Interview with Silvano Scarnicchia

Title

Interview with Silvano Scarnicchia

Description

Silvano Scarnicchia (b. 1925) recalls his first assignment as a soldier, when he was posted to an anti-aircraft battery defending a bridge in Piacenza. He also recalls a lunch with high-ranking German officers, especially the wartime dessert made of a potato topped with sugar and cinnamon, and singing “Rosamunda” (a popular song) together. Silvano describes his journey to Brescia on a lorry fitted with a wood gas generator. He also mentions how his commanders sent him on several operations because they knew he would not desert.

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00:05:56 audio recording

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Contributor

Identifier

Memoro#11862

Transcription

SS: Ha capito e così mi diedero i gradi da sottotenente e lì stavo nella Corecom [?] in attesa di destinazione capito? Ecco, e niente, son stato lì un mese poi dopo mi trasferirono a Brescia sempre in attesa di nomina, finché poi mi diedero la prima destinazione. La prima destinazione mi mandarono a Piacenza, a Piacenza a una batteria antiaerea che difendeva il ponte sul, no sul Po, sul Brenta se non me sbaglio, sul Brenta, il fiume Brenta, eh sì. Perché il ponte l’avevano distrutto, però i tedeschi l’avevano fatto un ponte sommerso di calcestruzzo che stava sotto l’acqua tanto così, ha capito? E c’era lo sfogo per l’acqua, e loro passavano pure di giorno però arrivavano sempre i bombardieri che bombardavano e ci portarono, e niente, c’erano italiani che stavano in queste batterie e io avevo per, diciamo, per, no per controllo, per punto di riferimento un sottotenente che parlava benissimo tedesco, che faceva, un tenente anzi che faceva da ufficiale di collegamento tra comandi tedeschi e quelli italiani. E un giorno mi ricordo ci portarono a pranzo dove stavano tutti questi ufficiali, che voi fa’ quando siamo entrati noi, wroom saluto fascista, tutti, e tutti schierati lì, tutti coi gonnelli, tutti bardati co’ tutti quelli co’ la croce de guerra, tutti colonnelli, generali, e noi se sentivamo in imbarazzo e poi non parlavano la lingua. Insomma, poi servirono da mangiare e quello che mi è restato impresso: il dolce, il dolce, lo chiamavano ‘il dolce di guerra’. Allora passava un cameriere, passava davanti e ci metteva nel piatto una patata, grossa così, sbucciata, una patata, poi ci metteva lì sopra vicino un’altra cosa, ci metteva zucchero e cannella, [laughs] mettevi sopra là quello era il dolce de guerra, zucchero e cannella. Io me recordo che poi, tutti quanti loro se misero a cantare i tedeschi, se presero per braccio e cantavano “Rosamunda”, non so se la conoscete ‘Rosamunda, tu sei…’ [sings] allora andava molto di voga, e tutti questi qua eh, che faceveno. E insomma alla fine questo ufficiale regolarmente [?] si riuscì a farsi, insomma a congedarsi, andammo via, andai via e andai a trovare i soldati in batteria, ecco il motivo per cui mi avevano mandato, i sodati italiani che erano in queste batterie tedesche. Noi dovevamo provvedere a loro, allora me dissero: ‘Tenente, devi vedere quali sono le loro necessità, di che cosa hanno bisogno’. Allora io presi tutti i nomi de tutti quanti loro, eh? Ognuno la taglia, il piede quanto era, eh? Mi diedero un camion per andare a Brescia al comando generale, un camion me ricordo che era a gasogeno, non so se sapete che è il gasogeno: è un grande serbatoio dove c’è messo il carburo, il carburo, il carburo fa del, con l’acqua reagisce fa del, come insomma na’ polvere, un, che va a finire nel motore e il motore funzionava con quello là, in più se fermava per strada, oooh na’ tragedia fu per arrivare a Brescia. Però arrivai a Brescia e mi diedero tutto quello che mi serviva, un sacco de’ robba, e ritornai, portai in batteria tutti contenti, così, ecco, e lì [pause] e lì ebbi la prima volta il battesimo del fuoco e diverse volte arrivarono gli attacchi pure di giorno e allora lì tutto bisognava mettese in un posto riparato, io ancora non stavo nelle batterie come ero, come andai poi dopo. E niente lì so stato un po’ di tempo poi mi chiamarono a Brescia, n’altra volta, poi dopo ho capito perché mi hanno mandato a chiamare per tante missioni, sa perché? Perché ci sono stati tanti ufficiali come me disertori. Me mandaveno, siccome la situazione era critica, come ripeto, mancava solo l’inverno e poi sarebbe finita, la guerra ormai era persa, allora. Io invece ogni volta facevo la mia missione e ritornavo al comando generale, mi mandavano in un altro, allora hanno capito che ero uno di fede che non sarebbe, non si sarebbe dato disertore, m’hanno sempre mandato a chiamare, sempre.

Citation

“Interview with Silvano Scarnicchia,” IBCC Digital Archive, accessed March 28, 2024, https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/collections/document/86.

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