazzi.
MB: le cose egiziane, era una cosa, cose egiziane e lì stavamo, andavamo a mangiare nell’Hotel della banca, nella banca, in un albergo segnalatoci dalla banca e a dormire da questi, da questi, da questi che avevano la famiglia e lui era lo chef della Villa D’Este e avevamo tutte le, pareti tappezzate dai, ecco. Quindi io non posso dire che in tempo di guerra sono stata male, stavo, stavo anche bene, però insomma. Poi cosa gliene devo dire. Niente.
SB: Ma quindi senta, questa trasferta che lei chiama così, ehm, fondamentalmente era un sussidio.
MB: Sì era un sussidio che la banca dava perché avevamo lo svantaggio di essere, di essere sfollati. Quindi, siccome il posto in banca era, era un posto bello, diciamo poi era l’ufficio del personale e quindi insomma era un sussidio. Era un sussidio, era la trasferta perché noi non stavamo, mi ricordo che erano 32 euro [sic], era l’America. Per me è stato un periodo non pesante, non pesante, guarda.
SB: E se posso permettermi, siccome appunto per noi tutte queste cose richiamano neanche delle memorie. Noi la lira ancora abbiamo difficoltà. Rispetto a una paga diciamo base, queste 32 lire come pesavano?
MB: Eh, oh, dunque, io prendevo 500, ehm, 500 lire al mese. Anzi quando l’avvocato, quando ho avuto il posto in banca ho detto all’avvocato che mi avrebbero dato 500 lire al mese e lui mi ha detto: ‘gliele do anch’io’ e io ho detto: ‘eh no, però, anche se lei mi da le 500 lire, io preferisco il posto in banca che poi aumenteranno’ e lui invece mi poteva, con sforzo perché son convinta con sforzo dare le 500 lire. Dopo, 500 lire come stipendio e poi 32 lire di trasferta, insomma noi andavamo bene.
SB: E quindi, voi però pagavate un affitto a Cernobbio.
MB: Eh sì, a Cernobbio pagavamo l’affitto e c’è stata una questione perché non ci volevano dare, dare l’appartamento quindi ci siamo trovate in un certo momento che eravamo in difficoltà perché le suore ci avrebbero tenuto ma però a Cernobbio eravamo molto più comode eh perché non avevamo la strada come a Cernobbio. Sì, sì. Insomma. Sa, a diciotto anni avere una libertà così, avere i soldi a disposizione, eh insomma, non era male eh, non era. Son stata una di quelle fortunate perché insomma a diciotto anni. Mi ricordo che ho fatto il compleanno e il mio capo mi ha, mi ha offerto lo champagne, che sarà stato Moscato, così, ma insomma era importante.
SB: E senta, c’erano molti sfollati dove stava lei?
MB: Dove stavo io a...
SB: Si a quando appunto stava dalle suore che poi...
MB: Quando stavo dalle suore, sì, ah tra l’altro dalle suore c’erano, c’era anche le figlie dei funzionari, di qualche funzionario di banca perché erano vicine, più vicine alla famiglia. Sì c’erano, c’era gente sfollata, sì sì. C’era gente sfollata, sì. Sì, c’era gente sfollata ma io ero una di quelle sfollate d’oro perché insomma stavo bene ecco. Non ho avuto problemi, io la guerra nella realtà non l’ho sentita come, non l’ho sentita tanto perché insomma era un periodo d’oro. Abituata a essere figlia, figlia di, mio padre faceva il muratore quindi guadagnava, poi è passato al comune di Milano ma guadagnava poco perché al comune di Milano allora pagava poco. Mi ricordo che, pagava poco, ha preso di più quando è andato in pensione che, quando è andato in pensione prendeva una pensione da non dire, vero?
I: Sì, prendeva di più di quando lavorava.
MG: Eh allora insomma. Eravamo gente povera.
SB: Ma quindi senta lei è stata per un periodo importante lontana dalla famiglia.
MG: Sì.
SB: E questa cosa come, come l’ha vissuta la sua famiglia?
MG: No direi che mi ha fortificato. Mi ha fortificato e il vantaggio ce l’ho adesso. Ce l’ho adesso che sono vecchia che riesco a cavarmela, a cavarmela, malata come sono, riesco a cavarmela e ancora a dirigermi da sola perché sono
I: Indipendente
MG: Ecco. No, a dirigermi da sola. Quindi il vantaggio di quel periodo mi ritorna, mi ritorna adesso ecco perché non so convincermi di dover andare [unclear], per esempio sono allergico alle badanti eh. Diciamo la verità.
SB: Molto indipendente.
MG: Sì, sono, sì, sono
SB: Da sempre.
MG: Ho il senso dell’indipendenza oggi come oggi è sbagliato perché insomma ci si deve convincere che..
SB: Ancora tornando un attimino indietro perché ci sono delle cose che mi hanno interessato molto del suo racconto. Intanto, lei ha detto appunto che lavorava in questo ufficio dell’avvocato e stava lì da sola. Ed era già il ’40. E lei diceva oltrettutto che faceva degli orari che andavano in là la sera.
MG: Eh sì, mi pare che finivamo la sera, finivamo alle sette, mi pare.
SB: Come faceva poi a tornare a casa? C’era il coprifuoco, non c’era il coprifuoco?
MB: No, non, il coprifuoco
I: Dalle nove eh, non alle sei.
MB: Come?
I: Il coprifuoco cominciava alle nove, non, non alle sei.
SB: Quindi non le è mai capitato di trovarsi in giro?
MB: No, non mi è mai capitato di trovarmi in giro in periodo del coprifuoco e già c’era il coprifuoco. No, non avevo problemi, temevo solo il Pippo la sera ma non.
AB: E ma tu sei stata poco con i bombardamenti. Io [emphasises] li ho provati i bombardamenti.
SB: E adesso infatti poi faremo un’altra intervista apposita. E senta di questo Pippo chi gliene aveva parlato?
MB: Ah ma c’era sul giornale, c’era sul giornale Pippo arriva, c’era sul giornale. Tutti lo sapevano che girava il Pippo. Che girava il Pippo e che bombardava. E poi io mi sono, no io, noi ci siamo accorti quando ha colpito la mia chiesa che era la giornata di San Fortunato, che deve essere non so se il 28 di settembre o il 28 di ottobre.
SB: Ci può raccontare di più di questo episodio? Si ricorda qualcosa?
MB: Eh mi ricordo che noi siamo, noi eravamo lontani dalla parrocchia, ma siamo andati in parrocchia e abbiamo visto questo gran spettacolo che sembrava uno spettacolo pirotecnico ma invece era, era stato un bombardamento, che aveva colpito la parrocchia. E poi, no, mi ricordo così, guardi.
SB: Si ricorda dei rumori o dei, degli odori, o di qualcosa appunto che? Nel senso appunto questa chiesa era lontana, no?
MB: Sì.
SB: Però appunto una bomba che cade, però io m’immagino, non so.
MB: Non mi ricordo, non mi ricordo che
SB: Si ricorda se ha sentito la sirena?
MB: Mi ricordo della, della sorpresa. Ecco, mi ricordo quando suonava la sirena, quando suonava la sirena perché erano previsti i bombardamenti. Quello della sirena sì, mi ricordo. E che, quando suonava di sera, ci trovavamo nella condizione di andare, di andare giù in cantina. Eh ma mia mamma non era una paurosa e perdere la notte, certe volte non andavamo neanche. Invece mio padre...
AB: Io [emphasises] non andavo. Tu, tu andavi, scappavi con mio papà e con il Peppino.
MB: Invece mio padre era un pauroso, era il capofabbricato ma era un pauroso, mio padre. Mia madre invece no.
AB: Era il primo che andava
SB: E questo scantinato, in questo scantinato, era predisposto per?
MB: Erano le cantine di adesso, no
AB: No.
MB: No, erano le cantine di adesso, le cantine nostre, erano cantine nostre, c’erano anche le panche mi pare che
AB: Avevano messo delle panche, ma scorrazzavano i topi.
MB: Avevano messo le panche ma erano le cantine nostre, che poi abbiamo utilizzato come cantine, perché si scendeva così, mi ricordo che scendevamo così. Non mi ricordo altro.
SB: E questo momento che eravate nelle cantine durava tanto, durava poco?
MB: Eh no, durava molto
AB: Durava un tre ore, eh sì.
MB: Certe volte anche un due, tre ore, che poi suonava la sirena, che era finito.
AB: Che finiva.
SB: Si ricorda cosa facevate mentre aspettavate che risuonasse la sirena?
MB: Quando ero nella cantina della banca, mi ricordo che facevo letteratura latina [laughs], quello me lo ricordo. Così non perdevo tempo poi. Mentre invece lì non, sì eravamo tutti amici, insomma, eravamo ventenni e, sì, parlavamo, parlavamo, dispiaciute di aver perso una parte della notte. E poi, ognuno aveva da lavorare. Ecco.
SB: E vi intrattenevate? Vi è mai capitato di intrattenervi con delle canzoni o con dei giochi o con?
MB: No, no.
AB: Si chiacchierava e basta e si sonnecchiava.
MB: No, no, chiacchierare e sonnecchiare, e no no, perché eravamo in una zona di gente operaia che insomma, perdere la notte poi spostava, eh, ti spostava di fatica. Sì, sì, non, non eravamo in case, in case raffinate. È che eravamo già fortunati che avevamo, ah, noi avevamo il gabinetto fuori. No no, noi avevamo il gabinetto dentro, ma la nostra è una casa di ringhiera e tutti i nostri vicini erano tre o quattro appartamenti che avevano il gabinetto in comune, no? Non avevano il gabinetto in comune?
AB: Non avevano il gabinetto in comune quelli della ringhiera.
MB: Noi invece eravamo dei privilegiati perché avevamo il gabinetto in casa. Che poi, mio padre faceva il muratore e c’aveva messo la doccia ne, c’aveva messo la doccia.
AB: C’aveva messo la doccia, sì.
MB: Quindi. Sì, io mi ricordo che ci lavavamo nel bagnino, no,
AB: Sì, [laughs], di zinco.
MB: Non avevamo bagno, era un bagnino di zinco e ci lavavamo così.
SB: Un’ultima domanda.
MB: Sì.
SB: Lei ha detto che suo papà era capofabbricato.
MB: Capofabbricato perché allora a ogni, a ogni stabile stabilivano un capofabbricato che voleva dire, quando c’era d’andare in cantina, era un po’ responsabile della casa.
SB: Quindi era un, diciamo un ruolo che era venuto fuori...
MB: Per la storia della guerra. Sì, capofabbricati.
AB: Perché mio padre era del ’92 dell’Ottocento e nel ’40 aveva 48 anni.
MB: L’avevano richiamato.
AB: Doveva essere richiamato e siccome aveva tre figli, insomma, richiamato sarebbe stata proprio la fine della famiglia. Allora gli avevano fatto la proposta, capofabbricato doveva impegnarsi in un certo senso, accompagnare giù la gente anziana, perché noi stavamo, c’erano quattro, cinque piani, cinque piani la nostra casa, accompagnare giù,
MB: Fare a piedi.
AB: Sì, sì, fare le scale, e guardare, ordinare la coda della gente che entrava in cantina. Ma mio padre era più pauroso dei [laughs], dei cosi e scappava con la valigia che avevamo, una valigia con dentro i tesori, cioè l’oro, l’oro insomma per modo di dire, una stoffa, c’era un panno di stoffa, neh, e se si andava giù mi padre scappava via con la sua valigia e ci piantava lì noi.
SB: Questi però sono i suoi ricordi [laughs]
AB: Questi sono i miei ricordi.
SB: Adesso io.
AB: Vede che mia sorella non si ricorda bene.
SB: No certo, no certo. Per questo vogliamo dedicarci anche a lei.
AB: Mi spiace che interrompo ma siccome io ho questi ricordi e i miei sono più verdi dei suoi.
SB: No, no, no, è importante, certo. Solo che adesso vogliamo approfondire ma dobbiamo concludere questa intervista qui e...
AB: Sì, sì, no, no, giusto. Lei ha i ricordi.
SB: Certo.
AB: Ricordi di persone che a Milano non c’è stata tanto. Perché in tempo di guerra lei era via, era sfollata.
SB: E senta, allora io avrei un sacco di domande [laughs], avrei molte domande.
MB: Eh, dica, dica.
SB: Vado [laughs]?
MB: Sì, sì, vada, vada.
SB: Allora intanto volevo chiederle ancora sul Pippo. Chi era? Cos’era?
MB: Era [unclear]
AB: Dicevano che era italiano.
SB: Aspetti, se no, se no ci mischiamo purtroppo [laughs].
MB: Era uno che guidava l’aereo, era un, uno che guidava l’aereo e che bombardava.
SB: Quindi era una persona?
MB: Sì, sì, senz’altro era una persona. Lo chiamavano Pippo.
SB: E senta, e si ricorda di chi, dicevano, di quale nazione facesse parte? Se avesse uno schieramento, se? Perché faceva questa cosa?
MB: No, non mi ricordo, non mi ricordo.
SB: Non c’erano, non c’erano spiegazioni riguardo a questo?
MB: No, non. Mi ricordo, sta notte ze la notte del Pippo ma non mi ricordo.
SB: Ma era una frase che dicevano prima, perché si sapeva già che sarebbe passato a bombardare o?
MB: Sì, sì, dicevano prima. Quando venivo a casa dal lavoro, dall’ufficio dell’avvocato, si diceva: ’vedrai che stasera arriva il Pippo’.
SB: Ah sì?
MB: Eh, Dicevano così. Facevo perdere le notti, ma non mi ricordo se, se lo credevano, lo ritenevano italiano o lo ritenevano inglese, non mi ricordo.
SB: Ho capito. E senta, invece il rifugio del caveau, che diceva?
MB: Ah del caveau. Era il caveau della banca quindi si stava abbastanza bene. Mi ricordo che stavamo seduti. Io avevo questa mia collega che faceva, aveva, era già maestra lei. Così, perché eravamo state assunte, erano state assunte in sostituzione dei richiamati. Io sono stata assunta in sostituzione dei richiamati e poteva darsi che finita la guerra ci mandassero via e questo era il nostro, eh. E invece ci hanno trattenuto, ci hanno trattenuto tutte e nel ’47 la banca ha cominciato ad assumere anche i nuovi o quelli che ritornavano, perché mi pare che i richiamati avevano la possibilità di tenere il posto. Erano richiamati ma quando avrebbero ripreso, avrebbero avuto il posto. E noi eravamo, noi eravamo in sostituzione dei richiamati, per quello che si entrava con una facilità abbastanza. Tra le mie colleghe ce n’erano poche che erano diplomate. Ragioniere no, erano quasi tutte maestre, avevano compiuto i diciotto anni e c’erano tutte ragazze che avevano finito il professionale. Allora c’era professionale, commerciale e magistrale.
SB: E senta, questo caveau, era allestito per ospitare, diciamo, durante i bombardamenti? Si ricorda?
MB: Ma io so, so che c’erano delle panche.
SB: C’erano delle panche.
MB: C’erano delle panche. Non si stava in piedi. Sì, sì, si stava nelle panche. E noi, io le dico personalmente, sarà stato sbagliato ma mi pareva la manna perché avevo la possibilità di preparare, di preparare qualche cosa di, di esame, insomma. Perché io ho cominciato poi nel ‘47 ad andare a lezione dalla mia compagna di scuola, la quale mi ha preparato in matematica e in latino, preparava.
SB: E senta, si ricorda, sempre su questo caveau, qualcuno vi avrà detto, ‘quando suona l’allarme si va di qua’. Si ricorda se qualcuno gliel’ha mai detto?
MB: Non mi ricordo, non mi ricordo.
SB: OK. Ma eravate tante persone o? Cioè questo caveau era, perché m’immagino era un posto solo per tutti gli impiegati.
MB: Ah no, credo che fosse la banca dove adesso tengono i tesori, dove tengono le cassette di sicurezza, credo che fosse così. Io mi ricordo che ero seduta, avevo il posto, ero seduta e la banca appunto ci lasciava andare perché era suo dovere quando suonava l’allarme.
SB: Va bene. Io magari un’ultima domanda riguardo a quando è finita la guerra. Dopo la guerra, ha mai ripensato, le è mai capitato di ripensare, in particolare ai bombardamenti, ehm?
MB: No.
SB: O magari a chi appunto bombardava?
MB: Perché per me è stato un periodo in cui avevo il benessere economico. Non dico che non ero più povera ma insomma avevo uno stipendio, stipendio di bancari anche allora contava eh. E poi insomma nel ’47 io avevo 22, 25, 35, 40, io avevo 30 anni e insomma avevo il mio posto, avevo, guadagnavo. Guadagnavo insomma, ero tra i lavoratori, allora erano i migliori, erano i miglior pagati. Facevamo gli scioperi, ma eravamo i migliori sulla piazza.
SB: Quindi insomma, al bombardamento lei non associa ricordi o sentimenti di qualche tipo.
MB: No, no. Non sono stata. Ah ecco, c’era stato una mia collega che era stata sotto i bombardamenti. Quella ne aveva risentito sotto i bombardamenti militari di Via Disciplini, l’hanno trovata, ecco, quella era stata colpita, sì. C’era gente che aveva subito i bombardamenti ed era rimasta incastrata in cantina. Ecco, quelli ne avevano risentiti ma io no, io non ho risentito, psicologicamente non ho risentito. Ecco.
SB: Va bene, allora, io la ringrazio.
MB: Niente. Adesso deve dire qualcosa lei, no?
SB: No, no, no. Eravamo io e lei. La ringrazio e.
MB. Niente.
SB: A posto.

Citation

Sara Buda, “Interview with Marialuigia Buffadossi,” IBCC Digital Archive, accessed April 19, 2024, https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/collections/document/555.

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