Interview with Enrica Mariani

Title

Interview with Enrica Mariani

Description

Enrica Mariani recollects her wartime experiences in Milan: her brother dying of bronchitis after spending too much time in the shelter and her father working in an armaments factory. The aggressive fascist militiamen and the long hours she spent in the shelter listening to a man playing the guitar and singing songs mocking the regime. She recalls her partisan husband, who was repeatedly jailed for spreading subversive propaganda material. She describes the 1943 bombings when she narrowly escaped an incendiary. She remembers working at a very young age as a seamstress, following her father’s death and her mother leaving her job as a doorman. She stresses the social divide among evacuees: the better off were afraid to lose their wealth while working class people had a fatalistic, resigned attitude toward war. She discusses helping people fleeing to Switzerland by breaching the border fence, as to avoid detention as military internees in Germany and describes draft-dodgers living in hideouts. She recalls how she was able to sense incoming aircraft well before the alarm sounded.

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Date

2017-12-09

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01:03:49 audio recording

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Contributor

Identifier

AMarianiE171209, PMarianiE1701

Transcription

EP: L’intervista è condotta per l’International Bomber Command Centre. L’intervistatrice è Erica Picco. L’intervistata è la signora Enrica Mariani. Nella stanza sono presenti Zeno Gaiaschi, Emilio Mariani e Roberto Sanvito. Ehm, ci troviamo in [omitted] a Milano. Oggi è il 9 dicembre 2017 e sono le 15.30. Va bene, possiamo cominciare. Allora, signora Enrica, ehm, io vorrei cominciare da prima della guerra e vorrei chiederle come era composta la sua famiglia, se aveva fratelli, sorelle, dove vivevate e qual’è il suo ricordo più distante, prima della guerra, che cosa si ricorda, come era la vita?
EM: Sì, difatti, mi ricordo perché mio papà, diciamo, lavorava in una fabbrica dove facevano, come si chiama? Le cose per i militari insomma, ecco. E, e allora, diciamo, allora c’era il Duce e volevano fare la tessera dei fascisti insomma. E invece mio papà non l’ha fatta. Non l’ha fatta e allora loro l’hanno lasciato a casa e allora dato che noi avevamo, mia mamma faceva la portiera in Via Pietro Borsieri 12 e allora c’era il ragioniere della casa che veniva lì e ormai li conosceva e allora c’ha trovato un posto al, dove, al Verziere. Al Verziere perché così almeno lui essendo di notte faceva la ronda, essendo che non era fuori e così almeno nessuno diciamo [unclear]. Viene che una serata insomma mia mamma aveva tre figli allora, cioè io, mio fratello, quello che c’è morto e questo qui che c’è adesso, Emilio, ecco. E diciamo questo qui era appena nato perché era del, è del ’38, dunque perciò. E allora c’ha detto mia mamma: ‘Te porta di sopra i bambini’, perché avevamo le camere da letto di sopra, ‘te porta di sopra i bambini che tanto manca due minuti alle dieci, credo che non dicano niente se io chiudo la porta, il portonÈ, perché allora facevano dalla mattina alle sette al pome, alla sera alle dieci. Viene che c’è una, dei signori lì della, dei fascisti, che fanno la ronda, perché una volta c’era in giro la sua ronda, la ronda di loro insomma. E allora vedono mio papà a chiudere e allora c’hann detto: ‘Ma lei perché chiude? Non, lei è il portiere?’ Lui c’ha detto: ‘No, io sono il marito, però mia moglie c’ha i tre bambini, è andata di sopra’. Insomma, lì c’hanno puntato la rivoltella e l’hanno portato di sopra. Sono andati su perché avevamo le camere da letto al primo piano, che si entrava anche dal primo piano e mia mamma allattava mio fratello, questo qui l’ultimo. E allora ci è venuta la febbre, ci è venuto un po’ di cosa, sa io, va bene, ero piccola ma però insomma, avevo otto, otto anni, nove però ero già svezzata [laughs] perché ecco, e allora e così. Dopo l’hanno portata, portato di sopra allora visto che mia mamma conosceva della gente lì nella porta che erano dei graduati dentro al, a quel, al fascista, al fascismo e allora [unclear] sono andati giù e li hanno richiamato quelli lì. Han richiamato quelli lì e allora insomma è andato un po’ più a posto insomma così ma oramai mia mamma aveva, si era spaventata e ci era andato indietro il latte. Dopo questo qui dovevamo prendere [unclear] poi dopo c’è arrivata la guerra dunque quella la, quella la, la cosa lì come si chiama, le cose lì che hanno mandato fuori insomma i cedolini delle cose così no eh ma bisognava aspettare che mandavano fuori la roba nei negozi. Insomma è che, che ne ho fatte tante di corse ma non ho mai preso niente [laughs]. Dopo la mia mamma così, dopo mio papà nel ’39 l’hann chiamato su a militare, l’hann chiamato a militare ma lui dato che la, il militare l’aveva fatto anche quando aveva diciassette anni in Libia, ma era nella Croce Rossa. Nella Croce Rossa e allora c’è stato un coso insomma che mio papà non aveva dentro più i denti perché con il calcio del fucile hanno buttato fuori tutta la roba e allora insomma. Lì viene che allora dopo è venuto a casa e dopo si è sposato con mia mamma insomma così però nel ’39 l’hann chiamato su lo stesso che già aveva trentanove anni. E allora l’hann chiamato su lo stesso, era nella Croce Rossa che la Croce Rossa allora era al Castello Sforzesco. E poi c’avevano fatto un tesserino che c’era scritto proprio che lui, alla sera, se lo prendevano in giro, doveva andare in servizio, insomma così. Dopo insomma così, e dopo invece mio fratello quel, il secondo, non questo, il secondo, che a furia di andare, portarlo giù in, ehm, in cantina, con il freddo, una cosa, quell’altra, insomma è che c’è venuto una cosa al polmone. E insomma nel ’41 è andato. Nel ’41 è morto, allora mia mamma, sa insomma i dispiaceri perché, ehm, allora mio papà invece dopo si è ammalato lui e l’hanno portato al Niguarda. Al Niguarda perché a Baggio, dove c’era la cosa dei soldati, dei militari, doveva arrivare quelli della Russia, che erano mezzi. E allora lui praticamente era in un, in un posto insomma civile perché allora una volta il Niguarda era civile, non era come Baggio che c’erano tutti i militari. Beh insomma andato così, comunque non ha preso niente e amen. E allora io, quando c’è morto mio papà nel ’42 avevo dieci anni, è morto al 19 di marzo e allora la mia mamma ha dovuto venir via dalla portineria. Ha dovuto venir via e allora la, i miei zii insomma mi fanno: ‘Senti, adesso devi andare a fare qualche cosa’. E difatti sono, è venuta una mia zia in, lì a scuola e c’ha detto: ‘Guardi’, dice, ‘che mia nipote, c’è morto suo papà’. E difatti m’hann fatto il libretto di andare a lavorare e difatti sono andata a lavorare sotto i bombardamenti, sotto la, insomma tutto e allora abbiamo portato via mio fratello, mio nonno è venuto giù [clears throat]. Portato via mio fratello questo qui perché bombardavano sempre e allora io, anche se ero in giro, cercavo di scappare dentro nei negozi e così [laughs], ma lui altrimenti restava a casa da solo. E allora insomma l’abbiamo mandato via. [unclear], oh, faceva di quelle fatiche, che dovevo sempre andare o da sua sorella di mia mamma che abitava dopo Pavia o dalla, da mio nonno che era su a Bizzarone, provincia di Como, ecco, proprio sul confine della Svizzera, era lì. E allora con lui e il bambino e poi anche c’è andato su anche una mia cugina, era insomma e sono stati là e così. Oh, ma ne ho fatte di cose. E poi c’era dei ragazzi, io dico ragazzi perché difatti erano giovani, perché altrimenti li prendevano e li mandavano in Germania. E allora cosa fa? Li portavo fuori la da mio nonno e andavamo sulla linea della Svizzera e rompavamo la, come si chiama, la rete e poi li facevamo passare. Dato che noi oramai sapevamo gli orari che passavano, che c’erano i tedeschi. C’erano i tedeschi e passavano e, però dato che se vedevano noialtri bambini, ragazzi insomma così, non dicevano niente anzi, si fermavano: ‘cosa fate qui?’, insomma quel poco che dicevano. Ma eravamo lì che si tremava [laughs] perché adesso qui se si accorgono che li abbiamo mandati di là dopo. E insomma fatto un po’ di tutto, ecco, e tutto per prendere qualche cosa, per tirare avanti perché la fame è brutta eh. E non e che.
EP: Assolutamente.
EM: Ecco e [unclear] allora sono andati, e poi io dopo sono andata a, in un, una mia zia mi ha detto: ‘Guarda’, dice, ‘che c’è una sartoria, Neglia, che aveva [unclear], c’è ancora qui a Milano, che cerca le, una ragazza insomma così, se vuoi andare?, eh sì, [unclear] perché [unclear] e allora sono andata lì da loro. E lui aveva il fratello che era capitano dei, ah Madonna, come se ciama quel lì, di quelli che andavano in montagna, come si dice? Che scappavano in montagna, orca
EP: I partigiani?
EM: Ecco, sì, eh, non mi veniva. Eh, cosa vuole, l’età, ottantasei sono eh. E, e così difatti, era un capitano di loro. Però lui, io andavo là al mattino prima delle otto, eh, allora picchiavo la claire e lui sapeva che ero io. Allora si alzava, quando era qui a Milano si alzava e poi andava insomma così e allora noi io dopo andavo dentro io e tiravo su la claire e insomma aprivo i negozi. Ma viene che suo fratello mi dice: ‘Guarda, vai a casa mia’, che era arrivato lì, ‘che c’è una cosa da portare qui’. Però non mi aveva mica detto cosa c’era dentro. E allora lui abitava in piazza, lì vicino Piazza del Duomo che adesso la vietta lì me non la ricordo più. E vicino a Piazza del Duomo allora andavo, dunque da Via Plinius [Via Plinio], qui in Corso Buenos Aires, andare là bisognava fare quasi tutto a piedi perché i tram, poi tutte le volte che io dovevo prendere il tram suonava l’allarme, ecco allora a pie [blows her nose] scusi ma.
EP: Ci mancherebbe.
EM: A piedi, e allora vado là e sua moglie m’ha dato sta, in mano una cosa lunga così. Mi fa: ‘Guarda che c’è dentro di fare gli abiti’ ma sì, difatti c’era dentro, era tutto coperta di stoffa. Quando sono arrivata in negozio lui la desfa, la sfatta e poi fa così e lo apre, il coso che c’è dentro, il bastone. Non c’erano mica dentro i soldi [laughs] che se qualcuno sapeva, guardi, quante volte sono andata a finire che se mi beccavano non so dove andavo a finire eh. Perché loro, quella gente lì, non c’interessava se io avevo dieci anni, o se ne avevo quindici, o se ne avevo, perché loro eh, mandavano tutti dove là in Germania. E la, così e allora, beh, le cose sono andate così. Ma viene che, dopo, tornando indietro ancora quando mio papà è morto, c’era mio nonno, no, ci fa mia mamma: ‘Eh cosa vuoi’, dice, ‘tutti abbiamo la casa’, come per dire, ognuno c’ha la sua casa, ognuno c’ha i suoi interessi. E allora c’ho detto: ‘Va benÈ, io ho sentito, anche se avevo undici anni, dieci anni, non mi scappava niente, come non mi scappa niente adesso, e così. E allora sono. Poi viene che finisce così insomma la guerra è finita, quello che è e io ero abbastanza stanca di [unclear] perché ormai la guerra è finita nel ’45 dunque io avevo quasi quindici anni. E allora ho smesso di andare lì da Neglia perché ho detto qui a fare la sarta, a dire la verità, stare lì tutto il giorno non mi andava. E difatti sono andata alla, in una ditta che facevano le cartoline, i cosi per i sposi però insomma sono andata dentro lì e sono stata dentro mica male. Però la mia, insomma ho dovuto farne di tutti i colori, guardi, con mia zia, la sorella di mia mamma è stata operata d’un fibroma che era nel ’44. ’44 e lì mia mamma quando andava a trovarla, diceva il dottore: ‘Eh’, fa, ‘cosa vuolÈ, dice, ‘signora, sua sorella andrà fuori quattro anni (?)’. Mia mamma ha capito, ha preso la suora [laughs] meno male che c’erano lì dei parenti e l’hanno tenuta perché aveva una forza che non era tanto grande ma. E così e poi allora l’ha portata a casa. Allora io non ho potuto più andare a lavorare perché dovevo farci da infermiera, perché mia mamma, lei se vedeva una cosa guai sveniva. Perché lei se poi vedeva un dottore, con su il camice bianco, basta, era fatta. E allora insomma siamo, ho fatto l’infermiera e amen. Dopo sono andata ancora a lavorare dentro nella ditta che ero prima perché sapevano come lavoravo e tutto. E poi dopo quando, dopo mi sono sposata a vent’anni, vent’uno ho avuto mio figlio, ecco, però ne ho fatte.
EP: Una bella vita intensa.
EM: Sì. Ecco. Perché mio marito era un partigiano.
EP: Ah.
EM: Partigiano. E allora cosa faceva? Andava a che, a mettere i, come si chiama le, mettere su i fogli lì.
EP: I manifesti.
EM: Ecco, i manifesti, tutte quelle cose lì e sempre lo prendevano e allora la sottoscritta doveva andare là, pagare per farlo venir fuori. Sono andata avanti un pochino così, dopo mi sono stancata, ho detto, no, adesso vado con mia madre e porto dietro il figlio, come dì, ti te se arrangi, ‘e te t’arrangi’ perché un bel momentino ero stufa di lavorare sempre per dare la cosa agli altri e io ero sempre indietro, ecco. Perché dovevo, andavo a lavorare con le ciabatte e un grembiule nero, sempre, festa, giorno di lavoro io ero così perché per forza dovevo pagare quello che mi. Eh, cosa vuole, andando in giro a fare, diciamo le figure, io no e allora.
EP: Allora, io andrei un po’, ehm
EM: Sì.
EP: A chiederle alcune cose che lei ha tirato fuori finora, che mi sembrano molto interessanti. Ehm, prima tra tutte, un po’ la storia di papà, del suo papà. Come è successo il fatto? Quando è successo che, appunto, è venuto a mancare? Un po’, se può raccontarmi un po’ come è successa questa cosa.
EM: Sì, è successa che lui, dato che dormivano giù nella, nelle caverne lì, dei castelli, e c’era molta umidità e così e poi non mangiava troppo perché eravamo noi altri e se cercavano se aveva qualcosa di lasciarlo in casa. E così ha preso la, aspetta, come si chiama, la polmonite doppia e allora ha continuato così e insomma in, quattro settimane, quattro settimane è andato. Tanto poco che adesso, io compio gli anni al 16, al 19 è morto lui. Tornando al [unclear], al 15 c’è morto un fratello di mia mamma, lì nella porta, che andava, è andato su a trovare con mio fratello, a trovare la bambina che era su anche lei con mio fratello, là da mio nonno e è andato sotto il treno. Nel venire a casa è andato sotto il treno, lì alla Camerlata in, ecco. È andato sotto il treno perché lui, dato che era con la bicicletta e non se la sentiva così tardi di venire a Milano con la bicicletta, e allora è andato giù e c’ha detto al capo: ‘Guardi’, dice, ‘io, m’avete messo su la bicicletta perché domani mattina ce l’ho bisogno per andare a lavorarÈ. E lui, c’ha detto, sì, sì, in quella che dice ‘sì, sì’ fa così, il treno lì della Nord si chiudono i portelli, il basello si chiude. Caspita! E lì è andato sotto. Ecco, vede, ecco così e allora insomma uno per un perché, un altro per un’altro, hann preso tutti le cose lì nei polmoni. Eh, l’unica diciamo sono io e mio fratello.
EP: E a proposito di suo fratello Emilio, lui si è salvato perché è stato portato via.
EM: Sì, perché lo abbiamo portato via.
EP: Può raccontarmi un po’ come era la vita, appunto, di chi era sfollato? Come si organizzava?
EM: Quando era sfollato, allora mia mamma lei non, non andava fuori perché aveva il difetto che era nata senza, la cosa lì nella bocca, senza, come si chiama quello lì, il palato. E allora hanno cercato di mettercelo tante volte ma non sono mai riusciti. E allora dato che non parlava molto bene e allora ero sempre io quella che, che andava in giro perché lei non, se no dovevo esserci assieme perché lei se li domandava qualche cosa, noi oramai eravamo abituati a sentirla e allora capivo quello che voleva ma gli altri no. E allora insomma siamo andati, sono sempre diciamo corsa io, per questo, per quello lì, per quello là e via [laughs]. È stata qui fino a 82 anni. Pensi che quando ci è morto mio papà, si è, le si è staccato un embolo e l’aveva proprio qui, si vedeva, eh, proprio la goccia dell’embolo. Il professore che adesso si chiama Granata e adesso non c’è più perché era già un po’ anziano prima, c’aveva detto che doveva stare qui ancora sei mesi. È stata qui fino all’88 [laughs], guardi lei, dal ’42 all’88.
EP: In barba alla morte.
EM: Ecco, e c’era il suo, lì nella porta c’era un dottore che son venuti grandi assieme. E allora c’ha detto, ‘vedi’, che si chiamava Angela mia mamma, c’ha detto: ‘Vedi Angela, te sei fortunata che c’hai qui una ragazza che fa tutto lei’. E fa, ‘Pensa tÈ, fa, e io così c’ho detto: ‘Fermi dottore, lei mia mamma ci sono io ma dietro di me non c’è più nessuno [laughs] e allora io mi devo arrangiarÈ.
EP: Ehm, e quindi quando c’è stato da portare via suo fratello Emilio se ne è occupata lei di fatto.
EM: Sì, sì, portato su io, sì, sì, con la. E poi andavo su ogni tanto a trovarlo e dovevo fare Milano-Malnate. Malnate andare giù e prendere la tradotta, perché una volta c’erano le tradotte, non c’era la, la tradotta che andava su a Bizzarone, però si fermava prima, un paesino prima, a Uggiate. Da Uggiate a sù, là da mio nonno dovevo farla sempre a piedi [laughs]. Tante volte avevo la valigia con dentro quello che mia mamma ci mandava perché là non c’era niente e allora lei lavorava a Zaini e allora, il cioccolato insomma e il suo principale le diceva perché la conosceva, ci diceva: ‘Guarda, fa così, quando tiri su la roba per fare, per pulire i cosi dici, lascia lì qualche cosa e tiri su’, e difatti portava a casa i pezzi così di [laughs], fatti su dentro nel sacco. Ecco se non aveva quello lì non so se, forse forse se mi veniva anche a noialtri il male ai polmoni.
EP: Ehm, un’altra storia di quelle che ha raccontato, mi sembra un po’ interessante da approfondire. La storia del capitano partigiano, questo capitano partigiano che viveva di fatto clandestinamente.
EM: Sì, sì. Sì.
EP: Come l’ha conosciuto? L’ha conosciuto appunto nell’attività?
EM: Era il fratello di Neglia, sì, il fratello minore.
EP: E lei sapeva un po’ di cosa si occupava, cosa facevano con gli altri partigiani?
EM: No, lui, no, lui, così. Era solo che di notte, perché, guarda, tante volte avevano da discutere no tra loro perché insomma bisognava anche, mettersi d’accordo, perché sulle montagne qui in giro ce ne erano tanti, non è perché, e poi noi altri adesso così che io poi che ero sempre in giro. Guardi che la c’è la, come si chiama? Aspetta, ci sono i scelbini, noi dicevamo i scelbini a quelli dei, della camicia nera, guardi che ci sono i scelbini, di lì, di là, perché essendo in giro li vedevo eh, eh ma lo sa che andavano anche nelle case eh. Così anche noi lì al 12 in Borsieri che abitavamo lì, oh venivano lì a, dicevano sempre: ‘Signora, ma c’è il tale dei tali? Adesso, c’è quello lì, c’è quello là?’ Noi dicevamo sempre: ‘No, non l’abbiamo mica visto, ma poi era militarÈ. Noi facevamo sempre finta di non sapere niente. Invece erano cose che, invece erano lì. Sa che tanti, abbiamo tirato indietro le, i cosi lì come si chiamano, i, [sighs] quello lì dei vestiti.
EP: Gli armadi, le credenze.
EM: Ecco, gli armadi, perché noi là avevamo le cose, ah, come si chiamano? Che andavano d’un altra, cose bugiarde, no? Ecco, si chiamavano le cose bugiarde perché allora così tiravamo indietro l’armadio, li nascondevamo di dietro, eh, però con una cosa che loro stavano alti perché se quelli là guardavano sotto [laughs], li vedevano. Insomma, guardi, siamo andati in tanti di quei rischi che non so come faccio a essere qui ancora. Adesso non perché ma ne ho passate eh! E poi c’avevo detto dopo un, c’era venuto giù mia zia, sorella di mia mamma, di parte di Pavia, e loro erano sfollati là ma allora, mio zio, mia zia così con la, con mia cugina, erano sfollati lì, avevano la casa, fatto bene diciamo ma è bene che ogni tanto venivano giù, no? Per, così. E allora io ci dico: ‘Zia, guarda, adesso te devi andare a casa, stai attenta che se viene su il Pippo’ – perché c’era un aeroplano che – ‘che suonano l’allarme, non andare giù dal treno’. Sai dove ci sono le cose così, quelli lì sono, è ferro. Te vai sotto a quelle cose, alla, ai sedili, ai sedili vai sotto lì perché lì non passa la. Sì, sì, sì, sì, poi invece quando è stata lì dopo Pavia, è suonata l’allarme, ha visto gli altri accorrere, corre anche lei e difatti c’è andato dentro la pallottola di qui, è venuto fuori di là. Ma a me, dico la verità, non è mai capitato niente perché io stavo lì e dicevo, tanto se scappo, quelli là mitragliano. Eh è inutile che io vado a farmi mitragliare, per che cosa? Mi buttavo sotto, allora ero magra, ero [unclear].
EP: E si ricorda un bombardamento particolare?
EM: Ah sì, nel ’43. Nel ’43 noi abbiamo dovuto perché è venuto giù gli spezzoni incendiari, no, lì al Borsieri. Allora ci hanno fatti andare fuori dall’altra parte perché avevamo i picconi, le cose così, perché c’erano le case vicine, ma combinazione la, insomma era [unclear], che come, mhm. Insomma fuori dal 12 siamo andati con i picconi così, e abbiamo fatto neh e siamo andati al 14, ecco, perché altrimenti non si poteva, non si poteva venire fuori di qui. Perché i piccoli, incendiari, andato giù fino al secondo piano. E allora c’era tutto un, il fumo [unclear] perché nella casa c’è il mobilio, c’è e hann bruciato tutto e allora. E quante volte che chiudevo la porta, ‘mamma, vai’ e allora con la bottiglia dell’acqua, perché non si sapeva quanto tempo si stava giù, la bottiglia dell’acqua e il pane che se avevamo avanzato perché non sapevamo quando arrivavamo su [laughs]. Ecco, e allora, insomma così. E quando io stavo chiudendo l’uscio, proprio spezzone incendiario, proprio, mi è venuto proprio quasi a filo, tra me, tra me e l’altra signora che è la mia vicina di casa, ecco proprio lì è andato giù. Meno male, perché se mi viene sulla testa, non ero mica qui a raccontarlo.
EP: E nel quartiere Isola avevate un rifugio o c’erano i rifugi dentro i condomini?
EM: Dentro i condomini, sì, sì, come adesso. Adesso ci sono le. E noialtri, lì al Borsieri, al 12, sono venuti fuori i tedeschi a guardare, prima che succedeva, proprio il casino, ecco, perché il casino proprio è incominciato nel ’42, eh, quasi ’43 insomma, perché allora sì, venivano su, suonava l’allarme, erano già lì che mitragliavano qui alla, alla Bicocca [laughs]. Adesso non è per, e allora, , io tante volte se era di giorno, non mi muovevo neanche di casa, andavo lì sotto a quegli usci lì, cose, ecco.
EP: E negli spazi in cui andavate a rifugiarvi in condominio, c’erano un po’ tutte le persone del palazzo.
EM: Sì, sì, sì. Tutte.
EP: Che cosa succedeva dentro? C’era.
EM: Eh beh, sa, c‘era un signore che aveva la chitarra, no, e allora per farci stare lì, noialtri ragazzi insomma e così, e suonava e poi si cantava, no, tanto per [unclear] che ogni tanto si sentiva [mimics the noise of a low-flying aircfraft] da qui ci si spostava di là perché era la, la [unclear]
EP: L’urto proprio.
EM: Sì, l’urto del, perché lì in Via Pietro Borsieri sono venute giù tante eh perché con la scusa che c’era la, la Brera [Breda], c’era la ferrovia e allora cercavano, cercavano ma hanno preso solo le case, non hanno né loro, quelle lì che facevano le, i motori per gli apparecchi e tutto, quelli lì non l’hanno presa. Ma hanno preso le case.
EP: E si ricorda qualche canzone che cantavate nei rifugi? C’erano delle canzoni particolari o non so?
EM: No, tutte cose che se mi sentivano, mi portavano dentro [laughs]
EP: [laughs]
EM: Perché era, adesso aspetti eh, [pauses] cantava: ‘la donna del DucÈ, in milanese però, ‘la donna del Duce, la fa una piruletta, e sotto c’era scritto, che era una bestia’. [laughs] Se mi sentivano, mi portavano via [laughs]. Ma lui con la chitarra ma dopo, dato che di sopra c’era uno che era nella Unpa, proprio che guardava quelli che quando non c’era gli apparecchi, quello veniva in giro, guardava che se vedeva la luce, noi sulle, la, le finestre avevamo le doppie, ehm, come si chiama? Le doppie cose così, no, nere, per non far vedere la luce e poi il straccio nero di sopra alla cosa, eh! Insomma [laughs] tutto per non far vedere perché se andavamo fuori e poi fare in fretta perché loro, uno dentro in casa che tirava subito la tenda, e insomma. Guardi, ne abbiamo fatte di tutti i colori.
EP: Beh, sicuramente il quartiere dove stava lei era un quartiere particolarmente vivace.
EM: Sì, sì, sì, sì, oh, eccome, eccome anche. Pensare che prima che, quell’anno lì che c’è venuta la guerra, no, ma c’era la ottobre, a ottobre non si sapeva ancora quello che c’era. Sì, sapevamo che c’era la guerra però. E allora era lì, era il giorno della festa della fontana, Santa Maria alla Fontana, ecco, perché noi era la nostra chiesa. E allora l’ultima volta che ho, che così, è venuto in giro, sai, venivano in giro i carrelli con su il, ah come si chiama, che hanno fatto vedere anche un po’ di tempo fa. Sul carrellino c’era una cosa che
EP: Una manovella che [unclear]
EM: Una manovella e dopo suonava dentro il, perché era fatto tutto di chiodi, no, però c’era
EP: La musica.
EM: La musica, insomma ecco, e allora prendevamo sotto il portone eh, si ballava, [laughs] eh, cosa
Volevo fare?
EP: [laughs] È giusto.
EM: E d’altronde non si faceva mica niente di male. Adesso invece non vanno in nessun posto. Vanno lì nelle cose però non sanno nè ballare nè divertirsi, noi invece con la stupidata ci divertivamo [laughs].
EP: Ehm, e mi dica un po’ signora Enrica, lei ha fatto le scuole sempre lì, in Isola?
EM: Sì, sì, sì.
EP: E come era la scuola lì?
EM: Ah, la scuola lì è sempre stata una scuola abbastanza buona insomma, ecco perché anche adesso la Rosa Govone ci sono tutte le, diciamo dalla prima fino alla terza media. Mio figlio l’ha fatta lì anche lui.
EP: E lei ha finito tutte le scuole lì?
EM: No, gioia, io ho finito che avevo dieci anni, basta. Dovevo mangiare e guardare i signorini lì, eh! Poi dopo [unclear] solo mia mamma non si aveva la, diciamo, i soldi o quello che è di andare, come tanti che stavano bene, si sono, sono sfollati di qua, di là e sono arrivati solo quando, eh, troppo bella! Noi invece con la roba, ‘ci sono le uova là’, si va bene allora [makes the noise of steps] via, quando si arrivava lì sulla roba, basta, dieci, dodici e poi dopo non c’era più niente.
EP: Ehm, lei si ricorda quando è stato dato l’annuncio che si entrava in guerra?
EM: Sì, è nel ‘39.
EP: E lei dov’era? Si ricorda un po’ la situazione com’era?
EM: Sì, sì, la situazione era che tutti dicevano che era la fine del mondo. Ci sono stati dei, [clears throat] come si chiama, dei conti qui a Milano che sono andati a finire a niente perché hanno venduto tutto e poi sono stati fregati perché la fine del mondo non è mica venuta [laughs]. Sì, a quelli che sono stati sotto i bombardamenti. Beh, quelli lì per forza, come quando è finita, prima di finire la guerra che qui a Gorla, alla, seicento e rotti bambini sono stati sotto. Mi ricordo eh, perché mi viene su ancora la pelle d’oca adesso [laughs]. Eh sì!
EP: [sighs] Ehm, quando appunto è stato dato l’annuncio, di, che si entrava in guerra,
EM: Ah sì.
EP: Come ne parlavano gli adulti? Appunto, c’era questa cosa che lei diceva un po’ la fine del mondo.
EM: No, ma ognuno.
EP: Ma voi ragazzini, ragazzi, bambini, cosa vi dicevano, cosa vi spiegavano?
EM: No, no, niente.
EP: Niente.
EM: La, le nostre, i nostri genitori, lei non sono come quelli di adesso. Non dicevano niente. Se sappiamo qualche cosa è perché si sentiva. Perché avevamo le orecchie che [laughs], come si dice, ecco. Ma altrimenti loro non dicevano mica niente, dicevano solo: ‘No, te fuori alla sera dopo l’orario non ci vai!’. Ma il mio papà tante volte mi diceva: ‘No, eh!’. ‘Senti’, cioè mia mamma gli diceva, ‘se vuoi prendere le sigarette mandala adesso che sono le sei, non alle otto’. Perché insomma non c’era in giro nessuno, però, e allora dovevo andarci a prendere le sigarette, facevo in fretta [laughs], perché. No, no, i genitori, i nostri genitori non dicevano mica niente. Noi non, adesso io che sono la prima, sono venuta a saperlo dopo, adesso faccio per dire che una persona doveva avere il bambino quello che è, ma non per lei eh! Ah, perché se no mi tirava dietro anche qualche cosa eh, non si poteva parlare come fanno adesso. Adesso ci sono le bambine lì di sei, sette anni, ‘ah, mia mamma è incinta, ah, mia mamma deve averÈ, oh! Adesso non è per, ma non si può a quell’età lì, adesso, eh! Io momenti che mi sono fatto il fidanzato, che avevo diciotto anni, a momenti momenti mi curava ancora [unclear], teste qui in casa, te va lì come, stava lì sul portone, sulla porta di casa, ecco. Chiacchierava con la gente ma ogni tanto veniva dentro a vedere perché non si poteva stare come adesso che vanno in campagna assieme, no? [laughs] C’erano tutte le regole.
EP: Eh, era diverso.
EM: E con le regole siamo andati anche abbastanza bene. Adesso non perché, perché adesso è proprio, eh, troppo adesso.
EP: Vorrei ritornare ancora un momento indietro e chiederle cosa, cosa succedeva al confine con la Svizzera. Lei prima raccontava che aprivate dei varchi nelle reti.
EM: Sì, sì, dei varchi nelle reti. Dopo lì mio nonno abitava proprio vicino alla, dove c’erano dentro i tedeschi, la, la, come si chiama? Che adesso, che adesso per esempio c’è dentro la Finanza insomma ecco, con la perché adesso ormai non c’è più. C’è dentro la Finanza, di sopra ci sono tutti i letti, tutte le insomma, è proprio una casa insomma, come se fosse. E allora dato che io, oramai con mio nonno così, eravamo proprio lì, si può dire a portone a portone, allora quando passavano con i cani, no, noialtri ragazzi, ‘ah, che bello, Tom, Tim’, insomma si chiamavano e allora loro venivano lì con il cane, insomma non c’hann mai fatto niente. Però se vedevano un adulto, allora [mimics a growling watchdog] ringhiavano, perché era, invece noi no. Dopo lì mio nonno era con una sua, era in casa di una sua parente, una sua cugina. E allora diciamo quella cugina lì aveva dei figli, delle figlie, e [unclear], andava, li lavavano, li stiravano le camice, eh sì tanto anche per prendere qualche cosa. Allora quando ci vedevano giù non, noi facevamo anche a posta, io, mio cugino, insomma così, eravamo quasi tutte della stessa età, e allora si, ‘Ohi, questo, Tom, Tim’, loro stavano lì a chiacchierare, intanto, magari avanti venti passi ma dato che lì è tutto un bosco, avanti venti passi c’era magari mio zio con mio nonno che facevano quel mestiere lì, ecco, allora noi facevamo le spie, ecco [laughs], facevamo le spie, se lo sapevano non so la passavamo liscia, eh! [laughs]
EP: Ehm, e lei cosa ne pensava da bambina dei tedeschi? Le facevano paura o [unclear]?
EM: Sì, sì, anche i ragazzi della mia età, eh, ragazzi proprio, che li davano, facevano i piccoli italiani. E difatti io, mio papà è venuto là una volta perché io facevo la, quando facevo la terza, no, mio papà c’era ancora. È venuto lì perché c’avevo una maestra che era una fascistona e insomma, a me mi lasciava sempre indietro perché io non sono mai andata vestita di piccola italiana. Prima di tutto, mio papà non voleva, perché non aveva lui la tessera del [laughs], secondo è che non avevamo i soldi abbastanza perché eravamo in tre, eh insomma, mia mamma quando faceva la portiera prendeva centosessanta lire al mese. Adesso prendono i milioni e non ne hanno abbastanza ancora [laughs]. E dovevano stare lì dalle sette del mattino fino alle dieci di sera. Adesso fanno otto ore sì e no, oh, pare che facciano tutto loro. Mia mamma aveva tre scale là da fare e senza i ballatoi e tutto. Oh, non è, però insomma, ce la siamo cavata. Anche se io, se mi veniva in, ho cercato ma non li trovo, delle fotografie di quando avevo quell’età lì, no, [unclear] avevo i calamai fino a qui eh, altri quella di.
EP: Ehm, in quartiere Isola sempre, tornando a Via Borsieri, ehm, c’erano i tedeschi? C’erano i fascisti? Giravano i fascisti?
EM: Tutti fascisti.
EP: Tutti fascisti. C’era uno che si chiamava, era. C’era quell’altro che si chiamava, che aveva la sorella e quello lì non mi ricordo più come si chiamava. Li hanno uccisi tutti quando è finita la guerra, lì sulla, la cosa della, lì c’è in Via Sebenico, c’è la chiesa, ecco, e prima c’è un lavatorio. Lì sono pochi anni che hanno messo tutto a posto, perché prima c’erano dentro tutte le mitragliate di quelli che hanno ucciso. E sempre all’orario che venivo a casa io dal lavoro. Io già stare in fondo, perché allora venivo giù, col tram. Il tram faceva solo, qui in Via Plinius, la Via Plinius così, qui prendevo il tram, veniva giù in Via, qual’è che Via l’è quella via, Via, Via, Via, eh, non mi ricordo, che viene la stazione, basta, dopo non venivano di qui. Basta, girava tutto di là e andava a metà strada, a metà Viale Zara, dunque io ero tutto fuori, eh, ho detto: ‘Piuttosto di fare di là, faccio di qua e arrivo subito in casa’. Allora sempre a piedi, sempre, se avrei qui cinque centesimi, cinque centesimi, di tutta la strada che ho fatto, sarei millionaria.
EP: [laughs] E il 25 aprile se lo ricorda?
EM: Eh, sì, perché venivo a casa dal lavoro e sono arrivata lì alla stazione centrale perché il fratello di Neglia aveva avvisato, ‘Manda a casa tutti, perché interveniamo’, insomma così. E allora, ma quella che abitava più distante ero io perché da Via Plinius venire qui in Borsiere è un bel pezzo. Insomma, sono venuta via di là alle dieci. Sa a che ora sono arrivata a casa? Che è tutta strada diritta? Ma non ho potuto fare la strada diritta perché quando sono stata lì in Via, arca miseria, insomma lì in Duca d’Aosta, no, che la [unclear], qui c’è, ehm, petta come si chiamava quello lì, l’albergo che c’è lì così, proprio di fronte, di fianco alla stazione centrale, lì c’è un albergone grande. Questi sparavano su, quelli là sparavano giù, eh, e non ho potuto passare perché mi è venuto incontro un ragazzo che abitava lì verso Borsieri in Casteglia e mi fa: ’Signorina, dove sta andando lei?’. E vu dì: ‘Io dovrei passare e andare a casa, abito in Borsieri’. ‘Orca miseria’, fa, ‘allora’, fa, ‘tagliamo dentro di là’. E siamo andati fuori, dove c’è la, come si chiama quella là, quella zona lì. Arca miseria, quasi Porta Nuova, abbiamo girato dall’altra parte, insomma, e siamo andati lì. Arriviamo lì a Porta Nuova, non si può passare, perché lì c’erano le scuole, ci sono, sono ancora le scuole, e c’erano i, le camice nere, che prendevano tutti i ragazzi, così, e li portavano dentro perché insomma si vede insomma che avevano paura, non so di che cosa comunque. Allora lì c’era, dove c’è la finanza adesso, in quella via lì, ecco. Allora lì di dietro c’era giù la casa e allora cosa abbiamo fatto? Cammina cammina, e ci siamo arrampicati su sulla casa e siamo andati giù in Corso Como. Arriviamo lì in Corso Como, allora c’era il passaggio che la ferrovia, no, il coso lì e un po’ il ponte che andava giù in Corso Como. Arriviamo lì, eh, e chi, dalla Borsieri, dal fondo della Borsieri, sparavano dentro e questi qui sparavano fuori perché c’era lì la, quelli lì della, perché lì prima, una volta, lì di dietro insomma, c’era la Finanza perché arrivava roba di così, era tutto lì insomma, era smistamento ecco. E allora ma c’erano lì i tedeschi e allora, quello là sparavano fuori, questi qui sparavano dentro. E allora stavamo lì, no, a pensarci su, adesso qui, se facciamo tutto il giro da Carlo Farini e così, ma dopo là in Postrengo [Pastrengo], come si fa a passare? E allora in quella è arrivato due signori, no, un po’ abbastanza, e allora c’hann detto: ‘Ohè, anche noi abitiamo di là del pontÈ. Sì, va bene, allora tutti in quattro, prima uno e poi quando non si sentiva più a sparare, passava quell’altro perché c’erano le cose fatte dei muretti così, così, così insomma per le bombe, per la, perché se mitragliavano lei li correva in giro a quei muretti lì e insomma si cercava di. E difatti sono arrivata a casa alle otto di sera. [laughs]
EP: [laughs] Una lunga giornata.
EM: Una lunga giornata. Sono venuta via di là alle dieci del mattino. Mia mamma che non, era lì che continuava ad andare avanti indietro, non sapeva più cosa, cosa averne in tasca, ti te se, te non sai più cosa ce n’hai in tasca ma io che sono stata lì.
EP: Prima di andare verso la nostra conclusione, volevo chiederle, come mai chiamavate le camicie nere scelbini?
EM: Eh perché, ehm, come si chiama, portavano come un fazzoletto, come una cosa, che, e poi avevano su il coso del fascio, che la roba proprio, perché la, loro la. Allora disevano, uhè, ghe scelbini, perché se ghe disevo, miscimis, [laughs] capiven. Invece a dire scelbini [laughs], noi sapevamo che erano loro.
EP: E adesso le faccio due ultime domande che riguardano proprio chi bombardava. All’epoca, lei che era una ragazza, insomma una ragazzina, insomma
EM: Sì, una ragazzina, ma [unclear]
EP: Sì, che cosa pensava di chi bombardava, di chi buttava giù le bombe?
EM: Eh, si pensava appunto di dover dire: ‘Ma caspita’, vu dì, se vengon, ma si diceva, se vengono dall’America e così, e passavano sopra la Svizzera, eh, per venire qui. Perché io, quando dormivo al letto, con mia mamma, ecco, io, prima che loro suonavano l’allarme, io ero già su eh, li sentivo, io. Se c’è una cosa, io, avere la testa sul cuscino, io la sento. Ancora adesso, eh. Vede, tante volte mio fratello mi dice: ‘Ma come fai a sentire?’ Eh, la sento! Arriva la, tante volte sento che svegliano. Arriva la croce rossa, ma come fai a sapere? Eppur, mi alzo, dopo si sente. È una cosa che subito sento.
EP: E a distanza di tanti anni, che cosa pensa adesso?
EM: Eh, penso che, che era meglio che non facevano niente perché di cose, e poi ancora adesso, quando apro la televisione che sento certe cose, guardi, adesso non perché ma adesso non fanno più quelli che facevano prima, però sono lì eh! Sono lì! Perché prima, quando in tempo di guerra, i giovani se li prendevano che avevano venti, ventuno anni, no, così e la mandavano a Villa, spetta come si chiamava, a Villa d’Este, sa dov’è la Villa d’Este qui a Milano? Vicino al, mamma mia, che memoria che [unclear], ce l’ho ma non sono più capace di, a Musocco, ecco. Musocco, sulla destra, eh, andando così a metà strada di Musocco c’era una, una caserma, una casa, lì, quello che è, e allora una volta di lì passava un fossetto, un fosso insomma, e lì dicevano la Villa d’Este perché ogni tanto trovavano qualcuno e lo buttavano fuori dalla finestra, dentro nell’acqua perché, tutto perché? Perché volevano, ma non tutti sapevamo che, perché sai sentivano per televisione, per radio, no? La radio bisognava sentirla ma nascosti, lì tutti con le orecchie così perché se mi vedevano, mi sentivano, guai! Venivano in casa, distruggevano tutto, eh. Altroché, bisognava stare attenti come si faceva. Se una persona guardava due volte, mettiamo, uno di loro, il fucile veniva giù dalla spalla e facevano quello che dovevano fare. Altroché.
EP: Va bene. Io la ringrazio moltissimo signora Enrica perché possiamo interrompere adesso.
EM: Sì, sì.

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Erica Picco, “Interview with Enrica Mariani,” IBCC Digital Archive, accessed April 25, 2024, https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/collections/document/1345.

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