Interview with Irma Ferranti

Title

Interview with Irma Ferranti

Description

Irma Ferranti recalls a day when there were four bombings on Turin. She gives a complete account of the last one: how she ran through the street in search of shelter, before trying to take cover under a bridge. She goes on to remember the sound of shop windows shattering, the roar of the engines, and the ground shaking. She recalls her fear during her rush to the bakery, where her mother worked, and her conviction that her mother must be dead. Irma describes the moment that she found her mother and how she felt at the time. She describes her memory of scent of fresh bread inside the bakery, her guilt for some of the things she had said and the emotional catharsis she felt having cried and was then at peace within herself..

Date

2008-07-15

Language

Type

Format

00:09:14 audio recording

Rights

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Contributor

Identifier

Memoro#180

Transcription

IF: Allora un giorno abbiamo avuto quattro ondate di bombardamenti.
[part missing in the original file]
IF: Allora dopo la seconda ondata mia madre non era tornata a casa. E io in pensiero per lei sono, dalla campagna dove mi ero rifugiata, sono andata in città e incontrato le persone, gli uomini, che venivano giù in bicicletta o correndo a piedi egli chiedevo: ‘Dove hanno bombardato?’. E loro mi dicevano il posto dove avevano bombardato e praticamente da dove c'era il forno si e no 50 metri. Hanno ribaltato non porta San Ficianetto [San Felicianetto]. E io non potevo rimanere senza sapere cosa era successo a mia madre. Perché io ho amato tantissimo mia madre. L’ho amata penso, e poi la vedevo, era piccoletta ma io la vedevo grande. E lei con me parlava come sei io fossi stata un‘adulta: devo tantissimo mia madre. Comunque, arrivai in via Mazzini sentii il rumore cupo, pesante, assordante degli apparecchi che tornavano a bombardare per la quarta volta nello stesso giorno. La prima esplosione la sentii lontana per cui continuare a correre. Nel giro di poco però, le esplosioni si avvicinarono talmente che corsi a ripararmi sotto il ponte di via della Rosa, dove avevo abitato da piccola. Guardai se c'era ancora la stalla del signor Gennaro. Lo spostamento d’aria mi fece traballare. Allora mi sdraiai per terra appiattendomi verso il muro. Le bombe cadevano così vicine da sentire la terra tremare come scossa dal terremoto. Sentivo esplodere le serrande, infrangersi le vetrine dei negozi, scardinarsi le persiane, volare porte e tegole, appiattita con la schiena contro il muro sotto l'arco del ponte, vedevo il passaggio repentino di ante e oggetti vari che una forza ignota faceva volare. Cadevano di schianto rimbalzavano, si frantumavano in mille schegge, il rombo assordante dei motori intanto si allontanava, quella forza devastatrice cessava così come era cominciata, per ripetersi più lontano. E il rumore era più sopportabile. Mai mi ero trovata così vicina all’esplosione: un vero inferno. Quanto sia durato non saprei dirlo, mi è sembrato un’eternità. Restai appiattita finché non sentii il rumore degli apparecchi allontanarsi. Il rombo cambiava, si fa leggero, il silenzio che segue sa di morte, nell'aria si spande una puzza che toglie il respiro. L'aria si fa stessa come nebbia malefica, niente si distingue, si aspetta, si rimane inchiodati e vuoti. Il pensiero corse a mia madre, e un brivido doloroso mi percorse. Io ero salva ma lei dov’era? Era venuta via dal forno? Si era trovata per la strada come me? Dove si era rifugiata? Senz'altro aveva subito due ondate. Dovevo sapere, mi pulì gli occhi rovesciando l’orlo della gonna e correndo mi avvia hai verso corso Cavour. Il trivio era bombardato, polvere nell'aria soffocante, case distrutte, il cuore straziato a quella vista gridava solo: ‘Mamma, mamma, mamma mia. Che ne sarà di me se mi hai lasciato sola?’. Ritornai indietro, imboccai una via parallela perché c'erano delle voragini, e poi un altro vicolo ancora. Era stato colpito il teatro Piermarini, e ne restava ben poco. La disperazione saliva riempiendomi la mente, il cuore martellava, un orrendo pensiero prese forma e una voce interna possente gridava: “È morta! È morta! Questa volta la trovi morta! Per chi? Per cosa? Noi non, noi noi siamo la sua famiglia! Perché? Perché tanta dedizione? (mi arrabbiavo contro i datori di lavoro). Mi tormentavo mentre cambiavo ancora via, un altro vicolo, anche questo portava al corso. Mi trovai quasi di fronte alle logge dov’ero andata a scuola, corso Cavour era ingombro di macerie. Dovevo guardare dove mettevo i piedi per proseguire. Mi fermai davanti ad un cratere circolare tra via Piermarini dove, all'altro capo del quale c'era il forno e la piazzetta dove era l'ufficio postale. Di lì non vedevo la fine della via. Il bordo del cratere era circondato da dischi e strumenti musicali tirati fuori dallo spostamento dell'aria che aveva divelto la serranda di un negozio. Guardavo ammutolita chiedendomi come potessi superare quella voragine e proseguire. Pensate che c'era una bomba inesplosa. Come un automa mi mossi verso il bordo facendo attenzione a non franare. E intanto sentivo il mio cuore e il pensiero fatto voce ossessionante: ’ È morta! È morta! Troverai un cumulo di macerie’. Stranamente il resto della via era sgombro. Mi sembrava di impazzire, mi auguravo di morire in quell’istante, il cuore doleva troppo. Non potevo ancora vedere il fondo della via, a metà infatti la strada si restringe, nell'angolo una fontanella gorgogliava, si diceva fosse una vena naturale. Superato quel punto, vidi mia madre seduta sulla panchetta intenta a sferruzzare, in uno spicchio di sole. M’arrestai di colpo, credesti [sic] fosse una visione. Fu solo un attimo. Come se mi svegliassi da un brutto sogno. Ma sogno non era. Affrettai il passo verso di lei, era così assorta nel suo lavoro che non mi sentii arrivare. Il dolore accumulato prese voce, esplose rabbioso, cattivo. L’investii come un ciclone con la voce stridula da pazza infuriata, le gridai: ‘Non sei morta? Ho sofferto l’immaginabile [sic] pensando di trovarti morta e non lo sei? Quante volte dovrò soffrire questo profondo dolore da sentirmi impazzire? Quante volte per questo maledetto forno?’. Non era la mia voce ad aver pronunciato quelle terribili parole, lei non riconobbe la mia voce. Alzò verso di me lo sguardo facendosi schermo con la mano per il sole che impediva di vedermi. Con calma mi chiese: ‘Ma chi sei?’. Non mi aveva riconosciuta. Ritrovando la mia voce risposi affranta, gonfiata: ‘Sono io, sono Irma oh mamma. Mamma quanto dolore e quanta pena, ero certa di trovarti morta, di trovare un cumulo di macerie. Ho rischiato di morire, quello che ho visto mi ha fatto pensare che fossi morta’. Nella mia voce c'era accoramento e pentimento, quello che avevo gridato fuori di senno. Lei si alzò, posò il lavoro sulla panchetta e mi disse: ‘Mi hai messo paura! Se ti vedessi?! Sei coperta di calcina, di polvere colorata, di te si vedono solo gli occhi, le pupille, sembri una vecchia, o un fantasma. Entra, lavati bene gli occhi, che non ti venga un’infezione.
[part missing in the original file]
IF: Mamma era una donna straordinaria, ci amavamo come eravamo. Mi guidò nel forno. L'odore del pane penetrò in me come un balsamo a lenire le ferite che non si vedevano, profonde e dolorose. lei mi gridò: ‘Lavati anche i capelli, fallo subito! L’acqua per un po' viene calda!’. Mi aveva fatto spogliare per battere e spazzolare il vestito. Mentre mi lavavo singhiozzavo. Le lagrime sgorgavano libere e purificati: desideravo avessero il potere di cancellare quelle orrende parole.

Citation

“Interview with Irma Ferranti,” IBCC Digital Archive, accessed April 24, 2024, https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/collections/document/74.

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