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Title
A name given to the resource
Del Corto, Delia
Description
An account of the resource
This collection consists of one oral history interview with Delia Del Corto who recollects her wartime experiences in Tuscany.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
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IBCC Digital Archive
Date
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2017-09-26
Rights
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This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
DelCorto, D
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
FC: Allora, questa intervista è condotta per l’International Bomber Command Centre. L’intervistato è Delia Del Corto. L’intervistatrice è Francesca Campani. Siamo a Viareggio, è il 26 Settembre 2017. Assiste all’intervista Elena Lencioni. Ok, grazie, grazie per quest’intervista, possiamo cominciare, no. Allora, come le stavo accennando prima, mi piacerebbe partire da tipo, quando è nata, dove è nata, cosa faceva la sua famiglia, prima della guerra, prima di iniziare a parlare della guerra. Se aveva fratelli, sorelle, tutto quanto.
DDC: Allora, io sono nata l’1.11.32.
FC: OK.
DDC: Allora, la famiglia era una famiglia grande perchè eravamo sei figli, il papà e la mamma, il nonno e la nonna, dieci persone. Avevamo la nostra casa, grazie a Dio, avevamo il nostro terreno, avevamo insomma, ecco. Il papà e il nonno erano falegnami, avevano una falegnameria. Poi c’avevo un fratello che faceva il verniciatore, poi ce n’avevo un altro [laughs], un altro invece che, come si può dire, era con lo zio Aldo quando era a lavorare ne, io non lo so come ci si chiamava insomma
EL: Ma, era un operaio.
DDC: Ma lavorava in, no, in un, come un ristorante o roba del genere. Ora non me lo ricordo bene,
EL: Sì, ah ok.
DDC: Non me lo ricordo bene però tra un altro e l’altro voglio dire, poi c’era lo zio Luigi che invece lui faceva il, era, avevano tutti qualcosa, lo zio Aldo faceva, ehm, come si dice
EL: Lavorava in un albergo.
DDC: Lavorava in un albergo però poteva fare anche l’imbianchino, poteva fare tante cose, fra l’altro, sono tante, infatti voglio dire, se mi concedeva di farmi un, così una panoramica e poi mi diceva magari ora facciamo sì ma insomma potevo. Dimmi qualcosa.
FC: Va benissimo così, va benissimo, noi, qualsiasi cosa si ricorda va bene. Non c’è problema.
EL: Ma dove, dove stavate voi?
FC: Esatto.
DDC: Si stava a Montemagno,
FC: OK.
DDC: Comune di Camaiore, il paesino Montemagno, lo sa no dov’è? Si abitava un pochino sopra così sopra il paese ma di poco, in cinque minuti s’arrivava e avevamo del terreno giù in paese, e avevamo tanto del terreno, c’era uliveto, c’era bosco, c’erano le vigne, c’era un popò di tutto ecco. Adesso ora io non so che posso di raccontarvi ecco. E in
FC: Sì, no, no, vada avanti pure.
DDC: Vuole sapere in tempo di guerra quello che
FC: Sì, sì. Va bene. Quello che si ricorda.
DDC: Eh, ma io non so quello che era tempo
FC: Lei si ricorda quando è iniziata la guerra?
DDC: Ero ragazzina, ora non so dire proprio il giorno preciso ma insomma che era scoppiata questa guerra e tutto quanto, anche nel paese voglio dire se ne parlava, poi ci fu da uscire di lì, andare, si portarono, c’avevamo le pecore, allora avevamo tutto il bestiame, c’erano le mucche perché nel paese così c’era, avevamo un pochino di tutto ecco, i nostri. E si portarono le pecore sopra Gombitelli, a, spetta come si chiama, al Ferrandino. Al Ferrandino, era proprio al tempo della guerra quella lì eh. Io ero ragazzina e lassù c’era andata la mia sorella più grande, insieme c’aveva portato il mi papà perché? Perché gli uomini, guai, erano sempre cercati lì, cosa [unclear], i tedeschi e allora andavano a dormire nel bosco lì per lì, per non farsi trovare e tutto quanto. Poi era una vita troppo difficoltosa. Ci si fece a attraversare la strada maestra perché lassù da dove si abita noi per andare a Gombitelli c’è da, c’è da scendere dalla casa dove abitiamo, c’è da scendere in paese e giù c’è la strada che fa Camaiore, che fa Valpromaro, che va a Lucca che va, ecco c’è la strada. Abbiamo attraversato la strada lì, siamo saliti su per il bosco, siamo andati, quando, no a Gombitelli, più su del Gombitelli, al Ferrandino, c’abbiamo portato le pecore perché? Perché in quel momento lì i tedeschi prendevino le mucche, prendevino le pecore, facevino d’ogni ben di dio, quel che gli veniva in mente. Allora per evitare, noi le nostre bestine, le nostre cose, insomma, abbiamo, le abbiamo portate lassù. Lassù ce le hann date alla zia Liliana, c’aveva portato il nonno Alberto, e io non ricordo più dello zio Virgilio perché se era andato lassù anche lui, se c’era andato non lo ricordo a dir la verità, a dir la verità. E io avevo diec’anni, avevo diec’anni e la nonna Ancilla era in stato interessante della zia Raffaella. Allora si partiva una volta per settimana, si faceva il pane in casa, casalingo perché lassù al nostro paese c’abbiamo il forno, c’abbiamo tutto, si faceva il pane. E poi, dopo con quelle borse grandi, lunghe così si portava tutto, il pane alla sua, alla zia Liliana insomma, si portava lassù sopra Gombitelli. E io cercavo di aiutarli come meglio potevo ma ero una ragazzina, voglio dire, un po’ più mingherlina, insomma vabbè facevo del mio meglio. E ora che
EL: C’erano anche partigiani.
DDC: E c’erano anche partigiani, sì. E una volta, allora, la posso raccontare, quel discorso del partigiano che ci fu un incontro tra cosi e il partigiano fu ferito?
EL: Certo.
FC: Certo.
DDC: Eh, non so quel che vuole sapere [unclear].
FC: Queste cose qua.
DDC: Ecco. Allora in quel momento lì c’erino partigiani e c’erano i tedeschi, ora non ricordo la precisione dove erano questi tedeschi. Ci fu un incontro e s’incominciarono a tirare col cannone le cose con le mitragliatrici insomma e ci fu anche, ferirono un partigiano. Ferirono un partigiano, era lassù sopra Gombitelli al Ferrandino anche lui, questo ragazzo. Allora non si sapeva come, non si sapeva, io ero ragazzina ma lo ricordo il discorso lì. E mi si diede, noi un lenzuolo fatto sul telaio, di quella tela grossa, la inchiodarono su du cosi, du
EL: Due assi. Assi.
DDC: Du assi inchiodarono questo coso, ci misero dentro questo coso ferito, questo ragazzo ferito e poi quattro donne di lassù, perché le stanghe del coso d’avertici nel mezzo l’ammalato erano due. Allora una donna di qui una donna di là, una di qui, una di là, quattro ragazze di lassù dal Ferrandino hanno portato questo povero ragazzo all’ospedale a Camaiore. Per la strada, siccome c’era dei posti di blocco, no? Allora questi tedeschi fermavano, ‘te, dove andare?’, facevano questo discorso qui, no. Allora questi ragazzi mi dicevino che non lo potevano scoprire perché questo ragazzo che era lì sulla portantina aveva un male che s’attaccava, sì, un male, come si chiama?
EL: La peste.
DDC: Come?
EL: La peste.
DDC: No, ma non era.
FC: Contagioso.
DDC: Contagioso, era un male contagioso. Digli così, loro avevino paura. E insomma, fu così che queste ragazze ce la fecero a portare questo ferito all’ospedale a Camaiore. Ora però io di lì non so più nulla nel senso perché ero ragazzina, voglio dire, anche se se ne è parlato non lo ricordo. Insomma ce la fecero queste ragazze a portare questo giovanotto all’ospedale. E non c’era portantine, non c’era nulla, allora la mia sorella più grande gli diede un lenzuolo fatto da noi sul telaio che è bello robusto, lo inchiodarono su due aste lì di coso, ci misero questo ferito e quattro ragazze prese di lassù portarono questo. E per la strada c’erano i posti di blocco e mi dicevano: ‘te, dove andare?’, visto come fanno, facevano così i tedeschi e questo era coperto e mi dicevino: ‘io lo scopro però’ che aveva, non so che malattia dicevino che si raccattava, una malattia.
FC: Il tifo.
DDC: Tipo il tifo, un affare del genere. Loro avevino una paura, no, no, allora, come dì, andate via. Fatto sta che ce la fecero a portarlo all’ospedale a Camaiore. Ora lì cosa successe poi io non lo so perché poi, voglio dire, non si potevino sapè tutte le cose, a quell’ora lì insomma.
FC: Quindi in questo paesino c’era tanta gente che era scappata su sui monti al
DDC: Al Ferrandino?
FC: Eh.
DDC: Ora, lì dove eravamo, noi avevamo trovato, ma più che una, insomma era una casetta, na stanzina, du stanzine piccoline che accanto c’avevino perfino il bestiame. S’era trovato questo piccolo coso così, come si dice, quando si va, si cerca na casina di sfollati, quel che si può trovà, si può trovà, così.
EL: Gli altri dormivano nel bosco, no?
DDC: Eh?
EL: Altri dormivano nel bosco.
DDC: Altri dormivano nel bosco ma nel bosco io lassù, quando siamo andati lassù, non, quello non lo sapevo perché più in là c’erano partigiani insomma era, era una cosa così lassù. Allora, nel bosco io lo so bene che ci dormivano quando si abitava qui a casa nostra. A casa nostra anche il nonno Alberto ha dormito nel bosco come lo zio Virgilio e io gli andavo a portare da mangiare. Allora, ti ha sentì, gli facevo, perché lassù la casa dove abbiamo la casa noi, per andare nel bosco praticamente s’attraversa tutta la strada ma così boschiva, eh. Allora io che facevo? Avevo dieci anni no, m’ero, la mamma m’aveva fatto, la mamma era sarta, m’ero fatta fare una gonna tutta increspata, sotto la gonna io c’avevo messo i sacchettini, non so se l’ha presente il sacchetto che ci s’andava a coglier olive?
FC: No, non ce l’ho presente.
DDC: Di stoffa, eh, tipo un grembiule ma però c’ha una bocca così, fatta così, fatto così il grembiule, il sacchetto, no? Ecco. Allora sotto la gonna il sacchetto, il sacchetto col da mangiare per il papà e per il fratello, ecco. E poi sopra un altro affare che facevo visto che andà nel bosco a raccoglier pini, un cesto al braccio, insomma così e cosà. E quaggiù c’avevo la roba da portare a mi papà e mi fratello eh e allora incontravo tedeschi, ‘te dove andare?’ e io gli dicevo che era, insomma facevo capire così che raccoglievo pini perché c’avevo la cesta al braccio con pini dentro, insomma tutto quanto. Però ero una ragazzina piccina, non pensavino di, e invece andavo a portà, se m’avessero scoperto [laughs].
FC: Eh, meno male. Ma quindi il suo papà e i fratelli erano nascosti lì perché avevano paura che
DDC: Eh sì, c’erano rastrellamenti perché, faccia conto che ogni volta per settimana e anche due facevano rastrellamenti. Quelli che erino giù in paese, i tedeschi, allora venivano su e venivino a fare rastrellamenti anche dove, noi si stava sopra il paese, popoino sopra il paese così, e noi ragazzi s’andava in cima così, ora io non so come spiegarglielo perché da lassù dalla casa dove abitiamo noi si vede giù il paese, s’affacciamo così si vede il paese, e c’erano queste macchine di tedeschi, queste cose vicine alla chiesa così e noi se n’accorgieva, ci s’accorgieva quando loro partivano per fare questi rastrellamenti. Allora, che si faceva? Te va a chiamar tu papà, te va a chiamà, a bussà a la porta, andate via perché vengino i tedeschi a fare rastrellamenti. Allora si finivinu di vestì per
FC: Per strada [laughs].
DDC: Per la strada e una volta lì accanto a me e perfino un nostro parente Elia, quando, ecco, non ce la fece a scappare questo giovanotto, non ce la fece a scappare, niente i tedeschi in casa. Allora c’aveva na sorella, che aveva na bimbetta piccolina, che era nata da poco e insomma e questa sorella stava lì con loro perché il marito era militare. E lei era in camera con questa figliola, allora, si pigiavano [makes a knocking noise] ecco i tedeschi, ecco i tedeschi, via. Allora lei che fece? Lu era su in questa camera che dormiva, non ce la fece ad andar via, si mise tra una materassa e l’altra, sdraiato su, tra una materassa e l’altra, la su, le coperte che coprivano questo coso, la sorella a sedere che dava la poppata alla figliola. Entrino i tedeschi in camera e, c’era la bimba, c’era la donna che dava la poppata alla figliola e insomma, hai visto come fai, facevano loro insomma, però come dire, non c’è nessuno ve’. Il fratello l’aveva messo tra una materassa e l’altra e le c’era a sedè così che dava, come dì, questa è lì, io mi metto a sedere sopra di lui e do da poppà alla figliola. Queste son cose successe davvero.
FC: Eh no, ci credo, lo so, lo so. Quindi non erano partigiani però i suoi famigliari.
DDC: No, no, proprio partigiani di dire sono stati ne partigiani no, non erano certi per i tedeschi però neanche [laughs]
FC: Anche perché se scappavano insomma.
DDC: Ma poi mio fratello, era, voglio dire, giovanetto, mio papà aveva già una certa età, non era per esempio, ragazzi da andare anche.
EL: Ha fatto la guerra del ’15-’18.
DDC: Sì, il papà, il nonno ha fatto la guerra del ’15-’18, vero, mi papà.
FC: Eh, va bene.
DDC: E quando ammazzarono là nella selva quei sette, n’ammazzarono sette. Una mattina si sente camminare così [stamps her feet] perché c’abbiamo proprio la casa lassù dove abbiamo la casa paterna, qui c’è la porta e lì c’è la strada che passa proprio lì davanti la strada e si sentiva [stamps her feet] camminare così. C’affacciamo sulla porta, io ero una ragazzina perché avevo paura e la mi mamma invece, lei non aveva paura di nulla, lei c’aveva sempre di vedè, da cosa no, di vedere se poteva aiutà qualcuno, era così, lei era così. S’affacciamo sulla porta e c’era sette giovanotti così camminavino uno dietro l’altro, prima un tedesco [unclear] e c’eran due tedeschi così. E signora, quando videro la mi mamma che s’affaccia sulla porta così, perché la porta è proprio sulla strada, la soglia così come lì ci fosse la strada, un sogliettina così. E la mi mamma quando li vide questi qui, allora che succede, che succede? o signora, ma loro non si poteva mica fermà a chiacchierare, la mamma n’andava dietro, o signora, ci portano ad ammazzare a Stiava. Ci portano, perché allora li fucilavano da tutte le parti, era così, e la mi mamma n’andava dietro perché loro camminavino e parlavino, ci portino ad ammazzare a Stiava. Me lo dice a la mi mamma che c’ha visto? Ma e che vi posso dire, io non so chi sia la tua mamma e c’era a quell’ora degli sfollati che erano venuti via, viareggini erano venuti lassù perché facevino bombardamenti le, le cose no, e c’erino allora, tanti andavino nel paese così per, non istavino nelle città perché era più pericoloso. Ma come fa, eh signora ci portino ad ammazzare a Stiava e guarda lì. E ma camminà non si poteva, non me ha fermà e la mamma dietro. Ma lei pensi, eh, la mi mamma non aveva paura di nulla. Ma me lo dice a la mi mamma? Ma me lo dice a la mi mamma che ci portino? Ma io non la conosco la mamma, tesoro, ma come faccio a dire a la tu mamma? Mi disse anche come si chiamava la su mamma ma io ora quello non me lo ricordo perché ero ragazzina, insomma. E dopo a un certo punto un pochino l’andò di dietro a questi, erano tutti in fila così, i tedeschi con quel coso puntato. Ad un certo punto la mamma si rigirò ma dopo un, sarà passato un dieci minuti, infatti furono fucilati lì vicino alla casa nostra, voglio dire. Ci siam [unclear] questa cosa le [mimics machine gun noise] queste scariche, no. Oddio, disse la mi mamma, l’hanno ammazzati, oddio l’hanno ammazzati, oddio l’hanno ammazzati, a me piglia il freddo, erano [unclear] perché cose passate proprio da lassù, oddio oddio l’hanno ammazzati, oddio l’hanno ammazzati. Dopo così un pochino ma non so il tempo che sarà passato ritornino indietro questi tedeschi con quei fucili, però quegli altri ragazzi non c’erino più. L’hanno ammazzati, diceva la mi mamma, l’hanno ammazzati. Io bisogna che vadi a vedere se qualcuno avessino bisogno di noi. Queste cose le ho viste, eh!
FC: Sì, sì.
DDC: Allora, la mi mamma si parte, si fece allontanare questi tedeschi perché stavino dal Bellotti ora te lo sai voglio dì, insomma quando si furono allontanati la mia mamma disse io ciò d’andà a vedè sti ragazzi com’è il discorso. Si parte ma per non mandarcela sola sta povera donna e io vado sempre dietro alla mamma. Quando si cammina poco distante dalla casa questi ragazzi tutti sternacchiati nella strada morti. Queste cose non si possino scordà!
FC: Eh immagino.
DDC: Non si possino scordare queste cose qui.
FC: E questi tedeschi non dicevano niente?
DDC: I, no, no, c’hanno anche, non li si poteva dir nulla perché guai, voglio dire. Non ci venivino mica a raccontà le cose a noi. Guai che, e poi, non avendo mai trovati gli uomini lì nelle nostre case perché eravamo in sette famiglie. Gli uomini non ce li avevino mai trovati perché chi dormiva nel bosco, chi dopo, noi siam dopo sopra Gombitelli al Ferrandino erano cioè erano andati vai perché lì nel paese lì vicino a Ricetro c’era il terreno, tedeschi anche lì c’erino proprio a dove c’è la villa lì a Ricetro, c’erino, l’avevimo da tutte le parti.
EL: Avevano messo anche un cartello, no, i tedeschi, con scritto che eravate partigiani.
DDC: Sì, qui tutti partigiani, tutti partigiani. Di stare attenti, qui c’era, no, ma ne avevino messo quattro, cinque di questi cosi, che erimo partigiani e c’era da stà, come si faceva? E’ così.
EL: E quello che venne in casa a chiedere il pane invece?
DDC: Allora, si faceva il pane, la mamma faceva il pane in casa, fatto così da noi no. C’abbiamo il forno.
FC: Che pane era?
DDC: Il pane bono, il pane casalingo.
FC: Bianco o nero?
DDC: No, bianco, no, non si faceva nero, si faceva normale voglio dire. Perché poi c’avevamo, si seminava il grano da noi voglio dire e poi a quell’ora c’era un, c’era la tessera, a quell’ora e davano un etto e mezzo di pane al giorno, a tessera alle persone, un etto e mezzo di pane al giorno. Invece c’era la possibilità, chi voleva la farina, si poteva prendere la farina. Allora a te la farina invece ne davino un pochino di, insomma a quell’ora là. Allora la mi mamma preferiva prendere la farina e poi il pane farlo da noi perché lassù alla casa paterna, accanto c’abbiamo il forno, c’abbiamo il forno. E poi c’aveva, ci s’aveva insomma sai terreno e si seminava il grano anche da noi e un po’ il grano ce l’avevamo anche da noi. E allora si prendeva un po’ dell’uno e un po’ dell’altro e si cercava di tirare avanti e fà questo pane. Allora, il giorno che avevamo fatto il pane [laughs], il giorno che avevamo fatto il pane [laughs], quel pane casalingo, lungo, grosso, no, così. Avevamo levato il pane e la mamma per farlo ghiacciare si metteva la tavola che ci si metteva poi il pane sopra quando si portava il pane al forno perché il pane, il forno, come qui c’abbiamo la casa, il forno era come lì in fondo, si camminava pochi passi, c’avevamo il forno. E niente, questa sedia, due sedie così, ci metteva la tavola e metteva il pane così e ritto come fosse, questo è il pane così e per farlo ghiacciare, prima di metterlo nell’armadio non ci si poteva mettere. A un certo punto, e noi eravamo, questi bamboretti perché c’erano altri du fratelli, c’era Franco, che ora è
EL: Prete.
DDC: Che è Franco che è prete voglio dì, erimo tutti in terra, io ero la più grandina, a sedè seduto su una cosa. E c’avevimo, aveva levato il pane, era là, così questo pane a ghiacciare. Entra un tedesco in casa poi si sentiva proprio quel profumo di pane casalingo, no, così, pane, pane, pane, perché, a un certo punto hann sofferto tanto anche loro eh, poverini, io quelli prima non lo so ma quelli quando li abbiamo avuti vicini lo so, poi loro c’avevino un pane nero come minimo così, brutto e cattivo, che se lo infilavi nel muro [laughs] si spaccava il muro ma il pane no. Allora, aveva fatto, aveva levato questo pane e noi eravamo, bamboretti così, eravamo io, che ero la più grandina poi altri du fratelli e poi c’era quello che ora è, Franco che è
EL: Prete.
DDC: Che è prete sì. Eravamo lì tutti in terra, c’era steso un panno e eravamo lì tutti in terra così a sedere e si chiacchierava così tra una cosa e l’altra, visto che si fa bamboretti insieme, anch’io voglio dire ero bamboretta perché avevo dieci anni ecco. Entra un tedesco, pane, pane, perché si sentiva il bel profumo di pane [unclear] così, pane, pane, pane. Entra e noi, questi bamboretti si fece certi occhi così e si vide entrà, e va là questo coso e piglia un pane così nella tavola come faccio io ora e dopo parte questo tedesco. Un vuole che il discorso nel frattempo che lui ci va fuori, entra la mi mamma: ‘E te, ndu vai?’. Mi disse, io, pane e pane. Parte di corsa. E lì, siccome, nel mentre che l’entrava questo andava via col pane in mano, mi chiappa il pane mi mà, e lo riporta là. [background laughing] E lu, andè via ma però poverino [unclear], ecco e lei s’affaccia sulla porta e lo guardava e dopo anche noi ragazzi sai e lu poverino andava via con la testa, un po’ son dolori perché aveva capito, come dì, ho preso il pane perché siccome lo sapevino anche loro che c’era la fame per il mondo a quell’ora, no, e allora, e a lei, come dì, povera donna hann levato il pane per i suoi figlioli, hai capito? E lu andava via così. E la mamma, no, la mamma la, nel mentre entrava la mamma, mi sono scordata un discorso. Nel mentre che la mamma entrava, e lui usciva fori col pane e lei glielo prese, tu ,come dì, m’hai preso il pane che per i miei figlioli, vedi quanti ce ne ho! Perché non erimo neanche tutti noi, c’era Franco, c’eran tutti
EL: Sì, sì, c’eran tutti.
DDC: Glielo prese e lo rimise là. E lu andè via, lo capì forse nella sua cosa capì che questo discorso come dì, hai preso il pane che c’erano i miei figlioli lì poverini miei che morino da fame. Quando lei lo rimise là e poi, e lu andè via ma popo’ così pover’omo, e dopo lei s’affacciò e lo guardò e lu era andato via un poco macilento così a lei ne seppe male, prese il pane, poi s’affaccia sulla porta: ‘Camerata! Camerata! Camerata!’ ‘Sì?’ e lu si gira e lei n’andò incontro e gli dette il pane. Povera donna. Lu, io v’avrei fatto vedè questo ragazzo abbracciato a nonna, v’avrei fatto vedè. Tutti i giorni che lu passava de lì c’aveva da salutar la nonna. Camerata! Poverini, han sofferto anche loro perché [unclear] quelli lì c’era quello che era più buono, c’era insomma, poverini. Non te le puoi scordà queste cose che. E lì vicino alla nostra casa t’ho detto, cioè ammazzarono questi ragazzi.
EL: Però era a Pioppetti, no? Il tuo vicino di casa, lì.
DDC: A Pioppetti, a Pioppetti trentadue.
EL: Ma il tuo vicino di casa come l’ammazzarono a Pioppetti, che l’andarono a prendere al bar?
DDC: Ah, ma quello, Corrado.
EL: Sì.
DDC: Corrado, quello sì che stava in
EL: Come mai c’era stata la strage di Pioppetti?
DDC: Allora, c’era stata la strage di Pioppetti perché se tu, ora io non so se lei è pratico come. Te vieni da coso, dal Pitoro, vieni dal Pitoro e quando arrivi a un certo punto c’è la strada che continua e va a Valpromaro, c’è la strada che va giù che va a Montemagno, e po’ Camaiore, un po’ dalle parti lì, no? Allora, c’è questo incrocio e lì, allora c’è anche quella marginetta?
FC: Sì.
DDC: Allora, dove c’è quella marginetta lì c’avevino ammazzato un capitano tedesco che l’avevino accusato e c’è stata non so quanto ferma la su jeep che avevino insomma quelle macchine lì che avevino soldati.
FC: Sì.
DDC: Perché c’erino partigiani lassù, dove siamo stati anche noi lassù al Ferrandino. Erino scesi di notte che avevino fatto? Avevino trovato, avevino visto che questa macchina veniva e loro appostati hanno sparato a questi partigiani, eh a questi tedeschi e avevino ammazzato questo capitano dei tedeschi, non so, capitano, generale, non lo so com’era. E lì c’era la su macchina ferma c’era stata tanto e lì ammazzavino un tedesco? Normale, dieci dei nostri fucilati. E invece un tedesco, un graduato, è logico che lì quanti ne passò. Eppoi, faccia, fa conto che trentadue li impiccarono, a ogni platano c’era uno impiccato. Trentadue. E poi se ne ammazzarono dei altri ora non me lo ricordo ma quelli io li ho visti.
EL: Il papà di Rino?
DDC: Eh, il papà di Rino, quello lo ammazzarono ma non senza portarlo laggiù. Vennero in sù, quando arrivarono lì a Leccio sono entrati perché c’è sempre stato ci vendevano insomma i cosi.
EL: L’alimentare.
DDC: L’alimentare insomma era un popo’ di tutto il sale, quella roba lì ci si andava a comprare allora il pane, un popo’ di minestra, insomma, quel che si poteva, ecco, e lui, si fermarono lì, lo trovarono lì, e lo presero. Ammazzarono. Ora, se l’ammazzarono lì laggiù ce l’hanno portato morto, se no, ce l’hanno portato, non so com’era o non me lo ricordo ora, quella cosa lì on me la ricordo bene.
EL: Ma sapeva una cosa della forchetta?
DDC: Ah, ma della forchetta che la, sì, ma quella, allora, allora, perché l’han trovato, eccovedi, ora me l’hai messo in mente, lo trovarono a mangiare e lu pover’omo mangiava la forchetta, e l’ammazzarono e la forchetta gliel’avevino infilata, pover’omo, sì. Erino, erino cose brutte a quell’ora lì, sì.
EL: Invece il camion?
DDC: Eh?
EL: Il camion mitragliato?
DDC: E il camion mitragliato, ma più che quelle cose però, più che un camion grosso era na macchina sempre da soldato si vedeva, era lì davanti dove c’è quella marginetta.
EL: No, no, ma dico, quello mitragliato dagli aerei.
DDC: Ora quello non me lo ricordo come
FC: In generale si ricorda per esempio degli aerei che mitragliavano, dei bombardamenti?
DDC: Ma quello, allora un camion che mitragliarono, la prima cosa che si fece che erimo io e lo zio Luigi, eravamo alle pecore, avemmo portato le pecore quaggiù nella selva che là c’è la dove si scende il monte di, per andare a Camaiore la. Noi si chiamava la Girata del Giannini perché lì c’era la cosa, la Signori Giannini, che a quell’ora c’era la villa di questi signori. E questa selva noi dove si mandava le pecore era vicina che come dì là c’è la villa, come fosse là, è la villa e qui, noi c’eravamo con le pecore e lì c’era la strada che passava e saliva sul monte di Montemagno. Allora quando un camion passava, eravamo vicini da questa curva e a parte che c’erano castagne, c’erino gli alberi e tutto quanto però la curva la rimaneva visente che voglio dire e noi, quando si vede questi. Nel frattempo arrivano questi aerei, arrivano questi aerei e là c’era questo camion, proprio a questa curva lì e il camion quando sentì gli aerei si fermò, si fermò lì, eh, oh, non c’era modo e lì era tutto scoperto. Questi cami fecero la picchiata, incominciarono a mitragliare questo camion, noi io e il fratello più piccolino c’avevamo le pecore allora, non so se ne ha raccontato a te, queste pecore, perché cami, e gli aerei quando fanno le picchiate poi, venivino bassi, venivino bassi chequasi quasi pareva che ti vedessero perché lì per, per cosa questo camion, [mimics the noise of a diving airplane] pecore spariti no. Oddio, si chiamava Luigi il mio fratello lì, che eravamo insieme, era più piccolino di me, le pecore sparite, non si sapeva dove erino andate a finì. Oh Luigi, ma noi si va a, andiamo a casa, andiamo a casa e si parte. Piglio mio fratello che era più piccolino di me per la mano e su attraverso per la vigne, per le cose, si arriva a, sì ma si andava per venì a casa, come si fa a dì alla mamma che le pecore non c’è più? E ndov’è queste pecore, ndov’è queste pecore, come si fa a dirglielo. Quando s’arriva a casa, prima d’andare a casa, si passa dall’ovile dove avevamo le pecore, no. Le pecore erano già tutte là suddentro! Si pigiavano l’una con l’altro, si pigiati, io ve ‘vrei fatto vedè, si erano ricosate tutte insieme, avevino avuto paura anche loro perché quando questi aerei facevino, un po’ bassi così, voglio dì, [mimics the noise of a diving airplane] per cosà quel camion. No, io quelle pecore ve l’avrei fatto vedè. Eppure presero la, erimo lontani, perché ora lei non lo sa ma di laggiù dalla curva del Giannini arrivà alle capanne, un è lì, come si fa, si diceva lo zio Luigi, oh Luigi, ma come si fa a dire alla mamma che un si sà dove sono andate le pecore? Come si fa? Io ero più grandina, come si fa andargliela a dì? E lo so, diceva mio fratello tutto calmo così eh, oh, c’è da dirglielo [laughs], c’è da dirglielo. Lo so che c’è da dirglielo, ma come si fa? E invece, quando s’arrivò a casa, lei pensi no, le pecore erano tutte dentro, una pigiata col culo nell’altro, sì n’avrei fatto vedè, pareva un gomitolo dallo spavento che avevino avuto anche loro. Perché questi aerei per fà la picchiata su quel, venivino proprio, ci sarebbe insomma lo potevi toccare, potevi prendere, una cosa così non si può scordà.
FC: E si ricorda degli altri episodi dove c’erano gli aerei? Degli altri momenti?
DDC: No, degli aerei.
FC: Così, che mitragliavano?
DDC: No, succedeva che, ad esempio quando hanno anche, mi pare anche che abbiano bombardato anche Viareggio qualche volta ecco, però noi stando lassù si poteva vedere questi aerei che facevino, si diceva delle volte, vedi stanno facendo la picchiata, si diceva tra noi ragazzi, perché [mimics noise of diving plane] e così o tiravino le bombe, ecco, quello sì. Però più vicini no [coughs] da noi.
FC: Ho capito, ho capito.
DCC: Quello era [laughs].
FC: E invece, ma lei lo sapeva chi erano questi aerei? Cioè chi è che li guidava? Chi è che faceva queste cose?
DCC: No, no, quello io non lo sapevo, allora prima di tutto
FC: Nessuno gliel’aveva spiegato?
DCC: No, che c’erano sopra come dì, dei soldati che guidavano l’aereo, quello sì, però non sapevo altro ecco.
FC: OK.
DCC: Perché le dico anche un discorso. Allora, ora in tutte le case ci sono le televisioni c’è, però voglio dire noi non ci sapevano, non si sapevano le cose ecco.
FC: E lei andava a scuola, in quel periodo lì?
DDC: E io in tempo, dunque la guerra c’è stata nel? ’40-’45, nel ’45 son passati di lassù. Ecco io però allora nel quarant, che ad esempio le dirò una cosa. Io ho fatto soltanto la terza elementare. Perché lì al paese facevano solo, vedi dopo, dopo no, dopo fecero, hanno fatto anche fino alla quinta però lì ci facevano fino alla terza elementare. Che succedeva? Chi voleva continuare per fare fino alla quinta, c’era da andare o a Valpromaro o alla Tirelici. Allora chi c’aveva la bicicletta, chi ci poteva che è, va bene, se no, si accontentavino della terza elementare. E infatti, io ho fatto solo la terza elementare.
FC: Prima della guerra quindi.
DDC: Sì, sì, prima della guerra.
EL: Prima della resistenza, perché sì, sì perché, prima della guerra.
DDC: Eh oh.
EL: Eh sì, perché sei del ’32.
DDC: Io sono del ’32 e la guerra nel ’40-’44 voglio dire, la peggio qui tra noi è passata nel ’44.
EL: Sì, sì, sì.
DDC: E allora chi voleva continuare, chi poteva continuare, c’era da andare a fare la quarta e quinta a Valpromaro o alla Tivaelici. Allora per quel che riguarda i nostri fratelli che si, coso l’han fatta alla cosa, Vergilio, l’han fatta alla Tivaelici. Invece dopo, hanno fatto, la quarta e la quinta la facevano anche lì alla scuola a Montemagno, infatti Luigi, lo zio Luigi e Aldo l’hanno fatta lì la quarta e la quinta che mi ricordo, per fare la quarta e la quinta a Luigi c’era una maestra tedesca a insegnarli. Che era cattiva da morire, che li picchiava, che una volta con una cosa, che poi lo zio Luigi era, boh non ce n’era, non ce n’era davvero, e n’aveva con, con una stecca di legno n’aveva picchiato su una cosa, aveva fatto male a un unghia, ora non mi ricordo, guarda, era insomma così. Quando venne a casa, che era buono lo zio Luigi, lo zio Aldo era un pochino più vivace, ma lo zio Luigi era un ragazzo che non ce n’era davvero, eh mio fratello. Allora, ma lei era cattiva, siccome poi parlava più tedesco che italiano, non la intedevino bene, lei voleva essere capita, voleva, non aveva quella cosa di dire, ma io parlo con dei bimbetti, voglio dire, che pretendo, no? No, no. Lei picchiava, c’aveva una stecca di legno, ma tipo un bastone no così e li picchiava e n’aveva picchiato su un unghia lo zio Luigi e quest’unghia mi sembra, era andata tutta, no. Lo zio Vergilio, quando vide che questo, a questo figliolo n’aveva accusato mezzo un unghia ma poi li s’era diventato tutto nero perché le unghie son delicate, con la stecca, che poi lo zio Luigi era buono, era un ragazzo, no, non ce n’era, Aldo no, lo zio Aldo era più vivace ma lo zio Luigi era un santo davvero. San Luigi Gonzaga delle volte si diceva, era così davvero eh. Allora, quando venne a casa che vide questo dito sfatto, lo zio Vergilio va laggù, trappò la chiappa per il collo, che sia la prima e ultima volta perché te insegno, mi fa, e poi non so chi salvò sennò la guantava per il collo sta maestra insomma che poi ti rovinavi perché voglio dì. Ma insomma, siamo così.
FC: E poi, lei prima a un certo punto ha detto che dopo un po’ sono arrivati dei tedeschi vicino, no, alla casa dove stava lei? Non ho capito se era lo stesso di quello che cercava il pane oppure se erano degli altri?
DDC: No, no, ora però che n’ho raccontato che facevano i rastrellamenti, in quel punto lì?
FC: No, in generale, se c’erano dei, se lei ha avuto a che fare altre volte con dei tedeschi? Se.
DCC: Eh ,tedeschi passavino mille volte davanti a casa, così e cosà, eh, voglio dire, di che, che l’avevino ammazzati il coso l’ho detto quel discorso lì ecco. E poi c’era una villa vicina come dì, come ti ho detto io, quella è come fosse da casa mia e là c’erino proprio tedeschi, ha capito? Eh, oh, che facevano a venir qua e andà? Camminavino tante volte su e giu però insomma ecco un c’è più stato delle cose così.
FC: Ho capito.
DDC: Da quella volta lì che ammazzarono quelli lì dopo voglio dire non c’è più stato. E dopo poverini venivino la gente a vedere perché sapevino per esempio, c’è, n’avevino ammazzato che era gente di, uomini di Stiava che l’avevino presi, l’avevino ammazzati là e quell’altro era da n’altra parte perché lì facevino i rastrellamenti e poi li chiappavino perché venivan in mente. Dicevino loro qui si va [unclear]. Erano tutti partigiani secondo loro anche se non erino perché quella gente lì poverino non erino partigiani.
FC: E invece di fascisti?
DDC: Ma fascisti nel paese, nel paese?
FC: Fascisti nel senso italiani, sì, fascisti che, non i tedeschi, i fascisti se venivano a, non so.
DDC: No, fascisti anche nei paesi allora c’era un discorso c’era sempre per dire il capo dei fascisti, quelli che contavino logico che, che poi facevano come ti potrei dire ad esempio il quattro novembre che facevino la, che uscivano fuori, facevino, andavano giù per la strada un bel terzo e poi si rigiravino insomma quando facevino quelle dimostrazioni lì, se ad esempio, tutti non c’andavano, guai, ma quelli non, ecco, erano proprio quelli del paese che ce l’avevino con te perché magari non la pensavi come lui, hai capito? Allora, così, così. Allora, ma proprio un tempo proprio de coso, prendevano un tempo proprio de famoso del fascismo, riprendevino chi non era andato, c’era de, il quattro novembre, faccio per dire, ora un discorso del genere e chi non c’andava, allora andavino a prender a casa e poi gli n’davino l’olio di ricino lì, ecco, tutte quelle cose lì. E nei paesi più che nelle città. Perché c’era sempre quello che ce l’aveva con quello là perché, hai capito, così. Così.
FC: Capito. E lei si ricorda quando è finita la guerra?
DDC: Ora quello, io non lo ricordo.
FC: Cioè, cosa, se è cambiato qualcosa, non proprio il giorno, magari non proprio il giorno preciso preciso. Però se c’è stato un momento in cui lei aveva capito che la guerra era finita?
DDC: Allora, allora, quando insomma era finita la guerra, questo me lo ricordo. Allora, dice, ma lo sai che vengono, oggi, dice, vengono gli Americani a Stiava, faccio per dì. Allora noi si scese il bosco, salgo a Stiava, infatti nel frattempo erano arrivati questi Americani, questi cosi, ci fu, la gente l’acclamava tutti insomma, quel discorso lì sì me lo ricordo però così come, comunque ci s’andò.
FC: E c’era andata.
DDC: Sì, ci sono andata, sì ci s’andò. Eh certo.
FC: E poi cos’è successo, cos’è successo dopo qunado è finita la guerra? Come sono cambiate le cose?
DDC: Eh, dopo allora abbiamo cominciato voglio dire, meno male questo, meno male quell’altro, voglio dire non c’era più il coso di rimpiattarsi, era tutta un’altra cosa. Eh, dopo quando ci furono.
FC: E’ tornata nella casa?
DDC: Sì, allora, il papà che eravamo andati tipo uno perché i tedeschi li prendevino, li fucilavino, li cosavino e erino andati lassù come detto sopra Gombitelli. Allora, quando furono, quando ci furono, voglio dire che siamo stati salvati allora ognuno è ritornato nelle sue case e abbiamo ricominciato quello che si faceva prima, voglio dire, ha capito la gente così e ha ripreso il suo modo di fare voglio dire.
FC: Quindi non si ricorda tipo questi famosi tedeschi che stavano nella villa quando sono andati via?
DDC:Eh no, allora,
FC: No, così, chiedo.
DDC: Quello non lo ricordo ma quando fu quell’affare lì, che cominciarono e che sono andati via, insomma hanno liberato queste case che avevino occupato loro, insomma così. Quello non ricordo altro, ecco.
FC: E la vita quindi, non so, è ritornato tutto come era prima?
DDC: Eh insomma, piano piano, voglio dire.
FC: Cosa, si ricorda qualcosa in particolare?
DDC: Eh c’erano, c’era anche lì vicino alla casa nostra c’era venuti degli sfollati di Viareggio che poverini insomma cioè poi un po’ nelle città bombardavano ma insomma e dopo sono ritornati ognuno a casa sua voglio dire, piano piano insomma. Ora quanti giorni c’avranno messo non lo so ma insomma [laughs], il discorso così. E lì, questi lì che avevano ammazzato lì vicini poi allora li vennero a bruciare questi, questi sette che ammazzarono lì vicino a casa mia. Ci son venuti, io chi era non lo so, senz’altro gente che voglio dire, gente apposta per, son venuti e l’hanno perché piano piano s’erano, ecco così.
FC: Nessuno li aveva sepolti?
DDC: Sono stati bruciati. E poi quello che c’era successo poi [unclear], quello non me lo ricordo comunque. Ma quelli lì poverini.
EL: Nessuno, ti ha chiesto se li avevano sepolti. No.
FC: Non li avevano sepolti?
DDC: No, no, no, erano là, erano rimasti, no, perché lì, vennero presi perché non è che per esempio erano stati ste cose lì e poi il giorno dopo sono andati via. Allora sono venuti a prenderli e li han portarli via ma gente non so, del comune, chi c’è venuto quello non lo ricordo. E parte erino già un poco posati se l’han bruciati, quello non ricordo. Non lo ricordo bene, direi delle bugie. Non me lo ricordo a modo quella cosa lì.
FC: E lei, lei dopo la guerra le è capitato spesso di ripensare alla guerra?
DDC: Eh, viene spesso da ripensare! Voglio dire allora, ora no, ora sono passati già qualche anno no, ma sul primo così se ne riparlava tante volte. Se ne riparlava, oddio ma ti ricordi quello ma quell’altro ma come è successo, ecco. Quella cosa lì sì, quello me lo ricordo bene quel discorso lì che ne è stato riparlato parecchie volte e insomma, eh allora.
FC: Si parlava anche degli americani, degli inglesi, dei, dei?
DDC: Sì, ma quando son venuti loro che voglio dire hanno occupato il paese insomma anche loro ma era già tutto differente. Non era un’affare come lì al tempo dei tedeschi insomma no.
EL: E che vi hanno dato gli americani? Vi avevano portato delle cose, no. Che sono, delle coperte, le calze.
DDC: Le coperte c’erino, piu che altro le coperte.
EL: Sì, sì. Ma non anche le calze di nylon?
DDC: Ora io quelle non me le ricordo e ci stà che
EL: Che la nonna te le tirò via.
DDC: No, ma quelle lì un l’avevino portate loro.
EL: Ah.
DDC: No, no, no, quelle lì, le calze fine?
EL: Sì.
DDC: No, no, quelle lì è un passaggio della nonna, che ero già giovanetta a quell’ora sì. Ero pronta, andava alla messa, prima lei andava alla prima messa, perché c’era la prima la mattina presto e dopo noi invece ci si andava più tardi. Che succedeva? Succedeva che noi si stava a casa, c’era la mia sorella più grande e la su nonna, che lei era la più grande di tutti e c’avevimo le bestie, c’era la mucca, c’eran le pecore, c’era il maialino, avevimo di tutto e non ci mancava nulla, non ci mancava nulla [laughs]. E le persone più anziane andavano alla prima messa e noi invece ci piaceva di più andare all’ultima messa, che c’eran le undici. Allora, quando loro andavino via noi si facevi te fa quella cosa, te fà quell’altra, la nonna faceva le cose più pesanti e io invece quelle più, ma insomma, via te fà questo te fa quel. Era l’ora della messa, era l’ora della messa e ero sù in camera che, allora avevo le calze, le calze fine, no? Le calze fine e le avevo lasciate così sulla seggiola, come si fà così, di un salotto, scendo le scale, scendo le scale ma avevo il sottabito. Ma lei pensi che il sottabito, quei sottabiti di una volta, che poi la mia nonna era sarta, e le facevino, ma no quelle, quei, quello spallino fino così, piccino, sì quelle cosine grandi così, un pochettino scollate ma non troppo, così, quelli erino sottabiti che poi la mamma era, la nonna Ancilla era sarta e si faceva, se li faceva da sè insomma. Allora, io ero a prepararmi e avevo lasciato le calze, era sul primo che mi mettevo le calze fini e l’avevo lasciate in salotto così attraverso alla seggiola. Scendo le scale, ma ero in sottabito. Lei era giù in cucina. Io chiudo l’occhio e la vedo. Scendo le scale e lei in fondo alle scale. Te dove andresti in questa maniera qui? Sono andà a prendermi le cose, vedilo là, vedi, vedete perché si dava del voi, vedete mamma, è là sulla seggiola là in salotto. Vai, te le porto io le calze. Dio bono, ma son già qui, e che mi ci vuole ad andà a prender le calze là? Cammina! Va in camera, vergognosa! Ma santo cielo, ma che ho fatto di male? Va in camera, ti potrebbe vedè tu fratello! Ora, se mi vedeva mi fratello con la, con i sottabiti fatti da lei perché era sarta la mi mamma, ma i sottabiti di una volta non se li scordi, eh. Avevino come minimo le spalle grandi così, qui quando era tanto era scollato qui, eh. Se mi vedeva mi fratello in sottabito. No, io chiudo l’occhi e vedo la mi mamma, vai, te le porto io le calze, dio bono, ma sono già qui, era in mezzo a scala che ci vol a piglià le, no! Ti potrebbe vedè tu fratello. Ci sarà stato, ragazzi, ora a parte tutto, ma allora nelle famiglie era così eh. Ora, se mi vedeva mi fratello.
EL: Insomma le calze te le ha portate?
DDC: Sì, le calze me le portò però mi fece rimontare le scale e a un certo punto se no poteva venirmi. No ma seria perché te.
EL: Però le calze, però non bruciò le calze di nylon?
DDC: Le calze, quando, no, non le bruciò, le strappò, le strappò. E queste sarebbino le calze? Perché calze fini allora, avevimo le calze fini perché sennò si dovevino portà fine ma già più grossine c’erano quelle no fine fine come c’eran ora voglio dì perché ero già giovanetta mica avevimo quelle lì già un po’ più, capito? E l’avevo su questa seggiola in salotto ma quando lei le prese in mano le strappò, e queste sarebbino le calze? Era così, era così. E in sottabito mi poteva vedè mio fratello.
FC: E quanti anni aveva quando è successo questo?
DDC: Ora io con esattezza io non lo ricordo insommma con esattezza ma ero e po’, ma avevo incominciato a portare le calze fini. Avrò avuto senz’altro, non so, una quindicina d’anni, voglio dì, così. Mi poteva vedè mio fratello. Ora, dice, poteva, al limite poteva ma se mi vedeva mio fratello in sottabito. Allora era così. E allora nelle famiglie c’era questo rispetto qui. C’era, era così guarda e non potevi mica camminare e allora ma le calze fine. Ma scherzi davvero. M’ero permessa di comprarmi le calze fini [laughs].
FC: Quindi lei lavorava già all’epoca?
DDC: Eh?
FC: Lavorava?
DDC: Ma allora non si faceva, ora voglio dire non, lavoravo ma in casa ero sempre voglio dire, si faceva di tutto perché si faceva, anch’io ho cominciato presto anche a cucire perché anche la mamma era sarta. La mamma era sarta però insomma io dopo mi sono cosata sempre di più voglio dire. Ma tante cose si sapevino già fare da lei, perché per esempio e fai via, io faccio [unclear] un po’ m’è sempre garbato a cucire voglio dire. Ero, voglio dire, non ero, la nonna, la tu nonna era più robusta di me, io invece sono sempre stata più magra, invece ora sì sono più grassa, ma allora sono sempre stata più magrina. E la mi mamma mi diceva che le persone bionde, più delicate di quell’altre, te no, te sta tranquilla, te fà così, te fà così. Me diceva così.
FC: Non era d’accordo.
DDC: No! Era vero che io non avevo la forza perché la su nonna, quel che faceva la mi sorella, è una cosa, ma davvero eh.! Ma non è che non lo comandasse nessuno, lo faceva proprio spontaneamente da sè. Per esempio, i nostri, sia mi papà sia mi fratello sia il nonno avevino la falegnameria e non ci lavorava nessuno sul terreno. E noi il terreno che s’aveva si chiamava allopre si diceva allora, si chiamava vello per vangà, cosa per fà il solco per fà, per seminare per, perché oh tanto terreno si faceva di tutto, voglio dire, era così. Lei, la mi sorella, le la sapeva fà tutto. Quando era fatto la cosa più grossa di vangar anche la terra, lei faceva solchi, seminava La cosa, faceva tutto, tutto, la nonna faceva tutto. Ma io ero magrina, ero così che [laughs] un avevo la forza della mi sorella. Mi davo da fà perché volevo fà quel che faceva lei [laughs] sì perché quando siamo ragazzi e le impastava il pane, le faceva il pane, le, io non ho mai fatto il pane in casa mia.
FC: No?
DDC: Mai, non ho mai impastato il pane.
FC: E come mai?
DDC: Eeeh, non avevo la forza perché, eh, diceva la mamma, te sei troppo mingherlina, non puoi perché quando faceva il pane si faceva,
FC: Come facevano?
DDC: Lei faccia conto che si faceva una decina o dodici pani ma quelli lunghi così casalinghi eh. E ciavevimo , c’è sempre lassù alla casa paterna e si cosava questo, faceva questo pane la mi sorella che lei è na forza e io,
FC: A mano?
DDC: Sì, sì, sì, sì.
FC: O usavate qualche strumento?
DDC: No, no, no, no, tutto a mano eh, tutto a mano. Lei faceva, sapeva fà tutto la mi sorella. A fà tutto, davvero, e allora [unclear] e allora ma io siccome volevo fare quello che faceva lei perché visto quando siamo bimbette ma perché io non lo devo fà? E allora diceva la mi mamma, ma te non puoi, non hai la forza che ha lei. Perché la nonna era brava per fà quelle cose lì, era più robusta invece e mi diceva: ‘le persone bionde un han na forza così’. Ma che vuol dì na forza? Dicevo io, [laughs] dicevo che vuo dì. Io volevo fà quel che faceva mi sorella ma niente da fà, non lo potevo fà. Ma vedi te, sei più mingherlina, sei mingherlina, mi diceva e io ero arrabbiata, non volevo che mi dicesse così [laughs]. E siccome sia mio papà sia mio fratello sia voglio dire facevano i falegnami e anche per lavorare la terra perché c’è l’abbiamo ma, ce n’avevimo tanta, si chiamava le persone apposta per fare queste cose. Allora quando era a lavorare invece per fà il solco che la terra è bella sciolta e viene lavorata, ma lei, la mi sorella ci faceva il solco, seminava veloce e lo volevo fà anch’io. Io non ho mai impastato il pane, eh oh. Ma te, siccome sei più bionda, sei più mingherlina, vedi le gente bionde o n’han la forza che hanno quelle more, ma perché uno deve avè la forza [laughs], no me faceva. Hai visto quando siamo bimbette che vogliamo fà quel che fà quell’altro, lo vogliamo fà anche noi. È così.
FC: Va bene. Se vuole aggiungere qualcos’altro? Qualche altra cosa che le viene in mente sulla guerra?
DDC: Ma io non mi ricordo, non so. Le ho raccontato quel discorso lì che si dovette partire, andare lassù sopra Gombitelli, al Ferrandino, ci si portò, ci s’aveva le pecore, ci s’aveva quella roba eh, c’andò mi papà, voglio dire, ci si portò anche quelle lì, c’andò lei lassù sempre la mi sorella più grande che era insomma col mi papà lassù voglio dire. Quando erano qui erano a fare, che ve sò dì, avevamo fatto anche, avevamo, io no perché. L’ho detto, ero una bimbetta avevino fatto anche un coso, un rifugio nel campo lì sotto che si, entravino da una parte che c’era un poggetto alto così e qua c’era il campo. E di lì c’avevino fatto il coso entravino lì sotto però come facevino a stà continuamente?
FC: Com’era fatto questo rifugio, proprio?
DDC: Questo rifugio era fatto dentro come tipo una stanza e poi era tutto cosato con le cose di, con le tavole, con le tavole di legno. E lì dentro era come una stanza ma certo.
FC: Era scavata?
DDC: Eh certo! Era scavato sì.
FC: E quante persone ci stavano?
DDC: Eh ma quattro cinque persone perché era un bell’affare grande così eh. Non sempre ci potevino dormì perché insomma anche dormì così sottoterra in quella maniera lì. Fu così che poi era una cosa insomma e andarono a finire sopra Gombitelli dopo il mi papà insomma gente lì via.
FC: Ah, era per nascondersi?
DDC: Nascondersi perché facevano
FC: Gli uomini?
DDC: Eh certo!
FC: Quindi lei non c’è andata, non c’andava dentro?
DDC: No, no, no, noi no, solo gli uomini. Prima dormivano nel bosco perché c’abbiamo boschi vicini ma con le coperte dormire nel bosco insomma, e io la mattina quando m’hanno detto andava a portà, andava a portare da mangiare il caffè, voglio dire, oppure a mezzogiorno la minestra tutto quanto, che mi mettevo il sacchetto sotto la gonnella per portargli e loro dormivino nel bosco. Ma han fatto una vita. Eh. E tutti quelli lì vicini, voglio dire, di lì, lassù dove si stava lassù c’eravamo, e sette famiglie mi pare. E ogni famiglia c’era, c’avevino la persona maschio voglio dire e partivino, chi andava di lì, chi andava di là, e sul primo che facevino i rastrellamenti che noi ragazzi s’andava lassù in cima e si vedevino quando le macchine partivino per i rastrellamenti, via! Scappate! Scappate! Magari andavino via mezzi nudi, si vestivino per il mondo, davvero, e dopo cinque minuti arrivavino i tedeschi a fare cosa. E noi erimo sempre.
FC: Cosa dicevate, ai tedeschi?
DDC: Nulla noi, noi erimo bimbetti.
FC: E non vi chiedevano dove erano gli uomini?
DDC: No, voglio dire a noi bimbetti no, erimo, voglio dire.
FC: Non si ricorda?
DDC: Voglio dire ai grandi, magari alle donne, magari l’avran detto ma e mi dicevino quando, a delle volte mi dicevino, come dì, che erino andati alla guerra, che non c’erino a casa, così. Erino andati alla guerra, eh, oh! A quello lì che t’ho detto che nun ce la fece ad andar via che la su sorella entrò tra una materassa e l’altra, la su sorella a sedere e faceva a vista lì a dò la poppa alla bimba. A sedere, entrino i tedeschi [unclear] al mondo e lui era tra. Eppure ragazzi a raccontarlo non ci si crede, ci si scriverebbe davvero un libro. È vero, è vero!
FC: E quindi adesso, quello che pensa lei della guerra, è cambiato rispetto all’epoca? Cosa pensa adesso della guerra?
DDC: Ma ora io, a dir la verità, insomma io penso che ora son tanti, son passati tanti anni voglio dire,
FC: Le dico le emozioni.
DDC: Certamente quando ne parlo, voglio dire, per me è come rivivere quel momento eh, eh, oh! Ma io delle volte penso, mi viene pensato come si fece a attraversare la strada maestra con le pecore per andare a Gombitelli. Perché lì lassù dove si abita noi, alle capanne ci chiamino eccetera, scendi giù in paese, e poi s’attraversa la strada e si prende la strada che va sù, lì accanto alla scuola c’è una strada grande che va a finire a Gombitelli ma poi quando siamo a Gombitelli per andare al Ferrandino dove si portò noi le bestie, ce n’era, c’era da camminare un altro bel pezzo eh, da Gombitelli al Ferrandino. Eppure. E delle volte dico io, ma come, io non ricordo, ecco quella lì quante volte me lo sono domandato che non sono mai riuscita a capire come si fece a attraversare la strada maestra per andare lassù. Perché da lì, da dove si abita noi c’è da scendere giù dove c’è la chiesa lì al paese, a Montemagno e poi c’è da prendere la strada per andare a Gombitelli. Come si fece, come è stata fatta quella cosa lì, me lo sono domandato tante volte, non l’ho mai capita.
FC: Perché non se lo ricorda?
DDC: Non me lo ricordo. Non lo ricordo perché lì da tutte le parti c’erano i tedeschi [unclear] a Montemagno era pieno così di tedeschi eh. C’era lì davanti alla chiesa c’erano i, nel coso del piazzale davanti alla chiesa c’erino proprio le cose dei tedeschi. Lì dove c’era la, che ora c’è la, come si chiama la cosa lì che c’ha Oriano?
EL: Bottega.
DDC: La bottega là che ci vanno a mangià la gente là.
EL: Sì, sì.
DDC: Più che bottega.
EL: Sì, sì, Le Meraviglie.
DDC: Le Meraviglie. Lì c’era, anche lì c’erino tedeschi da tutte le parti. Allora non c’era, c’era questo coso vuoto che i padroni erano in America e lì occuparono tutto questi tedeschi. Avevino, ti ho detto, [unclear] tutte le carte che erino lì. E loro sapevino, come trovavi una casa vuota, sta tranquilla, non chiedevino il permesso a nessuno. E poi ammazzavino le bestie [laughs], trovavino da mangià. Eh beh, ce n’erano tanti di tedeschi a Montemagno, non so come mai.
EL: Perché era la via che andava a Lucca forse.
DDC: E poi, partigiani, partigiani, come avevino paura dei partigiani però.
FC: I tedeschi.
DDC: I tedeschi avevino paura, anche quando venivino in casa, che noi erimo bimbetti no, e ‘te partigiani, no? Partigiani! Partigiani!’ E noi si diceva: ‘No! No!’. Quello si sapeva anche se eravamo bimbetti di dì di no. Di dir di no dei partigiani.
FC: E aveva paura dei tedeschi?
DDC: Avevimo paura davvero dei tedeschi. Insomma anche lì da noi averci fatto delle cose lì, aver ammazzato quella gente lì voglio dire, anche lì li ho visti tutti eh insomma. E quando eravamo là, perché si doveva, avevano attaccato fogli anche a questa villa, avevino attaccato fogli alle porte che noi si doveva sfollare. Si doveva sfollare perché lì tiravino all’aria tutto, no. Che di lì si andò alla casa là al Meschino. S’andò alla casa la, lo sai no dov’è questa casa al Meschino? Ecco, la casa al Meschino che poi anche lì vennero i tedeschi allora come come ci trovarono là non si sa perché questa casa qui che dico io è la nel mezzo a vigneto e al bosco, ma lontano di lì dalla casa dove si stava noi. Eravamo sfollati tutti perché avevano attaccato fogli che avrebbero ammazzato tutti, di sfollare, di sfollare. Allora non si sapeva dove andare e si parte, si va tutti là a questa casa là nel bosco, ma è na casa grande e era su, era du piani, na casa sotto e sopra insomma e s’andò là. Ci portammo le cose più necessarie e s’andò là. La nonna invece non volle mai venire, è sempre stata a casa lì. Invece quando vennero là i tedeschi, che si misero tutti in fila, che si dovevino fucilare tutti, perché c’avevino scoperto che noi eravamo là e dicevino che eravamo partigiani. ‘Tutti partigiani! Partigiani! Partigiani!’ Ma poi c’erimo bimbetti, c’era lo zio Luigi che era più piccolino di me. Allora ci misero tutti lì in piazza davanti alla casa, non so se eravamo una trentina, sì, una trentina eravamo sì, allora io abbracciai mio fratello e lì tutti i tedeschi intorno col fucile puntato. Abbracciai lo zio Luigi e girai le spalle al tedesco perché secondo me, secondo me, ammazzavino me e ma, con le spalle, ma io Luigi lo salvavo, te pensa. E invece che successe? Successe, eravamo lì tutti pronti che loro pronti, che si sapeva che quella gente non perdonavino. Nel frattempo scende di lassù, perché noi eravamo così giù che c’era questa casa e poi c’era un vigneto su che andava un popolino su così. Da questo vigneto che c’era nel mezzo una bella cosa, stradina che veniva giù, vennero, incominciarono a venì tre o quattro uomini, di lassù ma vestiti normali, no tedeschi. Allora noi si dice, questi ragazzi, ‘Oddio partigiani, oddio partigiani, oddio partigiani’, e quei tedeschi che erano lì ebbero, meno male! Ebbero paura, invece di venire insù vicino perché il coso, c’era la strada che veniva giù così, questi tedeschi incominciarono a saltà poggio e piano giù per il bosco. E noi [laughs] e meno male, se no c’avevino messo tutti in fila, si dovevino essere fucilati.
FC: Come mai vi avevano messo in fila?
DDC: E perché noi erimo partigiani o c’erimo figlioli dei partigiani, perché erimo là a questa casa nel mezzo a un vigneto nel mezzo così, non eravamo lì più alle case nostre.
FC: Quindi erano bambini, donne?
DDC: Bambini e donne, bambini e donne. E persone anziane messe giù che su una sdraia che poverini un camminavino.
FC: E questi uomini qua che scendevano dal monte, chi erano?
DDC: E quie, no, io non ho mai capito chi erano questi uomini ma questi uomini quando furono così che scendevino giù questo, perché erano, noi erimo qui ma poi c’era questo, questa salita che non era lì vicina, era un bel pezzo di lassù venivan giù e si vedevino sti omini scendere giù vestiti popo’, e lì si incomincià a dì: ‘Oddio partigiani! Se dio vuole partigiani!’. Questi tedeschi saltà poggi e piano e andà per ingiù per il bosco, non s’è più visti dove andati a finì perché avevino paura anche loro dei partigiani [unclear]. E meno male, meno male, ci fu quell’affare lì sennò, erimo già belli e pronti lì. E io avevo abbracciato lo zio Luigi e m’ero, avevo girato le spalle io verso i tedeschi che avevino il fucile puntato e io, secondo me, lo salvavo il mio fratello più piccolino di me. Dissi, me m’ammazzino ma mio fratello no. E invece meno male, ma c’erimo in tanti lì eh [laughs] e insomma. Erino momenti brutti. Erano momenti brutti davvero.
FC: Va bene. Direi che, io la ringrazio perché c’ha raccontato delle cose bellissime e interessanti.
DDC: Bellissime [laughs] insomma.
FC: Sì, bellissime, insomma.
DDC: Bellissime [laughs], bellissime era meglio se non [unclear], era meglio se io n’avevo raccontà, oh, era meglio se n’avevo raccontato na barzelletta [laughs].
FC: Bellissime, nella prospettiva. Ci ha raccontato delle cose interessanti e molto utili, ecco, mettiamola così.
DDC: Sì e insomma così, poverina, quel che v’ho detto la verità perché è successo, voglio dì.
FC: No, no, certo, certo.
DDC: Ero bimbetta e è successo qualche anno fa, eh. È passato qualche giorno, insomma [laughs]. Però insomma grosso modo le cose quelle lì. Ora non mi posso essere ricordate le virgole, per l’amor di dio, però insomma. Così.
FC: Va bene. Grazie.
DDC: E così, eh. E questo era il paese lì a quell’ora.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Delia Del Corto
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Delia del Corto (b. 1932) remembers daily life in wartime Tuscany, living in a family of ten. Provides details on rural life, especially home bread making, and stresses the difficult coexistence with feared German troops. Mentions many anecdotes in the context of the Italian civil war: actions of the resistance, locals being strafed, round-ups, and the killing of 32 civilians as reprisal for the death of a German officer. Recollects the day she found herself under aircraft fire while she took sheep to pastures with her little brother. Describes the construction of a makeshift dug out in a field in which her father hid and recollects how she got caught in crossfire.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Francesca Campani
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-09-26
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
01:09:27 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ADelCortoD170926
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
childhood in wartime
fear
home front
Resistance
round-up
shelter
strafing
-
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Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Di Blas, Guido and Bolletti, Ilario
Description
An account of the resource
This collection consists of a dual oral history interview with Guido Di Blas and Ilario Bolletti who recollects their wartime experiences in Monfalcone and surrounding areas.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Bolletti, I
diBlas, G
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-08-26
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
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A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
PC: Sono Pietro Comisso e sto per intervistare Di Blas Guido e Bolletti Ilario, per l’archivio digitale dell’International Bomber Command Center. Siamo a Monfalcone, è il 26 8 2016. Grazie Ilario e Guido per aver permesso questa intervista. Prima di cominciare vorrei farle alcune domande per essere sicuro che questa intervista venga registrata come desidera. Ilario, è d’accordo che la sua intervista venga conservata presso dall’Università di Lincoln, esclusivamente per scopi non commerciali, che l’Università di Lincoln ne abbia il copyright e infine essere liberamente accessibile in qualsiasi formato per mostre, attività di ricerca, istruzione e come risorsa online?
IB: Va bene.
PC: È d’accordo che il suo nome venga pubblicamente associato all’intervista?
IB: Va bene.
PC: È d’accordo ad essere fotografato per l’Archivio Digitale dell’International Bomber Command Center?
IB: Va bene.
PC: E Guido: è d’accordo che la sua intervista venga conservata presso dall’Università di Lincoln?
GDB: Sì, sì.
PC: È d’accordo che il suo nome venga pubblicamente associato all’intervista?
GDB: Sì, sì, sì.
PC: È d’accordo ad essere fotografato?
GDB: Sì, sì.
PC: Bene, possiamo cominciare. Raccontatemi il vostro più vecchio ricordo riguardante i bombardamenti aerei su Monfalcone? Comincia chi vuole, chi preferisce.
IB: Posso parlare?
PC: Prego, prego.
IB: Io ero a vedere di Delfo, non c’ho la data, si era a, ci hanno preso con una, detti di andare a questa festa invece doveva essere un, i fascisti facevano un, sì che era Delfo ma non era solo Delfo, dovevano fare.
GDB: Manifestazione.
IB: Una manifestazione sua, e in quell’epoca è venuto un bombardamento e spessonamento, dove eravamo lì e si scappava dove si poteva e io ho preso un, un legno in testa che sono corso fin a Monfalcone da una zia che aveva una cantina e fin a lì, fin a poi passato il bombardamento, e ho saputo dopo che erano più morti, basta.
PC: Mi diceva di una bambina, mi raccontava.
IB: Sì. Ero con, su un bunker chiuso che non, non era aperto, eravamo lì e era anche un tedesco, e una bambina ferita alla testa con, che dopo ho saputo che è morta [pause] questo tedesco l’ha, è andata a prendere e portarla sotto lì, dopo no ho saputo più niente perché siamo scappati via e così è finita questa cosa qua. Cosa vuoi sapere altro?
PC: Parli pur liberamente di quello che si ricorda, qualsiasi cosa.
IB: Eh. E della guerra che, una volta per esempio i pescatori, mia nonna vendeva pesse in piassa per pre, quando era la mafia del pesse, non poteva venderlo come lo vendi oggi, e veniva spartito mezzo chilo di sardine facendo la fila in mercato, non era come oggi che puoi andar comprare la, il pane con la tessera, tutte quelle cose lì. Ecco, basta. Guido, parla ti!
GDB: Allora, mi ricordo el bombardamento di San Giuseppe nel ’44, quando abitavamo sempre lì su per Borgo San Michele, questa casa popolare con cinquantasei famiglie, io avevo nove anni e mio fratello ne aveva due anni più di me, due anni e mezzo più di me, Mario che adesso è morto, con una gamba poliomelitica, e quando abbiamo sentito tutt’un momento di scoppi tremendi e siamo usciti da casa scappando via, il cielo era illuminato coi bengala come a giorno, un spettacolo che mi è rimasto impresso che no mai dimenticherò, ma una scena apocalittica: le fiamme e i scoppi delle bombe del cantiere, una cosa, una cosa, un bambino di nove anni vede così, mio fratello; allora mia mamma, siamo scappati lungo il canale, l’argine e ‘ndavamo verso il monte verso, verso
IB: ‘Ndo che iera le grotte.
GDB: Dove c’erano le queste nostre grotte, ‘vevamo scavato un paio di grotte lì, per nascondersi; e ‘lora mio fratello e mia madre ‘Forsa Mario corri, corri’, lui non poteva, lui rimaneva dietro e noi, mia mama, ‘na cosa, ‘na cosa tremenda, lui faceva fatica a correre, no, lui aveva undici anni, e insomma siamo arrivati a lì, ma, ma questa scena apocalittica che ho visto io mi rimarà sempre nel, nel mie occhi. Ecco ‘l bombardamento, e poi mi ricordo che era venuto anche mio nono del Friuli di Terzo d’Aquileia, era venuto vedere dopo, l’indomani, anche cos’è succeso, quanti morti, e mi ricordo che siamo ‘ndati in cantiere e nel vecchio teatrino della Marcelliana, io ho sbirciato, mio nonno è andato dentro, era ancora tutte le, i morti messi lungo per terra là erano così, una scena anche da non vedere, ma ho visto dalla porta così, no, e mio nonno è andato a vedere. Ecco, questo è un ricordo brutto. Un altro ricordo è lo scoppio, lo scoppio della galleria, anche quella volta mi sembra fosse stata l’alba, perché abbiamo sentito questo tremendo scoppio, noi abitavamo, ‘vevamo la camera dietro verso la ferrovia, de questo grande caseggiato, case popolare, e io mi sono affacciato alla finestra e ho visto queste fiamme di fuoco che uscivano dalla galleria, no, ma anche di quella scena mi è rimasta una scena tremenda. Un altro [sic] immagine tremenda che mi è rimasta scolpita come, come ragazzo, non a Monfalcone, ma a Terzo d’Aquileia, ‘na stazione dove abitavano i miei nonni materni. A Terzo d’Aquileia io e mio fratello sempre andavamo là per motivi anche di, per mangiare roba non, un po’ di terra così, e avevano lungo la ferrovia da Cervignano a Belvedere, i tedeschi da Cervignano portavano dei vagoni anche, deposito di benzina qualche volta, facevano queste piccole stazioni fuori, no, da Cervignano, ecco, e mi è capitato che io e mio fratello ecco, anche in estate, l’estate del ’44, anche questo fatto qui, sono una squadriglia di caccia inglesi Spitfire, quelli che, veloci.
IB: Mitragliaven, cacciabombardieri.
GDB: Ecco e son capitati io, io, sulla ferrovia che raccoglieva, c’era un piccolo fosso dall’altra lato, tre binari, e io ero in mezzo lì, e un operaio che lavorava nella ferrovia, e son capitati questi caccia in picchiata, e io ho visto il pilota con gli occhiali, no, che venivano giù in picchiata e mitragliava e lanciava queste bombe, 500 libbre mi sembra che erano, o 1000 libbre, e una è rimasta anche inesplosa che l’ho vista, e son cadute nel campo di mio nonno, vicino lì, che ha fatto queste buche. Ecco io mi domando perché, vedere noi, due bambini lì, questi piloti inglesi accanirsi a mitragliare. Ma cosa mitragliavano? Io ho visto il pilota sa’, gli Spitfire e [makes a wooshing sound]
IB: Eh ma la guerra era guerra.
GDB: Tremendo, tremendo! [emphasis] Sono quelle scene che adesso io immagino chi va coi bambini che vedono la guerra, oggigiorno, capisco cosa vuol dire. E prima di questo era successo sempre lì, ‘na notte, il famoso Pippo, ha sentito parlare di Pippo?
IB: Sì, sì.
GDB: Il bimotore che girava.
IB: Iera qua.
GDB: Io dormivo nella camera e ha lanciato sempre sulla stazione un paio, due bombe che sono esplose, che la camera, i vetri son saltati, [emphasis] ma un spavento, un spavento impressionante, ecco. Son quelle cose che non vanno via, che son, colpiscono e ti rendono la vita, capisci ‘desso cosa vuol dire quanta fatica questi bambini per arrivare adulti quante prove che la vita ci provoca, no.
IB: Quel del treno blindato.
GDB: E poi anche a casa mia, non era a casa mia mama.
IB: Sì.
GDB: Subito verso, verso la fine de la guera.
IB: [unclear] La fine de la guera, no, i giorni prima.
GDB: No, è passato un treno blindato, sempre una ferrovia lì, dalla rotta.
IB: I gà sparà verso de noi.
GDB: Ecco, e ha mitragliato anche la nostra casa lì.
IB: Sì, sì!
GDB: Hanno forato il muro.
IB: Mi, mi un scuro caduto giù e lui ha cacciato tutto dentro e ha preso il contatore de l’acqua.
GDB: De l’acqua.
IB: E l’è esploso nell’attacco fuori [unclear].
GDB: Il treno blindato che è passato è andato via fuori da lì, no. Poi altri ricordi, dei flash, le dico solo dei flash della mia, siccome che lì dov’è l’ospedale adesso c’erano sei, otto, batterie antiaeree tedesche erano lì.
IB: Sì, lì che sé l’ospedal.
GDB: E lì, ecco, lì.
IB: Sì. I gà tirà lì quei li, lui iera via, ier ‘ndati i sfolati lori.
GDB: In Friuli, ma ogni tanto venivo giù.
IB: E invece noi siamo stati lì noi, no gavemo né parenti né niente.
GDB: E quegli anni là, quando passavano ma centinaia di aerei, i B-29, formazione che ‘ndavano a bombardare in Germania, erano alti.
IB: I gà tirà giorno e notte.
GDB: E lori tiravano queste nuvolette, [mimics anti-aircraf fire].
IB: I ultimi tempi proprio.
GDB: Cadevano giù le schegge anche là da noi lì.
IB: Iera proprio i [unclear].
GDB: Ma ecco, anche quei lì, quante fortezze volanti che son passate là, e una volta una è stata colpita.
IB: Sì, e i paracadutisti i sé cascadi qua, no i sé ‘rivadi [unclear].
GDB: Un aereo tentava di atterrare là dei partigiani.
IB: [unclear] L’ha cercà ‘ndar là dei partigiani. Invece no i ga arivai, li gà ciapadi i tedeschi e i fassisti.
GDB: I mitragliava, mitragliava.
IB: I fassisti che iera coi tedeschi, no, parché dopo.
GDB: I repubblichini.
IB: Sì, i repu, i repubblicani. E iera un prete che ga ciapà, iera anche un nero, che noi no lo gavemo mai visto un nero, no.
GDB: Ecco quei ricordi, quei ricordi, sì, de, che dopo altre c, altre cose lì, era un misto, sempre [unclear], al paese di mio nonno, sempre verso la fine dela guera, che i tedeschi prima di fuggire son passati di San Martino, no, ‘l paese di San Martino, dopo Terzo lì, e lì son stati attaccati, hanno ‘vuto un attacco, lì qualcosa, gli hanno sparato, e loro per rappresaglia hanno tirato su un, anche ragazzi de sedici anni.
IB: Era un treno blindato lì?
GDB: No no, lì li hanno presi per queste, e li hanno fatto rappresaglia e li hanno portati sul fiume, l’argine, andando a Terzo si vede ancora la lapide, e li hanno uccisi lì, ecco. E io ho visto passare, dopo, l’indomani, su un carro coperto col fieno, e li portavano verso il cimitero queste salme mon, sul carro, ecco. Vedi, quelle scene così.
IB: Sì.
GDB: Ecco. Tutto questo da bambino, da bambino, ecco. Altre cose Ilario?
IB: Ehh no so.
PC: Ho la domanda per Ilario: si ricorda un po’ com’è stato questo spettacolo del mago Delfo? Che ne ho sentito parlare, mi interessa saperlo questo.
IB: Sì, sì sì, semo ‘ndai là ma no go mio rivudo a vedere gnente, parché sé vignuo subito, semo scampadi via mi con me fradel, g’avevo un fradel più piccolo che sé morto [background noise], e semo scampadi via subito parché bombe, roba, de tut no sé stae niente.
GDB: In mezo al bombardamento.
IB: Ierimo ‘ndadi là con quela de veder, e ierimo tutti muli l’è, za dodici, tredici anni, quattordici anni, credemo che sia chissà cossa.
PC: Guido, prima me parlava de, dela galleria-rigufio; la me racconti quello che succedeva dentro la galleria-rifugio.
GDB: Ehh, tutti, tutti quei che abitavamo non la galleria grande, quelle piccole che ‘vemo noi, quelli de l’accasamento cinquantasei famiglie, che ‘raamo lì e ‘ndavamo su queste piccole.
IB: Quando che iera la guera e sonava l’allarme se scappava, sì.
GDB: E allora lì, una aveva vicina, perché un vecchio, un signore che ‘veva fatto la guerra del ’15-’18.
IB: Sì la g’emo scavada noi sotto.
GDB: Ha detto ‘Qui dev’esser una’, e c’era una grande busata sotto lì, e abbiamo, era pulita e ‘nsomma era la più vicina che era lì ‘nsomma, no, era abbastanza lunga come da qua a là, no Ilario, così lunga iera.
IB: Ehhla iera bela e granda, iera due entrate, cussì, no.
GDB: Perché sotto l’Austria, fatte sotto l’Austria quelle lì.
IB: Sì, iera dela guera del ’15-’18, lu ‘l se ga ricordà che iera sotto lì e g’amo scavà, parché lì vicin iera anche la cusìna, se ricorde che iera quel calabusata là, quando che sogaimo lì che iera.
GDB: Sì, sì, sì.
IB: Parché iera in tera.
GDB: E dopo ‘l nostro, dighe come che te faseimo risolver ‘l problema della fame, ‘ndaimo in cerca de pani.
IB: ‘Ndaimo a balini, ‘ndaimo.
GDB: Schegge, balini, su per i monti, purtroppo la nostra infanzia è vissuta in mezzo a tanti pericoli, ecco.
IB: Tanta miseria.
PC: Te me parlavi de questa foto qua che, recuperavisi le muizioni epoi ‘ndavisi a vender.
IB: Sì, sì.
PC: Conteme de questa.
IB: Ah ecco, poi, ‘pena finì la guera qua metevimo, una sotto cussì e meteimo la, la granata di là, qua [unclear] cussì, e qua la vigniva zo coi ditti neri [laugh], parché la granata che iera davanti, no, [unclear].
GDB: [unclear].
IB: Iera da drìo, no, meteva tal canon e i la tirava, no, e meteimo una cussì e la, e la ve dopo andavimo a scola e vendeimo la balistite, ghe disemo ‘Pol impisar al fogo’, invesse i feva.
GDB: Sa cosa facevo lui a Checco, coi vasi del Sidol, c’erano gli spaghetti, i famosi spaghetti là, li metteva dentro e dopo gli dava fuoco co’ la miccia e li lanciava, abbiamo inventato i missili, vai là, li lanciavo [makes whoosing sound], spettacolo, ai ai ai, sempre in pericolo lui, lui scop, dighe co’ te scoppiavi.
IB: No ma quan, no iero mi, poi ga fat lori ma mi no saveo niente, i g’aveva mes un, un tubo, carico de balistite, ma i ga sbaglià, i ga mes fulminante, no, e invece de scoppiar pian.
GDB: Metter la miccia?
IB: L’è soppià subito.
GDB: Ecco.
IB: Mi come che ‘ndavo fora ‘vevo giusto la man fora.
GDB: Ecco.
IB: Un mese de ospedal ho fatto, ma i te tignìa.
GDB: E poi cosa si faceva anche, Iaio ? Quando io ‘ndavo a pescar el pesse sul canal.
IB: Cu l’eletrico, butaimo su che sé l’alta tension, e gaveimo i fili che i tedeschi gaveva lassà.
GDB: Dei rodoli.
IB: Dei telefoni, no, telefonici, e mettemo ‘na ncorretta e tiraimo su oltre, e dopo tiraimo il filo e restava ciapà.
GDB: Sull’alta tension tra l’altro.
IB: Sì ma alta tension, e tal canal cu la voliga.
GDB: Una voliga, poi i pessi.
IB: Poi i pessi, vigniva, poi insomma, l’è restà morteggià, e ne trovo su.
GDB: E lù che ‘l me fa [unclear] [laughs].
IB: No [laughs], che mona, al sé ‘nda par cior el pesse, no, fortuna che ghe go tirà.
GDB: Ciapà ‘na scarica eletrica.
IB: No, ghe go tirà via el filo, al se ga distacà, i la gà risparmiada perché, bagnada e quela corente là, no iera a ven, a duecento.
GDB: Lungo il canale dell’ospedale lì, no, fino a Ponte Bianco, là così, tutta ‘na percorso di fili, alta tensione, e loro, un gruppo di giovani nuotavano su in alto [unclear].
IB: E una volta i tedeschi i se ha ribaltà, parché lì i muli, sa, i ‘ndav co’ sti gommoni no
[background noise]
PC: Tornando sempre al discorso della galleria-rifugio, che me disessi, voi me g’avè dito che sé stadi dentro due o tre volte durante la guerra proprio.
IB: Sì.
GDB: Quando l’era l’allarme, l’allarme.
IB: Sì.
PC: Ve ricordé cosa faseva le persone che iera dentro, proprio fisicamente dentro nella galleria?
IB: Eh i stava lì, i spettava, perché tante volte vigniva il bombardamento, tante volte no, ma l’allarme sonava e dopo sonava el cessato allarme.
GDB: L’alarme e il cessato alarme, sì sonava.
PC: Perché la domanda che mi me fasso, un momento de grande tension comunque perché no te sa se la casa.
IB: No te sa come che sé, cossa che l’è sta fora, o, quando che te sé dentro là, là te spetave.
GDB: Eh l’era un brusio de rumori, così, certa gente che fiadava, e iera eh, immagini del flash della galleria, sì mi quele quatro volte che ‘ndava, che me trovavo vissin Monfalcon ‘ndavo lì, ma se no ‘ndaimo sempre sul nostro, su le nostre piccole grotte che veimo qua, no, verso lì, ecco.
IB: Sì, se se trovave là te dove corer dove che iera, siccome che mi g’avevo la nonna che vendeva pesse in piassa sercavo de ‘ndar a ciapar un do pessi; i sé restadi anca schisadi un due.
PC: Te me racconti de questo fatto?
IB: Parché iera dei, i meteva dele trave, perciò che no posse un andar davanti dei altri, no, e la fila iera cussi’, pien de gente, no, pa’ ‘ndar a cior al pesse, e quel pesse che iera fin a col iera dava un po’ par’omo, e i ne dava fora cussì, iera l’ammasso per il pesse, no, i doveva portarlo tutti là, e dopo i ghe dava quel che ghe lo pagò, come che i ghe lo pagava, ma la gente ‘lmeno magnava.
PC: Perché lei la me ga contado anche che nella galleria-rifugio sé stada gente che se ga schisado durante un’allarme.
IB: Sì, sì, ma no iero là eh, noi staimo qua ma, dopo il gorno, quando che te sa subito, no, che i sé stai morti, par scampar dentro, iera ‘l bombardamento, parché se sé l’allarme ti va dentro pian, ma se sé bombardamento chi pol più, pianse meno, no i se, e par ‘ndar dentro sull’imbocco i se ga copà, che dev’esse’ ‘na brutta roba.
PC: Sì, sì, sì g’avemo trovado.
IB: Ma no so quanti, no me ricordo.
GDB: Dighe, dighe quando che i vigniva i tedeschi a far rastrellamento in casa mia, anche lì.
IB: I vigniva spesso perché iera tanti giovani che.
GDB: Partigiani.
IB: Tutti ‘ndadi coi partigiani, di fatti coi dovea sal, far saltar al ponte là, iera stadi i nostri de qua, del casamento lì, parché iera Renso, Santo; e una volta i sé vignui far rastrellamento e lu ‘l sé corso a casa San, Renso Bevilacqua, dopo i sé.
GDB: Tanti i ‘ndava sotto, sotto sui casamenti, sotto, te ricorditu?
IB: Sì, sotto de un casamento g’avemo,.
GDB: Fondamenta.
IB: Quando che iera rastrellamenti, quei che i era a casa, parché se no i li portava in Germania, i scampava sotto in cantina, ma iera la cantina bassa cussì.
GDB: Iera una portisela.
IB: Iera una portela e i ‘ndava dentro, e i ‘ndava in fondo là, e g’avea fat par fin a, serà che i ‘ndava anca de sora da sotto; per esempio Lino,.
GDB: Sì, sì.
IB: Lino proprio quel che sé morto lo, alla.
PC: A Ornella.
IB: Sì a Ornella, al g’avea fat sotto.
GDB: Una botola, sì.
IB: Sotto, sotto.
GDB: La casa.
IB: La casa, quando iera i rastrellamenti i ‘ndava sotto, gavav ‘l cappello.
GDB: Ecco, tutte robe.
IB: Ehh.
PC: E quindi per finire il discorso della galleria-rifugio, dopo sé stada questa famosa esplosion.
IB: Sì.
PC: Racconteme cosa che sé successo, se conosseve.
IB: Ehh i ‘ndava dentro par cior sti bossoli de otton, e i sé ‘ndadi dentro, i era dentro cu’ le candele, cun roba cussì e sé sta, sfilse, iera batterie, roba cussì, no sarìa sta quel che l’è vignù.
GDB: So che i ‘ndava, i sé’ndai più de ‘na volta dentro là.
IB: Sì.
GDB: Che i ghe ‘ndava [unclear].
IB: Ehh i g’aveva ferai, de nume, de roba, o che se ga rot qualcossa, parché nissun no sa, parché no sé sta, quei che i iera fora no ga rivà.
GDB: Perché ‘l cugin de tuo papà doveva esser responsabile.
IB: Sì, parché ‘l cugin de mio papà iera una guardia comunale, e lu no’l doveva lassa ‘ndar dentro ma, par la pecunia.
GDB: Ecco.
IB: Sé sta cussì, quei anni iera altri anni, de miserie, i g’veva fioi.
PC: E che voi ricordé anca alcuni nomi de queste persone, magari.
GDB: Due mi conossevo: quel lì de Ornella, Lino.
IB: Sì.
GDB: Che abitavimo assieme lì.
IB: E mi quel puntignì (?).
GDB: E quel Bolletti lì, che sé, sé la fìa ancora qua, che l’è infermiera [unclear].
IB: Sì, do casa qua, proprio qua da drìo.
GDB: Ecco.
IB: Una, una sorella sé morta, una sé viva, le iera tre, e quella muta.
GDB: Ecco, però, però, sì, mi no, mi no me lo ricordo quel Bolletti lì, nome lo ricordo.
IB: Ma anca mi.
GDB: [unclear] i ga lassà tutto.
IB: Sì, so moglie, sì che somo sempre, ierimo insieme. Anca quei iera vignui qua, no zera stai caquella volta?
GDB: Dopo, dopo, sì; mi, mi son de origine proprio monfalconesi, e noi, che noi staimo al baracche (?) de [unclear].
IB: Mi go i miei bisnonni tutti morti qua.
GDB: Dopo sé baracche(?) de [unclear], che iera vissin l’ospedal vecio, dove poi.
IB: ‘Pena finia la guera, ussio da me mama (?).
GDB: Dopo che sé tornadi indrìo tutti i profughi, i ha delle baracche fatte, no.
IB: Sì le baracche [unclear] staimo tutti e due.
PC: De là del canal iera?
GDB: Verso Via Buonarrotti.
PC: Mmmm.
IB: La Via Buonarrotti, là che iera l’ospedal vecio, vicin.
GDB: L’Ostaria del Placido, i carboneri iera.
IB: Sì.
GDB: Ecco, e dopo de lì, noi del ’38 semo ‘ndai a abitar.
IB: Lì.
GDB: Su sto palazzo grande ‘ga fatto in memoria del Duce. Mi no go conossuo mio nonno paterno, mio nonno paterno iera Capo della Finanza sotto l’Austria, Giuseppe se ciamava.
IB: E invesse.
GDB:... e iera, i ga dito, i ‘veva le caserme [unclear], però i zera pochi finanzieri, pochi finanzieri, e chi [unclear].
IB: E invece mi.
GDB: La giurisdizione le stada fin a Pieris di Turiacco.
IB: Me bisnonno Facchinetti, no, al iera a caccia con Francesco Giuseppe.
GDB: Ecco.
IB: Parché lori i stava a in Sdobba.
GDB: Ah ecco.
IB: I stava a Grado, i Facchinetti i è de Grado, me nonna iera Facchinetti, e la me contava de so papà mia nonna.
GDB: E mi,e so bepi sul, ‘l beche pescador là ‘l me contava de mio nono, che mi no l’ho conssuo mio nonno, iera in Afghanistan, no.
IB: Sì, sì, ma anca mi quel.
GDB: Alora ‘l passava.
IB: To nono me contava me papà.
GDB: Lungo el canal Valentinis, che era gente che la ‘ndava a pescar o tognar là, e lui ghe diseva ‘No, no se pol star qua, dové ‘ndar lavorar’, perché iera tante fabbrichette a Monfalcon, e i ‘ndava là, ‘ndava a lavo, lavorar, i li mandava a lavorar sotto l’Austria.
IB: So nono ‘l iera de Grado, fin a Duin ‘l g’era.
GDB: Sì, sì, ‘veva un bel.
IB: Tocco de, de vardar insomma.
GDB: E dopo se.
IB: In quei anni, ma era prima dela guera.
GDB: E dopo mi g’vevo dei zii, che no go cono, qualchidun zia no go conossù, e l’era anca [unclear]
IB: Sì, ma to bisnona la iera lì cun ti.
GDB: Le cose che mi ricordo di mia nona, che mi con mia nona, nel ’42, quei anni lì, andaimo, ela no la podeva caminar, ‘ndaimo co’ la carrozza ongi mese a cior la pension de l’Austria in Banca d’Italia, se ‘ndava, quei anni lì; e perché poi mandava ben l’Austria, pagava ben i suoi ex, no.
PC: Mi g’avesse ancora una domanda per lei, Guido, [background noise] come la se sente a esser stado bersaglio de qualchidun?
GDB: Scioccante, sé un trauma che l’è dificile cancelar, perché sé, sé robe, par impossibile che certa gente ga de accanirse magari anche contro dei putei giovani cussì, perché iera una, una stazion così de, de, che fossì sta in piena guera, ma mitragliar, i te vedi sti piloti che i te mitraglia co’ sti, sti.
IB: Ehh iera guera.
GDB: Ma, ma, ma, chi, chi chi.
IB: Lori no i saveva cos’ che iera.
GDB: Eh va ben, ma veder sti piloti co’ sti ociai cussì, che i vignìa zo in picchiata, e queste bocche ‘ tututututu’, e sganciava le bombe lì. Mio nono, che ha fatto un otto, dieci buse perché confinava con la ferrovia, no.
IB: Ma te vedi anche ‘desso.
GDB: Mio nono, co’ la carriola, da solo, i le ga stropade, sa?, mio nono, pian pian, pian pian, pian pian, col badil, sa?, cola pala, ecco, la grande costanza.
IB: Sì ma anca quel sarà [inclear] stropà tut.
GDB: No, no iera le ruspe quel’anno, col tut va a ciapr su che iera, ste bombe, buse de, mi me ricordo, go vue ‘nche, ecco. E i miei nonni quando che s’era in fin i ga dito che, semo rivai casa, che semo toradi de ritorno.
IB: Te sa cos’ che iera.
GDB: I pensava che ierimo tut morti, completamente morti, perché tut quel disastro che iera.
IB: Noi qua a Monfalcon anca semo vissudi un poco rubando il sal alla Solvay, o sui cari, o sui treni, che se saltava sui treni a cior carbon quando che i se fermava qua al semafero, se butava zo carbon o, se iera quei de sal, se ‘ndava su coi sacchetti, se impiniva de sal e dopo te lo vendevi, te ‘ndavi a ciapar pa’ roba, par ciò che i te dai la farina, ai contadini, qua a Monfalcon no iera niente, alora se ‘ndava in Friul, là, cul sal e te vivevi cussì, no.
GDB: Vigniva le navi de sal al porto, e rimaneva sula banchina tanto sal, e i ‘ndeva.
IB: Sì, ma anche, ma noi ‘ndeimo anca de note, de note cu’ me nono, te ghe davi ai fassisti, te ghe davi un do lire,i te lassava ‘ndar dentro, te ‘ndavi in scogliera, te impinivi un sac e te portava un, do, tre sacchi e dopo te li mettea, noi g’eimo i casoni, no, al porto qua, a Porto Rosegai.
GDB: In Friuli ifa bisogno del sal, per copar i maiali.
IB: Sì eh, lori par copar i porchi, una roba o l’altra voleva ‘l sal, iera come l’oro ‘l sal, e lori no i dava roba de magnar.
GDB: Ecco, ora contando ste robe qua, attualmente, anche mi go i nipoti, ne go un de unidici anni, un de sei, ma no ghe interessa niente, no sé più una volta ‘lora disea ‘Fin che quando i noni non raccontano, no, e i giovani non ascoltano.
IB: Cossa seo [unclear].
GDB: Termina tutta la storia, no’, per questo son triste mi anche, vedo mi ormai go quela età che go, no go nessuna ambission de viver, sa? Dopo go anche un fìo disabile che, povero, che ‘l ga cinquantaquatro anni, sa, tanti anni ad accudirlo e a farghe tutto.
IB: Finimo?
GDB: Sì, ‘peta ‘desso che te concludo ‘l mio percorso, Dio, son rivà a questa età qua, che no go nissuna più prospettiva, neanche speranza in un futuro migliore perché vedo che ‘l mondo va, sta andando a rotoli, sa, no sé nissun, nissun, sé ingestibile ‘l mondo ormai, per questo, ecco. E mi ringrazio ‘l signor Pietro Comisso.
PC: Mi ve ringrazio a voi.
GDB: Sì.
PC: Che sé stada una intervista meravigliosa.
GDB: No.
PC: Mi ve ringrazio per la testimonianza e per le tante robe che me g’avé.
GDB: Dei piccoli aneddoti flash, ecco, della vita nostra.
PC: Ve ringrazio infinitamente.
IB: Ti tira fora quel, quel che te par ben.
GDB: Ecco.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Guido Di Blas and Ilario Bolletti
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Projectiles, Aerial
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Pietro Commisso
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-08-26
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Marco Dalla Bona
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:29:08 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Monfalcone
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ABollettiI-diBlasG160826
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Description
An account of the resource
Guido Di Blas and Ilario Bolletti recount wartime memories associated with the town of Monfalcone and the surrounding area. Describes a severe night of bombing stressing the ominous sight of target indicators and loud explosions; recalls the massive loss of life when local children who were gathered to watch a magician's show, found themselves under attack. Recounts the appalling sight of many corpses placed in improvised morgues. Describes local shelters, some being modified First World War structures. Recollects a bomber being shot down and the stir caused by the sight of a black airman; remembers the strafing of a railway station when the aircraft was so close he could clearly see the pilot. Mentions various wartime stories: conscription dodgers trying to escape roundups, reprisals, the ominous presence of "Pippo", and a German armoured train opening fire. Recollects how people tried to get by and circumvent rationing: electrical supply by tapping overhead power lines, pilfering supplies from goods trains, bribing Fascist officers to make them turn a blind eye, trading stolen salt for flour. Describes post-war hardships when they salvaged shell cases and metal splinters for their scrap value, and mentions improvised pyrotechnic devices made with explosives taken from live ammunition. Recalls people injured or killed by improper handling of live shells. Reflects on the legitimacy of attacking non-military targets and the feeling of hopelessness this created. In the photograph, Guido Di Blas is on the left and Ilario Bolletti is on the right.
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
bombing
childhood in wartime
fear
home front
perception of bombing war
Pippo
Resistance
round-up
shelter
strafing
target indicator
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/72/719/ARaffinE161210.2.mp3
7bd5f6ab34fcdd7a3037a24972643f55
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Raffin, Ettore
E Raffin
Ettore Raffin
Description
An account of the resource
This collection consists of one oral history interview with Ettore Raffin who recollects his wartime experiences in Cordenons.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-12-10
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Raffin, E
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
MDB: Allora, buongiorno Ettore.
ER: ‘giorno.
MDB: Cominciamo oggi l’intervista per l’International Bomber Command.
ER: Adesso si parla, adesso si parla degli aerei inglesi.
MDB: Sì. Eh, cominciamo l’intervista per
ER: Io ti faccio presente adesso eh, ti spiego.
MDB: Sì, cominciamo l’intervista per l’International Bomber Command.
ER: La linea di ferroviaria
MDB: Sì.
ER: Che va da Mestre da Trieste era tutta così, un coso, e gli inglesi, di notte viaggiavano inglesi e stavano a, come si dice, a guardare, sì a guardare, a mitragliare e a mettere giù bombe sopra la ferrovia perché passavano i mezzi tedeschi, e di quello che mi ricordo così e si chiamava Pippo [emphasises] l’aereo. Era inglese. Viaggiava di notte. Era uno solo. E si davano il turno, si vede faceva certe ore poi e di nuovo un altro tutta la notte era così, protetta, no protetta, era, era, come si dice, quando, quando succedeva, quando vedevo una un coso, la ferrovia, treni correre pieno di militari o pieno di armamenti, loro venivano giù, ma solo, ma solo, e tutte le notti era questa cosa eh. Si chiamava Pippo questo aereo. Già si vede che aveva proprio il suo turno. Uno faceva non so quante ore poi un altro. Poi io te ne dico un’altra. Qui sopra il mio, nostro tetto qua, per giornate intere abbiamo visto gli aerei americani a squadriglie a sei per sei, eh. Succedeva che quando, succedeva che quando, succedeva che quando, uno si guastava allora non proseguiva perché questi aerei andavano tutti in Germania a bombardare. Qui non succedeva niente, qui viaggiavano a sei per sei e venivano, insomma portati dei caccia americani, no, le squadriglie, tutti, tutte si chiamavano fortezze volanti, ecco. E poi succedeva che qui non c’era niente, non c’era contraerea, però, neanche i tedeschi non avevano più tanti, tanto caccia da, portarci, portarsi dietro però era successo, succedeva invece che quando, con il viaggio lungo, perché questi venivano, adesso ti dico dove, di quello che si è saputo. Venivano da, aspetta, aspetta, aspetta un momento che, deve venirmi sai, dunque sì, sì, dall’Oceano Indiano, eh, sai dov’è l’Oceano Indiano? Ecco, sulle isole là, su quell’isola partivano da, tutti questi aerei, sai, ma per una giornata intera sai, eh, e sei per sei, poi succedeva però che col viaggio qualcuno si guastava, sì, o il motore o non so neanche, tornavano indietro e scaricavano le bombe. Però non hanno mai scaricato le bombe sui posti dove c’era abitazione, cercavano di sganciarle sui posti non si può dire che noi non ci ha fatto niente queste cose qua anzi noi dicevamo e ora che cominciamo a vedere gli americani, inglesi, eh? E come la stessa cosa ti dico e qua la scuola nostra avevamo e inglesi e quelli non possiamo dire niente noi, tutta brava gente. Ce n’erano di tutte le razze, sudafricane, neo, aspetta, indiane, Sudafrica, poi, sta’ attento, tutte intorno avevano le colonie, avevano, erano, poi c’avevano insieme i polacchi [cosacchi] anche e qui io ti posso una cosa dei polacchi questa che è stato un periodo che sono venuti i polacchi [cosacchi] qua, e avevano coi cavalli tutti i suoi mezzi e si sono fermati qua e poi sono andati su per San Quirino, forse sono stati mitragliati dai inglesi perché qua gli inglesi aveva più potere degli americani. Poi ti dico della base americana qua. Quando son stata liberata, prima sono venuti gli inglesi a liberarla, poi sono, poco tempo dopo sono arrivati gli americani. Gli americani hanno messo la base, la base aerea di Aviano. E noi possiamo, mai nessun contrasto con loro, sono stati smistati a fare il suo mestiere a noi ah sì anzi avevamo il piacere di vederli. Poi spiegavano questa cosa. Io vado avanti, così capiscono cosa vuol dire, quando abbiamo visto gli Americani inglesi siamo stati molto contenti.
MDB: E quando scattava l’allarme, cosa, cosa succedeva?
ER: Cosa?
MDB: Quando suonava l’allarme, la sirena d’allarme.
ER: Oh, non suonava l’allarme, guardi, niente.
MDB: No?
ER: No, perché qua non bombardavano. Venivano su dall’Adriatico, prima su dall’Oceano Indiano e andavano su, attraversavano l’Africa là, penso là, e poi venivano su la, imboccavano l’Adriatico e su diretti per l’Adriatico, sopra l’Adriatico, non c’era contraerea, non c’era niente e venivano su, e passavano e andavano su diritti su in Germania. Poi il ritorno non veniva giù di qua, andavano in Inghilterra, tornavano a caricarli di nuovo per bombardare, tornare indietro e bombardare. Perché la Germania era rimasta tutta a pezzi, eh!
MDB: Ehm, e prima della guerra, si ricorda cosa faceva, aveva fratelli, sorelle? I suoi genitori cosa facevano prima della guerra?
ER: Oh i miei genitori. Mio papà era in America, mia mamma era qua, abitava qua con le mie sorelle e mio fratello. Però mio fratello non è stato in guerra perché mio fratello, un anno prima che cominci la guerra è stato richiesto in Germania, perché faceva il falegname. Era a Friedrichshaven e là, è sempre stato là fino alla guerra. Ha sempre lavorato in Germania per i tedeschi. Poi quando è venuto indietro, è venuto indietro per la Francia, mio fratello. Però, come ti dico, altre cose. Io ho visto sai cosa anche. Che quando a Trieste, Trieste cercavano di lasciarlo agli slavi, agli iugoslavi. Ed è intervenuto perché il signor Churchill aveva proprio, come si dice, Trieste perché vada in mano agli iugoslavi. Invece sono, poi sono arrivati gli americani. Io ero a Pordenone che avevano messo i treni che venivano arrivavano e gli americani, gli americani hanno bloccato tutto e Trieste è rimasta italiana. Hai capito?
MDB: Ehm.
ER: Dimmi.
MDB: Cantavate qualche canzone, qualche, facevate qualche preghiera durante?
ER: No, no, non si usava qua.
MDB: Ehm, non so, ha qualche altra, si ricorda qualcos’altra, qualcos’altra da raccontarmi riguardo a?
ER: Io posso dire, quello che mi è successo a me.
MDB: Racconti pure.
ER: Dunque un giorno, eravamo quattro di noi, tre erano del ’25, io ero del ’26, era settembre, siamo andati su per la campagna, andavo a prender uva sai, su, dove c’era qualche vigneto. Sul ritorno, sull’incrocio della via maestra, quell’incrocio che è qua su sai, quando vai su verso Via Cervell, quell’incrocio, quando c’è quell’incrocio lì, poi vai su, vai su verso la campagna ma vai dai su vabbè, là succede torniamo indietro a piedi era di domenica [pause] siamo sulla strada, sull’incrocio, vediamo che la via maestra viene una camionetta col mitra, si col mitra, col mitra, colla mitragliatrice sopra coi tedeschi poi c’hann visto [Mimics orders shouted in German] la lingua non si capiva. Si sono fermati lì faceva adesso c’è un giardino lì, faceva angolo così, si sono messi là, sopra eran due quelli lì, uno l’han impiccato in piazza, il giorno dietro, e l’altro è stato ucciso su per Bicon, sai Bicon, sicché fermati solo ti giuro due di loro col mitra ci hann toccato armi non ce ne avevamo e hann detto ‘andate, andate pure’. Sicchè veniamo giù per la Via el Zervell quando siamo con quell’osteria là erano tutti che giocavano a carte. Siamo andati dentro scappate che sono i tedeschi che vanno a rastrellare e io sono andato, lasciato la borsa e sono andato a casa mia. Quando ero a casa mia io ho sentito [makes a machine gun noise] in piazza, adesso ho detto ‘ammazzano qualcheduno!’. Succede che quando, gli altri sono andati, sono i miei amici che eravamo assieme, sono andati ognuno per conto suo, io sono venuto a casa. Ho sentito [unclear] e la figlia, e succede perché dopo quella cosa che è successo dopo l’ho saputa da uno che era in Argentina con me, un mio paesano, che è scappato per poco, per poco. Perché è successo questo: hanno bloccato il cinema, una volta dal cinema in piazza c’era una mula davanti, era una folla, i cancelli erano tutti aperti e il cinema, erano dentro al cinema solo che arrivano i tedeschi e questa, sempre questa camionetta. E tutti cercano di scappare di qua, di là.
MDB: Ci fermiamo un attimo. Allora riprendiamo. Stava raccontando.
ER: Allora succede che questo. Che quando siamo, sì, io sono a casa mia e sento una mitragliata.
Unknown speaker: porta chiusa.
ER: Bene.
Unknown speaker: devo far el giro de qua, porta chiusa.
ER: Uno era, erano diversi partigiani dentro. Sicchè lui, questo qua che ti dico io, era scappato, e l’hanno preso, l’hanno messo sulla camionetta, assieme con quei due che avevano lì uccisi e anche lui dovevano ucciderlo perché avevano trovato la pistola. Questa me la raccontata lui. Sono rimasto quando me l’ha detto ‘lei non porta’. Arrivato lo hanno detto sicchè uno dei partigiani va di dietro per la via Nazzario Sauro con la bicicletta per andare ad avvertire altri partigiani che erano giu’ per cortina o giù di là. Questo quà prende la bicicletta, prende la strada per andare giù in cortina dentro il municipio. Quando in piazza erano lì con la camionetta han visto uno di corso in bicicletta, han cercato di sparargli, ma poi non han potuto perché c’era il municipio però di là era l’altro lato aperto. Quando lui è arrivato ha imboccato la strada per andare giù han cominciato [makes a machine gun noise] hann ucciso. Quello era un Raffin come mi chiamo io. E’ caduto nella canale, c’era la canaletta d’acqua, è caduto là. E così è successo. Hai capito, l’errore?
MDB: E se dovesse descrivere diciamo il periodo con qualche emozione, che cosa, che emozioni userebbe?
ER: Di che, di cosa, non ho capito, non capiso.
MDB: Se dovesse descrivere quel periodo con qualche emozione, tipo paura, tristezza, cosa userebbe?
ER: Sempre paura, caro, sempre paura.
Angela Piccin: Tanta paura, sempre.
ER: Sempre paura.
MDB: [unclear] Un giorno succede che le voci dicevano che sta avvenendo un rastrellamento, e la gioventù sai. Sicché bene mi dice la mia cugina che abitava di là ‘Ettore, ti dico io se c’è qualcuno la mattina presto’. Sai perche’ quando sei giovane, dorme di più la domenica, boh, niente. La domenica dietro, no, l’altra domenica, abbiamo detto, eravamo d’accordo col prete è siamo andati a dormire sopra la chiesa, abbiamo passato la notte là e poi torno indietro, niente.. Va bene, sai, la domenica dopo è successo che erano, son venute sicché mia cugina mi ha avvertito e io sono scappato. Sono andato da mia sorella che c’aveva, sopra il granaio aveva un, come una cameretta col, proprio col balcone e là, son rimasto là. Ma gli altri venivano non so, se c’era a casa mio padre, portavano via mio padre perché se non mi trovavano a me perché c’avevano una lista. E allora è andata liscia. E ho saputo della cosa qua, del, dei tedeschi in quella volta che è stato al cinema uno che mi ha detto, mi ha spiegato, mio paesano, che qua lui, lui era stato preso, sei stato fortunato ho detto perché ‘vara, perche’ era la pelle sicura eh!’ [unclear] Non era, non bisognava avere avvocati, non c’era niente da fare. Ah no.
MDB: Ha qualcos’altro da aggiungere, non so, vuole raccontare qualche altro aneddoto, che si ricorda?
ER: Eh sono quelle che cose, perché sì io non sono mai stato tanto, non andavo tanto in giro io. Perché meno che andavo in giro, eh! Perché dico anche una cosa. Quando sei giovane ti viene neanche la voglia di vedere quelle cose là, perché la prima cosa che mi ha, la prima, la principante è stato che io non andavo fuori di casa però ho sentito che è stato impiccato in piazza questo, ho detto a mia mamma ‘adesso io vado a vedere’ e sono andato di lì piano piano sul difuori e sulla curva la via si vedeva il municipio, si vedeva quello là appeso. E son venuto via perché ero, una roba, perché qua erano i fascisti. Però altra, ti dico un’altra cosa. Però anche i tedeschi, quelli che erano qua, quelli che erano qua alle scuole, per questi portavano rifornimenti sul fronte. Perché giù in Italia c’era il fronte, e quando, e questi loro non facevano niente a noi. E loro avevano un rifornimento del coso, del materiale doveva succedere in guerra. Però ti dico un’altra. Che sono rimasto male anche sai perché? Perché dove c’è il bar dietro al campanile, una volta c’era il consorzio agrario. Lo gestiva mio cognato. Senonché mio cognato un giorno mi dice ’Ettore, vien a darmi una mano’. Che là prendevano su, il girasole sai, io per girarlo, punto in bianco i balconi erano aperti e le scuole, tutto là, fuori da scuola erano due di guardia, due tedeschi, [unclear], viene giù di una piazza vestito da partigiano col mitra e con la bicicletta. Erano gli ultimi giorni della guerra, erano, sì, era per finire. Senonche’ questo qua viene giù, ti chiamano fuori tre di loro, sai, loro perché noi avevamo i balconi al piano terra perché eravamo lì davanti dalla scuola, l’hanno fatto prima gli hanno levato le armi che aveva e poi, sui locali che son di qua, l’han incantonato [?] e poi gli hanno sparato, tre di loro [makes a machine gun noise] è stata paura, caro, quello che mi ricordo. Non posso ricordarmi tutto, sai? Tante cose eh, tanti anni. L’ho detto: di queste qua non mi sono mai dimenticato. Anche degli aerei tutto. Io non ho mai visto tanti aerei come, mi davvero, ma facevano rumore assai, tutta la mattina. [pause] Ciò, andavano sei per sei sai, e tutti carichi eh. E gerano, le fortezze volanti, sono e sarebbero quelli che hanno messo la bomba atomica là in coso, in Giappone, sì, questi era, quel tipo qua, quel tipo qua, di quello che ho sentito. All’inizio era un po’ più grossi di queste. [unclear] Eh, dai caro mio!
AP: Gera una paura, paura per tutto!
ER: Le squadriglie, Madonna! E gera tuti quei aerei la! E sai, son tanti anni, non mi ricordo più tanto, tanti , io non, non mi son mai messo fuori di casa, mai! Io sono sempre stato chiuso qua, o da mia sorella che abitava in Via Nazario Sauro, sono sempre stato, hai capito? Di quello che so io, che perche loro.
AP: Perche quando c’e’ la guerra bisogna esser contenti.
ER: Noi si sapeva le cose, sai perché? Mio cognato aveva una, la radio. Era un portare [?] abbastanza buono. Mettiamo le onde corte e si prendeva London. Faceva tutto [hums the the first notes of Beethoven's 5th Symphony] era, loro ci spiegavano in italiano e se no Radio Mosca prendevamo. E sapevamo certe cose, anche del fronte, tutte ste cose. Quelle erano le cose che non si potevano sapere qua.
MDB: Bene, se non ha altro da aggiungere, io spengo il registratore. Non so, ha qualcos’altro ancora? Si ricorda ancora qualcosa?
ER: Se mi viene in mente, ti chiamo.
MDB: Va bene. Allora io spengo qui, la ringrazio per l’intervista.
ER: Sì.
MDB: E grazie di tutto.
Dublin Core
The Dublin Core metadata element set is common to all Omeka records, including items, files, and collections. For more information see, http://dublincore.org/documents/dces/.
Title
A name given to the resource
Interview with Ettore Raffin
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Ettore Raffin describes his early life in wartime Cordenons, his father being in America and his brother at Friedrichshafen. Remembers watching masses of aircraft heading north en route to targets in Germany. Maintains that bombers took off from bases in the Indian Ocean. Mentions the frightening presence of "Pippo" which bombed and strafed the nearby railway line. Stresses constant fear and recalls public executions, roundups and anti-partisan repression. Mentions occupation by Cossacks and remembers clandestine short wave radio listening to London and Moscow. Recalls the end of the war and highlights the multinational character of Allied occupation forces.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Marco Dalla Bona
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-12-10
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:23:07 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ARaffinE161210
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Cordenons
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
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Civilian
bombing
childhood in wartime
fear
home front
Pippo
round-up
strafing
-
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Title
A name given to the resource
Magnani, Tullio
Tullio Magnani
T Magnani
Description
An account of the resource
This collection consists of one oral history interview with Tullio Magnani who reminisces his wartime experiences in the Pavia area.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
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IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-03-03
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Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Magnani, T
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
Sono Filippo Andi e sto per intervistare il Signor Tullio Magnani. Siamo a Pavia, è il 3 marzo 2017. Ringraziamo il Signor Magnani per aver permesso questa intervista. La sua intervista registrata diventerà parte dell’archivio digitale dell’International Bomber Command Centre, gestito dall’Università di Lincoln e finanziato dall’Heritage Lottery Fund. L’università s’impegna a preservarla e tutelarla secondo i termini stabiliti nel partnership agreement con l’International Bomber Command Centre. Signor Magnani, vuole ricordarci i suoi anni durante?
TM: Dunque, sì, gli anni trascorsi dalla guerra in avanti.
FA: Esatto.
TM: Allora, prima di tutto, vengo da una famiglia di lavoratori. Naturalmente ho annusato il sapore dell’antiregime di cui si viveva allora. I miei genitori erano nettamente contrari al fascismo ma naturalmente non ho avuto neanche problemi a scuola. Sapevano chi era il papà, che è stato considerato un sovversivo comunista, ma per la verità nel periodo scolastico fatto durante il fascismo non ho avuto noie. Nel 1944, il 4 di settembre le superfortezze volanti americane e inglesi, alleate insomma, hanno prodotto un grosso bombardamento a Pavia e noi che abitavamo in Via Milazzi [Milazzo], della parte destra del fiume Ticino, siamo rimasti senza casa. Ci siamo salvati perché eravamo scappati nei boschi vicini. Naturalmente io e la mia famiglia ci siamo ritrovati nel territorio di Travacò a pochi chilometri da Pavia e da lì è cominciata la mia permanenza, gli ultimi mesi di guerra fino al 1945 a Mezzano Siccomario una casa che ci ha ospitato perché eravamo senza niente, eravamo ridotti proprio, io addirittura ero a piedi nudi quel giorno là. Però nel frattempo i miei genitori mi avevano mandati a casa di una famiglia, Lorenzo Alberti, che era un noto esponente dell’antifascismo pavese e che verrà arrestato nel 1944 con tutto il comitato del CLN provinciale e spedito in Germania. Ritornerà vivo e vegeto nel 1900, nel lontano 1945 dalla Germania. E naturalmente ero andato lì come garzone di bottega perché lui vendeva le macchine per scrivere e naturalmente faceva la, curava tutto l’andamento delle macchine che aveva nei vari uffici durante il regime fascista e la presenza del comando tedesco. E accompagnando l’operaio che doveva fare manodopera alle macchine da scrivere, io portavo una borsa vuota, leggerissima all’ingresso, pesante quando uscivo. Naturalmente controllato era l’operaio, io che avevo quattordici anni sia i fascisti che i tedeschi non mi perseguivano, non mi, non facevano i controlli. Poi abbiamo saputo che in quella borsa lì uscivano i bollini per l’approvigionamento degli alimenti. Perché in quel periodo dovete sapere che c’era contingentato i generi alimentari. Naturalmente questi bollini per il tesseramento andavano alla resistenza ecco. Quello era la cosa che io ho scoperto dopo la liberazione. Naturalmente di questo, di questi ricordi che ho avuto lì e anche nel comune di Travacò li ho messi giù, insomma i ricordi c’ho un fascicolo che consegno anche all’intervistatore. Ci sono alcuni particolari. Particolare è che un bel giorno, una mattina, l’operaio di questa ditta, Alberti, mi dice di andare presso l’istituto di anatomia umana dell’Università di Pavia a ritirare qualcosa. Io arrivo all’istituto di anatomia umana e a questo custode chiedo il nome e questo uomo già un po’ avanti con l’età, mi consegna una busta gialla con scritto ’Regia Università di Pavia’. Questa busta la riporto in negozio al mattino. Nel pomeriggio sempre l’operaio mi dice che doveva farmi fare una commissione fuori Pavia, e ha preso quella busta che avevo consegnato al mattino, l’ha messo dentro a una cartella, tipo quella di scuola, di cartone e m’ha detto: ‘Vai a Travacò a portare questa busta, devi andare all’inizio di Travacò alla frazione Frua e cercare la signora Brusca’ che poi ho capito si chiamava Bruschi, la chiamavano Brusca, io dico: ’sì sì sono pratico di quei posti lì perché ero, sono sfollato lì, in quei posti lì’, infatti non ho fatto fatica a trovarla una donna anziana con un cappellaccio di paglia in testa. E io dico: ’io devo consegnare questa a un signore che c’è qui’. E lui m’ha, lei m’ha detto: ‘È quel signore seduto su una cariola.’ Era un omino un po’, non troppo alto con un grosso paletò, che poi ho riconosciuto come segretario del Partito Comunista provinciale in, clandestino, l’ho ritrovato nell’immediato dopoguerra. Era Carlo Zucchella.
FA: Ah.
TM: E quella busta, ‘io devo consegnare questa roba a questo signore, sì, sì, io l’aspetto. Gliel’ho data. Era un’altra missione che mi han fatto fare. E questo mi è, mi è ancora caro ricordare quel territorio lì del Travacò adesso. L’intervistatore venne mandato dall’ex sindaco Boiocchi che abbiamo una forte amicizia e ricordo sempre quel territorio anche perché sono legato a tutta la gente che ho trovato lì, che purtroppo non ci sono più tanti. Poi ci sono anche altri episodi sempre fatti attraverso la bottega di Lorenzo Alberti. Mi dicono di andare in piazzetta, vicino alle scuole Mazzini a Pavia e io gli ho detto: ’Sì, sì’. Erano le mie scuole elementari, le conosco. Bene, proprio di fronte alla scuola vai su all’ultimo piano e devi portare questo era anche lì, una busta, una busta più pesante di quelle che ho portato prima. E in quella casa c’era un tavolo da disegno, che usano i disegnatori. E c’era un uomo che era là che m’aspettava. E c’era, a disegnare c’era uno che poi m’han detto che era un sordomuto. Era il disegnatore. Anche qui vengo a sapere, dopo la guerra, che questo signore era Cino del Duca, un grande editore di giornali e di riviste. Era anche lui membro della resistenza. E i ricordi sono tanti, gli episodi sono tanti. Sono ancora vivo anche per miracolo anche perché durante queste azioni, che io nulla sapevo l’importanza di quello che facevo, se venivo beccato non ero qui a raccontarlo.
FA: Certo.
TM: E è arrivata la liberazione e io con i miei quindici anni mi sono divertito come gli altri. Sono arrivati le truppe inglesi, la prima camionetta americana giù nel Ponte Vecchio di Pavia e ho ripreso a vivere come dovevamo vivere, a noi ragazzi alla nostra età ci è mancato cinque anni di vita.
[telophone rings]
FA: Allora, prima della pausa stavamo dicendo della liberazione.
TM: La liberazione...
FA: È tornato a vivere in borgo?
TM: No, non eravamo più in borgo perché la casa non ce l’avevamo più. Mio nonno era un pescatore, aveva le barche, tutto, è andato tutto in fumo, tutto, distrutto tutto, non avevamo più niente. Mia mamma e mio papà han trovato un appartamento vicino Piazzale Ponte Ticino ma in città. E lì è arrivata la prima camionetta americana, mi ricordo sempre, questo giovane americano, noi naturalmente ragazzi ci siamo andati tutto intorno avevamo fame e loro distribuivano cioccolato e questo qua si chiamava Dino perché era figlio di italiani, no, e aveva un sacco enorme. M’ha detto se trovavo una donna che gli avesse lavato la biancheria. Io subito gli ho detto: ‘c’è mia mamma’. E lì vicino abitavamo e ho detto, ho chiamato mia mamma, c’è questo soldato americano e ha detto che se gli lavava la biancheria c’era una cassa di sapone. Quando lui ha fatto vedere la cassa di sapone, mia mamma è saltata dalla gioia. Per dire i momenti e, ricordo ancora e ricordo anche questo fatto di questo americano che si chiamava, poi c’ha dato tanta roba da mangiare. E naturalmente lui poi è andato via. E’ stato lì due o tre giorni, ha ritirato la biancheria pulita e stirata e con grande dispiacere di mia mamma non l’abbiamo visto più. Io voglio raccontare, questo racconto dovrebbero sentirlo anche milioni di giovani perché la guerra c’ha tolto cinque anni di vita a noi ragazzi. È scoppiata che avevo dieci anni, è finita che ne avevo quindici. La fame totale, lo studio non c’ho più pensato, era talmente la gioia della liberazione che molti ragazzi miei amici non andavano più a scuola. Poi pian piano abbiamo ripreso ma poi m’ha preso un’altra cosa, la politica. E questa politica mi ha preso talmente che non ho proseguito gli studi e medie, liceo e avanti, questo. Però ho sempre chiesto e ottenuto di sapere, di volere, di sapere le cose, ho fatto uno sforzo io coi libri e anche. Il partito voleva dire tante rinunce, tante sacrifici ma il partito mi ha dato molto nel senso che nell’istruzione poi sono andato a fare dei corsi prima brevi poi brevi, poi abbastanza lunghi per cui ho fatto il mio percorso di apprendimento scolastico. Mi sono sposato, tre figli, quattro nipoti, avevamo un, abbiamo rilevato un negozio che era di mio papà ma non andavamo bene, sono entrato [clears throat], sono stato assunto dopo tante peripezie in Comune, perché voglio dire anche questo: ho partecipato a un concorso per agenti daziari e quando sono arrivato agli esami orali per essere ammesso, dopo aver presentato lo scritto, mi è stato detto che non avrei, non sarei mai stato assunto perché, essendo un corpo armato, non potevo accedere a quel posto lì per via di una vecchia legge fascista che impediva di entrare in questo corpo armato agli iscritti al partito comunista, o anche ai figli dei comunisti. Per cui però ho fatto un po’ di lavoro saltuario nelle scuole a sostituire alcuni bidelli ammalati e così via, insomma il comune mi ha sempre tenuto da conto finché poi è venuto il momento, sono entrato nel corpo vigili urbani come tesoriere e ho fatto per ventidue anni il cassiere al comando vigili di Pavia. Ma prima sono stato anche un dirigente della Gioventù Comunista e ho sempre mantenuto queste idee. Purtroppo adesso non c’è più niente, ma ho cercato di educare la mia famiglia a questi ideali e sono stato anche premiato perché sono contento dei miei figli, dei miei nipoti.
FA: Va bene.
TM: E adesso ho davanti un giovane che mi intervista e sono felice di poter rispondere a questo giovane che tra l’altro si è laureato con un personaggio che a me molto caro che è il professor Lombardi e il professor Guderzo.
FA: Tornando un attimo indietro nel, diciamo nel tempo del suo racconto, potrebbe provare a ricordare, a raccontarci quella giornata del 4 settembre?
TM: La giornata del 4 settembre ha dei precedenti. Intanto la guerra è scoppiata nel ‘40 e non so adesso con precisione ma noi da Pavia vedevamo i lampi dei bombardamenti di Milano di notte, Milano è a un tiro di schioppo da qui in linea d’aria, si vedevano i lampi, bombardavano Milano e poi venivamo a sapere che verso il ’42-’43 bombardavano anche i ponti del Po che collegavano Pavia. E noi stavamo su anche, poi per noi era un, cioè era anche bello di notte, stavamo su tra noi gli uomini pochi perché erano tutti alle armi, e allora venivamo a sapere i problemi delle famiglie questa qui, quella là, quello lì, quello là, insomma vedevamo... poi arrivano i cacciabombardieri americani, bombardano la parte nord di Pavia, ma così dei raid, di, due, tre aerei che hanno sganciato alcune bombe e han fatto qualche morto nella zona di Porta Stoppa di Pavia, la parte nord di Pavia. Quindi prima del 4 di settembre Pavia era stata
FA: Già.
TM: Aggredita dai, ma poi noi vedevamo che sull’argine del Ticino la milizia fascista aveva fatto delle postazioni con delle mitragliatrici antiaeree, che poi si sono rivelate in niente, insufficiente, erano giocattoli rispetto al momento, insomma c’erano già delle armi migliori, cioè le avevano i tedeschi, ma queste qui, e noi le vedevamo, noi capivamo che erano mitragliatrici per contrastare gli aerei. E il 4 di settembre c’è un precedente nel senso che due giorni prima a ondate successive queste superfortezze volanti cariche di bombe passavano su Pavia verso il nord, cioè andavano verso Milano, dicevano che andavano in Germania perché Milano non la bombardavano in quel periodo lì.
Interviewee’s wife: Buongiorno.
TM: La mattina di, del 4, mia moglie, ah questo ragazzo pensa Antonia.
AM: Piacere, Antonia.
FA: Filippo, piacere.
TM: C’è acceso. La mattina del 4 di settembre del ’44 mio papà si trovava al di là del fiume perché lavorava in fabbrica. Mia mamma stava cucinando qualcosa. Noi ragazzi quando passavano quegli aerei lì andavamo nel bosco adiacente lungo l’argine del Borgo Ticino per cui dopo che sono passate a ondate successive queste superfortezze volanti è arrivato il bombardamento. È stato un disastro, sembrava la fine del mondo non ci, l’atmosfera era rossa dai mattoni, picchiavamo contro le piante per scappare, insomma. Poi dopo è venuto anche il mitragliamento che è stato micidiale perché ha mitragliato verso la parte est di Pavia. Io come un automa come altri nostri amici ci siamo dispersi e siamo fuggiti verso Travacò, lungo l’argine verso Travacò e io sanguinavo, non me ne accorgevo. Nel pomeriggio ho ritrovato i miei genitori che io non pensavo più. Mio papà si era salvato perché era al di là del fiume. Mia mamma è stata salvata dal crollo, la casa non era completamente crollata, e per cui ci siamo ritrovati alla frazione Battella di Travacò Siccomario io, i miei genitori e tanti altri. Poi naturalmente i nostri genitori, tutti quelli, i borghigiani, cittadini che hanno perso la casa, molti sono arrivati nel comune di Travacò e hanno organizzato qualcosa per, insomma. [background noise] Abbiamo fatto due notti in un fienile, poi dopo siamo arrivati a Travacò e a Mezzano. Il podestà di allora, un certo Bruschi che, pur essendo fascista ci ha molto aiutati, siamo andati nelle scuole di Mezzano e i nostri genitori e tutti gli altri adulti hanno organizzato una mensa, son arrivati i generi alimentari, c’è stato un enorme, una cucina per cuocere i cibi. Dopo una settimana che eravamo lì, un giorno pioveva a dirotto, sono arrivati la Feldgendarmeria tedesca, che sarebbe la polizia militare tedesca, con un sidecar, questi due uomini mettevano paura, grandi, grossi, con questo soprabito di cuoio nero, ci hanno imposto di lasciare immediatamente le scuole e ci siam trovati in mezzo alla strada che pioveva. Eravamo un centinaio, figli, genitori, ma subito è arrivata la solidarietà del paese e ci hanno ricoverato un po’ di qui un po’ di là. Insomma la cosa è andata bene insomma, non c’è stato altro e devo dire che io da ragazzo mi ricordo ho vissuto lì fino, da settembre a due mesi prima della guerra, un paese dove, tenuto conto che mio papà era un segnalato come sovversivo, problemi non ne abbiamo mai avuti, quindi la cosa. Poi la liberazione è giunta che abitavamo già a Pavia.
FA: Ha parlato di generi alimentari.
TM: Sì.
FA: Si ricorda da dove, chi era, non so c’era un ente?
TM: I generi alimentari ce li portava il comune di Pavia.
FA: Ah, il comune di Pavia.
TM: Sì. Però dicevano, io ho saputo, che dovevamo procurarci un mezzo per arrivare da Travacò a Pavia a prender la roba, farina, riso, pasta, no. E questo podestà fascista Bruschi Pierino ha messo a disposizione un carro col cavallo e uno di noi mi ricordo ancora chi era andava a Pavia a prelevare la roba. E sono arrivate anche le brande. Il comune di Pavia ha messo a disposizione le brande e i generi alimentari. Devo dirlo con schiettezza. Cioè, pur nel disastro, il comune di Pavia è stato attento a queste cose.
FA: A queste esigenze. Prima ha detto che lungo gli argini vi erano delle, diciamo delle postazioni antiaeree, delle mitragliatrici.
TM: Sì, sì.
FA: Erano, vi erano soldati italiani o tedeschi?TM: Italiani. Erano quelli della milizia fascista.
FA: Ah, le milizie.
TM: Io, noi li conoscevamo anche perché alcuni abitavano lì vicino. La milizia fascista eran della gente che, la miseria era tanta, l’occupazione era, andavano nella milizia, alcuni andavano per sopravvivere.
FA: Per sopravvivere.
TM: Perché poi portavano a casa il rancio che gli davano in caserma. Io avevo due amici di figli, erano figli di due fascisti che erano nella milizia. E han fatto delle piazzole che adesso nell’argine non si vedono più e hanno piazzato queste mitragliatrici. Noi andavamo là a vederle eh. Erano rivolte verso là.
FA: Verso là.
TM: Però ci hanno detto gli esperti che erano stati a fare il militare che queste mitragliatrici agli aerei americani non gli facevano nulla. Soltanto però qui in questo, più più a nord di questo rione c’era una postazione di antiaerea tedesca, quella lì sì era..
FA: Vicina al cimitero forse.
TM: No, dopo.
FA: Ah, più in là?
TM: Più in alto. Addirittura c’è, lì c’è stato un, c’è uno stele che ricorda un antifascista che è andato a parlamentare con i tedeschi il giorno della liberazione per evitare che, perché loro minacciavano di bombardare tutto, è andato lì a parlamentare con i tedeschi, l’hanno ucciso. C’è ancora lo stele lì, in Piazza, Piazza Fratelli Cervi.
FA: Ah.
TM: Sì. Beh volevo dire che sì, quello che m’ha chiesto lei sulle piazzole erano nell’argine che dal Borgo va al Canarazzo, che va a Carbonara al Ticino, c’erano le piazzole della [laughs]
FA: Ah.
TM: E poi dopo il bombardamento del Ponte della Libertà che chiamavano dell’Impero una arcata è stata centrata dagli aerei americani e han fatto, i tedeschi han fatto il traghetto, traghetto con dei barconi, traghettavano e traghettavano dopo il ponte della ferrovia che era crollato anche lui. E noi andavamo a vedere tutte queste robe qui. Eravamo ragazzi. Il giorno della liberazione eravamo lì. Vedevamo i vigili urbani con la fascia tricolore il 25 di aprile in bicicletta. La città oramai era praticamente in mano agli insorti. I tedeschi si riunivano nel Castello Visconteo d’accordo con le forze partigiane. I fascisti erano scappati, c’era ancora qualcuno che per esempio dalla centrale dell’università un fascista ha sparato, poi è stato preso. E noi abbiam vissuto anche quello, da ragazzi eravamo lì rischiando anche perché c’erano dei proiettili vaganti. Fino al 26 aprile quando sono arrivate le, proprio le formazioni partigiane dell’Oltrepò Pavese dirette. Che poi il professor Lombardi ha fatto un bel libro dove parlavano di queste cose, della missione che i partigiani dell’Oltrepò Pavese hanno fatto, a Dongo hanno, quando hanno catturato Benito Mussolini.
FA: Va bene.
TM: Io le ho vissute con l’entusiasmo dei quindic’anni e non ho mollato più.
FA: Eh sì, quindi eh, poi lei dopo quel il primo bombardamento diciamo che ha subito vi siete spostati a Travacò. Avete continuato ad avere notizie, a vedere i seguenti bombardamenti sul borgo?
TM: No, noi, mia mamma e mio papà venivano, io rimanevo a Travacò venivo naturalmente a vedere di recuperare le cose che c’erano sotto i bombardamenti. Devo tenere conto che mio nonno aveva una bella attività di lavoro. Intanto erano lavandai, lavava la, erano lavandai il nonno e la nonna, avevano i clienti che portavano la biancheria da lavare. E mio nonno aveva un torchio, lo chiamavamo un torchio, era una centrifuga per strizzare i, che poi è venuta la lavatrice, ma era questo enorme cilindro che girava per strizzare i panni delle lavandaie. Anche lì l’abbiamo perso, abbiamo perso cinque barche, abbiamo perso molte reti da pescatori, insomma siamo stati molto danneggiati, siamo rimasti. Poi mio papà si è dato da fare per, come tutti, ricostruirsi una vita, cominciato a fare il commerciante di frutta e verdura e così.
FA: Ha detto che suo papà lavorava dall’altra parte del Ticino.
TM: Lavorava dall’altra parte del Ticino che era la ditta Cercil. Era una ditta specializzata che i tedeschi non la trasferivano in Germania. L’hanno fatto lavorare in Italia. Mio papà era preoccupato perché molti operai specializzati venivano trasferiti in Germania a lavorare per l’industria bellica tedesca. Per fortuna quella fabbrica lì non è stata smontata e ha continuato a lavorare fino agli ultimi giorni di guerra lì. E per io papà era un bel rifugio oltre che posto di lavoro per vivere era, cioè tenuto conto che lui era considerato un sovversivo, come li chiamavano stato mandato al confino sei mesi perché cantavano il primo maggio all’osteria e per lui era una salvezza eh avere un posto di lavoro così. Aveva una tessera per poter fare i turni di notte perché c’era il coprifuoco. Dopo le nove e mezza di sera non si poteva più girare. Se ti prendevano senza documenti venivi fucilato. Io ho vissuto tutte queste robe qui. Andavamo al cinema alle sette di sera perché era l’ultimo spettacolo. Andavamo tutti al cinema per scaldarci perché non avevamo più niente da bruciare in casa. Mancava la legna, mancava tutto.
FA: E la fabbrica di suo papà non è mai stata toccata da nessun bombardamento, nessun danno?
TM: La fabbrica, no, la fabbrica di mio papà si trova vicinissimo il viale lungo il Ticino e si trovava in Via Della Rocchetta. Che adesso han fatto, in quel cortile lì, han fatto abitazioni civili ma era la fabbrica Cerliani che l’altra è più avanti è stata fatta qui al Chiozzo c’è una fabbrica Cerliani.
FA: E producevano?
TM: E producevano filiere, meccanica, meccanica fine, roba non so. Io non sono pratico, non sono mai entrato in una fabbrica. Era proprio. Parlava, papà parlava di ‘ho l’esonero’ cioè non sono esonerato a non andare in Germania con gli operai
FA: Certo.
TM: E perché smantellavano le fabbriche i tedeschi e trascinavano gente in Germania a lavorare. Molti non rientravano più. Beh, da quel punto di vista lì ci è andata bene.
FA: Voglio farle un’altra domanda. Nella zona intorno a casa sua e del borgo, c’erano dei rifugi antiaerei, c’erano?
TM: No, in borgo non c’erano rifugi antiaerei. Noi scappavamo, i boschi dietro a via Milazzo, ancora adesso, c’erano i boschi. C’è il bosco fino a verso Travacò e noi ci [unclear], intanto sì rispetto ai bombardamenti l’abbiam fatta franca però se mitragliavano il bosco non era tanto, ti prendevano. No, a Pavia c’erano delle case, dei palazzi con, io ci sono stato perché andavamo a scuola, con i rifugi antiaerei che con le bombe americane erano, pff! E perché hanno centrato il borgo? Il borgo l’hanno centrato per via del Ponte Vecchio. Perché, se guardiamo bene la mappa di Pavia, i primi due ponti a saltare per aria nettamente sono stati quello delle ferrovie e quello cosiddetto dell’Impero che è Viale della, che è quello della Libertà
FA: Libertà.
TM: Mentre invece il Ponte Vecchio proprio per essere coperto, dalle fotografie inglesi che hanno fatto non veniva fuori netto il ponte, per cui ecco perché la parte di Borgo Ticino ha avuto dei danni con le bombe. Che loro volevano centrare il Ponte Vecchio, l’hanno centrato ma non l’hanno fatto saltare in aria. Ponte Vecchio, quello preromano, quello romano pre spagnolo, non è mai andato giù nettamente come non gli altri ponti. Per cui, no, non c’erano rifugi antiaerei come li ho visti io, in città, nei palazzi, dove si andava in cantina e queste cantine erano sostenute da pali, da travi, sacchetti di sabbia, no, in borgo non c’era niente.
FA: Insomma, ci si doveva arrangiare.
TM: E’ stata una carneficina perché i morti sono stati tanti. Poi è saltata per aria, il bombardamento successivo, la parte della città dove, viale lungo il Ticino, cioè la Via Rezia, che è stata colpita a metà. Lì avevo la nonna e la zia che abitavano lì hanno perso la casa anche loro. Però essendo sui posti di lavoro in un’altra parte si son salvate.
FA: Ho capito. Ehm, lei ha parlato prima del suo rapporto, del rapporto della sua famiglia con quel soldato americano ecco. Nonostante, diciamo il fatto che foste stati bombardati, questo vi ha?
TM: Ah per noi, gli abbiamo accolti con perché poi c’era questa atmosfera, caro giovane. Un po’ i fascisti ironicamente li chiamavano liberatori, tra virgolette, no, ma erano per noi, pur nella disgrazia. La guerra intanto non l’abbiamo, non c’entran niente gli americani, la guerra l’ha voluto il fascismo, per cui, vabbè, la mia famiglia, ma come in tutte le famiglie di gente povera, eravamo ridotti talmente male che aspettavamo gli americani. E devo aggiungere per inciso che noi, in Via Strada Nuova c’è ancora una farmacia che si chiama Farmacia Tonello. Un bel giorno sono arrivati i poliziotti in borghese, sono andati dentro da questo farmacista anziano, adesso vanno avanti i nipoti, e l’hanno arrestato, lo abbiamo saputo dopo, perché ascoltava Radio Londra. Radio Londra, io l’ho sentita, perché mio papà si sintonizzava alla sera c’era questo colonello Stevens che diceva [hums the beginning of Beethoven’s 5th Symphony] ‘Qui è Londra che parla’. Parlava in perfetto italiano e ci, ci aggiornavano. Parlavano anche dell’Armata Rossa che stava avvicinandosi alla Germania e parlavano anche che loro ormai erano arrivati anche in Italia, erano sbarcato giù, sapevamo tutto. E hanno arrestato il farmacista Tonello perché l’hanno colto in flagrante mentre ascoltava Radio Londra.
FA: Radio Londra.
TM: Naturalmente dopo due o tre giorni l’hanno rilasciato, era un uomo vecchio. Anche questo episodio ho sentito. E sì, Radio Londra trasmette. E noi, quel giorno che è arrivato, come detto, questa jeep americana, si è fermata nel piazzale pieno di macerie, eh noi ragazzi eravamo tutti attorno, per noi gli americani, intanto per la prima volta vedevamo gli americani, vedevamo gli inglesi, no. Gli Inglesi avevano nel loro esercito, avevano anche gli indiani col turbante e gli americani, questo americano si chiamava Dino, mi ricordo, non mi va via più dalla mente e per noi, lui, io avevo quindic’anni, questo soldato americano avrà avuto ventidue, ventitre anni, era un ragazzo come noi quasi insomma. Ci ha riempiti di cioccolato. Non potete, voi adesso non potete immaginare la contentezza che aveva il popolo italiano pur nelle macerie, pur, molti morivano di fame eh, perché ho saputo dopo, gli ospedali si sono riempiti perché la gente non mangiava. Io ero considerato uno scheletro. Io mi sono sposato con la mia compagna qui che ero sotto peso. Era il 1957. Ne portavo ancora le conseguenze, del mangiare che non abbiamo fatto. Per cui, loro ci hanno buttato giù la casa ma per noi ci hanno liberato.
FA: OK. Dopo.
TM: Viva gli alleati!
FA: Dopo il bombardamento del 4, è, ehm è tornato su in borgo o?
TM: Certo [emphasises], ci vado quasi tutti i giorni. Ho ancora qualche amico ma il più è il posto e naturalmente il territorio di Travacò. [pause] Ogni martedì, con i due o tre amici che ho ancora, andiamo in un’osteria di Travacò, non tanto per mangiare, possiamo mangiare anche a casa no, ma tanto per trovarci.
FA: Ho capito. Ehm, può descriverci le devastazioni diciamo che ha subìto, le devastazioni che ha subìto il borgo?
TM: Dunque, prima di tutto io ho saputo, dopo, dopo quella mattina del quattro di settembre del ’44, siamo fuggiti, siamo fuggiti, siamo scappati, un po’ di qui, un po’ di là, come ho ricordato prima, a Travacò, ma i bombardamenti si sono susseguiti. C’è stato una carneficina perché poi la gente si spostava verso San Martino. Presente Via Dei Mille? E sono andati in un tunnel che attraversava la strada e questo tunnel è dalle parti di, via sempre di Via Dei Mille, all’altezza di Strada Persa. C’era questo tunnel e la gente, per loro era diventato un tunnel antiaereo. Molta gente è andato dentro in questo tunnel. Alcune bombe sono arrivate anche lì, ma non perché hanno saltato, hanno bucato la strada, una bomba è esplosa ai lati del tunnel, c’è stata una carneficina nel Borgo.
FA: Lo spostamento d’aria.
TM: Sì, il piazzale attuale del borgo è stato tutto distrutto, chi lo vede adesso vede le case recentissime, solo la parte sinistra andando in là dove c’era la farmacia erano rimaste le vecchie case, per il resto son tutte nuove. Abbiamo perso degli amici lì, molti amici, ci giocavamo assieme. Nel mio cortile ci son stati dodici morti di anziani e gente appena arrivata. Ma la parte centrale [emphasises] del Borgo Ticino, cioè all’imboccatura del ponte vecchio, che c’è il piazzale che si chiama Ferruccio Ghinaglia, lì ho perso quattro o cinque ragazzi della mia età, non ci sono più, son rimasti lì. Per cui il borgo è, c’è un monumento lungo il Ticino voluto da un mio carissimo amico che adesso non c’è più, Calvi Agostino, che continuiamo a raccontare un po’ di cose sul calendario della AVIS tutti gli anni raccontiamo qualcosa del borgo, tutto lì. Naturalmente la Via Milazzo è stata salvata, salvo [emphasis] il mio cortile. Il mio cortile è stato l’ultimo a essere colpito da quella parte lì. Tutta la parte che va giù verso il Ticino si è salvata. Purtroppo noi siamo scappati, io non ho fatto più ritorno fin quando i miei genitori han trovato casa in città e anche lì un po’ ho stretto amicizia con i giovani del paese e mi ricordo, mia mamma aspettava mia sorella, che è molto più giovane di me e andavamo naturalmente siccome vivevamo in una stanza unica, meno male, era una stanza sia per dormire che per mangiare per cui, mentre mio papà era al lavoro, io e mia mamma andavamo in un’osteria a prenderci il cibo già pronto che ci cucinava per noi. Era bello insomma, vivevamo tranquilli in quel paese lì, trovavamo più da mangiare che non prima perché la campagna, insomma se ti dai da fare insomma, se hai i mezzi eh, perché se non hai i mezzi non c’è niente.
FA: Lei l’ha visto Pippo?
TM: Pippo, Pippo bombardava di notte. Bastava accendere un fiammifero che magari ti colpiva. Proprio davanti al mio cortile, se posso darti del tu no? Il mio intervistatore, come ti chiami di nome?
FA: Filippo.
TM: Filippo, ecco, caro Filippo, vai a fare un giro dopo. All’inizio di Via Milazzo, c’è il numero 9, è il mio cortile.
FA: Ah.
TM: Che ancora qualche fuori [muro] perimetrale, ancora la vecchia casa ristrutturate, dentro è tutto nuovo, perché è saltato per aria. Lì era il posto dove con le barche partivano di notte per andare a pescare. Caricavano le reti, erano sempre sei barche eh. Perché non era come il mare. Gettavano le reti nel fiume ma tiravano stando a terra gli,
FA: Ah.
TM: Per cui avevano bisogno di tanta manodopera, no. E avevano una lanterna, una lanterna a petrolio. È arrivato Pippo, ha lanciato uno spezzone, ha ucciso un uomo che, con un papà di un mio amico. Pippo ha colpito anche l’imbarcadero che adesso c’è dove c’è il ristorante Bardelli?
Fa: Sì.
TM: Lì c’era l’imbarcadero Negri. Pippo ha colpito anche lì. E devo dire che in una giornata bellissima come quella di ieri, a Travacò ero, ritornavamo da Pavia, io, mia mamma e mio papà che eravamo stati in prefettura a prendere qualcosa, ci davano un po’ di sostentamento, tutto a piedi eh. C’era un ricognitore inglese, un bimotore, che era talmente basso che si vedevano le figure degli uomini che c’erano dentro nella carlinga. E a volo radente eh. Noi ci siamo, ah beh la paura era tanta perché mitragliavano. A Cava Manara hanno mitragliato un corteo funebre, hanno mitragliato proprio il carro funebre. E non so, erano convinti che era una manifestazione di fascisti [laughs] o di tedeschi, vabbè e noi, si aveva paura anche di questi aerei che poi risultava un ricognitore. Sono quelli che facevano le fotografie, sempre inglesi erano. E quel ricognitore me lo ricordo sempre, una bestia sopra di noi, abbiam visto le figure degli uomini perché il bimotore aveva la carlinga senza motore, i due motori erano, sì, mi ricordo anche questo.
FA: Li avete visti quindi distintamente.
TM: Sì, li abbiamo visti benissimo e ci siamo scansati, ci siamo buttati giù a lato, io, mia mamma e mio papà. Eh sì, poi io ho sempre avuto paura di, sono rimasto scioccato. Andavo a nascondermi nei fossi asciutti del Travacò, uscivo sempre, io avevo il terrore di stare in casa fino a quando poi mi è passato ed è finita la guerra [laughs].
FA: Ho capito. Senta le faccio una domanda che...
TM: Sono qua.
FA: C’entra diciamo relativamente meno con il discorso che stavamo facendo. Lei nel ’48 era già all’interno del Partito Comunista?
TM: Ero già all’interno, devo dire che nel Partito Comunista il giorno della liberazione erano il 40, 25-26, i partigiani sono arrivati il 26-27, naturalmente si ballava si, c’era una grande confusione anche, il, ho visto, han portato un carico di fascisti che hanno fucilato in Piazza d’Italia, era la mattina del primo maggio o due maggio. E io, come ragazzo, ho aiutato, ho detto: ’ cià, vedete in Corso Mazzini, venite, venite aiutarci’, c’era un carretto dallo studio dell’avvocato Sinforiani che poi è stato eletto senatore della Repubblica trasferito un sacco di roba, cartacea no, dentro nelle casse con questo carretto del fruttivendolo li abbiam portati in Broletto. Il Broletto, bel palazzo eh, è stato occupato sia dai comunisti che dai socialisti, primo piano i comunisti, secondo piano i socialisti. Io naturalmente sono andato lì e ho partecipato a questo trasloco di documenti da Corso Mazzini e da allora sono entrato al Broletto aiutando questi partigiani che portavano la roba lì, si è instaurata la federazione comunista. Da allora ho frequentato, perché mio papà è diventato ambulante con un banco fisso di frutta e verdura in piazza, proprio di fronte al Broletto per cui vivevo lì e non ho mollato più. E allora non era ancora rinata la Federazione Giovanile Comunista perché è rinata nel ’49, io ho partecipato alla costituzione perché ero lì. Nel partito comunista se non avevi sedici anni non ti prendevano
FA: Ah!
ed eri considerato membro candidato, io ho ancora i documenti, e dovevi essere presentato da tre persone adulte perché allora la maggiore età si aveva a ventuno anni. Ma nel partito ti prendevano a sedici anni come membro candidato e ti davano la tessera ma eri oggetto di indagini, da dove venivi, chi eri e. Questo è importante. E sì, l’ho avuta, ma nel ’46, nel ’45 no, ero lì senza tessera. Ma avevamo il Fronte della Gioventù, che era un’organizzazione nata nella resistenza fatta di giovani liberali cattolici, comunisti, socialisti, era il Fronte della Gioventù. E abbiamo occupato i locali della ex-GIL, che adesso c’è il comando vigili di Pavia,
FA: Ah, sì.
TM: Là dalla curva. Sì siamo andati lì, abbiamo organizzato anche la balera, facevamo ballare, dappertutto si faceva ballare allora. Poi naturalmente noi eravamo comunisti. E nel ’48 ho partecipato al, alla battaglia elettorale che, la battaglia elettorale era una roba, bisognerebbe parlarne bene di queste robe, era una battaglia con i manifesti che la Democrazia Cristiana ci batteva tutti. Andavano ad attaccare i manifesti anche sotto le grondaie per via che loro avevano le scale delle chiese, è importante!
FA: Quindi belle lunghe.
TM: Lunghissime, che noi non avevamo. Noi potevamo al limite arrivare a tre metri. E poi loro avevano più mezzi.
FA: Bene.
TM: Ho partecipato a questa battaglia. Mi ricordo che il primo, abbiamo fatto una roba che, una roba da giovani. Il partito comunista ha fatto un bellissimo manifesto ‘Quo Vadis, dove vai, o Signore?’ e l’abbiamo messo sotto il portone del vescovado nottetempo. Però siamo stati individuati ma non siamo stati presi in flagrante e poi dopo ce l’han fatta pagare per il lancio dei volantini nei cinema. Si andava in guardina una notte, a lanciare i volantini nei cinema non autorizzati [emphasises] ti beccavano, andavi in guardina fin domani mattina.
[Doorbell rings]
TM: Tonia, guarda un po’. E, bisogna ricordarle queste cose, ai manifesti,
Unknown speaker: Chi è?
TM: il partito mi mandava in questura a portare i manifesti, bisognava metter la marca da bollo e venivano listati.
TM: Chi è?Ormai ci pensa lei, eh.
Unknown speaker: La signora Casella
TM: Venivano listati, bisognava andare in questura, allora c’erano le marche da bollo. Poi il partito mi mandava senza essere funzionario andavo con la corriera che si chiamava la Lombarda a .Milano con i soldi nella borsa a prendere le tessere. Era dove c’è la Mediobanca a Milano c’era l’Alto Commissariato Altitalia che per tutta l’Italia settentrionale c’erano le tessere e i bollini del partito e bisognava andare là con i contanti e prendere, a fare i prelevamenti, mandavano me che avevo diciotto anni, diciannove anni. Poi sono diventato funzionario del partito. Poi ho smesso quando non ne potevo più. Non si mangiava perché il partito, sì esisteva la cifra dello stipendio ma che non vedevamo mai e fin quando ero solo tiravo ma poi dovevo sposarmi e ho dovuto, non uscire dal partito ma non fare più il funzionario, lavorare con mio papà a vendere la frutta e la verdura per poi andare in Comune a lavorare.
FA: Va bene.
TM: Altro, io sono sempre a disposizione.
FA: Va bene allora la ringraziamo per questa intervista.
TM: Che cognome hai?
FA: Andi.
TM: Anni?
FA: Andi.
TM: Andi. E Filippo.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Tullio Magnani
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Tullio Magnani remembers his wartime years in the Pavia province. Although his father was blacklisted as a subversive communist he did not have any trouble at school. He recounted his role as a young resistance helper smuggling food rationing coupons, while working as a shop boy for a well-known antifascist. Remembers being an eye-witness to the bombing of Milan from Pavia. Retells of a machine gun being set up by fascists on the Ticino river bank, which proved ineffective against allied aircraft. Mentions the strafing of a funeral procession at the Cava Manara municipality carried out by what was thought to be a spotter aircraft. Remembers 'Pippo' bombing at night and targeting the fishermens wharf. Stressing how, during the intense bombing and strafing of Pavia on 4 September when they lost everything, the local fascist authority of Travacò municipality was very helpful in providing them with cots, food and lodgings in a school. Mentions wartime episodes: people seeking refuge in a tunnel used as a makeshift shelter and the carnage that ensued from the bombing, a chemist being arrested for being caught red-handed listening to Radio London, how some driven by poverty and hunger, joined the fascist guards and resorted to going to the cinema before the curfew to find a warm place to stay. Explains how Pavia’s old bridge, unlike the other two which were hit, was not hit by the bombers because it was not clearly visible in the reconnaissance photographs taken from aircraft. Describes the celebrations at the end of the war and reflects on the duality of bombers / liberators. Remembers seeing for the first time an American soldier called Dino, who gave them a soap crate as a gift for washing his laundry. Mentions post war acts of revenge, his role in the local branch of the communist party, the 1948 general election, and how he did not get a job as a tax collector because of his political persuasion.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Filippo Andi
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-03-03
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:52:11 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AMagnaniT170303
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Po River Valley
Italy--Milan
Italy--Pavia
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1944-09-04
1948
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
anti-aircraft fire
bombing
childhood in wartime
home front
Pippo
Resistance
shelter
strafing
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/70/717/AAn00974-170413.1.mp3
7b601175f7d1834f67ccdfb1c3feb0ae
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Three survivors of the Po valley bombings
Description
An account of the resource
This collection consists of one oral history interview with three survivors of the Po valley bombings.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-04-13
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
An00974
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
FA: Sono Filippo Andi e sto per intervistare le signore [omitted]. Siamo a Vellezzo Bellini è il 13 aprile 2017. Ringraziamo le signore per aver permesso quest’intervista. La sua intervista, le vostre interviste registrate diventeranno parte dell’archivio digitale dell’International Bomber Command Centre, gestito dall’Università di Lincoln e finanziato dall’Heritage Lottery Fund. L’università s’impegna a preservarvi e tutelarvi secondo i termini stabiliti nel partnership agreement con l’International Bomber Command Centre. Signora [omitted], vuole,
Interviewee: Eccomi.
FA: vuole raccontarci cosa si ricorda del tempo di guerra, in particolare dei bombardamenti avvenuti nella sua zona, dove abitava?
I: Eh, mi ricordo sì, che da quel particolare lì che noi abitavamo in una cascina che era in direzione del Ponte d’Olio, era il ponte più, un punto più preciso per i bombardamenti, venivano proprio di sopra della cascina e tiravano, e bombardava sempre il Ponte dell’Olio perché lì era, non so cosa c’era, che per loro era un punto più di riferimento. Poi va bene, prima di arrivare al ponte c’era un paese che si chiamava Orzinuovi, era un paese di molti partigiani, fascisti e via discorrendo. Mi ricordo bene quel periodo lì, ecco. Poi mi ricordo quando sono venuti alla cascina per cercare un partigiano che hanno fatto la rivoluzione per tutta la cascina quale che lui, benissimo, era scappato, era scappato fuori in una campagna dove c’era la, diciamo la produzione del tabacco. Lì c’è stato un po’ di trambusto, un po’ di difficoltà di tutti, anche con la famiglia perché venivano in casa e buttavano per aria tutto per vedere se delle volte erano o nel letto o nel mucchio del granoturco, vedere se era sotto, non so perché, come faeva a capì, e invece casa non c’era niente. Poi per proteggere, anche per vedere se ghe c’era qualcheduno che diceva la verità, portavano i ragazzi, i ragazzini come me d’otto anni dietro, perché dicevano che se non si diceva la verità mi avrebbero picchiato. E allora noi non è che potevamo dire la verità perché non era in casa nostra, era il figlio d‘un nostro principale che, lui benissimo era a casa ma noi non è che possiamo dire lui era a casa. Nel frattempo lui ha fatto in tempo a scappare. È scappato fuori, loro sono andati in casa, non hanno trovato niente e la roba è stata finita lì. Poi, sì, lì al paese ci sono state tante cose, tanti bombardamenti. C’era sto signora lì che l’hanno perfino pelata, perché era una partigiana, le dava fastidio non lo so, era perché era ricca, non lo so, lì l’hanno pelata tutta.
FA: Si ricorda qualche bombardamento in particolare?
I: Bombardamenti particolare no, perché diciamo lì alla nostra cascina non è mai successo niente, vedevamo solo a passare che buttavano le schegge, dicevano le schegge, i nostri genitori dicevano le schegge, magari erano bombette, non lo so. Diciamo proprio bombardamenti lì no. Sono stati al paese e sul Ponte dell’Olio. Noi, essendo vicini, si vedeva ma non che abbiamo visto proprio.
FA: Vi arrivavano i rumori, insomma.
I: Sì, sì.
FA: Lo spostamento d’aria.
I: Lo spostamento d’aria e così via. Però vedendo proprio da buttare giù. Poi quando c’è stato finito la guerra sono passati tutti con i carri armati i tedeschi e na davan de mangià.
I: Americani.
I: Erano gli americani na devana, passavan con i carri armati, eh quanti, e li davano giù quel pane che sembravano gallette.
I: Gallette le chiamavano.
I: ecco, il pane che si chiamano gallette e lì è stato quando la guerra è stata finita. L’abbiam finita nel ’45, ecco.
FA: Ok, va bene. Eh, signora [omitted], lei invece abitava alla cascina Brunoria.
I: E infatti, lì vicino a Pavia, proprio. E quando hanno bombardato, cosa lo chiamavano, il Ponte dell’Impero, quello lì lo chiamavano? O no?
FA: Quello di cemento?
I: Quando hanno bombardato Pavia, cos’era il Ponte dell’Impero, lo chiamavano?
FA: Sì, dell’Impero, sì. Di là c’era quello della ferrovia.
I: Che e poi mi ricordo che erano i primi di settembre no, noi eravamo, io, mia sorella e mio fratello eravamo nei campi a spigolare le patate.
I: Ah sì.
P: E niente, mia mamma è venuta a cercarci, no, perché in linea d’aria eravamo lì ad un paio di chilometri eh dal ponte, o forse neanche. Adesso non mi ricordo più però.
FA: Mi pare di sì.
I: Ecco. E niente, mi ricordo il fatto che una scheggia no, ha proprio preso mia mamma qui sulla spalla. Non c’era il sangue però c’era via la pelle, si vedeva proprio la carne rossa. Quel fatto lì la vedo ancora adesso, però c’è l’ho davanti agli occhi ancora ecco.
FA: Quindi si ricorda dove eravate più o meno. Quindi eravate lì nel.
I: Eravamo lì vicino alla cascina, fuori, fuori appena dalla cascina ecco.
FA: Quindi è arrivata fino, fino a lì.
I: Sì, sì, sì, eh, le schegge delle bombe, sì, sono arrivate fino a lì, ecco. L’altro, proprio dei bombardamenti no, non mi ricordo, ecco.
FA: Perché comunque c’era una certa distanza, ecco.
I: Sì. Anche. Ma quello lì c’è stato anche quello più che mi ricordo più grande, come bombardamento, no, che hanno buttato giu il ponte lì.
FA: E poi è andata, ma è andata in ospedale o?
I: No, no, eh sì, non c’era neanche, non c’era neanche la bicicletta per andare in ospedale. Niente. No perché difatti non è che era grave, era via solo un po’ di pelle che si vedeva, la carne rossa, eh.
FA: Graffiata insomma.
I: Sì, ecco, così. D’altri fatti, ecco proprio di bombardamenti proprio no, non mi ricordo neanche, magari me l’hanno raccontato anche i genitori, ecco.
FA: Lei invece, signora [omitted], dove abitava?
I: Io abitavo a Samperone, vicino alla Certosa. Lì hanno lanciato una bomba però non c’è stato nessun morto, praticamente, perché è caduto in campagna. Però io, di fronte a me, alla distanza di cento metri, avevo l’accampamento dei tedeschi e in casa mia mio papà era in guerra, però mia mamma aveva in casa il papà e un fratello che doveva essere militare. Quindi eravamo molto, molto, molto osservati. [phone rings] Quindi eravamo un po’ sotto pressione perché avevamo in casa questo zio.
FA: Esatto.
I: E dall’accampamento, la nostra porta dava proprio sull’accampamento dei tedeschi. Quindi loro ci vedevano in casa. Infatti un mattino mio zio è sceso dalla camera, si è messo lì per mettere le scarpe e l’han visto. Quindi hanno fatto irruzione in casa, cercavano il marito, a mia mamma dicevano il marito. Lei li faceva vedere le lettere e via, dicendo che il marito era, loro hanno visto e mio papà perché aveva in casa anche il papà,
FA: Ah già.
I: Ma loro han capito che poteva. Quindi sono andati su in camera, hanno con le baionette trafitto tutti i letti,
FA: Insomma hanno fatto un disastro.
I: un macello, non l’han trovato. Non l’han trovato poi hanno fatto, c’erano i camion che portavano via quelli che c’erano a casa non trovando per loro un uomo c’era, hanno portato via mio nonno. Però essendo vecchio il giorno dopo l’han fatto venire a casa. Ricordo dei bombardamenti per noi era come se fossero lì, erano quelli di Milano, quando bombardarono Milano, che eravamo fuori nei rifugi, sembrava proprio però non eravamo proprio lì.
FA: Dove, dove vi rifugiavate?
I: Eh, c’era un campo che avevano fatto un rifugio sottoterra, sì. Andavamo tutti lì fuori in campagna, avevano fatto un rifugio, c’era un campo. Per dire, uno era qui, poi c’era come una collinetta, l’altro era più là, lì sotto avevano scavato, fatto i rifugi e noi, quando suonava l’allarme, scappavamo tutti lì.
FA: E si ricorda come era costruito il rifugio, cioè, avevan scavato e han fatto un
I: Sì, sì, proprio scavato e noi andavamo tutti lì.
FA: E han messo le travi in legno.
I: No, no, una buca.
I: Una buca.
FA: Era giusto un buco.
I: Un buco. Era sostenuto perché era un campo alto e uno basso.
FA: Ah, ok.
I: Cioè, essendo quello lì più alto, fatto la buca e noi riuscivamo.
FA: Un terrapieno.
I: Ecco, dentro e uscire fuori.
FA: Ho capito. E l’allarme, si ricorda dov’è che era l’allarme, era in paese, a Samperone?
I: L’allarme, suonava l’allarme, dire da dove suonava non lo so. E c’è stato un bombardamento sulla statale, da Samperone alla statale, lì da Pavia c’è un chilometro e mezzo. Hanno bombardato un camion, però io non mi ricordo. C’è stato un bombardamento col camion.
FA: Ehm, un’ultima domanda. Cosa vi ricordate di Pippo?
I: Pippo era tremendo.
I: Pippo, posso dire, noi tre bambini, con l’accampamento fuori, ci faceva fare la pìpì in casa, per terra sul pavimento. Perché quand’era sera, bisognava che ci fosse tutto buio, noi avevamo l’accampamento lì, non potevamo aprire la porta, andare fuori a fare la pìpì, dovevamo farla in casa sul pavimento. I bagni in casa non c’erano, si andava fuori. E l’accampamento è come, ecco, questo è la porta, e lì dove c’è la mura, c’era l’accampamento.
I: Non c’era la luce però. Io non avevo la luce.
I: No, la candela. E magari la spegni.
I: No, no, io mi ricordo che avevamo la luce, sì, sì.
I: Una piccola lampadina.
I: Io mi ricordo che c’avevamo la lampadina. La lucerna non mi ricordo.
F: No, no, no, io la lucerna che mettiamo sul tubo e sotto c’era il petrolio, no.
FA: Esatto
I: Quando si sentiva Pippo, mia mamma [backgroud noise] la ciapava un strass nero , no la n’andava in gireva insima[unclear]
FA: e lo copriva.
I: E lo copriva. Lui andava.
I: Ma noi, noi la luce l’ho mai vista da [background voice]
I: Ricordo io, la luce l’avevamo, per quel che mi ricordo.
F: Noi facevamo con la lucerna. Con la lucerna, disevan la lucerna, c’era il petrolio. Poi avevo un tubo di sopra perché c’era fumo no. E niente, eran quello lì. Mio papà gaveva mis du caden se no comel fai. El leva tacà su li, era una lucerna.
I: Io dei tre ero la più piccola
F: non ho mai visto.
I: di tre figli ero la più piccola.
FA: Va bene allora. Va bene, vi ringraziamo allora per.
I: Niente. Bene. Poi se va bene.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with three survivors of the Po valley bombings
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
The informants remember wartime hardships endured near Pavia and Piacenza. Several stories recalled: a farmhouse being thoroughly searched for partisans, children questioned, people injured by shell splinters, a makeshift dugout used as shelter, improvised lighting at home, strafing, Germans looking for deserters and American troops giving away crackers to the children. They tell how the menacing presence of 'Pippo' forced them to relieve themselves inside on the floor. Mentions the bombings of Milan as seen from the countryside where they were.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Filippo Andi
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-04-13
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:13:33 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AAn00974-170413
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Po River Valley
Italy--Piacenza
Italy--Pavia
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
bombing
childhood in wartime
home front
Pippo
Resistance
strafing
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/68/715/PVentrigliaS1701.2.jpg
2417eec6737fadb7ac8ec0e05a1fc4ad
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/68/715/AVentrigliaV170725.2.mp3
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Dublin Core
The Dublin Core metadata element set is common to all Omeka records, including items, files, and collections. For more information see, http://dublincore.org/documents/dces/.
Title
A name given to the resource
Ventriglia, Sarah
Ventriglia, Vincenzina
S Ventriglia
V Ventriglia
Description
An account of the resource
One oral history interview with Sarah Ventriglia who recollects her wartime experiences in the Milan and Lodi areas.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-07-25
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Ventriglia, V
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
L’intervista è condotta per l’International Bomber Command Centre. L’intervistatore è Sara Buda. L’intervistata è Vincenzina Ventriglia. Nella stanza sono presenti Sara Troglio e Greta Fedele dell’Associazione Lapsus. L’intervista ha luogo in [omitted] a Milano presso l’abitazione della sorella della signora Ventriglia. Oggi è il 25 luglio 2017.
VV: Oh, no!
SB: E’ presente anche un gatto che non riusciamo a contenere.
VV: Stai giu’, allora stai qui buono.
SB: Allora, cominciamo da prima della guerra. Cerchiamo di capire un pochino quale fosse…
VV: Ecco, il mio primo ricordo di quello che poi è successo della guerra è che ero ai giardinetti, abitavamo in Viale della Argonne e davanti c’erano i giardini…
SB: A Milano?
VV: A Milano. Avevamo una signora. E in quel momento, mentre eravamo seduti lì abbiamo sentito la voce del duce ,molto forte, che stava facendo la dichiarazione di guerra. Quello è stata la prima cosa che… mi pare che era il dieci giugno qualcosa, eh questo. Poi tutto il resto è venuto dopo, e ho sopportato tutto, ma tante cose, non so i rifugi, i rifugi alla sera andavamo nel rifugio ma non nel nostro perché non era abbastanza forte, e andavamo in una casa vicina, nella cantina di una casa vicina che aveva il rifugio fortificato [laughs], mentre noi avevamo un rifugio molto debole. E mi ricordo che alla sera la mamma appena c’era l’allarme ci faceva vestire a tutte, eravamo tre, Adriana era ancora…, e ci vestivamo in fretta e correvamo a questo rifugio che era, diciamo a poco, venti trenta metri da noi, così, basta. Io poi avevo il vizio che quando mia madre mi vestiva dopo pensavo che era ora di andare a letto e mi rispogliavo [laughs]. La mettevo sempre in crisi. Poi stando nel rifugio non è che mi preoccupava molto, ecco, stavo lì e non pensavo che poteva succedere qualcosa di terribile o, però dopo quando poi siamo partiti per Ospedaletto Lodigiano, siamo sfollati, ma è stato dopo il bombardamento che c’è stato forte nel ’43 perche’ io dal fondo della via ero fuori, correvo a casa perché c’era l’allarme ho visto una casa grande in fondo alla strada che bruciava, cioè era stata bombardata e quello mi è rimasto proprio nella mente sempre, per sempre. Dopo altre cose dopo siamo partiti, siamo andati a Ospedaletto Lodigiano, eravamo nascosti, anche perché la mamma si nascondeva non solo per i bombardamenti ma perché essendo ebrea aveva molta paura. Il papà essendo cattolico aveva degli amici, perché lui lavorava in Prefettura a Milano, aveva amici che quando sapevano che i Carabinieri arrivavano vicino a noi, a Orio Litta da quelle parti, c’era la mamma che prendeva Adriana che era piccolissima, la metteva sul sellino della bicicletta e scappava nella campagna. Noi restavamo a casa, però insomma, poteva succedere anche a noi, però no. Poi oltre a noi avevamo a casa lì a Ospedaletto una zia di papà che era scappata, una sorella di papà che era scappata dal meridione, che era venuta per salvarsi su al nord e con una zia sua, quindi eravamo in casa con questa persone, inoltre in un altro appartamento c’era un mio prozio da parte della mia mamma, veronese, che era un fratello della mia nonna. La mia nonna poi è stata presa in Svizzera, cioè non in Svizzera, beh questo dopo. E quindi anche questo zio abitava lì, lui da Verona era scappato, come sua moglie era cattolica e aveva una figlia, erano andati a Verona per prendere la zia, però lei ha detto ’ma io sono cattolica, poi sono una ragazza madre‘ come se non avesse il marito, mentre lo zio era a Ospedaletto. E dopo allora lo zio era difeso, era protetto dal parroco del paese che stava sempre nelle zone del parroco e insomma si era fatto un piccolo centro per lui, è stato lì sempre e si è salvato. Mentre la mia nonna, la mamma di mia mamma, che era anche lì in quel paese sfollata per un po', era in una cascina vicino. Noi eravamo ospiti, era come un ristorante albergo che però ormai dava gli appartamenti così agli sfollati. Allora, era in una cascina vicino a noi e stava lì insieme a mia zia, cioè la sorella di mia madre che non era sposata, era fidanzata con un cattolico che stava a Milano e la zia, purtroppo a un certo punto veniva corteggiata e seguita da un gerarca fascista che abitava proprio lì in un altro appartamento della cascina, quindi non ha più potuto vivere lì, ha dovuto ripartire, è venuta a Milano ed era ospitata da una cognata del suo fidanzato e abitava in via Archimede, eh io mi ricordo tutto questo. Poi era nascosta lì e mi ricordo che la mia mamma quando siamo tornati da Ospedaletto, che non siamo stati lì molto, siamo ripartiti da Ospedaletto a gennaio, febbraio del ’44, perché mio papà venendo a Ospedaletto era stato mitragliato sul treno, quindi non volevamo più, mia mamma non voleva più che corresse questo rischio, siamo tornati a Milano. E siamo andati a vivere a casa della nonna che la nonna non c’era più, era stata presa. Allora la nonna è partita il 5 dicembre, il 5 dicembre del ’43 è stata arrestata. Mio zio che poi aveva perso il lavoro nel ’38, io me lo ricordo quando lui parlava di questo, mio zio non poteva più lavorare, me lo ricordo ancora adesso che parlava con mia mamma ‘non so cosa farò’, poi ha fatto il maestro di sci, è diventato un grande maestro di sci, ha fatto un lavoro indipendente. Ecco, volevo dire che lui e la mia zia sono partiti con la nonna per accompagnarla in Svizzera, e io me la ricordo la nonna quando è partita da Ospedaletto, mi ricordo ancora la corriera che ha preso, perché sono scesa per salutarla, la corriera me la ricordo come se la vedessi adesso, con la pelliccia nera sulla porta della corriera mi salutava. [weeps] E così dopo di allora non abbiamo più saputo niente di lei. La mia sorella più piccola di me, però più grande di Adriana, in mezzo, che vive in America, lei ha dei ricordi vivissimi. Lei invece si ricorda che quando la nonna è partita, lei stava salendo la scala per tornare a casa e la nonna scendeva e si è fermata e gli ha detto ‘Ciao, io vado via‘, lei gli ha detto ’Ma perché vai via?’, così è rimasto il ricordo della nonna. Dopo quando è arrivata in Svizzera con lo zio e la zia che l’hanno accompagnata, non è stata ricevuta, cioè l’hanno scacciata insieme ad altre quindici persone, dicevano perché non aveva ancora sessant’anni, però non lo so per quale motivo. E poi sono scappati tutti insieme, sono arrivati fino a Pino, a Varese e l’hanno arrestata a Pino, poi è passata alla prigione di Varese, dopo è passata a San Vittore, mi sembra quinto raggio, e la mamma mia quando ha saputo che era lì voleva andarla a trovare. È andata al comanda dei tedeschi qui a Milano, e ha detto che voleva parlare con loro, allora una persona che era lì di guardia ’Ma signora lei è sicura che vuole parlare? Guardi vada a casa, non si fermi qua, non insista‘ e così la mamma è tornata a casa, perché se avesse parlato con loro. Così non ha potuto neanche vederla quando era in prigione. Però lei ha mandato una cartolina a una vicina di casa, la nonna, dicendo che, credo che ce l’abbiamo ancora che sia nell’archivio, dicendo che era lì e che così e basta. È stato così. Dopo di allora, insomma tutte cose che, non si trovava la ragione di tutto questo. Io poi non capivo tanto, perché dieci anni, soltanto che mia sorella quella dell’America che ha un anno meno di me, aveva una memoria diversa, aveva, era una osservatrice di tutte le cose che succedevano e si voleva rendere conto, era e ancora adesso ha questi ricordi. Purtroppo è lontana e la sua testa comincia a non lavorare tanto bene. Ecco i miei ricordi sono questi. Quelli della nonna. Poi quelli degli zii che venivano, perché io ho tre cugini che loro hanno proprio vissuto, si sono salvati perché sono stati salvati, ci sono stati delle persone, quelli che li hanno salvati hanno avuto anche il riconoscimento. Loro sono tre, una cugina vive, una vive a Verona, l’altra vive a Haifa, la più grande, e il gemello di quella che vive a Verona sta in Inghilterra. E quindi loro hanno passato tutto il tempo scappando, passando da un posto all’altro, stavano al Sacro Monte di Varallo, e lo zio aveva documenti falsi, nonostante tutto andava a lavorare, incontrava i fascisti sul treno che arriva dal Sacro Monte di Varallo andava a Novara a lavorare e quindi anche questo era, poi la moglie, la zia era russa, non russa, lituana molto religiosa, di famiglia molto religiosa, a parte che ha avuto tutta la famiglia massacrata, tutta la sua famiglia, dove abitava a Kaunas, ma lei essendo bionda e sapeva il tedesco perché si era salvata [cat meows loudly]
VV: Buono! Buono!
SB: Diceva appunto che essendo bionda, sapendo il tedesco probabilmente…
VV: Sì, sapeva il tedesco. Lei, quando lo zio arrivava a Sacro Monte dove abitavano la zia per dirgli che poteva arrivare, che non c’erano guai sulla strada, che non c’erano controlli metteva fuori un panno, come una vecchia divisa di soldato tagliata e quindi lo zio capiva che poteva arrivare a casa. Una volta è successo che sono andati proprio a casa i tedeschi da lei, perché hanno visto questo panno, hanno detto ‘Che cos’è questa cosa?’ ‘Eh questo li uso per fare i vestiti per i miei figli’ gli aveva detto in tedesco, poi è stata molto calma, ha parlato piano piano con loro, loro non hanno neanche pensato che fosse ebrea. Anche quella era una vita stranissima, poi con documenti falsi, i bambini andavano a scuola da lì con i documenti falsi che gli erano stati dati dal comune. Poi so che il sindaco di quel paese è stato fucilato, perché aiutava, forse a Borgo Sesia, è stato fucilato a Borgo Sesia che era vicino a Varallo Sesia. Eh è questo. Io vedevo questi zii che abitavano a Trieste loro, mio zio fratello della mamma con i figli e la moglie russa, che era arrivata in Italia perché doveva studiare, per quello si è salvata e non è stata trucidata come tutti i suoi fratelli che erano a Kaunas. E quindi lei era sempre sempre attenta, avevano i documenti falsi e non insomma vivevano sul filo del rasoio, alla fine si sono salvati, e poi nel ’49 sono andati in Israele, poi la figlia, una della figlie è tornata qua, si è sposata, adesso vive a Verona. Beh loro avrebbero tanto da raccontare, molto più di me. Certe volte penso chissà la nonna che cosa ha fatto quando, non si sa niente, dicono che è stata uccisa subito, ma… e anche una sua sorella, per esempio a Verona c’era la sorella della nonna. Erano diversi fratelli e la sorella della nonna si era rifugiata, viveva a casa insieme alla zia, con la figlia che era ragazza madre, però si è salvata andando a casa di un cugino, Tullio Basevi, che è stato anche lui deportato. Era lì e un giorno sono andati a prendere Tullio Basevi che era la sua casa e dopo due giorni hanno preso anche la zia e è andata a Bolzano, poi Ravensbruck e non abbiamo saputo più niente. Aveva mandato una cartolina chiedendo biancheria e cambi perché quando era a Bolzano, ma dopo… è stata una portiera o chi le portava da mangiare che li ha denunciati, per cinquemila lire li ha denunciati. Ecco così.
SB: Quindi scusi, giusto per capire la mamma era Basevi, quindi era la mamma ebrea?
VV: Sì, sì, la mamma.
SB: Nonostante ciò era il papà che si nascondeva, giusto? Ho capito bene?
VV: Il papà la difendeva.
SB: No, suo papà.
VV: Il papà mio?
SB: Sì, sì suo papà
VV: Era cattolico
SB: Si nascondeva quando eravate sfollati?
VV: Mio papà doveva stare attento perché era proibito sposare una donna ebrea. Mia mamma era ebrea, la legge era già da prima. Loro si sono sposati nel ’31. Devo dire che mio padre è stato molto coraggioso. Ma mio padre però si doveva un po', non si facevano mai vedere insieme perché, se andavano da qualche parte uno da una parte uno dall’altra. Ma io questo non lo sapevo, l’ho saputo dopo. E poi mio padre lavorava in Prefettura, aveva un bellissimo ufficio al primo piano. Questo me l’ha raccontato mia sorella dell’America, perché io, e aveva un bell’ufficio, lavorava per la censura, poi quando hanno capito che lì andavano i tedeschi a controllare i registri anche del personale l’hanno spostato al pian terreno qui alla Prefettura di Milano, perché la stanza dava su un giardino e lui già una volta era scappato uscendo dalla finestra del giardino. Insomma l’hanno aiutato perché, si anche lui doveva stare attento. Poi quando è stato mitragliato, l’abbiamo saputo eravamo a Ospedaletto, lui arrivava con il treno la sera, invece l’abbiamo visto arrivare su una carrozzella, si una carrozzella con il cavallo che era ferito e la mia mamma quando l’ha visto è svenuta. Ecco. Dopo siamo tornati a Milano e abbiamo ricominciato a studiare, abbiamo cercato di riprendere non so l’anno, quando. Stavamo a casa della nonna finché abbiamo potuto poi siamo andati in un’altra casa. Adriana era nata nel ’40 perciò era, non so, tutto questo è dentro di me non è che, è come se avessi una fotografia dentro di me, a parte tutto il resto, ma non so.
SB: Io ho delle domande.
VV: Sì.
SB: Vorrei fare un passo indietro.
VV: Sì.
SB: Intanto le chiedo se ci può far capire un po' come era costituita la sua famiglia, quanti anni avevate voi sorelle e che cosa facevate prima della guerra, che cosa facevano i suoi genitori.
VV: La mia mamma era casalinga, era molto brava a cucire, ci faceva dei bei vestiti, ma per il resto non lavorava, non ha mai lavorato. Il papà era sempre della Prefettura. Io andavo, ho cominciato ad andare a scuola, perché avevo dieci anni, mia sorella aveva un anno di meno, mia sorella Antonietta, Tata, che sta in America, e l’Iginia purtroppo non c’è più, la terza sorella, noi eravamo quattro, è morta nel duemila e due, ha avuto una malattia brutta, improvvisa, ha avuto una leucemia, stava a Roma e poi Adriana era piccola, nata nel ’40. Quello che mi ricordo molto quando la mamma prendeva la bicicletta, metteva Adriana sul sellino e scappava nelle stradine di campagna per non farsi trovare dai tedeschi eventualmente se dovessero venire a casa, se dovevano venire a casa. Perché loro andavano a vedere i registri di tutti, degli sfollati di tutti. Vedevo anche dei ragazzi che quando sapevano che arrivavano i tedeschi o i fascisti si nascondevano da tutte le parti, andavano sotto i letti a casa della persone anche che non conoscevano per non farsi trovare. E poi una volta, quando dalla mia nonna, adesso questo mi ero dimenticato però non è molto importante. Una sera quando stava ancora nella cascina dovevano tornare a casa, era da noi e doveva tornare a casa. Io l’ho accompagnata, ho detto ’Nonna, io ti accompagno’. Sono andata con lei, a un certo punto la nonna aveva in mano c’era una piccola lampadina da tenere che si chiamava mi pare no chiocciola, un altro nome, un nome così aveva, che faceva anche un rumore, che si accendeva e si spegneva toccandola. Allora si è avvicinato un gendarme, c’era già la repubblica no, tutto vestito di nero e ha gridato a mia nonna ’Cosa fa lei con quella luce, lo sa che c’è il coprifuoco’?” E la nonna l’ho sentita proprio gelare e io non ho detto niente, e niente ci ha lasciato andare per fortuna così l’ho accompagnata. Si chiamava forse aspetta, chiocciola. Era un tipo di lampadina che avevano tutti.
SB: A cosa serviva? Come mai ce l’avevano tutti?
VV: Non so perché, era quella che si usava quando c’era buio. Era molto comune come tipo, ma nel coprifuoco certo non si poteva usare, ma la nonna l’aveva usata. Per un tratto di strada non pensava che arrivasse un così, un gendarme. E così è andata.
SB: Senta quindi lei era piccola comunque…
VV: Sì, sì
SB: E quando è scoppiata la guerra lei come lo ha saputo. Qualcuno gliene ha parlato, qualcuno in qualche modo le ha spiegato cosa stava succedendo o lo ha capito lei da sola in un altro modo.
VV: No, no, no, non abbiamo avuto grandi spiegazioni. Abbiamo visto che tutto era cambiato, tutto diverso, le persone molto tese, molto preoccupate, e poi io l’ho sentito annunciare così me lo ricordo. No, no, diciamo non siamo stati preparati ad affrontare la guerra, ad affrontare la situazione, no. Arrivava di giorno in giorno e…
SB: Per esempio la prima volta che siete scesi in un rifugio, la mamma vi ha spiegato, il papà vi ha spiegato che cosa bisognava fare?
VV: E beh ci dicevano di stare buoni, tranquilli e di non muoverci, di non, niente di particolare. Eravamo forse troppo piccole per essere informate. E poi c’era sempre questa tendenza di mia madre di tenerci sempre, come dire, protette, di non darci troppe informazioni. Penso che questo, sempre l’aveva avuto questa. Mia mamma è morta nel 2004, dopo mia sorella, mia sorella nel 2002, mia mamma nel 2004, aveva novantaquattro anni.
SB: Wow.
VV: Ma di queste cose non ne voleva mai parlare. E perché il fatto della nonna è stato una tragedia. Non solo la nonna, anche la sorella, anche il cugino, anche… Per fortuna uno dei fratelli, dico fortuna, il fratello più grande, erano cinque fratelli, la mamma, la sorella e tre fratelli e uno, il più grande, Gino, era morto nel ’38 per un mal di cuore, quindi lui non ha vissuto niente di questo, ma non lo so, forse è stato meglio così. Erano cinque fratelli che si divertivano a Verona, abitavano nel ghetto di Verona, c’era allora ogni tanto mia mamma mi raccontava delle cose, di quello che facevano per divertirsi, andavano sull’Adige con le carriole, insomma cose così, ma questo era proprio prima.
SB: Quindi da Verona la sua mamma è venuta a Milano quando si è sposata.
VV: Quando si è sposata. Ha conosciuto mio papà a Verona, perché lui stava lì alla Prefettura. Si sono conosciuti e dopo è venuta a Milano. Però anche la mia nonna era venuta a Milano a Verona dopo che è stata vedova, che il suo marito è morto nella prima guerra, nella guerra ’15-’18, però è morto nel ’19, nel febbraio del ’19 perché aveva preso una malattia, la spagnola. La guerra era già finita, ma lui era ancora, diciamo, nel campo, allora da allora la nonna è partita da Verona e è venuta a Milano. Poi la nonna ha vissuto sempre a Milano, faceva la sarta, era molto brava, maestra di sartoria, e così. E non so se, prima della guerra era così, non sapevo molto di quello che succedeva, no.
SB: Veniva fuori per caso, prego…
VV: Una volta la mamma quando la zia, quando siamo tornati a Milano nel ’44 e la zia era nascosta in via Archimede, una sera la mamma ha deciso che voleva andarla a vedere, andarla a salutare, allora, c’era il coprifuoco anche a Milano e con noi ha voluto andare fino lì di sera, in fretta, però insomma anche lì è stata un po', e quindi mi ricordo che mio papà ha dato i biglietti per andare al cinema, eravamo andati al cinema, non lontano, in corso Ventidue Marzo c’era un cinema, e dopo del cinema la mamma ha voluto andare a trovare la zia. Comunque ha preso un rischio molto grosso, perché c’era il coprifuoco.
SB: E voi eravate con lei?
VV: Sì. Certe volte non si considera bene il rischio. Forse la mia mamma si sentiva protetta perché diceva ‘Io ho sposato un cattolico, quindi c’è un matrimonio misto quindi a me non mi toccheranno‘ e invece non è stato così. Vorrei raccontarvi di più, ma purtroppo.
SB: Beh io ho sempre delle domande. [laughs]
VV: Sì, sì [laughs]
SB: Posso procedere con le domande.
VV: Ah sì è messo calmo. Allora ha salvato qualche cosa?
SB: Sì, sì, sì.
VV: Il gatto?
SB: Sta ancora registrando, sì, sì.
VV: Ah sì?
SB: Sì, sì, assolutamente. Io volevo chiederle. Ha accennato a un registro degli sfollati. Siccome non ne so nulla, volevo sapere se per caso si ricorda quando siete arrivati a Ospedaletto se vi siete registrati.
VV: No, il registro era di tutti i residenti, ma anche degli sfollati ed era un paese vicino, Orio Litta. A Orio Litta avevano i registri, quindi quando arrivavano i tedeschi così, mio padre veniva avvisato e avvisava la mamma di nascondersi insomma. E no, non so veramente, sarà negli archivi, perché o registri li avranno..
SB: Però comunque voi comparivate in questo registro?
VV: Eh sì, sì.
SB: Ho capito. E senta e mentre eravate sfollati avete avuto delle difficoltà di qualche sorta a vivere in questo posto? Le condizioni com’erano?
VV: Beh, c’erano tanti sfollati, però non credo che considerassero o che pensassero che la mia mamma fosse ebrea, no. Però stava molto attenta, sì, stava molto attenta. Anzi le devo dire che c’era una sorella di mia padre venuta dal sud e la famiglia non era molto d’accordo che mio padre avesse sposato un’ebrea, questo è ovvio no, e allora lei con la mia mamma non andava proprio d’accordo e una volta quando era lì giù nel cortile della casa, il cortile interno, ha detto ‘Senti, smettila di parlarmi così eh’ la zia da giù, da giù a su dal balcone ’Smettila di parlami così perché io guarda che ti denuncio‘ e una zia io questa cosa l’avevo sentita, poi la mamma è rimasta proprio scandalizzata da questo. Del resto c’erano queste cose. Doveva stare attenta, doveva...
SB: Voi avevate contatti con questi altri sfollati?
VV: No. No, avevamo contatti solamente con chi ci ospitava che era il padrone di questo posto, di questo ristorante, credo che ci sia ancora nella strada principale di Ospedaletto Lodigiano. E solo con loro, poi basta. Poi sì, con altri sfollati sì, con delle persone che avevano dei figli nascosti, due figli maschi grandi in età di fare il soldato che erano nascosti e quindi si parlava così tra di loro, si sapeva di questo ma nessuno diceva niente. E poi avevo contatti con un’altra signora, sì una signora, una professoressa di piano che si chiamava Salomone di cognome, ma non abbiamo mai saputo se fosse ebrea o no, ed era molto brava, molto gentile, molto, sì, mi ricordo questo. Però con poche persone.
SB: Non c’era una comunità?
VV: No, no.
SB: E senta in questo posto, Ospedaletto.
VV: Sì.
SB: C’erano anche lì dei rifugi per qualche motivo oppure non c’era nulla di legato, che legasse quella esperienza al contesto più ampio.
VV: No, di rifugi no. No, no. Non c’erano i rifugi, non mi ricordo. Ogni tanto passava un aereo che non so come si chiamava, Pippo mi sembra, che faceva dei sorvoli ma non sapevamo neanche se fosse tedesco, se fosse, beh sarà stato senz’altro italiano o tedesco perché… No non era una vita di collettività, era una vita molto riservata.
SB: E di questo Pippo gliene ha parlato qualcuno o…
VV: No, no lo sentivo, si sentiva quando arrivava, era un aereo che faceva un sorvolo poi andava via.
SB: Quindi non vi, non vi…
VV: No, no.
SB: Non lo temevate.
VV: No. Lì i bombardamenti non ce ne erano, non ne abbiamo mai vissuti i bombardamenti, tranne il mitragliamento del treno. Probabilmente avran bombardato qualche treno, ma non lo sapevo.
SB: E di sirene invece ne avete sentite quando eravate sfollati?
VV: Oh tante, sì, sì eccome.
SB: Lì a Ospedaletto no.
VV: No, no.
SB: A Milano invece?
VV: Sì, sì, tante.
SB: Tante?
VV: Sì, sì, tante. Era molto impressionante. Adesso quando le rifanno sentire qualche volta si torna indietro subito.
SB: C’era una frequenza assidua durante il giorno?
VV: Una frequenza di sirene?
SB: Sì.
VV: Sì, anche due o tre, sì. Quelle di notte erano più brutte, perché bisognava uscire e andare al rifugio fuori con il freddo. Io mi ricordo ancora le persone che stavano magari di fronte a noi così di notte, perché nessuno doveva, a noi ci dicevano di non parlare, di non fare amicizie nel rifugio, così. Poi gli altri non lo so come facevano.
SB: Ma senta, quindi le persone che c’erano nel rifugio voi non le conoscevate?
VV: Eh no.
SB: Erano persone che arrivavano…
VV: Noi eravamo come dire dei fuoriusciti, dei raccomandati. Eravamo dei raccomandati perché andavamo all’altro rifugio. Non so come ha fatto mio padre, ma ci ha fatto andare in quel rifugio.
SB: Perché non si poteva andare in un rifugio a caso?
VV: No erano tutti dei palazzi, dei condomini, dei, si poteva essere ospitati se qualcuno ti ospitava, però ogni casa aveva il suo. Diciamo che eravamo raccomandati.
SB: E senta per tramite di suo padre o come?
VV: Eh non lo so se tramite mio padre o tramite mia madre o forse qualcuno. Mi ricordo ancora là sulla via tra Via Pietro da Cortona, doveva essere verso Piazzale Susa, prima, prima, mi ricordo ancora il numero della casa, cinque, era il numero cinque, ma è possibile che ci si debba ricordare le cose in questo modo? Non lo so. E la mamma diceva dobbiamo andare lì, perché lì siamo più sicuri.
SB: E vi convinceva? Eravate convinti di questa cosa?
VV: Sì, sì.
SB: Quindi lei si autogestiva, anzi no la mamma la vestiva.
VV:Sì, sì la mamma mi vestiva, diceva ‘Bisogna andare’, perché aveva tre da vestire, io più le mie sorelle. E lei mi vestiva e nel frattempo che vestiva le mia sorelle io mi spogliavo, perché pensavo che era l’ora di andare a dormire. Così insomma si vede che non mi rendevo conto neanche del pericolo che c’era.Sì, sì, questa è rimasto come un ricordo. Insomma non sono tanti i ricordi, però sono… Ormai non c’e quasi più, non c’è nessuno, ci sono i miei cugini, la mamma loro, la zia Golda, quella lituana non c’è più, è morta nel 2010, stava ad Haifa, aveva più di novantaquattro anni, lo zio ha avuto un incidente, il marito, il fratello di mia madre, cioè il marito, era in Israele e lui lavorava alle miniere di Timna, lavorava come chimico e niente un giorno è andato lì, un giorno mi pare che era quasi di festa e la macchina, pioveva e la macchina, le ruote non hanno resistito e ha avuto un incidente e nel ’72. Lui ormai era lì già dal ’49.
SB: Quindi dopo la guerra la famiglia si divide, giusto?
VV:Sì, sì.
SB: Voi rimanete a Milano?
VV: Noi sì. Fino a quando abbiamo studiato, poi dopo insomma negli anni ’60 mia sorella che è in America ha conosciuto un ragazzo di Tripoli che era scappato da Tripoli perché, l’ha conosciuto e si sono sposati, allora lei è partita ed è andata in America. Io sono andata a lavorare a Roma e Adriana è rimasta qui a Milano. L’altra mia sorella purtroppo è morta nel 2002 e lei viaggiava anche, alla fine lavorava all’Alitalia, ma aveva fatto anche, aveva fatto la cantante, aveva fatto anche un concorso a Sanremo negli anni Sessanta, poi alla fine lavorava all’Alitalia quindi.
SB: Senta, le è mai capitato di ripensare a questo periodo a cui appunto avete vissuto sotto minaccia?
VV:, sì, molto spesso.
SB: E ripensa, per esempio appunto per quanto riguarda i bombardamenti, le è mai capitato di pensare a chi guidava appunto gli aerei?
VV: A chi guidava l’aereo? Beh più che altro pensavo a chi sganciava le bombe, più che a chi guidava l’aereo. E quello sì. Lo pensavo sempre. Lo penso anche adesso, perché questo palazzo che ho visto tutto con il fuoco in cima, proprio era come un tizzone, un palazzo molto grande, si vede che avevano buttato più di una bomba e quello proprio mi è rimasto nella mente sempre. Non ho molti ricordi come..
SB: Beh non mi sembra. [laughs]
VV: Quello del gendarme quando camminavo con la nonna che si è avvicinato, quello quando ci penso mi vengono ancora i brividi. È stato proprio, dico ’Ma come è possibile sono pochi metri e spunta questo!’. Poi non parlava la nonna, la nonna mi ricordo che si è come raggelata e io non parlavo, per lo meno io non parlavo, perché se avessi parlato non so. Fortunamente se ne è andato. Tanto poi le cose sono andate male lo stesso. Sono un po' diversi i miei ricordi da quelli di mia sorella, no?
SB:, sì, sono di bambine di età diverse.
VV: Eh sì, sì. Beh però è un bel lavoro quello che stanno facendo.
SB: Ci stiamo impegnando. Allora…
VV: Se ha altre domande io sono qui
SB: Io sono soddisfatta. Se, OK interromperei l’intervista se non ha altro da aggiungere.
VV: No, per il momento no. Può darsi che poi mi viene qualche cosa.
SB: Certo. Allora la ringrazio.
VV: Io ringrazio voi.
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Title
A name given to the resource
Interview with Sara Ventriglia
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Sara Buda
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-07-25
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Greta Fedele
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:50:12 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AVentrigliaV170725
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Switzerland
Italy--Po River Valley
Italy--Lodi
Italy--Milan
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An entity responsible for making the resource available
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Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1943
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Sara Ventriglia, the daughter of a Jewish mother and a Catholic father, recalls her early life in wartime Milan. She describes the alarm being sounded, she and her family getting quickly dressed to reach a nearby shelter. She recollects moments inside the shelter emphasising how unpleasant it was on winter nights and mentions the terrifying sight of a building engulfed in flames. She narrates the trials and tribulations of her Jewish grandmother who was arrested in 1943 when trying to escape to Switzerland, likely to be a Holocaust victim. Speaks with an affection for her grandmother and emphasises how the grief is still alive and present. She describes the trials and tribulations of her Jewish relatives forced to live under false identities, one of them deported to Ravensbruck and the subsequent lives of those who escaped the Holocaust. She recounts how she was questioned by a Fascist militiaman for contravening blackout regulations during curfew. Several different wartime anecdotes: how her father was injured when the train he was travelling on was strafed, draft-dodgers hidden in concealed rooms, and the constant presence of Pippo.
Coverage
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Civilian
bombing
childhood in wartime
faith
fear
grief
Holocaust
home front
Pippo
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Title
A name given to the resource
Serafini, Anna Maria
Anna Maria Serafini
A M Serafini
Description
An account of the resource
One oral history interview with Anna Maria Serafini (b. 1922) who recollects her wartime experiences in Bologn and Imola.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
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Pasetti, AM
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GF: Buongiorno signora Maria.
AMS: Buongiorno.
GF: Le chiedo se può raccontarmi cosa faceva, com’era la sua famiglia, dove abitava prima che scoppiasse la guerra.
AMS: Dunque io abitavo in via Pascoli 7, i miei genitori, mio papà ingegner Filippo Serafini [pause] era presidente dell’Aeroclub di Bologna [pause] devo andare avanti?
GF: Sì, sì, prego, mi racconti pure.
AMS: Ah, allora io ero giovane perché sono nata del ’22, il 16 luglio del ’22, perciò sono stata prima a scuola, alle scuole Pascoli poi sono passata al liceo Galvani che era un liceo molto importante a Bologna, ed era gli studi classici. Io facevo il liceo, quando è stata la seconda liceo, mi sono fidanzata con Luigi Pasetti che allora era uno studente. Lui era appassionato di volo, mio padre era il presidente dell’Aeroclub di Bologna, il mio, allora il mio fidanzato prese il brevetto di pilota civile, con questo lui sarebbe stato richiamato in aeronautica qualora lo avessero richiamato. E così noi eravamo fidanzati e scoppiò la guerra, eravamo ancora fidanzati. Mio marito fu subito richiamato, fece ehm il servizio militare come aviatore eh, e io continuai gli studi fino avere la licenza del liceo classico. Siccome mio marito, insomma il mio fidanzato, era lontano io mi, avevo preso il diploma del liceo classico, mio papà, benché io fossi molto giovane - avevo 19 anni - ci lasciò sposare e noi ci siamo sposati il 9 aprile del ’42 in piena guerra. Fu un matrimonio proprio bello, di guerra mio marito era in divisa da tenente, sottotenente dell’aviazione, e lì c’è la fotografia. E poi mio testimone fu il generale Ranza, Ferruccio Ranza un eroe della guerra mondiale, della seconda guerra mondiale, anche lui generale d’aviazione. E testimone di mio marito fu un suo collega anche lui sottotenente d’aviazione. Mio papà era in divisa da colonnello d’aeronautica perché lui aveva fatto la prima guerra mondiale come pioniere dell’aria infatti lui era vice presidente dei Pionieri d’Italia, ero stato uno dei primi aviatori italiani nella prima guerra mondiale. E allora in certe occasioni poteva vestire la divisa perciò fu tutto un matrimonio in divisa. Noi ci siamo sposati il 9 di aprile del ’42, finita la licenza che mio marito aveva avuto per un mese io lo seguii perché lui era allo stormo di bombardamento all’aeroporto di Aviano, a Pordenone, io vivevo in albergo a Pordenone e lui faceva il suo servizio militare. Siccome ero rimasta incinta sono rimasta lì vari mesi poi quando fu il momento di, che dovesse nascere questa bambina io sono venuta a Bologna, in Strada Maggiore 26. Siccome allora c’erano i bombardamenti sulla città di Bologna però noi si sperava che essendo una casa così in centro, quasi vicino alle due torri lì si potesse stare abbastanza tranquilli. E allora i vari inquilini, erano quattro, quattro o cinque, costruirono un rifugio nelle cantine della casa Rossini, c’erano delle belle cantine grandi. Io non sono mai stata in una cantina, in un rifugio di quelli pubblici, quando c’erano gli allarmi, io avevo la bambina piccola, io correvo giù in questo rifugio che era stato costruito per nostro, per nostra necessità, avevano, con dei pali, avevano sostenuto i muri, avevano messo tanti sacchetti di sabbia e poi delle panche contro il muro. E così quando suonava l’allarme, io correvo giù, e sempre con la bambina in braccio, con questa bambina stretta in braccio, e li sentivamo, sentivamo le fortezze volanti che arrivavano e naturalmente si stava con un po’ di agitazione. Io poi soprattutto avevo paura che la bambina si spaventasse, la piccolina aveva circa un anno, un anno e mezzo e allora magari giocherellavo con la bambina. E poi dicevano ‘Oh è caduta una bomba, dev’essere alla Corticella’ oppure ‘Dev’essere da qualche altra parte’ ma stavamo lì buoni, poi finiva l’allarme, venivamo su, riprendevamo la vita più normale possibile. Una volta mi sembra che fu nel 25 settembre, noi eravamo giù e cominciammo a sentire delle ondate [emphasis] di aeroplani, ondate! Venivano, e poi ne arrivavano degli altri, degli altri: un bombardamento terribile, la terra tremava e allora eravamo, io, io ero molto molto preoccupata, soprattutto sempre per la bambina, e mi stringevo la bambina. C’era qualcuno che pregava e si stava così. E quello fu il terribile bombardamento che cominciò dal Sant’Orsola, caddero le prime bombe sull’ospedale Sant’Orsola, e poi vennero avanti e fu un bombardamento terribile alla stazione e poi continuò dopo la stazione verso la Corticella giù. E si sentivano sempre questi aeroplani, erano le fortezze volanti che arrivavano di continuo, di continuo, fu un bombardamento lunghissimo, durò per tanto tempo e quello fu per me il bombardamento più terribile. Mio marito infatti, che allora era stato portato da Aviano a Gorizia, all’aeroporto di Gorizia, chiese una licenza per venire a vedere come stava la sua famiglia dopo questo bombardamento ed ebbe alcuni giorni di licenza. Ci trovò tutti bene, il tragico fu quando uscimmo dal nostro rifugio e ci dissero tutto quello che era successo, per fortuna lì in centro delle bombe non erano cadute e noi ci siamo salvati. Dopo quell’avvenimento, la mia famiglia pensò che era bene lasciare la città e come tanti essere sfollati e allora andammo nella villa dei Pasetti, vicino a Imola in via Piratello dove la villa era un po’ isolata, nascosta fra gli alberi e si pensava lì di stare più tranquilli. Per me, e lì anche c’erano, ogni tanto passavano gli aeroplani e lasciavano cadere delle bombe, o su Imola o sulla ferrovia che era a 300 metri dalla nostra villa, perché la villa era tra la via Emilia da una parte, 800 metri e dall’altra 300 metri la linea ferroviaria quella l’adriatica, quella che da Bologna va verso Ancona, allora cosa volevo dire. Ecco allora sì anche lì c’eravamo fatti una specie di rifugio in campagna, un buco per terra e quando sentivamo gli aeroplani corravamo lì ma non era una cosa molto sicura. Per me l’emozione più grossa l’ho avuta per un mitragliamento e questo è l’episodio che io vorrei raccontare. Posso parlare?
GF: Ovviamente sì, prego.
AMS: Nell’estate del ’44, estate del ’44, mio marito, siccome era caduto, insomma l’Italia aveva chiesto, aveva chiesto, come posso dire, l’Italia era divisa in due, è vero? Mio marito non si era più presentato tra i militari e faceva il partigiano eh, e allora siccome la nostra villa lì era stata requisita quasi tutta dai militari tedeschi noi c’eravamo ridotti tutti in due stanze a pianterreno, la cucina e un’altra stanza e poi, al primo piano e c’eravamo tutti ridotti lì, perché anche la mia famiglia il mio papà, la mia mamma, la mia nonna e le mie sorelle ancora ragazze erano venute tutte lì sfollate. Allora siccome io insomma eravamo messi un po’ molto male con i tedeschi che entravano uscivano, mio marito doveva stare nascosto perché lui era partigiano. Allora un nostro amico che si chiamava Luigi Baruzzi ci disse che avrebbe potuto ospitarci in una casa che aveva su in collina a Monteloro si chiamava, Monteloro sopra il paese di Borgo Tossignano, circa a una ventina di chilometri da Imola, dice, era una casa molto isolata là in montagna, abbastanza sicura. E allora noi, mio marito, io e la bambina avremmo potuto avere un po’ di ospitalità lì da loro per stare un po’ più tranquilli per un certo periodo e così accettammo. Mio marito, in segreto, di nascosto, trovò un cavallo, un calesse, caricò me, la bambina, alcuna qualche cosa di vestiario, qualche cosa di viveri, dei viveri e poi attraverso delle stradine secondarie, arrivammo alla via montanara che era la strada che collegava Imola con Borgo Tossignano e poi andava su verso la Toscana. Lì a un certo punto avremmo dovuto voltare a sinistra e andare su per la collina per arrivare a Monteloro. Mentre noi eravamo sul calesse in questa strada bianca perché non era neanche asfaltata, mio marito che era aviatore sentì da lontano un rombo allora lui capì subito il pericolo, fermò il calesse, fu velocissimo, scese dal calesse, mi tirò giù proprio dal calesse, io avevo sempre la bambina stretta in braccio. Di fianco alla strada, c’era un campo con del granoturco, con le piante di granoturco abbastanza alte. Allora lui in gran velocità mi fece saltare il fosso che c’era tra la strada e il campo, io siccome era d’estate avevo i sandali e i piedi nudi, lì c’erano tutti i rovi, mi sarei potuta ferire, allora lui aveva gli stivali allora pestò un po’ per terra ma in gran velocità, mi fece mettere i piedi lì dove lui aveva pestato, e poi mi buttò giù per terra in mezzo alle piante di mais. Io avevo la bambina sotto di me, lui aveva una sahariana verde e si buttò su di noi e mi metteva la testa mi teneva la testa giù con le mani così. Insomma l’aeroplano passò, vide naturalmente il calesse il cavallo sulla strada, ma a noi non ci vide nel campo e cominciò a mitragliare, a mitragliare il calesse e io sentivo i colpi della mitragliatrice cadere tutti intorno a me, fu uno spavento terribile però avevo mio marito che ci copriva con il suo corpo e allora eh eh, ma quella fu l’amozione più grande [gets emotional] perché sentii proprio i colpi vicini eh. Poi l’aeroplano passò dopo aver mitragliato, colpì il calesse ma il cavallo non lo colpì, allora mio marito disse ‘Stiamo ancora qui nascosti perché c’è il caso che torni indietro’ invece poi l’aeroplano non ritornò allora salimmo di nuovo nel calesse e in fretta raggiungemmo questo posto che si chiamava Monteloro. Io finirei così eh? Poi non so se vuol sospendere eh?
AMS: Posso chiederle Anna Maria se in quel momento si ricorda o aveva coscienza di chi la stava mitragliando, di chi era?
GF: No veramente io personalmente non capivo, so che era un aeroplano, non sapevo se era o tedesco o inglese non sapevo, o americano non sapevo, no.
GF: E passato quel momento poi l’ha scoperto?
AMS: Non ho capito.
GF: L’ha scoperto poi chi erano?
AMS: Sa che non mi ricordo? Non mi ricordo, ma, non mi ricordo, no.
GF: Suo marito cosa diceva?
AMS: Non lo so, non mi ricordo, no.
GF: Non si preoccupi, non si preoccupi. Allora se, se è d’accordo tornerei un attimo al ’42 quando è andata a Pordenone con suo marito.
AMS: Sì.
GF: Ok, mi ha detto che suo marito era un pilota dello stormo bombardieri.
AMS: Sì, sì.
GF: Mi può raccontare che cosa faceva? Se lo ricorda?
AMS: [pause] Dunque azioni di guerra no, da lì non ne ha mai fatte, dopo quando è passato a Gorizia, eeeh aspetti che anno? Subito l’anno dopo passò a Gorizia lui passò nei aerei siluranti, allora sì che partecipò a un’azione. Partivano da Gorizia con le, come si chiamano, non le bombe, sotto l’aeroplano e poi andavano a cercare nel mare, nell’Adriatico se c’era qualche nave inglese da silurare, ecco il siluro. Avevano due siluri sotto all’aeroplano, sotto l’apparecchio e da Gorizia partivano per fare questi siluramenti e mio marito partecipò a uno. Però non fece niente di, insomma non colpirono, non furono, tornarono eeeh senza, ma fu un’azione di guerra. Invece un suo collega, colpì proprio una nave, silurò una nave inglese, sempre partendo da Gorizia. [pause] Invece da Pordenone, da Aviano, facevano dei voli di addestramento, dei voli notturni ma non erano azioni di guerra. [pause] Poi cosa mi vuol chiedere?
GF: E parlava suo marito con lei si queste cose? Della guerra parlavate?
AMS: Mah di giorno in giorno diceva anche qualche cosa, mah. Però non è che mi desse dei particolari no.
GF: Allora torniamo adesso a quando lei torna a Bologna, con sua figlia piccola.
AMS: Sì.
GF: Eh mi ha raccontato che ehm avevate questo rifugio.
AMS: Sì.
GF: Ecco da quando, posso chiederle se mi racconta, da quando suonava l’allarme, a quando andavate, cosa facevate, cosa facevate durante il periodo?
AMS: L’allarme?
GF: Sì.
AMS: Ah ah, cosa vuole che facessimo? Eravamo lì, c’erano due panche, lo spazio poi era diventato ristretto perché coi sacchetti coi pali, la cantina si era ristretta e si stava lì, si cercava di sentire, se si sentiva qualche rombo, qualche colpo, ma si stava lì abbastanza tranquilli, io non ho assistito a delle scene di panico, no? Più che altro magari mia nonna sgranava il rosario ecco qualche d’uno pregava, io cercavo sempre di stare con la bambina a fare dei giochetti tanto tranquillizzarla, e poi insomma, non è che l’allarme durasse poi tantissimo, una mezz’oretta una cosa così. E invece poi fu il bombardamento che durò molto, molto eh.
GF: E quali emozioni provava? Se le ricorda che emozioni provava in quei momenti?
AMS: Mah emozioni, eh sì un po’ di preoccupazione, non è che fossi proprio molto molto agitata, no.
GF: C’erano anche i suoi genitori?
AMS: No, no, perché io stavo in Strada Maggiore e loro stavano in via Pascoli, loro avevano poi un altro rifugio.
GF: Invece poi l’anno dopo siete sfollati.
AMS: Sì siamo sfollati, siamo sfollati nella villa in campanga, allora anche i miei genitori, mia nonna, le mie sorelle, sono tutti venuti lì e lì avevamo questo buco nella terra perché su Imola anche ogni tanto sganciavano ma lì da noi no, però si aveva paura dei bombardamenti, dei mitragliamenti più che altro. Perché quasi tutte le sere, un apparecchio, noi dicevamo inglese ma non so se fosse americano eeeh, lo chiamavamo Pippo, lo chiamavamo Pippo ‘Ecco adesso arriva Pippo’ perché si abbassava e mitragliava, mitragliava le case, ecco quello faceva un po’ ‘Oooh, attenti attenti che adesso arriva Pippo!’ e allora ci mettevamo contro il muro, io avevo messo la culla della bambina in una zona contro il muro, una zona che non guardasse la finestra, in modo che il muro riparasse da queste mitragliate, passava e mitragliava quasi tutte le sere. Poi lì il brutto erano i tedeschi che occupavano la casa, capisce? Che sa questi militari così, e allora si stava stretti. Ma si viveva poi così di giorno in giorno, non è che si provasse sempre tutta questa gran paura, capisce? Eh, anche durante i bombardamenti qui a Bologna, noi pensavamo che lì a casa fosse abbastanza tranquillo, mia mamma solo diceva ‘Qui facciamo la fine dei topi, qui sotto!’ ma doveva proprio caderci una bomba in testa eh! Non è che fossi proprio agitatissima, no. Sa, quando poi si è anche molto giovani, si è anche un po’ spericolati, eh io poi pensavo a mio marito che era militare, che era via no, non è che mi agitassi molto. Correvo giù in rifugio, sì quello sì perché mi dicevano che bisognava andare in rifugio, è meglio andare in rifugio ma ero abbastanza tranquilla eh. Sì io poi ho vissuto, quello può essere ancora interessante, quando la liberazione di Bologna, quello è stato interessante. Dunque Bologna è stata liberata da truppe polacche che naturalmente erano con gli americani eh, ma erano truppe polacche. E ci fu, noi eravamo tornati a Bologna perché in campagna non si poteva più vivere, la casa era stata tutta requisita allora noi a un certo momento tornammo in città e anche i miei genitori, che siccome i tedeschi avevano fatto la Sperzone che si chiamava, cioè la zona centrale della città e entro la Sperzone che erano i viali in circonvallazione, mio padre e mia madre stavano in questa villa proprio al limite della Sperzone perché era sui viali Gozzadini, allora vennero nella nostra casa di Strada Maggiore 26. Quando ci fu, diciamo, come la liberazione di Bologna, ci fu prima una grossa battaglia la Battaglia della Gaiana che è un paese, un posto tra Castel San Pietro, cioè Imola, Castel San Pietro e Bologna. Lì ci fu una battaglia tenuta dalle truppe dalle truppe polacche, polacche contro i tedeschi e i tedeschi si ritirarono. Dopo la battaglia della Gaiana le truppe polacche entrarono a Bologna ed entrarono una parte per porta Santo Stefano e una parte per porta Mazzini, perciò lì a Strada Maggiore. Io con la bambina in braccio sempre, e i miei genitori, eravamo tutti sul balcone di casa Rossini, avevamo messo fuori una bandiera e applaudivamo le truppe polacche che arrivavano proprio lì sotto di noi, anzi, siccome era poi veniva l’ora del pranzo invitammo un soldato polacco a venire a mangiare con noi, e mangiò con noi a tavola. Noi, io poi personalmente, conobbi il comandante polacco che era un giovane tenente, il cappellano polacco e il dottore polacco dell’armata. Io c’ho lì un libro che mi ha regalato il dottore polacco con tanto di dedica perché eravamo diventati amici di questo gruppo polacco che aveva salvato Bologna. Questo è molto interessante, se vuol vedere le faccio vedere anche il libro con la firma.
GF: Sì, dopo volentieri. Quindi avete festeggiato alla liberazione?
AMS: Sì, noi abbiamo, perché dopo la vera liberazione che fu a Milano fu tre giorni dopo, ma a Bologna fu prima, tre giorni prima e furono i polacchi. Ah poi le dico un altro particolare che siccome in cima alla torre Asinelli avevano messo, i partigiani, avevano messo una bandiera rossa, appena i polacchi entrarono e videro quella bandiera rossa corsero su e via strapparono la bandiera rossa e misero la bandiera americana in cima alla torre Asinelli. Io dalla finestra, da una finestra del mio appartamento, vedevo la torre vedevo la cima della torre! E così vedevo questa scena di aver tolto la bandiera e aver messo quella americana, ha capito? Quello è stato anche un bell’episodio. Dopo siccome i polacchi vollero festeggiare il loro comandante, questo sottotenente, questo tenente, fecero una festa alla Gaiana, in un fienile di un contadino che era poi la proprietà dei principi Ruffo e a questa festa di militari polacchi invitarono anche me, mio marito e le mie due sorelle che erano ragazze. E così vedemmo il comandante polacco che si alzò in piedi durante il pranzo con la spada sguainata e poi tutti che lo festeggiavano, i suoi militari, ha capito? E poi io era diventata molto molto buona amica del cappellano che poi è saltato su una bomba, su una mina è saltato su una, ed è sepolto nel cimitero polacco di San Lazzaro, ma non mi ricordo il cognome, lo chiamavamo, lo chiamavamo cappellanie che in polacco il vocativo finisce in –ie, allora lo chiamavamo ‘Il cappellanie! Arriva il cappellanie!’. E veniva veniva a trovarci era molto carino. E poi c’era il dottore, il ‘dottorje’, il ‘dottorje’. Il dottore si chiamava Stanislav Krusceche e c’ho lì il libro che mi ha regalato che era ‘Tristano e Isolde’ in inglese e ha scritto come dedica ‘A great roman for a little lady’ e poi la sua firma, e quello ce l’ho lì. E quello è stato un bel periodo eh. Dopo, dopo tre giorni hanno liberato Milano, hanno liberato l’Italia e poi il governatore americano che era diventato governatore di Bologna, io lo avevo conosciuto molto bene ma non mi ricordo il cognome, questo questo governatore, che poi diventò da Bologna diventò governatore di Trieste, era un governatore americano, e davano delle feste da ballo e io ero sempre invitata a queste feste da ballo e ho ballato molto col governatore perché diceva che io ballavo molto bene. Quando io entravo in sala che generalmente le feste le facevano nel salone del palazzo Montanari in via Galiera, quando io entravo arrivava l’attendente del governatore e mi diceva ‘Il governatore vuole poi ballare con lei’ e io dicevo ‘Molto volentieri’ e così ho ballato col governatore americano. Però non è che noi che io ho legato poi molto con le truppe americane, no! Andavamo sì a qualche festa che loro davano ma così insomma, io stavo sempre in Strada Maggiore, al 26. Questo è stato subito dopo la guerra, perché poi la nostra villa in campagna, dopo i tedeschi quando arrivarono le truppe ci andarono prima i polacchi, fu sempre requisita da dei militari, allora ci andarono prima i polacchi e poi delle truppe americane, poi finalmente quando tutto si tranquillizzò e noi potemmo ritornare nella nostra villa in campagna era un disastro: la villa era rovinatissima, il giardino tutto buttato per aria e abbiamo dovuto ricominciare a ricostruire. Mio marito ha passato tutto il dopoguerra a ricostruire, ricostruire la nostra casa in campagna e le case dei contadini perché mio marito aveva quattro case coloniche e allora a ricostruire le case, a riprendere gli animali, le mucche così perché non c’era rimasto più niente, eh! E anche nel nostro giardino, a piantare gli alberi andavamo io e mio marito andavamo da Ansaloni a San Lazzaro che era un vivaio molto bello e compravamo gli alberi già abbastanza grandi e li facevamo piantare in giardino per rifare un po’ il giardino.
GF: Le va di raccontarmi di quando i tedeschi erano nella sua villa, della convivenza con loro, com’era?
AMS: Aaah, era era cercavamo di stare più separati possibile, aver meno contatti possibili ma al principio, lì nella nostra villa, siccome era vicina al cimitero del, del Piratello eh, lì nel cimitero di Imola cominciarono a seppellire i soldati tedeschi che cadevano mano a mano o in una schermaglia o in una piccola battaglia e li portavano lì e li portavano a seppellire lì. Allora nella nostra villa fecero l’ufficio del cimitero, venne un maresciallo tedesco che era un maestro di scuola mi ricordo che lui ci disse e noi lo chiamavamo il ‘grebelino’ perché ‘grebel’ in tedesco vuol dire tomba, eh? E allora quella era la sede dei ‘grebel’ cioè dei di quelli dei tedeschi che venivano sepolti, gli venivano dati i documenti lui poi questo ufficiale, questo militare questo maresciallo tedesco mandava le notizie alle famiglie, capito? Allora finché abbiamo avuto quei militari lì che erano un ufficio diremo, noi siamo andati abbastanza bene, insomma eravamo abbastanza tranquilli, quando spostarono questo ufficio perché il, l’armata tedesca mano a mano si ritirava, allora anche loro si ritirarono, andarono più avanti e allora vennero proprio le truppe quelle da combattimento con i carri armati e quelli sa, quelli facevano una gran paura, quelli facevano una gran paura sì, perché sa venivano, e giravano per casa, volevano i bagni, erano un po’ prepotenti, eh! Dopo noi abbiamo lasciato la villa e allora dopo hanno fatto quello che hanno voluto ma andati via i tedeschi dopo lì sono venuti i polacchi hanno occupato la villa i polacchi ma noi eravamo poi a Bologna. Eh, coi tedeschi in casa sa, eh era piuttosto preoccupante, eh! Anche perché una volta vennero giù in cantina da noi nella villa e presero tutto il vino che c’era. Noi mio marito, insomma la famiglia di mio marito, aveva delle antiche bottiglie ancora s’immagini del tempo della rivoluzione francese, con sopra il cartellino scritto ancora con la vecchia calligrafia, ma non era più vino, era un rimasuglio, ha capito perché era una cosa vecchia, e lo tenevano come ricordo. Quando vennero certe truppe tedesche portarono via tutto il vino che c’era e portarono via anche quelle bottiglie. Noi lo dicevamo ‘Ma quelle non sono da prendere, non son da bere’. Dopo tornarono cattivi! Arrabbiati perché dice che gli avevamo dato del vino cattivo: avevano aperto le bottiglie del ‘700! Quello non era più vino, erano delle vecchie bottiglie tenute come ricordo, noi l’avevamo detto ma loro non hanno voluto capire o sentire e dopo vennero arrabbiatissimi, erano arrabbiati dicendo ‘Ci avete dato del vino cattivo!’. Noi eh, ce lo avevano portati via, eh! [pause]
GF: Prima, prima mi ha detto che suo marito dopo il ’43 era diventato partigiano, le va di raccontarmi questa storia?
AMS: Sì, sì dunque, gli uomini, in quel periodo, dovevano stare nascosti perché avevamo i tedeschi dappertutto e se li avessero trovati li avrebbero mandati in un campo di concentramento e allora mio marito andava su in collina e si trovava con degli altri, eh! Era così. Poi veniva a casa, di nascosto sempre e poi stava con gli altri ma non è che ha fatto delle azioni da partigiano, lui stava così nascosto assieme a degli altri per non essere presi dai tedeschi.
GF: E dopo la liberazione invece? Ha ripreso il suo lavoro?
AMS: Ha ripreso?
GF: È tornato nell’aviazione?
AMS: No, ascolti, quello fu un mio grande dispiacere perché io avrei voluto che lui tornasse in aviazione come militare ma siccome intanto era morto mio suocero, lui aveva la campagna e la terra da seguire, tutte queste cose da ricostruire, lui disse ‘No, io lascio l’arma’ ma lui fu, è rimasto sempre attaccato all’aviazione tanto è vero che vede lì le fotografie. Lui poi da morto ha voluto che gli mettessimo la divisa da capitano d’aviazione, perché intanto era diventato capitano, perché lui era rimasto attaccatissimo all’aviazione ma non aveva più voluto fare il servizio militare. Perché aveva quel po’ di terra da seguire, intanto poi ci erano nati degli altri figli e allora insomma non ha più fatto il militare no. E io ebbi un gran dispiacere perché io gli dissi ‘Alla terra posso tenerci dietro e tu fare il tuo servizio militare perché è quella la tua strada!’ Perché lui poi aveva la passione della meteorologia e allora sa, avrebbe potuto per dire andare alla televisione a fare sa quelle spiegazioni del tempo così, perché lui come militare seguiva molto la metereologia [emphasis], ma lui non ha più voluto. Anche perché poi mio marito purtroppo si ammalò molto molto presto di cuore e aveva il cuore che non era più buono, continuò a volare come aviatore civile su apparecchi civili ma così con dei voletti. Fece anche il volo a vela, fece anche il volo a vela partendo dall’aeroporto di Bologna, veniva lanciato, lui era in un carrello c’era un aeroplano che lo trainava con una corda e lo lanciava e quando era per aria lo staccava e lui con questa navicella stava così un po’ in aria e poi cercava di ridiscendere. Io lo vidi, sa una paura terribile! E dissi ‘Guarda io non vengo più a vedere quando fai il volo a vela!’. Perché lui era rimasto sempre molto attaccato all’aviazione, però non volle più fare il servizio militare.
GF: Signora Anna Maria torno ancora una volta, per l’ultima volta sui bombardamenti.
AMS: Sì.
GF: Le volevo chiedere, quando era a Bologna e bombardavano.
AMS: Sì.
GF: Sapevate chi vi stava bombardando, cosa pensavate di chi vi bombardava?
AMS: Ah lo sapevamo che erano gli americani! Lo sapevamo sì, erano le fortezze volanti, le fortezze volanti erano solo americane.
GF: E ne parlavate? Cosa pensavate?
AMS: Eh pensavamo che era la guerra eh eh così, era la guerra. Noi poi pensavamo che i tedeschi se ne andassero che arrivassero questi americani a liberarci perché avevano liberato una parte dell’Italia e poi si fermarono l’ultimo inverno, si fermarono a un fiumicello che si chiamava il Pisciatello, Pisciatello, era un piccolo fiume e lì si fermarono gli americani tutto l’inverno e noi non vedevamo l’ora che arrivassero gli americani, per finire di liberare tutta l’Italia. E sapevamo che erano loro che ci bombardavano e dicevamo ‘Eh è la guerra, eh speriamo che finisca presto eh!’. Ma lo sapevamo benissimo chi era che ci bombardava, sì. I mitragliamenti no, perché quando veniva un apparecchio isolato non si, non si capiva bene se era tedesco, inglese, americano quello non si capiva ma i bombardamenti e quando arrivavano i, le granate su Imola e quello si sapeva che erano americane.
GF: E Pippo?
AMS: Eh Pippo, Pippo dicevamo ‘Arriva Pippo!’ ma io credo che fosse, non so, non sapevamo di preciso chi fosse, c’era sempre questo aeroplano che arrivava e lo chiamavamo Pippo ‘Arriva Pippo, arriva Pippo’.
GF: E avevate paura di Pippo?
AMS: Sì molto, i mitragliamenti facevano molta paura. Io poi che avevo avuto quel grosso mitragliamento ero rimasta impressionata. [pause] Perché non si capiva l’aeroplano che cosa facesse, dove andava, capito? I bombardamenti si sentivano arrivare, queste grandi fortezze volanti che facevano un rombo, un rombo enorme, e poi si sentiva lo sgancio poi si sentivano [makes a hissing sound] boom, si sentiva il fischio, il fischio delle bombe che venivano giù. Eran dei momenti tremendi, si vivevano così, giorno per giorno. [pause]
GF: Mi ha parlato dei tedeschi, e invece dei fascisti?
AMS: Dei?
GF: Dei fascisti?
AMS: Mah i fascisti non so, in che modo dei fascisti?
GF: Cosa pensava, avevano occupato la sua casa i tedeschi, c’erano anche delle truppe fasciste insieme?
AMS: No no.
GF: No.
AMS: Non c’erano truppe fasciste, no no no non c’erano truppe fasciste. Mio padre non è mai stato fascista, gli avevano dato insomma gli avevano dato onoris causa, l’avevano fatto diventare, gli avevano dato il termine fascista, ma lui non era fascista, infatti non ha avuto nessuna nessuna grana, nessuna, niente niente dopo la guerra niente niente, perché lui era, lui era militare della prima guerra mondiale. Vede là ci sono le medaglie che mio padre ha avuto nella prima guerra mondiale, è stato un eroe della prima guerra mondiale, io ti lascio delle fotografie bellissime di mio padre nella prima guerra mondiale, e lui era rimasto sempre, sempre attaccato all’aviazione, sempre come militare come, ma non era fascista, no. E lui essendo anche vice presidente dei Pionieri d’Italia lo volevano fare presidente ma lui disse ‘No, perché per essere il presidente bisogna stare a Roma, io sto a Bologna per me è scomodo, ormai son vecchio’ e lui era vice presidente dei Pionieri d’Italia ma non c’entrava niente col fascismo, no, lui non era fascista, noi non eravamo una famiglia di fascisti, no, non c’eravamo mai dati alla politica, anche mio marito, no mai, mio suocero, no, non, mio padre che era importante perché era presidente dell’aeroclub di Bologna non aveva cariche fasciste, no. Le dirò un particolare da ridere perché quelli che erano poi i capi fascisti avevano la tesserina per andare al cinema gratis, a mia madre piaceva tanto il cinematografo e diceva ‘Uh papà, non ha neanche la tessera, a lui non gliela danno!’ perché lui non era abbastanza, non era fascista capito, non avevamo neanche la tessera no no. E mia madre dice ‘Uh a me piace tanto il cinema ma io devo pagare il biglietto, eh!’ questo per ridere, ha capito? Per dire che non eravamo fascisti no, però eravamo italiani con gran sentimenti patriottici, mio padre sempre la prima guerra mondiale, tutte le cose della prima guerra, tutti i racconti, eh così. Certo noi a scuola dovevamo per forza essere Piccole Italiane, Giovani Italiane per forza, eh a scuola eravamo così eh, però non è che fossimo proprio fascisti no?
GF: Dopo il ’43 ha conosciuto lei personalmente dei partigiani?
AMS: Cosa?
GF: Se ha conosciuto dei partigiani.
AMS: Sì, eh! Io ho conosciuto uno poverino che è stato ucciso, si chiamava, aspetti sa, che era di San, aveva la casa a San Lazzaro ed era uno dei capi partigiani che hanno combattuto e poi è stato ucciso, quello era anche proprio nostro amico sì. E ne ho conosciuti parecchi di quelli che erano i nostri amici da ragazzi anche compagni di scuola che poi erano andati nei partigiani, quindi proprio avevano combattuto, su verso Castel San Pietro, hanno combattuto parecchio i partigiani bolognesi, romagnoli, adesso non mi ricordo più il nome, che eravamo tanto amici, lui aveva una bella villa a San Lazzaro, come si chiamava? Eh non mi ricordo più [pause] e come si chiamava? Eh non mi ricordo.
GF: Non si preoccupi se non ri ricorda il nome non importa.
AMS: Non mi ricordo il nome no.
GF: E a volte scendevano dalle colline e venivano nella vostra villa?
AMS: Come?
GF: A volte scendevano dalle colline e venivano nella vostra villa?
AMS: No, fin da noi no perché eravamo in una brutta zona ha capito? Eravamo oltre la via Emilia, la via Emilia poi noi e poi la ferrovia. I partigiani rimanevano sulla collina, noi eravamo in pianura, no da noi non venivano. Infatti mio marito doveva andare in su per andar da loro, andare in collina [pause].
GF: E li aiutava? Li aiutava? Portava dei rifornimenti, del cibo?
AMS: Ah sì! Sì, sì, dei prosciutti mi ricordo, eh, dei prosciutti e poi del vino, sì, e mi ricordo i prosciutti, mi ricordo i prosciutti.
GF: Volevo chiederle un’altra cosa.
AMS: Sì.
GF: Dopo la liberazione.
AMS: Sì.
GF: Quando c’è stato il referendum.
AMS: Sì.
GF: Lei ha votato, anche lei giusto?
AMS: Sì!
GF: Si ricorda com’era il clima, cosa avete votato?
AMS: Io in quel momento ero monarchica, io dopo la liberazione, siccome si poteva votare o monarchia o repubblica io votai monarchia, anche mio marito. Lo sapevamo che non avremmo vinto, però noi preferivamo la monarchia e invece vinse la repubblica eh, ma io ho votato monarchia, dico la verità. Io allora ero incinta della mia seconda bambina, mi ricordo benissimo, avevo un gran pancione. Andai a votare ma io votai monarchico, perché c’era il referendum, vero, era monarchia o repubblica e io votai monarchia.
GF: Cosa pensava del re?
AMS: Del re pensavo che si era tirato da parte per far posto a Mussolini, che non era stato abbastanza energico però la famiglia Savoia, sa, era una tradizione famigliare. Vede là quella fotografia, quello era un colonnello di cavalleria, era mio nonno materno che era di Torino e lui era aiutante del duca d’Aosta, vede lì che c’è la fotografia del duca d’Aosta con la dedica a mio padre, perché eravamo tutti attaccati alla famiglia Savoia eh! Insomma nella mia famiglia c’erano stati proprio dei rapporti con i Savoia, perché mio nonno era aiutante del duca d’Aosta padre, questo è il duca d’Aosta figlio, che era aviatore e veniva sempre a Bologna. E io l’ho conosciuto gli ho dato una mano ero una bambinetta, gli detti la mano io mi ricordo con l’inchino lui mi strinse la mano perché veniva sempre a Bologna, io ero la figlia del presidente dell’aeroclub, e lui veniva come pilota civile il duca d’Aosta giovane. Poi mi zio, cioè il fratello di mia mamma che è diventato generale di cavalleria, generale di cavalleria nella repubblica è vero? Eh, però lui era stato aiutante anche lui del duca d’Aosta figlio, il nonno del padre e lo zio del figlio del duca d’Aosta, perciò era molte legate ai Savoia capito, eh? E così, a me non è che il re Vittorio Emanuele piacesse molto però era sempre un Savoia, si sperava nella discendenza Savoia, in Umberto II, si sperava, ma. Perché nella tradizione di famiglia, sia di mia madre che erano dei Blanchetti di Torino, sia che anche dei Serafini c’erano un mucchio di generali c’era il generale Serafini, Giuseppe Serafini, Bernardino Serafini era colonnello erano tutti tutti militari, naturalmente allora era l’armata eeeh savoiarda, l’armata monarchica eh? Adesso le faccio vedere.
GF: Sì aspetti perché allora metto in pausa.
AMS: Ha capito perché ho votato monarchia?
GF: Sì. E invece però quando vinse la repubblica, come avete reagito?
AMS: Ah va bene così eh, ah non abbiamo fatto nessuna reazione, hanno scelto la repubblica, evviva la repubblica eh, sì sì non ne abbiamo fatto. Comunque di politica noi non ci siamo mai interessati, anche mio marito mai mai di politica, non si è mai interessato di politica, non era iscritto a nessun partito, no no no, lui aveva solo in mente l’aviazione e basta. Ah quando ci fu la repubblica evviva la repubblica e basta eh.
GF: Va bene signora Anna Maria, io la ringrazio veramente tantissimo per la sua disponibilità.
AMS: Non so se sono stata abbastanza interessante.
GF: È stata bravissima e la sua storia è stata davvero interessantissima, grazie.
AMS: Ma si immagini.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Anna Maria Serafini
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Po River Valley
Italy--Aviano
Italy--Bologna
Italy--Gorizia
Italy--Imola
Italy--Pordenone
Italy
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Greta Fedele
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-12-01
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Francesca Campani
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
01:04:22 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Regia Aereonautica
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1943-09-25
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
PPasettiAMS1601, APasettiAMS161201
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Description
An account of the resource
Anna Maria Serafini recalls her teenage life in Bologna as the fiancée of Luigi Pasetti, a civilian pilot later enlisted as torpedo bomber pilot. Describes how she got married and mentions Italian First World War pilot, Ferruccio Ranza, who acted as best man. Describes what life was like in a small private shelter with a propped ceiling, sandbagged windows and rudimentary furniture. Recalls life under the bombs: trying to keep calm her young daughter; people guessing points of impacts; prayers, games and pastimes. Describes her evacuee life in Imola and the trials and tribulations after the collapse of the fascist regime, when her husband joined the Resistance. Recollects being strafed when travelling on a byway. Describes Germans on admin duties as friendly and well-mannered, whereas those serving in combat units were arrogant and feared. Recollects the Gaiana battle and the occupation of Bologna by allied forces, stressing her connections with Pole officers. Gives an account of family life in the subsequent decades, emphasising loyalty to the monarchy. Judges bombing war from a fatalistic stance, stressing how strafing by isolated aircraft was more feared.
civil defence
evacuation
fear
home front
love and romance
perception of bombing war
Pippo
Resistance
strafing
-
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e09ad9731b1c11c3a75edb59ceb96139
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/62/535/AGhirettiM170507.1.mp3
258099db0923ba93cfc36cef3bc6bf69
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Ghiretti, Maurizio
M Ghiretti
Description
An account of the resource
One oral history interview with Maurizio Ghiretti (b. 1940) who recollects his wartime experiences in the Parma region.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-05-07
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Ghiretti, M
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
L’intervista è condotta per L’Interantional Bomber Command Centre. L’intervistatrice è Sara Buda. L’intervistato è Maurizio Ghiretti. Nella stanza sono presenti Sara Troglio per l’IBCC, la moglie Adriana Ventriglia. L’intervista ha luogo in [omitted] a Milano. Oggi è il 7 maggio 2017, ore 11:35. Allora, buongiorno.
MG: Buongiorno.
SB: Ehm, vorrei partire da prima della guerra. Intanto, appunto, se mi dice la sua data di nascita e il luogo.
MG: 5, la mia data è il 5 aprile 1940. Non ricordo, i miei primi ricordi iniziano nel ’43 e l’unica cosa che, insomma, ricordo con una certa, anzi, la prima che ricordo, è la caduta del Fascismo. Per una, questo perché, perché in casa mia, anche se io ero piccolino, tutti gli avvenimenti, quelli successivi di cui ho un po’ di ricordi, venivano esplicitati, quindi non cercavano di tenermi ovattato al di fuori di quel che accadeva e ma soprattutto questo fatto, la caduta del Fascismo mi è rimasta in mente perché di fronte a casa mia c’era una casa con una grande scritta inneggiante al Duce e dopo il 25 luglio del ’43, il giorno dopo o due giorni dopo adesso non posso ricordare, di notte era stata imbrattata con feci umane ecco, tanto per dare un’idea e io mi ricordo la padrona della casa che con la scopa e il secchio stava cercando di pulire la facciata della sua casa, ecco. Quindi questo fatto è. Un altro episodio che ricordo è quello invece dell’8 di settembre perché in casa mia, dopo l’annuncio, io mi ricordo l’annuncio alla radio, noi non possedavamo la radio ma si andava ad ascoltare, ma per lo meno i grandi andavano ad ascoltare la radio in un bar vicino e l’appello del nuovo primo ministro, che era Badoglio, no? Il generale Badoglio il quale aveva detto che insomma la guerra continuava eccetera eccetera ma che avevano chiesto, l’Italia aveva chiesto un armistizio. E questa cosa qua me la ricordo anche perchè mio padre disse che, mentre tutti festeggiavano, la guerra è finita, la guerra è finita, mio padre invece era pessimista e disse che ‘e i tedeschi? Adesso dovremo vedere la reazione dei tedeschi’. Due o tre giorni dopo sono piombati i tedeschi. Ah proposito, i miei, io non vivevo a Milano, io allora vivevo in un paese a otto chilometri da Parma, Monticelli Terme, quindi i miei ricordi sono lì, in questo paese, ecco. Non, non ho ricordi cittadini, comunque ricordo, ricordo poi i mitragliamenti, i bombardamenti che però vedavamo da lontano soprattutto di notte.
SB: Io vorrei partire, vorrei fare un salto all’indietro.
MG: Sì.
SB: Vorrei capire intanto appunto cosa faceva la sua famiglia prima della guerra e come era composta la vostra famiglia.
MG: La mia famiglia era composta da padre, madre e una zia che viveva con noi perchè il marito in quel momento era in guerra, era militare. E il nonno, quindi eravamo
SB: Il nonno padre di?
MG: Il padre di mio padre e la zia era la sorella di mio fratello.
SB: Stavate appunto a Monticello...
MG: Sì, erano artigiani.
SB: Cosa facevano appunto...
MG: Parrucchieri.
SB: Parrucchieri.
MG: Sì, la mamma, il papà. La zia non faceva nulla, no, la zia non faceva nulla e neanche il nonno, il nonno ormai, comunque, non so. In gioventù aveva fatto il fuochista, non so, in una fabbrica, quindi non.
SB: [laughs] Ok, quindi a un certo punto cambia qualcosa. Quando, qual’è il suo primo ricordo riguardo a un cambiamento radicale della situazione attorno a lei? Quando cambiano le cose?
MG: Eh, il, le cose cambiano in quel periodo appunto, dalla caduta, dal luglio del ’43 e poi con l’8 di settembre. Perché immediatamente dopo le cose si fanno piuttosto complicate. Intanto vabbè lì nel paese arrivano i tedeschi perché lì c’erano degli alberghi e quindi gli alberghi sono occupati dai tedeschi e quindi abbiamo proprio i tedeschi in casa. Le cose cambiano perché ci sono i rastrellamenti notturni e quindi gli uomini, mio padre ed altri, sempre e comunque quasi sempre avvertiti, io non so da chi ma probabilmente dagli stessi tedeschi, non dai [emphasises] tedeschi ma probabilmente da un [emphasises] tedesco, perché la cosa strana è che, tutte le volte che di notte c’erano dei rastrellamenti per prendere gli uomini e mandarli in Germania a lavorare, guarda caso, tutti gli uomini che conoscevo io compreso mio padre in casa non c’erano e si nascondevano. Dietro la nostra casa c’era una cosa strana, noi avevamo anche un orto, avevamo un, non so, non so neanche come dire, vabbè insomma un edificio che si raggiungeva solo con una scala a pioli e se uno tirava su la scala a pioli lì non si vedeva nulla e questi uomini se ne stavano lì nascosti, tutti quelli del vicinato no, se ne stavano lì nascosti quindi non hanno mai portato via nessuno. Poi c’era il problema, il problema del cibo, c’era il problema del riscaldamento, perché allora c’erano le stufe. Io mi ricordo che d’inverno, questo per sentito dire in famiglia, mio padre con sua sorella, con i cugini di notte sono andati a rubare una pianta intera in un campo vicino e siccome nella notte aveva nevicato, quando loro hanno trascinato la pianta nel cortile era rimasta tutta la scia e ma di notte loro hanno, dunque hanno, hanno tagliato la pianta, l’hanno portata nel cortile, hanno tagliato tutti i rami, hanno messo via tutta la roba, al mattino poi non so verso le dieci tanto sto inventando, arriva la padrona del fondo dove, dove avevano rubato e lei non era, non era Sherlock Holmes ma aveva visto la scia [laughs], perché era proprio, noi avevamo il, un, come si chiama, ho detto il cortile, ma anche che il,
SB: Orto.
MG: non un giardino
SB: Orto.
MG: l’orto che confinava proprio con questa,
SB: [unclear]
MG: il possedimento della signora, quindi insomma, nella neve si vedeva benissimo cos’era successo ecco. E poi vabbe’ il cercare anche il cibo, devo dire che comunque in casa mia non c’erano grandi problemi perché i miei zii erano proprietari terrieri quindi insomma le cose, tanto per dirne una, io non, ho sempre mangiato pane bianco e anzi siccome i bambini trovano che in casa d’altri si mangi meglio, io contrabbandavo il pane bianco con la casa di un vicino il quale mi dava pane con la crusca e per me era più buono il pane con la crusca. Queste sono sciocchezze di bambini. Eh!
SB: E quindi andando avanti.
MG: E andando avanti, poi, vabbe’ allora sempre la storia qua dei tedeschi in casa, e poi, a partire dal ’44 i bombardamenti e i mitragliamenti degli alleati che lì, allora c’erano questi alberghi con le truppe tedesche, e poi c’era qualche fabbrica di conserve di pomodoro, con le vecchie fabbriche con il camino ecco. Allora io sono stato varie volte testimone dei mitragliamenti. Suonava l’allarme perché quasi sempre quando si sentivano e arrivavano degli aerei insomma suonava l’allarme e mi ricordo una volta, ero in campagna con uno dei miei zii e c’era un solo, un solo aereo, era un aereo da ricognizione mi pare, però di solito sparavano, sparavano non so bene se sparavano alle mucche, agli animali ma, o se sparavano anche alla gente. Fatto sta che comunque quella volta eravamo in campagna ha suonato l’allarme e non so per quale ragione mio zio mi ha detto no, non è l’allarme, è l’asino di un vicino, di un altro coltivatore lì vicino, invece era proprio un piccolo aereo e ci ha anche sparato. Vabbè, ci siamo tuffati in un fosso e buonanotte, non è successo nulla. E poi invece, altre volte mi sono trovato nella piazza del paese proprio mentre mitragliavano gli alberghi e lì io sono proprio scappato, però anche lì non ci sono stati né morti né feriti. Altre volte, invece, vedavamo, per esempio c’era una fabbrica che era a un chilometro e così di giorno hanno tirato varie bombe, c’è stato qualche morto, tutte cose che naturalmente io ho sentito ma nel frattempo, tutte le volte che quando io ero a casa, tutte le volte che c’era, c’era così, suonava l’allarme eccetera, o mio padre o mia zia mi prendevano e mi portavano, sempre attraverso il famoso orto, giù, e ci rifugiavamo in una, aspetta, c’era un canale con tante fronde, no, e lì pensavamo di essere al sicuro, insomma, tranquilli. Però, così, mi ricordo che il senso del, paura, non so, paura, mia zia era terrorizzata, mio padre pure, mia madre non gliene fregava niente, lei non si è mai mossa da casa, mai [emphasises] mossa da casa. Era, non so per quale ragione, ma aveva detto che a lei proprio non le interessava, se doveva morire [laughs] preferiva morire in casa propria. Poi un’altra, altri ricordi sono i bombardamenti invece di notte, che avvenivano per bombardare i ponti. Avevamo un ponte su un fiume poco distante, il fiume Enza, che in linea d’aria sarà stato a due chilometri, tre chilometri, adesso, più o meno, magari anche quattro, dai. Poi i bombardamenti a Parma e i bombardamenti probabilmente sul Po. Il Po però era molto distante, non so, sessanta chilometri almeno, ma di notte io mi ricordo che sempre scappavamo da casa in mezzo alla campagna, via, e, dopo aver sentito le sirene e poi la cosa impressionante, quella mi è rimasta in mente, era la luce dei bengala, perché i ponti venivano illuminati a giorno, no. Beh, il ponte non lo vedevo ma vedevo il bagliore, no, lontano, e anche quando bombardavano i ponti sul Po, la stessa cosa, o altri ponti su altri torrenti, che ne so io, fiumi della zona, e se lo facevano di notte, si vedeva, si vedeva questo bagliore, perché veramente buttavano giù un sacco di bengala, da lontano si vedeva. E poi io mi ricordo anche che qualche notte i miei dicevano che stavano bombardando Milano, però a centotrenta chilometri di distanza, non lo so, era estate però, sempre per via dei bagliori, poteva, loro dicevano Milano ma chi lo diceva che era Milano poteva essere,che ne so io, Piacenza, o poteva essere Brescia o un’altra città, adesso, o Cremona, non lo so insomma ecco. Però questo, questa attività dei bombardieri insomma io me la ricordo piuttosto bene.
SB: Ok. Ehm dunque, mi ha colpito le cose che diceva riguardo alle sirene. Nel senso che, io mi sono sempre immaginata che le sirene avessero un suono univoco ovunque, mentre invece lei ha detto che in alcuni casi c’erano delle sirene che potevano essere assimilate al suono.
MG: Ma potrebbe essere.
SB: ad un suono.
MG: Sì, ma io ci penso adesso. Può anche darsi che mio zio non volesse impressionarmi.
SB: Lei ha ricordi di questi rumori.
MG: Perché Oddio suona la sirena, ah è l’asino di, adesso io non mi ricordo più, il nome della persona che aveva veramente. Be’ adesso io non so se assimilare. La sirena era una roba non so, non saprei spiegare, non ha nulla a che vedere con le sirene, con le sirene che sentiamo adesso negli appartamenti o nelle macchine, quando rubano le macchine eccetera. Aveva, gracidava. Suono un po’, un po’ strano.
SB: A me interessa molto perché è, nel senso, persone della mia generazione non hanno mai sentito una sirena, gli aerei [unclear]
MG: [unclear] credo che andava a manovella eh, mi pare. Non era una cosa elettrica, a manovella, c’era una persona, appena sentivano. C’è da tenere presente che lì nell’Emilia Romagna, dove abitavamo noi, eh beh, la maggior parte degli aerei che venivano a bombardare verso il Nord, soprattutto in direzione Milano, passavano di lì. Magari quelli che andavano, non so, verso il Veneto no, perché erano più lontani ma gli altri nella zona nord-occidentale passavano tutti di lì, e quindi. E tutte le volte naturalmente che si sentiva, facevano andare ‘sta, questa sirena ed eravamo, [unclear] io se penso ai grandi, quando passavano che, non rimanevano in zona ma tiravano diritto e dicevano ah quei poveri disgraziati a cui tocca oggi, però insomma finiva lì. Era, era una cosa quasi normale. E la fuga con la zia, perché poi alla fine poi era sempre la zia che mi portava via, io mi ricordo che quando finalmente sono arrivati i liberatori il 25, il 26, io non mi ricordo, è che io, perché allora gli ultimi tempi la zia tutti i giorni fuggiva e non c’era niente da fare. Andavamo là in questo posto, sotto le frasche, e quando si sparse la voce che gli americani, non, sì, gli alleati, perché poi lì sono arrivati, mi pare che fossero i brasiliani, che erano arrivati i liberatori, allora io dissi alla zia; ‘beh ma qua non torniamo più’, eh no, non torniamo più, [unclear] non torniamo più, e a noi dispiaceva un po’ perché giocavamo noi, noi bambini, lì, era un modo come un altro per passare, per passare la giornata insomma.
SB: Quindi, c’erano dei momenti comuni con degli altri bambini
MG: Sì.
SB: che avevano luogo nello stesso luogo in cui voi vi rifugiavate.
MG: Sì, quelli che scappavano andavano tutti lì, nel, dove c’era questo canaletto, con queste fronde, no, gaggìe, si chiamano, no, gaggìe.
SB: E quindi vi ritrovavate lì, tutti i bambini del paese.
MG: Non tutti perché dipende, ognuno aveva la sua, la sua zona, ma quelli dove abitavo io era la più vicina, eh sì, diciamo, per lo più erano donne, donne che chiacchieravano. Naturalmente i loro discorsi sull’arrivo degli alleati era ‘ci, non arrivano mai, ci mettono troppo tempo’ e quando mitragliavano, bombardavano, erano maledizioni, perché insomma. Si capiva che loro dovevano anche bombardare, ma quando bombardavano, per esempio quando era giunta la notizia che a Parma avevano bombardato, quella volta di giorno, e in un rifugio dove si erano rifugiati gli abitanti di un gruppo di case, mi pare che ci sia stato più di sessanta morti perché la bomba ha colpito proprio l’ingresso del rifugio, e è scoppiata dentro al rifugio. Quindi, insomma, liberatori sì ma nello stesso tempo soprattutto, poi quando era giunta la notizia che la maggior parte degli edifici più belli della città erano stati bombardati, edifici che non avevano nessun, eh, non erano un obiettivo militare eccetera, la stazione più o meno, [laughs] è rimasta quasi, quasi illesa ecco insomma non è che ricordi proprio bene ma voglio dire insomma. Ecco allora quando c’erano queste cose c’era un po’ di, e poi non si poteva. Altri discorsi contro invece gli occupanti non sempre gente ne parlava perché c’erano anche i sostenitori degli occupanti, dei tedeschi, quindi insomma bisognava stare anche attenti, all’erta.
SB: E quindi, tornando a questi momenti, mi interessa molto il fatto che il momento del salvataggio, cioè nel senso della corsa al nascondiglio fosse anche un momento ludico, se ho capito bene.
MG: Sì, sì, per noi bambini sì. Sì, sicuramente.
SB: E c’era in quello che facevate qualcosa di connesso all’esperienza che stavate vivendo?
MG: Non ricordo.
SB: Canzoni, o
MG: No no no no, anzi no, guai, quando passavano gli aerei guai se parlavamo perché dicevano che ci sentivano, [laughs] le donne, le persone grandi ci dicevano che ci sentivano, ‘zitti, zitti’, cose di questo genere insomma. Ricordo, ecco, oh un altro episodio. Durante il tentativo di bombardare la fabbrica e di colpire quel famoso camino lunghissimo camino, io ero con mio padre e quando hanno incominciato a sganciare le prime bombe, dunque era a un chilometro di distanza, mio padre pensò bene, eravamo in aperta campagna ma c’era un tombino, c’era una canaletta per l’irrigazione con un tombino e mio padre mi prende e si cala dentro il tombino. In quel momento lì passa un prigioniero di guerra, non so di che nazionalità era, era alleato, non era americano, doveva essere stato o inglese, o, o, sì probabilmente era inglese oppure australiano, il quale in un stentato come militare dice a mio padre, in uno stentato italiano, ‘guardi, che se tirano una bomba qua vicino a terra, molto meglio star [laughs] nel, su un piano insomma e non dentro a un tombino ecco perché è pericoloso’. Questa cosa e’ un altro dei fatti che proprio mi è rimasto indelebile. E allora fuori subito. Perché c’erano dei prigionieri alleati che vivevano, erano stati mandati ad aiutare i contadini a lavorare nei campi anziché starsene tutto il giorno dentro le baracche perché a trecento, sì, no a un chilometro e mezzo c’erano delle baracche, dove c’erano questi militari e allora alcuni di loro preferivano invece andare a lavorare, anche perché in questo modo mangiavano meglio. Un’altra cosa che ricordo sono sempre questi prigionieri, questi qua invece so che erano inglesi, invece che avevano accettato di fare la prima, non mi viene la parola, adesso ci siamo, lo scolo delle acque come si chiama?
SB: Fogna.
MG: La fogna. La prima fognatura io me li ricordo che, un pezzo insomma è stato fatto da questi, da questi soldati inglesi che erano prigionieri. Ricordo, questo invece me l’ha raccontato mia madre, che una vicina è uscita con una mica di pane, era proprio, in campagna facevano del pane grosso così no, e l’ha dato a questi militari e qualcun’altro, qualche altra donna l’ha redarguita: ‘come, dai il pane ai nemici?’ eccetera eccetera e lei ha risposto che, siccome aveva un figlio militare e che non sapeva che fine avesse fatto, sperava che trovasse, suo figlio trovasse qualcuno insomma di buon cuore e quindi lei si è sentita [unclear]. Questo fatto mi ha raccontato mia madre che mi è rimasto, mi è rimasto in mente. [pause] Altro fatto è l’arrivo appunto degli alleati che provenivano dal reggiano e lungo, avevano preso la strada verso Parma e la gente era accorsa con, e agitavano, molti agitavano delle fronde di biancospino come saluto. Sembrava quasi il Gesù della Domenica delle Palme [laughs], fatto che mi è rimasto impresso, quello lo proprio, l’ho visto io insomma, ecco, non mi è stato raccontato. E c’era un’euforia, un’esaltazione, naturalmente. Poi ricordo la fuga, la fuga sì in un certo senso, l’abbandono degli alberghi da parte dei tedeschi. Nel frattempo prima dell’arrivo degli alleati erano arrivati alcuni partigiani. I partigiani avevano cominciato a scendere, a scendere dalle montagne, e niente l’ultima, così, l’ultimo tedesco mi ricordo, questo mi ricordo benissimo perché questa volta invece eravamo andati in cantina, non eravamo scappati fuori, ma eravamo giù in cantina perché si sapeva che le cose stavano precipitando e a un certo, un gran silenzio e a un certo momento si sente uno sparo. Era un partigiano che aveva sparato e allora un tedesco motociclista è ritornato indietro, strombazzando con la sua moto, facendo vedere che non aveva assolutamente paura, ha fatto il giro della piazza del paese e poi se ne andato. Questo poi mi ha raccontato mio padre, io poi ho sentito il rumore della moto ma naturalmente è mio padre che me l’ha detto, guardava fuori dalla cantina dal finestrino che era il tedesco in motocicletta, con grande sollievo perché la paura era che bruciassero, facessero, come hanno fatto in altri posti, uccidessero, che invece qui per fortuna. Ecco un’altra cosa invece che ricordo, però naturalmente io non, per sentito dire, è la fucilazione di quattro partigiani condannati a morte da un tribunale della Repubblica Sociale a Parma e li hanno fucilati nel cimitero di Monticelli. Basta, altre cose non, non le ricordo.
SB: E quindi ad un certo punto si è tornati a una sorta di normalità, oppure no?
MG: Sì, una normalità in cui però erano forti, forte le contrapposizioni tra i comunisti e i, insomma tra le forze, quelle che poi diventeranno forze democristiane e i vecchi fascisti da un lato, e le forze social-comuniste dall’altro immediatamente. Mi ricordo la grande euforia per il referendum e soprattutto la grande euforia per la vittoria della Repubblica contro la monarchia. Ah poi ecco, sempre invece durante, nel ’43, ecco nel ’43, forse io ho detto che sono arrivati i tedeschi ma li non, negli alberghi subito dopo l’8 di settembre ma questo è un errore perché, tra, negli gli alberghi tra il gennaio e il, mi pare il marzo, insomma i primi mesi del ’44. Faccio, ritorno indietro un attimo. I tedeschi sono, certo che hanno preso il potere ma lì in quel paese i tedeschi si sono installati qualche mese dopo l’8 di settembre e prima dei tedeschi nel, in uno degli alberghi avevano deportato donne e bambini ebrei, in attesa di essere trasferiti a Fossoli. E io mi ricordo, mi ricordo benissimo, anche perché mi ricordo, vabbe’ a parte il fatto che a casa se ne parlava e poi nel, ero nel negozio della mamma e è venuta una signora ebrea per farsi lavare i capelli perché permettevano a uscire, a parte il fatto che questa signora aveva dei bambini quindi. Io non so se questa signora o era la moglie del rabbino di Parma o era la cognata ecco, comunque appartenevano a, be’ adesso le famiglie non mi ricordo più il cognome come si chiamavano. Io mi ricordo benissimo perché così con questa signora e lei mi aveva detto che c’aveva dei bambini, però quando lei mi ha detto che i suoi bambini erano più grandi di me, insomma la cosa non mi ha interessato più di tanto perché insomma ecco. Questo, questo è un altro dei fatti che io ricordo. Mi ricordo che quando li hanno portati via nel marzo del ’44, per portarli a Fossoli ma lì non si sapeva dove, e allora la gente si, questo mi ricordo proprio nel, si chiedeva che fine avrebbero fatto e mi ricordo che qualcuno ha detto: ‘eh, sì, figurati, li porteranno in Germania, chissà mai cosa gli faranno’, ecco. E basta, poi. Poi dopo sono arrivati i tedeschi, negli stessi edifici.
SB: E senta, quindi in questo periodo in cui ci sono stati questi ebrei in questo, questo edificio. Intanto loro avevano l'obbligo di residenza lì?
MG: No, erano, sono italiani.
SB: Erano sorvegliati.
MG: sorvegliati.
SB: [unclear]
MG: Sorvegliati, però sorvegliati non da tedeschi ma da italiani.
SB: Da italiani. Ed è capitato che ci fosse, suonasse l’allarme durante il periodo in cui loro erano li’? Non se lo ricorda, se qualcuno nel paese
MG: Ma credo che
SB: Si chiedeva cosa facessero questi ebrei, se potessero uscire dal palazzo, se potessero andare a nascondersi da qualche parte oppure no?
MG: No, questo non lo so.
SB: Non se lo ricorda.
MG: No. Ma non mi pare che, perché quel che, l’idea che ho io e che lì i mitragliamenti e i bombardamenti, nei dintorni insomma, a cominciare da Parma, siano avvenuti qualche mese dopo. Cioè proprio primavera-estate del ’44.
SB: Ho capito. E senta, ultima domanda. Qualcuno ha mai, si è fermato mai a ragionare su queste persone che mitragliavano, che bombardavano, qualcuno ha mai, si è mai lasciato sfuggire un commento in famiglia oppure, sia durante che dopo? Cioè come si parlava di queste persone che bombardavano, che mitragliavano?
MG: Si riteneva, si riteneva che fosse necessario. Era lo scotto che noi dovevamo pagare per esser liberati. Poi vabbe’, quando, noi in molti casi naturalmente l’abbiamo saputo dopo. Molti dei bombardamenti tendevano a terrorizzare più che colpire obiettivi militari, su questo non c’è dubbio, perché quando hanno bombardato Piazza della Scala e il duomo eccetera qui a Milano, e così in tantissime altre città, era proprio cioè il tentativo di demoralizzare la popolazione, ma sicuramente cioè quella popolazione non c’era bisogno di bombardarla, era sicuramente demoralizzata, all’infuori dei fascisti che erano legati alla Repubblica di Salò insomma. Io però non mi ricordo, sì che in casa, in casa appunto l’idea che così, l’impressione che mi è rimasta, è proprio quella del, è lo scotto che dobbiam pagare perché i nemici vengano, i nemici che abbiamo in casa vengano cacciati insomma, per esser liberati, ecco. Quindi, chiaro che chi ha avuto la casa, io non episodi di questo ma, in città chi ha avuto la casa bombardata o chi ha avuto dei congiunti che sono rimasti sotto le bombe, sicuramente hanno avuto un atteggiamento diverso insomma.
SB: Senta quindi da quello che mi dice, lei comunque ha approfondito l’argomento dopo la fine della guerra. Ha avuto un percorso professionale o,
MG: Sì.
SB: Si è trovato appunto a studiare, a riprendere queste esperienze che ha vissuto da un punto di vista storico, da un punto di vista di approfondimento.
MG: Le mie personali?
SB: Sì, nel senso lei ha delle conoscenze che appunto non potevano scaturire dalla sua esperienza ma che
MG: Sì, sicuramente.
SB: Sono venute dopo. Ha approfondito queste tematiche.
MG: Sì, sì. Soprattutto non so, l’attività partigiana, perché molte cose per sentito dire, non in casa. Ripeto in casa mia, io non, casa mia tutte le cose che accadevano, vita, morte e miracoli, non hanno, non mi hanno mai nascosto nulla. Qualsiasi cosa accadeva, ne parlavano in modo naturale, non c’era ‘ah è piccolo, non dobbiamo spaventarlo’, no no, tutte le cose venivano dette, commentate, naturalmente sempre con molta attenzione. Poi ripeto sia durante l’occupazione che dopo l’occupazione, anche per ragioni politiche su certe cose insomma così era meglio. Perché probabilmente in città la cosa era diversa dove, ma lì nei piccoli centri dove tutti si conoscevano quindi bisognava muoversi, io sto parlando dei grandi naturalmente.
SB: Certo.
MG: Ma anche noi bambini comunque eravamo schierati, eh, io mi ricordo. I comunisti e gli altri. Mi ricordo benissimo. Io ero tra gli altri [laughs]. Non appartenevo a una famiglia comunista, anche se il nonno, sì, era stato comunista e aveva preso l’olio di ricino ma insomma ormai a quell’età lì non se ne occupava più ma gli altri membri della famiglia non erano comunisti.
SB: Va bene, allora io la ringrazio, se non ha null’altro da aggiungere.
MG: È stato un piacere.
SB: E interrompo.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Maurizio Ghiretti
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Maurizio Ghiretti describes his early life at Monticelli Terme, a small town near Parma. He remembers various episodes of wartime hardships: food shortages, a tree taken down at night for firewood, men hiding in concealed rooms to avoid roundups, and how his father and other men escaped capture because they were forewarned by a German soldier. Describes how they ran for shelter in a nearby ditch covered by bushes, and how they passed the time there. Explains the perception of bombings among civilians, stressing how they were generally seen as the price to pay for being liberated. Mentions the effects of different operations on various cities in the Po river valley and describes bright target indicators descending on nearby bridges. Recounts hearing a siren which, in his uncle’s words, sounded like a donkey braying. Recounts of Jewish women and children being guarded in a hotel before being sent to the Fossoli concentration camp. Remembers various anecdotes of Allied prisoners of war, some working as farmhands, others building the first sewage system. Stresses how his parents never kept him in the dark about the war situation and he was always abreast of what was going on, to the point that even the children took political sides. Describes the fall of the fascist regime mentioning propaganda murals being desecrated with faeces. Recounts the end of the war when cheering crowds welcomed the Allies by waving hawthorn brushes at them, which reminded him of Palm Sunday. Mentions briefly the post-war political situation.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Sara Buda
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-05-07
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:38:57 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Po River Valley
Italy--Parma
Italy
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1945-04-25
1943-07
1943-09-08
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AGhirettiM170507
Rights
Information about rights held in and over the resource
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Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
bombing
childhood in wartime
civil defence
Holocaust
home front
perception of bombing war
Resistance
round-up
strafing
target indicator
-
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A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
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EP: Ok. L’intervista è condotta per l’International Bomber Command Centre. L’intervistatrice è Erica Picco. L’intervistato è il Signor Guido Dell’Era. Nella stanza è presente Sara Troglio. L’intervista ha luogo in [omitted] a Milano e oggi è il 25 febbraio e sono le undici del mattino. Possiamo cominciare. La prima domanda che le faccio, come si è detto, partiamo da prima della guerra.
GD: Si’
E le chiedo, cosa faceva lei prima della guerra? Studiava? Quanti anni aveva? Come organizzava la sua quotidianità? Quali erano le sue impressioni riguardo a quel periodo?
GD: Prima della guerra, io ero studente. Sono stato studente fino a diciott’anni. Diciott’anni fino quando ho preso il diploma di geometra conseguito presso l’istituto, dunque, Carlo Cattaneo di Piazza Vetra a Milano. Per raggiungere l’istituto dovevo prendere il tram su Viale Monza, la linea Milano-Monza, scendevo a Porta Venezia, da lì prendevo un altro tram per portarmi verso il centro di Milano. Questo è il percorso che facevo, e l’ho fatto per parecchi anni, finché avevo finito la scuola. Il periodo significativo, cioè che ricordo bene è stato il 25 aprile del 1943, quando è stato defenestrato Mussolini e anche lì bisognava vedere le reazioni del popolo. Ricordo la stazione centrale, c’erano due fasci enormi di bronzo, sono stati proprio abbattuti [emphasis] completamente, e si sentiva proprio l’odio verso Mussolini perché indubbiamente, tutti quanti nel giugno del ’40 sembrava che fossero osannanti Mussolini, ah meno male perché, ci sembrava che fosse un motivo logico perché i tedeschi stavano invadendo tutta l’Europa, ‘come mai Mussolini non entra? ah deve entrare’. Sapevamo tutti quanti, lo sapevamo noi che eravamo giovani, che parecchie armi erano finte. C’erano i carri armati di legno per scrivere agli atti. Quando Mussolini ha invitato Hitler in Italia e ha fatto vedere che erano carri carmati di legno, i cannoni di legno, cosa incredibile. Siamo, per cui siamo entrati in guerra nel modo peggiore, tutto perché c’è questa fretta di voler agganciare, agganciarsi ai tedeschi perché, se per caso i tedeschi avessero vinto, noi saremmo rimasti fuori, invece partecipando è stata poi la nostra rovina. E adesso, diceva, scusi?
EP: Le chiedevo appunto, prima della guerra.
GD: Ah, prima della guerra, sì, sì.
EP: Prima proprio dello scoppio.
GD: Appunto, facevo questo dopo scuola. Poi c’è stata l’interruzione nel giugno del ’44 quando mi avevano chiamato per andare a fare lavori agricoli leggeri in Germania. Per cui sono rimasto da quel momento senza tessera, senza niente, ero un isolato, un disertore praticamente perché non mi ero presentato alle armi. E c’era il pericolo effettivamente che se per caso avessero beccato un qualche volantino contro il Fascismo c’era la galera, tant’è vero che un mio compagno di scuola, delle elementari questo di Sesto San Giovanni, Renzo Del Riccio è stato fucilato nell’agosto del 1943, fucilato in Piazzale Loreto, perché Loreto è diventato così famoso in seguito prima di questo omicidio, di questo fatto eh [pause]. Dunque della Svizzera ho già raccontato mi sembra, no.
EP: Ci racconti ancora, ci racconti meglio.
GD: Ho tentato di entrare, ah sì, ero entrato già in Svizzera attraverso il valico ferrovie dello stato sceso a Bienzone un paesino che c’è in Valtellina ho valicato questo pezzo di non dico di Alpi, di montagne, sono arrivato nel, in Svizzera e mi ha colpito molto avendo qui abituati agli oscuramenti a vedere questa vallata tutta illuminata proprio mi ha colpito in un modo terribile perché di la non c’era la guerra di conseguenza bisognava tutto. Dopo due giorni ci hanno rimandato indietro perché non potevamo. Comunque con noi c’era una famiglia, una piccola famiglia costituita da padre, madre e questo bimbetto, si sono fatti cura gli svizzeri di telefonare a Zurigo dove viveva questa nonna, l’hann chiamata e hanno preso il bambino praticamente è rimasta la bambina. Di cinque persone, beh tre sono rimaste, due prigionieri russi che erano con noi, il bambino e noi due invece, noi tre siamo venuti indietro. Io ho potuto riprendere la scuola, mi ero rivolto al presidente, al preside della scuola, ho detto, guardi che io sono nato a febbraio però se lei mi fa un documento come risulta dalla carta da me falsificata, è stato molto gentile tra l’altro, è stato molto comprensivo, e ho potuto finire la scuola. In quel periodo mi ricordo che erano venuti anche a fare propaganda, addirittura c’era uno, me lo ricordo come se fosse ieri, piccoletto, grassoccio con i baffettini, che faceva propaganda per le SS italiane, pensate un po’ che roba. Perché purtroppo in Italia in quel momento lì c’erano quelli che andavano alle SS, quelli che andavano alla Muti, quelli che andavano alla Resiga, insomma [pause] e in questo frangente mi ricordo che.
Unknown person: Scusi, io vado signor Guido, ci vediamo dopo. La chiave è lì al solito posto.
GD: Va bene, grazie ciao. Scusate che mi fermo ogni tanto perché devo fare un po’ mente locale.
EP: Ci mancherebbe altro.
GD: Sono passati troppi anni. E poi, dunque, un momentino, quando ho detto che ho lavorato per due o tre anni in un impresa di costruzioni a Sesto San Giovanni poi mi sono fatto la domanda all’ENI. Combinazione stavano facendo un pezzo di gasdotto e io ho spostato dei materiali di che [unclear] da parte voi ma esistono su alla SNAM, la SNAM non si sapeva cos’era di preciso e allora cosa ho fatto ho presentato domanda in Corso Venezia 16 e mi hanno assunto. Andavano a vedere però se una persona era a posto, se era idee politiche o altro, questo lo guardavano eh, il servizio del personale della SNAM. Poi, non so, l’ho già detto, sono stato all’AGIP mineraria in via Gabba, poi via Gabba siamo, tornati, andati tutti a San Donato Milanese quando San Donato Milanese è diventato grosso quartiere non solamente residenziale ma anche di uffici, hanno fatto il primo palazzo uffici, secondo palazzo uffici, vabbè insomma sono arrivato là. Io sono andato in pensione nel milenovecento, cento, sai che non lo ricordo, beh trentacinque anni dopo, dal ’50 all’86.
EP: Vorrei riportarla al periodo appunto dello scoppio della guerra.
GD: Sì.
EP: Innanzitutto volevo capire meglio la sua famiglia, se era figlio unico, se ha altri fratelli.
GD: Sì, figlio unico.
EP: E in famiglia, l’avvento della guerra com’è stato vissuto, ne avete parlato a casa, come, come è stato vissuto?
GD: Mah, cosa vuole, allora non si poteva parlarne a casa, perché eravamo un po’ inquadrati tutti quanti, no. Beh, io sono stato Balilla, sono stato Avanguardista, tutte queste, marinaretto anche a Milano va bene comunque [laughs] e abbiamo seguito questo però Mussolini era un grande uomo finché è venuto fuori tutte le magagne che sono venute fuori. No, io ricordo per esempio che il primo, nel giugno, non so esattamente se il trenta quando, il primo allarme d’aereo ecco, il primo allarme è stato una cosa scioccante mi ricordo dormivo e c’era mia mamma che veniva a scrollarmi ero in sonno profondo, ero giovane e dice ‘Guido guarda che c’è il bombardamento, c’era l’allarme allora abbiamo incominciato ad assuefarci agli allarmi aerei c’era la prima sirena, la seconda sirena, il pericolo grave, il pericolo non grave, c’era tutto un sistema. Milano, ecco questo, era circondata da batterie di contraerea. Erano cannoni che ci hanno forniti i tedeschi perché anche noi [unclear] andavamo a prendere le inferriate delle case, come a casa mia per fonderli e fare l’acciaio, figurati un po’ che l’autarchia . E quando venivano gli aerei entravano in funzione le batterie e sparavano, sparavano non si sa. Sembrerà che ci fossero anche i tedeschi a aiutarci a usare le batterie. Ho saputo poi che gli aerei, i cannoni arrivavano fino a ottomila metri d’altezza e gli aerei cosa facevano, stavano su una quota superiore per cui non si prendevano mai. Infatti in tutto il periodo di guerra mi sembra che Milano abbia abbattuto tre aerei, tre aerei, pensate un po’. Quando, quando è arrivato, quando sono arrivati dal, sempre dal sud arrivavano, a bombardare Precotto, eh quello me lo ricordo bene, i bombardamenti di Precotto, eravamo io e mio padre sul terrazzo di casa, un po’ incoscienti vediamo cosa c’è, abbiamo visto in cielo un gruppo di aerei ma erano parecchi eh sembrava che, da sotto sparavano ma, mah, dico chissà cosa sono poi abbiamo sentito come il sibilo delle bombe che scendevano e le esplosioni perché per la prima bomba che noi abbiamo scoperto qui da noi era a chilometri di distanza davanti alla chiesa di Precotto era scoppiata la prima bomba. Eh niente c’era un tram, mi ricordo, un convoglio tramviario che era stato bloccato perché c’era l’allarme ma non solo ma perché era stata bombardata la strada. Allora cosa ho fatto io, come mia madre era andata non so per quale motivi in comune, allora io parto alla ricerca di mia madre, speriamo che non sia su questo tram che è stato colpito. E sono arrivato fino a Porta Venezia. A Porta Venezia c’erano ancora le, i baracconi delle fiere lì, tiro a segno, altre giostre, ed era lì che c’erano tutti, guardate cosa è successo, a due chilometri di distanza è stato un bombardamento orca miseria lo sapevo io portavano adesso con i telefonini si sa tutto quanto ma allora e dico guardate che è successo sta roba ma no e dico purtroppo è così allora a piedi torno poi mia madre era riuscita a venire a casa da sola, siamo venuti con dei miei amici siamo venuti a piedi. Ecco un’altra cosa per esempio quando c’era l’allarme a scuola maggior parte cercava di fuggire, di non andare nei rifugi [unclear] per venire a casa, perche’ insomma e facevamo a piedi dal Carlo Cattaneo, Piazza Vetra fino qui a casa. Quando si arrivava a casa arrivava, finiva l’allarme e arrivava il tram, questo è un particolare. Serviva a noi per fare un po’ di ginnastica. Ecco. Vabbè
PD: Permesso, buongiorno
EP: Buongiorno.
GD: Patrizia, Ciao, Patrizia. Mia figlia.
PD: Buongiorno.
EP: Piacere. Possiamo riprendere?
GD: Sì, se volete possiamo parlare anche semplicemente di fatti politici. Perché prima abbiamo parlato, no del momento la caduta di Mussolini è stata il 25 aprile del ’43 e anche lì sfogo della gente perché insomma. E mi ricordo a Porta Venezia c’era ancora uno con i fascetti lì [laughs] ma scusi ma cosa sta facendo lei e gli dico guardi che non c’è più Mussolini dovrebbe averli al contrario [laughs] quello si è preso, è scappato via di volata, vabbè. Ecco invece nel bombardamento di Precotto cosa visto una cosa gravissima, sembra che sia stato un errore logistico cioè anziché prendere le ferrovie dello stato hanno preso il Viale Monza e purtroppo ci sono stati duecento e rotti morti al Gorla. A Precotto invece è stata colpita anche lì la scuola di Precotto infatti c’è ancora la foto, l’ho fatta fare io quella targa ‘scuola bombardata il 20 ottobre del 1944’. I bambini che mi dispiace perché avrei detto a un mio amico se vuoi venire lì per l’intervista era un bambino d’allora [unclear] però insomma fatto sta che grazie alla partecipazione di questo Don Carlo Porro si chiama questo, è intervenuto e altri cittadini che erano li, avevano aiutato hanno passato l’inferriata della cantina e hanno fatto uscire tutti i bambini. Come sono usciti i bambini, è crollato il rifugio antiaereo, che poi momento rifugio antiaereo per modo di dire perché cos’erano delle travi di legno con dei puntelli sotto, no, non c’era niente di particolare. E tant’è vero che Don Carlo Porro è stato insignito della medaglia d’oro al valore civile. Ecco poi andando avanti nel, in questo percorso che facevamo, mi ha colpito una ragazza giovane stesa sul marciapiede. Come pure anche un cavallo, pensate un po’ che roba, quel cavallo ce lo siamo ripresi, ripresi io e un altro mio amico che combinazione era di guardia alla stazione di Greco e dice ma ti ricordi eh? Mi ricordo quel cavallo, poveretto, era squarciato, tant’è vero che l’hanno accoppato subito, per non farlo soffrire [pause]. Ecco, il Viale Monza era, era come, vediamo, può girare la pagina c’era in fondo, ecco Viale Monza era così, ecco linea tramviaria, il percorso andata e ritorno e gli alberi. Era uno spettacolo, in estate sembrava di entrare quasi in una cosa, nell’aria condizionata perché questi rami che si riunivano in cima perché erano alberi molto alti quelli che poi fra l’altro gli alberi sono stati rubati [emphasis] in tempo di guerra perché non c’era niente. Non c’era carbone, non c’era niente. Ogni tanto si prendevano la fune, sotto con l’accetta, rompevano e facevano cadere l’albero e poi saltavano addosso come tanti topi a rosicchiare [laughs]. Insomma allora non c’era proprio più niente.
EP: Mi racconti un po’ meglio com’era il quartiere, com’era organizzato, come conducevate la vostra vita di ragazzi a quell’epoca.
GD: Allora questa zona qui di Milano, da Precotto arrivava fino a Sesto, era tutti terreni agricoli. I terreni agricoli venivano coltivati da dei contadini che risiedevano a Precotto [unclear] perché c’erano delle famiglie intere che venivano qui al mattino, i cascinotti , venivano a lasciare gli animali, facevano i loro lavori e poi alla sera ripartivano questo su con il cavallo, con le cariole perché c’è sempre un chilometro di percorso eh da qui a Precotto. I terreni erano coltivati dunque innanzitutto c’erano i bachi da seta perché ciascuna famiglia aveva un po’ il reparto apposta per i bachi da seta che rendevano qualche cosa, li portavano a Monza dove c’era il, come si chiama lì, il ricupero dei bachi da seta perché il baco da seta era un insetto un po’ schifosetto ma però eh era produttivo eh difatti in Cina per esempio la seta che ha uno sviluppo mica da ridere. Poi l’altra parte dei terreni erano coltivati a verdure. Infatti mi ricordo che c’erano gli asparagi, addirittura, insalate varie e il venerdì sera venivano raccolte questa frutta nei cesti, venivano lavati nei fossi che erano abbastanza fornito bene perché era l’acqua del Villoresi, sai, il Villoresi che usciva da Sesto e veniva qui da noi, si dischiudeva fino a Precotto. Venivano lavate le verdure e venivano portati il sabato mattina al mercato di via Benedetto Marcello, Via Benedetto Marcelo è abbastanza vicino a noi, e allora col carro portavano e vendevano i loro ortaggi e poi rientravano la sera, era una giornata abbastanza. Poi, momentino, poi molta gente invece lavorava negli stabilimenti che sono qua nei dintorni, tant’è vero che la fermata che c’era qui da noi in fondo alla nostra via la chiamavano l’agraria perche la Breda faceva macchine agricole ai tempi, poi si è messa a fare i cannoni, le macchine per, immagina l’agraria. Per cui tra le varie fermate c’era Sesto San Giovanni, agraria, Villanuova, che era a metà strada, e Precotto. Poi nel, quando hanno cominciato i lavori della metropolitana, ecco questo è un altro particolare, quando hanno iniziato i lavori della metropolitana, che qui in fondo c’era la rimessa della metropolitana, hanno scoperto ancora un paio di bombe che erano inesplose e c’era un maresciallo Bizzarri che si chiamava del genio militare, che era comandato qui a Milano, io l’ho visto personalmente proprio, veniva con una sua camionetta di carabinieri, scendeva con la sua chiave inglese, col petrolio perché lubrificava la parte filacciata, si metteva a cavallo e con la chiave inglese girava, un lavoro pericolosissimo. Non so quante bombe ha disinnescato, probabilmente lo troverete da qualche parte questo maresciallo Bizzarri perché è un personaggio troppo importante. E finiva il suo lavoro e senza prendere nessuna precauzione. Noi eravamo ragazzotti ancora e quella volta lì che era venuto eravamo tutti in giro a vedere. Imprudenza, eh, perchè successivamente i lavori che hanno fatto successivamente di disinnesco, adesso chilometri e chilometri li lasciavano completamente liberi eh. Era pericolo.
EP: E il gruppo di voi ragazzi, eravate compagni di scuola dell’istituto geometri e ragionieri?
GD: Beh qualcuno sì. Sì ma erano gli operai figli di contadini no. A parte che noi eravamo in quattro gatti erano pochi bambini qua, a Percotto c’erano, qui da noi. Le palazzine erano state costruite nel ’28, ’29, ’30 per cui non c’erano grandi famiglie. Ecco stavo dicendo che hanno sviluppato, dai terreni agricoli sono diventati, io ho una cartolina tanto che tu lo scriva, hanno lottizzato e fatto dei terreni fabbricabili tant’è vero che su una cartolina c’è scritto ‘acqua, luce, gas e il tram ogni mezz’ora’. [laughs] Questa, la pubblicità di questa cartolina probabilmente c’è anche sul. Ecco, non, altro non. Ah momento, ecco si’.I ragazzi cosa facevano, andavano al naviglio a fare il bagno ecco, il naviglio era diventato una piscina . Oppure peggio ancora e pericoloso le cave, la cava di Precotto, la cava di Crescenzago venivano utilizzate dai ragazzi, da me in particolare, a fare il bagno ed era pericolo perché l’acqua fredda poteva anche creare qualche malessere, ah. Oppure si andava al Villoresi, ma il Villoresi era molto pericoloso perché aveva una velocità d’acqua abbastanza veloce, il Villoresi. Vediamo se c’è ancora qualcos’altro che, ah ecco. Più che i bombardamenti erano i mitragliamenti. Quasi tutti i giorni dalla fine del ’44 all’inizio del ’45 arrivavano due o tre cacciabombardieri da sud, io li vedevo da casa mia, viravano all’altezza dei campi qui di Precotto e si dirigevano verso le Ferrovie dello Stato e mitragliavano, probabilmente su segnalazione del controspionaggio che c’era. E si direbbe i due piloti, guardi era una cosa incredibile, li vedevi che scendevano d’altra parte non c’era più contraerea, quelli venivano giù tranquillamente e mitragliavano ed ogni tanto si sentivano sbuffare il vapore perche’ le caldaie perforate fatti per dire [unclear], ma guarda un po’, tant’è vero che poi sono stati, della resistenza sono stati fucilati tre ferrovieri che facevano parte dei comitati antifascisti.
EP: E durante i mitragliamenti, voi ragazzi cercavate di stare a guardare o vi mettevate al riparo?
GD: No, ma io e mio padre eravamo un po’ incoscienti restavamo sul terrazzo del, perché li vedevamo [unclear] e poi giravano, perché era un percorso fisso non c’era ecco un momentino il Viale Monza tra l’altro era sbarrato, era chiuso da due muraglioni, uno sulla destra, uno sulla sinistra in modo che i metri che dovevano fare, a parte che c’erano pochi metri, dovevano fare questa esse, questo percorso forzato e lì era di sentinella, c’erano dei militari prevalentemente fascisti erano questi e mi ricordo che una volta mi sembra che su quel, su questo qui c’è scritto, era il due o tre gennaio del ’45, credo, si son messi hann visto che arrivavano questi aerei così bassi, si sono messi di sotto a sparargli sopra quelli cosa hanno fatto? Hanno virato ancora e hanno cominciato a mitragliare Viale Monza, la guerra italiana, ah povero. E il 25 aprile poi è stato l’esplosione finale che è la caccia. Ma io ricordo per esempio che i tedeschi avevano tentato, non si sono arresi ai partigiani e hanno tentato di sfondare verso la Svizzera e infatti su Viale Monza vedevo [unclear] un sacco di mezzi dei tedeschi che andavano poi a un certo momentino hanno fatto marcia indietro e son tornati e sono andati in Piazzale Fiume dove c’era la sede principale della Wehrmacht. Ecco un altro particolare per esempio. In tempo di guerra tutte le filovie di Milano erano sparite, erano state depositate al parco di Monza su dei mattoni, su dei supporti perché le gomme le hanno portate via i tedeschi. Pensate un po’ la guerra cosa faceva. Andavamo a rubare, andavano a rubare le ruote delle filovie di Milano per usarle su. Ah rubavano anche le biciclette i tedeschi, eh, intendiamoci. Ultimamente erano abbastanza accaniti contro di noi. Forse avevano anche ragione perché noi li abbiamo traditi eh, i Tedeschi, proprio uguale..
EP: Io vorrei tornare un momento alla, a quando eravate a scuola. Prima accennava al fatto che arrivavano a fare propaganda a scuola.
GD: Sì, sì sì.
EP:Con che modalità cercavano di, insomma ?
GD: Ma io mi ricordo nell’atrio dove ci sono la tromba delle scale no, e c’era lì questo tizio qui vestito da SS. ‘Eh ma dovete se volete partecipare, ah no, volontari vi trattiamo bene’ ci lusingavano un po’ sul mangiare perché c’era poco da mangiare allora e mi ricordo che a un certo momentino nel pieno di questa propaganda qualcuno dall’ultimo piano ha buttato giù volantini antifascisti oh [laughs] lo spaghetto, lo spavento generale e quello si è trovato completamente spiazzato eh, stava facendo propaganda per andare eh, e hanno buttato giù i manifesti. C’è stato indubbiamente qualche testa calda perché il capo era pericoloso eh. Ah poi gli americani dicevano ‘noi bombardiamo perché voi italiani vi dovete ribellare ai tedeschi’ ma come si faceva a ribellare. Chi si faceva. Non avevamo nessuna arma. Mah! E poi quando c’è stato il 25 aprile c’erano, andavano a cercare di prendere beh hanno fermato anche i grossi gerarchi sul ponte di Orla adesso non mi ricordo i nomi quali erano che poi la maggior parte sono stati poi fucilati, eh. Beh, sul Lago Maggiore per esempio, la, credo che sia la famiglia Petacci mi sembra che li abbiano fucilati si buttavano nel lago e venivano presi di mira. E insomma, cose tremende. Eh, insomma. Comunque per carità la guerra.
EP: Quando è scoppiata la guerra, qual’è stato il più grande cambiamento che lei ha potuto vedere, cioè dal momento in cui appunto si discuteva di intervento, non intervento, cosa fare, c’era dibattito all’interno, tra di voi ragazzi magari?
GD: No, non c’era nessun dibattito il 10 giugno del ’40. Non c’era, eravamo tutti inquadrati. Successivamente, allora, sentivamo Radio Londra, sentivamo la Svizzera, quelli si sentiva. Io avevo una piccolo radio a galena che allora e sentivo appunto questi giornali radio che arrivavano dall’estero. Faceva anche piacere sentirli, perché speriamo che finisca [pause]. Mah!
EP: E nel ’44, quando c’è stata appunto la chiamata che c’accennava prima,
GD: Sì.
EP: cosa è successo alla classe, ai compagni di classe?
GD: Eh non lo so perché io poi ho ripreso andare a scuola nel, alla fine di ottobre, ho saltato qualche mese o due mesi. Quando sono andato dal preside che mi sono presentato il quale così così poi mi ha lasciato questa carta bollata e sono riuscito ad entrare. E niente, ci siamo visti, eh allora come va. Come quando per esempio adesso non ricordo esattamente l’anno, c’è stata la campagna contro gli ebrei, ecco. Diceva, ‘allora quest’anno, guardate che il compagno Finzi, il compagno Coen’, nomi tutti ebrei, ‘non saranno più in classe con voi perche sono stati dirottati verso la scuola’. Era una scuola verso il centro di Milano e sapevamo che erano stati invece portati, non portati via ma comunque ma facevano parte di questo gruppo di persone che erano malviste dal fascismo. Anche lì. [pause] Ecco quello che mi ricordo che qualche anno dopo, magari una decina d’anni, sono andato a vedere i miei compagni di scuola quali proprio avevo perso di vista e ho visto che la maggior parte, laureati tra l’altro eh, professor Coen, la Finzi, erano diventate delle personalità perché indubbiamente la cultura di quei ragazzi lì era molto superiore alla nostra, noi eravamo più bambocci.
EP: E sulle leggi razziali, appunto, si diceva qualcosa tra compagni, vi chiedevate che cosa stesse succedendo?
GD: Appunto non sapevamo per casa, non sapevamo che Finzi era ebreo, che Coen era ebreo, non lo sapevamo. Poi dai registri segnati si sapeva che, ma indubbiamente influiva negativamente su di noi ma per quale motivo, se c’era un motivo, uno non si rendeva conto per quale motivo veniva ritirato dalla scuola e portato da un’altra parte. Non è che ti dicessero ‘guardate, li portiamo là perché adesso sono ebrei, sono di religione contraria dalla nostra’. Tant’è vero che bisognava essere, non mi ricordo, si, ariani credo, no, infatti sui nostri documenti ti scrivevano addirittura ‘razza ariana’ [pause]. Che brutte cose.
EP: Riguardo ai rifugi antiaerei
GD [laughs]
EP: [laughs] lei ha avuto esperienza di immagino?
GD: Io ho avuto l’esperienza di Precotto, quando è stata bombardata la scuola. Il rifugio era fatti di puntelli di legno, poi al massimo c’erano delle travi che venivano con dei cunei, rinforzati. Però si direttamente com era successo a Gorla, non servono a niente. C’era qualche rifugio in fondo Via Brera poi lo stavano costruendo, ma è finito la guerra e il rifugio è rimasto ancora lì. Tant’è vero che è stato riutilizzato il ricovero da un mio amico architetto, il quale anzi l’ha comprato e li vendevano gratis e quasi perchè a lungo andare un blocco di cemento non so, due, tre metri di spessore, allora cosa ha fatto quello ha costruito sopra, così maggiore sicurezza [laughs]. Tant’è vero che c’è stata dopo un esplosione in quella casa perché c’era un tizio che caricava gli accendini nel sottoscala, è stata un esplosione, e la casa è rimasta su, fortunatamente. Per esempio anche, al centro di Milano, in Piazza, rifugio di Piazza del Duomo di Milano è stato costruito dalle imprese Morganti, le imprese che ci sono qua dietro, ma probabilmente non è neanche riuscito ad entrare in funzione, credo, bisogna andare a verificare le date. Perché siamo entrati impreparati, inutile fare tante storie. Lo stabilimento c’è la fatto c’è un rifugio anche quello qua dietro in Via Adriano esiste una specie di siluro che scende dove è stata fatta la Esselunga, ecco quello lì è un rifugio antiaereo. Allora devo dire adesso, figuriamoci. Ah sì, il proprietario lì è morto qualche anno fa mi sembra, l’ha tenuto come emblema della sua vita. Per cui non eravamo assolutamente preparati. [pause] Poi la pericolosità dei rifugi antiaerei perché se non c’era lo sbarramento, lo spostamento d’aria fanno crepare tutti quanti che sono dentro, eh. I muri molto sostenuti erano quelli della stazione centrale, perche lì indubbiamente ci sono i muri che sono. [pause] Insomma.
EP: E dentro i rifugi cosa facevate?
GD: Ah niente, c’è chi pregava, chi stava seduto, si portava le candele perché il giorno che manca l’energia elettrica o come frequentemente succedeva [pause]. Non so se c’è qualche altro episodio da raccontare, mah.
EP: Avevate paura?
GD: Eh beh certo ah.
EP: Come facevate per cercare di scongiurare la paura?
GD: Ma io ricordo per esempio che c’erano tutti i campi, come ho detto prima. Gli stessi operai della Marelli quando succedeva l’allarme correvano tutti nei campi si rifugiavano dentro i fossi che asciutti, no. C’era proprio la. Insomma siamo entrati in guerra impreparati [emphasis]. Sì però non vuol dire niente, anche se fossimo stati preparati la guerra è sempre una cosa che [pause] Ha annotato qualcos’altro?
EP: Volevo chiederle se la sua famiglia è stata coinvolta in qualche modo nella guerra. Se ha avuto dei parenti che sono partiti per il fronte.
GD: Beh, Qualcuno sì.
EP: Com’era vissuto in famiglia questo distacco?
GD: Non era qui, perche io sono, mio madre e mio padre, mio padre era di Milano, mia mamma di Agnadello, un paesino vicino appena fuori ,già in provincia di Cremona comunque, dove tra l’altro era la nostra cappella quando saremo morti andremo tutti li. Ma lì avevo avuto, mia mamma aveva avuto innanzitutto un fratello a ventun’anni è morto il giorno dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, pensate un po’ che roba. È morto all’ospedale di Chioggia, per ferite riportate. Poi c’era un altro parente che in Russia è sparito, un altro in Libia, anche lì avuto, tra dispersi e morti ce ne sono un po’ da tutte le parti. E poi ci sono quelli che sono morti in Germania, i deportati in Germania. Io avevo una signora, non so se la conosce, la signora Murri, l’avete conosciuta, perché questa signora racconta molto volentieri per quanto perché ha avuto il papà che è stato deportato in Germania ed è morto, è morto là. Deve sentire raccontare quando hanno, sono riusciti ad individuare il treno, i vagoni, perché i vagoni erano piombati, li inseguivano con questi vagoni non so fino a dove sono arrivati, e parlavano attraverso le pareti chiuse di questa gente. Questa è una cosa molto molto interessante. Tra l’altro lo racconta molto volentieri alle scuole, il suo passato molto molto duro. Abita qui vicino tra l’altro.
EP: E riguardo appunto la fine della guerra.
GD: Sì.
EP: Lei si ricorda quando è stato dato l’annuncio che la guerra stava finendo, era finita, che cosa aveva fatto voi?
GD: Eh, beh certo.
EP: Cosa avete fatto voi? Quali emozioni c’erano? Che tipo di reazione c’è stata?
GD: È stata un emozione generale perché la prima volta quando sembrava che l’8 settembre del ’43 fosse finita la guerra perché lì, si era sentito il marescaglio Badoglio, ‘le nostre truppe reagiranno da qualsiasi parte provenga’, ma cosa vuol dire, tu invece di, ti metti li a sparare ai tedeschi, a parte che un è atto non giusto tra l’altro e tutta la gente in mezzo alla strada è finita la guerra, ah bene l’abbiam preso con un sollievo enorme perché. La stessa impressione che ho avuto io quando sono andato in Svizzera a vedere i viali illuminati e qui invece invece l’oscuramento. C’era addirittura un aereo che lo chiamavano Pippo che di notte veniva a mitragliare o a lanciare le bombette le case che erano illuminate, pensate un po’ che roba. Ma non abbiamo mai saputo se erano italiani oppure no, probabilmente erano italiani. Pippo l’avete sentito nominare anche voi? [laughs] E c’erano i fabbricati, i capi fabbricato, ogni zona aveva il proprio capo fabbricato, il quale veniva a dire se il rifugio era a posto, cosa veniva, i rifugi a posto. Sì i puntelli, vabbè. Certo che se la bomba ti arriva lì dentro non c’era niente da fare, non c’era niente.
EP: E cosa pensavate voi ragazzi di chi stava bombardando, all’epoca?
GD: Quello che si pensava. Se eravamo a scuola, cercavamo di uscire senza andare nel rifugio della scuola e incamminarci a piedi per arrivare a casa. Si sentiva proprio il desiderio di raggiungere la propria casa. Perché la casa sembrava che, raggiungendo la casa, basta siamo a posto. Il senso della casa era incredibile [pause].
EP: E ripensare oggi a quegli eventi, ripensare a chi bombardava, alle, diciamo, vicessitudini politiche della guerra, che opinione ne ha adesso, a distanza di tempo?
GD: Sui delitti politici, dice?
EP: Sulla situazione che proprio era del periodo di guerra, di chi bombardava, che opinione le è rimasta?
GD: Ah, beh, certo ricordo per esempio tutte le case che venivano bombardate, c’era scritto no, ‘casa distrutta dagli anglo-assassini’, anglo-assassini proprio, ma a caratteri cubitali. E però siamo noi che li abbiamo provocati, eh. [pause] Poi le informazioni non è che giravano come adesso, adesso l’informazione se succede un fatto, , non so, Porta Ticinese, si sa subito, allora si sapeva, mah sembra che abbia fatto, aveva bombardato, non so, una certa zona di Milano. Comunque abbiamo fatto cinque anni infiniti, noi abbiamo passato la nostra gioventù in tempo di guerra. Tra l’altro bisognava stare attenti a chi uscire di sera, non si poteva, c’era il coprifuoco. Ci si muoveva tutto così di nascosto, io avevo un amico qui al confine con Sesto e uscivamo di sera di nascosto, cercando di non farsi vedere da nessuno perché c’era sempre il pericolo di trovarsi o arrestato o pigliare qualche pallottata, qualche pallottola di arma da fuoco. [pause] Qualche, io ho sentito qualche, avevamo un inquilino che era reduce dalla Russia, anche lì è stata una cosa tremenda, a piedi, non so quanti chilometri, facevano tra i tutti, tutti quanti cercavano di arrivare in Italia. Un’altra sensazione quando sono arrivati i prigionieri dalla Germania per esempio. Sono arrivati i prigionieri, [pause] la gente che non si sapeva, allora c’era la corrsispondenza erano distribuiti ai militari dicevano ‘oh è arrivata posta oggi’, tutto, la, cartoline no. E io mi ricordo la corrispondenza con mio cugino che era in Iugoslavia, ecco anche lì, che poi ti sparavano, anche di là ti sparavano, mo’ [pause]
EP: Va bene, Signor Dell’Era, io la ringrazio moltissimo del contributo.
GD: Se c’è ancora qualcos’altro ma non, penso proprio di no. [pause] Certo che a pensare la guerra è la cosa peggiore che possa mettere al mondo un uomo, un politico, oh, per carità, lasciamo stare. Ma il fascismo si era comportato bene fino alla fine della guerra. Noi eravamo inquadrati, facevamo i Balilla, facevamo gli Avanguardisti, facevamo, c’era disciplina, ordine, c’era amor di patria , tutto quanto, in apparenza almeno. [pause] Nella nostra zona abitava, ha abitato, oh madonna come si chiama quello lì, Bertinotti, abitava nella via vicino a noi, come si chiama. Poi c’è stato fino alla guerra, c’era Vanoni che era venuto qui a fare una visita a Precotto, non so per quale motivo e giocava, e ha giocato a carte, a carte che non si poteva neanche, in una osteria di Precotto, e lì è stato, non so forse l’ha preso Scala nel suo, ci deve essere, non avevo Vanoni, che gioca a carte, che non si poteva. Invece, Io invece ero a scuola invece con Cossutta, ecco anche lì la [unclear] della gente. Cossutta era un fascistello eh. Quando andava a scuola allo Zucchi di Monza, teneva concerto, teneva il filo lui, ah che, aveva gli stivaletti scuri, perché faceva parte dei piccoli gerarchi fascisti. Poi cos’ha fatto, ribaltato, è diventato il più grande comunista d’italia, anche lì. E’ morto poco tempo fa. La metamorfosi della gente. I politici fanno presto a cambiare idea, eh, e’ difficile che siano coerenti tra di loro.
Allora di questo libro qui posso darglielo, va bene? Questo è importante. Qui c’è tutto eh, c’è scritto tutto di equipaggi, tipo di aereo, la formazione, la provenienza, per cui.
EP: Grazie mille.
GD: Niente.
EP: Grazie dei preziosi materiali e della sua testimonianza.
GD: Eh no, se posso essere utile, qualcosa.
EP: Lo sa. Grazie.
GD: Niente, di niente.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Guido Dell’Era
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Guido Dell’Era recollects daily life in wartime Milan, stressing inadequate war preparation. Describes a disciplined, regimented society which later turned to disillusionment. Recollects the declaration of war, the fall of the fascist regime and the end of the conflict. Contrasts with the situation in Switzerland, emphasising the lack of wartime black-out precautions there. Describes the 20 October 1944 bombing, its effects on the Gorla and Precotto primary schools, and his own role in the subsequent memorialisation of the event. Stresses the ineffectiveness of anti-aircraft fire, the different shelters and what life was like inside them. Mentions the impact of racial laws on his schoolmates. Recalls memories of Italian military internees in Germany. Describes wartime life: execution of partisans, pastimes of children, strafing of marshalling yards, antifascist propaganda, SS recruitment, graffiti on bombed buildings, bomb disposal units, Pippo, and curfew. Mentions fascists who changed camp after the war ended and became active public figures in other political parties. Describes briefly his post-war life working for oil and mining companies.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Erica Picco
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-02-25
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:50:44 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Po River Valley
Italy--Milan
Switzerland--Zurich
Italy
Switzerland
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1944-08-10
1943-09-08
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ADell'EraG170225
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
animal
anti-aircraft fire
anti-Semitism
bomb disposal
bombing
bombing of Milan (20 October 1944)
childhood in wartime
civil defence
home front
Pippo
propaganda
strafing
Waffen-SS
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/59/519/AAn00659-160808.2.mp3
4fc7f81d36d1cc8f18e84612642a7b8f
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
A survivor of the Karigador bombing
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
An00659
Description
An account of the resource
One oral history interview with an informant who recollects his wartime experiences in the Verteneglio Brtonigla area.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
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Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-08-08
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
Pietro Commisso: Sono Pietro Comisso e sto per intervistare [omitted] per l’archivio dell’International Bomber Command Centre. Siamo a Monfalcone, è il 08 08 2016. Grazie [omitted] per aver permesso questa intervista. Sono presenti Pietro Commisso e [omitted]. Prima di cominciare, vorrei farle alcune domande per essere sicuro che questa intervista venga registrata come desidera. È d’accordo che la sua intervista venga conservata presso l’Università di Lincoln, esclusivamente per scopi non commerciali, che l’università di Lincoln ne abbia il copyright e infine essere liberamente accessibile in qualsiasi formato per mostre, attività di ricerca, istruzione, e come risorsa online?
Bombing survivor: Sì
PC: È d’accordo che il suo nome venga pubblicamente associato all’intervista?
BS: No
PC: È d’accordo di essere fotografato per l’archivio digitale dell’International Bomber Command Centre?
BS: No, no, no.
PC: Ehm, mi dica qual è il suo ricordo più vecchio riguardante i bombardamenti aerei della seconda guerra mondiale.
BS: Dunque, sé una mattina, ‘desso non me ricordo proprio il giorno naturalmente, sarà stà aprile, penso così, circa no, eh [pause] mio zio coso mi ha detto che giù, in Carigador si chiama il posto, ghe sé una nave tedesca che sé piena di de robe dentro, de mangiare, de letti, tavole, e materas, di tutte le cose immaginabili, era dento di tutto insomma. Poi, sono ‘ndato giù in strada, era un mio cugino, li ho detto se mi porta giù con la bicicleta, perché io non, per forza non avevo la bicicleta [laughs], me ga portà giù, se vemo trovado là, eh, via le scarpe, i pantal, le braghe insomma, i pantaloni, semo ‘ndati a portar fora la roba di, tutte le robe, però era un pericolo [emphasis] naturalmente che venivi i apparecchi, esatto. Abbiamo messo due mie cugine di, come se disi, se le vedi magari i apparechi che vien lì: tut un momento le comincia a ziga’: ‘Aiuto, apparechi, apparechi!’. Scampa fori naturalmente de coso che era l’omo là per portar fora le cose, no, dunque, vignindo fora me son messo un bel ciodo sul, sul coso che era una tavola, che era una tavola, dà un scosson, e siamo ‘ndat, era un mio amico, ‘desso non me ricordo gnanca il nome, e siamo ‘ndati una siepe, semo nascosti là; passa il primo, era quatro, quatro caccia naturalmente, l’ha comincià a bombardar, bombardar e mitragliar, naturalmente no; te digo come te disevo prima anche, a non so, due, tre metri via de noi, era ste bombe che, che passava, iera, i fazeva dei solchi veramente, guarda, de veder, sì sì iera pericoloso veramente. Bon, finito il tutto [pause], siamo ‘ndati a per portar via non so, mi pare le scarpe, i pantaloni, le bombe sono cascate non sulla bar, sulla nave, sul, sul, come si disi?
PC: Bagnasciuga.
BS: Sul bagnasciuga no, pantaloni, no sé scarpe, no sé niente, tutto perso [laughs], e dopo siamo ‘ndati via naturalmente, che sé vegnudi, poco via che iera, che iera i frati ‘ndai da là, di Carigador, sé vignudi là a veder se sé qualcuno ferìo, morti naturalmente per, nissuno, tutto a posto, e te digo, el primo, el primo coso, bombardier, gà comincià: ‘Booom!’, bombe, te schizzava, te vedevi tutto, e mitragliava naturalmente; il secondo pure, il terzo uguale, il quarto uguale. Il quarto, i sé ‘ndadi via, basta, finito tutto. Dopo cossa volessi dir ‘ncora?
PC: Quale potrebbe essere la sua esperienza in quanto bambino, ragazzo?
BS: Sì bambino, tredici anni, cosa vuoi.
PC: La sua, la sua esperienza, anche con i suoi coetanei, lei mi diceva che, c’era la vedetta, c’era, riguardo i bombardamenti c’è anche altri ricordi? Come l’ha, come l’ha vissuta, la, la, questo pericolo dei bombardamenti?
BS: L’ho vissuta male, guarda veramente male, perché era il periodo che era, de note iera [pause], come se ciama?
PC: I partigiani.
BS: I partigiani, naturalmente, e di giorno i tedeschi e coso, ma gavemo passà guarda [sigh]. Ho pasado male, veramente, iera stai bruti quei anni là, ma molto bruti, molto molto, eh sì [pause]. Cosa dovessi dir ancora?
PC: Durante gli allarmi cosa succedeva?
BS: Dunque, guarda, come allarmi là da noi no esisteva perché iera il paese piccolo che si chiama Fiorini, che son nato in Fiorini io, allarmi no i ‘iera. Iera altri, me ricordo bene anche un altro coso, che poco via da ‘ndo che son nato mi, anche i ga butà giù i tedeschi un apparechio, inglese naturalmente, semo ‘ndati là a veder se era bulloni de coso, a veder, iera morto il pilota che iera, coso [unclear], un periodo molto brutto, eh!
PC: Fasso un’ultima domanda: dopo tutti questi anni che sé passadi, come la se pone nei confronti de, questi fatti insomma, questo pericolo che veniva dal cielo? Nel fatto de esser l’obbiettivo, esser stado l’obbiettivo de un, de un attacco aereo proprio.
BS: [sigh] Cossa devo dir?
PC: Come che la sé, cossa che la pensa de questo fatto?
BS: Bah, il fatto iera che iera molto brutto quei anni là, molto brutti, perché de giorno, ripeto, iera i tedeschi, il periodo ’40, ’41, ’42, ’43, coso, de noto, e de note i, i partigiani.
PC: Go capìo.
BS: Che i sé vignudi anche a casa mia, se pol dir, posso dir questo?
PC: Sì.
BS: Alora, spetta, sé una sera, ‘na note, sé vignudi i partigiani naturalmente, a casa mia. Batti la porta, ‘Chi sé?’, ‘Partigiani’, mia mama sé ‘ndada a aprir naturalmente, perché se no, ehi. Dise ‘Qua sé gente, dove sé i omeni?’, ‘ E perché?’ la ghe dise, ‘Perché i deve vignir con noi.’, ‘Mah, guardi, i omeni no i sé parché de giorno i sé i tedeschi che i ga fatto restrell, restrellamento, i se ga sconto; eh, no savemo n’altri dove che i sé’; perché mio papà, mio zio e un altro signor iera sconti in un, fa conto una parete così, da l’altra parte g’era l’altra familia, iera fatto un coso, così un, come se disi, come, grande come l’assensor dentro…
PC: Un nascondiglio.
BS: Esatto, un nascondiglio, te capissi però ‘l nascondiglio iera basso no, e iera mess un casson di farina, paria che roba; alora, sé vignui dentro, me ricordo benissimo, sé vignudi in camera mia, che mi dormivo con mio nono, sé vignudi, bon, butar via le coperte naturalmente visto che son fioi, mio nono vecchio naturalmente, sé andai in un’altra camera, ‘Dove i sé i omeni?’, ‘No i sé’ ghe ga dito mia moglie, ga dito, cioè la prima camera iera un mio zio, ghe ha dito ‘No sé meio che no ‘ndedi dentro perché ‘l sé un pochetin matto, sé meio’, che no iera vero niente, fortuna che no i sé ‘ndadi dentro, bon: ga visità dapertuto, i sé ‘ndadi , in soffitta coso, una casa grande de tre piani, ga visità de tuto, i sé ‘ndai in soffitta e dentro i ga trovà giacchettoni, roba, i ga portà via tutto, giacche, camice, tut i ga portado via. Quei iera, Madonna! Eh sì!
PC: D’accordo, io la ringrazio e, per la testimonianza.
BS: Quei tempi de coso, te digo mi, guarda che iera, iera molto brutti! Cos’ che me ga tocà a mi. Quasi meio che me ne stago zito, no digo niente.
PC: La ringrazio.
BS: Sì.
PC: La ringrazio per l’intervista.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with a survivor of the Karigador bombing
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
The informant recalls the day when he and his cousin plundered a ship with a cargo of furniture, clothing and foodstuffs, which was moored at Karigador. He describes how the harbour was suddenly bombed and strafed. Remembers how they hid behind a hedge and realised that the bombs didn’t hit the ship but the shoreline, leaving a large hole in the sand. Mentions nuns from a nearby convent looking for wounded or dead people.
Mentions a group of partisans showing up at his home, asking aggressively for men ready to join the resistance movement. Describes how his father, his uncle and a friend remained hidden, while the partisans ransacked the house for items of clothing.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Pietro Commisso
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Marco Dalla Bona
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:09:53 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Croatia
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AAn00659-160808
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-08-08
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
bombing
childhood in wartime
home front
Resistance
strafing
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/57/513/ABianchiA170223.2.mp3
c09531bc10ce13351e65fbcc19291d25
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Bianchi, Angela
Angela Bianchi
A Bianchi
Description
An account of the resource
One oral history interview with Angela Bianchi who recollects her wartime experiences in Pavia.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Bianchi, A
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-02-23
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
FA: Sono Filippo Andi e sto per intervistare la signora Angela Bianchi per l’archivio dell’International Bomber Command Centre. Siamo a Pavia, è il 23 02 2017. Ringraziamo la signora Bianchi per aver permesso questa intervista. E’ inoltre presente all’intervista il signor Chierico. La sua intervista registrata diventerà parte dall Archivio Digitale dell’International Bomber Command Centre, gestito dall’Università di Lincoln e finanziato dall’Heritage Lottery Fund. L’Università si impegna a preservarla e tutelarla secondo i termini stabiliti nel Partnership Agreement con l’International Bomber Command Centre. Signora Bianchi vuole raccontarci la la sua esperienza diciamo negli anni di guerra?
AB: Sì, di quello che posso eh eh ricordarmi perché va bene gli anni son passati tanti, eh eh e volevo dire una cosa.
PCV: Riprenda quello che stava dicendo.
AB: Riprendo quello che stavo dicendo. Dunque la guerra del 1900.
PCV: No, lei viveva dove?
AB: Alla Cascina Trinchera, ecco io vivevo lì.
PCV: Il papà [unclear]?
AB: Il papà era fittabile, ecco cominciamo così, insomma perché tante parole, eeeh non è che io, ho fatto solamente la quinta, beh trans.
PCV: E quindi vivevate come?
AB: Eravamo lì, dove abitavo eravamo sedici famiglie, tutte sempre sempre, eravamo in pericolo, eh incominciava arrivare il pericolo, eh della guerra. Io andavo a lavorare a uno stabilimento di maglificio.
PCV: Dove?
AB: Via Ticinello.
PCV: Quindi vicino?
AB: Vicino.
PCV: Al ponte.
AB: Sì, passavo il ponte e poi e poi, in quelli facciamo, facevano il viale, il viale quello principale quello lì e poi prendavamo.
PCV: [Unclear]
AF: Certo.
AB: E poi prendavamo una scorciatoia, una piccola via in mezzo lì.
PCV: Quindi quello stabilimento era vicino a uno dei ponti fondamentali di Pavia cioè il ponte della.
AB: Sì, il ponte Nuovo.
PCV: Il ponte Nuovo o della Libertà o dell’Impero.
AB: Sì, sì della Libertà sì sì eravamo ai ponti, c’era anche l’altro ponte avanti quello.
PCV: Della ferrovia.
AB: Sì brava ecco. E quello lì non gli hanno fatto niente, proprio pochino, quando venivano i bombardamenti, ecco. E così ho iniziato ad andare, andavo, andavo a lavorare e, e poi eh c’erano sempre un, quel pensiero lì e la paura che, che venivano i bombardamenti. Ecco il mio padrone mi diceva ‘Andate a casa stasera, prima, perché oggi è una brutta giornata, oggi riescono senz’altro il ponte Vecchio, andare giù. E così, e così ha indovinato, allora noi, lui quel giorno lì siamo venuti fuori prima, di solito venivamo fuori sempre alle 5 nel pomeriggio ‘No! Oggi andate fuori prima un’ora che così potete, fate in tempo ad andare a casa’. Invece in quel momento lì è arrivato, ha suonato l’allarme. È stato un giorno mi ricordo come fosse adesso, ho visto tutto in televisione anche sì.
PCV: Si sentiva bene la, il suono dell’allarme com’era?
AB: Eeeh! Le, le, era una, una sirena fortissima, che se era in casa chiuso così lo sentiva, eh. Quel giorno lì sono, ognuno, eh andava dove voleva, perché i rifugi ce n’erano in piazza Botta.
PCV: Sì.
AB: In piazza Botta.
PCV: Il più vicino a voi era in piazza Botta.
AB: In piazza Botta. E poi ce n’era un altro più vicino noi, vicino alla chiesa dove c’è l’Esselunga, l’Esselunga è dalla parte opposta di lì.
PCV: Sì.
AB: Lì c’era un caseggiato eeeh.
PCV: San Gervasio Protasio era quella lì, la chiesa?
AB: Ma forse era quella lì, sì sì.
PCV: Vicino al Mondino?
AB: Sì al Mondino, ecco. Un po’ di là e un po’ di qui, ci siamo riuniti un po’, eravamo in 150 donne nello stabilimento. Io ho detto ‘No, io voglio andare a casa perché dopo i miei hanno il pensiero, e allora eravamo in cinque che abitavamo in Borgo, eh ma adesso son morti, sì eh adesso non ci sono più. Eravamo in cinque e l’altro era in tredici, si ricorda, il nome, tredici.
PCV: Sempre nel Borgo.
AB: Tredici del Borgo eh, non eravamo fatto, non erano.
PCV: Avevate attraversato il ponte.
AB: Sì.
PCV: Siete riuscite a venire qua in Borgo?
AB: Sì abbiamo fatto in tempo ad arrivare qui, lì.
PCV: Poi?
AB: Quel giorno lì son venuti, sono venuti non al mattino, perché di solito venivano al mattino alle 11.
PCV: [Unclear] Esatto.
AB: C’era l’orario eh, alle 11 bombardamento, eeeh e il ponte non li hanno, non l’hanno riuscito a buttare, e ci sono stati morti neh. I morti sono stati che hanno colpito, hanno fatto lo sbaglio, il ponte era qui, loro hanno hanno preso la parte della via dei Mille, e gli.
PCV: Anche le case.
AB: È stato un macello, eh, sì sì è stato un macello. E ci sono stati dei morti dove dove c’era, dove c’è ancora adesso Gambini, Gambini quello delle macchine, il deposito, adesso non, Gambini.
PCV: Dove abitava il dottor Gambini?
AB: Sì, no, è la figlia la dottoressa, in via dei Mille.
PCV: Sì.
AB: Eeeh che c’è la strada che va.
PCV: Sì in via Acquanegra.
AB: Là, brava. Ecco lì, hanno.
PCV: Quello là è quello che ha descritto e si chiama Tombìn.
AB: Eh sì, hanno colpito lì eh, ci sono i morti non so quanti, beh allora dopo un po’ ancora l’allarme che era andate.
PCV: Quindi lei non li ha visti quel giorno gli aeroplani passare.
AB: No, no, li abbiamo visti il giorno dopo alle 11. Che mio, il mio padrone ha detto ‘Domani non venite a lavorare perché andiamo molto male non vorrei che ci ammazzano tutti qui, e questi vengono più potenti’. Erano un 17, un 18 eh quasi 20.
PCV: Il mattino quando li ha visti.
AB: Alle 11 sì, sì, li abbiamo visti eh sì, sì sì, e infatti.
PCV: E si ricorda da dove arrivavano?
AB: Da Massa.
PCV: Esatto.
AB: Sì, sì arrivavano di lì eh. Un rumore che che le case non so come, come non hanno fatto a cadere però, e hanno colpito davvero il ponte, è stato un disastro, è stato, anche di lì ecco eh, e io venivo, venivo sempre al mattino a prendere il pane dal panettiere dei via dei Mille, che si chiamava Beretol, era il fratello della mia pro, della mia padrona dove lavoravo, eeeh e mi ha detto ‘Ninin, prima di venire a lavorare domani, vammi a prendere il pane, perché altrimenti non abbiamo più neanche il pane da mangiare’, ‘Va bene’. Ma il mio papà, perché era era, sì allora va bene, aveva preoccupazione dei figli ‘Eh va beh ma te dove vuoi andare adesso?’ ‘Eh devo andare a prendere il pane perché ho da portarlo domani alla signora’ ‘Alt! Il pane qui, di qui non ti muovi [emphasis], se dobbiamo morire moriamo tutti della famiglia’. E tutti eravamo a casa perché c’erano quelli che andavano dalla Necchi, l’arsenale, da Casati.
PCV: Quelli lì erano andati tutti a lavorare?
AB: No, no è stato proprio un riposo ecco. E lì è stato un caos, un caos da da cani.
PCV: Quindi ha ha visto quando hanno, sono venute giù le bombe?
AB: Arrivavano che noi avevamo un rifugio che l’hanno fatto alla Cascina Trinchera, che adesso ci sono tutte le case, tutte le villette.
PCV: Ah! Dove abitava lei.
AB: Dove abitavo io, c’era la stalla delle bestie, così, ma noi non andavamo in stalla, ma una stalla eeeh non pericolante.
PCV: E lì andavate.
AB: Ma non andavamo, non andavamo dentro lì.
PCV: Eh dove?
AB: Tutta la, tutti il, tutti i sedici di, di.
PCV: Famiglie?
AB: Amici, hanno costruito un sotterraneo, vicino a una campagna lì, era era mi ricordo ancora adesso, e dovevamo andare sotto lì, in campagna.
PCV: Avevate, hanno scavato
AB: Hanno scavato sì, sì.
PCV: Una fossa dentro?
AB: Sì, sì ma tante.
PCV: E il tetto.
AB: Era metà Borgo che sono venuti a aiutarci, venivano anche quelli della via dei Mille a salvarci, sì, a scappare per per poter salvarci, quello che che potevano prendere, il pane, un pezzettino di salame perché quei momenti là usava, c’erano i maiali, le galline, eh insomma non è come adesso che che bisogna correre al supermark, oh mama mama [laughs]. Io non volevo andare sotto lì perché era era profondo un paio, un paio di metri, ma anche di più. Stavo vicino alle scale per venire su, che li volevo vedere, non solamente io eh, anche gli altri signori che c’erano lì. Oh mama com’erano grossi! Li ho visti interi, sembrava ancora che venissero ancora adesso ecco, ci, siamo stati fortunati.
PCV: Quindi dove abitava lei li ha visti passare.
AB: Sì, venivano proprio eh eh, sopra il Ticino, hanno preso la la la mira sopra il Ticino che veniva, sono fermati un po’ indietro di qui dalla mia casa all’aeroporto, lì dove c’era che andava l’aeroplano Savio.
PCV: Sì, sì.
AB: Hanno incominciato a sganciare le bombe via una all’altra, via una all’altra che poi una l’hanno presa lì da vedere, eh tutto lì, disastro!
PCV: Si vedevano bene i fuochi.
AB: Oh, oh! Si vedevano bene, era una giornata meravigliosa, e è finita, non è che è finita così, che poi, il giorno dopo, sono ritornati ancora, ma non tanti così, di meno, di meno, che io ero ero ero andata, siamo andati a lavorare, pechè ero via nella casa, che poi siamo scappati, eeeh, donca siamo scappati al sotto suolo lì al rifugio dove c’erano i benedettini, in corso Cavour dove ci sono le scuole Carducci.
PCV: Sì.
AB: Lì c’era una via, in fondo a quella piazza lì, come si chiamava? Come si chiama quella piazza lì che poi.
PCV: Corso Cavour vicino al Carducci.
AB: Che c’erano.
PCV: Mah c’è piazza Botta, c’è.
AB: C’erano, ritiravano gente da far imparargli un lavoro.
FA: Gli Artigianelli.
AB: Gli artigianelli, ecco avanti dagli Artigianelli, c’era quel rifugio lì grosso che c’è ancora quel palazzo lì c’è.
PCV: Eh il palazzo Botta?
AB: Il palazzo Botta.
PCV: Il palazzo Botta c’era sicuro il rifugio sotto.
AB: Sì, sì, sì, sì eh ci sono, c’erano delle colonne più di che due uomini abbracciarle non riuscivano, e tutto, e tutto, tutti stabilimenti, se potevano, gli operai, scappavano tutti lì, e anche lì, me io avevo paura di andare nel car, sotto.
PCV: Sotto.
AB: Le cantine, diciamo così, nei cantìn. Mi mi, avevo molta paura, ecco.
PCV: Eh eh la gente sotto, come stava, cosa facevano in quell’ora, in quella mezz’ora.
AB: Niente, niente niente.
PCV: Di sotto, parlavano, avevano paura?
AB: Sì, sì non tanto perché piangevano di più.
PCV: Ah.
AB: Piangevano per la paura eh ‘E adesso viene qui mi ammazzano’ così eh sai, la la la, non lo so, perché non, non si faceva niente, c’era un cantinato sotto, grossissimo.
PCV: Buio, buio?
AB: No, c’era la luce! No, no, no per quello lì c’era la luce. Poi l’hanno messo a posto con le sedie eeeh tutte le panche, ecco, cani [laughs] i palazzi lì vicino avevano le bestie, il cane e il gatto, e lo prendevano su anche loro. E così contavamo così, cosà, così, cosà, tante cose che non si poteva nemmeno tingerle in mente, è andata così, siamo venuti fuori, e abbiamo, siamo stati molto male ecco che mio fratello poi visto che non sono andata a casa non, si è messo a cercarmi, di là, di lì, di là, di lì, poi e poi, perché il ponte non c’era più.
PCV: Si poteva ancora passare sopra?
AB: No! No, no, no, no non potevamo più era andato giù.
PCV: Allora eh?
AB: Due archi o tre né, dove, o tre, c’è ancora il segno.
PCV: Dipende dal bombardamento.
AB: Sì il bombardamento.
PCV: E quindi per tornare a casa?
AB: Eh per ritornare a casa abbiamo dovuto, perché erano già, stavano facendo il traghetto qui vicino alla lavandaia lì, perché pensavano che che ‘Tutta la gente come fanno a venire a casa?’. Un traghetto largo come il tavolo, così tutto fatto bene, i soldati l’hanno costruito.
PCV: Ah sta parlando del ponte, il ponte di barche.
AB: Sì, sì.
PCV: Il ponte di chiatte insomma, che è stato lì, esatto.
AB: È stato lì un bel po' di anni e poi, e poi l’hanno tirato via.
PCV: Si passava su quella passerella, la cosiddetta passerella?
AB: C’erano i soldati che ci seguivano, sì, sì, sì c’erano loro, sì, sì, sì, eeeh.
PCV: E quindi andavate avanti e indietro.
AB: Sì, quando dovevamo andare a lavorare dovevamo passare di lì, tutti, tutti quelli, quelli di, di che non c’erano tante macchine come adesso eh, c’erano tante biciclette.
PCV: Quindi anche con le biciclette.
AB: Sì, sì a mano, e a mano, ci aiutavano andare su, dei gradini per andare sul, sulla strada e poi proseguire a chi doveva.
PCV: Soldati.
AB: Sì, sì.
PCV: Italiani o tedeschi?
AB: No, no erano i nostri, i soldati, no no avevano la caserma eh qui, che che poi hanno cominciato a fare la ronda, si diceva così.
PCV: Cioè?
AB: Quattro soldati alla sera tenevano l’ordine del, del.
PCV: Passerelle?
AB: Sì, l’ordine della gente. Perché c’erano quelli che si, che che parlavano così e poi andava anche a pugni. Perché ‘Ti, oooh, ciapa de là, bi’ insomma erano tutti nervosi, tutti, tutti, siamo venuti un po’ strambi, eh. È finita così, e poi hanno tentato di buttare giù un’altra volta il ponte Nuovo.
PCV: Il ponte dell’Impero, sì.
AB: Sì, sì, il ponte dell’Impero.
PCV: Poi l’hanno, l’han distrutto?
AB: No, no no no, si passava la la l’hanno l’hanno, venivo quel, veniva alla sera quello della mitragliatrice che che che gli dicevano ‘Pippo!’ C’a gl’ho dit, mitragliatrice. I nostri non sono stati capaci di prenderlo, eh perché alla sera, noi appena buio, appena buio che non si vedeva, sì insomma appena buio, la luce c’era che qualche famiglia, se no avevamo la lanterna, una roba così, dovevamo metterci su una camicia nera, un coso nero, perché se vedevano un filino di luce quello lì ritornava eh e qual che al trovava al fava net, li amasaven, li ammazzavano. Qui ha ferito due donne che non hanno fatto in tempo a scappare anche di lì nelle campagne, che lui, sa dove c’è il cancello di di elettrico lì da noi?
PCV: Sì.
AB: Lì c’è un fossato, ecco sotto lì c’è un tubo di cemento così, che scarica quando viene la piena: tutti sotto lì! Non hanno fatto in tempo a scappare e l’hanno ferito, li hanno feriti, sì hanno ferito la mamma dello zio, la nonna Maria.
PCV: Ah, la nonna.
AB: Sì sì, e la nonna, la nonna.
PCV: No se no il ghe più.
AB: Eh no, il ghe più, en gh’è mia più nissun, e un’altra signora che abitava qui l’hanno a momenti non c’era, l’hanno preso anche lei in testa. Perché quello lì, che andava lì sotto, che che si rifugiava lì, aveva in bocca non so il toscano o la sigaretta, non lo so, con una luce così piccolina, e quello là veniva a bassa quota dalle case sui tetti, va ben? E disastri anche di lì, una paura enorme, di ore, un paio d’ore andava a mitragliare.
PCV: E si sentiva il rumore quando?
AB: Urche! Sì, sì, i cani, i cani davano l’allarme perché noi avevamo i cani in cascina, e urlavano ‘Ma che cos’hai?’ Si chiamava Puci, me lo ricordi mo, ‘Ma che cos’hai, stanno venendo, arriva Pippo! Andiamo, andiamo, vieni!’ e intanto venivano [makes a droning sound] un rumore ma non era grosso nè.
PCV: No eh certo.
AB: Come quello che andava su Savio.
PCV: Quello era un caccia?
AB: Era un cacciatorpediniere, eh sì. Ecco dopo gh’era anca cull’lì, altro pericolo.
PCV: Alla sera.
AB: Sì sì alla sera, aveva l’orario anche lui,
PCV: Ah cioè?
AB: Al buio.
PCV: Dopo cena?
AB: Dopo, no no arrivava alle 9, eh prima delle 9, eh si perché era d’estate e veniva su buio più tardi insomma, ecco.
PCV: Voi avevate già mangiato, eccetera.
AB: Sì, sì noi facevamo presto a mangiare la minestra non mancava mai, al pane non mancava mai, perché mio papà aveva la farina facevamo un po’ di cose, le portavo dal panettiere e senza pagare, no? Dava la farina, quella gialla, quella bianca, e noi prendevamo la farina da fare la polenta e quella bianca il pane la pasta insomma, si si lo mangiavamo così. Però la fame, ringraziamo Iddio anche se ero giovane sì, non ho mai sofferto la fame ecco.
PCV: E Pippo mitragliava solo o lanciava anche delle bombe?
AB: No, no mitragliava, con la mitragliatrice, ma sa quel poco ponte che è rimasto in piedi, quelle arche lì poche le prime di queste, c’erano le mitragliatrici nostre qui, tutte pronte, coperte di di rami che non li poteva vedere, eh eppure si abbassava si abbassava e e centrava le case le le le case. In su alla casa nostra in Cascina Trinchera avevamo la casa tutta mitragliata la parte che veniva.
PCV: Del muro di fuori.
AB: Sì, sì questa parte qui. E insomma, anca faceva, era pericolosa, e non hanno mai potuto prenderlo in nessun modo.
PCV: Ma dov’erano queste? Dov’erano?
AB: Mitragliatici? Sul ponte.
PCV: Vicino al ponte?
AB: Sì, i soldati li avevano.
PCV: I soldati
AB: Eh già.
Unknown person: Signora Anna buongiorno.
PCV: Buongiorno.
FA: Ecco prima della pausa stava dicendo della posizione delle delle mitragliatrici.
AB: Sì, erano tutte sul ponte quelle mitragliatrici lì ma non, con i nostri soldati eh.
PCV: Soldati italiani
AB: Sì sì, erano i nostri.
PCV: Tedeschi no.
AB: No, no, no.
PCV: E quella che ha, e quella vicino al suo stabilimento, sotto lì.
AB: Sì.
PCV: Al ponte dell’Impero, al ponte Nuovo, non l’aveva mai vista la contraerea lì?
AB: No, quello lì non abbiamo, la sentivamo sì, sì.
PCV: Ah ecco, ci son delle foto.
AB: Sì sì beh ci sono delle foto che hanno poi, io le avevo tutte le foto, davvero eh, avevo fatto un album, tu, non solamente io tutti i suoi nonni, avevamo sì un ricordo un po’ un po’.
PCV: C’è ancora?
AB: Eh la piena.
PCV: È andato giù con la piena, lo stavo dicendo.
AB: La piena, addio ha rovesciato tutto, e non abbiamo, abbiamo portato dal fotografo a farli vedere quelli che, ma non c’era più niente, avevamo le le, i disastri, i disastri delle case, ecco. E in su, tutti i negozi non c’erano più: panettiere, ciabattino, quel che faceva le le focacce.
PCV: In piazza lì.
AB: Eh sì, lì in via dei Mille. Ecco, basta lì è andato al suolo, tutto.
PCV: E la gente cosa diceva dopo il bombardamento?
AB: Niente, cosa diceva? Eh cercavano di di reagire per per salvarsi ancora quello che hanno potuto.
PCV: Cioè quindi?
AB: Sotto le macerie!
PCV: Cercavano nelle macerie?
AB: Certo! Sì, quello lì, ci son stati dei morti ma non so quanti, eh quelli lì mi ricordo ma non hanno trovato niente, perché c’erano anche quei momenti là, che che quello che trovavano non dicevano ‘Qui ho trovato una borsa, qui ho trovato un coso, qui ho trovato un altro’. Niente, se li portavano via.
PCV: C’erano dei ladri.
AB: Oh! Sì, sì, cercavano di portare via, non di dare una mano o quando si trovava qualche cosa di importante, ecco han trovato i morti e lì non è stato un po’, ehm.
PCV: E chi tirava fuori i morti?
AB: I soldati, sempre loro, di aiuto.
PCV: I soldati italiani?
AB: Sì, sì i nostri. No, no non c’era nessuno dei, di loro. E quel, quell’aeroplano lì che gli ho detto che ci dicevano che era Pippo.
PCV: Pippo sì.
AB: Che mitragliava non si è mai saputo se era, se erano uno dei nostri che voleva essere un po’, o uno di loro, lì che che han fat la guerra, ecco non si è mai potuto saperlo, mai, mai, mai, mai, mai, mai, mai. Poi ha cominciato a venire l’oscuramento, lì la la ronda, e poi tante cose che quei soldati lì tenevano un po’ un po’ la quiete del ponte, della gente insomma, ecco, il comune ha aiutato quelli lì che hanno perso i familiari.
PCV: Senza tetto, senza tetto, e dove il portavano?
AB: Eh sì, sì, no li tenevano loro un po’ e li hanno ritirati nelle case popolari, che stavano facendo le case popolari in viale Sardegna, vicino al Naviglio. Lì c’erano, ci sono ancora, ecco le stavano costruendo lì, che lì eh il posto c’era, insomma se non erano in tanti, un po’ ammucchiati però li ritiravano lì.
PCV: E gli altri andavano fuori Pavia?
AB: No, no, no stavano tutti qui dai parenti che avevano, gli amici.
PCV: A Travacò?
AB: Travacò, ehm Travacò e poi tutti questi paesi vicino insomma ecco. E si è incominciato, il lavoro c’era perché se ne aveva abbastanza di andare, quindi questo stabilimento c’era quello lì, non è come adesso, adesso, adesso può mettere i denti sull’ostello.
PCV: Dopo i bombardamenti andava sempre a lavorare?
AB: Sì, sì sempre.
PCV: O stava sulla.
AB: Io sono sempre andata a lavorare, lo stabilimento non è stato toccato, un po’ mitragliato, sì mitragliato sì, le schegge delle bombe, dove sono, sono andate, hanno colpito eh.
PCV: Anche a distanza.
AB: Sì, Sì no no l’ha fat i disaster. E basta e la nostra vita è finita lì basta, finita lì e adesso non tutti i miei amici sono morti, io faccio gli anni il mese, il mese prossimo 89 eh eh no sono tanti, sono tanti, però mo sì, un po’ bene un po’ male, un po’ bene un po’ male, poi c’era c’era una amicizia nelle famiglie che davano coraggio gente che tenevano su il morale, ecco alla sera eravamo riuniti tutti fuori, ma dopo arrivava arrivava Pippo a e dovevamo scappare altrimenti si raccontava quello che abbiamo fatto, che abbiamo mangiato, che, poi da quel momento lì il Duce ha fatto delle belle cose, insomma. Ha iniziato a fare le mense negli stabilimenti che non dovevamo, noi dovevamo imparare a mangiare la pastasciutta a mezzogiorno, almeno la minestra, almeno la minestra, mio figlio [laughs] sì che è nato dopo due anni che io mi sono sposata, nel 1947, lui è nato del ’49. Eh e anche lui in quei momenti là non era, non era un un, ma sì eravamo ancora un po’ un po’ un po’ con niente insomma.
PCV: Per mettere a posto tutto, tutte le macerie dei bombardamenti ci hanno impiegato tanto tempo?
AB: Eh abbastanza, sì sì sì li mucchiavano tutto il il, li ammucchiavano per lasciare la strada libera per andare in bicicletta, ecco ma in bicicletta andavamo ugualmente perché andavamo dall’altra parte del viale, traversavamo quella, quella striscia, passerella lì e ci aiutavano ecco. Ma i soldati hanno lavorato tanto, in questa guerra lì che hanno fatto, è finita nel ’45 se non sbaglio, nè, è stata un pochino dura i due anni prima di finire, insomma.
FA: Ma erano dell’esercito italiano o erano.
AB: Esercito italiano.
FA: Non c’era la milizia.
AB: No no no, io che mi ricordo no eravamo tutti noi, ecco da noi tutti da noi, tutti ragazzi che venivano da da paesi sì ma non, forestieri sì ce n’erano i soldati che vengono da Milano, Bergamo, Como chi da lì, chi da là, ma però.
PCV: Sì, erano quelli del Genio.
AB: Sì si erano tutti quelli del Genio, sì sì sì, erano comandati tutte del, c’era un maresciallo, quello lì, che che è venuto anche a casa a vedere tutte le case che erano ancora in piedi e se c’erano delle, delle riparazioni da fare, loro aiutavano. Buttava giù magari una camera, un’altra camera, i tetti, ah quelli lì sono stati, le case sono state tutte da fare, sì sì sì.
PCV: Dallo spostamento d’aria.
AB: Eeeh dallo spostamento d’aria, sì sì, ecco e noi eravamo un po’ curiosi perché volevamo vedere i danni che c’erano stati.
PCV: Eh, e quindi?
AB: E quindi noi non potevamo andare tanto in mezzo a quel disastro lì a vedere, perché non volevano eh, perché ogni tanto cadeva qualche muro, qualche parete ancora nelle case lì che erano in piedi eh e hanno, quelli che hanno avuto dei dei, che hanno avuto dei, madona sa disen, disaster.
PCV: Dei danni.
AB: Dei danni, il comune, il governo li ha aiutati, sì sì sì noi avevamo le bestie, i cavalli, si sono spaventati, erano quattro, erano pochi, si sono spaventati, le botte che sono andati giù, che sono andate giù le bombe hanno aperto le porte, si sono aperte da sole eh, e i cavalli non c’erano più, so, li hanno trovati nelle campagne, anche lì mio papà è andato in caserma a chiedere un aiuto, eh eran quater. Le mucche no, le mucche piangevano, piangevano ed erano spaventate [emphasis] ecco quello lì mi ricordo ancora, mi ricordo. Poi adesso quella settimana scorsa ho visto quel film lì e la nostra guerra che abbiamo passato, oh dio mamma mia guarda là, guardala là, hanno preso tutto questa parte del borgo più disastrato, e noi eravamo dentro, eh e avevo la fotografia, e avevo la fotografia. Dopo sono andati, a mano li hanno portati a casa i cavalli eh, a mano perché non c’erano, sì. Sì sì a mano, le mucche no, le mucche erano ancora in stalla e piangevano, e mio papà diceva ancora ‘Attenti che ades, adesso ritornano e fanno ancora un disastro, ma queste bestie qui non possiamo, non si può muoverle, il posto c’è’. Il posto c’era, il bosco grande e mio papà non ha voluto che dovessero eh eh prender le mucche perché portavano via anche le mucche per mangiare, allora lì eravamo tutti in corte, anche noi, sul cascinale lì di fieno e quello lì poteva salvare se doveva andargli giù il locale, invece no, no no la la è stato è stato tutto quasi metà rotto il tetto, tutti i tetti, tutti rotti, tutti rotti, che così quando pioveva, il fieno non si poteva darglielo bagnato e cosa doveva fare mio papà? Avevamo l’aia, prima di arrivare per andare su nella curva e andare sull’argine e la mettevo tutto allargato giù per farlo asciugare di giorno, quando c’era il sole, perché la mucca non lo mangia eh, mangia l’erba, il quadrifoglio se è bagnato, mi ricordo, ma il fieno no, e piangevano anche per la fame. Dopo mio papà si è stancato ha detto ‘Basta! Io non voglio più saperne perché qui, perché qui adesso viene una rivolta, mi vengono a prendere tutte le mucche’ e io vederle andare via, ne hanno presa una, quello lì mi ricordo, la zia che c’era una sua zia gravida che doveva ammalarsi, in corte della Cascina Trinchera, l’hanno preso una, una mucca che faceva 30 litri di latte han portato in corte e l’hanno uccisa.
PCV: Ma chi?
AB: Quello lì non si sa chi.
PCV: Chi l’ha presa.
AB: Non si, chi erano, chi erano alla notte, l’hanno uccisa in corte.
PCV: E l’han lasciata lì?
AB: No no, no no perché noi avevamo la guardia da, che curava la stalla, e dormiva lì, gli hanno fatto qualche cosa, non ha sentito, l’hanno slegata, l’hanno portata fuori dalla stalla, l’hanno messa in corte perché dopo c’era tutto il sangue lì e poi l’hanno portata via con il carro, un carro coi cavalli, no, né macchinone, né macchinino, no no no no toccava eh il carro, il carro gli hanno portato via anche un carro al mio papà, il più grosso, che metteva su il il frumento, eh che doveva andare al mulino a farlo macinare, va bene, e invece l’hanno portato via eh, non l’ha sentito né, niente tutto tutto in silenzio, non, al buio, di chiavi non ce n’erano, eh luci non ce n’erano, c’erano le lanterne, le le.
PCV: Col petrolio, le lanterne col petrolio [unclear]?
AB: Col petrolio, c’era un odore in casa, io quando andavo a casa da lavorare le dicevo ‘Mamma ma non è meglio che accendi le candele?’ ‘No, no, no, no, va più bene questo, questo qui è una vita, io sono nata da bambina che avevamo le le, questo non danneggiano la salute’. Mamma mia che odore, il petrolio, di petrolio.
PCV: La corrente elettrica non la davano, in tempo di.
AB: No, no no l’hanno dato dopo, dopo quando è andato a posto un pochino allora hanno, c’erano i lampioni, sì ma uno qui, uno al ponte, uno uno a dieci chilometri.
PCV: Erano lontani.
AB: Che luce che luce poteva fare quello lì e ci arrangiavamo così noi alle otto e mezza, le nove eravamo già tutti a letto ‘Cosa facciamo su?’ che non si poteva. La tele neanche a parlarne, la radio avevamo la radio ecco e che se lo trovavano che dopo son venuti i tedeschi eh sono venuti i tedeschi, se sentivano il rumore della radio erano capace di ammazzarlo. Quel lì m’el ricordi, il mio papà l’aveva messo in un sacco e ha messo dentro il fieno, e l’ha nascosta lì, e poi non so se l’han portata in stalla o se l’hanno messa nel fienile, sopra la stalla, era un fienile enorme eh, era grosso, la la, era grosso, lì la sas’disen la e che nome ha, la Trinchera, la Cascina Trinchera, ecco. Eh sì. L’ingegnere poi conosceva, conosceva il Duce, era un amico, quando c’erano, quando veniva il Duce a Pavia, allora noi bambini così tutti le, le femminucce bianco e nero, i maschi idem, camicia nera e via andare, eh, si si quando eeeh veniva spesso a Pavia. Sì sì sì, era eh mi ricordo che era una persona talmente, conosce Preda? Signor Preda? Quello che viene qui in officina? L’è un po’, s’è più piccul che lù, una persona ben messa, una bella persona, eh che poi è stato a Pavia, mi ricordo che ha voluto, ha fatto dei beni e non so a che famiglia, non lo so più, e gli dava e gli dava la la, i cibi. Avevamo la tessera, io avevo la tessera, fino a 18 anni avevo una pannocchia di più, più latte, più riso, più pasta, eh sì la frutta, le mele e basta mi ricordo, ma di mele ce ne erano poche perché quando arrivavano dalla frutta [laughs] erano più quelli che sparivano che quelli che dovevano.
PCV: Essere distribuiti.
AB: Essere distribuiti, eh. Poi ha passato un sussidio a noi, che eravamo giovani, fino sempre solamente a 18 anni e poi basta, la tessera non c’è stata più, sì sì dopo potevate lavorare e allora ha dit ‘Andate a lavorare’. Eh ma noi eravamo già a posto, però prendevamo qualche cosa, sì sì di premio, qualche cosa, non era non era una vita come questa né, che adesso no si da né altro, arriva sempre da pagare, in un momento la luce, in un momento l’acqua, le strade rotte, ma le strade erano giuste eh, che ci tenevano eh anche il comune, pagavamo le tasse, anche quei momenti là, che mi ricordo mio papà, ma però c’era c’era un un pavir meraviglioso, adesso fa schifo, fa schifo.
FA: No, volevo farle una domanda.
AB: Dimmi.
FA: Si ricorda come era diciamo fatto dentro il bunker che aveva, che aveva fatto anche suo papà in campagna.
AB: Sì, dunque, c’era una buca fatta di terra, no? Ecco, dopo avevamo messo dei pali, dei pali, sopra per fare presto perché veniva il pericolo, dei pali, le piante, non pali, delle piante lì che c’era il bosco e di là che non si poteva toccarlo, ma l’hanno tagliato e hanno messo tutti sopra, uno, due, tre, quattro. Sopra, per per per essere sicuri, tutti i fasci di legno, e la paglia, e la paglia, per coprire dalle schegge, per coprire tanta paglia. Ecco mettevano solamente quelle lì, sotto dopo hanno fatto tutte le panchine, sì quattro passi, quattro pali su un asse su un asse o, o le piante, uno due tre vicino e si sedevano tutti, si sedevano lì, io non, non mi sono mai seduta perché anche sotto lì non volevo andare, non volevo morire sotto lì perché avevo paura, era tutta così, di terra.
FA: Di terra.
AB: Ma fatta bene eh. Fatta bene proprio veramente, eh sembrava una casa
PCV: Le dimensioni cioè ad esempio così?
AB: Eh eh questa casa qui era il era il il.
PCV: Fin là?
AB: No, no.
PCV: Fin lì?
AB: Dalla dalla televisione di lì e andare al muro, proprio quadrato, era quattro metri, quattro per quattro.
PCV: Era come questa?
AB: Sì, sì questa è quattro per cinque, sì sì eravamo tutti, tutti via dei Mille, ah non so la gente che ci giravamo dentro sarà stato più di cento.
PCV: Va beh era un po’ più grossa, c’era un centinaio di persone?
AB: Ah senz’altro, sì sì, tutti in ordine ognuno se, chi aveva, c’erano quelli che prendevano su le sedie, perché va bene, eh non ci stavamo tutti proprio bene, io mi ricordo, tutti in giro, c’erano le sedie, ma le sedie della casa eh.
PCV: Sì, sì.
AB: Sì sì le sedie ecco eh così, di porte niente porte e tutti i fasci di legno per il tetto.
PCV: Per il soffitto.
AB: Per il soffitto e coprire con le piante verdi per non far vedere che lì c’era un buco, c’era c’era il nascondiglio, ecco quello lì me lo ricordo che dopo lì, in quel in quel coso lì hanno costruito, da lì l’hanno costruito il proprietario, il capo della della cascina, il padrone, l’ha costruito di di di muro per vedere per mettere, la pipì delle bestie della stalla, il Giuse, Giuse, che gli dicevano, Giuse, al Giuse, ecco gli hanno fatto, una un un canalino così di ferro, li buttavano dentro lì, quel canale lì andava dentro in quel.
PCV: In quella fossa diciamo.
AB: A quel fosso lì, ecco, è rimasto così, dopo hanno cominciato a dare il permesso ma dopo gli anni, da fabbricare e la cascina è sparita, e mio papà si è ritirato, è andato a lavorare, è andato a lavorare in una ditta di rifiuti della città. Lù al sa n’do ghe el fos del lunedì? Lu l’va pr’andà, speta né, el va, al giro pr’andà in cors Garibaldi.
PCV: Eh?
AB: In corso Garibaldi, el finisce il corso Garibaldi e va a finì in viale Sardegna, el va non in viale Sardegna, el va mondrit, el va su el va su che gas [unclear].
PCV: Via del Partigiano.
AB: Via partigiani, lì gh’è una via che andando su di lì è alla destra
PCV: Sì destra.
AB: Là, in fondo a quella via lì si diceva ‘Il fosso del lunedì’, il mio papà è andato lì a fare il capo, c’erano quindici o sedici donne, rifiuti della città. E lì non c’erano i bidoni, noi la bruciavamo c’avevamo le scarpe eeeh, le scarpe tutto il rudo che facevamo in casa, ma non come adesso eh, ma non c’era eh.
PCV: Certo.
AB: Ma io non lo so adesso dove, dove si va a prendere tutto perché, è tutto scatolame, eh.
PCV: Per, per per quanto riguarda i bombardamenti, quando arrivavano gli aeroplani, no voi li sentivate.
AB: Oh, oh noi li vedevamo.
PCV: Eh, ha visto le bombe.
AB: Sì, sì, sì.
PCV: Ma la contraerea? Le mitragliatrici sparavano? Quelle che aveva detto.
AB: Non gli facevano niente solamente quelle là che lavoravano.
PCV: E basta, non sparavano, non si sentivano le mitragliatici.
AB: No no no se no li amazavan tutti e li lanciavan giù anche in città in pieno eh.
PCV: Si ma quindi i soldati non sparavano contro.
AB: No, no ci sparavano solo quello lì che girava la notte.
PCV: Sì, ok.
AB: Ma tipo basta non gli facevano niente, erano tranquilli.
PCV: Sì, sì infatti.
AB: Perché i cannoni c’erano eh, i cannoni, i nostri qui c’erano eh.
PCV: Sì, però ‘No fly, no fly, no fly’ dicevano.
AB: No, niente, non li usavano ecco, perché se li usavano sulla popolazione, di popolazione non ce n’erano più, non.
PCV: Va bene, beh no io dicevo gli italiani, no niente, non gli si sparavano.
AB: No niente non gli facevano niente, eren liber, perch’è gh’eran poca [unclear]. Io penso io, perché non non andavano, che poi quando giravano per andare via, vuoti di bombe, perché si vedevano eh, erano all’altezza delle case, eh sì, eh cosa facevano? Giravano vuote, facevano tutto il giro del paese qui, della città, giro, un giro così, come dire adesso li salutiamo, li abbiamo fatti fritti [laughs] adesso andiamo a casa, eh basta. È tutto lì, erano vuoti, di bombe non ne avevano più, oramai avevano fatto quello che volevano.
PCV: E di giorno non ha mai visto passare eeeh, degli aeroplani qua proprio sul fiume che mitragliavano di giorno?
AB: No, di giorno no, di giorno ce n’era uno solo ma forse l’hanno colpito, mi ricordo uno solo, ma non erano dei nostri, quello lì, non erano dei nostri, no e l’hanno colpito, perché quel cannone lì è sempre stato messo a posto sul ponte Nuovo, è stato un bel po’ di anni lò, impossibile che lui non lo ha visto, appoggiato, lui va di qui per andare sul ponte?
PCV: Sì.
AB: Quel, quel mitragliatrice lì era alla sinistra del ponte Nuovo.
PCV: Ah prima di entrare sul ponte Nuovo?
AB: Sì prima di entrare, c’era lì un argine si può dire.
PCV: Sì, sì.
AB: Era appoggiato lì, e l’hanno lasciato un bel po’, forse quello lì che ha preso, che venivano giù per fare, per fare eeeh baldoria e uno l’hanno colpito, non sono venuti giù, eh cristiàn [laughs] eh c’è stato un bel disastro mi n’ascordi più, non mi scordo più. Io andavo a prendere il pane alla mia proprietaria dove lavoravo, che c’era ancora su prima che venivano i bombardamenti, e mi diceva eeeh ‘Linin’ perché ero piccolina insomma ‘Va vai da mio fratello e vai a prendere il pane, fai presto! vai e vieni di volata [emphasis] perché te sei capace di andare in bicicletta, vai e vieni di volata’ ‘ Sì, sì vado io signora Teresa’ si chiamava Teresa, allora io mio sono messa eeeh, e sono venuta in Borgo. E c’era già un subbuglio ‘Oggi arrivano, oggi dobbiamo andare andiamo nei boschi, andiamo giù andiamo giù, la cascina là, la Trinchera, andiamo di qui, andiamo di là’. Mama, mama come, va beh io sono andata nel negozio, mi ricordo che che il proprietario mi ha detto ‘Che ghi?’ ‘Ma sono venuta a prendere il pane eh mi dia cinque, sei, sette, otto corone e me ne dia una di più’. ‘Ah sì? Pane di farina di castagne?’ C’era tanto pane di farina di castagne, usava tanto in quei momenti là. Bis chi castè dico ‘Me daga, me ne dia una in più perché ho un po’ fame’ ‘Ah lo vuoi mangiare te, allora lo vuoi per te’ ‘Sì, sì ma quando vado a casa ce lo dico con la signora Teresa che ho mangiato un bastoncino’ [laughs]. E io invece di uno ne ho mangiato due, sono andata a casa il pane mancava. ‘Signora Teresa’ ‘Hai perso, hai perso’ ‘No, non ho perso, la volta scorsa s’è rotto il sacchetto’ invece non è vero, non era vero, l’ho rotto io. Eeeh e l’ho mangiato io è che mi sento, mi sento che ho fame, avevo quindici anni, sedici anni, mi gh’aveva sempre una fam. Come adesso, adesso io comincio al mattino e, e fin che vado a letto continuo a mangiare per [unclear] [laughs] ma non ingrasso, vè, vè. E, e so che che in quel momento lì, sono arrivata al pelo, stabilimento con il pane, e loro arrivavano, ma non hanno combinato niente, non hanno fatto niente, le bombe le hanno lasciate, ma non hanno preso niente, tutte nel fiume. Non hanno preso né quello di su il ponte Nuovo lì e nell’altro una ferrovia, e là passava il treno eh, lo volevano buttare né, no? Non li hanno, non ci son riusciti, perché forse, li hanno fatto sul ponte qualche cosa di nasconderlo, quello lì qualche cosa, quello lì non me lo ricordo più, forse perché il ponte non lo vedevano, c’era qualche cosa di strano, [unclear] infatti non l’hanno buttato, anche il ponte Nuovo, sì. Adesso andiamo indietro, quando venivamo a casa, quelli lì che venivano giù, che facevano il volo, lì che giravano, giravano.
PCV: Chi, chi?
AB: Gli aeroplani, piccolini,
PCV: Ah gli aeroplani, quelli piccoli? I caccia.
AB: Sì, fa un eeeh. Quella sera lì, ne giravano due, allora noi eravamo sul ponte, c’è una scala per andare giù, che c’è ancora mi ha detto la Cristina, siamo corsi giù dal ponte perché venivano da basso e siamo ritirati sotto l’arca, la prima, era più bassa, più piccolina. Siamo rimasti lì, io e la mia amica la Maria, la Mariuccia la Tredici, io ho perso la borsa con dentro tutto, dallo spavento’ lì c’erano le guardie non nostre, che non capiva niente quel che che.
PCV: Dov’erano? Erano le guardie tedesche?
AB: Sì, tutto nel vul, nel vul, piombate lì, non si poteva andare di lì, noi non potevamo andare giù alla scala, attraversare le le il prato e venire fuori dove abita lui, no! No, no, no dovevamo fare la strada, invece noi veniva quelle lì siamo rimaste sotto il lì, non ci hanno preso. Sono passate, sono passate quasi vicino, si sono alzati, hanno passato il ponte e è andato, è andato bene. Quella guarda lì [unclear] è venuto vicino, ci ha, ci ha battuto là.
PCV: Vi ha fatto segno di andare via
AB: D’andà a cà, a cà, a casa. Io gli ho detto con la mia vicina, con la mia amica ‘Ma sei, ma questo qui è un tedesco?’ ‘ Questo qui è un arabo!’.
PCV: Era un tedesco? Aveva sul cappotto, com’era?
AB: Sì, sì sì una striscia.
PCV: E aveva una striscia di metallo qua?
AB: Sì, sì.
PCV: Eh gendarmeria.
AB: E quello lì, un quel d’un, un quel d’un. Ma ce n’erano né!
PCV: Sì, sì sì.
AB: Uno qui, uno là, uno lì, uno lì, uno là. ‘Mama dì domani non veniamo più di qui né, no non facciamo più il ponte né, andiamo a casa dell’altra parte’. Le barche facevano servizio, di quelli che non volevano andare sulla passerella.
PCV: Ah ecco.
AB: Sì perché la passerella, da din da du da dun.
PCV: C’erano dei barchè, dei battelli.
AB: E sopra, e sopra il legno.
PCV: Vi facevano pagare lì?
AB: No, no, no, no era tutto, tutti, capaci quelli che facevano la corsa, dei battelli.
PCV: Sì, o i barcaioli.
AB: Una volta, i barcaioli sì poi quei baracconi lì, baracconi che andavano a prendere la ghiaia, si appoggiavano alla riva e quelli che volevano magari andare su li facevano attraversare il fiume, li portavano di qui, ma non ci andava su nessuno perché avevano paura. Perché quei, quei barconi lì che c’erano, con il peso, la barca, qui c’è il fiume, andava a filo, c’era tanto così era era la sponda fuori dell’acqua, e
PCV: Va beh perché c’era dentro ancora la sabbia?
AB: Sì, c’era dentro ancora un po’ di ghiaia
PCV: Ah, c’era poca riva insomma.
AB: Sì, sì, lo portavano su la sabbia, la ghiaia, era la ghiaia.
PCV: Sì, sì, allora era meglio attraversare con i barchè.
AB: Sì, i barchè, sì sì sì, cul lì non passà. Ne abbiamo passato delle belle, eh sì, è andata bene che che ci siamo salvati anche tutta la la via così, la gente abbastanza, ha ucciso solamente, è stato ucciso un otto dieci persone ma più in su, vicino alla lavandaia, quelle casette lì un po’ malandate insomma.
PCV: Sì sì quelle lì.
AB: Sono cadute, rumori, ma sa che rumore? Adesso poco tempo fa, eravamo in corte, io e mio figlio Paolo ‘Andiamo nì Paolo’ ‘Ma? Ma?’ ‘Ansentì?’ perché lui è sulla carrozzina, mi sento i piedi ‘Stammi a sentire, non andiamo avanti, andiamo indietro perché qui adesso viene il terremoto’ ‘Eh mamma!’ Eh sì, però lo sentiva anche lui dalle ruote che era, gh’o dit ‘Non stiamo qui vicino alla casa perché ades chì vien il terremoto, andiamo via’ invece l’era l’aeroplano, un disgrasià [laughs] a bassa quota né, i nostri eh qui adesso, a bassa quota avrà fatto quattro giri, sopra le case, mo mama ho dì ghì è mo l’è guera sta teinta andum a salvars, in cà, sut al pilaster [laughs] [unclear] mu mama quel cretino lì, ma scusatemi, ma doveva venire così basso? E poi l’hanno preso, l’hanno preso perché l’hanno detto dopo, dove chi era e l’hanno preso una una non era uno dei nostri, era no vendim.
PCV: Questo qua adesso?
AB: Sì, sì adesso, l’è, l’è tre tre mesi fa, quattro mesi fa, ecco non siamo, non siamo.
FA: Però era era simile.
AB: Sì, sì, sì.
FA: Diciamo la sensazione.
AB: Quasi, quasi.
FA: Le è venuto in mente proprio.
AB: E mi è venuto in mente quel quel coso lì di ‘Salviamoci Paolo, andiamo in casa, andiamo’. Perché avevo, avevamo il sollevatore lì eh, la pedana che schiacciando fuori il coso è venuta su. Poi è venuta la piena, è andato tutto [unclear].
FA: Va bene allora signora, la ringraziamo per l’intervista.
AB: Sì sì io di quello, perché di più di così, se avevo lì.
PCV: Ha parlato un’ora eh!
AB: Sì no fa niente.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Angela Bianchi
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Filippo Andi
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-02-23
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Francesca Campani
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
01:02:27 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ABianchiA170223
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Pavia
Italy--Po River Valley
Italy
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Description
An account of the resource
Angela Bianchi remembers wartime life in the outskirts of Pavia, where she lived on a farm with other families. Recalls her experiences of being bombed while working in a clothes factory situated close to one of the most important Ticino bridges, then a strategic target. Gives a detailed description of two shelters: the first under palazzo Botta, a vast building in the city centre; the second, a mere dugout in the middle of a field. Reminisces over the fear of being trapped underground. Recollects a number of wartime episodes: work being disturbed by bombing and strafing, food pilfering, rustling, using a precarious pontoon bridge erected by army engineers, the visit of Benito Mussolini, after which living conditions improved. Recalls 'Pippo' strafing at night, although she was never sure of its allegiance. Describes long term effects of bombing and how low flying aircraft still scare her.
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
animal
bombing
civil defence
fear
home front
Mussolini, Benito (1883-1945)
perception of bombing war
Pippo
shelter
strafing
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/58/512/PVentrigliaA1701.1.jpg
bfff8346a07aca0c83b92ff630dc8c18
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/58/512/AVentrigliaA170507.1.mp3
484620c5029924c93333b11fe966a33b
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Ventriglia, Adriana
A Ventriglia
Description
An account of the resource
One oral history interview with Adriana Ventriglia (b. 1940) who recollects wartime experiences in Milan.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-05-07
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Ventriglia, A
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
ST: L’intervista è condotta per l’International Bomber Command Centre. L’intervistatrice è Sara Troglio. L’intervistata è Adriana Ventriglia. Nella stanza è presente Sara Buda e il marito della signora, Maurizio Ghiretti. Ha luogo in [omitted] a Milano. Oggi è il 7 maggio del 2017 alle ore 11. Signora Ventriglia, per iniziare io le chiederei un po’ com’era la sua famiglia, dove vivevate all’inizio della guerra.
AV: Certo. Beh, all’inizio della guerra eravamo, cosiddetti sfollati. Quando ci sono stati i primi bombardamenti, siamo sfollati nel Lodigiano, nella campagna del Lodigiano. Nel ’43, di quello non ricordo nulla. Io sono nata nel 1940, nell’ottobre, per cui sì, ricordo la campagna, ricordo un pochino la casa, ho dei flash, ma di bombardamenti non ricordo assolutamente niente. Ricordo invece quando poi siamo tornati a Milano dopo il ’43 e quando c’erano i bombardamenti noi eravamo in Via Bronzetti al 33. Eravamo mia madre, mio padre e le mie tre sorelle, io ero la piu piccola, quindi ero molto piccola, diciamo che avevo un massimo di cinque anni, che quando era finita la guerra avevo cinque anni. E non ho un ricordo di angoscia, di paura, forse perché ero molto piccola, forse perché i miei genitori hanno fatto di tutto per non trasmettermi la paura che sicuramente loro avevano, ma ho dei ricordi molto tranquilli di quel periodo. E quando, per esempio ricordo il Pippo, che era il famoso aereo da ricognizione che girava sopra Milano, e so che il Pippo, io non avevo ovviamente paura, ma so che il Pippo veniva guardato con preoccupazione. Per esempio, la mia sorella maggiore, Licinia, quando c’era il Pippo che sorvolava, andava nervosamente in balcone a mangiare, mamma diceva, pane e formaggio per la paura e per l’ansia. Io invece dei bombardamenti ho un ricordo quasi, non dico allegro, ma molto sereno, perché quando succedeva che dovevamo andare in cantina nel rifugio, mamma faceva vestire tutte quante e poi mi ha raccontato che vestiva mia sorella Cicci e Cicci, di notte, e Cicci si rispogliava un’altra volta e si metteva a letto e lei la doveva rivestire di nuovo. E mi prendeva sotto il braccio, non in braccio ma sotto proprio il braccio e mi portava giù per le scale, tutti quanti giù per le scale insieme ai vari abitanti della casa, tutti giù in cantina e giù in cantina si stava buoni e zitti. Della cantina ricordo molto bene l’odore di umidità e devo dire, tra, sa quel momento per me l’odore di umidità, non so come mai ma io l’ho sempre associato a qualcosa di simpatico. A me la cantina piaceva, forse perché era un diversivo, chissà mai no. Comunque, senso di angoscia mai, senso di pericolo mai. Io ho capito cos’era la guerra dopo, quando sono diventata più grande. Quando poi ho sentito che mia madre cercava dappertutto mia nonna, che era stata deportata e lei sperava ancora che tornasse. Sono cominciate le mie prime domande quando avevo sei anni. Prima assolutamente la guerra non, non mi hanno trasmesso i miei, sono stati capaci di non trasmettermi nessuna paura. Questi sono i ricordi che ho dei bombardamenti e direi che si chiude lì non ho, non ho altro.
ST: Se posso, come mai siete rientrati a Milano nel ’43?
AV: Era successo che mio padre, che noi eravamo a Ospedaletto Lodigiano, tutta la famiglia allargata perche noi famiglia eravamo, avevamo, mia madre aveva preso in affitto una, sopra una, piccolo appartamento sopra una trattoria ricordo bene il cortile c’era l’orto e invece mia nonna e anche mia zia erano andate vicinissime, cinquecento metri, ospiti in una cascina, avevano preso in affitto una stanza in una cascina. Mio padre, una volta la settimana, mio padre, che faceva l’archivista della Prefettura, una volta la settimana prendeva il treno e veniva a trovarci. Una volta c’è stato un mitragliamento dagli aerei e hanno mitragliato il treno, mio padre è rimasto ferito, mia madre gli è andata incontro con, lui l’avevano portato su un carretto perché allora c’era poco altro con la gamba ferita e da quel momento mia madre ha deciso che saremmo tornati tutti a. Siamo andati in Via Bronzetti 33 perché mia nonna nel frattempo era stata portata, perché eravamo venuti via tutti, mia nonna era stata portata da mio zio in, alla frontiera svizzera e l’avevano presa, lui quindi era tornato indietro tranquillo, tutti noi credevamo, pensavamo che la nonna fosse in Svizzera e quindi la mamma, poi in realtà la nonna il giorno dopo era stata rimandata fuori, poi è stata arrestata in treno e deportata ma. Quindi noi siamo andati nella casa della nonna, in Via Bronzetti 33 e, non so se questo c’entri tanto con il discorso dei bombardamenti ma io l’ho saputo vent’anni, trent’anni dopo che eravamo tornati indietro che la data era dopo il luglio, dopo la caduta del Fascismo e dopo la formazione della RSI, ma noi avremmo potuto essere stati tutti deportati, ma mia madre, siccome aveva fatto un matrimonio misto, senza conoscere la storia perché poi i particolari si sanno sempre dieci anni, vent’anni dopo, credeva di poter stare tranquilla perché lei aveva fatto matrimonio misto. In realtà [laughs] eravamo nella casa della nonna che è stata deportata e avremmo potuto essere stati tutti tranquillamente deportati, magari un po’ dopo perché matrimonio misto nelle leggi prevedeva intanto un atto successivo a quello del prendere anche le persone che avevano fatto matrimonio misto ma vabbè è stato un atto di pura incoscienza da parte di mia madre ma così è stato, è andata bene.
ST: Posso chiederle quindi la sua famiglia era composta, sua madre era quindi di origine ebraica?
AV: Mia madre era ebrea e mio padre era cattolico, era un buon cattolico napoletano e noi eravamo stati tutti battezzati, non subito, la mia prima sorella è stata battezzata dopo sei mesi ma poi via via siamo stati tutti battezzati. Quindi eravamo figli di matrimonio misto, battezzati. Quindi per la legge italiana c’era un certo tipo di legge, quindi saremmo stati non tanto noi figli non tanto sotto la legge perché eravamo stati battezzati alla nascita. Per le leggi tedesche il discorso era un po’ diverso.
ST: Posso chiederle se successivamente quando lei ha iniziato a crescere in famiglia si è riparlato della guerra, dei bombardamenti?
AV: Sì, altroché. Ci sono tutti i racconti della mia mamma, mio padre è morto nel ’54 e non ricordo racconti da parte sua. Però la mia mamma appunto raccontava, raccontava di come reagivano le mie sorelle. Il racconto della sorella maggiore che andava in balcone me l’ha fatto la mamma. Il racconto della prima sorella che si svestiva insonnolita perché non capiva perché dovesse vestirsi in piena notte, anche quello me l’ha raccontato mia madre. Ma direi che, il discorso dei bombardamenti forse era un discorso corale e non sento, non ricordo grande angoscia per quanto a proposito la nostra prima casa quella dove abitavamo nel ’40 quando siamo venuti via era stata bombardata, eravamo in via, vicino a Piazzale Susa, e infatti non non, quella casa non c’era più per quello che siamo andati poi nella casa della nonna. Ma, non, anche nei racconti di mia madre c’era qualcosa di superato, ma probabilmente perché il tutto è stato poi sovrastato invece, per molti anni, dall’angoscia della perdita della nonna, della mamma di mia mamma. La ricerca nei primi anni, sperando che tornasse, l'andare per le varie organizzazioni, scrivere, si parlava soprattutto di quello. Direi che io sono stata segnata più da questo che non dai bombardamenti. I bombardamenti erano una casa che avevamo vissuto tutti a Milano, per cui erano una specie di grande tempesta che era arrivata, l’avevamo passata tutti, qualcuno c’era rimasto sotto ma insomma non, ripeto non c’era angoscia in casa nostra per i bombardamenti. Tra l’altro allora, soltanto dopo ho percepito, ho fatto un po’ i calcoli, erano i bombardamenti degli alleati, non erano i bombardamenti dei tedeschi prima. E, anzi no nel ’43, sì nel ’43 erano gli alleati, certo certo. Ehm, che erano i nostri liberatori [laughs] per cui forse per questo non si protestava tanto.
ST: Quindi lei come bambina pensava a un bombardamento tedesco o non si dava spiegazioni?
AV: Da bambina, non c’era nemmeno il concetto di tedesco o di italiano, a cinque anni hai la famiglia, hai, non hai questo, forse in un’altra casa avrei potuto sentire le differenze, ma non, assolutamente no. Non, sono tutte, queste delle differenze, delle nazioni, sono tutte cose che ho sentito, ma che ho capito, non sentito, ho capito soltanto da adolescente, poi da adulta, prima assolutamente no.
ST: Si ricorda per caso durante i bombardamenti ad esempio, le sirene o comunque cosa succedeva?
AV: Ecco, quello che sapevo benissimo, giusto me l’ha fatto ricordare. Certo, le sirene le sentivo benissimo. E non solo, che andando in giro per la città, perché io andavo lì intorno, c’era, c’erano gli scantinati delle case, che avevano di fianco dei segni, grandi segni bianchi con delle grandi freccie bianche, che indicavano il rifugio, cioè in caso di bombardamento indicavano. Io anche allora sapevo che in caso di bombardamento era lì che si andava e questi segni sono rimasti poi per decenni sulle case, poi pian piano sono spariti, poi via via sono stati cancellati e al posto delle, di quelle finestrine basse che davano nelle cantine che c’erano nelle vecchie case, nelle nuove case non ci sono più, erano, son state messe poi le inferriate, poi tutto è stato dimenticato. Ma, certo le sirene me le ricordo bene io, certo.
ST: Ehm, lei si ricorda per caso, chi è che le aveva spiegato cosa bisognasse fare in caso di bombardamento, se…
AV: A me nessuno ha spiegato nulla perché ero piccola, ero protetta, ero molto protetta io. Ero la più piccola e quindi mi gestivano in caso di problemi. Non, io nulla sapevo, nessuno mi diceva niente, no, no.
ST: E si ricorda cosa facevate lei e le sue sorelle durante le ore che si passavano nel rifugio?
AV: Ho dei ricordi vaghi. Ricordo tante persone che si conoscevano tra di loro e non era neanche tanto buio, c’era un semibuio, forse una lampadina. Un po’ si chiacchierava, un po’ si taceva. Non ricordo di mio, poi ho saputo da altri racconti ma di mio non, non ricordo altre cose,se, cosa facessero, se qualcuno dormiva per esempio ma, sono cose che non ho, di cui non ho ricordo proprio. Ero piccola, cioè cinque anni. Di solito, beh oggi forse i bambini sono diversi perché cominciano prima ma allora i bambini erano molto, come dire, molto protetti dall’esterno, gli si raccontava molto poco, non aveva importanza di spiegargli le cose, dovevano fare quel che dicevano i genitori e basta, ecco, per cui. Poi le nozioni quindi non se ne hanno, si hanno solo delle impressioni, dei sentimenti, non molto altro.
ST: Quando, relativamente a quell’evento che raccontava di suo padre che venne mitragliato, che subì un mitragliamento al treno su cui stava viaggiando, anche di quello in famiglia come, rimase soltanto la paura di sua madre oppure ci fu anche un discorso attorno a quel fatto? Ci fu della rabbia, magari legata ai bombardamenti?
AV: No, non ricordo. Mia madre è rimasta molto spaventata ma non ricordo rabbia, ricordo molta paura. Mi ricordo quando la mamma a Ospedaletto Lodigiano era uscita, era andata a prendere il papà, ma era solo paura, non c’era rabbia. Devo dire che di rabbia nei confronti dei bombardamenti a casa mia non ne ho mai sentiti. Probabilmente proprio perché, ma è una mia ipotesi, venivano proprio percepiti da, come bombardamenti di qualcuno che ci veniva a liberare dai tedeschi. È possibile, però è una mia idea. Comunque sicuramente io non ricordo rabbia nei confronti dei bombardamenti, no.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Adriana Ventriglia
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Sara Troglio
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-05-07
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:15:50 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AVentrigliaA170507
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Po River Valley
Italy--Milan
Italy--Lodi
Italy
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1943
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Description
An account of the resource
Adriana Ventriglia remembers the bombings of Milan. She provides details about her evacuee life in the Lodi countryside and describes how her father was injured in a train strafing. Mentions her early life in a mixed family, the impact on anti-Semitic laws, and how her grandmother was deported, never to return. Recalls life under the bombs, civil defence precautions and the atmosphere inside a shelter. Stresses how her parents tried to spare her as much hardship as possible and describes war as a relatively care-free period. Mentions Pippo and describes how her sister tried to cope with its menacing presence.
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
African heritage
bombing
childhood in wartime
civil defence
evacuation
faith
fear
Holocaust
home front
perception of bombing war
Pippo
strafing
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/20/257/Memoro 9181.1.mp3
78ab59ed873b63d8003e28531332f619
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
AD: E poi parliamo dei bombardamenti, una volta c’era gli aerei che passavano, al mio paese non hanno bombardato, hanno solo mitragliato la stazione, io mi trovavo nei pressi della stazione, sentivo quei quei caccia che prendevo, perché nella stazione c’era delle, dei carri, dei carri bestiame praticamente, eeeh loro non so cosa pensava che ci fosse, delle tradotte di militari, allora bombardavano, mitragliavano questi vagoni, io talmente piccola, cosa vuoi, dieci unidici dodici anni, non sapevo nemmeno cos’era la guerra, vicino a me c’era un muretto, mi sono allungata di fianco a quel muretto, ho detto ‘Così non mi vedono’ perché avevo paura che mitragliassero anche me, figurati loro non mi vedevano nemmeno. Però, guarda quello me lo ricordo, mi sono coricata lunga a quel muretto ho detto ‘Così non mi vedono, non mi prendono, poi son passati, mi sono alzata, sono andata a casa.
[part missing in the original file]
AD: E poi un’altra cosa che non lo dimentico.
[part missing in the original file]
AD: Una sera verso le nove mia mamma mi dice ‘Vai in piazza a fare una commissione?’: è la prima sera che hanno tolto la luce per le strade, era buio. E io ‘Sì sì vado, mi sono tenuta al muro da casa fino in piazza, perché non vedevo dove andavo [emphasis] talmente, io sono ancora terrorizzata adesso dalla notte perché io al buio non vado da nessuna parte.
[part missing in the original file]
AD: Sono andata a fare sta commissione sono tornata.
[part missing in the original file]
AD: Mia mamma mi chiese ‘Perché piangi?’ io le ho detto ‘Ma piango perché ho paura del buio’. Infatti ho sempre avuto paura del buio, da quel momento mi è stato talmente impresso che non l’ho dimenticato, ancora adesso io non esco di sera se non è bello chiaro, perché ho paura del buio si vede che mi è stato proprio impresso quel buio quella sera, bambina da sola, e così sono ancora adesso. Io vivo in un paesino che si chiama Castagnola Lanze nella provincia di Asti, un paesino ci sarà, sarà quattro mila persone, più o meno.
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Interview with Ada Dellaferrera
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
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Ada Dellaferrera (b. 1928) recalls aircraft strafing the railway station and how she tried to hide next to a wall. Remembers when her mother sent her out in the blackout and the fear of the dark she has had ever since.
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Memoro#9181
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Italy--Asti
Italy--Po River Valley
Italy
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Francesca Campani
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ita
Publisher
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IBCC Digital Archive
Memoro. La banca della memoria
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bombing
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fear
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Title
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Bottani, Paolo
Description
An account of the resource
One oral history interview with Paolo Bottani who recollects wartime experiences in Milan.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
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An unambiguous reference to the resource within a given context
Bottani, P
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2016-12-02
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EP: Come prima domanda le chiedo di cominciare da prima della guerra, prima che cominci il conflitto, eeh mi racconti un po’ della sua famiglia, eeh dove eravate e di che cosa si occupavano i suoi familiari.
PB: Sì eh prima della guerra naturalmente ero piccolino quindi la memoria un po’ un po’ un po’, un po’ annebbiata diciamo così. Però mi ricordo bene che la mia famiglia era una famiglia di operai, eeh immigrati, mio papà proveniva dalla provincia di di Piacenza e mia mamma dal cremasco, eeeh erano operai purtroppo mio papà viveva un momento difficile per le sue idee politiche, non voleva iscriversi al partito fascista che era per la maggiore a quei tempi e non gli davano il lavoro perché lui non era iscritto al partito, quindi questo m’è rimasto impresso benché piccolino, perché la famiglia di conseguenza ne ne soffriva. Mia mamma invece era volgitrice di motori elettrici alla Ercole Marelli di Sesto San Giovanni. Avevo una sorella che era impiegata presso una ditta di cosmetici, la Beiersdorf. Ecco questo è quello che mi ricordo del periodo anteguerra. Nel 1940 poi, mi hanno iscritto alla prima elementare come tutti i bambini ed ho frequentato qui a Precotto la prima classe, elementare. Mi ricordo che eravamo tanti bambini, oggi si lamentano delle classi affollate, noi eravamo in quaranta, quindi la maestra della quale mi ricordo il nome, Angela Arpiani, era una brava signora torinese e ci aiutava parecchio perché eravamo abbastanza discoli eh: che i genitori al lavoro, noi eravamo a casa da soli, non c’erano le badanti o le babysitter o, eravamo in giro per le strade, qui a Precotto era una zona rurale, c’erano campi, e noi ci ci divertivamo ad andare per i campi. Quindi la prima e la seconda elementare direi che, essendo pure in guerra, perché la guerra è cominciata nel ’40, non abbiamo subito parecchie eh diciamo difficoltà, a parte la faccenda di mio papà che non lavorando era costretto a fare dei lavoretti così un po’ in nero, si dice oggi, per poter portare a casa qualcosa, e poi aveva l’orto che lo lavorava e ci dava la possibilità di, di vivere ecco. Il brutto comincia verso la fine del ’42 l’inizio del ’43, cominciarono i bombardamenti, cominciarono le difficoltà della vita. Ecco lì ho cominciato a mettere nella mia mente le difficoltà proprio, di vivere, molti disagi come per esempio il freddo, la paura, il freddo la paura, e la fame, e la fame, cominciava a scarseggiare il cibo. Il freddo era terribile perché difficilmente avevamo la legna per bruciare, andavamo in giro a raccogliere qualche pezzettino di albero, di di ramo rotto degli alberi, portarlo a casa noi bambini per poter scaldarci, però era la fiammata del momento e quindi il calore era molto, molto scarso. Poi eeeh i geloni: col freddo la conseguenza logica per noi bambini erano i geloni sulle mani sui piedi, eeeh oggi non vedo più i bambini con i geloni, ma io mi ricordo facevano male, molto male questi geloni. Specialmente quando la mamma ci lavava, ci faceva il bucato come si dice nel mastello in casa, eeeh i geloni venivano fuori, col calore, un dolore immenso proprio. Poi c’era la paura del, dei bombardamenti delle sirene: ecco io una cosa che ancora ho in mente adesso quando sento una sirena, scatta dentro di me come una una un uno stato psicologico che mi richiama quei momenti là che dovevo scappare, è rimasto in me. Perché la sirena era sinonimo di bombardamento ‘Scappa, scappa!!’ perché arrischi la vita. E quindi questo qui è continuato per alcuni anni fino al ’45 e devo dire però, nel ’42 finita la seconda classe, mia mamma e mio papà decisero, visto che cominciavano a bombardare Milano, di spedirmi, di mandarmi a casa di mia zia a Crema, come sfollato. Quindi non non, vi immaginate anche lo stato di disagio trapiantato in un’altra località, nuovi nuovi bambini da conoscere, un modo di vivere che era differente dal mio purché simile, per carità, però molto differente. E così sono stato a Crema per, per un paio d’anni, però a Crema bombardavano, quindi la situazione era pressoché identica Milano Crema, non sapevi più dove andare, ecco. E mi ricordo che una volta mi hanno portato a casa, per vedere la mamma, mio zio, e nel ritorno, quando siamo ritornati a Crema, la difficoltà è che il treno arrivava fino a Cassano poi c’era il ponte sull’Adda, naturalmente bombardato, e quindi noi dovevamo traversare su una passerella larga poco più di di, circa un metro, sopra il fiume con un corrimano da un lato solo e dovevamo attraversare questo fiume di sera, al buio, e mi ricordo ancora il vortice delle acque che correvano sotto e m’ha creato uno stato di paura veramente notevole, però era l’unico mezzo per poter andare a prendere il treno dall’altra parte per poi proseguire per per Crema. Quindi anche quello lì uno stato di disagio. Dicevo prima, Crema veniva bombardata come Milano più o meno perché c’era il ponte sul fiume Serio e ogni due per tre erano lì gli aeroplani, e lì ho provato una sensazione durante il bombardamento. Dunque Crema non era attrezzata coi rifugi come Milano, a Milano quasi tutte le case avevano i rifugi sotterranei negli scantinati, Crema invece non c’era questa, non credevano che venissero a bombardare, erano meno preparati. E quindi si rimaneva in casa, si rimaneva in casa, rimanendo in casa lo spostamento d’aria, io mi aggrappavo a mia zia in un angolo della casa perché sentivi la casa che ‘Ooooooh cade cade cade!’ ci aggrappavo a mia zia perché avevo la sensazione che la casa, la casa cadesse, veramente una sensazione terribile. A crema poi invece ho subito un mitragliamento, e lì l’ho scampata proprio per poco: venivano i caccia, lì passavano le colonne tedesche che da Cremona andavano a Milano e una volta noi eravamo bambini, giocavamo per strada eeeeh è arrivato un paio di caccia, ma così all’improvviso senza neanche suonate le sirene, che se suona le sirene noi scappavamo. Arrivano sti caccia ‘Aaaaaaaaaa papapapam’ cominciarono a sparare, noi non sapevamo più dove andare, le pallottole ci battevano ai fianchi del del, sulla strada, e io un bel momento mi sono buttato dentro ad una porta che ho trovato e poi il caccia è passato, via andato con la sua bella scaricata di pallottole, e fortunamente [sic] non ha colpito nessuno ecco. Poi dopo, quando sparano le mitragliatrici, diciamo rifiutano i bossoli delle delle delle pallottole, noi bambini andavano a raccoglierli, andavamo a raccoglierli perché dopo li vendavamo, perché era ottone e quindi l’ottone aveva un significato anche saltar fuori la mancetta per per comperarci qualche caramellina, quando c’erano eh. Quindi l’esperienza di crema è stato un po’, un po’ pari a quella di Milano ecco, l’unica cosa che che che, la difficoltà scolastica perché da una scuola all’altra quindi ho avuto delle difficoltà. Poi, come dire, ecco una cosa che ho imparato, ho imparato il dialetto cremasco cose che invece qui parlavo in milanese ecco e quindi mi è servito anche quello. Quindi i miei genitori vedendo che bombardavano Crema e bombardavano a Milano allora tanto vale che tu ritorni a Milano. Ecco e allora mi han riportato, terminata la la quarta classe, mi riportano a Milano e mi iscrivono alla scuola qui di Precotto. Ironia della sorte, io dovevo andare, perché a Precotto non c’era più posto, alla scuola di Gorla dove c’è stato quell’eccidio di duecento morti. Fortuna, destino, mia mamma è andata a brontolare col col provveditore, il direttore, un certo Peroni (mi ricordo anche il nome) certo Peroni, è riuscita a farmi tornare a Precotto, perché noi venivamo dalla parte opposta della scuola, quindi era molto distante, andando a Gorla raddoppiavamo la strada, allora il il direttore là si è un po’ convinto e ci ha concesso di ritornare a Precotto eh ecco e quindi questo qui mi è andata anche bene. Ecco la vita a Precotto durante la guerra: era terribile, la paura era tanta, la paura era tanta, come dicevo prima le sirene poi a Milano suonavano alla gran più bella, però noi ormai bambini eravamo abituati a a questo genere di vita, perché nonostante tutto noi bambini giocavamo, perché c’era pericolo, c’era la fame, c’era il freddo però si giocava, con quello che c’era, coi giochini lì di poco conto che si potevano racimolare allora, e giocavamo. Poi eeeeh è venuto quel triste giorno del del bombardamento della scuola: ci siam recati a scuola eeeh va beh è venuto non so se devo raccontare il fatto ma penso che sia ormai risaputo, beh comunque mi han tirato fuori dalla scuola eeeh sano e salvo, tutto imbiancato, tutto impolverato. Ecco l’unica cosa che posso dire che è anche un qualche cosa che fa un po’ ridere, mia mamma era al lavoro a Sesto, io sul viale Monza che stavo andando a casa, non c’era in giro nessuno, ecco una cosa che mi ha messo anche paura, ero solo per strada, non c’era nessuno neanche un’anima proprio, tutti richiusi per per il timore del bombardamento, ed ecco che appare un un un signore in bicicletta, non so neanche chi fosse, io l’ho considerato un angelo custode dopo, che mi fa, io non so mi esprimo in dialetto ‘Uè tì nani in doe te vè?!’ cioè ‘Tu bambino dove vai? ‘Eh sun drè andà a ca’’ ‘ Cià ven chi che te careg in mi su la cana della bicicletta e te porti a cà’. Perché io ero a quasi, quasi un chilometro la mia casa da quella zona lì. E così mi ha portato a casa, arrivo a casa, mia mamma non c’era, mio papà neppure, tra l’altro non erano neanche al corrente che era bombardata la scuola. Arrivano, no arrivo io veramente, arrivo io e mio zio ‘Oh vin chi poverino vieni qua che ti met tuto sporco, bagnato’. Io avevo una sete terribile perché il bombardamento ti lascia la polvere in bocca e il sapore di zolfo. ‘Vieni qui che ti do un bicchierino di Fernet’ [laughs] io quella volta lì m’han dato da bere il Fernet, una porcheria solenne, non ho bevuto più il Fernet in vita mia. Ecco, dopo questa esperienza che grazie al cielo ne sono uscito, ecco i miei genitori mi rimandano a Crema [laughs] perché qui le scuole non c’erano più eh, tanto è vero tanti miei amici qui a scuola uno andava presso una mensa, quell’altro presso uno stabilimento, quell’altro presso l’oratorio della chiesa, cioè le varie classi le hanno smistate. Io invece mi hanno mandato a Crema e ho completato gli studi elementari lì a Crema, ecco. Questo qui è a grandi linee la la mia esperienza di guerra, però quello che mi ha segnato maggiormente è stata la lontananza dalla, dalla mia famiglia per un certo periodo, il freddo la paura, la paura, la paura anche del del Pippo che di notte veniva a sorvolare la città e tutti avevamo timore le finestre, chiudevamo tutto, spegnevamo la luce che temevamo che questo Pippo qui sganciasse qualche, qualche bomba ecco, quindi questo qui è a grandi linee eh, il dopoguerra. Il dopoguerra è stata, è stato bellissimo, cioè siamo rientrati, però mi sono rimasti i segni tanto è vero che quando suonavano le sirene degli stabilimenti, io abitavo vicino a Sesto e a Sesto c’erano tanti stabilimenti, io scattavo come una molla e e partivo per cercare rifugio però dopo sapevi che oramai è finito, però è rimasta dentro ancora quella quella quella sensazione lì di scappare, fuggire, fuggire la paura era terribile, il bombardamento è brutto eh, i bombardamenti son brutti. Quando andavamo in rifugio in braccio a mia mamma che bombardavano qui a Milano, tremavo come una foglia, era il mese di agosto eh ero lì che tremavo ‘Eh ma tu sta fermo Paolo sta fermo, sta qui tranquillo’ e io tremavo tremavo tremavo, probabilmente l’effetto della paura, col senno di dopo eh non lo so, e così, e comunque la guerra l’è l’è, è una brutta roba dai diciamo così. Poi nel dopoguerra invece non è che le cose andassero meglio eh, grazie al cielo mio ha trovato da lavoro, da lavorare come autista e quindi qualche cosettina si muoveva, però il freddo c’era, perché ancora il riscaldamento non non era avviato, non c’era ancora la legna per bruciare, il carbone cominciava ad arrivare pian pianino, quindi nel ’46 è stato un anno piuttosto pesante ancora che ha risentito dell’essere stato in guerra. Io a scuola mi hanno iscritto ad una scuola di avviamento al lavoro, a Sesto, e andavo a piedi eran quasi tre chilometri, tutti i giorni a piedi andata e ritorno, a piedi andavamo perché mezzi c’erano ma costavano, c’era il tram di Monza che portava là. E quindi andavamo a scuola ma più delle volte d’inverno ci lasciavano a casa perché non avevano la legna per riscaldare le le classi, per cui per noi era una, era una pacchia nel senso che i bambini basta dire di non andare a scuola e tutti contenti ecco. Se devo dire un particolare che del bombardamento eh, quando è suonato l’allarme che i maestri ci hanno indicato la via del rifugio in maniera anche veloce ‘Su su bambini muovetevi che che il pericolo è incombente’ ecco in quel momento lì è scoppiata, e mi ricordo bene, una gioia infinita tra noi ragazzi ma non perché suonasse l’allarme, era era in procinto un bombardamento, no no perché noi smettevamo di fare lezione e quindi eravamo felici beati e contenti, come tutti i bambini del resto eh, vivono la guerra ma anche sanno giocare ecco e questo qui, ho sempre giocato, ho sempre giocato ecco, studiato poco perché va beh, ero a casa sempre da solo nessuno mi mi spingeva a studiare per cui ecco io penso che che.
EP: Vorrei farle qualche domanda sul, su proprio quando è scoppiata la guerra: lei si ricorda che cosa si diceva, che, quali erano i discorsi un po’?
PB: Sì sì mi ricordo che c’era dell’euforia, eran tutti contenti, mi ricordo di questo, sì sì, mi ricordo, vedevo le persone anche i genitori, a scuola, parlavano dell’entrata in guerra dell’Italia, però lo dicevano con una forma ‘Tanto si vince, porteremo a casa la ricchezza, staremo meglio’ e quindi c’era una euforia, c’era euforia, c’era euforia. Fino al ’42 eh, poi ha cominciato a spegnersi e poi dopo è successo quello che sappiamo un po’ tutti immagino.
EP: Ehm riguardo invece appunto l’esperienza del bombardamento, lei si ricorda che cosa succedeva dentro il rifugio, quali erano un po’ le cose che si facevano?
PB: Ah sì sì guardi, siamo rimasti in rifugio, da quando è suonato l’allarme, è scattato l’allarme, saran passati due o tre minuti, perché la scuola di Precotto era su un piano terra no e quindi entrare in rifugio, a parte qualche fatto un po’ unico che non è riuscito ad arrivare in rifugio ed è morto, però noi bambini siamo riusciti a scendere abbastanza velocemente. E dicevo prima, in forma anche abbastanza gioiosa, cioè non pensavamo certamente che venivamo bombardati, eravamo contenti perché, dicevo, abbiamo smesso di far lezione e via era felicità no, e quindi eravamo gioiosi, quindi nel rifugio giocavamo, ah i soliti spintoni ‘Ti ohe, aaah bim bum’ le solite cose dei bambini. Poi a un certo punto, dopo pochi minuti eh, perché è successo quasi subito, si spegne la luce, oibò, si spegne la luce poi cominciano, un boato enorme, tremato tutto cominciato a cadere i calcinacci, polvere, odore di zolfo, bambini che piangevano, altri che che si lamentavano, uno era sporco tutto di sangue, e allora lì è cominciato a essere un po’ una faccenda più più seria ecco. Io come dico però, nonostante tutto, non ho perso la calma, sinceramente, dico la verità, ero abbastanza tranquillo, paura sì, ma tranquillo, e poi dopo pian piano dopo dieci minuti circa, la sapete immagino la storia di quel sacerdote che che, don Carlo Porro, il quale ha intuito che han bombardato la scuola, è corso subito, e assieme a tre o quattro volontari, ha aperto un pertugio perché ha capito che eravamo ancora sotto, ha aperto un pertugio e lì ha cominciato a sfilarci. Io sono stato il penultimo a uscire, ci mettevamo in coda, i maestri, devo dire i maestri abbastanza coraggiosi, devo dire, sì perché sono stati capaci di mantenere la calma e soprattutto di creare un po’ di ordine, quindi ci hanno incolonnati e si è creato una specie di scivolo con le macerie, siamo arrivati al soffitto del dello scantinato e lì c’era questo pertugio, ci prendevano le braccia e ci tiravano fuori come tanti salami no. E lì, poi dopo non succedeva nulla, io mi ricordo che il signore che che c’era lì vicino ‘Ecco ades te sè fora’ parlo in dialetto scusatemi eh ‘Te sè fora, va cur cur a ca’’. E io mi dicevo ‘Mah cur a ca’?! Cur a ca?! Ma dove vado?’ era tutto bombardato, non sapevo più dove fossi. Quindi vai di qui, vai di là, dove sono? Dove vado? Non c’era nessuno, ma in un bel momento mi sono ritrovato in una via che conoscevo, via Bressan, e di lì sono entrato su viale Monza e poi ho incontrato quel signore in bicicletta che mi ha portato a casa, però primo momento, sono rimasto veramente scioccato perché, mi hanno detto ‘Vai a casa, vai a casa corri vai a casa che c’è ancora pericolo’ [coughs] però vai a casa, era era difficile perché non si capiva più nulla, poi sul viale c’erano il tram, che era stato divelto dalla dalla, dai binari del tram, era lì mezzo su mezzo giù, un cavallo poveretto con uno zoccolo tagliato via, perdeva sangue, si lamentava, tutte scene di questi tipo, no? Terribili, però persone nessuna, ecco ripeto, una delle cose che mi ha colpito, la solitudine che mi son trovato quando mi han tirato fuori dal dal rifugio, ero proprio solo, c’era nessuno, no ‘E adesso cosa faccio io?’, dopo ho trovato quel signore lì che mi ha portato a casa ecco.
EP: Ehm tra, tra i bambini della classe, lì nei giorni, nei momenti successivi al bombardamento, ne avete riparlato, è stato un argomento anche?
PB: No. Come dico, io non ne ho riparlato coi miei amici perché m’han portato a Crema. Ecco a Crema, lì la direzione, i maestri, la propaganda fascista, diciamolo così, eeeh mi hanno accolto come, non dico come un eroe ma come uno che che, che che ha compiuto un atto bello, doveroso no, perché ‘Eh bombardato, eh qui, gli americani assassini!’, cioè la solita propaganda del regime, e quindi mi han fatto ergere a eroe, detto così in parole, e quindi non ho potuto parlare con, con i miei amici, dopo nel ’46 li ho rincontrati però oramai era finita la la, e quindi non ne ho parlato perché mi hanno portato via subito, per cui, e ho avuto quella esperienza qui del, di Crema.
EP: E appunto anche dopo la guerra c’è stata occasione di rincontrare le persone che avevano avuto quella esperienza?
PB: Sì ma non ne parlavamo, no, non ne parlavamo. Probabilmente c’era un silenzio, un silenzio anche timoroso di dover rievocare situazioni tristi, di paura, di di sofferenza, probabilmente questo, no non ne abbiamo mai parlato, no, no.
EP: E riguardo eeh la fine della guerra proprio, lei si ricorda i giorni finali, che, se se ne parlava, che cosa si diceva.
PB: Sì sì sì. Io mi ricordo, dunque ero a Crema, purtroppo, purtroppo, ero lì sfollato, mi ricordo che il 25 aprile una, un gruppo di partigiani, tra l’altro mi hanno colpito anche veramente, armati fino ai denti, con, sembravano dei dei banditi del del, messicani con le con le con le strisce di cartuccere, i mitra, i mitraglieri, e portavano delle donne, ex collaboratrici fasciste che le avevano rapate e pitturate di rosso la testa, ecco passavano per la via lì, così, ecco questo qui mi ha colpito, mi ha lasciato un po’ un po’ come dire, non mi è piaciuta la cosa ecco, non mi è piaciuta, proprio una brutta, un brutto ricordo di quella lì, che poi mi han detto poi che queste donne qui le portavano al campo sportivo e lì le hanno uccise tutte ammazzate, fucilate ecco. Quindi mi ricordo ero lì a Crema ho vissuto questo momento brutte del dopoguerra, della presenza di questi partigiani che erano accaniti, proprio veramente, forse perché sono un tipo tranquillo non non mi, non mi ha sfagiolato tanto ecco quella presa di posizione lì verso quelle donne, anche se colpevoli per carità, io non non voglio giudicare, però quel trattamento lì, così meschino no, non mi è piaciuto ecco dico la verità questo. Poi dopo nel periodo della fine della guerra c’è stata la la la come dire, la restituzione delle armi, mio zio aveva lì tre moschetti che aveva nascosto quando l’8 settembre molti militari hanno lasciato il reggimento per ritornare a casa, quando è stato l’armistizio dell’8 settembre, e mi zio aveva accolto tre militari, di Vigevano erano, eeh li han cambiati, gli han dato i vestiti da borghese e lui ha tenuto lì tre fucili e la la divisa, quindi sono andato con mio zio a restituire al comando partigiano, perché c’era l’obbligo di restituzione delle armi occultate durante la guerra, ecco, così mi ricordo questo. Qui a Milano non c’era quindi non non non ho presente, perché la situazione di Crema per per quanto fosse abbastanza indicativa però in dimensioni più ridotte, ecco sì, essendo una cittadina piccolina. Però ecco, un’altra cosa che mi ha colpito, eeeh i tedeschi che prima erano arroganti eh, perché io ho sempre avuto paura dei dei militari tedeschi, anche questa qui è una cosa che, quel modo di parlare loro che per noi era era incomprensibile, duro, forse magari a loro insaputa, però creavano in noi bambini uno stato di timore, di paura, e quando vedevamo i tedeschi, sempre armati di tutto punto eh, io parlo di Milano, vedevamo i tedeschi eeeh scappavamo perché avevamo paura, erano duri proprio, al contrario di quando sono arrivati gli americani, che gli abbiamo incontrati e ci davano qualche cioccolatino la ciuinga, cevingam [chewing gum] lì quello che è, quindi era un altri tipo di rapporto, ma ecco un’altra cosa ho avuto paura dei soldati tedeschi, poveretti come dico magari non non ne avevano intenzione di farci paura, però il loro modo di vestire, di essere armati, il loro modo di parlare così secco duro e ci ci condizionava ecco. E poi ho visto questi tedeschi sempre lì a Crema su una camionetta con questi partigiani qui che li insultavano, li picchiavano, li li, li li come dico si sfogavano un po’ verso questi tedeschi qui, giustamente, ingiustamente lasciamo domineddio a, a giudicare.
EP: Ehm riguardo a chi ha compiuto il bombardamento vero e proprio, che cosa pensava lei da bambino di questi bombardamenti
PB: Guardi a onor del vero noi non pensavamo, non sapevamo neanche chi fossero, certo eravamo come dire spinti dalla propaganda a pensare che chi veniva a bombardare erano degli assassini, ecco questo ce lo avevano inculcato bene eh, perché se voi morite, se voi soffrite, è per causa di quelli là, non di noi che vi abbiamo portato in guerra, ecco questo qui è, è quello che noi eeeh provavamo. Ecco però non sapevo, sapevamo che erano inglesi [emphasis]. Sì, e allora tante volte passavano le formazioni di aerei sopra Milano e andavano, che andavano in Germania a bombardare, noi eravamo lì a contarli ‘Uno, due, tre, quattro, cinque’ era bel tempo, il sole bello, e ci divertivamo a contare gli aerei che andavano, però quei giorni che sono venuti a bombardare eeeh la scuola di Precotto eravamo a scuola non abbiamo potuto contarli [laughs] li abbiamo contati dopo.
EP: Ehm successivamente, cioè una volta adulto, ripensando a quei fatti, che opinione le è rimasta?
PB: Beh l’opinione rimasta è che io odio la guerra, ecco qualsiasi forma di guerra proprio, non riesco a capire la necessità di fare una guerra proprio, io da piccolino ho capito che è stata una guerra inutile, proprio inutile! Quanti miei amici che sono morti ancora piccoli, quanti papà che son morti in guerra, al fronte, quanti, quante mamme nella sofferenza nella fame, quindi cosa ha lasciato? Cos’ha lasciato? Valeva la pena? Cioè è questo che mi pongo. Da adulto ho detto, ma vale la pena? Perché le guerre si differenziano, si differenzieranno dal modo in cui uno la fa ,però è sempre, la finalità è sempre quella, inutile inutile, crea solo dolore, morte, basta non crea niente la guerra non crea niente, non crea proprio niente, questo qui mi è rimasto molto impresso, tanto è vero che io son contrario eh son pacifista a oltranza.
EP: Va bene, io sono.
PB: A posto.
EP: A posto, la ringrazio moltissimo
PB: Ma di nulla.
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Title
A name given to the resource
Interview with Paolo Bottani
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
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Erica Picco
Publisher
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Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-12-02
Contributor
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Francesca Campani
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00:33:25 audio recording
Language
A language of the resource
ita
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ABottaniP161202
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Po River Valley
Italy--Milan
Italy
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1944-10-20
1943-09-08
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The nature or genre of the resource
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Description
An account of the resource
Paolo Bottani recalls wartime memories of a working-class family in Milan. Describes the widespread enthusiasm for the declaration of war, followed by a relatively calm period. Mentions alarms as greeted initially with joy because classes stopped and the care-free attitude of children who used to salvage shell casings for their scrap value. Recounts the first bombing he witnessed when in Crema and gives a detailed account of the Precotto primary school bombing, where he was trapped underground and brought to safety by the effort a rescue party. Describes the aftermath of the bombing on the surrounding areas and explains how the authorities presented him as evidence of the Allies’ brutality. Recalls his life as evacuee: fear, hunger, cold and painful frostbites; disrupted communication; destroyed bridges replaced by precarious footbridges, strafing. Recollects events at end of the war and describes head-shaved female collaborators paraded in shame. Mentions a life-long distress reaction to sirens and connects his strong pacifist stance to the experience of being bombed.
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
animal
bombing
bombing of Milan (20 October 1944)
childhood in wartime
civil defence
fear
home front
perception of bombing war
strafing
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/20/226/591.2.mp3
6d2bbd6a840e3c8def43e132e9049dca
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
LG: C’erano le persone che si chiamavano dell’UNPA.
[part missing in the original file]
LG: Ecco c’era un corpo di volontari chiamato UNPA, che avevano una fascia così con su questa sigla, adesso non ricordo cosa volesse dire, ad ogni modo facevano come la protezione civile, se per esempio la casa era crollata e c’era bisogno di andare sotto per tirare fuori delle persone, di scavare, di fare delle cose, loro intervenivano. E ogni caseggiato aveva il capofabbricato. Il capofabbricato che aveva il compito, il dovere di far uscire tutti dall’appartamento, no? Certi invece non volevano ‘Io muoio qua nella mia casa, non voglio andarmene, piuttosto che fare la morte del topo voglio morire nel mio appartamento’. Però loro avevano proprio, anche litigando dovevano farli andare fuori, farli andare al rifugio ecco.
[part missing in the original file]
LG: Le porte erano, beh, quando si doveva andare ovviamente si entrava, no? Però di giorno, a me personalmente era capitato, avevano una capacità di tante persone.
Unknown interviewer: Eh quello signora [?].
LG: Più di quel numero non potevano ospitare, per sicurezza, per tante cose, e una volta io e con le mie amiche eravamo, bigiavamo scuola [laughs] eravamo in una fiera sui bastioni di Porta Venezia, e quando è successo, come si chiama, l’allarme, siamo scesi sulla Vittorio Veneto, lei conosce magari, insomma Vittorio Veneto, lì c’era la capienza di quarantatré persone e a noi non c’han fatto entrare, allora abbiamo dovuto attraversare tutta piazza della Repubblica che è una delle poche piazze di Milano grandi, no? Per arrivare dall’altra parte perché noi stavamo a Porta Nuova in quel momento, ormai io ero già via da qua, e dopo poco è successo che hanno mitragliato un uomo che era col cavallo, e hanno ammazzato anche il cavallo, che era col carro che passava dalla piazza, perché l’aereo era venuto giù e, questo era di pomeriggio che è successo. Perché non potevano ospitare tutti quelli che passavano, se c’era un rifugio piccolo limitato, più di quello non poteva.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Luciana Cella Guffanti
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Luciana Cella Guffanti (b. 1932) describes the role played by officers of the Unione Nazionale Protezione Antiaerea during the bombings of Milan, especially when they had to persuade reluctant people to go to the shelters. She describes an occasion when the alarm sounded, and she and her friend were prevented from entering an already overcrowded shelter and had to cross the vast Piazza della Repubblica which was being strafed.
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Francesca Campani
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:02:30 audio recording
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Memoro#591.html
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Milan
Italy--Po River Valley
Italy
Language
A language of the resource
ita
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Memoro. La banca della memoria
Type
The nature or genre of the resource
Sound
License
A legal document giving official permission to do something with the resource.
Royalty-free permission to publish
bombing
childhood in wartime
civil defence
home front
strafing
Unione Nazionale Protezione Antiaerea
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/21/220/Memoro 14606.1.mp3
8d3e1cbd9bae99ffee21d313eaaaa8d8
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Memoro. Die Bank der Erinnerungen
Description
An account of the resource
18 items. The collection consists of interviews with German bombing survivors originally videotaped by Memoro, an international non-profit project and open archive of audio or video interviews of people born before 1950. The IBCC Digital Archive would like to express its gratitude to Nikolai Schulz (Memoro - Die Bank der Erinnerungen e.V) for granting permission to reproduce and transcribe the testimonies. To see them in their original video form please visit www.memoro.org/de-de/.
The collection was catalogued by IBCC staff
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Memoro. Die Bank der Erinnerungen
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
EB: Ja, und dann ist, dann kam also, die Russen kamen immer näher, und das wurde aber in dem Deutschen Rundfunk nicht erwähnt, und das die im Grunde schon vor den Toren von Berlin standen, das wusste man im Prinzip auch nicht. Man hörte aber das Radio ab, der Westliche, sogenannte Westliche Rundfunk der kam aus Frankreich und da hatten meine Mutter und ich erfahren das die Russen vor der Tür stehen. Dann wurde unser Haus schwer beschädigt durch [part missing in the original file] jede Nacht Fliegeralarm, jede Nacht, das letzte Jahr in Berlin das war scheusslich, aber das war bei euch auch schlimm nicht, war auch viel Bombardement. Ja, Und dann, wir konnten das Haus nicht mehr bewohnen und dann gab’s die Wahl, entweder hier bleiben, die Russen erwarten mit allen Schwierigkeiten oder weg. Na ja, und dann sind wir das vom Südharz hatte mein Vater entfernte Verwandte und zu denen waren [unclear] zu nächst geflohen aus Berlin weil wie gesagt, wir hatten kein Dach mehr über dem Kopf. Zum Schluss waren nachts bombardierten die Amerikaner und die Engländer tags, also das weiss ich nicht mehr, jedenfalls wurde Tag und Nacht bombardiert. [pauses] Und da fanden wir da haben ich meinen Hund unter’n Arm genommen, neben meiner Mutter das einzige beliebteste Stück und wir sind in den Südharz. Aber ich war, ich hatte keine Angst absolut nicht, das war also erstaunlich. Und ich sagte, Mutti, wir haben da die Schreibmaschine in Berlin, also das ist so wertvoll, es gab doch keine Schreibmaschinen zu kaufen, und ich muss sie doch holen. Und meine Mutter mochte das gar nicht aber ich hab’s gemacht. Da bin ich und im Südharz nach zehn Stunden bin ich angekommen. Alle halbe Stunde kamen die Tiefflieger [makes a wooshing sound] und dann die Paar Mitreisenden, die meissten Leute trauten sich ja gar nicht mehr [pauses] nach Berlin [unclear] wieder zu fahren ich habe dann also diese Schreibmaschine geholt und dann war alle halbe Stunde wurde schwer geschossen mit Maschinengewehren vom Flugzeug aus das waren die Alliierten, entweder die Amerikaner oder die Engländer [clears throat].
NCCS: Engländer.
EB: Bitte?
NCCS: Engländer.
EB: Ja, und dann wohnten wir bei Frau Zwiebelkorn [smiles] den das Haus der Verwandten war auch zerstört, da wurde auch schwer bombardiert, weil da eine Munitionsfabrik in der Nähe war. [pauses] Ja, und habe einfach die Sache abgewartet, war nicht schön, nicht, man wusste, man wusste nur na ja, also die Russen stehen vor der Tür, und auf der anderen Seite sind die Amerikaner, wann werden die zusammenstoßen und wie ist das für uns.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Eva Brossmer
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Memoro. Die Bank der Erinnerungen
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:04:29 audio recording
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Memoro#14606
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Germany
Germany--Berlin
Description
An account of the resource
Eva Brossmer (b. 1925) remembers the incessant bombing of Berlin by the Allied and explains how she and her mother fled to Südharz trying to avoid the advancing Russians. Explains how German broadcasts did not mention their advance and how she heard the news from French radio stations. Narrates her journey back to Berlin to fetch her typewriter and stresses how it was interrupted by repeated strafing.
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content has been originally published on Memoro – Die Bank der Erinnerungen, which has kindly granted the International Bomber Command Centre Digital Archive a royalty-free permission to publish it as an audio track. To see it in its original video form and read the terms and conditions of use, please visit www.memoro.org and then click on the link to the German section. Please note that it was recorded by a third-party organisation which used technical specifications and operational protocols that may differ from those used by International Bomber Command Centre Digital Archive. It has been published here ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre.
Language
A language of the resource
deu
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1945
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Nikolai C C Schulz
License
A legal document giving official permission to do something with the resource.
Royalty-free permission to publish
bombing
home front
strafing
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/27/217/PFilliputtiA16010036.2.jpg
66d1cb89b747d38fa878b9bac227a115
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Filiputti, Angiolino
Angiolino Filiputti
Alfonsino Filiputti
A Filiputti
Description
An account of the resource
127 items. The collection consists of a selection of works created by Alfonsino ‘Angiolino’ Filiputti (1924-1999). A promising painter from childhood, Angiolino was initially fascinated by marine subjects but his parents’ financial hardships forced an end to his formal education after completing primary school. Thereafter, he took up painting as an absorbing pastime. Angiolino depicted some of the most dramatic and controversial aspects of the Second World War as seen from the perspective of San Giorgio di Nogaro, a small town in the Friuli region of Italy. Bombings, events reported by newspapers, broadcast by the radio or spread by eyewitnesses, became the subject of colourful paintings, in which news details were embellished by his own rich imaginings. Each work was accompanied by long pasted-on captions, so as to create fascinating works in which text and image were inseparable. After the war, however, interest in his work declined and Angiolino grew increasingly disenchanted as he lamented the lack of recognition accorded his art, of which he was proud.
The work of Angiolino Filiputti was rediscovered thanks to the efforts of Pierluigi Visintin (San Giorgio di Nogaro 1946 – Udine 2008), a figurehead of the Friulan cultural movement, author, journalist, screenwriter and translator of Greek and Latin classical works into the Friulan language. 183 temperas were eventually displayed in 2005 under the title "La guerra di Angiolino" (“Angiolino’s war”.) The exhibition toured many cities and towns, jointly curated by the late Pierluigi Visintin, the art critic Giancarlo Pauletto and Flavio Fabbroni, member of the Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione (Institute for the history of the resistance movement in the Friuli region).
The IBCC Digital Archive would like to express its gratitude to Anna and Stefano Filiputti, the sons of Angiolino Filipputi, for granting permission to reproduce his works. The BCC Digital Archive is also grateful to Alessandra Bertolissi, wife of Pierluigi Visintin, Alessandra Kerservan, head of the publishing house Kappa Vu and Pietro Del Frate, mayor of San Giorgio di Nogaro.
Originals are on display at
Biblioteca comunale di San Giorgio di Nogaro
Piazza Plebiscito, 2
33058 San Giorgio di Nogaro (UD)
ITALY
++39 0431 620281
info.biblioteca@comune.sangiorgiodinogaro.ud.it
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Filiputti, A-S
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Laconia incident. Part 9
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Description
An account of the resource
On a clear day, a four engined United States Army Air Force aircraft attacks the submarine U-156. Bullets are raining down on the figures on the deck of the submarine. Some of the figures are diving into the water, others are running for cover and some have been shot and are falling down.
Label reads “72”, signed by the author; caption reads “(9) …Mentre il sommergibile navigava a fior di acqua, avvistò un aereo Americano in missione, passarono alcuni minuti, poi un boato seguito da un’ altro scosse il sommergibile, lo fece sussultare, gemere, inclinare, le bombe di profondita avevano colpito i periscopi e danneggiato gli accumulatori. Ci fecero salire in coperta e trasbordare su l’U506 perche l’U156 dovova rapidamente allontanarsi per le avarie riportate. L’aereo che ci aveva bombardato, era un quadrimotore Americano, trasbordammo ancora sull’Annamite, poi a Dakar fu la salvezza. (dal racconto di BB.) FINE
Caption translates as: “(9)… As the submarine navigated just above water, the crew spotted an American aircraft on patrol. A few minutes went by and they heard a rumble, soon followed by another one which shook the submarine. It trembled, groaned, and listed. The depth charges hit the periscopes and damaged the batteries. They made us climb on the deck and were transshipped onto the U506, because the U156 had to swiftly sail away because of damage. The aircraft that bombed us was an American four-engine plane. We transshipped again on the ‘Annamite’. We reached safety in Dakar (From the account of BB.) The End.”
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Angiolino Filiputti
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Alessandro Pesaro
Francesca Campani
Helen Durham
Giulia Banti
Maureen Clarke
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
One tempera on paper, pasted on mount board
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
PFilliputtiA16010036
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Atlantic Ocean
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1942-09
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Artwork
Is Part Of
A related resource in which the described resource is physically or logically included.
Filiputti, Angiolino. Laconia incident
arts and crafts
strafing
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/20/89/Memoro 15131.2.mp3
06d0d0560505520a5591244376cbaf4f
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
MB: La guerra lì abbiamo patito, non proprio cinghia cinghia ma tanta, abbastanza fame, si mangiava polenta. Al mattino si andava a scuola, c’era una volta quelle stufe con la piastra sopra di legno, si faceva abbrustolire una fetta di polenta, per colazione, e [cries] due fichi.
[part missing in the original file]
MB: Si andava a scuola e c’erano i caccia, la stazione del paese che c’era, che passavano da Vicenza andavano nel Brennero i treni, proprio.
Other: Una linea importante.
MB: Importante molto, e quando c’era qualche treno fermo, allora c’erano i caccia che arrivavano e mitragliavano. E noi quando c’era i caccia ci dovevano, dove eravamo fermi perché quelli che vedevano mitragliavano eh.
Other: La scuola era molto vicina alla stazione?
MB: In paese proprio, due chilometri, ed era mica tanto distante.
Other: Due chilometri. Dov’è che vi mettevate al riparo, dove?
MB: Perché io mi ricordo come ho detto prima, un giorno si ritornava a casa da scuola e si costeggiava questo fosso di acqua, e per non, che mi vedessero siamo andati.
Other: dentro il fosso stesso, a bagno?
MB: Si, si.
Other: E che bambini, eravate bambini?
MB: Avevamo dieci anni.
Other: Dieci anni.
[part missing in the original file]
MB: Però dopo finito le mitragliatrici che facevano gli aerei noi si andava nei campi a raccogliere i bossoli di ottone da 20 centimetri e poi si vendevano.
Other: Si vendevano.
MB: Si vendevano.
Other: Si vendevano.
MB: E no era soldi che si teneva noi eh.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Matteo Basso
Description
An account of the resource
Matteo Basso (b. 1934) recalls his diet during the war: at school for breakfast, he used to eat a slice of polenta and two figs. He also talks about his experience in being caught out in the open when a formation of aircraft dropped bombs close to the school, and how he had to take shelter in a ditch. Matteo also remembers how, after the attack, he went to a field to pick up copper shell cases to sell.
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:02:26 audio recording
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Memoro#15131
Language
A language of the resource
ita
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Francesca Campani
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Memoro. La banca della memoria
Type
The nature or genre of the resource
Sound
License
A legal document giving official permission to do something with the resource.
Royalty-free permission to publish
bombing
childhood in wartime
home front
strafing
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/20/81/Memoro 5523.2.mp3
90f33533fd9ffacc5e279e81543ea85f
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
DC: Non è stato molto bello anche perché io a sei anni ero saggia e orfana di padre e madre.
[part missing in the original file]
DC: E allora son stata in collegio [unclear] io sono nata che mia madre aveva già sette figli però aveva quarantacinque anni lei e poi è morta a cinquanta, per, non so se era una appendicite adesso non so bene. Perché io poi non sono stata molto vicina ai miei fratelli per il fatto che eh son stata in collegio e poi uscita dal collegio avevo qui una mia sorella maggiore che aveva casa qui a Milano e mi ha portato qui a Milano. E qui ho finito un po’ le scuole insomma.
[part missing in the original file]
Other: Com’è il fascismo?
DC: Ah è terribile guardi, ho visto delle scene terribili. Portar via degli uomini che, gli davano l’olio, il bicchiere di olio di ricino. Proprio uscendo dal, eravamo sul marciapiede.
[part missing in the original file]
DC: Vedere questi uomini braccati, da questi altri uomini con questo bicchierino che gli davano, non so guardi, una cosa pietosa è sempre stata.
[part missing in the original file]
DC: Beh in collegio non tanto, è stato quando io sono venuta a Milano che avevo otto o nove anni.
[part missing in the original file]
DC: Noi abitavamo in via Napo Toriani e una notte, come sempre tutte le notti c’era i bombardamenti e poi finito il bombardamento dopo una mezz’ora arrivava il famoso Pippo che avrà sentito nominare forse, no? E però non sentivamo perché l’allarme era cessato. Fatto si è che noi eravamo, eravamo ragazzi, insomma quindici sedici anni, sa a quell’ora lì non si è, a quella età non si è nemmeno tanto molto.
[part missing in the original file]
DC: Esperti non nel senso esperti, nel fatto che eravamo incoscienti insomma. Ci siamo messi a correre perché abbiamo visto le fiamme credevamo fosse la Stazione Centrale e invece era la Bicocca, era la Pirelli. Insomma c’erano le mitraglia [sic], questo qui dell’aeroplano Pippo con la mitraglia, si vede insomma, eravamo tutti pieni di schegge, eravamo in tre o quattro, eravamo tutti pieni di, è stata una notte terribile, terribile è stata.
[part missing in the original file]
DC: Eh si correvamo verso la stazione incoscienti e ci è capitato così insomma. Chi si andava, perché poi i portoni erano chiusi, perché c’erano i capi scala che chiudevano perché andavano nelle cantine a rifugiarsi. Quella notte lì non avevamo nemmeno, non trovavamo nemmeno una porta da andare, da entrare per essere fuori dal marciapiede insomma. Una cosa tremenda. Quella è stata proprio, una scena che non si può dimenticare insomma.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Delia Cardini
Description
An account of the resource
Delia Cardini recalls her childhood as an orphan in a boarding school and how, at the age of 10, she moved to Milan. She remembers how the Fascists used castor oil to humiliate their opponents. Delia also describes how, after a night bombing, she was running to the train station, when suddenly 'Pippo' arrived and started shelling the area, she remembers it as a terrible night.
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:03:49 audio recording
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Memoro#5523
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Milan
Italy--Po River Valley
Italy
Language
A language of the resource
ita
Rights
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Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Francesca Campani
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Memoro. La banca della memoria
Type
The nature or genre of the resource
Sound
License
A legal document giving official permission to do something with the resource.
Royalty-free permission to publish
bombing
childhood in wartime
home front
Pippo
strafing
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/21/73/Memoro 4243.2.mp3
567dca1b364de2a5bacc4b0dce0fc037
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Memoro. Die Bank der Erinnerungen
Description
An account of the resource
18 items. The collection consists of interviews with German bombing survivors originally videotaped by Memoro, an international non-profit project and open archive of audio or video interviews of people born before 1950. The IBCC Digital Archive would like to express its gratitude to Nikolai Schulz (Memoro - Die Bank der Erinnerungen e.V) for granting permission to reproduce and transcribe the testimonies. To see them in their original video form please visit www.memoro.org/de-de/.
The collection was catalogued by IBCC staff
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Memoro. Die Bank der Erinnerungen
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
MD: Ein Eindruck noch der mir auch unvergesslich ist, ist das eines Tages, hat meine Mutter mich Brot holen geschickt nach [unclear] in das Dorf oben auf’m Berg [pauses] und ich war [clears her throat] noch auf der ebenen Strecke, rechts in einiger Entfernung war Wald und es kamen Tiefflieger, ganz viele und der Wald fing an zu brennen und ich kriechte eine panische Angst, ich habe mich in diesen Graben geschmissen obwohl der sumpfig war oder feucht damit man mich nicht sieht, weil es ganz ungeschützt alles war, offener Weg und ich gehört hatte dass die Tiefflieger auch auf einzelne Menschen schiessen, die sich da in der Gegend rumbewegen. Und ich lag dann da in dem Graben und hörte also dann immer zu den Tiefflieger und hab gebetet, dass das bald vorbei ist und ich bald aufstehen und nach Hause rennen kann, aber es hatt sehr lange gedauert. Und dann habe ich gesehen wie Soldaten flohen. Die kamen aus dem Wald. Und [clears throat] als ich dann endlich zurück konnte, also so’ne Pause mal kam mit den Tieffliegern, da sah ich wie diese auf der Hauptstrasse, auf der Dorfstrasse so durch rannten und liefen.
Unknown interviewer: Deutsche Soldaten.
MD: Deutsche Soldaten, die völlig abgerissen waren, schmutzig, kaputte Uniform, hungrig, aber auf der Flucht. Die Dorfbewohner haben, wollten schon denen irgendwie was zu essen geben, obwohl niemand viel hatte aber sie haben sich also auch gar nicht lange aufhalten koennen. Und tatsachlich, nicht lange danach, vielleicht ein Paar Stunden danach, kamen die Amerikaner durch’s Dorf gerollt auf Panzern. Da hab ich zum ersten Mal Schwarze gesehen, auch alle in Uniform, chic, gut rasiert, frisch gekämmt, als ob sie jetzt grade einen Ausflug machen würden. So sahen alle aus und alle waren auch alle ganz nett und freundlich, und schmissen so ‘n bisschen Schockolade in die Kindermenge. Die Dorfbewohner standen am Rand und guckten mit offenen Mündern. [pauses] [clears throat] Zunächst hatten wir Angst, aber als wir sahen dass die uns dann gar nix taten sondern einfach nur durchfahren wollten, wohin auch immer, warscheinlich hinter den Deutschen Soldaten her, da wurden wir dann etwas mutiger und einige sachten sogar: ‘Please give me chocolate’ und die kriechten dann auch was.”
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Maria Domanovszky
Description
An account of the resource
Maria Domanovszky (b. 1937) recounts how she threw herself into a swampy ditch when under fire and how she lay down praying and hoping to get back home safely. Describes German soldiers with torn and dirty uniforms escaping from a burning forest. Tells memories of the first encounter with black American soldiers: they were friendly, looked well-dressed and threw chocolate to a crowd of village children. When the adults standing nearby realised that the soldiers were no cause of alarm, they asked for chocolate as well.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Memoro. Die Bank der Erinnerungen
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2010-08-04
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:03:00 audio recording
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Memoro#4243
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content has been originally published on Memoro – Die Bank der Erinnerungen, which has kindly granted the International Bomber Command Centre Digital Archive a royalty-free permission to publish it as an audio track. To see it in its original video form and read the terms and conditions of use, please visit www.memoro.org and then click on the link to the German section. Please note that it was recorded by a third-party organisation which used technical specifications and operational protocols that may differ from those used by International Bomber Command Centre Digital Archive. It has been published here ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre.
Language
A language of the resource
deu
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Germany
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1945
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
License
A legal document giving official permission to do something with the resource.
Royalty-free permission to publish
African heritage
childhood in wartime
faith
home front
strafing
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/21/69/Memoro 4898.1.mp3
afdd3d84544e3c939509e606c40a0a42
Dublin Core
The Dublin Core metadata element set is common to all Omeka records, including items, files, and collections. For more information see, http://dublincore.org/documents/dces/.
Title
A name given to the resource
Memoro. Die Bank der Erinnerungen
Description
An account of the resource
18 items. The collection consists of interviews with German bombing survivors originally videotaped by Memoro, an international non-profit project and open archive of audio or video interviews of people born before 1950. The IBCC Digital Archive would like to express its gratitude to Nikolai Schulz (Memoro - Die Bank der Erinnerungen e.V) for granting permission to reproduce and transcribe the testimonies. To see them in their original video form please visit www.memoro.org/de-de/.
The collection was catalogued by IBCC staff
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Memoro. Die Bank der Erinnerungen
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
MM: „Das ist, am 13. Februar ist meine Mutter, das Haus ist völlig verbrannt, der ganze Block brannte, und meine Mutter, die war grade von der Arbeit gekommen, Spätschicht, und hatte sich nur hingelegt und hatt den ersten Alarm, „alle in den Luftschutzkellern, grosse Angriffe auf Dresden stehen bevor“, haben die durch’s Radio gesagt und da hat sie gedacht, ach ich blieb liegen. Plötzlich war ihr [unclear] als da fällt eine Puppe runter [unclear] bei mir und da wurde sie aufgeschreckt und da ging auch schon das Licht aus und da hat sie die Tasche und den Koffer genommen und ist in den Keller und hat vorher noch mein Konfirmationskleid vom Bügel gerissen wie sie dachte es war aber eine Kunststoffschürze, die hatt sie noch in den Koffer gesteckt und dann in den Luftschutzkeller gegangen und dann, der erste Angriff der hat das Haus nicht beschädicht und da ist meine Mutter noch raufgerannt, hat überall noch die Gardinen abgerissen weil natürlich sämtliche Fenster kaputt waren und die wehten raus zum Fenster, die währen ja auch sofort, wie sie dachten, Brandherde gewesen aber am zweiten, bezeihungsweise am Mitternachtsangriff, um neun war der erste, viertel neun, ist das Haus auch ausgebrannt, da ist vom Hof her auch Phosphor gekommen. Da ist sie raus und an den Elbwiesen entlang zu ihren Elternhaus und ist auch heil angekommen. Allerdings die Stiefel die sie hatte, die hatten Brandlöcher und die eine Tasche, die hat sie weggeworfen. Ja, [background noise] ich war zu der Zeit bei meinen Grosseltern und wie jetzt der Angriff began, man sah den Himmel blutrot, da ist meine Tante, ihre jüngere Schwester, mit mir in die Stadt gegangen, wir sind also rein in die Stadt, und kamen kaum vorwärts, da kamen schon die ersten Flüchtlinge und Ausgebombten, und da war so ein Gedränge das wir einen Umweg gemacht haben und sind dann merkwürdigerweise an einer Schule vorbeigekommen und da sagte jemand: “ihr Haus brennt, aber die Mutti lebt”, die wohnte da in der Nähe. Und dann sind wir da ungekehrt und sind zu den Grosseltern in das Haus gekommen. Und meine Mutter war dann schon da und meine Cousine, sieben Jahre jünger, ich war ja vierzehn, da kam mir entgegen und rief:” [unclear] ist alles verbrannt”, Ja, ist alles verbrannt, “der Puppenwagen auch?” Das war das schlimmste [unclear]“
Memoro DE: „[unclear] Erzählungen was, wie soll ich sagen, was fehlt ist einfach warscheinlich der Geruch auch dieser Brände, die Schreie, warscheinlich viele Tausende Menschen verletzt, verbranntes Fleisch…“
MM: „Furchtbar. Das habe ich alles nicht so mitgekriegt, weil wir am Elbufer gegangen sind und der ganze Feuersturm ist in die Stadt reingezogen, weil ja der Sauerstoff verbraucht war durch die Hitze und da zog das alles in die Stadt rein. Ausserhalb auf den Elbwiesen war es nur rauchig und natürlich hab ich dann um Mittag die Tiefflieger gesehen. Da hab ich mich mit meiner Tante auf die Eisschollen gelegt, war ja Februar, und haben Körper eingezogen und gesehen wie die Tiefflieger über die Elbe geflogen sind und ich, obwohl es alles geleugnet wird, meine doch, das die geschossen haben, es war ein Lärm, und mit Maschinengewehren, warum ja auch nicht, wurden auch Bomben geworfen. Und Jedenfalls sah man auf den anderen Elbufer sah man die Leute die sich hinwarfen. Ob sie nun getroffen waren [?] oder bloss sich auch hinwarfen, jedenfalls die Tiefflieger die hat man ja gesehen.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Margarete Meyer
Description
An account of the resource
Margarete Meyer (b. 1936) describes the 13 February 1945 Dresden bombing and recounts how her mother reacted to the alarm. She rushed to the shelter and took some belongings, including what she thought was her confirmation dress. Explains how her mother managed to leave the house after the second attack and escaped to the open fields along the river Elbe. Describes how she managed to reunite with her at her grandparent’s house after fleeing along streets, overcrowded with refugees and injured people. Describes how she didn’t experience the firestorm because she was on the Elbe riverbank, where she saw aircraft bombing civilians and people taking cover by throwing themselves onto the ground.
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2015-02-15
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:04:15 audio recording
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Memoro#4898
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Germany--Dresden
Germany
Europe--Elbe River
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Memoro. Die Bank der Erinnerungen
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1945-02-13
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content has been originally published on Memoro – Die Bank der Erinnerungen, which has kindly granted the International Bomber Command Centre Digital Archive a royalty-free permission to publish it as an audio track. To see it in its original video form and read the terms and conditions of use, please visit www.memoro.org and then click on the link to the German section. Please note that it was recorded by a third-party organisation which used technical specifications and operational protocols that may differ from those used by International Bomber Command Centre Digital Archive. It has been published here ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre.
Language
A language of the resource
deu
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Type
The nature or genre of the resource
Sound
License
A legal document giving official permission to do something with the resource.
Royalty-free permission to publish
bombing
bombing of Dresden (13 - 15 February 1945)
childhood in wartime
civil defence
displaced person
home front
shelter
strafing
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/21/49/Memoro 10169.1.mp3
fab50146aa4a614d17bcaebd9df4dd67
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Memoro. Die Bank der Erinnerungen
Description
An account of the resource
18 items. The collection consists of interviews with German bombing survivors originally videotaped by Memoro, an international non-profit project and open archive of audio or video interviews of people born before 1950. The IBCC Digital Archive would like to express its gratitude to Nikolai Schulz (Memoro - Die Bank der Erinnerungen e.V) for granting permission to reproduce and transcribe the testimonies. To see them in their original video form please visit www.memoro.org/de-de/.
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Publisher
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IBCC Digital Archive
Memoro. Die Bank der Erinnerungen
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
Agnes Stocker: 5. März 1945, hiess es, die Russen werden, kommen näher und wollten die Insel einnehmen. Sie kamen aber momentan nicht über die Dievenow und wir wurden gezwungen, am 5. März alle die Stadt zu verlassen. Wir waren, wurden also evakuiert, mussten uns eine andere Bleibe suchen. Und dann sind wir am 5. März abends auf die Chaussee; und es waren ungefähr bis Swinemünde, bis zum nächsten großen Hindernis, das war die Peene, die wir überqueren müssten, nein die Swine, Entschuldigung, die Swine, die wir überqueren mussten, und die wurde nur mit Schiffen, mit Booten konnten wir übersetzen, dass dauerte natürlich. Und da ist die Stadt, praktisch also wir haben glaub ich nur einen Kilometer in einer Stunde fahren können, war vollkommen verstopft. Und da hat meine Mutter gesagt, nein, sie hat einen Bruder in Kalkofen, das war auf der Strecke, da sind wir abgebogen, dass heisst nicht mit dem Treck, den wollten wir ja mitnehmen, damit ist mein Burder, eine Cousine und meine Schwester, sind bei dem Treck geblieben, wir hatten einen Treck uns gemacht, wo wir auch noch meinen Grossvater mitgenommen haben, der lebte bei seinem Sohn in Hagen. Und ja der ist mit uns dann nach Kalkofen und da hat mein Onkel dafür gesorgt, dass wir mit Booten über das Haff rausfahren konnten nach Ueckermünde. Und in Ueckermünde waren dann wir erst mal ein paar Tage in Kalkofen und dann sind wir rausgekommen und dann haben wir in Ueckermünde auf ein Schiff gewartet damit es, damit wir weiterhin übersetzen konnten, wir wollten nach Neukalen in Mecklenburg. Und das war ein Ort, wo meine Tante aufgewachsen ist und die hatte dort Verwandte und das war unser Ziel. Und am zwölften März war der grosse Angriff auf Swinemünde. Ein grosser Bombenangriff auf Swinemünde Mittags um zwölf. Und da ist, nach den Bombenangriffen, und meine Schwester, also unsere Schwester, und unser Bruder und diese Cousine waren zu der Zeit gerade in Swinemünde. Die sind übergesetzt, die haben so lange gebraucht und die waren gerade in Swinemünde. Und meine Mutter, meine Tante und ich, wir haben in Ueckermünde, das ist Luftlinien-mäßig vielleicht zehn Kilometer weg, und da haben wir das alles mit ansehen müssen, wie viele Bomben gefallen sind undosweiter, und wie die Tiefflieger angekommen sind. Jedenfalls haben wir gedacht das gibt es nicht, das wir, das die drei wenn sie noch in Swinemünde wären, mit den Treck rauskommen. Meine Mutter war restlos fertig, Tante Emi war restlos fertig und ich auch, das haben wir unmittelbar mitterlebt. Die Toten die es dann gab, da ist extra ein Friedhof, das ist der Golm gewesen, also ist auch heute noch der Golm, so eine kleine Bergkupel und da sind, ist ein Friedhof eingerichtet worden, und der war, der ist mit 25000 Toten. Man sprach immer von Dresden, glaub ich, der grösste Luftangriff, aber da waren es noch mehr, so viele Menschen gestorben, die man nicht registriert hat, durch die Flüchtligen, die per Booten über die Ostsee von oben, von der ganzen Küste angekommen sind und, ja, das waren 25000 Tote. Und wir haben dann noch gewartet, ätliche Tage, und auf einmal standen alle drei gesund vor uns, und der Wagen war auch unbeschädigt und die zwei Pferde waren auch unbeschädigt. Sie haben so ein grosses Glück gehabt und sind gut angekommen in Neukalen. Aber da haben wir nur eine Weile gelebt. Wir sind da untergekommen bei Verwandten undsoweiter. Und dann hiess es, die Russen sind über die Dievenow und in Anmarsch. Mussten wir also wieder weg, wir wollten also gen Westen.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Agnes Stocker
Description
An account of the resource
Agnes Stocker (b. 1932) recounts her evacuation from her hometown and the journey to Ueckermünde. Agnes tells how she get separated from her sister, her brother and her cousin (who followed the road to Swinemünde), while she, her mother and her aunt first took refuge at Kalkofen and then took a boat to Ueckermünde. Describes the Swinemünde bombing as seen from Ueckermünde - recalls aircraft strafing, emphasises 25000 casualties and compares this operation to the bombing of Dresden. Agnes explains how the high death toll was due to the number of refugees who had fled from the East coast of the Baltic Sea by boat. She recalls how her sister, her brother and her cousin were caught in the city under attack, her anguish at not knowing their fate, and her relief when she eventually reunites with them.
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2013-11-06
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:06:06 audio recording
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Memoro#10169
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Poland
Germany
Poland--Świnoujście
Germany--Dresden
Germany--Ueckermünde
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1945-03-05
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Memoro. Die Bank der Erinnerungen
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Peter Schulze
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content has been originally published on Memoro – Die Bank der Erinnerungen, which has kindly granted the International Bomber Command Centre Digital Archive a royalty-free permission to publish it as an audio track. To see it in its original video form and read the terms and conditions of use, please visit www.memoro.org and then click on the link to the German section. Please note that it was recorded by a third-party organisation which used technical specifications and operational protocols that may differ from those used by International Bomber Command Centre Digital Archive. It has been published here ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre.
Language
A language of the resource
deu
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Nikolai C C Schulz
License
A legal document giving official permission to do something with the resource.
Royalty-free permission to publish
bombing
childhood in wartime
displaced person
evacuation
home front
strafing
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/3/6/ANocchieriF170202.2.mp3
b83e3fdf3e05eaa55090f4da0746ef37
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Nocchieri, Franco
Franco Nocchieri
F Nocchieri
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Description
An account of the resource
One oral history interview with Franco Nocchieri, who recollects his wartime experiences in Pavia and Voghera.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-02-02
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Nocchieri, F
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
FA: Sono Andi Filippo e sto per intervistare Franco Nocchieri. Siamo a Gropello Cairoli in provincia di Pavia, è il 2 febbraio 2017. Ringraziamo il signor Nocchieri per aver permesso questa intervista. E’ inoltre presente all’intervista Carlo Intropido, amico dell’intervistato. La sua intervista registrata diventerà parte dell’archivio digitale dell’International Bomber Command Centre, gestito dall’università di Lincoln e finanziato dall’Heritage Lottery Fund. L’università s’impegna a preservarla e tutelarla secondo i termini stabiliti nel partnership agreement con l’International Bomber Command Centre. Signor Nocchieri, vuole raccontarci la sua esperienza durante il periodo, diciamo della Seconda Guerra Mondiale?
GN: Sì, sì, Allora, esperienza della guerra, vediamo un po’. Posso cominciare da Casteggio. A Casteggio c’è una zona che si chiama il Pistornile e là c’è, c’era, penso che ci sia ancora, un istituto o un orfanotrofio, giusto? Quando c’era la guerra io sono stato lì, da ragazzino, proprio, no. Il problema, il problema qui è, era la fame, lì si soffriva proprio la fame era fame, perché sia a mezzogiorno come la sera, patate in brodo. Una scodellina di alluminio, perché adesso non è di alluminio, no, tant’è che l’alluminio veniva su con roba bollente, no. Mezzogiorno, sera, patate, e noi altri ragazzini, era talmente la fame che scavalcavamo il muro eccetera eccetera e andavamo a rubare il fondo del, il crostone, così in dialetto, della verza, non il crostone dentro la verza ma quello proprio, per far la fame, per eh. E sì, poi qui, siccome poi, sì, era ormai iniziata la guerra no, c’erano ancora i materassi con dentro, come si chiama quel coso lì, del, del, le pannocchie, come si chiamava quelle cose lì? La, la.
CI: Il granturco.
FN: Del granoturco, la pannocchia. Allora i materassi erano fatti con quello, ecco.
CI: Ah.
FN: Lo sai, io non lo so, penso, cioè eh. Comunque. E poi in questo istituto c’era il problema della notte per le cimici. C’erano tante di quelle cimici che ogni tanto cercavano di pulire un dormitorio di cento ragazzini. Che, ogni tanto, cercavano di pulire e col martello picchiavano sui letti e volavano giù tutta una striscia di cimici [laughs] e veniva poi pulito con lo zolfo. Mettevano lo zolfo in mezzo a questo camerone, lo bruciavano e, e poi ritornavano, ecco questa era la vita di allora. Questo in grosso modo, no. Casteggio. Perché, e no, tu non puoi parlare perché se parlate così, mi fa le domande lui forse io vado più avanti no, perché sono stato lì, perché ero stato preso, adottato da una persona, che era un po’ matto, allora non si guardava tanto, adesso per adottare un bambino, per dire, c’è una burocrazia che ti, taccate al tram, beh sai una volta andavi al nido qui a Pavia e o bene o male prendevi un bambino e te lo portavi a casa. E io sono finito così uno che aveva poi, eh, che aveva l’osteria che poi racconto man mano vado avanti no, ecco. Ed ero andato a finire quel, quello lì di quell’osteria a Reggio, come lo chiamavano. Siccome era un donnaiolo, aveva l’osteria no e per liberarsi di me mi metteva negli istituti. Dopo mi veniva a prendere a secondo i suoi giri così. Beh, questo era la’, poi c’è, andiamo a Voghera, Voghera, qui incomincia sempre in un orfanotrofio cui ero e qui la scuola, una volta facevano, venivano promossi quelli che agli insegnanti davano il salame e invece io a Voghera mi avevano promosso in base ai bombardamenti, no. Cioè, ero in un istituto, proprio in fondo di Voghera, era una scuola professionale che era davanti alla stazione, giusto? Voghera. Non mi ricordo più come si chiama quella lì, niente. Eh beh, andavo in quella scuola. Però di scuola ne ho fatta pochissima perché come partivamo dall’istituto, eravamo quattro cinque ragazzi, beh, quando andavamo in istituto, quando eravamo a metà strada suonava l’allarme. E noi eravamo contenti, perché invece di, invece di andare a scuola andavamo in giro per la strada a giocare, ma però, quando suonava l’allarme, a scuola non si entrava. Quindi quasi tutti i giorni era così, di conseguenza, un giorno di scuola, un giorno sotto i bombardamenti. Perchè lì bombardavano per ore, non hanno mai preso la scuola, ma gli aerei hanno incominciato a rompere le scatole. E invitavano di andare nei rifugi ma io come ragazzino, noi ragazzini ci guardavamo bene dall’andare nei rifugi. Quando arrivavano gli aerei così, per noi era tutto un, eravamo quasi contenti perché vedevamo questi aerei [makes a noise] e che, questo Voghera. Naturalmente il problema della fame, a Voghera io non l’avevo perché nell’istituto bene o male si mangiava. Poi avevo una tessera del pane falsa, ma o bene o male con la tessera del pane, ma insomma, con il mangiare o bene o male ce la cavavamo, tempo di guerra. E poi, e poi dove incomincio, boh, dove, dove, ecco, allora. Io abitavo nel paese Campospinoso Albaredo, sai dov’è? Campospinoso Albaredo è stato proprio la mia vita fino a quando è finita la guerra, no. Dunque, di Campospinoso Albaredo posso dire per esempio quando arrivavano i tedeschi, che arrivavano con cannoni, mitragliatrici, su carri trainati da cavalli, ma tanto belli e grossi, e passavano e noi ragazzi tutti contenti perché vedevamo tutte ste cose qua. Poi, ah, nel paese, lì a Campospinoso Albaredo la fame non c’era proprio come paese perché le uova o bene o male c’erano. Poi c’era un macellaio che uccideva tutte le settimane la sua mucca poi c’era chi uccideva il maiale, l’unico problema sì a volte mancava la carne, lo zucchero però si salvava coi gatti, lì i gatti ne giravano ben pochi perché mi ricordo io che mangiavamo i gatti come si mangiava un coniglio in tempo di guerra. In tempo di guerra era un po’ spinoso beh! E i tedeschi non hanno mai mai mai mai disturbato per la verità eh, passavano poi avevano fatto una specie di accampamento ma lasciavano vivere. [pauses] Dunque più che i tedeschi davano fastidio i repubblicani, i fascisti, quello lì sì, i repubblicani, durante, io parlo perché ero dentro, in un’osteria no, qui facevano da mangiare eccetera eccetera, lì quando era mezzogiorno mi pare sì, c’era il giornale radio che parlava il Duce e bisognava alzarsi in piedi. Se uno non si alzava in piedi intanto che c’era il telegiornale erano guai seri. Potevi essere prelevato dai fascisti, prelevato e andavi a finire a Villa Triste Broni e lì, beh, lo sai, potevi sparire completamente, no? quello lì. Dunque, ah, sì. I tedeschi, i tedeschi, eh dunque, i tedeschi, c’era l’osteria, l’unica volta che hanno dato fastidio è che sono venuti lì a cena una sera, erano una qundicina o più, hann cenato, tutti armati eh! Han cenato lì eccetera, poi hanno incominciato a bere, si sono scaldati un po’, eh me lo ricordo proprio, ero un ragazzino insomma no, ecco, e a un bel momento si sono levati proprio tutti tutti proprio nudi come dio li ha creati, tutti eh, e hanno cominciato a cantare e bere, cantare e bere, così sono andati avanti per un po’, poi sono scesi in una, c’era una cantina grossa sotto nella osteria, sono scesi in quella cantina lì e hanno aperto tutti i rubinetti delle botti, io ero terrorizzato perché poi dopo il Risù cher era quello che mi aveva preso in adozione era andato a dormire e m’ha lasciato da solo. Io ero terrorizzato, non tanto per i tedeschi ma ero terrorizzato da questo Risù perché poi alla mattina le botte erano tutte mie, no? Comunque hanno fatto un disastro, se ne sono presi e sono andati. L’unica cosa, no, no, no, loro non hanno pagato, no no, hanno mangiato e hanno bevuto e tutto, continuavano a ballare per l’osteria, lì così nudi nudi, poi sono andati alcuni nudi hanno preso il loro fucile e se ne sono andati e buonanotte suonatori. Che avevano un accampamento lì. Però nel paese poi era arrivato il terrore, c’è stato un momento che era arrivato il terrore dei mongoli. Perché si diceva che erano arrivati i mongoli che prendevano le donne, via eccetera. E il paese c’è stato una volta che era stato terrorizzato per questo, che c’erano, che erano poi, erano arrivati alla frazione lì attorno, non mi ricordo più le frazioni, per andare a San Cipriano giù di lì, c’erano delle cascine e questi mongoli, che erano arrivati insieme ai tedeschi, li chiamavano mongoli, poi io non so se erano mongoli, quel che erano. Andiamo avanti. Il pericolo soprattutto in questa osteria era Radio Londra perché c’era il Risù così che non era un fascista, no, e lui riceveva, tramite Radio Londra, e poi trasmetteva ai partigiani, tutto di nascosto. Io ero lì e di notte lui accendeva Radio Londra e l’ascoltava, io ascoltavo, ma eh, però era, di quello io avevo paura, seppure come bambino in sostanza, capivo e avevo paura perché se ti prendevano mentre ascoltavi Radio Londra ti fucilavano sul posto lì, non c’era via di scampo. Dunque, poi andiamo avanti. I tedeschi quando poi c’è stata quasi il fine della guerra, i tedeschi si ritiravano no e come erano andati giù tornavano indietro coi carri coi cannoni e allora c’era un ordine quasi tacito di non disturbare e di lasciarli andare, a lasciare passare perché poi hanno cominciato i partigiani e dei partigiani avevamo paura che disturbassero queste colonne, no, allora anche quelli i tedeschi avrebbero reagito e allora come tacito passavano zitto lì eccetera. Mentre invece poi qui al Ponte della Becca tre o quattro cinque partigiani, quello sono testimone, hanno arrestato un cento o più di tedeschi perché si sono messi d’accordo mentre i tedeschi si erano raggruppati lì, prima del Ponte della Becca, a Campospinoso andando giù verso Pavia, Tornello, è il paese, Tornello, subito dopo Tornello si sono piazzati i tedeschi e quattro cinque partigiani hanno fatto del fracasso, cioè quattro cinque, uno qui, uno là, uno là, uno sparava, l’altro dava ordini, l’altro così, e invece erano solo quattro, cinque. I tedeschi si sono spaventati e si sono arresi quattro, cinque uomini, in sostanza, no. Andiamo avanti. Oh, poi arriva, ah beh sì, quando ero ragazzino c’era il Balilla [laughs] c’era il Balilla che il Risù, sempre quello che mi adottava, non ne voleva sapere, di fatti io sono stato uno dei fortunati che non ha messo su perché era obbligatorio mettere su la divisa con tutte ste’ cose, i ragazzini ci tenevano, non perché erano fascisti ma da ragazzini avere una divisa così, poi, invece io sono stato esonerato però io ero, c’era la sede dei fascisti era proprio a fianco della osteria dove, che l’osteria era responsabile di quel locale, un grande salone, che poi, finito la guerra è servito come balera insomma, no, e lì c’era una biblioteca con diversi fucili e la biblioteca io prendevo i libri, mi piaceva leggere, no, libri del Salgari allora eh, e poi i fucili, mi divertivo con i fucili, li prendevo, andavo fuori nell’orto, sparare così, racconto cose così, siccome hai detto di raccontare e io racconto quel che mi viene in mente, no, poi comincia la Radio Londra l’ho detto no? . Ecco, per cominciare la, i bombardamenti, ecco, qui sì, dunque. Bombardamenti io mi ricordo che incominciavano a arrivare i caccia quattro cinque caccia, facevano un bordello di quei bordelli, ma come quando passano quelli aerei supersonici, lì, i Tornado, ecco, era quel rumore lì, ne arrivavano quattro cinque insieme, tutti [unclear] e arrivavano all’improvviso no e giravano sempre intorno a il Ponte della Becca, prendevano verso Pavia ah, eh non mi ricordo più, beh, c’era un posto che era una polveriera, una polveriera grossa, adesso sono tutte case, non so se sai dov’è, allora, passi il Ponte della Becca, vai avanti, poi c’è la strada, beh insomma è un punto che c’è una grande curva che poi sono ritrovati arrivi a Pavia il [unclear], una volta era Darsu, una grande curva, la strada che va giù, una grande curva, orca, non mi ricordo più i nomi, prendi la cartina e vedi. Beh, adesso son tutti villette, case, lì c’era la polveriera, e questi caccia giravano intorno al Ponte della Becca e a quella polveriera lì perché lì i tedeschi avevano messo giù la contraerea e la contraerea, quando arrivavano i caccia, sparava ma poi un bel momento i caccia lo facevano tacere [laughs] mi sono spiegato, se no, sì, piombavano e bombardavano anche, no. Per esempio, il Ponte della Becca l’hanno bombardato un centinaio di volte, l’hanno mai buttato giù, lo foravano, l’hanno buttato giù i caccia l’ultimo giorno di guerra. E allora sono andati giù, hann buttato giù i piloni di là, un pilone e una volta sul Ponte della Becca io giravo con la bicicletta e avevo un’anguria di dietro. Venivo verso Broni e l’hann bombardato io c’ero sopra, l’hann bucato però non mi sono fatto niente. Ho portato a casa un anguria intera [laughs]. Ponte della Becca. Arrivano i caccia. Quando i caccia erano riusciti a fare tacere l’artiglieria, allora arrivavano i bombardieri. Arrivavano parecchi, no, quattro cinque qui, quattro cinque là, avevano un rumore poi anche strano, una cosa e lì lanciavano giù le bombe sul Ponte della Becca, sul, su quella polveriera lì e sul Ponte del Ticino e noi ragazzi dei genitori non ce ne siamo neanche accorti dalle case perché i caccia mitragliavano eh, non scherzavano mica, facevano di quelle mitragliate e noi invece fuori a guardare perché era, ci piaceva vedere, no. Erano tremendi quei, quelli lì, quei caccia lì erano americani, non so qual’è, però erano anche cattivi perché per esempio correvano dietro a chi andava in bicicletta. Se vedevano una bicicletta sulla strada, quella la facevano fuori. C’era uno lì che era un sordomuto che andava in giro con un carretto con i buoi, carro con i buoi no, ma lui non sentiva, andava tranquillo [laughs]. L’hanno fatto fuori, proprio. Erano tremendi eh! Sparavano, andavano di quà, li sentivi e vedevi proprio le mitragliate che se vedevano sulla strada era verso sempre le quattro, tre e mezza, le quattro, se vedevano qualcuno sulla strada, quello aveva finito di vivere. I caccia, i bombardieri no, i bombardieri buttavano giù le loro bombe poi le vedevi poi eh, poi se ne andavano e via. Tutti i giorni, più o meno tutti i giorni, ma per un bel po’ eh. La polveriera l’hann fatta saltare parecchie volte che poi da Campospinoso Albaredo si vedevano proprio le fiamme, che venivano su, le botte via eccetera no. Eh, sempre in fatto di bombardamenti, il Pippo, famoso Pippo, no, che, quello proprio l’ho vissuto in pieno io, il famoso Pippo, no, che arrivava lì, lì le luci, se vedevano un lumino era, era, [laughs], e il Pippo arrivava alla sera sempre a un certo orario e buttava giù, questo lo posso testimoniare bene, buttava giù degli oggetti come delle navi, ne avevo una io, navi in miniatura, ma belle eh, io ne avevo una, disinnescata me l’avevano, erano proprio anche fatte bene, oppure aeroplanini oppure penne stilografiche e naturalmente Pippo le buttava giù, no, oltre che prendere le luci, se vedeva una luce, un lucino, appena appena, si accendeva un fiammifero, quello lì lo vedeva, era tremendo e buttava giù sti oggetti e noi naturalmente da ragazzini incoscienti andavamo a raccoglierli. Poi siamo stati avvisati che. Comunque c’è stato, questo lo racconto perché mi è sempre poi rimasto anche in mente. C’è stato un ragazzino della mia età no, eravamo sempre in gruppo, no, e ha raccolto un bordello di queste cose qui. Non sapevamo ancora che avevano questo effetto e ha raccolto e si è messo nella testa di andare a pescare. Buttandole dentro secondo noi, no, buttandole scoppiavano. E difatti siamo andati in riva al Po e io non so qui e lì sempre ci siamo sparsi per venire ed il pesce così così, lui è rimasto da solo e buttava dentro queste cose qui. E poi un bel momento una è scoppiata, l’ha fatto scoppiare queste, l’han raccolto su col cucchiaio quel ragazzino lì. E’ scoppiato anche lui, tutto un. Bene. Disgrazia vuole che fanno il funerale a questo ragazzo, tutto una fila, il paese Campospinoso aveva, c’era una strada dritta che andava a Baselica, un paesino lì, una frazione, un paesino, allora era una frazione, dove c’era il cimitero. Su quella strada lì vuoi mica dire che arriva, che arrivi i caccia proprio mentre c’è il funerale un fuggi fuggi generale nei fossi hanno mitragliato la cassa perché poi non c’erano i carri, la macchina, quando facevano un funerale portavano tutto a spalla no, e quello che avevano, portavano in spalla sto ragazzino che poi c’era dentro della carne tutta maciullata l’hann messo giù, preso in mezzo alla strada, son scappati nei fossi, hanno mitragliato anche la cassa, l’hann forata in un modo, una mitragliata di quelle lì, no, quando sono andati via poi hanno continuato il funerale con tutta sta cassa rotta. Mah, niente. Ecco questa, la storia, questa era del Pippo. Dunque, ecco, quindi, maciullato durante il funerale. Ponte Becca, dunque, poi io non so cosa devo raccontare ancora, fame no, della Becca. Ah sì, io, per mangiare, io come ragazzino sempre su ordine di quel pazzo, io lo chiamo pazzo, mi mandava a prendere il formaggio ad Albuzzano. Albuzzano c’era uno che aveva, allevava maiali, aveva una specie, faceva del formaggio, il burro, e io, ecco da Campospinoso andavo in bicicletta ad Albuzzano. Però io ero sempre terrorizzato perché alla fine del Ponte della Becca c’erano sempre lì i tedeschi che fermavano tutti, chi era in bicicletta magari gliela portavano via e io passavo lì col zaino e [pauses] non mi hanno mai fe rmato né niente e che quando tornavo col zaino dietro, con il formaggio, specie di formaggio, il formaggio, il burro eccetera, quelle cose lì, avevo il terrore che mi fermassero, non tanto il terrore dei tedeschi quanto per il Risù, quello lì era il motivo che poi prendevo un bordello di botte perché avevo avevo preso tante, se la prendeva con me mica coi tedeschi quello lì, ecco. Non mi hanno mai fermato, sono sempre passato avanti e indietro, quasi tutte le settimane con la mia scorta di formaggio, me la sono cavata così. Andiamo avanti. Ecco, poi allora qui siamo già [pauses] per tenere, c’era andavo a Stradella con la bicicletta a prendere il ghiaccio perché allora per tenere fresca la roba c’erano dei piccoli frigoriferi, scatoloni, mettevi dentro il ghiaccio e sempre con il pericolo dei caccia eh, perché, però me la sono sempre cavata fuori. Poi, vediamo un pò, andiamo avanti, eh!, E poi comincia la, i partigiani. Dunque, nei partigiani, è successo che, era tutto su lì, Cigognola, sulle zone, , sulle colline di Broni, no, Cigognola, tutti quei posti lì, partigiani del paese, ero andato su a fare il partigiano, no, però l’inverno [laughs] faceva freddo e sulle colline non vivevo e allora sono ritornato al paese, c’era un segretario che si chiamava podestà, podestà, era una brava persona e invece di farli, arrestare è andato d’accordo con i tedeschi in modo che, hanno, c’era, hanno organizzato la Todt, si chiamava la Todt, per fare le trincee sull’argine del Po, che era divertimento per noi ragazzi perché ci andavamo dentro poi a giocare, no, e hann fatto la Todt tutti sti giovani sono andati lì se la sono cavata fuori, però poi sono saltati fuori i fascisti, quelli sono diventati pericolosi più, ma di un bel po’ più dei tedeschi che poi era venuto un po’ anche l’odio, sai com’è, no. C’è stato un giorno che io ero a Broni e tornavo verso il paese. Quando sono arrivato davanti al cimitero di Broni, quattro cinque partigiani, no, fascisti, fascisti, quattro cinque fascisti mi, m’hann fermato, ero ragazzino, mi hanno fermato e mi hanno detto: ’Vieni, vieni qui perché tu sarai testimonio di quello che facciamo’. E lì c’era la ferrovia, sotto lì c’era la ferrovia, c’erano, cosa sarà stato, una quindicina di giovanotti, vero, e quattro e quattr’otto li hanno uccisi tutti e io ho visto, proprio visto, no, che coi mitra, lo Sten, avevano lo Sten loro, una specie di mitra che era lo Sten, tutto vuoto così, li hann fucilati e ‘adesso tu vai in paese e avvisi che noi abbiamo fatto questo’ e io sono andato in paese e ho detto: ’guarda, i hanno fatto questo e questo’. E c’erano dentro dei giovanotti del paese di Campospinoso Albaredo quello, che quello mi è rimasto impresso anche quello. Dunque, poi, e poi basta [pauses] e adesso io più o meno io ho raccontato quello che mi è venuto in mente poi non lo so, adesso sta a voi farmi le domande.
FA: Come, vuole dirci come si chiamava quello che lei chiama Risù, di nome?
FN: Ah, beh è morto, sì, Bruschi Alessandro. Quello lì, sì, era tremendo quello lì, è stato proprio il mio carnefice sotto un certo aspetto, no, poi dopo io un bel momento quando sono arrivato a quindici anni non ce l’ho più fatta.
CI: Fiorentini non l’hai mai visto?
FN: Fiorentini?
CI: Fiorentini, la belva, quello che comandava?
FN: Ah, sì, sì, ecco, questo potevo, questo era di Varzi, quello lì, o no? Bravo, quello l’ho visto. Cioè l’hanno fatto passare per il paese di Broni anche dentro una gabbia con un carro tirato dai buoi fino a Pavia e lui era dentro e naturalmente quando passava per il paese chi con l’ombrello, chi sputava, chi, quello l’ho visto sì. Fiorentini deve essere stato. Sì, sì, sì, sì. Poi dopo tutto questo, questo Risù, quando sono arrivato a quindici anni, poi non ce l’ho più fatta perché lui, lui picchiava sempre, no, e allora mi sono ribellato e sono scappato, via. Lui ha chiamato i carabinieri, carabinieri sono venuti da me, ma io detto: ’quello non è mio padre, se mi portate indietro poi io scappo ancora’. E i carabinieri allora, si sono fatti vedere una volta, non mi hanno mica detto più niente. Poi dopo io ho fatto tutta un’altra vita che poi sono entrato nell’Artigianelli, ma la guerra era finita oramai. Io gli Artigianelli li ho fatti, sì proprio alla fine della guerra. Perchè dopo io sono andato, ho trovato tutti bei genitori lì, poi è stata lunga la faccenda, no, tutto lì.
FA: E quando bombardavano il Ponte della Becca, la polveriera, era di giorno quindi?
FN: Sempre di giorno, i caccia e i bombardieri, sempre di giorno, sempre nel pomeriggio, più o meno dalle tre e mezza alle quattro, praticamente tutti i giorni quelli arrivavano, prima i caccia che facevano un bordello che durava anche una bella mezz’ora e più, che andavano e poi tornavano, andavano [makes a droning noise] facevano poi non li sentivi più, poi tornavano e facevano diversi giri. Poi veniva un silenzio mortale perché poi dopo bisognava raccogliere i cocci, per dire, no, per vedere i disastri che facevano, no, e poi toccavano, e allora poi arrivavano i bombardieri che li sentivi proprio da lontano, facevano anche rumore [makes a droning noise] impressionava anche se, tra l’altro, no, e bombardavano quasi sempre sempre sempre. Come arrivavano i bombardieri dopo bombardavano. La contraerea veniva messa a tacere, vero, e allora i bombardieri arrivavano tranquilli, anche il Pippo, la contraerea non riusciva mai a fare niente perché puntavano quei famosi fari, no, un po’ ma non lo buscavano mai perché poi tra l’altro Pippo veniva, girava sopra a bassa quota. Si credeva sempre che era in alto, no, ma invece era sempre a bassissima quota Pippo anzi sì, se era un giorno o una notte con la luna così rischiavi di vederlo, se era buio buio non lo vedevi però se era lo vedevi proprio, sempre a bassa quota è stato Pippo. La gente ha sempre creduto che era in alto, chissà dove, ecco perché la contraerea non è mai riuscito a prendere quegli aeroplani lì che loro con i fari andavano in alto ma lui era in basso. Non so più cosa dire.
FA: E’ mai riuscito a vederlo lei?
FN: Sì, sì. Ah io, poi tra l’altro ero curioso, ero tremendo, ero un po’ il capogruppo di sti giovanotti, quei ragazzotti lì, no, e anche quando arrivava Pippo io scappavo fuori dall’osteria così e di notte per vedere eccetera, non stavo fermo un minuto, sono riuscito a vederlo sì, parecchie volte. Sempre di sfuggita eh. [unclear] Dava un senso che era sempre lì invece era dappertutto. Correvi da una parte lo sentivi di là, correvi dall’altra lo sentivi, era sempre, magari, magari erano anche in due o tre, di quei aerei, però dava il senso sempre di uno, il Pippo, così chiamato, così famoso, per noi ragazzi era una, era quasi una, ma ci piaceva anche per dire, non ci rendevamo conto del pericolo, per quello che.
FA: Non avevate paura?
FN: No non, io non ho mai avuto paura, no no no. Io l’unica cosa che avevo paura era Radio Londra, Radio Londra.
CI: Posso parlare?
FN: Parla!
CI: Tant’è vero che Pippo avevamo pensato che a un certo momento che non era uno, erano in tanti.
FN: Sì eh.
CI: Si trovano dappertutto. Lui lo conoscevano tutti, lo vedevano tutti in tutti i posti, sempre lo stesso orario.
FN: Sì, sì, erano tanti.
CI: A un certo momento, ma sono in tanti, non può essere solo uno.
FN: Per noi era.
CI: E’ qui, è là, era, è dappertutto.
FN: Cioè per noi, peri noi tutti, anche la gente così, era uno, difatti, Pippo era uno. Però chissà quanti erano in giro perché il rumore era sempre quello, in qualsiasi angolo dove andavi, sentivi sempre quel rumore lì, quindi erano in tanti. Però era uno. Come dire [unclear], loro facevano il loro dovere, no. Gli adulti avevano paura, ma noi ragazzi no, neanche dei caccia così, noi non avevamo paura. Per noi era un soprappiù, era vorrei quasi dire un divertimento, un divertimento perché era anche un po’ una novità vedere sti bolidi, quegli apparecchi, il baccano, poi le mitragliate, perché vedi, ci sono state parecchie volte che vedevi proprio le pallottole che viaggiavano davanti a te perché quelli lì. E c’era la lomba, ecco qui, lo sfollamento, Milano, i Milanesi che si scaricavano proprio a Broni, tutti quei posti lì, no. C’era la Lombarda, che era la società di corriere, era così famosa, le corriere che andavano a Carbonella doppie col mantice in mezzo, quelle sempre puntuali alle sei, non sono mai state bombardate né mitragliate, si capisce che forse c’era una specie di accordo perché partivano da Milano, venivano a Pavia e se, erano sempre un quattro cinque corriere, neh, doppie, alle sei Campospinoso Albaredo alle sei passavano, si fermavano all’osteria perché si fermavano a bere eccetera eccetera, no, cariche anche fin sopra, andavano a Carbonella ma quelle cariche di persone, uomini, donne, di tutti i colori, arrivavano e andavano verso Broni, Stradella, così, la Lombarda si chiamava, sai perché quello me lo ricordo! Però non sono mai stati mitragliati. Mitragliavano uno in bicicletta, per dire, mentre quelli lì non li hanno mai, mai, mai toccati. Si capisce che, come ho detto, o era un accordo o sapevano che erano sfollati perché gli aerei li vedevano quelli lì eh perché erano grossi così quelle corriere, non so se c’è ancora quella società lì a Milano la Lombarda, non lo so. Però era quella insomma. Fate domande voialtri vi rispondo.
FA: Invece quando era a Voghera che era più piccolo, andavano sulla stazione?
FN: Solo sulla stazione.
FA: Solo lì.
FN: I caccia. Solo sulla stazione, almeno io, per me era quello. Ma però mica sempre bombardavano. Passavano tutti i giorni praticamente perché noi partivamo lì da quell’istituto lì, sì, traversavamo, perché era proprio l’inizio dove c’era, non so se il prato con le carceri, le carceri, davanti c’era quell’orfanotrofio lì, traversavamo tutto Voghera, e suonava, quando eravamo a metà Voghera, a metà strada, suonava l’allarme, che noi l’aspettavamo, cioè noi ragazzini andavamo a scuola, speriamo che suona l’allarme, speriamo che suona, la scuola, suonava l’allarme e loro, sai, tutta la gente scappava nei rifugi. , Noi invece scappavamo, quel fiume, no il fiume, fiumiciattolo, era cioè la Staffora, quando era in piena era tremendo, la Staffora c’era, c’era, c’è ancora, no, scappavamo lì, giocavamo lì, a tirare sassi. E lì bombardavano o se non altro passavano per spaventare più che altro. Naturalmente le scuole venivano sospese e noi siamo sempre stati promossi lo stesso. C’era la maestra di italiano che era una sfegatata, una fascista, beh stavo dicendo, una [unclear], una fascista ma era brava come e nell’esame finale, per essere promosso, mi ha chiamato: ‘Nocchieri!’. Bisognava alzarsi in piedi sull’attenti perché allora che eran tutti , e ‘chi sei tu?’, eh beh non so neanche come mi e’ venuto in mente: ‘sono un italiano e amo la mia patria’, seduto, promosso. Io sono stato promosso in italiano con quella frase lì [laughs]. Per dire no, e ora c’era un maestro, un insegnante, era un prete, lo chiamavamo Bà. Bà, l’era cattivo, aveva sempra una verga in mano. Bà se non sapeva, non rispondeva, ti chiamava davanti a lui, con la verga, ti faceva mettere le mani cos’ì, no, e poi ti picchiava il Bà. Se per disgrazia tu facevi così ne prendevi dieci volte il doppio. Diventava cattivo, picchiava, però ai ragazzi, c’erano dei ragazzi che venivano dalla campagna, no, e li mandava fuori dalla scuola scavalcando un muro a prendere, farsi dare una gallina, o le uova, e quelli erano fortunati perché quelli che avevano la cascina, che avevano le galline, andavano a casa, prendevano la gallina e gliela portavano, invece io, con altri, eravamo un quattro cinque, dell’orfanotrofio, dove andavamo a prendere le galline e insomma io, alzo la mano, vado a prendere e mi ha lasciato andare io e un altro e quando siamo rimasti fuori dalla scuola, e adesso cosa facciamo, dove, come facciamo a portare una gallina, quello se, se non portiamo una gallina ci da tante di quelle botte, stiamo, e noi siamo andati a rubare le galline [laughs], beh in un pollaio abbiamo rubato le galline abbiamo, sai, le avventure della scuola. Della guerra perché quello lì si capisce che aveva sempre fame, no, e allora lo mandava, non poteva andare fuori adesso viene neanche da parlare, ma allora e vabbè, c’è chi mandava a prendere le uova o bene o male bisognava tornare indietro con qualche cosa e allora noi, per non essere interrogati o giù di lì, chiedevamo di andare fuori di scuola ma per noi era brutta perché non avevamo i genitori, la cascina, loro, bisognava andare raccontando, c’era un ragazzo che era diventato, ma quello era grande, cleptomano, tutti i giorni andava dentro in qualche negozio e rubava o un salame o delle scatole di marmellata o rubava, o lo zucchero, rubava sempre un bordello, noi lo sapevamo, quando arrivava in istituto, cioè un collegio non era un istituto, ero, , arrivava in collegio, gli buttevamo su una mantella sulla testa, gli portavamo via tutto [laughs] e lui il giorno dopo era daccapo, tanto per divertimen to, per dire! . Sì perché c’era l’orfanotrofio c’erano i maschi da una parte e le femmine dall’altra e naturalmente noi maschi quelle, [laughs] le femmine le erano un po’, su, mi spiego, e allora cercavamo di andare di nascosto dalle femmine ma c’erano sempre le suore che ci bloccavano e le studiavamo in tutti i modi per cercare di andare di là. Le avventure di istituto. E in tempo, sì in tempo di guerra lì, ecco, c’era un orto grandissimo lì dietro l’istituto in cui si erano piazzati, hann messo giù le tende tutto, gli indiani, mi viene in mente adesso, un accampamento di indiani. Dall’alto dell’istituto si vedeva questo accampamento. E noialtri, io sempre in testa perché le combinavo sempre, le tende eravamo convinti che c’era qualche cosa di buono, del cioccolato, così, e allora buttavamo giù i cuscini in quell’accampamento lì l’inizio, però per andare là bisognava passare dove c’era il reparto delle femmine, e o bene o male aspettavamo che passassero suore, c’erano delle suore un po’ anzianotte, e quando passava una suora, due o tre sotto là e zac!. E c’è stato un giorno che abbiamo portato via un sacco, no, due o tre sacchi di roba così. Eravamo convinti che era zucchero, li abbiamo portati su nelle camerate e poi quando li abbiamo aperti era tutto pepe e allora pepe dappertutto, un disastro solo, da ragazzi, mi è venuto in mente adesso. Li indiani, c’erano anche indiani in tempo di guerra, sì, sì, me lo ricordo, il pepe, lì eccetera. Avevo una bomba a mano io. C’era uno del mio paese che è stato chiamato a fare il militare e allora era stato traferito lì nella ferrovia, la stazione di dietro lì[unclear], le ferrovie insomma ecco, faceva il militare lì. Io quando ho saputo che era lì, allora andavo a trovarlo con un altro compagno così, perché ho detto, la fame non era un problema ma c’erano dei momenti che facevi la fame anche lì, no, la fame è la fame! E allora quando andavo lì a trovare questo amico, diciamo così del paese, preparava sempre qualcosa da mangiare, ci dava da mangiare sempre in due, traversavamo tutti i binari, nessuno ci diceva niente, traversavamo i binari, andavamo lì, ci dava da mangiare. E un giorno mi ha dato una bomba a mano, la Balilla, si chiamavano Balilla quelle lì, e me l’ha data lui e ero diventato il padrone dell’istituto con quella Balilla, del collegio con quella Balilla lì. Poi lo sapevano tutti che l’avevo e allora tutti avevano paura di me [laughs]. Poi un bel momento glielo data indietro perché mi aveva spiegato di non tirare questa qui, se no scoppiava e allora poi glielo data indietro. Tempo di guerra, eh. Dunque, sì poi c’era quello lì, l’ho detto, accennato, che ecco, di qui anche i ragazzi avevano paura. C’era la Villa Triste a Broni. Proprio dove c’è la piazza a Broni grande lì c’è ancora quella villa lì. Ecco, lì è dove entravano dentro e sparivano. Uccidevano eccetera, la chiamavano Villa Triste, che l’aveva in mano prima i tedeschi poi i fascisti. Eh ma, soprattutto quando l’hanno presa i fascisti, allora lì sparivano parecchie persone, anche del mio paese ne sono sparite diversi. Quelli li uccidevano o chissà ecco. Di questa qui da ragazzino, che da ragazzino avevamo paura difatti io andavo a Broni sempre mandato a prendere qualcosa dal Risù, da fare le spese e via eccetera, io poi soldi ne avevo in abbondanza perché li prendevo dove c’erano, c’era, erano nell’osteria, no, sapevo anch’io che, e c’era un cassetto con i soldi che prendevo, io ne prendevo solo una manciata, mettevo in tasca, andavo a Broni, Stradella, andavo nelle pasticcerie, a mangiare la cioccolata, i biscotti, ne facevo delle scorpacciate, ci andavo di frequente, no, per fare delle commissioni, nello stesso tempo io vedevo e questa villa qui, anch’io da ragazzo ci giravo al largo perché avevo paura, anche era entrata un po’ nella nostra mentalità, no, e allora, Villa Triste sì, c’era a Broni sì. [unclear] La Todt l’ho detto, sordomuto quello là che l’hanno ucciso, Pippo.
FA: E a Broni e Stradella invece non bombardavano?
FN: No. Sì, poteva fare disastri Pippo, perché Pippo era anche lì. Però Broni, Stradella non è mai stata bombardata, che sappia io, no, no, no. Che poi Broni e Stradella erano diventate il centro vero e proprio degli sfollati milanesi eh, perché tutti i giorni c’era la Lombarda, c’erano queste corriere lombarde, tre, quattro, a volte sei, tutte in fila e si scaricavano tutte a Broni e a Stradella. Poi andavano su nelle colline ma tutto il giorno era una fiumana di persone, però il paese così, Broni e Stradella, le ferrovie, no, non è mai stata, anche l’industria che c’era, le robe via, la Gea, tutte quelle ditte lì grosse abbastanza ma non sono mai state bombardate quelle zone lì, che sappia io. Allora, fate domande e io vi rispondo.
FA: Va bene.
FN: [unclear]
FA: Vuole dirci qualcos’altro?
FN: No, [unclear] sono magari dopo quando siete andati via mi viene in mente delle altre. Tedeschi ubriachi, le fucilazioni, testimoni, sono cose vere queste eh, che ho raccontato, mica le invento eh. Società, avevo dimenticato società la Lombarda, la Lombarda la chiamavano, biblioteca, giovanotti, tedeschi ritirata, , amico maciullato, non mi ricordo più il nome, era un ragazzino, aveva la mia età, funerale, anche qua hanno mitragliato, la Todt, la Todt anche quella lì, faceva, che poi era il disastro quando c’era il Po in piena, con tutto l’argine bucato perché c’è stato una volta che poi il Po era arrivato fino a Campospinoso Albaredo, sì, me li ricordo un anno e appunto perché l’argine era bucato e l’acqua, era bucato da queste trincee che facevano, no, era bucato e fino a Campospinoso Albaredo una volta è arrivato il Po, anche lì c’era un bel, era un bel disastro eh, e allora e poi finita la guerra allora andavamo a prendere le lepri, correvamo dietro le lepri perché non c’era più il divieto di caccia perché in quel paese lì, Campospinoso Albaredo era il paese, era un padrone solo, gli Arnaboldi, e ho conosciuto Arnaboldi, proprio il figlio, la madre, la figlia, era un padrone solo, terreni e tutto.
CI: Era ricco.
FN: Eh?
CI: Era ricco.
FN: Era Arnaboldi. Adesso tant’è che c’è ancora, adesso c’è il ricovero intestato ad Arnaboldi poi quando poi è morto anche il figlio andava a cavallo non so è morto, allora il paese hann cominciato a venderlo, casa per casa, l’han venduto tutto però Arnaboldi era, conte Arnaboldi, capitava.
CI: Era una potenza.
FN: Era una potenza allora, quel paese era così e tutti, tutti, tutti lavoravano nella proprietà di questo conte. Quello di Campospinoso Albaredo che poi adesso si è allargato ma il paese era tutto su una striscia [unclear], tutti, tutti, tutti lavoravano per questo conte, la terra. E poi aveva ogni famiglia c’era la raccolta del baco da seta, ogni famiglia aveva la sua stanza del baco da seta e il conte Arnaboldi, il bozzolo così bisognava consegnarli tutti a questo conte, venivano pagato un tot ma non so era così, però era conte Arnaboldi quel paese lì, lo sapevi, lo sai adesso.
FA: Va bene. Allora la, la ringraziamo per questa intervista.
FN: No, io, non so, adesso, quello, io ho raccontato quello che mi è venuto in mente.
CI: Fuori programma.
FN: Fuori programma.
CI: Una cosa che ricordo bene di te quando eravamo là agli Artigianelli, tu sei arrivato che eri già, avevi già quattordici anni o che, io
FN: Eh sì, perché, sì, sì.
CI: Noi lì eravamo, beh
FN: Avevo finito
CI: Un collegio da preti, no, quindi c’era un certo comportamento e lui l’è rivà e l’ canteva, s’è scincà la pel del cul, Donna Vughere, Donna Vughere, s’è scincà la pel del cul, Donna Vughere fala giustà.
FN: Ero, no, io.
CI: [laughs] Te lo ricordi te?
FN: Sì. Eh, io ero ragazzino. Lo dico adesso.
CI: Era un po’ differente da tutti gli altri. Lui era venuto, gli altri sono venuti in un età un po’ meno, dopo la quinta elementare ma lui è arrivato già, sui quattordici anni, quindici, era, poi aveva subito una vita un po’ disastrosa via, cioè, era euforico, teneva allegro un po’ tutti eh, era un po’ un punto d’appoggi, da esterno diciamo, diceva delle cose che gli altri non si permettevano di dire ma lui.
FN: Ma no, è perché io, io ho avuto anche quella fortuna lì, nonostante tutto, io sono sempre stato un ragazzo buono, cioè bravo, buono ecco più che altro, mai cattivo.
CI: Sì, di animo buono.
FN: Ecco, animo buono. Però sono sempre stato uno, un tipo allegro e ne inventavo di tutti i colori. Per esempio io quando sono entrato negli Artigianelli, ero, sempre stato anche attivo, no, non so se c’entra con la guerra, però io.
CI: No, ma hai spento?
FN: E’ spento.
CI: Spento.
FN: Io però adesso tanto per andare dentro un po’ in tutto nel, quando sono venuto negli Artigianelli io sono sempre stato un tipo in movimento, non stavo fermo no e ho sempre organizzato tante cose, tant’è che poi è quello che ho raccontato adesso, devo avere anche delle fotografie lì. Tant’è che avevo preso anche una certa carica negli scout, no, hai presente che ci sei anche tu negli scout.
CI: Sì, sì negli scout eravamo.
FN: E nell’Azione Cattolica. E mi avevano messo anche, mi avevano dato degli incarichi di responsabilità. E allora nelle mie.
CI: Eri capogruppo te.
FN: Sì. E allora io organizzavo e avevo organizzato una gita in barca, che è quando è annegato [pauses] un ragazzo. Insomma, io ho, poi dopo sono andato, ho imparato, sono diventato insegnante, ho diretto un grande stabilimento ma organizzavo sempre le gite io, nelle scuole soprattutto.
CI: Aveva sempre la macchina fotografica a tracolla.
FN: Sì, io c’avevo sempre.
CI: Appassionato di macchine.
FN: Quello ormai è diventata vecchia, me la son messa qui quando.
FA: Quando è entrato nell’Azione Cattolica?
CI: No, beh, era una cosa particolare interna, ero, io ero l’unico che ero nelle, però per essere boy scout bisognava essere anche nell’azione cattolico. Io ero l’unico, ero un boy scout ma non ero iscritto all’azione cattolica.
FN: Sì, ma prima c’era l’Azione Cattolica dentro, l’Azione Cattolica era come c’era a Pavia, era un’associazione.
CI: Sì, era negli oratori no.
FN: Era un’associazione.
CI: E lì era radicata come internamente.
FN: Sì, come era negli oratori, insomma giovanotti così no, tant’è che quando siamo andati a Roma ho preso tante di quelle botte ma le ho date anche mi è, perché avevo in mano una statua di San Pietro, eh!
FA: Ma chi è che l’ha picchiata?
FN: I compagni, è per quello che poi non, i compagni mi sono sempre andati giù per traverso, no. Vabbè. Giravo per Pavia con un coltello perché c’erano i compagni, perché loro era il momento, vestiti da Boy Scout, sti uomini anche di una certa età che ti prendevano in giro, ma mica venivano vicino a me però. Gli altri scappavano ma vicino a me non ci venivano. A Roma tutti, se ti ricordi il nome perché, l’organizzazione , a Roma c’è stato, era l’organizzazione organizzato da Carlo Carretto, i baschi verdi.
CI: Carlo Carretto era il presidente dell’Azione Cattolica italiana.
FN: I baschi verdi, i giovanotti edell’Azione Cattolica li chiamavano i baschi verdi, a Roma tutti coi baschi verdi, no, che erano allora più di cinquecentomila. E noi andavamo a dormire con gli Artigianelli, col Vergari andavamo a dormire un po’ fuori Roma. C’era un capannone, c’erano delle suore lì e facendo la strada, vero, perché i compagni in quel, quando c’è stato l’incontro con il Papa, avevano paura di tutto questo baccano di questo giovanotti, allora avevano dato ordine di, tutti, di rifugiarsi loro nelle loro sedi. Senonché c’è stato un errore che quando è venuto, veniva oramai il discorso del Papa, tutti questi giovanotti se ne tornavano nei loro posti dove dovevano andare a dormire e nello stesso tempo i compagni avevano la libera uscita per uscire dalle loro sedi e ci sono stati gli scontri, ecco, e allora, il mio gruppo, vero, che poi posso farti i nomi, Barbierato, tutti quei, tu li conosci, li hai conosciuti no, eravamo tutti insieme e andavamo giù verso il [unclear] e nello stesso tempo veniva su un gruppo di uomini, maturi anche uomini maturi e lì c’è stato uno scontro, [unclear], cioè ma quelli là, noi l’avevamo presa così andavamo giù tranquilli, quelli là hanno cominciato a dare botte e tutti sti ragazzi, compagni, amici, scappare a destra e a sinistra, io sono rimasto da solo con quella statua lì, ho preso tanti di quei calci, ma ne ho dati via dove potevo e alcuni li ho feriti anche seriamente e nello stesso tempo, neanche a farlo apposta, è venuto fuori un temporale. Nello stesso tempo hanno fatto, facevano, si sono messi a fare i fuochi artificiali. Tra temporale, tuoni e fuochi artificiali è venuto fuori un bordello, hanno chiamato la croce verde, eh caro mio, non c’era mica tanto da scherzare eh, ecco. Comunque tutte le gite che io ho fatto, ho sempre avuto dei morti.
FA: E chi c’era come Papa?
FN: Pio XII.
CI: Pio XII.
FN: Era Pio, sì, Pio XII.
CI: Pio XII. Papa Pacelli.
FN: Papa Pacelli deve essere.
FA: E che anno? Più o meno?
FN: ’48, o no? ’48.
CI: ’60?
FN: No, che ’60. ’48.
CI: ’48.
FA: Va bene.
FN: No, no, no.
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Title
A name given to the resource
Interview with Franco Nocchieri
Description
An account of the resource
Franco Nocchieri recalls his early years as an orphan in several different towns in the Province of Pavia. He describes the bombing of the Voghera railway station, which started while he was heading to school. He goes on to explain how he and his schoolmates used to cheer during air-raids, as they were free to skip school and play. He recounts his experience as live-in delivery boy at his stepfather’s tavern at Albaredo Arnaboldi, a vantage point from which he witnessed the daily attempts to destroy the Ponte della Becca, a bridge across the Po river. Franco describes his memories of ‘Pippo’, which he tried to watch every night, and mentions it dropping explosive devices disguised as fountain pens and toys. He describes the difficult coexistence between the local population and Axis troops, stressing the brutality of fascist militiamen. He also describes the fearsome reputation of a prison in the nearby town of Broni, known as ‘Villa Triste’, where many people disappeared. He remarks on his fearless attitude, except while listening to Radio Londra, which was a criminal offence at the time. Franco comments on the food shortages of the time and describes how the poor resorted to eating cats, which were considered to be a substitute for rabbit. He also recounts several wartime events, including: a narrow escape from the Ponte della Becca bombing; widespread fear inspired by so-called ‘Mongols’ (which were part of a German foreign division); a public execution; a friend killed by a bomb believed to have been dropped by ‘Pippo’; the strafing of a funeral procession, and the sight of Felice Fiorentini, a war criminal dubbed 'The Beast', being paraded in and around the province in a cage after the end of the war. He also mentions various stories from his time as a member of the Azione Cattolica Italiana, a Roman Catholic lay association.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Filippo Andi
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Po River Valley
Italy--Broni
Italy--Voghera
Italy--Pavia
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-02-02
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
01:05:47 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Rights
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Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ANocchieriF170202
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
animal
bombing
childhood in wartime
fear
home front
Pippo
Resistance
strafing