3
25
502
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/20/261/Memoro 725.2.mp3
0abeb54d0bebe4c921bb8ba07848fd67
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
CG: Dunque eeh il mio ricordo va un po’ indietro all’epoca della guerra quando vicino al mio caseggiato c’era quel cerchio bianco con la R in mezzo che voleva dire ‘rifugio’. Non erano rifugi, erano, era un cortile, un corridoio di una cantina adibita a rifugio con delle panche dove purtroppo quasi tutte le sere quando suonava la guerra, l’allarme eh andavamo in cantina. Io ero piccolina e quella cantina c’erano delle scene: c’era una signora, mi ricordo, che era terrorizzata, si metteva due mani nelle orecchie così e fin quando non era finito l’allarme bisognava dirle ‘Guardi che è ora di andare sopra’ perché lei non si muoveva più. C’era l’altro terrorizzato in altro modo, prendeva il rosario, continuava a dire il rosario. Mia mamma invece raccoglieva noi piccolini in un angolino al fondo della cantina e ci raccontava le favole tanto per distrarci un pochino. Però queste favole non sempre riuscivano a distrarci perché noi abitavamo vicino alla Superga (che poi è diventata Pirelli) e tutte le sere c’erano le bombe, c’erano boati proprio, si sentivano gli apparecchi arrivare, bom bom quel suono cupo e poi le bombe. E quando le bombe erano più vicine le storie di mia mamma non bastavano più, allora mia mamma aveva escogitato un'altra cosa, diceva ‘Adesso basta storie bambine, domani dovete andare a scuola: studiamo le tabelline’ e ci impegnava facendoci dire a tutti le tabelline in continuazione. Però anche le tabelline per me non bastavano, ero terrorizzata per un fatto, noi abitavamo al primo piano, di fianco a noi c’era un signore lui era milanese però era venuto ad abitare a Torino perché sua figlia lavorava anche lei alla Superga dove lavorava mio papà, erano compagni di lavoro. E questo signore che aveva pressappoco l’età di mio padre, di mio nonno scusate, eeeh io lo amavo in un modo infinito anche perché all’epoca della guerra mio nonno non abitava a Torino e le possibilità di andarlo a trovare erano poche, i mezzi di trasporto erano pochi e allora per me era come, lui mi voleva un bene dell’anima e io lo ricambiavo in questo modo. Però cosa succedeva, che in mezzo a tutte ste bombe, tutta sta paura, questo signore era tranquillamente nel suo letto che dormiva perché non è mai voluto alzarsi in tempo di guerra. Mio papà gli diceva ‘Signor (beh diciamo signor G. per non fare il nome) eeh venga in cantina’ anche alla figlia gli diceva ‘Cerchi di convincerlo mio papà ad andare in cantina’. E lui serio serio ha sempre detto queste parole ‘Senti Andrea, tu, tua moglie, tua figlia, la Carletta (che sarei io) la vedete la fine della guerra, io non la vedo, lasciatemi dormire’ e non si è mai alzato. Io tutto il periodo che stava in cantina tremavo dicevo ‘Ah nonno G, nonno G, nonno sopra’. Come arrivavo sopra al mattino, come mi svegliavo prima di andare a scuola andavo a bussare alla porta lo abbracciavo, lo baciavo, ah c’era ancora anche stamattina c’è ancora. E questo è andato avanti per tutto il periodo della nostra guerra. Quando il 26 di aprile sono finite tutte tutte le cose che son finite, che si credeva fossero finite ma, a Madonna di Campagna ial 26 aprile si combatteva ancora, eeeh questo signr Gibelli lui aveva l’abitudine di andarsi a fare la passeggiata, era un pensionato, andava a fare la passeggiata. Il 26 di aprile a Madonna di Campagna dove c’era la Pirelli allora, praticamente la Pirelli era quasi al limite di Torino, c’era la Strada delle Campagne, la chiamavano così perché era proprio in campagna dall’altro lato c’era un convento, c’erano delle casette e poi incominciava la boscaglia che degradava verso la Stura. In questa boscaglia si erano piazzati i tedeschi con le mitragliatrici che cercavano di di di far andar via, di vincere sti operai per poter impossessarsi della fabbrica. Gli operai, aiutati dai partigiani che erano scesi dalla Val di Lanza armati, erano tutti sul tetto, la Superga allora era due piani con un tetto piano e un parapetto che sembrava quasi un balcone, erano piazzati dietro questo parapetto e per tutta la giornata del 26 e c’è stata una schermaglia tra gli operai della Pirelli, della allora Superga e questi tedeschi che erano nella boscaglia. Questo signore che non sapeva niente poverino piglia su e va a farsi la passeggiata in Strada delle Campagne il 27 era tutto finito, ma lui l’hanno mitragliato il 26. Questo è il ricordo che ho.
Unknown interviewer: Il ricordo che ha.
CG: Il ricordo più brutto che ho della mia vita è questo, che lui aveva detto ‘Io la guerra non la vedo finita e non l’ha vista finita’. Nonno Gibelli se n’è andato il 26 di aprile, di aprile, il 27 tutti festeggiavano la, la liberazione praticamente ma nel nostro borgo piangevamo tutti un caro amico che non c’era più.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Carla Griva
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Carla Griva (b. 1935) describes different attitudes and various coping strategies of people inside a shelter in Turin: reciting the rosary, putting their hands over their ears to avoid listening, storytelling, and asking children to practice multiplication tables. Remembers an old man who continued sleeping in his own bed in spite of bombing and gives an account of how he was accidentally killed in the last days of war.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Luca Novarino
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Memoro#725
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Turin
Italy--Po River Valley
Italy
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1945-04-26
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:05:46 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Francesca Campani
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Memoro. La banca della memoria
Type
The nature or genre of the resource
Sound
License
A legal document giving official permission to do something with the resource.
Royalty-free permission to publish
bombing
childhood in wartime
civil defence
coping mechanism
faith
home front
Resistance
shelter
-
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https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/39/282/BWilliamsonGRWilliamsonGRv10002.1.jpg
b20df7bba150a07bc3d6aefd6d9cbd4b
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Williamson, George Reid
George Reid Williamson
G R Williamson
Description
An account of the resource
Seven items. The collection consists of documents and photographs related to Sergeant George Reid Williamson being shot down over occupied France on 3/4 May 1944, during an operation to Mailly-le-Camp. Items include a memoir of his escape as well as photographs and names of helpers in the French resistance. The collection has been loaned to the IBCC Digital Archive for digitisation by Don Hillier and catalogued by Trevor Hardcastle.
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-07-01
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Williamson, GR
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Transcribed document
A resource consisting primarily of words for reading.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
[underlined] THE DAY I REVIEWED THE GERMAN ARMY. [/underlined]
On the morning on the 7th May 1944 I was hiding in a wood outside Chateau-Thierry, half starved and desperate and almost dying of exhaustion. Three nights previously I had jumped from a Lancaster bomber shot to pieces by German night fighters during the successful bombing of the Panzer Training School at Maille le Campe [Mailly-le-Camp]. Since then I had been constantly harried by German patrols, sleeping in ditches by day and moving by night. Today I knew I [underlined] must [/underlined] get help.
The farmer working in his field looked up without surprise as I approached him. Dourly he listened as I read from my French phrase book, then with a gesture turned and led the way to the farm-house.
An hour or so later, a little less hungry and with an old three quarter length coat covering my uniform jacket, I was walking towards the town railway station muttering to myself the phrase the farmers wife had drilled into me.
“Un billet simple pour Paris”
“Un billet simple pour Paris”
There was quite a queue at the ticket office and I place myself diffidently at the end trying to look as inconspicuous as possible, but as the ticket window drew nearer and nearer my confidence deserted me and when I caught a glimpse of a german [sic] uniform on the platform I panicked completely and retreated quickly into the street. By this time the sun was blazing fiercely and as I was still wearing my long flying drawers and white polo-neck sweater under my battledress I was in a truly sorry condition. A row of benches against a shady wall offered me temporary respite and I sank gratefully on to one of them. A seven foot wall ran the length of the street on the other side broken only by a large solid wooden gate opposite where I was sitting. And then it happened! A sharp word of command sounded from beyond the wall, the gate swung open and out marched a considerable proportion of the German army – column after column jackbooted and goose-stepping making straight towards me, then wheeling at the last moment and marching on towards the station.
I could have reached out and touched them but I sat there petrified waiting for what seemed the inevitable moment when an eagle eye would notice the Air Force blue of my trousers or the fine fleece-lined shoes
[page break]
I was wearing, but no! to these troops I was no Lili Marlene waiting outside the barracks gate but a nondescript French peasant, too insignificant for them to notice.
For some minutes after the gate was again closed and the last man gone I sat there stunned. Then quickly I got myself out of that town. But some eyes keener than the Germans must have noticed my departure for a mile or so on the road to Paris a youth on a bicycle caught up with me, and from that moment I was under the protection of the French Underground.
A hundred times in the next few months I had narrow escapes in Paris and elsewhere but never one that left me with the same feeling of shock as the day I reviewed the German army.
GEORGE REID WILLIAMSON
30 BRAIDFAULD ST.
[underlined] GLASGOW. E2. [/underlined]
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
The day I reviewed the German army
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Description
An account of the resource
The memoir details the events after Sergeant George Reid Williamson baled out of his Lancaster over Chateau-Thierry. After hiding in a wood for a few days, he met a local farmer who took him back to the farmhouse for food and a large overcoat. While trying to reach Paris by train pretending to be a French peasant he narrowly escaped capture while hiding close to a German unit. He quickly left the town and encountered a French boy riding a bicycle, who put him under the protection of the Resistance.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Language
A language of the resource
eng
Type
The nature or genre of the resource
Text. Memoir
Text
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
France--Château-Thierry
France--Mailly-le-Camp
France
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1944-05-07
1944-05-03
1944-05-04
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
BWilliamsonGRWilliamsonGRv1
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
George Reid Williamson
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Royal Air Force
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
Two page typewritten memoir
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Cathie Hewitt
50 Squadron
bale out
bombing
Bombing of Mailly-le-Camp (3/4 May 1944)
evading
Lancaster
Resistance
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/39/285/PHillierD1603.1.jpg
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https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/39/285/PHillierD1604.1.jpg
fc6a3472c4fcbd8803165f9e33407417
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Williamson, George Reid
George Reid Williamson
G R Williamson
Description
An account of the resource
Seven items. The collection consists of documents and photographs related to Sergeant George Reid Williamson being shot down over occupied France on 3/4 May 1944, during an operation to Mailly-le-Camp. Items include a memoir of his escape as well as photographs and names of helpers in the French resistance. The collection has been loaned to the IBCC Digital Archive for digitisation by Don Hillier and catalogued by Trevor Hardcastle.
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-07-01
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Williamson, GR
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Jack Bergie
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
One b/w photograph
Language
A language of the resource
eng
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
PHillierD1603
PHillierD1604
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Description
An account of the resource
Head and shoulder portrait of a man dressed in a dark shirt and tie, smoking a cigarette. He has short dark hair. On the reverse ‘Another helper Jack Bergie’.
Type
The nature or genre of the resource
Photograph
Resistance
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/39/286/PHillierD1605.1.jpg
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Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Williamson, George Reid
George Reid Williamson
G R Williamson
Description
An account of the resource
Seven items. The collection consists of documents and photographs related to Sergeant George Reid Williamson being shot down over occupied France on 3/4 May 1944, during an operation to Mailly-le-Camp. Items include a memoir of his escape as well as photographs and names of helpers in the French resistance. The collection has been loaned to the IBCC Digital Archive for digitisation by Don Hillier and catalogued by Trevor Hardcastle.
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-07-01
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Williamson, GR
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
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Title
A name given to the resource
Members of the French resistance
Helpers
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Language
A language of the resource
eng
fra
Rights
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Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
1952-08
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
One b/w photograph
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
PHillierD1605
PHillierD1606
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1952-08
Description
An account of the resource
A man and a woman, dressed in smart summer wear, pose in a park. He holds a pipe and she carries a dark coloured bag and a pair of white gloves. On the reverse 'Helpers. Don’t remember name. Might be Daniel' and 'Tollcross Août 1952'.
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Scotland--Glasgow
Great Britain
Type
The nature or genre of the resource
Photograph
Resistance
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/39/287/PHillierD1607.2.jpg
ecc2dfccb268c10fcd5b51c343a45b0a
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/39/287/PHillierD1608.2.jpg
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Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Williamson, George Reid
George Reid Williamson
G R Williamson
Description
An account of the resource
Seven items. The collection consists of documents and photographs related to Sergeant George Reid Williamson being shot down over occupied France on 3/4 May 1944, during an operation to Mailly-le-Camp. Items include a memoir of his escape as well as photographs and names of helpers in the French resistance. The collection has been loaned to the IBCC Digital Archive for digitisation by Don Hillier and catalogued by Trevor Hardcastle.
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-07-01
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Williamson, GR
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
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Title
A name given to the resource
George Reid Williamson reading a newspaper in the Bois de Boulogne
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Description
An account of the resource
George Reid Williamson dressed in a pinstriped jacket and dark trousers, leaning against a wood and wire fence, whilst reading a newspaper and smoking a cigarette. A wooded area is in the background. On the reverse ‘In the Bois de Boulogne during occupation, if you could read the paper it showed the date', '2.2.45' and 'George Reid Williamson'.
Rights
Information about rights held in and over the resource
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Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
France--Paris
France
Language
A language of the resource
eng
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
PHillierD1607
PHillierD1608
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
1944
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
One b/w photograph
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1944
Type
The nature or genre of the resource
Photograph
evading
Resistance
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/20/327/Memoro 9138.2.mp3
fe0177914718bfa95e18210636a45e60
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
AR: Nel ’44 quando hanno bombardato Dronero [pauses] me lo ricordo, nel ’44 io avevo sei anni. Adesso a sei anni non andate al pascolo alle pecore, ma io c’andavo. E allora, eh, mi ricordavo che, mi ricordo che ero su in collina lì al pascolo alle pecore e vedevo gli aerei che arrivavano da nord, partivano dall’aeroporto di Torino, da Caselle senz’altro non so se c’era altri aeroporti militari non lo so comunque arrivati alto così, scendevano, facevano proprio questo scherzo qui, perchè Dronero è una valle, colline di qua, colline di là, allora facevano questo scherzo qui, sganciavano e risalivano, quello me lo ricordo perfettamente. Adesso non vi posso dire se li ho visti una volta o di più, non mi ricordo quello lì. [part missing in the original file] un aereo, quello non si saprà mai, perchè ormai il pilota è morto e poi è Americano, non lo so. Allora, un aereo forse per difetto di sganciamento, forse per rimorsi di coscienza non ha sganciato, non so se era un difetto dell’apparecchiatura di sganciamento non si sa, comunque di ritorno ha sganciato la bomba, la bomba comunque è stata sganciata, proprio al mio paese, Villa San Costanzo, io so il punto preciso [part missing in the original file] ha fatto un buco nella montagna che ci sta mezza casa dentro. Sempre a proposito del bombardamento di Dronero [part missing in the original file] l’albergo Tripoli, una bomba, le bombe d’eeerei, le bombe d’eerei sono come minimo anche dieci o più quintali, forse anche venti non so, in ogni caso ha bucato il tetto, tutti i soffitti, si è piantata in terra in cantina e non è esplosa. Lì vicino c’era il padrone dell’Albergo Tripoli, allora era ristorante allora non so era anche albergo comunque, che imbottigliava vino, si è visto la bomba lì vicino che non è scoppiata, sono voci eh io non lo so, io il padrone l’ho conosciuto lì, non so se era già così prima o se è diventato dopo, qualcuno diceva che dallo spavento è diventato un pochino semo via, dallo spavento.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Albino Ristorto
Description
An account of the resource
Albino Ristorto (b. 1938) remembers the bombing of Dronero in 1944 when he saw a formation of aircraft approaching from the north, coming from Turin (Torino)
airport. He describes how one them made a swooping manoeuvre and mentions how the pilot didn’t drop the bomb on the first pass, either because of a malfunction or because of the his guilty conscience. He mentions the exact spot where the bomb hit the ground, making a crater as big as a house. He describes the effect of a bomb that hit the Hotel Tripoli, smashed through the roof and went all the way down to the cellar where the owner was bottling wine.He maintains that the blast made him slightly insane ever since.
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:02:51 audio recording
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Memoro#9138
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Dronero
Italy--Po River Valley
Italy
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1944
Language
A language of the resource
ita
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Memoro. La banca della memoria
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
License
A legal document giving official permission to do something with the resource.
Royalty-free permission to publish
bombing
childhood in wartime
Resistance
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/20/328/Memoro 9140.1.mp3
ca71b545ff698000ffd50324371b64b1
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
AR: Ho lavorato in casa di il Presidente dell’Associazione Partigiani di Dronero, Giorsetti Ermanno. [part missing in the original file] A proposito del bombardamento di Dronero, gli ho detto, come e’ successo che gli Americani han bombardato Dronero? Eh beh, ma vede, allora, allora era cosi’. Non e’ che sia che i partigiani abbiano ordinato di… Beh qualcuno lo dice, pero’, pero’, pero’, glielo dico io allora, io son sicuro che sono i partigiani. Guardi, io ho dodici anni meno di lei, allora io avevo quattro anni, no avevo sei anni pero’ so con certezza che sono i partigiani di fatti avevo sempre sentito dire da tutti, da gente piu’ anziana di me che si ricorda meglio di me, han sempre detto che sono i partigiani che hanno fatto bombardare Dronero perche’ in Dronero c’erano i tedeschi, tedeschi di ordinanza, di ordine pubblico, allora i tedeschi erano un po’ dappertutto e tra l’altro a Dronero ce n’erano e sono proprio i partigiani che hanno fatto bombardare Dronero [part missing in the original file]
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Albino Ristorto
Description
An account of the resource
Albino Ristorto (b. 1938) remembers the day he challenged the president of the local partisans association, who was reluctant to admit their involvement in the bombing of Dronero. He reports the widely held belief that the partisans asked the Allies to attack the town because of the vast number German soldiers stationed there.
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:01:20 audio recording
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Memoro#9140
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Dronero
Italy--Po River Valley
Italy
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1944
Language
A language of the resource
ita
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Memoro. La banca della memoria
Rights
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This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
License
A legal document giving official permission to do something with the resource.
Royalty-free permission to publish
bombing
childhood in wartime
Resistance
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/27/335/PFilliputtiA16010127.1.JPG
7e0038ee9eb7f3cf117998c7b489c4ea
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Title
A name given to the resource
Filiputti, Angiolino
Angiolino Filiputti
Alfonsino Filiputti
A Filiputti
Description
An account of the resource
127 items. The collection consists of a selection of works created by Alfonsino ‘Angiolino’ Filiputti (1924-1999). A promising painter from childhood, Angiolino was initially fascinated by marine subjects but his parents’ financial hardships forced an end to his formal education after completing primary school. Thereafter, he took up painting as an absorbing pastime. Angiolino depicted some of the most dramatic and controversial aspects of the Second World War as seen from the perspective of San Giorgio di Nogaro, a small town in the Friuli region of Italy. Bombings, events reported by newspapers, broadcast by the radio or spread by eyewitnesses, became the subject of colourful paintings, in which news details were embellished by his own rich imaginings. Each work was accompanied by long pasted-on captions, so as to create fascinating works in which text and image were inseparable. After the war, however, interest in his work declined and Angiolino grew increasingly disenchanted as he lamented the lack of recognition accorded his art, of which he was proud.
The work of Angiolino Filiputti was rediscovered thanks to the efforts of Pierluigi Visintin (San Giorgio di Nogaro 1946 – Udine 2008), a figurehead of the Friulan cultural movement, author, journalist, screenwriter and translator of Greek and Latin classical works into the Friulan language. 183 temperas were eventually displayed in 2005 under the title "La guerra di Angiolino" (“Angiolino’s war”.) The exhibition toured many cities and towns, jointly curated by the late Pierluigi Visintin, the art critic Giancarlo Pauletto and Flavio Fabbroni, member of the Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione (Institute for the history of the resistance movement in the Friuli region).
The IBCC Digital Archive would like to express its gratitude to Anna and Stefano Filiputti, the sons of Angiolino Filipputi, for granting permission to reproduce his works. The BCC Digital Archive is also grateful to Alessandra Bertolissi, wife of Pierluigi Visintin, Alessandra Kerservan, head of the publishing house Kappa Vu and Pietro Del Frate, mayor of San Giorgio di Nogaro.
Originals are on display at
Biblioteca comunale di San Giorgio di Nogaro
Piazza Plebiscito, 2
33058 San Giorgio di Nogaro (UD)
ITALY
++39 0431 620281
info.biblioteca@comune.sangiorgiodinogaro.ud.it
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Filiputti, A-S
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
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Title
A name given to the resource
Prisoners of the San Sabba Concentration Camp being brutalised
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Description
An account of the resource
Prisoners kept in the Risiera di San Sabba Concentration Camp are brutalised by German soldiers. Some men are chained to the support columns with manacles, whilst others lie on the ground. In the background a group is pulling a cart with bodies loaded on it. A group of civilians is visible on the right hand side of the picture, some dressed in blue and white striped clothing with a yellow Star of David badge. A group of men in uniform is featured prominently in the foreground, one of them holding a whip.
Label reads “141”; signed by the author; caption reads “TRIESTE, RISIERA di S. SABBA, Dicembre 1943 – Agosto 1944. (I) Unico Lager di sterminio Nazista operante in Italia, per il 3o Reich Trieste e il litorale adriatico di Reiner era “Adriatisches Kusterland [Adriatisches Kustenland], e a salvaguardia di esso, erano dei feroci aguzzini “Gruppenfhurer und Generaleutenant der polizei [Gruppenführer und Generalleutnant der Polizei] Globocnik, Joseph Oberhauser. Capitano Kalzl Werner Dubois, Dietrich Allers, Otto Stadic il boia della Risiera, Enric Gley, sottufficiale Konrad Geng, Corrado Klen. Il commando “Durhganas und polizei-lager, rastrellave gli ebrei si impossessava dei loro beni, li concentrava alla Risiera, per avviarli in Germania. Ma la maggior parte 3000 vittime, sono state soppresse con il sistema, “Treblinka durch-motorenabgase” [Treblinka durch-motorabgase] cioè gassazione con lo scarico di motori a nafta, con gli ebrei c’erano politici e partigiani italiani, e jugoslavi, i loro corpi finivano nei forni, poi le ossa e le ceneri disperse nel mare li vicino.”
Caption translates as: “Trieste, San Sabba rice husking mill – December 1943-August 1944. (1) The only Nazi extermination camp in Italy, operating for the Third Reich in the Operational Zone of the Adriatic Littoral led by Friedrich Rainer. Ferocious jailors were tasked to defend it: Josef Oberhauser, Gruppenführer and general lieutenant of Globocnik’s police; captain Karl Werner Dubois; Dietrich Allers; Otto Stadie, the rice husking mill executioner; Enric Gley; Konrad Geng, petty officer; and Corrado Klen. The command of the “Durchgangs- und Polizeilager” (transit camps and police barracks) was mopping up Jews and seized of their properties, incarcerated them at the rice husking mill before dispatching them to Germany. The majority - 3,000 people - were gassed using with exhaust fumes from diesel engines. This method was used in the Treblinka extermination camp (“Treblinka durch die Abgase des Motors”). Together with the Jews were Italian and Yugoslav political prisoners and partisans. Their corpses were thrown in the ovens; their bones and ashes were scattered in the nearby sea.”
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Angiolino Filiputti
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Alessandro Pesaro
Francesca Campani
Helen Durham
Giulia Banti
Maureen Clarke
Rights
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Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
One tempera on paper, pasted on mount board
Language
A language of the resource
ita
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Trieste
Italy
Type
The nature or genre of the resource
Artwork
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
PFilliputtiA16010127
Is Part Of
A related resource in which the described resource is physically or logically included.
Filiputti, Angiolino. San Sabba concentration camp
arts and crafts
Holocaust
Resistance
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/46/400/ACommissoM161028.2.mp3
0fd58164789c1667fe2ee2f1c970a722
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Commisso, Mario
Mario Commisso
M Commisso
Description
An account of the resource
One oral history interview with Mario Commisso who recollects his wartime experiences in the Codroipo area.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
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Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Commisso, M
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
PC: Sono Pietro Comisso e sto per intervistare Mario Comisso. Siamo a Monfalcone, è il 28 ottobre 2016. Grazie Mario per aver permesso questa intervista. La sua intervista registrata diventerà parte dell’archivio digitale dell’International Bomber Command Centre, gestito dall’Università di Lincoln e finanziato dall’Heritage Lottery Fund. Prima di cominciare, la prego di rispondere alle seguenti domande, in modo da essere certi che questa intervista venga registrata secondo i suoi desideri nonché in accordo con le condizioni poste dai nostri finanziatori. È d’accordo che la sua intervista sia conservata in perpetuo come documento liberamente accessibile al pubblico da usarsi per mostre, attività di ricerca, istruzione, nonché come risorsa online?
MC: Sì.
PC: Sia resa possibile, sia resa disponibile al pubblico mediante una licenza Creative Commons attribuzione non commerciale, indicata come CC-BY-NC il che significa che non potrà essere usata a scopi commerciali?
MC: Sì.
PC: Sia attribuita a lei?
MC: Sì.
PC: Acconsente a concedere all’università il copyright del suo contributo per l’impiego sotto qualsiasi forma ed è consapevole che ciò non preclude il suo diritto morale ad essere identificato come esecutrice ai sensi del copyright, design and patents act del 1988?
MC: Va, va bene.
PC: Acconsente di essere fotografata per il Bomber Command Digital Archive?
MC: No.
PC: Bene, possiamo cominciare. Mario, se ti parlo dei bombardamenti aerei della seconda guerra mondiale, qual è il primo ricordo che ti viene in mente?
MC: Il primo ricordo è quello della notte del 28 febbraio 1900 e 41, la notte in cui mio fratello è nato e il gran bombardamento alleato; l’antiaerea tedesca si batteva contro, contro gli aerei, sì, loro passavano, passavano andando forse in Germania e no, noi eravamo lì e la contraerea tedesca stavo, stava difendendosi come poteva; poi, poi altre, altri bombardamenti erano sempre quelli, che gli aerei alleati passavano sopra di noi e che andavano sempre in Germania, ed era i grandi combattimenti della Luftwaffe di Messerschmitt contro gli aerei da bombardamento alleati. Ricordo che piovevano schegge, pezzi di ferro, bossoli, robe, eccetera eccetera; poi la notte venivano bombardare la ferrovia di Codroipo, la stazione di Codroipo, la ferrovia da Codroipo a Udine; durante la notte, poi, gli operai andavano a riparare tutte queste robe; poi la notte era il famoso “Pippo”, che veniva per ricognizioni o qualche volta sganciava qualche bomba; la resistenza italiana li segnalava con i razzi: qualche volta sbagliavano il tiro e Pippo lasciava qualche bomba sul campanile o sulla chiesa della Madonna di Rivolto; poi altri bombardamenti sulla pista creata dalla Lu, dalla, dalla i tedeschi, dove ora ha sede la pattuglia acrobatica italiana. Su tutta la pista, circonvallazione della pista centrale, avevano, ‘vevano costruito i box per nascondere gli aerei, dunque: i bombardamenti a tappeto con spezzoni, attaccati a due tubi, che si trovavano poi, eccetera eccetera; durante tutto il resto della guerra son stati bombardamenti nel vicinato, aerei che non potevano, sì, aerei caccia, i caccia Spit, Spitfire, che qualche volta non potevano sganciar la bomba sulla stazione, allora cercavon da fare il loro possibile per non sganciarla sulla popolazione, ma nei campi, onde facevano buchi tremendi. Poi, gli alleati arrivarono e i tedeschi se ne sono ‘ndati, e hanno lasciato molte munizioni sulle piste, nei, nei canali, eccetera, eccetera; son stati da, noi si andava a recuperare questi, queste munizioni di, di ferro e di ottone, e poi si vendeva, era’amo bambini, gente, gente che al dopoguerra avevamo un po’ bisogno, poi, poi gli allea, gli inglesi specialmente facevan scoppiare tutte questi resti di bombe, poi pallottole mitragliatrici, pallo, pallottole da cannone, e dopo noi si andava ancora a recuperare per venderle per guadagnare qualche soldo, no. Durante tutto questo periodo noi ragazzini si dis, si doveva disimpegnare per, per raccattare un po’ di soldi per vivere insomma. Questi periodi della guerra piuttosto duri e tristi stanno rivivendo in noi ancora, se questo può fare del bene alla società e alla storia siam ben felici.
PC: Una domanda Mario.
MC: Sì.
PC: Tu praticamente vivevi.
MC: Eh.
PC: Eri un ragazzino, avevi.
PC: Undici, dodici anni.
MC: Io allora, allora avevo da, avevo dieci, undici e dodici anni, dieci, undici e dodici anni.
PC: E vivevi vicino a un grande aeroporto militare.
MC: Gran, grande aeroporto, come già detto, ora siede la Pattuglia Acrobatica Italiana, la PAM [PAN], e dunque lì i bombardamenti e le battaglie, sia alleate sia della resistenza partigiana, eccetera eccetera erano quotidiane, no, si viveva quei giorni lì così anche senza tanta paura perché eravamo troppo giovani per aver paura, no.
PC: Ma gli allarmi erano frequenti?
MC: Ehh [emphasis] gli allarmi erano specialmente la notte, sì, e poi il giorno si vedeva passare le pattuglie di, di aerei da bombardamento ‘lleati, che andavano sempre in Germania, ma insommanon bombardavano da noi, solo passavano per andare verso la Germania , no; ‘peta, sì, tutto lì, a parte i bombardamenti qualche aereo, qualche aereo, ma poca roba, che cadeva, no, sotto i colpi delle mitragliatrici dei Messerschmitt tedeschi. Dopo, poi, è stato il momento dell’armistizio, ché l’Italia ha chiesto l’armistizio. Gli alleati, allora la, i tedeschi ci hanno reso un po’ la vita difficile, lì dopo la disfatta dell’esercito italiano si trovamo munizioni dappertutto, come ripeto, e poi sono state anche casi di feriti e morti, ragazzi di dieci dodici anni, perché andavano a prendere queste munizione e poi le trattavano poco bene, insomma cercavano di smontarle, e succedevano che sono stati morti insomma, tre [emphasis], che io conosca. Altri bombardamenti: sì, hanno bombardato la stazione di Codroipo quella volta che erano, qualche, qualche ca, qualche vagone munizione, polvere eccetera, eccetera ed è stata dura, ed ha molt, ha molt, ci ha fatto molto paura perché l’esplosione erano molto dure, molto alte, molto fuoco, eccetera; e pezzi di, pezzi di ferro della stazione cadevano anche a un chilometro lontano della stazione, no, tutto questo, tutto questo ehhh, questa storia [emphasis] insomma ci rendeva un po’ la vita difficile. Poi liberazione, il mese di settembre, gli alleati sono arrivati e abbiamo avuto un po’ di pace; si cercava di disimpegnarsi guadagnando un po’ la vita col resto delle armi che avevan lasciato i tedeschi.
PC: Tu mi hai parlato della nascita di tuo fratello il giorno di un bombardamento.
MC: La notte di un grande bombardamento, sì!
PC: Cosa ricordi di quella sera?
MC: Molte, molti tuoni, molto fuoco, molt, molta paura perché era il primo, e insomma rimane come ricordo quello della nascita di mio fratello, quello dei primi bombardamenti e della contraerea tedesca, che non era distante poi, era a cinquecento metri dalla nostra abitazione, no, dunque in famiglia la paura era abbastanza grossa, ehm.
PC: Faccio ancora una domanda: sempre parlando di tutti questo grande quantitativo di materiale che si trovavano in giro, questi spezzoni che cadevano, questi.
MC: Sì, eh. Poi, poi anche munizioni che avevano lasciato l’esercito italiano, quando è stato chiesto l’armistizio tutti i soldati lasciavano le armi eccetera, no, nei campi, nelle robe, nei corsi d’acqua e anche sulla famosa pista, non la pista di lancio ma la pista di circonvallazione dove erano stati costruiti i box de, per i rifugi degli aerei tedeschi, dunque poi alla disfatta hanno lasciato tutto; anzi, avevan anche cominciato, la pista di lancio era stata minata, avevan fatto dei buchi e messo delle mine dentro, che hanno cominciato a far saltare il momento della Liberazione, quando i partigiani poi avevan preso quei quattro tedeschi che rimanevano per evitare insomma disagi alla gente, poi, abbiam anche trovato dei carri, dei carri che avevano abbandonato verso Passariano, Sede dei Do, dei Dogi, che anche lì i carristi della caserma di Codroipo li avevan lasciati e noi si andava a smontare pezzi, robe, eccetera, le bie, le sfere per giocare, eccetera eccetera, no, e poi le ruote e poi i grandi, invece loro, smontavano pezzi più grandi, più grossi, no; noi eravamo lì per prendere qualche coperta, magari qualche cappotto militare per i giovani eccetera. Si sbarcava il lunario in questa maniera, no. Tutti i ricordi della nostra gioventù.
PC: Bene Mario, io ti ringrazio moltissimo per l’intervista! Questo qui è un pezzo di storia che verrà conservato.
MC:E io, mi ha fatto molto piacere. Pietro Comisso è un caro ragazzo che merita gli elogi.
PC: Grazie.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Mario Commisso
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Mario Commisso remembers his early years when he lived in the Codroipo area, close to the Rivolto air base. Describes his brother being born on 28 February 1941 during a severe bombing raid during which the bombers were attacked by anti-aircraft fire and German fighters. Describes how "Pippo" was guided with the help of ground signals lit by the partisans, sometimes with tragic results. Describes how civilians salvaged scrap metal and mentions acquaintances who died when mishandling live ammunition. Recalls a big explosion at the Codroipo railway station and Spitfires dropping bombs on open fields, trying not to hit civilian buildings. Recalls stories about the end of the war: how the Rivolto air base had been prepared for demolition and abandoned tanks at Passariano being disassembled by adults while youngsters were salvaging clothing, blankets and ball bearings.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Pietro Commisso
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-10-28
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:12:59 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Codroipo
Italy
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1941-02-28
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Marco Dalla Bona
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ACommissoM161028
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
anti-aircraft fire
bombing
childhood in wartime
home front
Pippo
Resistance
Spitfire
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/172/410/AColomboS161203.2.mp3
b629dae753178122dfd78c8f8671095d
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/172/410/PColomboS1602.1.jpg
3ff2c03b49be64a9108a83ed14dad24e
Dublin Core
The Dublin Core metadata element set is common to all Omeka records, including items, files, and collections. For more information see, http://dublincore.org/documents/dces/.
Title
A name given to the resource
Colombo, Santina
S Colombo
Description
An account of the resource
One oral history interview with Santina Colombo who recollects wartime experiences in Milan.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-12-03
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Colombo, S
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
ZG: L’intervista è condotta per l’international Bomber Command Centre. L’intervistatore è Zeno Gaiaschi, dell’Associazione Lapsus. L’intervistata è Santina Colombo e nella stanza è presente Greta Fedele, come parente, e sara Troglio dell’associazione Lapsus. È il 3 dicembre 2016, e siamo in via [omitted] a Milano. Iniziamo. Prima della guerra, che lavoro facevano i suoi genitori?
SC: Contadini. Ma la mamma era a casa perché aveva, avevo il fratellino che aveva quattro anni, mia sorella ne aveva sette e io ne avevo undici prima della guerra.
ZG: Qual è il ricordo più lontano nel tempo che ha?
SC: Il ricordo più lontano è quando sono morti i nonni, diciamo, e poi quando c’era mio zio lì nel cortile dove abitavo io, io abitavo al primo piano, lui al pianterreno, facevano i contadini però avevano la radio e quando hanno comunicato che il Duce ha fatto la, si è messo con Hitler, tutti contenti all’inizio ma c’era anche chi non era contento, come mio papà, è sempre stato un comunista, no, socialista, socialista, e non era contento. E poi, il pensiero della guerra, perché iniziava la guerra dopo. Quello lì è il ricordo più brutto che ho, quando ero una bambina ecco.
ZG: Mi racconti un pochino della sua famiglia.
SC: Sì.
ZG: Come viveva la sua famiglia prima della guerra.
SC: Prima della guerra, dunque… Papà è nato nel ’91 e la mamma nel ’99, 1999 [sic]. E si sono sposati nel ’27 o ’28, io sono nata nel ’29 eh. Papà era contadino, sempre stato contadino e la mamma pure, che non è mai andata al lavoro negli stabilimenti, faceva la contadina. Quando sono nata io la mamma è stata a casa. Dopo, avevo quattro anni, avevo quattro anni, è nata mia sorella, è nata mia sorella e la mamma non è più andata al lavoro finché nel ’36 è nato mio fratello, è andata al lavoro, ha cominciato nel 1940 andare al lavoro ancora. Io ero la più grande e dovevo curare sorella e fratello, anche se ero ancora piccolina io [laughs]. Però, però non c’era niente da mangiare, è quello perché… la carne si mangiava a Natale, a Pasqua e alla festa del paese, la carne. E se no c’era il risotto col lardo, o risotto coi fagioli, minestra e taleggio e una mela in cinque. Che papà la sbucciava, io ero la più grandina, ero qua vicina, una fettina perché si può immaginare una mela in cinque, la dava prima a me, poi la dava a mia sorella di là intanto che lei guardava la mela io le davo una pedata sotto il tavolo, e la mela gliela mangiavo io [laughs], perché insomma ero la più grande e insomma non bastava quello che mi dava perché anche la minestra e il risotto era abbastanza poco. Lavorava solo il papà, eravamo in cinque. Non è che avevamo l’appartamento perché c’era un locale un po’ più grande di questo, il papà l’aveva diviso a metà con delle perline di legno, c’era la camera con il letto matrimoniale del papà e la mamma e i tre lettini per noi e la cucina ci stavamo appena appena dentro a mangiare. Poi il papà aveva preso un pezzettino, il cortile era grande e gliel’ha chiesto lì al proprietario, le ha dato un pezzettino di terreno, ha fatto l’orto. Fatto l’orto con un bel sgabuzzino di legno e lì coltivava la verdura, lui è sempre stato coltivatore di verdure e quando avevamo i soldi, perché i soldi li portava a casa solo lui, avevamo i soldi, ho detto ‘io prendo due oche, prendo due oche, li metto là nel giardino e la sera, la sera le portiamo di sopra perché se no ce le portano via’. In più alla sera in casa aveva fatto come un, non diciamo stabiello per il maiale, però ha fatto un recintino piccolino con della paglia sotto per le due oche che metteva lì alla sera andava giù a prenderle e portava di sopra. Il mattino le portava giù prima di andare al lavoro, erano giù. E noi andavamo là, noi bambini portavamo un pezzettino di pane ma poco perché mancava a noi e le davamo da mangiare. Però prima di Natale, quando era buona per ucciderla, la uccidevano e la mettevano dentro nella, adesso non ricordo più come si chiama, si chiama giara o cosa, che la facevano andare con il lardo e un po’ di olio poco, burro, perché l’olio costava di più del burro e la mettevano dentro a pezzi, dentro ne quella giara lì, sotto la finestra in camera, che prendeva un po’ di freddo, e ogni tanto, ogni tanto, ogni quindici o venti giorni tiravano fuori un pezzettino, la facevano andare con le verze, una specie di verzata. Piuttosto del maiale si metteva l’oca e si mangiava, però andava benone. Quello che mi ricordo prima della guerra, dopo [laughs].
ZG: È stata fantastica. Ehm, si ricorda di quando è scoppiata la guerra?
SC: Sì. Quando è scoppiata la guerra dove abitavamo noi, in via Lampugnano al 175, e lì erano tutte case a pianterreno, primo piano e pianterreno, cantine non ce n’erano. Quando suonava l’allarme per i bombardamenti dovevamo fare la via Lampugnano, andare in via Beolchi, dove c’era la casa lì, che era una casa fatta su cantine e lì era il rifugio, ma era una cantina diciamo e però ci trovavamo là tutti assieme. Di notte quando suonava l’allarme, dovevamo saltare fuori dal letto, coprirsi con la coperta che avevamo su sul letto e scappare via con gli zoccoli, e via e andare. Stavamo là finchè suonava il cessate allarme e poi si tornava a casa. Poi una volta, mi ricordo che avevo dodici anni, e sono andata con mia mamma in via Novara, che lì aveva degli amici, dei parenti, degli amici più che parenti, che abitavano qui, si erano sposati e l’hanno invitata ad andare là a vedere la sua casa. E siamo andati, mi ha detto vieni anche te, vieni anche te. Eravamo lì che stavamo per partire, venivi a casa a piedi eh, da via Novara che dopo comincia via Rubens, e suona l’allarme, abbiamo dovuto fermarci lì e siamo andati giù nel rifugio lì suo dove abitavano loro. Suonato il cessate allarme, abbiam preso e siamo venuti a casa. Sulla via Novara sui marciapiedi abbiamo visto tre morti che sembravano, non dico lo spavento che ho preso quella volta lì perché c’erano fuori gli han sparato proprio nella testa che è andata giù una bomba in Via Novara dove ci sono tutte quelle case lì adesso, ecco. Comunque niente, siamo venuti a casa e tutta spaventata io perché, eh, era la prima volta che vedevo i morti così. Sì avevamo paura che quando suonava l’allarme perché si diceva se viene giù una bomba qui altro che andare giù con la casa qui. Però. Così.
ZG: Invece proprio, si ricorda del giorno in cui è scoppiata la guerra? Di come gliene avevano parlato gli adulti, di come gli è arrivata la notizia?
SC: Sì, come l’ha detto mio zio lì che aveva la radio lui che avevano fatto il patto con Hitler e, però il giorno preciso non mi ricordo, perché ero una bambina, eh. Mi ricordo quel giorno qui, quando hanno ammazzato quei partigiani lì.
ZG: Mi racconti pure.
SC: Ecco. Quel giorno qui era il 26 aprile del 1945. Il 25 aprile la radio aveva detto che la guerra era finita. Il 26 aprile del 1945, mentre sorgeva l’alba della liberazione, cadevano al loro posto di combattimento Casiraghi Eugenio di anni 37, Del Vecchio Luigi di anni 42 e Grassi Erminio di anni 22. Erano partigiani della 44esima Brigata Matteotti. E sono stati i fascisti di questo rione, di Trenno, perché prima si chiamava Trenno, e sono stati i fascisti a dirli, ‘andate lì in via Novara che arrivano i partigiani, vi danno dei sacchetti di roba da mangiare’. Loro c’hann creduto e quando sono stati lì all’altezza lì dove c’è l’Harbour in via Cascina Bellaria e lì li hanno ammazzati dentro in un fossettino. Li hanno fatti buttare dentro, li hanno detto di andare dentro nel fossettino, li hanno uccisi loro, i fascisti di Trenno. E meno mal che el mi mari non è andato perché doveva andare anche lui, assieme al Grassi Erminio che era suo amico.
ZG: Si ricorda perché li uccisero?
SC: Eh perché erano partigiani e non erano fascisti. Perché qui ce n’erano diversi eh di fascisti a Trenno.
ZG: Dei fascisti, cosa è successo dopo, insomma a queste persone che?
SC: Dei fascisti, c’erano dei fascisti che abitavano a Trenno e erano lì in via Novara dove adesso c’è la Rete, l’albergo, il ristorante La rete che adesso è chiusa. Erano lì in via Novara e siccome, come le ripeto mio papà era un socialista e non aveva la tessera dei fascisti, mio papà e dieci altre persone assieme a mio papà li hann portati lì in via Novara e li han dato giù una bottiglia di olio di ricino da bere di mezzo litro a tutti e dieci, che son stati male dopo per cinque o sei giorni, ecco. Erano gente, amici qui di Trenno, proprio che si conoscevano.
ZG: E dopo la guerra, a questi fascisti qua cosa è successo?
SC: E dopo la guerra meno mal chi mort, pace all’anima sua che son morti senza ammazzarli noi, perché l’odio c’era eh solo che beh io ero una bambina, però mio papà e gli altri suoi amici che sono andati là a bere l’olio di ricino avevano voglia di ucciderli loro. Invece son morti. Dopo la guerra a uno a uno sono andati tutti e cinque, che abitavano lì in via Rizzardi avanti.
ZG: Tornando, diciamo, alla guerra, ai bombardamenti, lei cosa faceva durante la guerra, lavorava ha detto, e dove lavorava?
SC: No, ho lavorato due anni all’ippodromo San Siro a tirar su i sassi, però per tre o quattro mesi. Poi ho incominciato a imparare a fare la rammendatrice, a quindici anni ho imparato a fare la rammendatrice, poi sono andata a diciassette in una ditta in via Lario che andavo in bicicletta da qui fino là in via Lario che è vicino al Niguarda in bicicletta anche se pioveva in mano la bicicletta con mano l’ombrello e andavo là a lavorare, fare la rammendatrice. Che lavoravamo i tessuti che venivano da Biella per il Galtrucco di Milano.
ZG: E Le è mai capitato che suonasse un allarme antiaereo quando era sul posto di lavoro?
SC: No, no, perché lì ho cominciato a diciassette anni.
ZG: Quando… quindi l’allarme antiaereo le è capitato che suonasse solo quando lei era ancora a casa.
SC: Quando ero a casa che stavo imparando a rammendare in via Belfiore, allora lì sì anche lì che ero lì imparare a rammendare è suonato l’allarme e mi ricordo che la proprietaria del negozio lì dove stavo imparando aveva la casa dove c’è adesso il, prima c’era il Zenith in Corso Vercelli all’inizio e adesso invece mi sembra che c’è una libreria, prima c’era il Zenith, e lei abitava lì e una bomba è andata giù e ha buttato giù tutto e lei è rimasta senza casa né niente. Meno male che era lì nel negozio e che ero da sola, è stata lì e mi ricordo che eravamo lì quando è suonato l’allarme siamo andati in un’altra casa che avevano anche lì la cantina e siamo andati lì. Però eravamo in via Belfiore e la bomba è andata giù in Corso Vercelli. Anche lì un bello spavento perché dopo avevo paura a venire a casa perché venivo a casa a piedi da lì eh. Dopo non passavano più né tram né autobus perché andando giù la casa avevano ostruiti anche il passaggio dei tram che arrivavano fino a qui in Perrucchetti.
ZG: Quando eravate nei rifugi, nelle cantine, come passavate il tempo?
SC: Pregando. Pregando tutti, anche gli uomini, che rispondevano [pauses] Nella paura, eh.
ZG: Si ricorda che preghiere facevate?
SC: L’Ave Maria e il Padre Nostro. C’erano le donne più anziane che dicevano “oh Signur, oh Signur, e tont i, e tont i” e poi “Padre Nostro, che sei nei cieli”, poi si ripeteva tutti. E l’Ave Maria.
ZG: Ehm, quando poi finiva l’allarme, come lo sapevate che era finito l’allarme?
SC: Perché suonava, suonava il cessate allarme. Suonava e allora ci guardavamo tutti in faccia, ci abbracciavamo noi bambini e i più grandi e poi ‘ciao ciao’ e si tornava a casa, perché magari durava un’ora, un’ora e mezza, e anche due. Di giorno era un conto ma di notte era un altro.
ZG: Lei si ricorda cosa è che la sconvolgeva di più quando eravate in cantina? Qual’era il ricordo più forte che ha?
SC: Il pensiero che andasse giù una bomba dove c’era la mia casa. Come quei terremotati che sono là adesso là, che hanno sempre il pensiero di dire ‘la casa non c’è più, cosa facciamo‘. Lì è proprio una guerra anche lì eh.
ZG: E invece sulla strada per casa come tornava? Lei era sempre con i suoi genitori?
SC: Sì sì tutti e cinque si andava là quando suonava l’allarme. Di giorno no perché il papà era all’ippodromo. E se capitava di giorno andavo io con i miei fratelli e la mamma. Ma la maggior parte era di notte.
ZG: Lei per caso aveva parenti che combattevano al fronte?
SC: Nella seconda, non nella terza. Che sono morti, che c’è qui la scuola di Trenno ci sono due aule con il nome dei fratelli del papà, Colombo e Colombo, che sono morti nella seconda guerra mondiale.
ZG: E dove sono morti, lei lo sa?
SC: Non lo so, non lo so perché io è già un dispiacere il papà quando gli hanno dato il nome alle due aule io andavo a scuola lì dopo. Però lui non mi ha mai detto niente e io non chiedevo niente.
ZG: Invece ha, per caso aveva parenti che invece lavoravano nell’industria bellica?
SC: No, avevo parenti che sono andati coi tedeschi. Una zia e una cugina.
ZG: Le va di…
SC: Mamma e figlia. Con due tedeschi.
ZG: Ma che sono andati a vivere proprio in Germania?
SC: No, che sono andati lì in casa sua, in via Lampugnano al 170 la sera. Andavano lì e la figlia è rimasta gravida, il figlio che è nato era proprio un tedesco, non era figlio di un mio cugino marito di lei.
ZG: Come, che ricordo ha dei tedeschi durante l’occupazione?
SC: Paura. Loro quando erano venuti qui alla scuola, venuti qui alla scuola che passavano allora alla via Lampugnano c’erano giù i sassi e con i due, le beole che dicevano i trottatori, ecco. Prima di tutto non c’erano luci perché c’era un lampione qui in, la piazza dicevano la piazza dove c’è adesso il semaforo. C’era un lampione lì, poi ce n’era uno là vicino alla scuola, può immaginarsela la strada tutta buia. Ma quando passavano i tedeschi con quelli scarponi lì. Io avevo la finestra proprio sulla, la camera sulla via Lampugnano e facevano rimbombare anche i vetri, perché allora i doppi vetri non c’erano. Che passavano e cantavano e con quelli stivaloni lì facevano una paura enorme guardi. Io li guardavo dalla finestra, guardavo giù ma avevo una paura, avevo quattordic’anni, quindici eh.
ZG: Lei non ha avuto nessun episodio in cui le è capitato di avere a che fare con i tedeschi?
SC: No no.
ZG: Quando la guerra è finita, si ricorda il giorno della liberazione?
SC: 25 aprile, il 26 hanno ammazzato questi qui.
ZG: Ma si ricorda di come le è arrivata la notizia che la guerra è finite?
SC: Sempre lì dallo zio, che aveva la radio perché in casa mia fino a diciott’anni non c’era né radio né giornale. Leggevo il giornale perché me lo passava mio zio che lo comperava lui, se no... Ecco dopo mi ricordo che eravamo in quattro cinque amiche e in via Novara, adesso non ricordo quella via lì, dove c’è la posta che va giù, quella via lì non mi ricordo, che si va giù in fondo c’è la caserma, c’è la caserma e lì c’erano gli americani. Allora quelli più grandi sono venuti a casa e l’hann detto che noi eravamo là all’oratorio, era domenica si andava all’oratorio, si andava in chiesa il pomeriggio poi si andava all’oratorio dalle suore, e son venuti a casa e c’hann detto ’andate lì, andate lì che gli Americani sono là alla finestra, se vedono le bambine’. Allora io avevo quindic’anni, sedic’anni, ’se vedono le bambine o le ragazze, buttano giù le tavolette di cioccolata’. Allora si andava a piedi fino a là e c’hann buttato giù le belle tavolette di cioccolata ma bisognava tagliarlo col coltello talmente era alto era buonissimo. Ecco il ricordo degli americani al confronto con i tedeschi.
ZG: Prima ha detto che suo marito da ragazzo era stato partigiano.
SC: Sì, era partigiano, era amico con questi. Dopo quando i fascisti, lui non so se l’ha sentito tramite qualcun’altro, i fascisti gli hann detto ’andate in via Novara perché arriva una colonna di partigiani vi danno qualche sacco di roba da mangiare’. Sono stati i fascisti a dirglielo. Loro sono andati ma quando sono stati lì in via Bellaria all’altezza qui dove c’è la lapide che l’ho fotografata ieri mia figlia quando m’ha portato a casa, e dopo io ho scritto tutto quello che c’era scritto e c’era la lapide lì e lì c’era un fossettino perché erano tutti campi prima, c’era un fossettino che passava l’acqua, li hann fatti sdraiare lì e li hanno uccisi loro, fascisti di Trenno. Ma mio marito non è andato e si era nascosto in un solaio ed un altro suo amico in via Luigi Ratti, s’era nascosto lì nel solaio, è rimasto lì per due giorni che li portava su da mangiare il suo amico perché aveva paura che i fascisti magari lo vedessero in giro e …
ZG: E si ricorda che cosa faceva come partigiano suo marito prima della, durante la guerra?
SC: No, no, perché [unclear].
ZG: È un argomento di cui non avete mai parlato?
SC: No, no, perché poi lui è andato a studiare in seminario perché il papà aveva un tumore alla faccia, aveva un tumore alla faccia e la mamma faceva la magliaia e sua so, le è morto un fratello a diciotto anni del tifo ma quello non c’entra niente e lui voleva andare avanti a fare il liceo ma la mamma gli ha detto io non posso, non posso perché … allora lui per poter avere il diploma lì del liceo è andato in seminario a studiare. Ha parlato, la mamma ha parlato coi missionari, è andato là è Madonna non ricordo il nome, è vicino a Monza, è venuto a casa che aveva il liceo ecco però non eravamo ancora fidanzati e sapevo solo quello.
ZG: Le ragazze di cui ci parlava prima, che erano andate coi tedeschi, dopo la liberazione cosa le è successo, lo sa?
SC: No. È successo che l’ha saputo tutto il paese. Una era mia zia eh, che non era una ragazza, e l’altra era mia cugina sua figlia, che si era appena sposata è rimasta incinta ma quando è nato il figlio, per non dire che non è stato il marito perché non era giusto, che mancavano più di, quasi tre mesi, hanno detto che era un settimino, per non dire di sei mesi. Che poi il figlio era proprio un tedesco. Tedesco di nome no, ma di fatti. Ma di fatti.
ZG: In generale, qual’è il ricordo più forte che ha della guerra, quello che le è rimasto più impresso?
SC: Quando ho fatto la via Novara che ho visto quelle tre persone con tutte le, le cose fuori dalla testa. Le cervella, che sembrava la cervella che si prende dal macellaio per impanare e mangiarla. Ecco, l’impressione più brutta era quella [pauses] che mi è rimasta, perché qui in pratica qui a Trenno non è successo niente all’infuori di questo che dopo siamo venuti a conoscenza e odiavamo quei ragazzi lì. Che fra l’altro il fascista di questi adesso c’è l’Ambrogio Giroli era suo zio.
ZG: Torniamo di nuovo ai bombardamenti. Cosa, cosa le dicevano di chi bombardava?
SC: Eh, che erano i tedeschi. Dopo a volte dicevano che erano gli americani, invece erano i tedeschi. E poi mi ricordo, mi spiace che non la trovo più perché quando hanno ucciso il Duce in Piazzale Loreto con la Petacci, io avevo la fotografia che è andato mio marito a fargliela. E avevo una cartolina. Non la trovo più, non la trovo più, non la trovo più, l’ho cercata apposta per farvela vedere a voi.
ZG: È una foto che le ha fatto…
SC: Che le fatto mio marito in Piazzale Loreto col Duce appeso in Piazzale Loreto e la Petacci e altri due.
ZG: Cosa pensava di chi la bombardava, lei?
SC: Cosa pensavo. Che erano dei disgraziati. Ma disgraziato più è stato il Duce che ha fatto il patto con Hitler, eh. Però essendo una bambina non avevo radio, non leggevo giornali.
ZG: Degli inglesi invece cosa pensava?
SC: Io non so perché, io ho pensato solo agli americani. Degli inglesi non pensavo niente.
ZG: E degli americani?
SC: E degli americani pensavo bene, perché sono venuti a liberarci, eh. Che quando sono arrivati gli americani la prima volta che gli abbiamo visti sono arrivati lì con quelle jeep, non so io cos’erano, in fondo a via Lampugnano che adesso c’è il Palatrussardi ecco, siamo andati fino a là per vederli. Perché si erano fermati là e noi da qui a Trenno, noi ragazze, che avevamo quindici anni, sedici, siamo andati, chi diciassette, chi diciotto.
ZG: Ci hanno raccontato di un episodio di un bombardamento alla Cascina Bellaria.
SC: Bravo.
ZG: Lei se lo ricorda?
SC: Bravo, sì, bravo.
ZG: Si ricorda l’episodio?
SC: Sì non mi ricordo ma so che è andata giù una bomba lì alla Cascina Bellaria, ma allora era tutto prato lì. Il parco lì proprio c’era solo la cascina e basta.
ZG: Per caso si ricorda l’anno?
SC: No.
ZG: Invece ha mai sentito parlare del Pippo?
SC: Pippo? Cos’è il Pippo?
ZG: Un modo di dire in alcune parti di Milano in cui si parlava di un aereo che volava, un solo aereo che volava di giorno e di notte sopra la città.
SC: Mai sentito.
ZG: Senta, invece adesso che cosa pensa di chi la bombardava?
SC: Eh, cosa penso. Che erano dei maledetti, che cosa si pensa? Che cosa si può pensare? Io devo dirmi fortunata perché dei miei parenti nessuno è stato, è stato preso, diciamo, nei bombardamenti o, però la paura che c’era…
ZG: Invece, finita la guerra, la vita com’è cambiata lei e la sua famiglia?
SC: Eh un po’ diversa perché ho cominciato a lavorare, facevo rammendi, mi ricordo che il primo rammendo che ho fatto qui a Trenno, un buco di sigaretta in una giacca e ho preso cento euro [sic]. Un buco di sigaretta e ho preso cento euro [sic]. Allora, perché allora facevano anche rivoltare le giacche. Chi faceva l’impiegato consumava tutta la, il bordo qui della giacca e allora me lo portavano qui e io lo rammendavo. C’era il trucco. Si faceva così, ecco, e mi ricordo che ho cominciato a star bene lì. E mi ricordo che avevo diciotto anni e ho preso le prime calze di nylon, se no c’erano i calzettoni di cotone fino al ginocchio. Le prime scarpe che ho preso avevo il 35, mio papà mi ha preso il 38 perché ha detto che dovevano durare tre o quattro anni, che il piede si allungava. Quando non ci è stato più dentro il piede, li ha portati da un calzolaio qui a Trenno che era anche un cugino, Colzani, m’ha tagliato il tallone e ha lasciato il cinturino per fare i sandali, però metà tallone era giù fuori dal tacco delle scarpe. E dopo ho dovuto metterle via, pulirle bene per mia sorella. E al tempo di guerra, a Natale, ci si alzava sul tavolo là in cucina c’era per me e mia sorella perché allora mio fratello era ancora piccolino, un mandarino, un torroncino Sperlari nella scatoletta di cartone che era più bella la scatoletta che il torrone che c’era dentro, cinque spagnolette, torroncino, cinque spagnolette, il mandarino e una bambolina di pezza che ha fatto mia mamma, che dovevo tenerla in mano a Natale, Santo Stefano, poi metterla via per mia sorella. Quello era il Natale, in tempo di guerra. E il panettone, tagliava il panettone di mezzo chilo perché quello da un chilo non si poteva prendere, mezzo chilo lo tagliava, lo tagliava tre quarti, un quarto lo metteva via per febbraio, San Biagio come tradizione.
ZG: Bene. Per noi siamo a posto così
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Title
A name given to the resource
Interview with Santina Colombo
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Zeno Gaiaschi
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-12-03
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:35:13 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Po River Valley
Italy--Milan
Italy
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1945-04-26
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
Rights
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An account of the resource
Santina Colombo describes her early life in a family of farmers, her father a fervent socialist. She mentions the start of the war announced on the radio and gives a detailed account of civilian life in wartime Milan: scarce food, growing vegetables on small plots, home rearing of geese, and the constant fear for the fate of enlisted relatives. Describes bombings and the rush for safety in a nearby basement, men and women praying together during the alarm, and hugging each other after the all-clear signal. Recalls the constant fear that her home would be destroyed and the trauma of seeing corpses on the road. Mentions the Cascina Bellaria killing and describes how her husband, a partisan, narrowly escaped death. Describes fascist violence, leading to acts of revenge after the war. Mentions her aunt and cousin living with the Germans, the latter to become pregnant. Speaks of aircrew as odious and detestable, and scorns on Mussolini and Hitler.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AColomboS161203, PColomboS1602
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
bombing
childhood in wartime
civil defence
faith
fear
home front
Mussolini, Benito (1883-1945)
perception of bombing war
Resistance
-
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PC: Quella per esempio di Piazzale Loreto e dei partigiani ce l’ho impressa proprio come una cosa che prio che. Ma mi ricordo proprio i particolari dietro la finestra con le serrande un po’ perché se ti sparano dentro e ti vedono non so. Io ho sentito tutto, ho sentito ma non ho visto niente. [part missing in the original file] c’erano dei conoscenti che avevano la casa in via Della Doria e sull’angolo di via Palestrina secondo piano e lì ho visto, ho visto, ho sentito il camion quando portavano i partigiani in Piazzale Loreto perché da lì dove ero io erano sì e no cento metri. [part missing in the original file] le dirò una cosa che si era fermato proprio questo, non lo so cos’era un camion, non lo so, c’erano dentro questi [part missing in the original file] partigiani che poi hanno fucilato. E si vede che uno è scappato, si è fermato lì [part missing in the original file] so che è stato fucilato uno di questi, è stato fucilato proprio lì davanti alla porta dove abitava [part missing in the original file] eccetera, noi eravamo dietro alla finestra, ma io ragazzino insomma non è che [part missing in the original file] il camion si è fermato e [part missing in the original file] abbiamo sentito delle mitragliatrici ma la cosa è finita lì. La mattina tutta la gente che correva, c’erano questi partigiani. Invece quando [part missing in the original file] è stato portato Mussolini, sempre lì nello stesso posto io non c’ero. Ero ritornato nella casa dove ero prima, in via San Martini al 23, che era abbastanza vicino anche questo [part missing in the original file] scene ho visto solamente il duce per terra. Tra l’altro li ho schiacciato anche una mano perchè all’inizio c’era gente che si accalcava ed era uno proprio lì davanti e era, il corpo era davanti e praticamente la gente ti buttava addosso perchè tutti volevano vedere [part missing in the original file] ho rischiato di morire sotto i bombardamenti perchè mi trovavo in Piazza Loreto [part missing in the original file] andato per prendere dei colori perchè allora mi era venuta la mania della pittura [part missing in the original file] sentivo delle mitragliate a mezzo metro ma una cosa strana perchè non capivo cos’era, cioè al momento non si capiva poi è suonato l’allarme sono andato in corso Buenos Aires e volevo entrare in una cantina [part missing in the original file] in un rifugio [part missing in the original file] ma lì di rifugio non ce n’era, finiva [part missing in the original file] allora ho detto qui [part missing in the original file] se viene giù una casa e ho attraversato, sono andato dall’altra parte [part missing in the original file] come ho attraversato la strada dall’altra parte quella casa che ero stato prima era andata giù [part missing in the original file] a vivere a Milano non era tanto facile. Il bombardamento dell’agosto del ’43, ogni bombardamento [part missing in the original file] mille morti ogni bombardamento a Milano, eh. Non c’è mai la commemorazione. Ci sono la commemorazione delle Fosse Ardeatine, ci sono le commemorazioni, per esempio di Gorla, dei bambini di Gorla che sono morti tutti nella scuola e c’erano allora delle persone che difendevano perchè gli antifascisti difendevano gli Alleati, i liberatori che se loro facevano queste cose purtroppo la guerra l’abbiamo voluta noi [part missing in the original file] io non ero, non ero d’accordo [part missing in the original file] vede in quel periodo ero [part missing in the original file] dicevo qualcosa del genere passavi per fascista, fascista alla mia età non lo potevo essere [part missing in the original file] sul libretto di lavoro c’era [part missing in the original file] cioè sei iscritto al Partito Nazionale Fascista? No. Sei iscritto al Sindacato Fascista? No. Hai fatto la Marcia su Roma? Sui libretti di lavoro naturalmente sono tutti stampati alla stessa maniera. [part missing in the original file] da Geloso sono entrato lo stesso, cioè voglio dire, non mi hanno richiesto nessuna tessera [part missing in the original file] ecco una cosa che mi ha segnato molto [part missing in the original file] quando lavoravo da Geloso, io ero amico con tutti, ero ragazzino, e c’era uno che reparto verniciatura che era fascista eh ma si parlava di tutto meno che non, mi interessava, data l’età. Quando è finita la guerra questo faceva parte non so di quelli che vanno in giro ma è una bravissima persona cioè vista così non … se abbia combinato cose. Allora volevano sapere da me, mi hanno fatto l’interrogatorio, i miei amici, amici, quelli che si lavorava assieme mi hanno puntato il mignolo [part missing in the original file] e niente, mi hanno fatto un interrogatorio per sapere se io sapevo qui, sapevo là, ma cosa, se quello faceva delle cose le veniva a dire a me, mai più, e anche lì ho avuto dei problemi. Sono passato per fascista. Poi data la faccenda che sono stato per andare a vedere ero perseguitato antifascista, mi hanno mandato dei regali e compagnia bella. Da una parte io, ecco la situazione ed erano momenti brutti, io se non era per mia mamma che era anziana, mia mamma, mia zia che praticamente col poco stipendio che prendevo sarei venuto via appunto per l’umiliazione per le cose che ho avuto dentro lì. Era stato un periodo brutto [part missing in the original file] in tempo di guerra siamo venuti a Milano per comprare del materiale, portando olio perchè l’olio era una cosa, è come, era come un lingotto d’oro eh portare l’olio era, potevi ottenere qualsiasi cosa [part missing in the original file] e vedo il piazzale della stazione a un certo tratto vedo un signore con un soprabito e mi domanda cosa ho nella borsa, avevo appunto l’olio e a momenti mi arresta e lì veramente e mi ha detto di non farlo più, ha visto come ero spaventato, ha visto che praticamente ero ragazzino e mi ha lasciato perdere perchè erano quelli che controllavano appunto chi faceva la borsa nera. [part missing in the original file] Poi sono ritornato a Milano come le dicevo proprio per i bombardamenti [part missing in the original file] si parlava dello sbarco. Incominciavano a dire se poi arrivano gli americani, arriva la cosa, a Milano non ci ritorniamo più e allora visto che lì era peggio che stare a Milano in tempo di guerra praticamente siamo ritornati là, e siamo arrivati giusti giusti per i bombardamenti [part missing in the original file] ho perso tanti amici sotto i bombardamenti [part missing in the original file] era molto facile alla mia età lasciarsi convincere a fare delle cose che poi erano i grandi sa che ti mandavano a fare delle cose che non dovevano fare questi ragazzi [part missing in the original file] io abitavo in una via dove, praticamente alla stazione centrale, dove ce n’erano di cotte e di crude. Io ho visto i fascisti, ho visto i partigiani, e se devo essere sincero ho visto più cattiverie fatte dagli anti che da questi. Purtroppo quelli hanno perso la guerra, sono state delle carognate perchè come dico io ero un candidato ad andare in Germania come ostaggio dunque se è uno che deve parlare male sarei io però c’erano delle bravissime persone sia da una parte che dall’altra. Io ho conosciuto degli amici che poi sono stati capi, dato la mia età, sono stati capi partigiani però delle persone veramente degne, sono persone veramente, insomma che hanno tutto, intelligenti, oneste. Poi c’erano i delinquenti, i delinquenti c’erano da tutte le parti. Io ho conosciuto delle persone che sono andate in Germania perché hanno rubato, tempo di guerra sono ritornati indietro come eroi, come martiri e compagnia bella. Insomma purtroppo la guerra non ci dovrebbe mai essere perchè più che una guerra quella è stata una guerra civile. [part missing in the original file] una volta mi ricordo si era fermato un camion dei partigiani, era pieno di partigiani. Tra l’altro persone che conoscevo che sono andati a fare i partigiani il giorno prima. Però avevano la voglia di fare i liberatori, non so. E niente, scendevano, tutti armati di cosa quello mi ha fatto impressione, pistole, bombe a mano, tra l’altro ne hanno dato un paio anche a me [part missing in the original file] alla portinaia, la signora Maria perché le portinaie tutte Marie, se c’era qualcuno da sistemare, cioè da [part missing in the original file] c’era veramente paura da andare in giro perché una mirtagliata, una sparata [part missing in the original file] durante queste cose l’hanno ammazzato, si vedeva, era una persona, poi era vecchio coi capelli bianchi, solamente perchè il figlio era non so alla Decima Mas e allora non ha detto dov’era il figlio hanno ammazzato lui una roba così insomma [part missing in the original file] senza casa, senza coso, si andava a mangiare nelle scuole poi la scuola il giorno dopo non c’era più perché andava giù delle bombe allora se ne cercava un’altra. Ho dormito tre giorni in, due o tre giorni adesso non mi ricordo, sui marciapiedi della Via San Martini, quelli lì proprio alla Stazione Centrale perché con le case che bruciavano e compagnia bella non c’era mezzo e stavamo lì. Mangiare qualche maniera, insomma anche quelli che erano al fronte hanno fatto una vita ma anche noi in città specialmente i ragazzini ne hanno sofferto tantissimo. E quelli che hanno avuto i ricordi come i miei. Magari quelli che erano in campagna che hanno vissuto cose per cui non c’erano queste cose sono venuti a Milano dopo ma io che proprio in quel periodo ero a Milano e ho sofferto veramente la guerra, la fame. Sa quante volte sono andato a letto con la fame e ti svegliavi con la fame. Con la casa mezza bombardata, che il tetto veniva giù acqua dappertutto. Ogni tanto mi svegliavo di notte che mi cadeva l’acqua in faccia perché era un’altro. Avevamo messo tutti pentolini sembrava una sinfonia che suonava. Poi quando sentivi la nota stonata era perché non c’era il pentolino e andava sul pavimento o se no mi veniva in faccia. Purtroppo si viveva in questa maniera qui [part missing in the original file] è stata una brutta avventura veramente, dei brutti ricordi, ecco. Adesso è tutto bello. Vede, i giovani al giorno d’oggi, quando io parlo dico ai miei figli ma avanzi la roba tu non sai in tempo di guerra ‘eh, papa’ e mia moglie ‘ma sì sempre le stesse cose che dici hai detto mille volte’ ho detto. Vorrei far capire ai giovani cos’era ma bisogna, queste cose devono essere fatte sulla propria pelle.
Unknown inteviewer: Vissute!
PC: L’esperienza personale, l’esperienza degli altri non insegnano niente.
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Title
A name given to the resource
Interview with Pietro Cosma
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Pietro Cosma (b. 1927) remembers the bombings of Milan and recollects two wartime anecdotes: the execution of a man in front of his home and Benito Mussolini’s corpse on public display in Piazzale Loreto. Describes wartime hardships: losses; food shortages; sleeping in a roofless house under the rain. Comments on the difference between the received narrative on the resistance and what he eye-witnessed, stresses the number of eleventh-hour partisans, describes the shift in perception after the end of the conflict, and mentions the ambiguous attitude towards war remembrance. Recalls being accused by his fellow workers of being a fascist.
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:10:24 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Memoro#5868
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Milan
Italy--Po River Valley
Italy
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1945-04-28
1943-08
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Memoro. La banca della memoria
Rights
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This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
License
A legal document giving official permission to do something with the resource.
Royalty-free permission to publish
bombing
bombing of Milan (20 October 1944)
childhood in wartime
civil defence
home front
Mussolini, Benito (1883-1945)
Resistance
-
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Title
A name given to the resource
Cosolo, Gualtiero Silvio
Gualtiero Silvio Cosolo
G S Cosolo
Description
An account of the resource
One oral history interview with Gualtiero Silvio Cosolo who recollects his wartime experiences in Monfalcone and in the surrounding areas.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Cosolo, GS
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
PC: Sono Pietro Comisso e sto per intervistare Gualtiero Silvio Cosolo per l’archivio dell’International Bomber Command Centre. Siamo a Turriaco, Gorizia, è il 26 08 2016. Grazie Silvio per aver permesso questa intervista. Prima di cominciare, vorrei farle alcune domande per essere sicuro che questa intervista venga registrata come desidera. È d’accordo che la sua intervista venga conservata presso l’Università di Lincoln, esclusivamente per scopi non commerciali, che l’università di Lincoln ne abbia il copyright e infine essere liberamente accessibile in qualsiasi formato per mostra, attività di ricerca, istruzione, come risorsa online?
GSC: Sì, vi do il consenso, molto volentieri.
PC: È d’accordo che il suo nome venga pubblicamente associato all’intervista?
GSC: Non ho nessuna contrarietà.
PC: È d’accordo di essere fotografato per l’archivio digitale dell’International Bomber Command Centre?
GSC: Sì, anche se non vengo bene perché ho le rughe ma a ottantaquattro anni non posso pretendere di più. E vorrei, se possibile, che mi faccia una bella fotografia.
PC: Grazie Silvio, possiamo cominciare. Allora, Silvio, mi dica qual’è il suo più vecchio ricordo a riguardo dei bombardamenti aerei della Seconda Guerra Mondiale.
GSC: Eh, questo qua è veramente un fatto singolare perché la prima esperienza che ho avuto, adesso io ho letto in qua e in là so che il bombardamento è stato effettuato il 17 marzo o giù di lì insomma del 1944 tra, il primo. Io mi son trovato proprio al centro di questo fatto perché frequentavo la scuola Ceriani, l’avviamento Ceriani di Monfalcone e quando è cominciato il, i bombardamenti naturalmente veniva suonata la sirena d’allarme e noi scappavamo tutti quanti perché ogni mattina succedeva questo, che passavano gli aerei che andavano a bombardare e suonava la sirena e noi scappavamo via con tutti i mezzi che avevamo. E non conoscendo la città di Monfalcone io distrattamente ho, credevo di far bene scappare verso la chiesa, verso il cantiere, così.
PC: Chiesa di Sant’Ambrogio?
GSC: No. Oh, perbacco. Verso l’Hannibal per esempio. La chiesa che finisce…
PC: Marcelliana.
GSC: Marcelliana, che era una chiesa dove si andava a fare le rogazioni cioè andavamo in processione da Turriaco a piedi naturalmente per le stradine per ogni anno si faceva questo voto. Io con la mia bicicletta mi trovai proprio nel momento che bombardavano il cantiere. E, o lo spostamento d’aria o la mia volontà di sopravvivenza, sono caduto nel fosso che era attorno il cimitero di Monfalcone ormai dismesso adesso e addirittura quando hanno cominciato mi cascava qualche pezzo di terra, qualcosa e sono stato testimone, mio malgrado, dei primi morti che hanno portato lì alla Marcelliana. Che l’impressione mi è durata per tantissimi anni, a veder questa carneficina, questi operai che venivano a brandelli, insomma è stato una, credo sia stato il più tremendo dei bombardamenti che aveva subìto e vedere tutto questo sangue, tutto questo, questi pezzi di, mi ha fatto almeno per dieci, quindici anni, ho avuto sempre questa impressione. E io mi son trovato proprio in questo frangente. Fortunatamente mi sono limitato a darmi una spolverata però ho visto quello che un ragazzo di dodici anni non avrebbe mai dovuto assistere. Ecco questa qua è stata la mia prima esperienza dopodichè non mi ricordo quanti altre volte hanno bombardato il cantiere, ma insomma a me era sufficiente aver assistito la prima volta. Questo è quanto. Le interessava di sapere qualcosa altro?
PC: Riguardo ai bombardamenti, quando avvenivano lei andava in rifugio antiaereo? Aveva un luogo preciso dove andava a rifugiarsi?
GSC: Allora questo qua anche che qualche tempo fa ho cercato di andare sul posto dov’era l’entrata della galleria, cioè l’uscita nella galleria che partiva dalla Piazza della Repubblica o come si chiama di fianco alla farmacia. C’era questo buco, questo bucone che non ho mai saputo per quale motivo era stata costruita, se durante la prima guerra mondiale o per la seconda. So che dopo questo bombardamento noi, specialmente delle scuole, correvamo sempre a rifugiarci dentro con biciclette tutto quanto dentro a questo. E mi ricordo questo posto che le prime volte mi faceva impressione perche c’era una farmacia dentro o qualche pronto soccorso poi c’era qualcosa che per dissetare quelli che avevano, no, niente di speciale. Ma adesso che rivivo in pratica questi momenti avrei piacere di visitarla a fondo perché mi è stato promesso. Quando ho fatto la mostra lì alla mutuo soccorso, c’era un responsabile, tra l’altro sarà anche suo amico perche s’interessava anche di reperti raccolti nella galleria, no, e mi aveva promesso che quando sarà mi inviterà a vedere e mi farebbe molto, molto piacere. Comunque eh quello che mi viene in mente quando mi prendevo questi appunti, potrei dare un suggerimento, se fosse necessario, a sollecitare chi di dovere cioè le autorità. Perché non valorizzare questo reperto storico per creare una galleria vera e propria. Potrebbe essere una galleria d’arte, si potrebbe trasformare in altre attività perché il posto anche sicuramente, anche se non è tanto accogliente però si può fare. Io, nel mio libro se posso parlare di questo, addirittura sfrutto le gallerie del Klondike, dell’Alaska e Siberia per, perché stanno realizzando un progetto della costruzione di una città che puo’ ospitare novecentomila, un milione di persone per sopravvivere alla futura e prossima fine del mondo. E se lo fanno loro e lo spiego anche perché usufruendo di qualche condotto che proviene del nucleo della Terra che ha seimila metri, un ingegnere italiano ha scoperto la maniera di usufruire di questa energia per creare l’acqua, l’aria e tutto ciò che occorre per fare, per dare la sopravvivenza a questo popolo. È un progetto futuribile naturalmente e naturalmente come tutte le novità, come tutte le cose anormali, sarà messo in forte discussione, sarà contraddetto magari, che non si può così non si può colà. Io nel, in questo libro spiego tutte queste cose e può darsi che mi diano anche del pazzo.
PC: Una domanda mi veniva in mente. Lei praticamente era un ragazzino esposto a questa esperienza drammatica dei bombardamenti aerei. Nel tunnel, visto che mi raccontava che c’andavate con tutti gli altri ragazzini della scuola, cosa facevate mentre eravate lì dentro?
GSC: Eh, sicuramente quella volta non si diceva casino, perché era una parola troppo grossa, però cagnara sì. Facevamo cagnara perché per noi dato che… Forse sono stato l’unico a avere un’esperienza diretta del primo bombardamento, li altri ridevano, la raccontavano, spintoni. Noi, specialmente i bisiacchi, che provenivano dai paesi della Bisiacaria, Turriaco, Pieris, San Canzian, non eravamo ben accolti dai monfalconesi, che erano, i monfalconesi erano sempre ben vestiti, fighetti, e quando che arrivava i bisiacchi, noi eravamo [background noise] o le papuze o i socui se posso dirlo e come vivavamo a casa così portavamo avanti il dialetto che avevamo imparato dai nostri anziani, dai nonni. E quando arrivavamo in classe, ‘oh, xe rivà, ga dit, ga ciot, ga fat,’ come che parlavasi quella volta. E c’era questo contrasto e i ne cioleva un pochetin pel fioco proprio perché parlavisi il bisiacco. Adesso magari tutti quanti vorrebbero essere bisiacchi, tutti quanti vogliono avere la radice bisiacca come fosse un marchio di fabbrica. E invece io sono testimone del contrario, che invece c’era un certo disprezzo come una razza inferiore ecco i bisiacchi. Non parlo di più perche’ ho tantissimi amici di Monfalcone, eh, con cui ho avuto e ho rapporti amichevoli e così, non voglio tradire questa mia amicizia, questa ammirazione che ho per loro.
PC: Dunque lei mi parla della gente di Monfalcone. Le persone di Monfalcone invece? Voi eravate ragazzini ma gli abitanti civili, le donne, gli uomini che erano rifugiati lì dentro invece cosa facevano nelle ore di attesa?
GSC: Diciamo che tutti quanti erano preoccupati, contrariamente a come si comportavano i ragazzi. Perché avevano della gente forse esposta, paura dei bombardamenti, specialmente quelli che lavoravano, era il 90% che lavorava in cantiere e naturalmente i genitori, i vecchi genitori erano preoccupati di altri bombardamenti, altre cose, perché anche la via romana, mi sembra è stato bombardato e mi ricordo la salita, della salita per andare alla stazione, sempre mi ricordo di un palazzo che è stato bombardato e c’erano stati anche dei morti. Eh, si volevo aggiungere una cosa, mi son dimenticato prima che noi ragazzi per frequentare la scuola dovevamo, se c’erano i bombardamenti o le, scappavamo via quando erano le sirene d’allarme dovevamo frequentare per recuperare le ore che perdevamo alla mattina, dovevamo tornare e il pomeriggio. Allora in questi casi qua dovevamo preparare il vasetto della pasta, della minestra da casa, e dove si fa sulla strada, no. Allora attraversavamo la galleria, andavamo su per il colle della Rocca, su due tre pietre facevamo un po’ di fuoco e mettevamo il vasetto della minestra per scaldare e approfittando di quella oretta che ci rimaneva al riparo delle pietre, di qualche pietra, di qualche coso, si ripassava le lezioni. Faccio per non è per un vanto però per far sapere ai nostri ragazzi che si lamentano sempre, e perche la, e la corriera e l’autobus e tutte queste cose qua, invece noi dovevamo adattarci a questo, a questo genere di cose per la sopravvivenza naturalmente e la scuola ne soffriva perché quello che io ho imparato è forse zero rispetto a quello che ho imparato dopo da solo con la mia volontà, leggere e frequentare corsi e tutto quanto, beh per recuperare quello che non avevo imparato a scuola. Naturalmente erano i tempi che erano. Perché quando ci portavamo a Monfalcone con il carro bestiame, coi operai andavamo fino al cantiere, dal cantiere a piedi fino a scuola. E dopo si finiva a mezzogiorno e dovevamo tornare a casa nei vari paesi a piedi e dov’era eh lungo la ferrovia, lungo la ferrovia e per venire a casa da Monfalcone ci volevano due ore almeno. E figurarsi in strada noi giocavamo anche perché i ragazzi malgrado tutte le condizioni avverse, rimangono sempre ragazzi con voglia di divertirsi e di scherzare.
PC: Quindi lei mi diceva, ma mi faccia capire bene, com’era effettivamente viaggiare con il pericolo di, che ci possa essere sempre un attacco aereo, lo spostarsi in quegli anni lì? C’era tensione, c’era paura? C’erano degli ovvi disagi?
GSC: Il disagio era proprio costituito dal fatto che bisognava tornare a casa a piedi e non era sempre tanto piacevole, specialmente d’inverno o con la pioggia, con tutti i tempi. Una cosa che invece era faticoso perché anche viaggiare sa, anche un treno anche se era merci ma in dieci minuti, un quarto d’ora arrivavamo a Monfalcone e non erano grandi viaggi, dove che, sì, poteva, poteva esserci questi fatti di bombardamenti. Ci si sbrigava subito. Quello che era invece più faticoso era andare con la bicicletta che siccome che mancavano le gomme, i copertoni delle biciclette, avevamo delle, dei tubi del vino, le canne da vino a mo’ di copertoni. Per cui era come le biciclette di Enrico Toti, non so se ha idea di, e la fatica era tantissima, specialmente in febbraio quando c’era il vento che durava un mese anche e noi andavamo sul crocevia di Begliano a aspettare la fila degli operai che si recavano al cantiere, e per attaccarsi alla coda perché davanti c’era sempre il più muscoloso che portava avanti la fila, come si vede adesso anche nelle gare ciclistiche c’è sempre uno che si alterna, che tira la coda. Noi facevamo lo stesso là però tutto ciò la fatica era enorme perché per ragazzi di undici, dodici anni, sa, maneggiare queste biciclette era un po’ difficile. Ma pericoli, pericoli, no, però s’incontravano delle scene naturalmente crude, nel senso che una volta proprio sul crocevia di Begliano c’era un rallentamento anche nella fila degli operai perché sulla strada erano quattro morti, quattro partigiani morti, che li avevano uccisi a mitraglia, a mitragliate, i repubblichini e li avevano lasciati lì. Mi ricordo tutti questi cadaveri, tutto l’asfalto pieno di sangue e anche quello è stato un fatto doloroso. Questi qua erano partigiani che li avevano imprigionati prima alle prigioni di Pieris e poi durante la notte li hanno liberati però c’era qualcuno che li aspettava per fucilarli. Questo qua è stato forse la cosa più brutta che mi è successo. E poi si vedevano delle camionette bruciate perché i partigiani quella volta erano molto attivi e non è che attaccavano le caserme però facevano azione di disturbo, come mettere qualche, far saltare obiettivi che erano importanti per i tedeschi e infatti sono delle cose che succedevano molto di frequente fino alla grande battaglia di Gorizia che è stato così, se posso raccontare?
PC: Mammamia!
GSC: L’8 settembre del ’43 mio padre che era in cantiere è stato avvertito insieme a altri compagni, sono riusciti a scappare dal retro del cantiere perché li hanno avvertiti che fuori c’erano dei camion che caricavano tutti gli operai che uscivano dal cantiere per portarli in Germania, così com’erano, in tuta o con abiti da lavoro e mio padre con altri sette, otto, sono riusciti a scappare e sono arrivati fino a Selz con la bicicletta e poi sono andati su in montagna, sono andati verso i paesi della Slovenia, della Yugoslavia quella volta, però Opacchiasella, mi raccontava questi particolari mio padre. Sai, tutti quei paesini lì e lì hanno combattuto ma non battaglie di grosse perché loro facevano azione di disturbo, nelle stazioni disturbavano i telefoni e le linee, azione più che altro di disturbo. E quando si preannunciava la grande offensiva dei tedeschi, tutta la gente dei nostri paesi era preoccupata perché si sentivano i rumori dei carri armati, di tutte le armi, cannoni, tutti quanti, si sentiva per tutta la notte che andavano sù. Risultato che seimila tedeschi armati fino ai denti si portavano verso le montagne per scatenare l’offensiva contro questi partigiani, che non erano tanti ma però davano disturbo. E c’è stato un fatto che mi ha addolorato e cioè mia madre che piangeva tutto il giorno perché si rendeva conto della gravità della situazione. Fortunatamente i capi dei partigiani, quella volta di buon senso, hanno avvertito tutti i capi famiglia, gli uomini che avevano famiglie e figli, li mandavano a casa, e difatti una sera e cioè la vigilia proprio della grande battaglia mio padre è venuto a casa e starei qua delle ore per raccontare quello che era successo ma naturalmente si può immaginare in che stato si trovava quest’uomo, in quali condizioni, magro, con la barba lunga, pieno di pidocchi, vestiti alla meglio come si poteva, con scarpe piene di paglia per poterli indossare. E dopo naturalmente viveva in, da clandestino e a casa mia avevano trovato saltuariamente un posto dove riunire il gruppo di partigiani cioè quelli che operavano per reperire viveri, armi e tutto quanto per mandare su. Per cui erano cinque o sei persone che si riunivano a volte in una casa una volta in un’altra e la mia casa che si trovava su questa strada, la via principale, e mi mandavano a stare dentro e avvertire se venivano, se passavano camion di tedeschi perché quasi ogni giorno c’era il rastrellamento, arrivavano due o tre camion in piazza, saltavano giù i tedeschi e i repubblichini coi mitra spianati e facevano ognuno una via e prendevano sempre qualcuno perché qua erano quasi tutti i ragazzi partigiani. E io facevo da vendetta. Non sapevo l’importanza però oggi mi rendo conto che anch’io ho contribuito in qualche maniera perché mi davano dei bigliettini da portare a Tizio, Caio, Sempronio, che erano partigiani che facenti parte del Comitato di Liberazione e mi rendo conto che anch’io ho portato il mio granellino sul mucchio della libertà e sono fiero di aver partecipato. Quello che si fa è naturalmente a fin di bene.
PC: Volevo farle ancora una domanda per ritornare alla guerra aerea. Lei mi ha raccontato di questa esperienza terribile di vedere queste scene dei, gli operai del cantiere smembrati, portati. Cosa pensa, adesso dopo tutti questi anni, dei bombardamenti aerei? Cosa le è rimasto? Prova un senso di rabbia o di, per chi li provocava o magari ha capito quello che poteva essere lo scopo di quegli atti anche così violenti e brutali come potevano essere i bombardamenti aerei?
GSC: [sigh] Naturalmente la guerra è una cosa che non porta sicuramente dei benefici. Cioè forse sbaglio. I benefici ce li hanno chi costruisce le bombe, chi costruisce le armi, è un business, e quando le guerre non ci sono, le inventano, perché proprio è un business. In fatto di paura naturalmente nel nostro paese qua esistevano, esistono ancora ma sono inglobate nelle case che sono state costruite dopo, delle trincee, delle grandi trincee che erano state costruite durante la guerra del ’15-’18 e avevano degli stanzoni grandi dove qualcuno s’era [pause] aveva creduto opportuno per salvare i bambini dai bombardamenti, di farli dormire in queste trincee e noi avevamo qua vicino al campo sportivo una trincea che si prestava benissimo per cui stavano 25, 30 bambini, in qualche maniera, e noi bambini e i vecchi andavamo ogni sera lì a dormire in questa, in questi stanzoni. Proprio la preoccupazione era di Pippo si chiamava, noi l’avevamo battezzato Pippo, che era un aereo da bombardamento che passava su tutti i paesi, ma girava proprio tutta la notte e dove vedeva delle luci buttava giù i spezzoni, naturalmente qua a Begliano nelle casette avevano buttato e era morta una ragazza di diciotto anni e quello ci ha fatto tanta impressione. Proprio da lì era scaturita questa idea di farci dormire nelle trincee, perché anche durante la notte era pericolo, gli operai che andavano o che venivano a casa avevano i fanali coperti da un pezzo di carta di giornale con un buchino giusto che passava un lumicino di luce per poter, e anche queste qua, questi fatti naturalmente comportava dei pericoli, perché io non so come riuscivano a individuare delle piccole luci da mille metri non so appunto, viaggiava questo apparecchio, questo Pippo. E però faceva paura, guai aprire la finestra, guai aprire la porta, guai fuori perché c’era sempre questo star sul chi va là delle bombe. Altri fatti, non so, da menzionare, così come, non so, l’uccisione per esempio, ma quello forse è un’altra cosa. Avevano ucciso per vendette perché non lo voglio dire perché potrebbe essere interpretato nella maniera sbagliata, però succedeva anche nei paesi. Per esempio, questo lo posso dire, un certo Walter, che era una spia dei nazisti, dei repubblichini che erano quelli dell’esercito del duce dopo l’8 settembre. Quello è stato ucciso in ospedale, cioè gli hanno sparato in ospedale e visto che non era ancora morto l’hanno ucciso, sono andati là i partigiani e l’hanno ucciso e mi sembra di ricordare che hanno ucciso anche sua madre che lo assisteva. Walter, Walter si chiamava. È una cosa che ti faceva non piacere ma era come un senso di giustizia dato che questo Walter, questo famigerato Walter era uno spione e tutti quanti applaudirono a questo fatto perché era come Zorro che difendeva i più deboli e per noi era stato un fatto molto grave.
PC: D’accordo. Silvio, la ringrazio infinitamente, se ha qualche altro.
GSC: Forse ho chiacchierato più del.
PC: No, ma va molto bene. Io la ringrazio della, dell’intervista e grazie di nuovo, anche a nome della Lincoln.
GSC: Non è facile naturalmente, parlare, descrivere con, perché se uno legge qualcosa di preparato è difficile io ritengo.
PC: Andava benissimo.
GSP: Ritengo.
PC: Andava benissimo.
GSC: Io ho questo, ma forse non interessa. Io ho cominciato avere i ricordi della mia vita quando avevo due anni e mezzo. Qua ho cominciato con i primi ricordi, e sono andato avanti descrivendo un po’ quello che succedeva nei paesi, quello che succedeva nella mia famiglia, sono anche storie personali, ma posso tranquillamente vantarmi perché non c’è qualcosa di offensivo per nessuno. Sono arrivato fino al, non è la conclusione perché qua ho messo continua però sono arrivato fino al ’45, concludendo che la guerra aveva provocato 40 milioni di morti. Se lei ha.
PC: Con molto piacere, con molto piacere.
GSC: Un quarto d’ora, venti minuti.
PC: Sicuramente.
GSC: Da leggere.
PC: La ringrazio infinitamente.
GSC: Puo darsi che trovi qualche spunto per continuare il suo lavoro.
PC: Grazie mille.
Dublin Core
The Dublin Core metadata element set is common to all Omeka records, including items, files, and collections. For more information see, http://dublincore.org/documents/dces/.
Title
A name given to the resource
Interview with Gualtiero Silvio Cosolo
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Gualtiero Silvio Cosolo recalls attending the Ceriani vocational school in Monfalcone, at this time the air raid siren went off every day and the children would run to the nearest shelter. Describes the 7 March 1944 bombing and the gruesome sight of dead shipyard workers, an event which scared him for years to come. Remembers the sense of oppression when he first went to a public shelter. Contrasted the behaviour of boys laughing out loudly and messing around, and the composure of adults who looked worried and thoughtful. Recalls the rivalries among boys from different towns and neighbourhoods and describes the blackout precautions of the dockyard workers. Recounts memories of his dad and friends who evaded roundup and managed to escape to Slovenia and later took part in the Battle of Gorizia, a series of actions between Germans and partisans. Recounted acting as a lookout when partisans used his home as a meeting place.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Pietro Commisso
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-08-26
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:34:54 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ACosoloGS160826
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Monfalcone
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1944-03-07
1943-09-08
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
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This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
bombing
childhood in wartime
civil defence
home front
Pippo
Resistance
round-up
shelter
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/59/519/AAn00659-160808.2.mp3
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Dublin Core
The Dublin Core metadata element set is common to all Omeka records, including items, files, and collections. For more information see, http://dublincore.org/documents/dces/.
Title
A name given to the resource
A survivor of the Karigador bombing
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
An00659
Description
An account of the resource
One oral history interview with an informant who recollects his wartime experiences in the Verteneglio Brtonigla area.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
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IBCC Digital Archive
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Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-08-08
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
Pietro Commisso: Sono Pietro Comisso e sto per intervistare [omitted] per l’archivio dell’International Bomber Command Centre. Siamo a Monfalcone, è il 08 08 2016. Grazie [omitted] per aver permesso questa intervista. Sono presenti Pietro Commisso e [omitted]. Prima di cominciare, vorrei farle alcune domande per essere sicuro che questa intervista venga registrata come desidera. È d’accordo che la sua intervista venga conservata presso l’Università di Lincoln, esclusivamente per scopi non commerciali, che l’università di Lincoln ne abbia il copyright e infine essere liberamente accessibile in qualsiasi formato per mostre, attività di ricerca, istruzione, e come risorsa online?
Bombing survivor: Sì
PC: È d’accordo che il suo nome venga pubblicamente associato all’intervista?
BS: No
PC: È d’accordo di essere fotografato per l’archivio digitale dell’International Bomber Command Centre?
BS: No, no, no.
PC: Ehm, mi dica qual è il suo ricordo più vecchio riguardante i bombardamenti aerei della seconda guerra mondiale.
BS: Dunque, sé una mattina, ‘desso non me ricordo proprio il giorno naturalmente, sarà stà aprile, penso così, circa no, eh [pause] mio zio coso mi ha detto che giù, in Carigador si chiama il posto, ghe sé una nave tedesca che sé piena di de robe dentro, de mangiare, de letti, tavole, e materas, di tutte le cose immaginabili, era dento di tutto insomma. Poi, sono ‘ndato giù in strada, era un mio cugino, li ho detto se mi porta giù con la bicicleta, perché io non, per forza non avevo la bicicleta [laughs], me ga portà giù, se vemo trovado là, eh, via le scarpe, i pantal, le braghe insomma, i pantaloni, semo ‘ndati a portar fora la roba di, tutte le robe, però era un pericolo [emphasis] naturalmente che venivi i apparecchi, esatto. Abbiamo messo due mie cugine di, come se disi, se le vedi magari i apparechi che vien lì: tut un momento le comincia a ziga’: ‘Aiuto, apparechi, apparechi!’. Scampa fori naturalmente de coso che era l’omo là per portar fora le cose, no, dunque, vignindo fora me son messo un bel ciodo sul, sul coso che era una tavola, che era una tavola, dà un scosson, e siamo ‘ndat, era un mio amico, ‘desso non me ricordo gnanca il nome, e siamo ‘ndati una siepe, semo nascosti là; passa il primo, era quatro, quatro caccia naturalmente, l’ha comincià a bombardar, bombardar e mitragliar, naturalmente no; te digo come te disevo prima anche, a non so, due, tre metri via de noi, era ste bombe che, che passava, iera, i fazeva dei solchi veramente, guarda, de veder, sì sì iera pericoloso veramente. Bon, finito il tutto [pause], siamo ‘ndati a per portar via non so, mi pare le scarpe, i pantaloni, le bombe sono cascate non sulla bar, sulla nave, sul, sul, come si disi?
PC: Bagnasciuga.
BS: Sul bagnasciuga no, pantaloni, no sé scarpe, no sé niente, tutto perso [laughs], e dopo siamo ‘ndati via naturalmente, che sé vegnudi, poco via che iera, che iera i frati ‘ndai da là, di Carigador, sé vignudi là a veder se sé qualcuno ferìo, morti naturalmente per, nissuno, tutto a posto, e te digo, el primo, el primo coso, bombardier, gà comincià: ‘Booom!’, bombe, te schizzava, te vedevi tutto, e mitragliava naturalmente; il secondo pure, il terzo uguale, il quarto uguale. Il quarto, i sé ‘ndadi via, basta, finito tutto. Dopo cossa volessi dir ‘ncora?
PC: Quale potrebbe essere la sua esperienza in quanto bambino, ragazzo?
BS: Sì bambino, tredici anni, cosa vuoi.
PC: La sua, la sua esperienza, anche con i suoi coetanei, lei mi diceva che, c’era la vedetta, c’era, riguardo i bombardamenti c’è anche altri ricordi? Come l’ha, come l’ha vissuta, la, la, questo pericolo dei bombardamenti?
BS: L’ho vissuta male, guarda veramente male, perché era il periodo che era, de note iera [pause], come se ciama?
PC: I partigiani.
BS: I partigiani, naturalmente, e di giorno i tedeschi e coso, ma gavemo passà guarda [sigh]. Ho pasado male, veramente, iera stai bruti quei anni là, ma molto bruti, molto molto, eh sì [pause]. Cosa dovessi dir ancora?
PC: Durante gli allarmi cosa succedeva?
BS: Dunque, guarda, come allarmi là da noi no esisteva perché iera il paese piccolo che si chiama Fiorini, che son nato in Fiorini io, allarmi no i ‘iera. Iera altri, me ricordo bene anche un altro coso, che poco via da ‘ndo che son nato mi, anche i ga butà giù i tedeschi un apparechio, inglese naturalmente, semo ‘ndati là a veder se era bulloni de coso, a veder, iera morto il pilota che iera, coso [unclear], un periodo molto brutto, eh!
PC: Fasso un’ultima domanda: dopo tutti questi anni che sé passadi, come la se pone nei confronti de, questi fatti insomma, questo pericolo che veniva dal cielo? Nel fatto de esser l’obbiettivo, esser stado l’obbiettivo de un, de un attacco aereo proprio.
BS: [sigh] Cossa devo dir?
PC: Come che la sé, cossa che la pensa de questo fatto?
BS: Bah, il fatto iera che iera molto brutto quei anni là, molto brutti, perché de giorno, ripeto, iera i tedeschi, il periodo ’40, ’41, ’42, ’43, coso, de noto, e de note i, i partigiani.
PC: Go capìo.
BS: Che i sé vignudi anche a casa mia, se pol dir, posso dir questo?
PC: Sì.
BS: Alora, spetta, sé una sera, ‘na note, sé vignudi i partigiani naturalmente, a casa mia. Batti la porta, ‘Chi sé?’, ‘Partigiani’, mia mama sé ‘ndada a aprir naturalmente, perché se no, ehi. Dise ‘Qua sé gente, dove sé i omeni?’, ‘ E perché?’ la ghe dise, ‘Perché i deve vignir con noi.’, ‘Mah, guardi, i omeni no i sé parché de giorno i sé i tedeschi che i ga fatto restrell, restrellamento, i se ga sconto; eh, no savemo n’altri dove che i sé’; perché mio papà, mio zio e un altro signor iera sconti in un, fa conto una parete così, da l’altra parte g’era l’altra familia, iera fatto un coso, così un, come se disi, come, grande come l’assensor dentro…
PC: Un nascondiglio.
BS: Esatto, un nascondiglio, te capissi però ‘l nascondiglio iera basso no, e iera mess un casson di farina, paria che roba; alora, sé vignui dentro, me ricordo benissimo, sé vignudi in camera mia, che mi dormivo con mio nono, sé vignudi, bon, butar via le coperte naturalmente visto che son fioi, mio nono vecchio naturalmente, sé andai in un’altra camera, ‘Dove i sé i omeni?’, ‘No i sé’ ghe ga dito mia moglie, ga dito, cioè la prima camera iera un mio zio, ghe ha dito ‘No sé meio che no ‘ndedi dentro perché ‘l sé un pochetin matto, sé meio’, che no iera vero niente, fortuna che no i sé ‘ndadi dentro, bon: ga visità dapertuto, i sé ‘ndadi , in soffitta coso, una casa grande de tre piani, ga visità de tuto, i sé ‘ndai in soffitta e dentro i ga trovà giacchettoni, roba, i ga portà via tutto, giacche, camice, tut i ga portado via. Quei iera, Madonna! Eh sì!
PC: D’accordo, io la ringrazio e, per la testimonianza.
BS: Quei tempi de coso, te digo mi, guarda che iera, iera molto brutti! Cos’ che me ga tocà a mi. Quasi meio che me ne stago zito, no digo niente.
PC: La ringrazio.
BS: Sì.
PC: La ringrazio per l’intervista.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with a survivor of the Karigador bombing
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
The informant recalls the day when he and his cousin plundered a ship with a cargo of furniture, clothing and foodstuffs, which was moored at Karigador. He describes how the harbour was suddenly bombed and strafed. Remembers how they hid behind a hedge and realised that the bombs didn’t hit the ship but the shoreline, leaving a large hole in the sand. Mentions nuns from a nearby convent looking for wounded or dead people.
Mentions a group of partisans showing up at his home, asking aggressively for men ready to join the resistance movement. Describes how his father, his uncle and a friend remained hidden, while the partisans ransacked the house for items of clothing.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Pietro Commisso
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Marco Dalla Bona
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:09:53 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Croatia
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AAn00659-160808
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-08-08
Rights
Information about rights held in and over the resource
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Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
bombing
childhood in wartime
home front
Resistance
strafing
-
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Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Ghiretti, Maurizio
M Ghiretti
Description
An account of the resource
One oral history interview with Maurizio Ghiretti (b. 1940) who recollects his wartime experiences in the Parma region.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Rights
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Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-05-07
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Ghiretti, M
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
L’intervista è condotta per L’Interantional Bomber Command Centre. L’intervistatrice è Sara Buda. L’intervistato è Maurizio Ghiretti. Nella stanza sono presenti Sara Troglio per l’IBCC, la moglie Adriana Ventriglia. L’intervista ha luogo in [omitted] a Milano. Oggi è il 7 maggio 2017, ore 11:35. Allora, buongiorno.
MG: Buongiorno.
SB: Ehm, vorrei partire da prima della guerra. Intanto, appunto, se mi dice la sua data di nascita e il luogo.
MG: 5, la mia data è il 5 aprile 1940. Non ricordo, i miei primi ricordi iniziano nel ’43 e l’unica cosa che, insomma, ricordo con una certa, anzi, la prima che ricordo, è la caduta del Fascismo. Per una, questo perché, perché in casa mia, anche se io ero piccolino, tutti gli avvenimenti, quelli successivi di cui ho un po’ di ricordi, venivano esplicitati, quindi non cercavano di tenermi ovattato al di fuori di quel che accadeva e ma soprattutto questo fatto, la caduta del Fascismo mi è rimasta in mente perché di fronte a casa mia c’era una casa con una grande scritta inneggiante al Duce e dopo il 25 luglio del ’43, il giorno dopo o due giorni dopo adesso non posso ricordare, di notte era stata imbrattata con feci umane ecco, tanto per dare un’idea e io mi ricordo la padrona della casa che con la scopa e il secchio stava cercando di pulire la facciata della sua casa, ecco. Quindi questo fatto è. Un altro episodio che ricordo è quello invece dell’8 di settembre perché in casa mia, dopo l’annuncio, io mi ricordo l’annuncio alla radio, noi non possedavamo la radio ma si andava ad ascoltare, ma per lo meno i grandi andavano ad ascoltare la radio in un bar vicino e l’appello del nuovo primo ministro, che era Badoglio, no? Il generale Badoglio il quale aveva detto che insomma la guerra continuava eccetera eccetera ma che avevano chiesto, l’Italia aveva chiesto un armistizio. E questa cosa qua me la ricordo anche perchè mio padre disse che, mentre tutti festeggiavano, la guerra è finita, la guerra è finita, mio padre invece era pessimista e disse che ‘e i tedeschi? Adesso dovremo vedere la reazione dei tedeschi’. Due o tre giorni dopo sono piombati i tedeschi. Ah proposito, i miei, io non vivevo a Milano, io allora vivevo in un paese a otto chilometri da Parma, Monticelli Terme, quindi i miei ricordi sono lì, in questo paese, ecco. Non, non ho ricordi cittadini, comunque ricordo, ricordo poi i mitragliamenti, i bombardamenti che però vedavamo da lontano soprattutto di notte.
SB: Io vorrei partire, vorrei fare un salto all’indietro.
MG: Sì.
SB: Vorrei capire intanto appunto cosa faceva la sua famiglia prima della guerra e come era composta la vostra famiglia.
MG: La mia famiglia era composta da padre, madre e una zia che viveva con noi perchè il marito in quel momento era in guerra, era militare. E il nonno, quindi eravamo
SB: Il nonno padre di?
MG: Il padre di mio padre e la zia era la sorella di mio fratello.
SB: Stavate appunto a Monticello...
MG: Sì, erano artigiani.
SB: Cosa facevano appunto...
MG: Parrucchieri.
SB: Parrucchieri.
MG: Sì, la mamma, il papà. La zia non faceva nulla, no, la zia non faceva nulla e neanche il nonno, il nonno ormai, comunque, non so. In gioventù aveva fatto il fuochista, non so, in una fabbrica, quindi non.
SB: [laughs] Ok, quindi a un certo punto cambia qualcosa. Quando, qual’è il suo primo ricordo riguardo a un cambiamento radicale della situazione attorno a lei? Quando cambiano le cose?
MG: Eh, il, le cose cambiano in quel periodo appunto, dalla caduta, dal luglio del ’43 e poi con l’8 di settembre. Perché immediatamente dopo le cose si fanno piuttosto complicate. Intanto vabbè lì nel paese arrivano i tedeschi perché lì c’erano degli alberghi e quindi gli alberghi sono occupati dai tedeschi e quindi abbiamo proprio i tedeschi in casa. Le cose cambiano perché ci sono i rastrellamenti notturni e quindi gli uomini, mio padre ed altri, sempre e comunque quasi sempre avvertiti, io non so da chi ma probabilmente dagli stessi tedeschi, non dai [emphasises] tedeschi ma probabilmente da un [emphasises] tedesco, perché la cosa strana è che, tutte le volte che di notte c’erano dei rastrellamenti per prendere gli uomini e mandarli in Germania a lavorare, guarda caso, tutti gli uomini che conoscevo io compreso mio padre in casa non c’erano e si nascondevano. Dietro la nostra casa c’era una cosa strana, noi avevamo anche un orto, avevamo un, non so, non so neanche come dire, vabbè insomma un edificio che si raggiungeva solo con una scala a pioli e se uno tirava su la scala a pioli lì non si vedeva nulla e questi uomini se ne stavano lì nascosti, tutti quelli del vicinato no, se ne stavano lì nascosti quindi non hanno mai portato via nessuno. Poi c’era il problema, il problema del cibo, c’era il problema del riscaldamento, perché allora c’erano le stufe. Io mi ricordo che d’inverno, questo per sentito dire in famiglia, mio padre con sua sorella, con i cugini di notte sono andati a rubare una pianta intera in un campo vicino e siccome nella notte aveva nevicato, quando loro hanno trascinato la pianta nel cortile era rimasta tutta la scia e ma di notte loro hanno, dunque hanno, hanno tagliato la pianta, l’hanno portata nel cortile, hanno tagliato tutti i rami, hanno messo via tutta la roba, al mattino poi non so verso le dieci tanto sto inventando, arriva la padrona del fondo dove, dove avevano rubato e lei non era, non era Sherlock Holmes ma aveva visto la scia [laughs], perché era proprio, noi avevamo il, un, come si chiama, ho detto il cortile, ma anche che il,
SB: Orto.
MG: non un giardino
SB: Orto.
MG: l’orto che confinava proprio con questa,
SB: [unclear]
MG: il possedimento della signora, quindi insomma, nella neve si vedeva benissimo cos’era successo ecco. E poi vabbe’ il cercare anche il cibo, devo dire che comunque in casa mia non c’erano grandi problemi perché i miei zii erano proprietari terrieri quindi insomma le cose, tanto per dirne una, io non, ho sempre mangiato pane bianco e anzi siccome i bambini trovano che in casa d’altri si mangi meglio, io contrabbandavo il pane bianco con la casa di un vicino il quale mi dava pane con la crusca e per me era più buono il pane con la crusca. Queste sono sciocchezze di bambini. Eh!
SB: E quindi andando avanti.
MG: E andando avanti, poi, vabbe’ allora sempre la storia qua dei tedeschi in casa, e poi, a partire dal ’44 i bombardamenti e i mitragliamenti degli alleati che lì, allora c’erano questi alberghi con le truppe tedesche, e poi c’era qualche fabbrica di conserve di pomodoro, con le vecchie fabbriche con il camino ecco. Allora io sono stato varie volte testimone dei mitragliamenti. Suonava l’allarme perché quasi sempre quando si sentivano e arrivavano degli aerei insomma suonava l’allarme e mi ricordo una volta, ero in campagna con uno dei miei zii e c’era un solo, un solo aereo, era un aereo da ricognizione mi pare, però di solito sparavano, sparavano non so bene se sparavano alle mucche, agli animali ma, o se sparavano anche alla gente. Fatto sta che comunque quella volta eravamo in campagna ha suonato l’allarme e non so per quale ragione mio zio mi ha detto no, non è l’allarme, è l’asino di un vicino, di un altro coltivatore lì vicino, invece era proprio un piccolo aereo e ci ha anche sparato. Vabbè, ci siamo tuffati in un fosso e buonanotte, non è successo nulla. E poi invece, altre volte mi sono trovato nella piazza del paese proprio mentre mitragliavano gli alberghi e lì io sono proprio scappato, però anche lì non ci sono stati né morti né feriti. Altre volte, invece, vedavamo, per esempio c’era una fabbrica che era a un chilometro e così di giorno hanno tirato varie bombe, c’è stato qualche morto, tutte cose che naturalmente io ho sentito ma nel frattempo, tutte le volte che quando io ero a casa, tutte le volte che c’era, c’era così, suonava l’allarme eccetera, o mio padre o mia zia mi prendevano e mi portavano, sempre attraverso il famoso orto, giù, e ci rifugiavamo in una, aspetta, c’era un canale con tante fronde, no, e lì pensavamo di essere al sicuro, insomma, tranquilli. Però, così, mi ricordo che il senso del, paura, non so, paura, mia zia era terrorizzata, mio padre pure, mia madre non gliene fregava niente, lei non si è mai mossa da casa, mai [emphasises] mossa da casa. Era, non so per quale ragione, ma aveva detto che a lei proprio non le interessava, se doveva morire [laughs] preferiva morire in casa propria. Poi un’altra, altri ricordi sono i bombardamenti invece di notte, che avvenivano per bombardare i ponti. Avevamo un ponte su un fiume poco distante, il fiume Enza, che in linea d’aria sarà stato a due chilometri, tre chilometri, adesso, più o meno, magari anche quattro, dai. Poi i bombardamenti a Parma e i bombardamenti probabilmente sul Po. Il Po però era molto distante, non so, sessanta chilometri almeno, ma di notte io mi ricordo che sempre scappavamo da casa in mezzo alla campagna, via, e, dopo aver sentito le sirene e poi la cosa impressionante, quella mi è rimasta in mente, era la luce dei bengala, perché i ponti venivano illuminati a giorno, no. Beh, il ponte non lo vedevo ma vedevo il bagliore, no, lontano, e anche quando bombardavano i ponti sul Po, la stessa cosa, o altri ponti su altri torrenti, che ne so io, fiumi della zona, e se lo facevano di notte, si vedeva, si vedeva questo bagliore, perché veramente buttavano giù un sacco di bengala, da lontano si vedeva. E poi io mi ricordo anche che qualche notte i miei dicevano che stavano bombardando Milano, però a centotrenta chilometri di distanza, non lo so, era estate però, sempre per via dei bagliori, poteva, loro dicevano Milano ma chi lo diceva che era Milano poteva essere,che ne so io, Piacenza, o poteva essere Brescia o un’altra città, adesso, o Cremona, non lo so insomma ecco. Però questo, questa attività dei bombardieri insomma io me la ricordo piuttosto bene.
SB: Ok. Ehm dunque, mi ha colpito le cose che diceva riguardo alle sirene. Nel senso che, io mi sono sempre immaginata che le sirene avessero un suono univoco ovunque, mentre invece lei ha detto che in alcuni casi c’erano delle sirene che potevano essere assimilate al suono.
MG: Ma potrebbe essere.
SB: ad un suono.
MG: Sì, ma io ci penso adesso. Può anche darsi che mio zio non volesse impressionarmi.
SB: Lei ha ricordi di questi rumori.
MG: Perché Oddio suona la sirena, ah è l’asino di, adesso io non mi ricordo più, il nome della persona che aveva veramente. Be’ adesso io non so se assimilare. La sirena era una roba non so, non saprei spiegare, non ha nulla a che vedere con le sirene, con le sirene che sentiamo adesso negli appartamenti o nelle macchine, quando rubano le macchine eccetera. Aveva, gracidava. Suono un po’, un po’ strano.
SB: A me interessa molto perché è, nel senso, persone della mia generazione non hanno mai sentito una sirena, gli aerei [unclear]
MG: [unclear] credo che andava a manovella eh, mi pare. Non era una cosa elettrica, a manovella, c’era una persona, appena sentivano. C’è da tenere presente che lì nell’Emilia Romagna, dove abitavamo noi, eh beh, la maggior parte degli aerei che venivano a bombardare verso il Nord, soprattutto in direzione Milano, passavano di lì. Magari quelli che andavano, non so, verso il Veneto no, perché erano più lontani ma gli altri nella zona nord-occidentale passavano tutti di lì, e quindi. E tutte le volte naturalmente che si sentiva, facevano andare ‘sta, questa sirena ed eravamo, [unclear] io se penso ai grandi, quando passavano che, non rimanevano in zona ma tiravano diritto e dicevano ah quei poveri disgraziati a cui tocca oggi, però insomma finiva lì. Era, era una cosa quasi normale. E la fuga con la zia, perché poi alla fine poi era sempre la zia che mi portava via, io mi ricordo che quando finalmente sono arrivati i liberatori il 25, il 26, io non mi ricordo, è che io, perché allora gli ultimi tempi la zia tutti i giorni fuggiva e non c’era niente da fare. Andavamo là in questo posto, sotto le frasche, e quando si sparse la voce che gli americani, non, sì, gli alleati, perché poi lì sono arrivati, mi pare che fossero i brasiliani, che erano arrivati i liberatori, allora io dissi alla zia; ‘beh ma qua non torniamo più’, eh no, non torniamo più, [unclear] non torniamo più, e a noi dispiaceva un po’ perché giocavamo noi, noi bambini, lì, era un modo come un altro per passare, per passare la giornata insomma.
SB: Quindi, c’erano dei momenti comuni con degli altri bambini
MG: Sì.
SB: che avevano luogo nello stesso luogo in cui voi vi rifugiavate.
MG: Sì, quelli che scappavano andavano tutti lì, nel, dove c’era questo canaletto, con queste fronde, no, gaggìe, si chiamano, no, gaggìe.
SB: E quindi vi ritrovavate lì, tutti i bambini del paese.
MG: Non tutti perché dipende, ognuno aveva la sua, la sua zona, ma quelli dove abitavo io era la più vicina, eh sì, diciamo, per lo più erano donne, donne che chiacchieravano. Naturalmente i loro discorsi sull’arrivo degli alleati era ‘ci, non arrivano mai, ci mettono troppo tempo’ e quando mitragliavano, bombardavano, erano maledizioni, perché insomma. Si capiva che loro dovevano anche bombardare, ma quando bombardavano, per esempio quando era giunta la notizia che a Parma avevano bombardato, quella volta di giorno, e in un rifugio dove si erano rifugiati gli abitanti di un gruppo di case, mi pare che ci sia stato più di sessanta morti perché la bomba ha colpito proprio l’ingresso del rifugio, e è scoppiata dentro al rifugio. Quindi, insomma, liberatori sì ma nello stesso tempo soprattutto, poi quando era giunta la notizia che la maggior parte degli edifici più belli della città erano stati bombardati, edifici che non avevano nessun, eh, non erano un obiettivo militare eccetera, la stazione più o meno, [laughs] è rimasta quasi, quasi illesa ecco insomma non è che ricordi proprio bene ma voglio dire insomma. Ecco allora quando c’erano queste cose c’era un po’ di, e poi non si poteva. Altri discorsi contro invece gli occupanti non sempre gente ne parlava perché c’erano anche i sostenitori degli occupanti, dei tedeschi, quindi insomma bisognava stare anche attenti, all’erta.
SB: E quindi, tornando a questi momenti, mi interessa molto il fatto che il momento del salvataggio, cioè nel senso della corsa al nascondiglio fosse anche un momento ludico, se ho capito bene.
MG: Sì, sì, per noi bambini sì. Sì, sicuramente.
SB: E c’era in quello che facevate qualcosa di connesso all’esperienza che stavate vivendo?
MG: Non ricordo.
SB: Canzoni, o
MG: No no no no, anzi no, guai, quando passavano gli aerei guai se parlavamo perché dicevano che ci sentivano, [laughs] le donne, le persone grandi ci dicevano che ci sentivano, ‘zitti, zitti’, cose di questo genere insomma. Ricordo, ecco, oh un altro episodio. Durante il tentativo di bombardare la fabbrica e di colpire quel famoso camino lunghissimo camino, io ero con mio padre e quando hanno incominciato a sganciare le prime bombe, dunque era a un chilometro di distanza, mio padre pensò bene, eravamo in aperta campagna ma c’era un tombino, c’era una canaletta per l’irrigazione con un tombino e mio padre mi prende e si cala dentro il tombino. In quel momento lì passa un prigioniero di guerra, non so di che nazionalità era, era alleato, non era americano, doveva essere stato o inglese, o, o, sì probabilmente era inglese oppure australiano, il quale in un stentato come militare dice a mio padre, in uno stentato italiano, ‘guardi, che se tirano una bomba qua vicino a terra, molto meglio star [laughs] nel, su un piano insomma e non dentro a un tombino ecco perché è pericoloso’. Questa cosa e’ un altro dei fatti che proprio mi è rimasto indelebile. E allora fuori subito. Perché c’erano dei prigionieri alleati che vivevano, erano stati mandati ad aiutare i contadini a lavorare nei campi anziché starsene tutto il giorno dentro le baracche perché a trecento, sì, no a un chilometro e mezzo c’erano delle baracche, dove c’erano questi militari e allora alcuni di loro preferivano invece andare a lavorare, anche perché in questo modo mangiavano meglio. Un’altra cosa che ricordo sono sempre questi prigionieri, questi qua invece so che erano inglesi, invece che avevano accettato di fare la prima, non mi viene la parola, adesso ci siamo, lo scolo delle acque come si chiama?
SB: Fogna.
MG: La fogna. La prima fognatura io me li ricordo che, un pezzo insomma è stato fatto da questi, da questi soldati inglesi che erano prigionieri. Ricordo, questo invece me l’ha raccontato mia madre, che una vicina è uscita con una mica di pane, era proprio, in campagna facevano del pane grosso così no, e l’ha dato a questi militari e qualcun’altro, qualche altra donna l’ha redarguita: ‘come, dai il pane ai nemici?’ eccetera eccetera e lei ha risposto che, siccome aveva un figlio militare e che non sapeva che fine avesse fatto, sperava che trovasse, suo figlio trovasse qualcuno insomma di buon cuore e quindi lei si è sentita [unclear]. Questo fatto mi ha raccontato mia madre che mi è rimasto, mi è rimasto in mente. [pause] Altro fatto è l’arrivo appunto degli alleati che provenivano dal reggiano e lungo, avevano preso la strada verso Parma e la gente era accorsa con, e agitavano, molti agitavano delle fronde di biancospino come saluto. Sembrava quasi il Gesù della Domenica delle Palme [laughs], fatto che mi è rimasto impresso, quello lo proprio, l’ho visto io insomma, ecco, non mi è stato raccontato. E c’era un’euforia, un’esaltazione, naturalmente. Poi ricordo la fuga, la fuga sì in un certo senso, l’abbandono degli alberghi da parte dei tedeschi. Nel frattempo prima dell’arrivo degli alleati erano arrivati alcuni partigiani. I partigiani avevano cominciato a scendere, a scendere dalle montagne, e niente l’ultima, così, l’ultimo tedesco mi ricordo, questo mi ricordo benissimo perché questa volta invece eravamo andati in cantina, non eravamo scappati fuori, ma eravamo giù in cantina perché si sapeva che le cose stavano precipitando e a un certo, un gran silenzio e a un certo momento si sente uno sparo. Era un partigiano che aveva sparato e allora un tedesco motociclista è ritornato indietro, strombazzando con la sua moto, facendo vedere che non aveva assolutamente paura, ha fatto il giro della piazza del paese e poi se ne andato. Questo poi mi ha raccontato mio padre, io poi ho sentito il rumore della moto ma naturalmente è mio padre che me l’ha detto, guardava fuori dalla cantina dal finestrino che era il tedesco in motocicletta, con grande sollievo perché la paura era che bruciassero, facessero, come hanno fatto in altri posti, uccidessero, che invece qui per fortuna. Ecco un’altra cosa invece che ricordo, però naturalmente io non, per sentito dire, è la fucilazione di quattro partigiani condannati a morte da un tribunale della Repubblica Sociale a Parma e li hanno fucilati nel cimitero di Monticelli. Basta, altre cose non, non le ricordo.
SB: E quindi ad un certo punto si è tornati a una sorta di normalità, oppure no?
MG: Sì, una normalità in cui però erano forti, forte le contrapposizioni tra i comunisti e i, insomma tra le forze, quelle che poi diventeranno forze democristiane e i vecchi fascisti da un lato, e le forze social-comuniste dall’altro immediatamente. Mi ricordo la grande euforia per il referendum e soprattutto la grande euforia per la vittoria della Repubblica contro la monarchia. Ah poi ecco, sempre invece durante, nel ’43, ecco nel ’43, forse io ho detto che sono arrivati i tedeschi ma li non, negli alberghi subito dopo l’8 di settembre ma questo è un errore perché, tra, negli gli alberghi tra il gennaio e il, mi pare il marzo, insomma i primi mesi del ’44. Faccio, ritorno indietro un attimo. I tedeschi sono, certo che hanno preso il potere ma lì in quel paese i tedeschi si sono installati qualche mese dopo l’8 di settembre e prima dei tedeschi nel, in uno degli alberghi avevano deportato donne e bambini ebrei, in attesa di essere trasferiti a Fossoli. E io mi ricordo, mi ricordo benissimo, anche perché mi ricordo, vabbe’ a parte il fatto che a casa se ne parlava e poi nel, ero nel negozio della mamma e è venuta una signora ebrea per farsi lavare i capelli perché permettevano a uscire, a parte il fatto che questa signora aveva dei bambini quindi. Io non so se questa signora o era la moglie del rabbino di Parma o era la cognata ecco, comunque appartenevano a, be’ adesso le famiglie non mi ricordo più il cognome come si chiamavano. Io mi ricordo benissimo perché così con questa signora e lei mi aveva detto che c’aveva dei bambini, però quando lei mi ha detto che i suoi bambini erano più grandi di me, insomma la cosa non mi ha interessato più di tanto perché insomma ecco. Questo, questo è un altro dei fatti che io ricordo. Mi ricordo che quando li hanno portati via nel marzo del ’44, per portarli a Fossoli ma lì non si sapeva dove, e allora la gente si, questo mi ricordo proprio nel, si chiedeva che fine avrebbero fatto e mi ricordo che qualcuno ha detto: ‘eh, sì, figurati, li porteranno in Germania, chissà mai cosa gli faranno’, ecco. E basta, poi. Poi dopo sono arrivati i tedeschi, negli stessi edifici.
SB: E senta, quindi in questo periodo in cui ci sono stati questi ebrei in questo, questo edificio. Intanto loro avevano l'obbligo di residenza lì?
MG: No, erano, sono italiani.
SB: Erano sorvegliati.
MG: sorvegliati.
SB: [unclear]
MG: Sorvegliati, però sorvegliati non da tedeschi ma da italiani.
SB: Da italiani. Ed è capitato che ci fosse, suonasse l’allarme durante il periodo in cui loro erano li’? Non se lo ricorda, se qualcuno nel paese
MG: Ma credo che
SB: Si chiedeva cosa facessero questi ebrei, se potessero uscire dal palazzo, se potessero andare a nascondersi da qualche parte oppure no?
MG: No, questo non lo so.
SB: Non se lo ricorda.
MG: No. Ma non mi pare che, perché quel che, l’idea che ho io e che lì i mitragliamenti e i bombardamenti, nei dintorni insomma, a cominciare da Parma, siano avvenuti qualche mese dopo. Cioè proprio primavera-estate del ’44.
SB: Ho capito. E senta, ultima domanda. Qualcuno ha mai, si è fermato mai a ragionare su queste persone che mitragliavano, che bombardavano, qualcuno ha mai, si è mai lasciato sfuggire un commento in famiglia oppure, sia durante che dopo? Cioè come si parlava di queste persone che bombardavano, che mitragliavano?
MG: Si riteneva, si riteneva che fosse necessario. Era lo scotto che noi dovevamo pagare per esser liberati. Poi vabbe’, quando, noi in molti casi naturalmente l’abbiamo saputo dopo. Molti dei bombardamenti tendevano a terrorizzare più che colpire obiettivi militari, su questo non c’è dubbio, perché quando hanno bombardato Piazza della Scala e il duomo eccetera qui a Milano, e così in tantissime altre città, era proprio cioè il tentativo di demoralizzare la popolazione, ma sicuramente cioè quella popolazione non c’era bisogno di bombardarla, era sicuramente demoralizzata, all’infuori dei fascisti che erano legati alla Repubblica di Salò insomma. Io però non mi ricordo, sì che in casa, in casa appunto l’idea che così, l’impressione che mi è rimasta, è proprio quella del, è lo scotto che dobbiam pagare perché i nemici vengano, i nemici che abbiamo in casa vengano cacciati insomma, per esser liberati, ecco. Quindi, chiaro che chi ha avuto la casa, io non episodi di questo ma, in città chi ha avuto la casa bombardata o chi ha avuto dei congiunti che sono rimasti sotto le bombe, sicuramente hanno avuto un atteggiamento diverso insomma.
SB: Senta quindi da quello che mi dice, lei comunque ha approfondito l’argomento dopo la fine della guerra. Ha avuto un percorso professionale o,
MG: Sì.
SB: Si è trovato appunto a studiare, a riprendere queste esperienze che ha vissuto da un punto di vista storico, da un punto di vista di approfondimento.
MG: Le mie personali?
SB: Sì, nel senso lei ha delle conoscenze che appunto non potevano scaturire dalla sua esperienza ma che
MG: Sì, sicuramente.
SB: Sono venute dopo. Ha approfondito queste tematiche.
MG: Sì, sì. Soprattutto non so, l’attività partigiana, perché molte cose per sentito dire, non in casa. Ripeto in casa mia, io non, casa mia tutte le cose che accadevano, vita, morte e miracoli, non hanno, non mi hanno mai nascosto nulla. Qualsiasi cosa accadeva, ne parlavano in modo naturale, non c’era ‘ah è piccolo, non dobbiamo spaventarlo’, no no, tutte le cose venivano dette, commentate, naturalmente sempre con molta attenzione. Poi ripeto sia durante l’occupazione che dopo l’occupazione, anche per ragioni politiche su certe cose insomma così era meglio. Perché probabilmente in città la cosa era diversa dove, ma lì nei piccoli centri dove tutti si conoscevano quindi bisognava muoversi, io sto parlando dei grandi naturalmente.
SB: Certo.
MG: Ma anche noi bambini comunque eravamo schierati, eh, io mi ricordo. I comunisti e gli altri. Mi ricordo benissimo. Io ero tra gli altri [laughs]. Non appartenevo a una famiglia comunista, anche se il nonno, sì, era stato comunista e aveva preso l’olio di ricino ma insomma ormai a quell’età lì non se ne occupava più ma gli altri membri della famiglia non erano comunisti.
SB: Va bene, allora io la ringrazio, se non ha null’altro da aggiungere.
MG: È stato un piacere.
SB: E interrompo.
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Title
A name given to the resource
Interview with Maurizio Ghiretti
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Maurizio Ghiretti describes his early life at Monticelli Terme, a small town near Parma. He remembers various episodes of wartime hardships: food shortages, a tree taken down at night for firewood, men hiding in concealed rooms to avoid roundups, and how his father and other men escaped capture because they were forewarned by a German soldier. Describes how they ran for shelter in a nearby ditch covered by bushes, and how they passed the time there. Explains the perception of bombings among civilians, stressing how they were generally seen as the price to pay for being liberated. Mentions the effects of different operations on various cities in the Po river valley and describes bright target indicators descending on nearby bridges. Recounts hearing a siren which, in his uncle’s words, sounded like a donkey braying. Recounts of Jewish women and children being guarded in a hotel before being sent to the Fossoli concentration camp. Remembers various anecdotes of Allied prisoners of war, some working as farmhands, others building the first sewage system. Stresses how his parents never kept him in the dark about the war situation and he was always abreast of what was going on, to the point that even the children took political sides. Describes the fall of the fascist regime mentioning propaganda murals being desecrated with faeces. Recounts the end of the war when cheering crowds welcomed the Allies by waving hawthorn brushes at them, which reminded him of Palm Sunday. Mentions briefly the post-war political situation.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Sara Buda
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-05-07
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:38:57 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Po River Valley
Italy--Parma
Italy
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1945-04-25
1943-07
1943-09-08
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AGhirettiM170507
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
bombing
childhood in wartime
civil defence
Holocaust
home front
perception of bombing war
Resistance
round-up
strafing
target indicator
-
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de29f384fbe6b8a34624abaecadf669e
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/170/569/ABuffadossiA170528.2.mp3
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Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Buffadossi, Annunciata
Description
An account of the resource
One oral history interview with Annunciata Buffadossi (b. 1932) who recollects her wartime experiences in Milan and in the Lake Maggiore area.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
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IBCC Digital Archive
Rights
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This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Buffadossi, A
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
ZG: Abbiamo iniziato? Sì.
AB: Il mio nome...
ZG: Allora, l’intervista è condotta per l’International Bomber Command Centre. L’intervistatore è Zeno Gaiaschi, l’intervistata è Annunciata Buffadossi. Nella stanza sono presenti Marialuigia Buffadossi, la sorella, Nava Spizzichino, l’amica delle due sorelle, e Sara Buda, come, dell’Associazione Lapsus. Siamo in [omitted] a Milano ed è il 28 maggio 2017. Nell’intervista saranno fatti dei cenni all’intervista fatta precedentemente da Sara Buda alla signora Marialuigia. Iniziamo. Si presenti pure.
AB: Io mi chiamo Buffadossi Annunciata. Sono nata l’11 ottobre 1932 a Milano, perciò sono proprio del tempo di guerra.
ZG: Ehm...
AB: Nel ’32, sono nata nel ’32, perciò è iniziata la guerra nel ’40, quando io avevo otto anni e facevo la terza elementare. Facevo la terza, siccome sono sempre, sono nata in Via Confalonieri 11,
MB: All’Isola.
AB: Eh, all’Isola, che adesso è diventata una zona di pregio, no, perché è la zona della movida e di però ai tempi, miei tempi era una zona molto degradata ed era ritenuta una zona proprio popolarissima, piena di ladri di galline proprio, non di grande, di grande [laughs] levatura. Però io abitavo in una casa che aveva, noi abitavamo nel, al quarto piano, una casa naturalmente senza né ascensore, né niente né, addirittura tanti appartamenti non avevano neanche il servizio in, all’interno. Siccome era una casa di ringhiera, tanti, tutti quelli che abitavano gli appartamenti che erano nella ringhiera, nella parte della ringhiera, avevano il servizio comune per tutti i quattro appartamenti che c’erano nella, sul piano. Perciò case proprio popolarissime. Però la veniva chiamata la casa di sass, perché era una casa molto antica ed era fatta di sasso proprio e dicevano che avesse duecento anni di età questa casa ed era di fronte alla Brown-Boveri , che era una, sì, la Brown-Boveri era una azienda che fabbricava le, forse le armi, era una, insomma una, ed era anche di fronte alle, alle linee varesine. Le linee varesine erano quelle che portavano a Varese, quella zona lì, che adesso invece hanno, sono state trasformate nella, come si chiama, la stazione di Porta Garibaldi, eh, quelle erano le varesine. Perciò potevano venire bombardate ed erano bombardate, era una zona bombardata perché c’era Brown-Boveri, che era proprio di fronte a casa nostra, noi eravamo all’undici, la Brown-Boveri aveva un numero pare, ma proprio di fronte, e di fronte c’erano pure le linee varesine che erano invitanti per i bombardamenti. Quando è arrivata, quando è venuta la guerra, che è stato nel 1940, noi l’abbiamo saputo dalla radio, che avevamo una radio regalata dalla mia nonna, l’unico regalo di mia nonna che, insomma, per quel poco che poteva fare, no, quella nonna lì poteva fare di più ma insomma ci aveva fatto solo il regalo della radio, avevamo saputo che era stata, scoppiata la guerra nel 1940. Da un discorso di Mussolini che diceva: ’Italiani, al di là del mare, al di là dei monti’, l’Italia insomma adesso mi ricordo che faceva dei discorsi roboanti proprio, che però prendeva tanta gente di, dalla parte proprio della passione così, comunque. Mio padre non era, né un fascista né niente, non aveva, perché aveva fatto sì la guerra del ’14-18, però siccome non era fra gli Arditi, era un alpino di artiglieria di montagna, che un tempo invece degli Alpini c’erano, c’era l’artiglieria di montagna. E’ che il papà amava molto sulla, cosa aveva fatto, sul, eh non mi ricordo più, comunque parlava sempre di avere fatto la guerra nell’artiglieria di montagna. Amava gli asini, che erano i compagni, i compagni degli artiglieri perché gli ha, ha salvato tante vite eh l’asino, il mulo anzi, più che l’asino il mulo perché portava, aveva.
ZG: Ma.
AB: Un capo, non so. Comunque mio padre quando raccontava le sue imprese, però non l’aveva finita, perché si era ammalato, aveva avuto la polmonite e l’avevano messo nelle retrovie. Perciò non aveva visto la fine della guerra ed era diventato l’attendente del colonnello, di un colonnello che stava a Torino ed era il capo della, dell’accademia degli artiglieri mi pare perciò mio padre, ecco. Però veniva da un paese della Lomellina, che erano contadini. Niente, questo per quanto riguarda la mia famiglia.
ZG: Eh
AB: Mio padre faceva il muratore, però veniva da un paese di contadini. E la mia mamma veniva sempre da un paese di contadini che era la Lomellina ed era, faceva la sarta. Io avevo una sorella maggiore, che era mia sorella Marialuisa che era della. Marialuisa, Io dico sempre Marialuisa ma il vero nome è Marialuigia perché così è. Rinnovava la nonna, sa che un tempo si rinnovava, io invece avevo rinnovato la nonna da parte materna, mia sorella invece da parte paterna ed era la preferita da, da quelle nonne lì, da quella nonna lì, mentre io ero la preferita della nonna Mussiada, insomma, è logico. Comunque quando è scoppiata la guerra, io facevo le elementari. Mi ricordo quando era scoppiato perché c’era stato il discorso del, di Mussolini. Il fratello di mia mamma, invece, siccome aveva fatto la guerra negli Arditi, era del 1800 eh perciò erano, avevano fatto la guerra del, era fra gli Arditi, era diventato un fascista, era piuttosto fascista perché gli Arditi, che erano del, del gruppo del, insomma erano tutti fascisti quando erano tornati dalla guerra, ti ricordi eh, lo zio Berto, ehm. Però era una bravissima persona, eh, una persona retta, che si interessava delle colonie per mandare, le colonie i bambini, che a quel tempo, se non andavano a fare la villeggiatura nelle colonie, i bambini non vedevano il mare neanche dopo vent’anni. Io ero stata mandata a Pietra Ligure per esempio, tant’è vero che avevo fatto la prima comunione a Pietra Ligure quando ero lì nella colonia, mandata da mio zio, che non avevo che da ringraziare perché ero una, avevo visto il mare per la prima volta [laughs] nel ’41 forse, ’41 o ’42, non so, perciò ero, avevo visto il mare per la prima volta, se no non conoscevo. Conoscevo la campagna della Lomellina quando andavo a trovare la mia nonna contadina e se no, non conoscevo altro. Comunque, vabbe’. Quando è scoppiata la guerra, io per i primi anni sono stata a Milano e ho finito la scuola, le elementari qui perciò devo averlo finito nel ’42, perché avevo dieci anni. Però mia mamma aveva cercato di mandarmi a, sfollata presso mia zia che abitava a Pallanza sul Lago Maggiore. E lì, purtroppo ecco lì non mi piaceva tanto perché mi trovavo bene con la mia zia, che era la mia zia preferita però tutte le sere, quasi tutte le notti si sentivano gli aerei che passavano sopra il Lago Maggiore. Venivano dalla Francia probabilmente, o dalla Svizzera, non lo so, e si sentivano i rumori e noi dicevamo tutti, sia mia zia sia le mie compagne di scuola che sentivo, che parlavo con le amichette, dicevo: ’Questi sono gli aerei che vanno a bombardare Milano’. Perché passavano sul Lago Maggiore, passavano Luino e venivano a Milano e questo mi faceva un bel dispiacere perchè io sapevo che a casa c’erano la mia mamma, il mio papà e mio fratello. Mia sorella no perché nel ’43 era andata, sapevo che era sfollata sul Lago di Como, perché era andata in banca e la banca aveva sfollato tutti i suoi dipendenti sul Lago Maggiore, eh sul Lago di Como. Perciò per lei ero tranquilla. Sapevo, sentivano dei bombardamenti. Nel ’43 è stato l’anno proprio brutto per i bombardamenti perché si sentiva parlare dei bombardamenti su Milano, massicci, proprio i più brutti, infatti c’erano stati tanti morti. Siccome noi abitavamo in una casa di fronte a un’azienda che faceva, che faceva proiettili, non so, era la Brown-Boveri , era una ditta che faceva forniture per la guerra, era pericolosa. E in più di fronte anche alle varesine, alle linee varesine era una casa, tant’è vero che avevano buttato delle bombe e avevano bruciato tutte le gelosie. Una volta le gelosie rientravano dentro nella, non so se voi, no, voi siete giovani non lo sapete, ma una volta rientravano nel muro e si chiamavano le gelosie. Erano di legno. Naturalmente hanno buttando tante bombe incendiarie hanno bruciato tutte le gelosie della nostra casa e lì mio padre che era il capofabbricato era, ha dovuto intervenire, fare venire non so i pompieri, quello che era, però ha annerito tutto il davanti della casa e abbiamo avuto delle, non era successo nient’altro però tanti rimanevano senza casa ad un certo momento. Noi abbiamo avuto solo quell’inconveniente lì delle gelosie, però, che erano bruciate e non so, adesso non mi ricordo più come. Ad un certo momento però io nel ’43, alla fine del ’43 dovevo fare l’esame di ammissione per la scuola media perché volevo fare la scuola media, che dopo forse avrei fatto magari le magistrali come mia sorella però i miei non potevano farmi studiare. Comunque c’era la mia sorella che lavorava, lavorava in banca, insomma avevamo qualche cosa di più da poter contare. E ho fatto la scuola, l’esame di ammissione alla scuola media lì a Pallanza e poi sarei tornata per fare la scuola media a Milano e sono ritornata nel ’43, ’44. Nel ’44 avevo quanti, dodici anni, avrei fatto la seconda media, ma ho fatto anche la prima media a Milano. E siccome non c’erano scuole, tutte le scuole medie erano un po’, sono andata a finire nella scuola che c’è in Via Giusti che è una scuola per capomastri. Infatti la mia scuola mi ricordo che aveva tutti i disegni, tutte le formine di architravi, cose del genere, però era diventata una scuola media perchè scuole per capomastri non venivano fatti in tempo di guerra, erano tutti ragazzotti che erano stati richiamati, avevano magari sedici, diciasette anni, erano richiamati. E allora andavo e tutti i giorni da, dall’Isola mi portavano nella zona dei cinesi, la Via,
MB: Paolo Sarpi
AB: Via Giusti, Via Paolo Sarpi, perchè la mia scuola era nella via che proseguiva la Via Giusti, la Via Giusti. Andavo però sempre accompagnata da un mio compagno di, un vicino che studiava nelle scuole che aveva un anno più di me e perciò non era richiamato perché, eh. E veniva, mi accompagnava, facevo tutta la strada insieme, dovevo passare dalla Via Guercino dove c’erano, dove c’era il comando dei, e dalla scuola Tenca, la scuola Tenca che adesso è la scuola magistrale che aveva frequentato mia sorella, che era la sede della Muti. La Muti era un’associazione di fascistotti, ragazzotti fascisti, che mettevano una paura solo con la loro divisa, non so lei no lei che non se ne ricorda ma io quando passavo davanti alla scuola Tenca, che era una scuola che mi piaceva perché era la scuola di mia sorella, mi faceva paura perché si vedevano questi ragazzotti che avevano sui diciotto, vent’anni, tutti vestiti di nero, con i baschi con il pennacchio rosso, era una cosa, con gli scarponi che facevano un rumore solo a sentir scandire queste, queste passi, erano una cosa che metteva, e io dovevo passare anche dalla Via Guercino dove c’era la sede dei tedeschi. Era terribile, la Via Guercino era sempre piena di questi tedescotti che mettevano paura perché marciavano in una maniera diversa da, anche dai nostri, che so io, dai nostri alpini, dai nostri bersaglieri che erano simpatici, così. Loro erano, facevano paura proprio, ecco. E io tutti i giorni dovevo fare e ogni tanto si sentiva suonare l’allarme perché di giorno, bombardavano anche di giorno, soprattutto di sera ma di giorno bombardavano e allora si sentiva. Noi eravamo a scuola e allora dovevamo scendere nelle cantine che io ero anche contenta eh di questa facenda perché mi impediva di essere interrogata, perché mi piaceva. Fra l’altro la mia professoressa di latino e di italiano e di latino così, era la professoressa Lighini che era la sorella del dottor Lighini, che, dell’ingegner Lighini che era il luogotenente del generale Cadorna e perciò lei non diceva mai, non parlava mai dei ribelli come erano chiamati i partigiani, erano chiamati ribelli no, non erano chiamati partigiani. I partigiani sono venuti dopo, quando dopo la fine della guerra che allora erano partigiani. Lei diceva sempre: ’ quei ragazzi’, i ragazzi che sono contro i fascisti logicamente, però sono partigiani, parteggiano per una certa parte. L’abbiamo saputo dopo che era la sorella di un, del luogotenente di, del generale Cadorna e infatti dopo era diventata la preside della Carlo Tenca perché era diventata, era la sorella di un cotanto personaggio, eh, perciò. E allora, questo per quanto riguarda i miei ricordi di. Invece di notte suonava sempre l’allarme, spesso l’allarme ma mia mamma non aveva paura e io pure non avevo paura, poi ero un po’ smemorata, non sentivo neanche l’allarme, non lo sentivo. Mia mamma se non mi svegliava io dormivo beatamente poi quando aveva l’allarme, il cessato allarme, mi risvegliavo ma andavo avanti a dormire. Invece mio padre scappava via come una lepre perchè era un pauroso, prendeva su la valigia dove c’erano tutti i tesori della famiglia e andava in cantina con mio fratello, mia sorella non c’era perché era sfollata e noi andavamo, andavamo avanti così. Alla fine della guerra quando c’è stata il 25 aprile, io mi ricordo che in Via Borseri che è una via dell’Isola era passato un convoglio di tedeschi con davanti l’ufficiale con, che imbraccava la rivoltella e faceva così con la mano per tener lontano perché tutta la gente lì che guardava i tedeschi che se ne andavano finalmente, perché mettevano paura, erano vestiti e si atteggiavano in una maniera che mettevano paura solo a vederli, mettevano paura. I fascisti vestiti, quelli della, delle brigate nere e i tedeschi mettevano proprio paura. Erano arrivati i partigiani. Ad un certo momento i partigiani però, insomma ne hanno fatte anche loro perché uccidevano i fascisti o quelli che ritenevano tali. Ci sono state tante vendette anche, insomma, fatte, fatte così ad arte che. Noi avevamo il nostro Don Eugenio Bussa che era il capo della Chiesa del Sacro Volto, che aveva salvato tanti ebrei, ma vicino al loro oratorio, c’era un muro dove venivano uccisi i partigiani che venivano presi o renitenti alla leva, perché c’erano tanti renitenti alla leva. Anche nella nostra casa c’erano due o tre amici di mia sorella che erano del ’24, ’25, che erano proprio giusto giusto per essere renitenti alla leva e loro cercavano di non andare, di non essere, perché se no andavano in Germania e non ritornavano più. E la guerra non la volevano fare, giustamente, perché poi, dopo il ’43 quando c’era stata l’armistizio, tanti erano scappati, magari erano anche militari ma erano scappati come un mio zio, quello zio lì del Lago Maggiore che era un carabiniere che era in Iugoslavia neh, si era levato le mostrine di carabiniere perché se no lo ammazzavano e si era presentato come un povero profugo, era riuscito però era stato preso dai tedeschi e mandato in Germania. Però è riuscito a sopravvivere perché mangiava, però quando ritornava, quando è ritornato ci ha raccontato che mangiava la pelle delle patate che buttavano via i tedeschi. Mio zio era molto furbo, eh furbetto anche lui ma, però insomma, che lavorava in banca anche lui, però all’istituto, dov’era, al, ehm, coso di Novara, ne. E lì a Pallanza c’era la, ma era furbo furbo mio zio e perché per riuscire a e quando è ritornato però, è ritornato nel ’46 o ’47 dopo perché, sa, prima che ritornassero indietro, ma insomma, comunque, è ritornato. Io poi mi ricordo altre cose. Che ogni tanto, con la mia mamma, andavamo al paese di mia nonna, che ci dava magari qualche gallina magari che riuscivo perché dovevano portare tutto all’ammasso ai tedeschi e invece lei riusciva a rubacchiare qualche chilo di farina, qualche uovo, qualche gallina, così andavamo lì, prendavamo il treno, andavamo lì a Sartirana, che mia mamma era di Sartirana, e riuscivamo a portare a casa qualche sacchetto di farina, qualche uova, così, che mia mamma sulla stufa faceva, faceva da mangiare. Faceva il pane bianco, che il pane bianco era un dolce addirittura, oppure metteva l’uovo, faceva qualche cosa di, insomma, una gallina che riusciva. Perché la tessera annonaria è continuata anche dopo la fine della guerra eh, perché è continuata mi pare fino al ’47, non, fino al ’47, perciò si è. Non è che si stesse tanto bene anche finita la guerra, no. Mio zio, mio zio, quello lì, il fratello di mia mamma che era un, ritenuto un fascista perché, ma siccome non aveva fatto male a nessuno, anzi, faceva solo piaceri appunto, faceva andare i bambini alle colonie, accompagnava alle colonie così, non ha avuto niente, è scappato dalla mia zia, quella lì di, che era la sua sorella insomma praticamente, lì sul Lago Maggiore, ma è stato via due o tre giorni e poi è ritornato che nessuno gli ha fatto niente, non, perché era una bravissima persona mio zio Berto. Niente, basta, questo per quanto riguarda il. Poi nel ’47 io trovato il lavoro presso un ragioniere, però avevo fatto giusto le tre medie e basta, non avevo né diploma né niente, avevo appunto fatto solo la terza media. E però mi piaceva di più ragioneria che fare le magistrali. Prendevo sempre da mia sorella che gli ricopiavo gli appunti, lei li faceva magari in stenografia, io invece li facevo in chiaro e allora lei mi dava magari una lira o dieci lire forse perché dopo mi pagava di più. E io guadagnavo la mancetta ma dopo prendevo anch’io lo stipendio, poco, perché i ragionieri non pagavano per niente ma insomma piuttosto di niente e poi imparavo. Dopo nel ’47, questo sono andato nel ’47 neh dal ragioniere, ecco. Nel ’47 mi sono iscritta alle scuole civiche, che erano le scuole civiche di Milano che facevano ragioneria al Parini. Al Parini facevano le serali, era la scuola civica di Milano che facevano ragioneria. E poi mi sono nel ’54, no, dopo ho cambiato, però sono andata in una scuola privata alla, al Volta neh, e poi ho fatto gli esami e mi sono diplomata nel ’54 ecco. E nel ’55 invece ho trovato posto a Selezione del Reader’s Digest, era un giornale, era il giornale di, Reader’s Digest era americano, era uno dei giornali più in voga, mensile, è un mensile. Ma faceva, vendeva anche tante e dischi e giradischi e libri e tutto, oltre la rivista, la rivista era, ecco. E sono stata lì 32 anni. 32 anni più 8 del ragioniere ho fatto 40 anni di iscrizione all’INPS, ecco. E nel ’50, nel ’87 invece sono andata in pensione, ecco, con quarant’anni di anzianità. E adesso sono qui, malata, malandata, sì, no, e perché purtroppo con quello che ho avuto non sono, non sto tanto bene, ma.
ZG: Sì. Io volevo fare.
AB: Dica.
ZG: Mi sono segnato un sacco di domande.
AB: Sì.
ZG: Se vuole, iniziamo. Allora. La prima era una curiosità mia. La sua era una famiglia contadina, giusto?
AB: Sì. La mia mamma viene da una famiglia contadina. Anche mio padre veniva da una famiglia contadina, però faceva il muratore. Dalla Lomellina venivano.
ZG: Però una sua nonna ha potuto regalarvi una radio, ha detto prima.
AB: Sì perché mia nonna, la nonna, la mamma di mio papà viveva con la figlia, la quale si era sposata molto bene e aveva, vero, aveva un albergo. Lei, cioè il marito aveva un albergo. Mia nonna era andata a aiutare, era furba, tremenda era mia nonna, era una donna molto in gamba ma un po’ tremenda. Era riuscita, era l’unico regalo che ci aveva fatto, eh, perchè lei naturalmente viveva con la figlia, il figlio lo teneva meno da conto ecco. E l’unica cosa, ma siccome mia sorella si chiamava come lei, quel regalo lì ce l’ha fatto, ecco. E c’aveva regalato la radio, che a quel tempo la radio, avere la radio era una cosa, una cosa che non si poteva, per noi era un lusso, ecco, era un lusso.
ZG: E senta invece, oltre a suo zio, avevate altri parenti che, insomma...
AB: Erano fascisti?
ZG: Sì.
AB: No, altri parenti no, c’era solo mio zio, che era il fratello della mia mamma, l’unico fratello della mia mamma. Perché loro erano in cinque in famiglia, un fratello e quattro sorelle erano. No, solo mio zio, quel mio zio lì.
ZG: E lui come mai non è tornato in guerra?
AB: Chi, mio zio?
ZG: Sì.
AB: Eh mio zio perché aveva fatto la guerra del ’15-’18, era più giovane di mio papà, non era stato richiamato, ma non so per quale ragione. Lavorava dove, lavorava in un’azienda farmaceutica perché aveva un po’ studiato, Perché, adesso le spiego. Sartirana era sotto la, c’era un duca che era il padrone del paese, ducato di Sartirana era ed era imparentato con i, gli Aosta. Tant’è vero che il ragazzino, quando era stato, nel ’42 o ’43 che era, era lì nel castello di Sartirana. Ma mio zio, ma questo duca di Sartirana era, aveva due figlie. Una non si era sposata perché era mezza inscemita. Invece una aveva sposato un principe di Hannover e quando il marito era morto lei, per non perdere il titolo di principessa, non si era più sposata. Però aveva fatto tante, era padrona, praticamente era padrona di tutto il paese, di tutti i terreni, così. Aveva fatto molto per la, per la gente del paese. Per le donne, aveva, ad Alessandria aveva messo su la scuola per sarte e mia mamma l’aveva potuta frequentare, tant’è vero che mia mamma faceva bene, era una brava sarta perché aveva studiato proprio nella scuola della principessa. E invece mio zio l’aveva, si vede forse perché era tornato lì dal, eh no, tu non lo sai perché tu non ti sei mai interessata, ma io le sapevo queste cose perché mia mamma le raccontava, raccontava. La principessa poi aveva preso mia mamma per fare i vestiti di, prima che lei si sposasse, per fare i vestiti, i vestiti di casa delle domestiche insomma e anche per lei, fare i vestiti di casa, così. E li voleva molto bene. Poi siccome si aggirava per i boschi una volta si era persa lì dei boschi de, perché mia mamma abitava in una cascina ma sperduta, vicino alla, Bisognosa si chiamava, si figuri che cascina poteva essere. Comunque era vicino al Po mort perché lì passa, passavano i bracci del Po ma che chiamavano il Po mort perché sono bracci un po’ di, da poco ecco, e che tagliava il Monferrato alla Lomellina. Perché qui c’è la Lomellina dalla parte della, nella parte della Lombardia e invece nella parte del Po ma piemontese c’è il Monferrato e mia mamma veniva dal Monferrato, i suoi del, contadini ma del Monferrato che insomma si sono trasferiti lì nella Lomellina. E una volta si era sperduta la principessa, mia mamma questa qui lo raccontava sempre, e mio nonno l’aveva tirata fuori dai pasticci, come la signora con mia sorella. E allora è diventato e poi l’aveva portata a casa e le aveva presentato la famiglia, era praticamente un suo dipendente perché lavorava le terre della principessa, del duca, del duca di Sartirana e gliele aveva presentate e siccome c’era mia, l’unica che non faceva la contadina era la mia mamma perché faceva la sarta ma se no le sue tre sorelle facevano tutte le contadine. E gliel’aveva, allora lei ogni tanto quando, e poi gli aveva dato da mangiare o da bere, non so, il latte, così, e si era affezionata, la principessa si era affezionata sia alla mia mamma che la, che. Poi aveva dei domestici che erano parenti della mia mamma e perciò era particolarmente, insomma, la conosceva bene. E perciò non. Invece per le donne aveva messo sù questo atelier dove imparavano a fare le sarte e invece per gli uomini li aveva mandati, mio zio veniva dalla guerra ed era un dipendente di, che sarebbe finito di fare il contadino, le aveva fatto studiare, aveva fatto qualche scuola tant’è vero che poi aveva trovato da impiegarsi in questo, in questa la Paganini Villani, che era una ditta farmaceutica. E allora non era andato a militare perché... Poi si era sposato.
ZG: Fantastico. Ehm, senta invece, della vita in Isola, quando eravate in Isola....
AB: Ah, si stava bene, guardi. Io venivo a casa di sera, alle undici di sera, con un nebbione che non, perché venivo a casa dalle, dalla scuola serale. Venivo a casa magari con dei miei compagni che abitavano. Ma io entravo all’Isola che era piena di nebbia da non finire, io mi sentivo sicura, guardi, non avevo nessunissima paura. L’isola era un, una zona bella. La Via Confalonieri, la Via Volturno, la Via Borsieri. Eh, e poi, che si doveva fare la Via Borsieri, Piazzale Tito Minniti, che cos’è, ah cantavi , sì è vero, io salivo dalle, siccome avevo paura invece fare le scale perché ero al quarto piano, allora cantavo, e la gente, però erano le undici, era. Mia mamma mi sentiva, veniva fuori che mi preparava da mangiare perché io mangiavo alle undici di sera, quando ritornavo da scuola. E cominciavo a cantare e allora mia mamma veniva fuori, mi veniva ‘Tina, Tina, Tina’ e io arrivavo a casa e sapevo di essere aspettata, insomma.
ZG: Ma lei faceva le serali quando faceva le medie?
AB: No, facevo le serali quando ero andata dal ragioniere. Quando nel, dopo il ’47. Perchè io le medie le ho finite nel ’45. In aprile del ’45 io ho finito, il 25 aprile io facevo la terza media. Nel ’45 avevo tredici anni, no.
ZG: Eh, senta.
AB: Tant’è vero che non le ho finite, non le ho finite ma mi avevano promosso lo stesso perché.
ZG: E senta, sempre lì in Isola, prima sua sorella faceva riferimento però al fatto che, anche lei le diceva prima che era un quartiere molto popolare, che c’era un po’ di delinquenza.
AB: Oh, sì, sì, era ritenuto un, era ritenuto ed era proprio popolare, popolare, popolare. Case vecchie, erano case vecchie, tutte, Via Borsieri, Via Confalonieri, Via
MB: Via Serio
AB: Viale, no Via Serio era già più avanti, era già più verso la, la fontana. Piazzale Tito Minniti, ecco lì, proprio là, Piazzale Tito Minniti. Quando noi andavamo a fare il mese di maggio nel ’45 si andava in chiesa a fare il mese di maggio, sa, che mese di maggio è mese della Madonna. E mi ricordo che quando siamo passati di lì era il 25 aprile, era appena passato e maggio siamo passati di lì. Io mi ricordo che c’era uno appeso perché era stato ucciso, era stato strangolato, non so, che era il fratello della pollivendola che abitava nella casa ed era stato ucciso dai e alcuni invece li avevano uccisi nel, nel muro dell’oratorio di, del Don Eugenio, che è il Sacro Volto, questa. Lì in Via Volturno c’è la chiesa del Sacro Volto che era la chiesa del Don, Don Bussa, che però dopo è stato fatto uno dei giusti del... Ti ricordi quando il Peppino è andato che l’hanno festeggiato e mio fratello è andato in Israele che avevano, che l’avevano festeggiato, l’avevano. Perciò una personalità, il Don Eugenio.
ZG: Ehm, senta, volevo. Arrivando al periodo della guerra,
AB: Sì.
ZG: Lei ci ha detto prima che ha scoperto tramite la radio che era scoppiata la guerra.
AB: Sì, sì.
ZG: In famiglia se ne era parlato?
AB: Ma, non mi pare. Forse se ne parlava che doveva scoppiare la guerra perché c’era, ma non mi ricordo, non mi ricordo, no.
ZG: E la sera del discorso alla radio di Mussolini, eravate tutti insieme in famiglia?
AB: Eh probabile, probabile, sì, senz’altro.
ZG: Ah ok. Quindi non si ricorda se suo padre o sua madre avevano fatto dei commenti, sul discorso?
AB: No, ma loro non s’interessavano nè di politica nè niente. E non erano neanche nè fascisti nè niente perché.
MB: [unclear]
AB: Eh, sì, c’era mio padre che solo che diceva: ’mi raccomando, scrivete Duce bene, eh, scrivetelo bene’ perché a quel tempo il fascista era ritenuto e anche con mio zio:’ mi raccomando eh, zio Berto’, che era, noi sapevamo che era fascista perché quando era ritornato e poi quando andava a accompagnare i bambini, mia zia, che era la moglie, andava a accompagnare con la moglie del federale, andava a accompagnare i bambini alle colonie, passeggiava avanti e indietro sulle panchine della stazione centrale, a noi sembrava che fosse la moglie del federale invece era la moglie di un povero diavolo, ma insomma. Poi noi eravamo vestiti da piccoli italiani, ti ricordi? Che avevamo le calze nere delle mamme, che a quel tempo portavano le calze nere. Li facevano sulla un bottone e si faceva la,
MB: Ah sì.
AB: Il cappello, si metteva su in testa la calza della mamma con il fondo, mettevano il bottone veniva il cappellino della piccola italiana. Mia mamma m’aveva fatto la divisa eh! Perché a quel tempo si usava così, eh. D’altra parte ancora tanta grazia che ogni tanto davano dei pacchi, ti ricordi, che la
MB: Noi, non ne avevamo mai usufruito.
AB: No, dai, ma non dir pacchi dai
MB: Io mi ricordo quando è andata a dare la.
AB: Io mi ricordo quando andavo a prendere
MB: Io mi ricordo quando è andata a prendere la vera, io mi ricordo quando è andata a prendere la vera.
AB: Ah sì, perché forse c’è stato un periodo, forse nel ’38-’39, chiedevano,
MB: Dalle tombole di San Marco [?]
AB: Sì, chiedevano. Il Duce ha chiesto la
MB: L’oro.
AB: L’oro alla patria e allora tutte le donne, anche per farsi vedere, per, davano la vera, la vera, gli ori. Ce n’erano pochi, c’era poco, l’unico oro che avevano erano delle verone perché usavano. Però mia mamma l’aveva portata e dopo se l’era fatta rifare.
[ ZG: laughs]
MB: Perché poverina.
MB: Non so se aveva portato la, quella di mio papà o aveva portato la sua ma so, mi ricordo che erano una, erano vere alte, più alte di quelle che si usano adesso.
ZG: Quindi ha fatto fare rifare la fede?
MB: E aveva fatto rifare la fede.
ZG: E in che materiale era?
MB: Eh materiale d’oro. Aveva…
ZG: Dopo averla donata?
MB: Eh sì, perché dovevano far vedere perché lì venivano scritti, eh. Buffadossi, eh, ha lasciato la vera.
AB: Ha fatto la strada quella sera lì.
ZG: Senta, invece, suo padre era capofabbricato.
AB: Sì.
ZB: Il suo lavoro che cos’era esattamente?
AB: Eh doveva curare che, quando suonava l’allarme, venisse diretto bene il flusso alla cantina perché le cantine erano cantinacce, non erano mica le cantine che ci sono adesso, che sono belle pulite. C’erano, io mi ricordo che passavano i topi, eh, perché erano case vecchie, erano umide così. E doveva guardare che ci fosse le panchine perché mettevano le panchine, la gente andava lì, si sedeva e stava lì ad aspettare, contarsela sù che...
ZG: Quindi lui faceva questo lavoro di insomma far affluire le persone in cantina.
AB: Sì.
ZG: La cantina spettava soltanto al vostro palazzo o c’erano anche altri palazzi che dovevano [unclear]?
AB: No, ogni palazzo aveva la sua cantina.
ZG: E come mai vostro padre non vi svegliava, quando suonava l’allarme?
AB: Eh perché era compito della mia mamma ma mia mamma, lui scappava via [laughs] e mia mamma stava lì. Lei non c’era, c’ero solo io e io non avevo paura come non aveva paura la mia mamma. Mio fratello seguiva mio padre e via, perché lavorava anche lui. Aveva cinque anni più di me, perciò nel ’43 così.
MB: Lavorava alla Grazioli.
AB: Lavorava alla Grazioli.
ZG: Ma, e non avevate paura neanche dopo che si era incendiato il tetto della casa?
AB: No, non si era incendiato il tetto, si erano incendiato le gelosie.
ZG: Ah, le gelosie, giusto. E neanche dopo quell’occasione?
AB: Io non, non avevo paura, tant’è vero che pochissime volte sono andata giù in cantina. Non mi piaceva perché bisognava andare su e giù dalle scale, mamma mia, e dormivo. No, non mi piaceva.
ZG: E invece quando eravate a scuola è capitato che suonasse l’allarme?
AB: Ah sì, di giorno e lì era di giorno, lì invece mi piaceva perché ero con i miei compagni. Stavamo lì e magari dovevamo essere interrogate perciò c’era andata bene. La professoressa Lighini era un po’ severotta, eh.
ZG: E alle elementari come passavate il tempo nel rifugio?
AB: E niente, chiacchierando, chiacchierando.
ZG: Le maestre non vi, non c’erano compagni spaventati, qualcuno che aveva paura?
AB: Ma era solo le medie, perché io nelle elementari no eh. Nelle elementari non mi è mai successo. Perché nelle elementari, le avevo già finite perchè nel, io sono andata a scuola nelle elementari fino al ’42 perché, ma nel ’42 non c’erano i bombardamenti, ecco, sono incominciati nel ’43 i bombardamenti feroci che erano, che erano, e dopo ’43, dopo che c’era stato l’armistizio, perché prima no. C’erano i tedeschi che erano nostri alleati e noi effettivamente, quando abbiamo fatto l’armistizio li abbiamo lasciati, li abbiamo traditi in un certo senso e adesso.
ZG: Senta invece, tornando invece alle cantine di, a casa vostra. Com’è che le persone scendevano in queste cantine, c’era tipo una gerarchia, scendevano prima alcune persone poi delle altre?
AB: No, no no, venivano giù. Il primo piano era il primo a sedersi e poi c’erano gli altri piani e noi eravamo al quarto piano, eravamo gli ultimi a scendere.
ZG: Ok. Ehm, invece un’altra domanda. Lei era andata sul Lago Maggiore?
AB: Sì, da mia zia, da questa mia zia che era la moglie di un carabinieri che era stato richiamato. Lui era più giovane di mia mamma perché aveva forse un dieci anni, mia zia aveva dieci anni meno, lui era del ’92, lei era del ’02 e lui, eh, sarà stato del ‘900. Perciò nel ’40 quando era stato richiamato aveva quarant’anni.
ZG: Ehm, lei era andata sul Lago Maggiore per sfuggire ai bombardamenti.
AB: Eh sì perché.
ZG: E come mai nel ’43 ha deciso di tornare?
AB: Eh perché mia mamma a un certo momento ha detto: ’ritorna, se moriamo, moriamo tutti insieme’, ecco.
ZG: Ehm, senta invece mi. Volevo farle una serie di domande sempre su, sempre sul quartiere Isola durante proprio il periodo dei bombardamenti. Avevate paura di rapine in casa o?
AB: No, rapine no, perché cosa vuole, si chiudeva la porta. A quel tempo non si chiudeva neanche la porta perché io a dir la verità, avevamo la porta e l’antiporte, erano case così. Ma spesso e volentieri noi andavamo a dormire senza, anche dopo appena finita la guerra non chiudavamo neanche la porta. Non sempre si chiudeva la porta.
MB: Eh dai.
AB: Sa, rapine, cosa vuole che rapinassero in casa nostra? Se portavano via noi [laughs], dovevano darci da mangiare, no no per carità. Non c’era niente da rubare. Giusto quando andavamo al paese della mia nonna, che portavamo a casa quel sacchetto di, e dopo per passare il Ticino perché noi dalla Lomellina bisogna passare il Ticino a Vigevano bisogna passare il Ticino e il treno si fermava prima del Ticino, noi lo facevamo a piedi il pezzo del Ticino perché se no c’era il pericolo che bombardassero e poi c’era un altro treno che dal Ticino, dal ponte del Ticino a Milano via San Cristoforo, e noi poi prendavamo l’8 perché qui girava l’8 in Piazzale Tirana. A quel tempo l’8 era il tram principe per arrivare alla, alla Isola. C’era il 4 e l’8, che girava l’Isola. Noi prendavamo lì da San Cristoforo o da Porta Genova, ma noi scendavamo a San Cristoforo con il nostro pacchettino e il chilo di farina, e due o tre uova, la gallina, così e andavamo a casa, io e la mamma.
ZG: E senta.
AB: Perché tu non sei mai andata a Sartirana quando, invece io andavo con la mia mamma.
ZG: Però suo padre durante i bombardamenti la valigia con i gioielli di famiglia [unclear] [laughs]
AB: Sì, i gioielli [laughs], cosa vuole,
ZG: Quelli lì li portava via però.
AB: Ah sì, li portava via. C’era, io mi ricordo che c’era un taglio di vestito, poi forse c’erano delle lenzuola c’era un, era un valigione tutto grande, sa di quelli di cartone e pressato. Quello, c’era un taglio di vestiti, c’era, c’erano le lenzuola e che cosa d’altro, niente, nient’alto, non c’era nient’altro di, cosa vuole che portasse. E da mangiare, da mangiare sì, portava giù qualche cosa ma, un panino ma, ma non certamente pane e salame che non si trovava. Era tutto tesserato, si figuri.
ZG: Ehm, e gli spostamenti invece erano, per andare al paese di sua nonna erano facili o?
AB: No no, non tanto facili, perché c’era sempre il pericolo che bombardassero il, perché le vie ferrate erano le più, le più appetibili per le bombe, eh capisce? Magari erano spostamenti di forze armate addirittura, non era, non guardavano se. Perché erano odiati poi gli americani perché erano gli americani dicevano, che i russi non bombardavano perché erano troppo lontano. Invece gli americani erano quelli che bombardavano e venivano odiati perché erano loro che bombardavano.
ZG: Ma ehm, della possibilità che le ferrovie potessero venire bombardate lei lo sapeva già allora. Cioè chi glielo diceva?
AB: Eh me lo, eh si sapeva, cosa vuole, si è, si diventa svegli anche, quand’anche, anche se siamo bambini ma.
ZG: Senta invece volevo farle le ultime domande. Tornando al quartiere Isola. Quando mi diceva che aveva paura di attraversare la via in cui c’erano prima i fascisti e poi i tedeschi.
AB: Eh sì. Via Guercino guardi, e la Via Guercino c’era il comando tedesco e prima nella via, quella via lì che poi è attraversata da Via Guercino, c’era la Carlo Tenca ed era la sede delle Brigate Nere. Facevano, mettevano paura proprio, vedeva, sentiva questo passo cadenzato erano magari tre o quattro insieme [makes a thumping noise], le cose chiodate credo che avessero i, mettevano paura.
ZG: Ma avevano anche un atteggiamento nei suoi confronti oppure giravano delle voci su qualcosa?
AB: No, dicevano che erano cattivi e andavano a prendere i renitenti, renitenti alla leva venivano. Ogni tanto passavano le ronde, vero, ti ricordi? No, tu non te lo ricordi, io mi ricordo che nella nostra casa c’era un ragazzo, un ragazzo che era un poco più vecchio del e proprio lui che era il fidanzato di una sua amica che aveva la sua età, lui aveva forse due o tre anni più di lei e quando è stato chiamato che aveva giusto vent’anni è stato chiamato perché mandavano a chiamare no, con un foglio così e lui. I suoi hanno fatto così ma hanno fatto male perché poi vivevano male. Hanno chiuso una camera, l’hanno chiusa e come se non esistesse. Avevano tre camere e invece hanno fatto come se fossero due camere. E in quello lì c’era il ragazzo però ogni tanto lui si, guardava fuori dalla finestra e la gente della casa, guardando fuori, lo vedeva che veniva fuori. Poi lui era sparito, ‘sto ragazzo era sparito, perché era come noi, erano tre figli, lui in quella famiglia lì, era tre, di tre figli maschi. Invece noi, una figlia femmina e aveva 25, a quel tempo era del ’25, il primo, il Camillo avrà avuto, sarà stato del ’22 o del ’23, poi c’era il Franco che aveva l’età di mio fratello e poi c’era l’Antonio che era quello che mi accompagnava a scuola quando andavo a fare le medie, che aveva, era forse, io sono del ’32, lui forse era del ’31 o del ’30. E mi ricordo che mi, mi accompagnava lì in via e mia mamma mi lasciava andare perché se no cosa faceva. Io non potevo andare a scuola, lei non poteva mica venirmi a accompagnare che doveva lavorare [unclear] non faceva tutte queste e allora andavo. Erano proprio come una scalletta così e quando è sparito, che non si è visto più il Camillo, eh, dov’è andato a finire, poi abbiamo capito perché la sua casa, il suo appartamento era di tre camere e ad un certo momento si è trovato solo due camere. Perché era lì. Loro lì si vede che gli passavano da mangiare e via.
ZG: Ma ehm, lo hanno scoperto le autorità?
AB: No, non l’hanno scoperto.
ZG: Qaunto tempo ha passato così?
AB: Eh, avrà passato due anni. Eh sì. Ha vissuto male.
ZG: E poi è riapparso, finita la guerra.
AB: Poi è riapparso. Poi era fidanzato con, con la
MB: Con la Bruna.
AB: Con la Bruna.
ZG: Ehm
AB: Che poi non ha sposato però.
ZG: Senta invece, l’altra storia di quartiere, mi può parlarmi di quella di Don Eugenio?
AB: E di Don Eugenio era ritenuto una brava, una bravissima persona, infatti dopo, finita la guerra, è stato l’unico che ha messo su sulla. L’oratorio, nell’oratorio dove prendeva solo i ragazzi, i maschi, non era un oratorio misto. Però lui ha fatto, faceva i film al giovedì e alla domenica mi pare, i film che noi, il cinema non si andava al cinema, invece da lui si vedevano dei bei film, magari.
MB: La sera.
AB: Alla sera.
MB: L’Amante indiana.
AB: L’Amante indiana. Una volta abbiamo visto, sì, era bello. I film che magari non erano recentissimi però per noi erano recente perché non vedevamo mai niente. Cinema, dov’è che, c’era il Vox, c’era il Farini come qui nel, il Vox che era in Via Farini. E il Farini che è in Via Farini. E lì erano due cinema che c’erano in tutta la, in tutta l’Isola. Perché gli altri, non c’erano altri e noi si andava lì a. Ah, poi faceva il teatro e le parti da donna le faceva fare dagli uomini, neh. Eh perché non si usava fare, le ragazze, fate lavorare le ragazze. Però erano belle perché poi a un, ah, ecco dell’Alfredo e del Luciano. Nella casa di Don Eugenio poi era stata messa una famiglia di gente che veniva forse da Rovigo così, neh. Comunque insomma era stata messa che i Bussa erano andati a stare con il Don Eugenio a fare la mamma e la sorella, gli facevano da perpetua diciamo ed erano state, stavano lì in canonica con il e in questa casa è stato il Luciano, c’era l’Alfredo che aveva, era un pochettino più vecchio di te e il Luciano che era un pochettino più vecchio di me. Siccome era un ragazzotto che un po’ avventuroso, il Luciano l’ultimo figlio che ehm, non so, si era messo nei pasticci, era stato messo in prigione a San Vittore. Un ragazzo che poco più vecchio di me, avrà avuto, nel ’44 così avrà avuto, io quanti avevo, avevo dodici anni, lui avrà avuto un quindici anni eh. Era stato messo e allora lì. Sua mamma, siccome noi avevamo la legna, facevamo andare la stufa e avevamo la legna perché mio padre portava a casa dei rimasugli di legna e la sua mamma veniva sempre su da noi che così si scaldava e nello stesso tempo chiacchierava lì con la mia mamma. Mia mamma lavorava a macchina e lei, lei chiacchierava. Era grossa [emphasises], era grossissima. Sì, la mamma del, eh dai, dell’Alfredo, no, no, era, sarà stato un centocinquanta chili. E non avevamo né poltrone né sedie per farla sedere allora si sedeva in una cassa dove c’era dentro la legna, però un giorno si è seduta, l’ha sfondata [laughs], ed è caduta dentro la cassa. La cassa era una cassa di legno ma grande eh, grande così. Il coperchio si è rovesciato e lei è caduta dentro. È che da rompersi l’osso del collo, altro che fare il [unclear].
ZG: E questo, e Don Eugenio ha aiutato il, il ragazzo a San Vittore?
AB: Eh, credo di sì. Eh certo che l’avrà aiutato, avrà cercato di portarlo fuori perché era un suo protetto, era uno di quelli.
ZG: E voi avete scoperto che Don Eugenio ha aiutato degli ebrei e dei partigiani dopo, finita la guerra?
AB: No, questo l’abbiamo, questo l’abbiamo scoperto finita la guerra. Che abbiamo saputo che lui ha salvato degli ebrei e dei partigiani. Mentre invece, sono venuti. Questo l’abbiamo saputo dopo. E quello di, della, quando è stato, è stato un po’, è stato poi mica neanche tanti anni fa che l’hanno, hanno messo l’albero dei giusti. Perché sa che gli ebrei hanno una foresta fatta con gli alberi.
MB: [laughs] Perché sai che, sì [laughs]
AB: E perché, non è così? è vero. C’è una foresta fatta solo di alberi con i nomi dei giusti che hanno aiutato gli ebrei.
ZG: Senta, le faccio le ultime due domande. Il Pippo, cosa si ricorda del Pippo?
AB: E del Pippo dicevano che era un italiano andato in America, un americano che era diventato diventato americano e che veniva a bombardare [background noise]
AB: Buongiorno, scusi tanto. Dicevano così e, si diceva che fosse un italiano americano che avesse delle spiate di qualcuno che gli diceva dove buttare la bomba. Ma lo chiamavano il Pippo, non so io. Era noto dappertutto dicevano il Pippo. Stanotte arriva il Pippo perché guardavano la giornata, se era una bella giornata questo si sapeva quando si, quando era in. Noi, io ero sul Lago Maggiore, se era una bella giornata, oggi il Pippo va a Milano. E noi avevamo paura perché a Milano c’erano tutti, tutti quelli sfollati perché ce n’erano di sfollati lì sul Lago Maggiore.
ZG: Ehm, questa storia qua lì del Pippo chi la raccontava?
AB: Eh ma tutti lo dicevano. Parlando sì, tutti. Perchè vede anche mia sorella lo sapeva che, non sapeva niente mia sorella perché mia sorella non. Io invece parlavo con gli altri bambini, gli altri, perché giocavamo eh, nonostante la guerra, noi si giocava per la strada in Via Confalonieri, si correva, si faceva. Poi nella, nella nostra casa, in Via Confalonieri 11, c’era un bel cortile che adesso dopo ultimamente era diventato il box di tutta la gente che, ma un tempo. Che bel colore di pantaloni che ha, e molto, è vero.
ZG: Senta, proprio ultimissime domande. Lei sapeva chi vi bombardava?
AB: Dicevano gli americani.
ZG: Che cosa, che cosa pensava allora di chi bombardava?
AB: Eh male. Perché devono bombardarci, di colpa non ne abbiamo noi, noi gente. I civili che cosa devono fare? I soldati va bene, sono comandati, ma noi che non eravamo neanche comandati, non sparavamo mica a loro. Eh, bombardarci voleva dire farci fare la morte del topo proprio perché non potevamo scappare, potevamo andare via.
ZG: Finita la guerra, ha più ripensato a, ai bombardamenti, a cosa si provava?
AB: No, perché dopo, quando sono venuti gli americani, gli americani hanno portato l’UNRRA, c’era l’UNRRA che davano le stoffe,
MB: I vestiti.
AB: Che davano i vestiti, così e vabbè, ben, ringraziamo, cosa dobbiamo fare.
ZG: Senta, adesso che cosa pensa invece di chi bombardava?
AB: Eh sempre male perché non era mica giusto. Però d’altra parte anche noi che abbiamo tradito i tedeschi, cosa pretendi. E poi se la prendevano con noi, con la gente inerme, mentre invece erano i capi che avevano sbagliato eh. Il re per esempio si è comportato male.
ZG: Senta, ultimissimissima domanda. La casa di sass, la vostra casa. Esiste ancora?
AB: Sì, certo. Adesso c’è la targa proprio per il Don Eugenio. C’è la targa che all’11 di Via Confalonieri, lei vede la targa proprio che qui è stata la casa dove è vissuto Don Eugenio Bussa, uno dei giusti d’Israele mi pare, mi pare che ci sia. Che è bruttissima. Adesso però l’hanno un po’ rimessa a posto perché mi pare che abbiano messo l’ascensore. Figuriamoci che noi la facevamo tutta a piedi, adesso adesso chissà come farei.
ZG: Senta, io vi ringrazio moltissimo e concluderei l’intervista.
AB: Va bene. Che sono intervenuta quando non dovevo.
ZG: Ma no.
SB: Ma no, ci mancherebbe.
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Title
A name given to the resource
Interview with Annunciata Buffadossi
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Annunciata Buffadossi recollects her wartime life in Milan. Annunciata stresses poor-quality housing in a low-class neighbourhood close to potential targets; emphasises how much she feared Germans and Fascists; and speaks with affection of her old house, a block of flats with shared balconies. Describes the effects of fire on her house and recollects how shelter life was like. Contrasts the boldness of her mother with the behaviour of her father, who was easily frightened in spite of his role as warden. Annunciata stresses her own care-free attitude, explaining how day bombings were welcomed as opportunities to skip school tests, and night attacks regarded as an annoyance rather than a serious menace. Mentions her brief evacuee experience which ended in 1943, when the bombing war intensified and the family resolved to face the danger together in Milan. Describes aircraft flying over Lake Maggiore, and how children tried to guess their target. Describes subterfuges to get food in spite of rationing, and mentions many war-related anecdotes: reprisals and post-war revenge, a draft dodger hiding in a concealed room for years, and military internees. Mentions Eugenio Bussa, one of the Righteous Among the Nations, explaining his benevolent activities, as well as his role as helpers of partisans and Jews. Tells many anecdotes of her relatives, especially in connection with the Duchess of Sartirana and her charitable activities. Describes Pippo as an aircraft piloted by an Italian American, who relied on information passed to him by helpers. Describes Americans as generally hated for the bombing of cities and killing innocent people. Links the bombing war with Italy’s change of allegiance and recognises the contribution of the allied after the end of the conflict.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Zeno Gaiaschi
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-05-28
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
01:19:20 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Po River Valley
Italy--Milan
Italy--Pietra Ligure
Italy--Pallanza
Europe--Lake Maggiore
Italy
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1943
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ABuffadossiA170528
PBuffadossiA1701
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
bombing
childhood in wartime
civil defence
evacuation
fear
Holocaust
home front
perception of bombing war
Pippo
Resistance
round-up
-
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https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/64/570/APasettiAMS161201.1.mp3
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Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Serafini, Anna Maria
Anna Maria Serafini
A M Serafini
Description
An account of the resource
One oral history interview with Anna Maria Serafini (b. 1922) who recollects her wartime experiences in Bologn and Imola.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Pasetti, AM
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
GF: Buongiorno signora Maria.
AMS: Buongiorno.
GF: Le chiedo se può raccontarmi cosa faceva, com’era la sua famiglia, dove abitava prima che scoppiasse la guerra.
AMS: Dunque io abitavo in via Pascoli 7, i miei genitori, mio papà ingegner Filippo Serafini [pause] era presidente dell’Aeroclub di Bologna [pause] devo andare avanti?
GF: Sì, sì, prego, mi racconti pure.
AMS: Ah, allora io ero giovane perché sono nata del ’22, il 16 luglio del ’22, perciò sono stata prima a scuola, alle scuole Pascoli poi sono passata al liceo Galvani che era un liceo molto importante a Bologna, ed era gli studi classici. Io facevo il liceo, quando è stata la seconda liceo, mi sono fidanzata con Luigi Pasetti che allora era uno studente. Lui era appassionato di volo, mio padre era il presidente dell’Aeroclub di Bologna, il mio, allora il mio fidanzato prese il brevetto di pilota civile, con questo lui sarebbe stato richiamato in aeronautica qualora lo avessero richiamato. E così noi eravamo fidanzati e scoppiò la guerra, eravamo ancora fidanzati. Mio marito fu subito richiamato, fece ehm il servizio militare come aviatore eh, e io continuai gli studi fino avere la licenza del liceo classico. Siccome mio marito, insomma il mio fidanzato, era lontano io mi, avevo preso il diploma del liceo classico, mio papà, benché io fossi molto giovane - avevo 19 anni - ci lasciò sposare e noi ci siamo sposati il 9 aprile del ’42 in piena guerra. Fu un matrimonio proprio bello, di guerra mio marito era in divisa da tenente, sottotenente dell’aviazione, e lì c’è la fotografia. E poi mio testimone fu il generale Ranza, Ferruccio Ranza un eroe della guerra mondiale, della seconda guerra mondiale, anche lui generale d’aviazione. E testimone di mio marito fu un suo collega anche lui sottotenente d’aviazione. Mio papà era in divisa da colonnello d’aeronautica perché lui aveva fatto la prima guerra mondiale come pioniere dell’aria infatti lui era vice presidente dei Pionieri d’Italia, ero stato uno dei primi aviatori italiani nella prima guerra mondiale. E allora in certe occasioni poteva vestire la divisa perciò fu tutto un matrimonio in divisa. Noi ci siamo sposati il 9 di aprile del ’42, finita la licenza che mio marito aveva avuto per un mese io lo seguii perché lui era allo stormo di bombardamento all’aeroporto di Aviano, a Pordenone, io vivevo in albergo a Pordenone e lui faceva il suo servizio militare. Siccome ero rimasta incinta sono rimasta lì vari mesi poi quando fu il momento di, che dovesse nascere questa bambina io sono venuta a Bologna, in Strada Maggiore 26. Siccome allora c’erano i bombardamenti sulla città di Bologna però noi si sperava che essendo una casa così in centro, quasi vicino alle due torri lì si potesse stare abbastanza tranquilli. E allora i vari inquilini, erano quattro, quattro o cinque, costruirono un rifugio nelle cantine della casa Rossini, c’erano delle belle cantine grandi. Io non sono mai stata in una cantina, in un rifugio di quelli pubblici, quando c’erano gli allarmi, io avevo la bambina piccola, io correvo giù in questo rifugio che era stato costruito per nostro, per nostra necessità, avevano, con dei pali, avevano sostenuto i muri, avevano messo tanti sacchetti di sabbia e poi delle panche contro il muro. E così quando suonava l’allarme, io correvo giù, e sempre con la bambina in braccio, con questa bambina stretta in braccio, e li sentivamo, sentivamo le fortezze volanti che arrivavano e naturalmente si stava con un po’ di agitazione. Io poi soprattutto avevo paura che la bambina si spaventasse, la piccolina aveva circa un anno, un anno e mezzo e allora magari giocherellavo con la bambina. E poi dicevano ‘Oh è caduta una bomba, dev’essere alla Corticella’ oppure ‘Dev’essere da qualche altra parte’ ma stavamo lì buoni, poi finiva l’allarme, venivamo su, riprendevamo la vita più normale possibile. Una volta mi sembra che fu nel 25 settembre, noi eravamo giù e cominciammo a sentire delle ondate [emphasis] di aeroplani, ondate! Venivano, e poi ne arrivavano degli altri, degli altri: un bombardamento terribile, la terra tremava e allora eravamo, io, io ero molto molto preoccupata, soprattutto sempre per la bambina, e mi stringevo la bambina. C’era qualcuno che pregava e si stava così. E quello fu il terribile bombardamento che cominciò dal Sant’Orsola, caddero le prime bombe sull’ospedale Sant’Orsola, e poi vennero avanti e fu un bombardamento terribile alla stazione e poi continuò dopo la stazione verso la Corticella giù. E si sentivano sempre questi aeroplani, erano le fortezze volanti che arrivavano di continuo, di continuo, fu un bombardamento lunghissimo, durò per tanto tempo e quello fu per me il bombardamento più terribile. Mio marito infatti, che allora era stato portato da Aviano a Gorizia, all’aeroporto di Gorizia, chiese una licenza per venire a vedere come stava la sua famiglia dopo questo bombardamento ed ebbe alcuni giorni di licenza. Ci trovò tutti bene, il tragico fu quando uscimmo dal nostro rifugio e ci dissero tutto quello che era successo, per fortuna lì in centro delle bombe non erano cadute e noi ci siamo salvati. Dopo quell’avvenimento, la mia famiglia pensò che era bene lasciare la città e come tanti essere sfollati e allora andammo nella villa dei Pasetti, vicino a Imola in via Piratello dove la villa era un po’ isolata, nascosta fra gli alberi e si pensava lì di stare più tranquilli. Per me, e lì anche c’erano, ogni tanto passavano gli aeroplani e lasciavano cadere delle bombe, o su Imola o sulla ferrovia che era a 300 metri dalla nostra villa, perché la villa era tra la via Emilia da una parte, 800 metri e dall’altra 300 metri la linea ferroviaria quella l’adriatica, quella che da Bologna va verso Ancona, allora cosa volevo dire. Ecco allora sì anche lì c’eravamo fatti una specie di rifugio in campagna, un buco per terra e quando sentivamo gli aeroplani corravamo lì ma non era una cosa molto sicura. Per me l’emozione più grossa l’ho avuta per un mitragliamento e questo è l’episodio che io vorrei raccontare. Posso parlare?
GF: Ovviamente sì, prego.
AMS: Nell’estate del ’44, estate del ’44, mio marito, siccome era caduto, insomma l’Italia aveva chiesto, aveva chiesto, come posso dire, l’Italia era divisa in due, è vero? Mio marito non si era più presentato tra i militari e faceva il partigiano eh, e allora siccome la nostra villa lì era stata requisita quasi tutta dai militari tedeschi noi c’eravamo ridotti tutti in due stanze a pianterreno, la cucina e un’altra stanza e poi, al primo piano e c’eravamo tutti ridotti lì, perché anche la mia famiglia il mio papà, la mia mamma, la mia nonna e le mie sorelle ancora ragazze erano venute tutte lì sfollate. Allora siccome io insomma eravamo messi un po’ molto male con i tedeschi che entravano uscivano, mio marito doveva stare nascosto perché lui era partigiano. Allora un nostro amico che si chiamava Luigi Baruzzi ci disse che avrebbe potuto ospitarci in una casa che aveva su in collina a Monteloro si chiamava, Monteloro sopra il paese di Borgo Tossignano, circa a una ventina di chilometri da Imola, dice, era una casa molto isolata là in montagna, abbastanza sicura. E allora noi, mio marito, io e la bambina avremmo potuto avere un po’ di ospitalità lì da loro per stare un po’ più tranquilli per un certo periodo e così accettammo. Mio marito, in segreto, di nascosto, trovò un cavallo, un calesse, caricò me, la bambina, alcuna qualche cosa di vestiario, qualche cosa di viveri, dei viveri e poi attraverso delle stradine secondarie, arrivammo alla via montanara che era la strada che collegava Imola con Borgo Tossignano e poi andava su verso la Toscana. Lì a un certo punto avremmo dovuto voltare a sinistra e andare su per la collina per arrivare a Monteloro. Mentre noi eravamo sul calesse in questa strada bianca perché non era neanche asfaltata, mio marito che era aviatore sentì da lontano un rombo allora lui capì subito il pericolo, fermò il calesse, fu velocissimo, scese dal calesse, mi tirò giù proprio dal calesse, io avevo sempre la bambina stretta in braccio. Di fianco alla strada, c’era un campo con del granoturco, con le piante di granoturco abbastanza alte. Allora lui in gran velocità mi fece saltare il fosso che c’era tra la strada e il campo, io siccome era d’estate avevo i sandali e i piedi nudi, lì c’erano tutti i rovi, mi sarei potuta ferire, allora lui aveva gli stivali allora pestò un po’ per terra ma in gran velocità, mi fece mettere i piedi lì dove lui aveva pestato, e poi mi buttò giù per terra in mezzo alle piante di mais. Io avevo la bambina sotto di me, lui aveva una sahariana verde e si buttò su di noi e mi metteva la testa mi teneva la testa giù con le mani così. Insomma l’aeroplano passò, vide naturalmente il calesse il cavallo sulla strada, ma a noi non ci vide nel campo e cominciò a mitragliare, a mitragliare il calesse e io sentivo i colpi della mitragliatrice cadere tutti intorno a me, fu uno spavento terribile però avevo mio marito che ci copriva con il suo corpo e allora eh eh, ma quella fu l’amozione più grande [gets emotional] perché sentii proprio i colpi vicini eh. Poi l’aeroplano passò dopo aver mitragliato, colpì il calesse ma il cavallo non lo colpì, allora mio marito disse ‘Stiamo ancora qui nascosti perché c’è il caso che torni indietro’ invece poi l’aeroplano non ritornò allora salimmo di nuovo nel calesse e in fretta raggiungemmo questo posto che si chiamava Monteloro. Io finirei così eh? Poi non so se vuol sospendere eh?
AMS: Posso chiederle Anna Maria se in quel momento si ricorda o aveva coscienza di chi la stava mitragliando, di chi era?
GF: No veramente io personalmente non capivo, so che era un aeroplano, non sapevo se era o tedesco o inglese non sapevo, o americano non sapevo, no.
GF: E passato quel momento poi l’ha scoperto?
AMS: Non ho capito.
GF: L’ha scoperto poi chi erano?
AMS: Sa che non mi ricordo? Non mi ricordo, ma, non mi ricordo, no.
GF: Suo marito cosa diceva?
AMS: Non lo so, non mi ricordo, no.
GF: Non si preoccupi, non si preoccupi. Allora se, se è d’accordo tornerei un attimo al ’42 quando è andata a Pordenone con suo marito.
AMS: Sì.
GF: Ok, mi ha detto che suo marito era un pilota dello stormo bombardieri.
AMS: Sì, sì.
GF: Mi può raccontare che cosa faceva? Se lo ricorda?
AMS: [pause] Dunque azioni di guerra no, da lì non ne ha mai fatte, dopo quando è passato a Gorizia, eeeh aspetti che anno? Subito l’anno dopo passò a Gorizia lui passò nei aerei siluranti, allora sì che partecipò a un’azione. Partivano da Gorizia con le, come si chiamano, non le bombe, sotto l’aeroplano e poi andavano a cercare nel mare, nell’Adriatico se c’era qualche nave inglese da silurare, ecco il siluro. Avevano due siluri sotto all’aeroplano, sotto l’apparecchio e da Gorizia partivano per fare questi siluramenti e mio marito partecipò a uno. Però non fece niente di, insomma non colpirono, non furono, tornarono eeeh senza, ma fu un’azione di guerra. Invece un suo collega, colpì proprio una nave, silurò una nave inglese, sempre partendo da Gorizia. [pause] Invece da Pordenone, da Aviano, facevano dei voli di addestramento, dei voli notturni ma non erano azioni di guerra. [pause] Poi cosa mi vuol chiedere?
GF: E parlava suo marito con lei si queste cose? Della guerra parlavate?
AMS: Mah di giorno in giorno diceva anche qualche cosa, mah. Però non è che mi desse dei particolari no.
GF: Allora torniamo adesso a quando lei torna a Bologna, con sua figlia piccola.
AMS: Sì.
GF: Eh mi ha raccontato che ehm avevate questo rifugio.
AMS: Sì.
GF: Ecco da quando, posso chiederle se mi racconta, da quando suonava l’allarme, a quando andavate, cosa facevate, cosa facevate durante il periodo?
AMS: L’allarme?
GF: Sì.
AMS: Ah ah, cosa vuole che facessimo? Eravamo lì, c’erano due panche, lo spazio poi era diventato ristretto perché coi sacchetti coi pali, la cantina si era ristretta e si stava lì, si cercava di sentire, se si sentiva qualche rombo, qualche colpo, ma si stava lì abbastanza tranquilli, io non ho assistito a delle scene di panico, no? Più che altro magari mia nonna sgranava il rosario ecco qualche d’uno pregava, io cercavo sempre di stare con la bambina a fare dei giochetti tanto tranquillizzarla, e poi insomma, non è che l’allarme durasse poi tantissimo, una mezz’oretta una cosa così. E invece poi fu il bombardamento che durò molto, molto eh.
GF: E quali emozioni provava? Se le ricorda che emozioni provava in quei momenti?
AMS: Mah emozioni, eh sì un po’ di preoccupazione, non è che fossi proprio molto molto agitata, no.
GF: C’erano anche i suoi genitori?
AMS: No, no, perché io stavo in Strada Maggiore e loro stavano in via Pascoli, loro avevano poi un altro rifugio.
GF: Invece poi l’anno dopo siete sfollati.
AMS: Sì siamo sfollati, siamo sfollati nella villa in campanga, allora anche i miei genitori, mia nonna, le mie sorelle, sono tutti venuti lì e lì avevamo questo buco nella terra perché su Imola anche ogni tanto sganciavano ma lì da noi no, però si aveva paura dei bombardamenti, dei mitragliamenti più che altro. Perché quasi tutte le sere, un apparecchio, noi dicevamo inglese ma non so se fosse americano eeeh, lo chiamavamo Pippo, lo chiamavamo Pippo ‘Ecco adesso arriva Pippo’ perché si abbassava e mitragliava, mitragliava le case, ecco quello faceva un po’ ‘Oooh, attenti attenti che adesso arriva Pippo!’ e allora ci mettevamo contro il muro, io avevo messo la culla della bambina in una zona contro il muro, una zona che non guardasse la finestra, in modo che il muro riparasse da queste mitragliate, passava e mitragliava quasi tutte le sere. Poi lì il brutto erano i tedeschi che occupavano la casa, capisce? Che sa questi militari così, e allora si stava stretti. Ma si viveva poi così di giorno in giorno, non è che si provasse sempre tutta questa gran paura, capisce? Eh, anche durante i bombardamenti qui a Bologna, noi pensavamo che lì a casa fosse abbastanza tranquillo, mia mamma solo diceva ‘Qui facciamo la fine dei topi, qui sotto!’ ma doveva proprio caderci una bomba in testa eh! Non è che fossi proprio agitatissima, no. Sa, quando poi si è anche molto giovani, si è anche un po’ spericolati, eh io poi pensavo a mio marito che era militare, che era via no, non è che mi agitassi molto. Correvo giù in rifugio, sì quello sì perché mi dicevano che bisognava andare in rifugio, è meglio andare in rifugio ma ero abbastanza tranquilla eh. Sì io poi ho vissuto, quello può essere ancora interessante, quando la liberazione di Bologna, quello è stato interessante. Dunque Bologna è stata liberata da truppe polacche che naturalmente erano con gli americani eh, ma erano truppe polacche. E ci fu, noi eravamo tornati a Bologna perché in campagna non si poteva più vivere, la casa era stata tutta requisita allora noi a un certo momento tornammo in città e anche i miei genitori, che siccome i tedeschi avevano fatto la Sperzone che si chiamava, cioè la zona centrale della città e entro la Sperzone che erano i viali in circonvallazione, mio padre e mia madre stavano in questa villa proprio al limite della Sperzone perché era sui viali Gozzadini, allora vennero nella nostra casa di Strada Maggiore 26. Quando ci fu, diciamo, come la liberazione di Bologna, ci fu prima una grossa battaglia la Battaglia della Gaiana che è un paese, un posto tra Castel San Pietro, cioè Imola, Castel San Pietro e Bologna. Lì ci fu una battaglia tenuta dalle truppe dalle truppe polacche, polacche contro i tedeschi e i tedeschi si ritirarono. Dopo la battaglia della Gaiana le truppe polacche entrarono a Bologna ed entrarono una parte per porta Santo Stefano e una parte per porta Mazzini, perciò lì a Strada Maggiore. Io con la bambina in braccio sempre, e i miei genitori, eravamo tutti sul balcone di casa Rossini, avevamo messo fuori una bandiera e applaudivamo le truppe polacche che arrivavano proprio lì sotto di noi, anzi, siccome era poi veniva l’ora del pranzo invitammo un soldato polacco a venire a mangiare con noi, e mangiò con noi a tavola. Noi, io poi personalmente, conobbi il comandante polacco che era un giovane tenente, il cappellano polacco e il dottore polacco dell’armata. Io c’ho lì un libro che mi ha regalato il dottore polacco con tanto di dedica perché eravamo diventati amici di questo gruppo polacco che aveva salvato Bologna. Questo è molto interessante, se vuol vedere le faccio vedere anche il libro con la firma.
GF: Sì, dopo volentieri. Quindi avete festeggiato alla liberazione?
AMS: Sì, noi abbiamo, perché dopo la vera liberazione che fu a Milano fu tre giorni dopo, ma a Bologna fu prima, tre giorni prima e furono i polacchi. Ah poi le dico un altro particolare che siccome in cima alla torre Asinelli avevano messo, i partigiani, avevano messo una bandiera rossa, appena i polacchi entrarono e videro quella bandiera rossa corsero su e via strapparono la bandiera rossa e misero la bandiera americana in cima alla torre Asinelli. Io dalla finestra, da una finestra del mio appartamento, vedevo la torre vedevo la cima della torre! E così vedevo questa scena di aver tolto la bandiera e aver messo quella americana, ha capito? Quello è stato anche un bell’episodio. Dopo siccome i polacchi vollero festeggiare il loro comandante, questo sottotenente, questo tenente, fecero una festa alla Gaiana, in un fienile di un contadino che era poi la proprietà dei principi Ruffo e a questa festa di militari polacchi invitarono anche me, mio marito e le mie due sorelle che erano ragazze. E così vedemmo il comandante polacco che si alzò in piedi durante il pranzo con la spada sguainata e poi tutti che lo festeggiavano, i suoi militari, ha capito? E poi io era diventata molto molto buona amica del cappellano che poi è saltato su una bomba, su una mina è saltato su una, ed è sepolto nel cimitero polacco di San Lazzaro, ma non mi ricordo il cognome, lo chiamavamo, lo chiamavamo cappellanie che in polacco il vocativo finisce in –ie, allora lo chiamavamo ‘Il cappellanie! Arriva il cappellanie!’. E veniva veniva a trovarci era molto carino. E poi c’era il dottore, il ‘dottorje’, il ‘dottorje’. Il dottore si chiamava Stanislav Krusceche e c’ho lì il libro che mi ha regalato che era ‘Tristano e Isolde’ in inglese e ha scritto come dedica ‘A great roman for a little lady’ e poi la sua firma, e quello ce l’ho lì. E quello è stato un bel periodo eh. Dopo, dopo tre giorni hanno liberato Milano, hanno liberato l’Italia e poi il governatore americano che era diventato governatore di Bologna, io lo avevo conosciuto molto bene ma non mi ricordo il cognome, questo questo governatore, che poi diventò da Bologna diventò governatore di Trieste, era un governatore americano, e davano delle feste da ballo e io ero sempre invitata a queste feste da ballo e ho ballato molto col governatore perché diceva che io ballavo molto bene. Quando io entravo in sala che generalmente le feste le facevano nel salone del palazzo Montanari in via Galiera, quando io entravo arrivava l’attendente del governatore e mi diceva ‘Il governatore vuole poi ballare con lei’ e io dicevo ‘Molto volentieri’ e così ho ballato col governatore americano. Però non è che noi che io ho legato poi molto con le truppe americane, no! Andavamo sì a qualche festa che loro davano ma così insomma, io stavo sempre in Strada Maggiore, al 26. Questo è stato subito dopo la guerra, perché poi la nostra villa in campagna, dopo i tedeschi quando arrivarono le truppe ci andarono prima i polacchi, fu sempre requisita da dei militari, allora ci andarono prima i polacchi e poi delle truppe americane, poi finalmente quando tutto si tranquillizzò e noi potemmo ritornare nella nostra villa in campagna era un disastro: la villa era rovinatissima, il giardino tutto buttato per aria e abbiamo dovuto ricominciare a ricostruire. Mio marito ha passato tutto il dopoguerra a ricostruire, ricostruire la nostra casa in campagna e le case dei contadini perché mio marito aveva quattro case coloniche e allora a ricostruire le case, a riprendere gli animali, le mucche così perché non c’era rimasto più niente, eh! E anche nel nostro giardino, a piantare gli alberi andavamo io e mio marito andavamo da Ansaloni a San Lazzaro che era un vivaio molto bello e compravamo gli alberi già abbastanza grandi e li facevamo piantare in giardino per rifare un po’ il giardino.
GF: Le va di raccontarmi di quando i tedeschi erano nella sua villa, della convivenza con loro, com’era?
AMS: Aaah, era era cercavamo di stare più separati possibile, aver meno contatti possibili ma al principio, lì nella nostra villa, siccome era vicina al cimitero del, del Piratello eh, lì nel cimitero di Imola cominciarono a seppellire i soldati tedeschi che cadevano mano a mano o in una schermaglia o in una piccola battaglia e li portavano lì e li portavano a seppellire lì. Allora nella nostra villa fecero l’ufficio del cimitero, venne un maresciallo tedesco che era un maestro di scuola mi ricordo che lui ci disse e noi lo chiamavamo il ‘grebelino’ perché ‘grebel’ in tedesco vuol dire tomba, eh? E allora quella era la sede dei ‘grebel’ cioè dei di quelli dei tedeschi che venivano sepolti, gli venivano dati i documenti lui poi questo ufficiale, questo militare questo maresciallo tedesco mandava le notizie alle famiglie, capito? Allora finché abbiamo avuto quei militari lì che erano un ufficio diremo, noi siamo andati abbastanza bene, insomma eravamo abbastanza tranquilli, quando spostarono questo ufficio perché il, l’armata tedesca mano a mano si ritirava, allora anche loro si ritirarono, andarono più avanti e allora vennero proprio le truppe quelle da combattimento con i carri armati e quelli sa, quelli facevano una gran paura, quelli facevano una gran paura sì, perché sa venivano, e giravano per casa, volevano i bagni, erano un po’ prepotenti, eh! Dopo noi abbiamo lasciato la villa e allora dopo hanno fatto quello che hanno voluto ma andati via i tedeschi dopo lì sono venuti i polacchi hanno occupato la villa i polacchi ma noi eravamo poi a Bologna. Eh, coi tedeschi in casa sa, eh era piuttosto preoccupante, eh! Anche perché una volta vennero giù in cantina da noi nella villa e presero tutto il vino che c’era. Noi mio marito, insomma la famiglia di mio marito, aveva delle antiche bottiglie ancora s’immagini del tempo della rivoluzione francese, con sopra il cartellino scritto ancora con la vecchia calligrafia, ma non era più vino, era un rimasuglio, ha capito perché era una cosa vecchia, e lo tenevano come ricordo. Quando vennero certe truppe tedesche portarono via tutto il vino che c’era e portarono via anche quelle bottiglie. Noi lo dicevamo ‘Ma quelle non sono da prendere, non son da bere’. Dopo tornarono cattivi! Arrabbiati perché dice che gli avevamo dato del vino cattivo: avevano aperto le bottiglie del ‘700! Quello non era più vino, erano delle vecchie bottiglie tenute come ricordo, noi l’avevamo detto ma loro non hanno voluto capire o sentire e dopo vennero arrabbiatissimi, erano arrabbiati dicendo ‘Ci avete dato del vino cattivo!’. Noi eh, ce lo avevano portati via, eh! [pause]
GF: Prima, prima mi ha detto che suo marito dopo il ’43 era diventato partigiano, le va di raccontarmi questa storia?
AMS: Sì, sì dunque, gli uomini, in quel periodo, dovevano stare nascosti perché avevamo i tedeschi dappertutto e se li avessero trovati li avrebbero mandati in un campo di concentramento e allora mio marito andava su in collina e si trovava con degli altri, eh! Era così. Poi veniva a casa, di nascosto sempre e poi stava con gli altri ma non è che ha fatto delle azioni da partigiano, lui stava così nascosto assieme a degli altri per non essere presi dai tedeschi.
GF: E dopo la liberazione invece? Ha ripreso il suo lavoro?
AMS: Ha ripreso?
GF: È tornato nell’aviazione?
AMS: No, ascolti, quello fu un mio grande dispiacere perché io avrei voluto che lui tornasse in aviazione come militare ma siccome intanto era morto mio suocero, lui aveva la campagna e la terra da seguire, tutte queste cose da ricostruire, lui disse ‘No, io lascio l’arma’ ma lui fu, è rimasto sempre attaccato all’aviazione tanto è vero che vede lì le fotografie. Lui poi da morto ha voluto che gli mettessimo la divisa da capitano d’aviazione, perché intanto era diventato capitano, perché lui era rimasto attaccatissimo all’aviazione ma non aveva più voluto fare il servizio militare. Perché aveva quel po’ di terra da seguire, intanto poi ci erano nati degli altri figli e allora insomma non ha più fatto il militare no. E io ebbi un gran dispiacere perché io gli dissi ‘Alla terra posso tenerci dietro e tu fare il tuo servizio militare perché è quella la tua strada!’ Perché lui poi aveva la passione della meteorologia e allora sa, avrebbe potuto per dire andare alla televisione a fare sa quelle spiegazioni del tempo così, perché lui come militare seguiva molto la metereologia [emphasis], ma lui non ha più voluto. Anche perché poi mio marito purtroppo si ammalò molto molto presto di cuore e aveva il cuore che non era più buono, continuò a volare come aviatore civile su apparecchi civili ma così con dei voletti. Fece anche il volo a vela, fece anche il volo a vela partendo dall’aeroporto di Bologna, veniva lanciato, lui era in un carrello c’era un aeroplano che lo trainava con una corda e lo lanciava e quando era per aria lo staccava e lui con questa navicella stava così un po’ in aria e poi cercava di ridiscendere. Io lo vidi, sa una paura terribile! E dissi ‘Guarda io non vengo più a vedere quando fai il volo a vela!’. Perché lui era rimasto sempre molto attaccato all’aviazione, però non volle più fare il servizio militare.
GF: Signora Anna Maria torno ancora una volta, per l’ultima volta sui bombardamenti.
AMS: Sì.
GF: Le volevo chiedere, quando era a Bologna e bombardavano.
AMS: Sì.
GF: Sapevate chi vi stava bombardando, cosa pensavate di chi vi bombardava?
AMS: Ah lo sapevamo che erano gli americani! Lo sapevamo sì, erano le fortezze volanti, le fortezze volanti erano solo americane.
GF: E ne parlavate? Cosa pensavate?
AMS: Eh pensavamo che era la guerra eh eh così, era la guerra. Noi poi pensavamo che i tedeschi se ne andassero che arrivassero questi americani a liberarci perché avevano liberato una parte dell’Italia e poi si fermarono l’ultimo inverno, si fermarono a un fiumicello che si chiamava il Pisciatello, Pisciatello, era un piccolo fiume e lì si fermarono gli americani tutto l’inverno e noi non vedevamo l’ora che arrivassero gli americani, per finire di liberare tutta l’Italia. E sapevamo che erano loro che ci bombardavano e dicevamo ‘Eh è la guerra, eh speriamo che finisca presto eh!’. Ma lo sapevamo benissimo chi era che ci bombardava, sì. I mitragliamenti no, perché quando veniva un apparecchio isolato non si, non si capiva bene se era tedesco, inglese, americano quello non si capiva ma i bombardamenti e quando arrivavano i, le granate su Imola e quello si sapeva che erano americane.
GF: E Pippo?
AMS: Eh Pippo, Pippo dicevamo ‘Arriva Pippo!’ ma io credo che fosse, non so, non sapevamo di preciso chi fosse, c’era sempre questo aeroplano che arrivava e lo chiamavamo Pippo ‘Arriva Pippo, arriva Pippo’.
GF: E avevate paura di Pippo?
AMS: Sì molto, i mitragliamenti facevano molta paura. Io poi che avevo avuto quel grosso mitragliamento ero rimasta impressionata. [pause] Perché non si capiva l’aeroplano che cosa facesse, dove andava, capito? I bombardamenti si sentivano arrivare, queste grandi fortezze volanti che facevano un rombo, un rombo enorme, e poi si sentiva lo sgancio poi si sentivano [makes a hissing sound] boom, si sentiva il fischio, il fischio delle bombe che venivano giù. Eran dei momenti tremendi, si vivevano così, giorno per giorno. [pause]
GF: Mi ha parlato dei tedeschi, e invece dei fascisti?
AMS: Dei?
GF: Dei fascisti?
AMS: Mah i fascisti non so, in che modo dei fascisti?
GF: Cosa pensava, avevano occupato la sua casa i tedeschi, c’erano anche delle truppe fasciste insieme?
AMS: No no.
GF: No.
AMS: Non c’erano truppe fasciste, no no no non c’erano truppe fasciste. Mio padre non è mai stato fascista, gli avevano dato insomma gli avevano dato onoris causa, l’avevano fatto diventare, gli avevano dato il termine fascista, ma lui non era fascista, infatti non ha avuto nessuna nessuna grana, nessuna, niente niente dopo la guerra niente niente, perché lui era, lui era militare della prima guerra mondiale. Vede là ci sono le medaglie che mio padre ha avuto nella prima guerra mondiale, è stato un eroe della prima guerra mondiale, io ti lascio delle fotografie bellissime di mio padre nella prima guerra mondiale, e lui era rimasto sempre, sempre attaccato all’aviazione, sempre come militare come, ma non era fascista, no. E lui essendo anche vice presidente dei Pionieri d’Italia lo volevano fare presidente ma lui disse ‘No, perché per essere il presidente bisogna stare a Roma, io sto a Bologna per me è scomodo, ormai son vecchio’ e lui era vice presidente dei Pionieri d’Italia ma non c’entrava niente col fascismo, no, lui non era fascista, noi non eravamo una famiglia di fascisti, no, non c’eravamo mai dati alla politica, anche mio marito, no mai, mio suocero, no, non, mio padre che era importante perché era presidente dell’aeroclub di Bologna non aveva cariche fasciste, no. Le dirò un particolare da ridere perché quelli che erano poi i capi fascisti avevano la tesserina per andare al cinema gratis, a mia madre piaceva tanto il cinematografo e diceva ‘Uh papà, non ha neanche la tessera, a lui non gliela danno!’ perché lui non era abbastanza, non era fascista capito, non avevamo neanche la tessera no no. E mia madre dice ‘Uh a me piace tanto il cinema ma io devo pagare il biglietto, eh!’ questo per ridere, ha capito? Per dire che non eravamo fascisti no, però eravamo italiani con gran sentimenti patriottici, mio padre sempre la prima guerra mondiale, tutte le cose della prima guerra, tutti i racconti, eh così. Certo noi a scuola dovevamo per forza essere Piccole Italiane, Giovani Italiane per forza, eh a scuola eravamo così eh, però non è che fossimo proprio fascisti no?
GF: Dopo il ’43 ha conosciuto lei personalmente dei partigiani?
AMS: Cosa?
GF: Se ha conosciuto dei partigiani.
AMS: Sì, eh! Io ho conosciuto uno poverino che è stato ucciso, si chiamava, aspetti sa, che era di San, aveva la casa a San Lazzaro ed era uno dei capi partigiani che hanno combattuto e poi è stato ucciso, quello era anche proprio nostro amico sì. E ne ho conosciuti parecchi di quelli che erano i nostri amici da ragazzi anche compagni di scuola che poi erano andati nei partigiani, quindi proprio avevano combattuto, su verso Castel San Pietro, hanno combattuto parecchio i partigiani bolognesi, romagnoli, adesso non mi ricordo più il nome, che eravamo tanto amici, lui aveva una bella villa a San Lazzaro, come si chiamava? Eh non mi ricordo più [pause] e come si chiamava? Eh non mi ricordo.
GF: Non si preoccupi se non ri ricorda il nome non importa.
AMS: Non mi ricordo il nome no.
GF: E a volte scendevano dalle colline e venivano nella vostra villa?
AMS: Come?
GF: A volte scendevano dalle colline e venivano nella vostra villa?
AMS: No, fin da noi no perché eravamo in una brutta zona ha capito? Eravamo oltre la via Emilia, la via Emilia poi noi e poi la ferrovia. I partigiani rimanevano sulla collina, noi eravamo in pianura, no da noi non venivano. Infatti mio marito doveva andare in su per andar da loro, andare in collina [pause].
GF: E li aiutava? Li aiutava? Portava dei rifornimenti, del cibo?
AMS: Ah sì! Sì, sì, dei prosciutti mi ricordo, eh, dei prosciutti e poi del vino, sì, e mi ricordo i prosciutti, mi ricordo i prosciutti.
GF: Volevo chiederle un’altra cosa.
AMS: Sì.
GF: Dopo la liberazione.
AMS: Sì.
GF: Quando c’è stato il referendum.
AMS: Sì.
GF: Lei ha votato, anche lei giusto?
AMS: Sì!
GF: Si ricorda com’era il clima, cosa avete votato?
AMS: Io in quel momento ero monarchica, io dopo la liberazione, siccome si poteva votare o monarchia o repubblica io votai monarchia, anche mio marito. Lo sapevamo che non avremmo vinto, però noi preferivamo la monarchia e invece vinse la repubblica eh, ma io ho votato monarchia, dico la verità. Io allora ero incinta della mia seconda bambina, mi ricordo benissimo, avevo un gran pancione. Andai a votare ma io votai monarchico, perché c’era il referendum, vero, era monarchia o repubblica e io votai monarchia.
GF: Cosa pensava del re?
AMS: Del re pensavo che si era tirato da parte per far posto a Mussolini, che non era stato abbastanza energico però la famiglia Savoia, sa, era una tradizione famigliare. Vede là quella fotografia, quello era un colonnello di cavalleria, era mio nonno materno che era di Torino e lui era aiutante del duca d’Aosta, vede lì che c’è la fotografia del duca d’Aosta con la dedica a mio padre, perché eravamo tutti attaccati alla famiglia Savoia eh! Insomma nella mia famiglia c’erano stati proprio dei rapporti con i Savoia, perché mio nonno era aiutante del duca d’Aosta padre, questo è il duca d’Aosta figlio, che era aviatore e veniva sempre a Bologna. E io l’ho conosciuto gli ho dato una mano ero una bambinetta, gli detti la mano io mi ricordo con l’inchino lui mi strinse la mano perché veniva sempre a Bologna, io ero la figlia del presidente dell’aeroclub, e lui veniva come pilota civile il duca d’Aosta giovane. Poi mi zio, cioè il fratello di mia mamma che è diventato generale di cavalleria, generale di cavalleria nella repubblica è vero? Eh, però lui era stato aiutante anche lui del duca d’Aosta figlio, il nonno del padre e lo zio del figlio del duca d’Aosta, perciò era molte legate ai Savoia capito, eh? E così, a me non è che il re Vittorio Emanuele piacesse molto però era sempre un Savoia, si sperava nella discendenza Savoia, in Umberto II, si sperava, ma. Perché nella tradizione di famiglia, sia di mia madre che erano dei Blanchetti di Torino, sia che anche dei Serafini c’erano un mucchio di generali c’era il generale Serafini, Giuseppe Serafini, Bernardino Serafini era colonnello erano tutti tutti militari, naturalmente allora era l’armata eeeh savoiarda, l’armata monarchica eh? Adesso le faccio vedere.
GF: Sì aspetti perché allora metto in pausa.
AMS: Ha capito perché ho votato monarchia?
GF: Sì. E invece però quando vinse la repubblica, come avete reagito?
AMS: Ah va bene così eh, ah non abbiamo fatto nessuna reazione, hanno scelto la repubblica, evviva la repubblica eh, sì sì non ne abbiamo fatto. Comunque di politica noi non ci siamo mai interessati, anche mio marito mai mai di politica, non si è mai interessato di politica, non era iscritto a nessun partito, no no no, lui aveva solo in mente l’aviazione e basta. Ah quando ci fu la repubblica evviva la repubblica e basta eh.
GF: Va bene signora Anna Maria, io la ringrazio veramente tantissimo per la sua disponibilità.
AMS: Non so se sono stata abbastanza interessante.
GF: È stata bravissima e la sua storia è stata davvero interessantissima, grazie.
AMS: Ma si immagini.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Anna Maria Serafini
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Po River Valley
Italy--Aviano
Italy--Bologna
Italy--Gorizia
Italy--Imola
Italy--Pordenone
Italy
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Greta Fedele
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-12-01
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Francesca Campani
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
01:04:22 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Regia Aereonautica
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1943-09-25
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
PPasettiAMS1601, APasettiAMS161201
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Description
An account of the resource
Anna Maria Serafini recalls her teenage life in Bologna as the fiancée of Luigi Pasetti, a civilian pilot later enlisted as torpedo bomber pilot. Describes how she got married and mentions Italian First World War pilot, Ferruccio Ranza, who acted as best man. Describes what life was like in a small private shelter with a propped ceiling, sandbagged windows and rudimentary furniture. Recalls life under the bombs: trying to keep calm her young daughter; people guessing points of impacts; prayers, games and pastimes. Describes her evacuee life in Imola and the trials and tribulations after the collapse of the fascist regime, when her husband joined the Resistance. Recollects being strafed when travelling on a byway. Describes Germans on admin duties as friendly and well-mannered, whereas those serving in combat units were arrogant and feared. Recollects the Gaiana battle and the occupation of Bologna by allied forces, stressing her connections with Pole officers. Gives an account of family life in the subsequent decades, emphasising loyalty to the monarchy. Judges bombing war from a fatalistic stance, stressing how strafing by isolated aircraft was more feared.
civil defence
evacuation
fear
home front
love and romance
perception of bombing war
Pippo
Resistance
strafing
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/65/712/PLandiniA1701.1.jpg
001ec8c722231327528ac2961e019a43
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/65/712/ALandiniA170414.1.mp3
dcedbc7d60c892e75dcb123ec725e74f
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Landini, Adriano
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
This collection consists of one oral history interview with Adriano Landini who recollects his wartime experiences in Reggio Emilia.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-04-14
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Landini, A
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
GB: This interview is being conducted for the International Bomber Command Centre. The interviewer is Giulia Bizzarri. The interviewee is Adriano Landini. The interview is taking place in [sic] Institute for history of resistance and contemporary history in Reggio Emilia - ISTORECO on 14th of April 2017. Allora intanto se ci vuole parlare un po’ di lei quindi intanto qualche qualche dato anagrafico: nome, cognome.
AL: Dunque io mi chiamo Landini Adriano, ho fatto le scuole medie serali, son nato nel 1930 e a quest’epoca ho 87 anni da compiere, ma siamo già su quell’età lì. Sono nato in Reggio Emilia, ho vissuto nel quartiere più popolare di Reggio, il popol, il famoso popolo giusto. È quella zona dove c’è anche l’Istoreco lì via Roma, via Franco Tetto, via Bellaria e io all’epoca, all’epoca ero già un ragazzino durante la guerra, la guerra comincia nel ’40 e già nel ’42, ’43, dodici tredici anni ma a quell’epoca eravamo già ometti perché siamo come adesso quelli che fuggono dalle guerre, perché qua c’era la guerra, i bombardamenti, c’era la fame, c’era il tesseramento perciò noi ragazzi cercavamo dappertutto da mangiare, più di tutto. E poi avevamo paura perché bombardamenti, mitragliamenti, già cominciavano a esserci e c’era il pericolo, ma eravamo un po’, eravamo un po’ ragazzi, un po’ un po’ non dovevamo, era quasi un divertimento scappare quando c’erano i mitragliamenti, nasconderci così. E questo è, è l’epoca in cui ho cominciato, parlo degli undici, tredici anni, di quello che è stato il corso della mia vita per arrivare a questo, questo momento. Poi finisce la guerra, io dalla guerra, siccome durante la guerra le scuole erano chiuse, perché eravamo nella zona dei, dei combattimenti, c’era la Linea Gotica era lontana 30 chilometri da noi e pertanto le scuole erano chiuse. Io fino all’epoca avevo fatto solo fino alla quarta e dovevo fare la quinta e a quindici anni quando finisce la guerra, nel ’45, per andare a lavorare ci voleva la quinta, per avere il libretto di lavoro e io feci un corso serale per fare la quinta perché senza la licenza di quinta non potevo avere il libretto di lavoro. Avuto il libretto di lavoro, fino a 17, 18 anni si è sempre fatto un po’ di tutto, ho fatto il garzone di da muratore, ho fatto il garzone sulle strade, ho fatto il garzone tappezziere tutto quello che mi capitava per guadagnare, quello che sta succedendo adesso per quelli che vengono da fuori, un po’ queste quel che vengono dall’est per cercare lavoro. E siccome son rimasto ferito durante la guerra da una bomba a mano ero una vittima di guerra, una vittima civile di guerra ed ero iscritto all’associazione che tutelava e difendeva questi, questi feriti e questi e anche i morti perché c’erano le vedove, c’erano gli orfani e qui venne fuori una legge nel ’50, nel ’49 dove c’era l’obbligo di assumere, ogni genere il 2% di questi invalidi o mutilati di guerra. E io fui, fui uno di quelli che ho potuto usufruire di questa, di questa legge. E mentre tutti i miei amici che andavano, che sono stati in Australia, in Francia, in Belgio, andavano in Belgio in miniera, andavano via a cercare da lavoro, io son rimasto qua pur avendo fatto domanda anche io per andare via, andare in Australia. Nel frattempo vengo vengo in questo ufficio che c’era già questo ufficio di collocamento per i mutilati e invalidi di guerra, il cosiddetto OMNI, OMNI, e c’era da scegliere, mentre ero qua che chiedevo se c’era qualcosa, qualche lavoro da fare arriva uno che dice che cercano un fattorino dalla ditta Fratelli Lari pellami grezzi. Io prendo al volo questa informazione che parlava con l’impiegato e sono andato subito a quella ditta là, dove mi han preso in prova. Eravamo i primi di ottobre, e siamo arrivati che ‘Può cominciare domani’, ma per cominciare ci voleva, dovevo avere la bicicletta e io la bicicletta non l’avevo, avevamo, non si mangiava, a casa mia si mangiava quando capitava, non è che ci fosse lo stipendio perché ero ero figlio di una vedova, mia mamma, mia mamma, avevo quattro fratelli ma io ero disoccupato, non guadagnava niente nessuno, mia mamma faceva qualche lavorettino in giro per mangiare, pertanto noi i pasti si, si saltavano parecchie parecchie volte. E mi dissero ‘Puoi venire, cominciare anche domani ma devi venire in bicicletta perché come fattorino ti devi spostare’, io la bicicletta non l’avevo. Chiedo in giro se qualcheduno c’ha una bicicletta da prestarmi, una ragazza che allora frequentavo così come amici, la mamma mi dice che era, aveva molta simpatia nei miei riguardi ‘Ti do la bicicletta di mio marito’. Ma io voglio dare qualcosa, non la voglio per niente la bicicletta, dice ‘Beh me la paghi’ abbiamo combinato il prezzo che era una cifra da poco ‘Me li dai poi quando hai i soldi poco alla volta’. E andai il giorno dopo a lavorare, erano i primi di ottobre e mi dicono ‘Se va bene entro il mese la assumiamo in novembre’. Siccome, io che avevo vissuto in un quartiere popolare dove, dove un ragazzino era un uomo, quando andai in questa ditta per loro ero un fenomeno, quando dicevano qualcosa non facevano micca in tempo a dirlo che era già fatta perché mi, tutti i buchi li conoscevo, ero molto pratico. E il 20 di quel mese lì mi dicono che mi assumono perché vado bene, questa è la storia di lavoro, arrivato su questo punto dico con questa ditta, comincio da fattorino, non sapevo neanche scrivere bene, avevo mica nessuna una cultura, facevo dei numeri che non li sapevo neanche leggere io, e lì tutto un lavoro di numeri, si dovesse far dei numeri, far delle distinte così, e cominciai mentre facevo il fattorino nei tempi liberi, un libretto come questo, un notis [sic], riempivo tre pagine di 1, tre pagine di 2 fino ho imparato a fare i numeri. E lì comincio a lavorare, comincio a guadagnare e nel frattempo io facevo anche dello sport, facevo molto il nuoto e corsa a piedi abbiam fatto una combinata a Reggio dove io arrivai primo nella corsa a piedi e terzo nel nuoto, era una combinata provinciale. Allora venni scelto per mandarmi a Roma a fare i giovani, perché lì cercavano, anche perché andar via c’era da mangiare, da vivere, che casa mia si saltava i pasti. E andai a Roma come giovane per fare il pentatlon moderno. Il pentathlonmoderno son cinque gare: nuoto, corsa, equitazione, scherma e pistola. Perciò io andavo a Roma, a Roma mi pagavano tutto un albergo, mi davano le quote da, allora io ho cominciato nel nel ’48, ’49, ’50, nel ’50 addirittura che c’era l’Anno Santo mi davano anche 500 lire, allora 500 lire per la colazione e il trasporto. Per me erano soldi da prender quelli lì. E e io andai per tre volte a Roma, l’Aquila, Napoli come allenamento collegiale. Per me era era un’avventura che, mi pagavn tutto, mi davan sempre attrezzatura [sic] che quando ritornavo dalla, dagli allenamenti collegiali gliela vendevo per prendere un po’ di soldini. E questa è un po’ la pratica come sportiva per cui torno al lavoro. Negli anni ’51 mi chiedono se vado a Roma a seguire la squadra nazionale come giovane e dovevo perdere un mese di lavoro. Io ho detto ‘No’ ho rinunciato a tutto perché per me un posto fisso, dove tutti i mesi prendevo uno stipendio mi interessava di più che lo sport. E allora ho smesso con lo sport, andavo a fare lo stesso a nuoto così ma non più non più agonismo. Nella ditta proseguo per arrivare, fino all’ ’87, ‘50 ’87: fino a 37 anni di lavoro. In quell’epoca da fattorino sono diventato, mah parlo anche in fretta io che bisogna di parlare più piano, dirigente alla produzione, cioè ho fatto una carriera bellissima, i tempi sono stati favorevoli, il lavoro l’ho imparato perché ho incominciato proprio da da, da sotto quasi come operaio solo che prendevo dei numeri così, ho fatto carriera, e a 37 anni ancora da compiere, perché sono andato in pensione in giugno, sono andato in pensione perché con la pensione che percepivo allora, che allora c’era anche un tetto sulla pensione, io prendevo la pensione la pensione più alta che c’era, che c’era un tetto che mi pare che fossero un, due milioni e settecento mila lire, perché c’era i milioni allora. Un operaio guadagnava sugli ottocento euro, erano tre stipendi, e io ho detto posso lavorare, posso vivere senza lavorare, non lavoro, non faccio più niente, il lavoro non posso più far niente, mi licenzio. L’azienda era i dirigenti i padroni che diventavano anziani, perciò dovevi sempre trattare coi nipoti, o con i generi che non capivano niente di lavoro perché io c’ero nato dentro, comunque fino a quando ho un potere nell’azienda sono rimasto e poi son venuto via. Prima di venire via, sei mesi prima, tolsi il mio numero di telefono dalla guida perché le concorrenti, le ditte concorrenti mi offrivano un sacco di soldi per fare questi lavori ma io avevo proprio chiuso col lavoro perché potevo vivere senza lavorare. E c’erano già tutte, e poi son venuto, son venuto in questa associazione, che ero già consigliere ma venivo ogni tanto, e dall’ ’82 facevo anche il presidente perché era morto il presidente, e facevo ero vice presidente e ho preso la carica per fare il presidente. E poi ho dedicato il mio tempo, perché deve pensare che vado in pensione giovane, avevo già una figlia, un nipote e tutta una storia dietro, e di dedicarmi all’associazione perché se ero arrivato a quel punto era merito di questa legge venuta fuori nel ’50. Questa è un po’ la storia fino a quando vado in pensione, pensione poi, nell’ ‘87 vado in pensione do molta attività all’associazione, allora l’associazione era molto viva, si facevano pratiche, tre quattro alla settimana, c’era un’impiegata, ma io imparai molto da questa impiegata, praticamente questa impiegata va in pensione perché c’è, c’è stato nel ’78 questi enti morali da pubblici sono diventati privati. Perciò prima i dipendenti erano pagati dallo stato poi dovevamo pagarli noi, cioè pagarla l’associazione con con le deleghe che ci davano gli associati ma erano pochi soldini, non ci si stava dentro e lei è andata in pensione perché aveva la possibilità di anticiparla al pensionamento perché c’era questa legge. E io son rimasto qua a far l’impiegato a far tutto, siam partiti con molto lavoro poi piano piano son diventato consigliere nazionale nell’80, nel ’93, ci sono stato fino al 2011 consigliere nazionale, poi da consigliere nazionale perché a 80 anni ho detto ‘Smetto di fare consigliere nazionale perché si viene eletti quattro anni per quattro anni e se vengo qua per far solo numero non vengo’, perché io sono di quelli che dice: se c’ho un progetto dice ‘armiamoci e partimo’ ma io son sempre in testa, sono di quelli che quando c’hanno un problema da risolvere mi metto in testa e fin che non l’ho risolto non lo mollo mai, perciò è impegnativo e ho detto ‘Io non, non mi metto, non mi candido più come consigliere, mi, non ne voglio più sapere’. Tanto è vero che a Roma in quel momento, nel congresso del 2011 hanno inventato il collegio dei saggi per tener dentro quei tre o quattro personaggi che uscivano per l’età perché avevamo un’esperienza e siamo rimasti come saggi. E ancora tutt’oggi sono un saggio della presidenza nazionale e vengo anche disturbato parecchie volte perché quando ci sono questi problemi che non si sa dove andare chiedono sempre il parere a me e ad altri due o tre che siamo quelli che han vissuto una vita dentro la presidenza nazionale. Questa la faccenda come vittima civile di guerra. Naturalmente essendo stato, sono anche un partigiano, perché sempre nel ’43, nella caserma Zucchi che adesso c’è l’università, c’era in viale, nel viale della circonvallazione c’era un, un locale sotto terra dove c’erano i magazzini, e lì c’erano delle delle grate grosse quasi diciamo 3 centimetri. Buongiorno Laura.
Unknown speaker: Buongiorno, posso?
GB: Prego continui.
AL: E allora diventai partigiano per questa ragione, ve la spiego come è successo. Io guardavo dentro a queste cantine, vedevo delle cassette bianche e io pensavo sempre a cercare da mangiare, eravamo durante la guerra nel ’43, e io di notte che c’è il coprifuoco, con un seghetto di ferro, ho tagliato questa grata per andare a rubare queste cassette, c’ho avuto quattro o cinque notti per fare questo qua perché c’era la guardia che girava sul muro avanti e indietro e quando si allontanava poi dopo. A un dato momento ho fatto il buco, prendo fuori due cassetti e poi attraverso via Alleghieri [Allegri] che c’era il parco del popolo i giardini pubblici che lì durante la guerra non si facevano potature niente, era quasi una giungla, c’era delle delle siepi così, che noi ci giocavamo come come ragazzi. Vado fuori, porto fuori due cassette e quando ho portato la seconda voglio guardare cosa c’è dentro. Come apro la cassetta ci sono dei caricatori di moschetti, c’è pallottole di moschetto. Allora io cosa faccio: copro tutto, non ci vado più là perché a me interessava il mangiare. In quartiere si sapeva chi era fascista o chi era partigiano, oppure chi aveva simpatia per uno o per l’altro. Io allora sapevo che un certo Franco, Mazzali Franco, adesso so anche il cognome ma lo sapevamo anche loro, dico ‘Veh Franco’ gh’ho det ‘Mè success cost questo e questo, se vuoi andare a prendere oppure dire ai partigiani che c’è il buco là che possono andar dentro a prenderne delle altre se no dentro in quel posto là c’è delle foglie, sotto ci son due cassette’. ‘Cosa dici?’ mi dice lui ‘Cosa dici?’ Io non sono niente, non voglio neanche sapere’. Morale: si chiude la partita lì delle cassette. Finita la guerra, nel ’45, fine ’45 inizio ’46 mi arriva a casa una lettera dove sono riconosciuto partigiano per la lotta di Liberazione. Leggo le motivazioni dove c’è scritto quello che è successo: questo Mazzali ha portato queste cassette, le ha portate in montagna e ha, e ha relazionato come sono avvenute eh, poi andai a prendere questo e quest’altro e allora questa è stata una manovra che m’han riconosciuto perché ho portato delle armi e ho rischiato la vita anche se la mia mente era lì, ma il discorso che viene dopo è che potevo scegliere di andare dai fascisti, e sono andato lì allora sai c’era la liberazione c’era, eran molto riconosciuti i partigiani e allora questo riconoscimento cosa c’è da dire? Che l’ANPI aveva fatto una mensa che era in via San Rocco, dove davano da mangiare a mezzogiorno, una testa, tanti pasti, per tre o quattro mesi. Io quando andavo a prendere la roba di una settimana, me la facevo dare in natura, e la portavo a casa. Non andavo a mangiare lì perché così mangiavano anche anche i miei i miei sorelle, le mie sorelle. E questa è la storia del partigiano, e diventai partigiano, ma partigiano poi dopo di riferimento sei anche combattente perché se sei per terra [unclear] sei anche riconosciuto come combattente [unclear] perciò adesso mi trovo a questa età: partigiano, vittima civile di guerra e combattente. Ma diciamo, a voi che avete imparato la storia com’è. E poi dopo siam arrivati, siam arrivati per questa storia del lavoro poi quello di partigiano, dello sport ne ho accennato così velocemente ma io ero arrivato fino a essere, essere convocato per le olimpiadi del ’64, ’54, così come giovane ma non sono andato perché dovevo stare a casa da lavorare un mese e per me interessava più il lavoro che la faccenda.
GB: Ci può raccontare un po’ della sua vita proprio anche in gioventù, quando lei ha raccontato questo questo episodio della sua vita da partigiano, ma anche proprio la sua vita in gioventù quando poi scoppiò la guerra.
AL: Per arrivare lì. Cioè perché io abitavo in un quartiere Santa Croce, il cosiddetto quartiere popol giost allora che c’era il tesseramento, non c’era da mangiare, non c’era la legna, non c’era niente perché eravamo tutti isolati. Io da bambino, da ragazzo perché 10, 11 anni andavamo a rubare la legna, da lì voleva andare in campagna e di notte c’era sempre chiuso. Le case dei contadini ragionavano in questo modo allora: sentivan del rumore, se eran partigiani tacevano perché pensavan fossero fascisti, se eran fascisti pensavan ai partigiani, perciò noi, giocando su questa mentalità andavamo dietro le case dei contadini che c’era gli alberi con i pali della luce, i pali per tenere su le viti perché allora c’era in campagna non c’era i vigneti come ci sono adesso, c’erano degli olmi, degli alberi e le viti erano attaccati da un albero all’altro e ci mettevano, quando c’era la frutta, l’uva matura mettevano dei pali per tenere su la vite perché c’è appeso, e questi pali finita la vendemmia, li portavano dietro casa [unclear] vicino a un albero. Noi di notte andavamo lì caricavamo il carretto di questi pali, rubavamo, e poi andavamo in vicolo Venezia, c’era Zanti allora che era un falegname che però aveva un macchinario grosso, tagliavamo la legna e la vendavamo, perché come andavi fuori col carretto di legna c’era chi comprava la legna perché, e la legna la vendavamo per il valore che c’era allora e coi soldi che si prendeva portavamo portavamo a casa per mangiare, questa è un pochino la storia da 10 a 12, 13 anni. E poi c’era che di, io avevo un cugino che era della polizia ferroviaria, un giorno mi dice che ‘Stanotte passa una tradotta di carri dove ci sono delle patate sopra, tu vai lì a quell’ora che ci sono io di guardia, puoi rubare le patate ma non tagliare il telone del vagone’. Io di notte vado lì, slego il tendone col caretto lo riempio di patate. Le patate allora era oro, era una cosa, c’era il pane e le patate. In pratica saran stato due quintali di patate tutte prese dal camion dal vagone con una borsa sul carro, sul carretto. Andato a casa, le metto tutte sotto il letto, perché c’era 20 centimetri di patate sotto il letto perché, oh, era oro! La mia famiglia era sfollata a Rivalta, perché durante la guerra siam stati sfollati a Rivalta e a Sesso, però io pran delle mattine ero sempre in città perché dovevo sempre cercare di procurare qualcosa, ero l’uomo di casa, c’era mia, la mia famiglia era formata da me, mia mamma, mia cognata che aveva poi, mio fratello era stato portato in Germania con una bambina e mia sorella con un figlio che suo marito era stato portato in America perché era un pilota ed era stato rimasto prigioniere in America. Perciò una famiglia di cinque o sei persone che si viveva con dei, di quei soldi che si prendeva facevamo il mercato nero, compravamo il sale a Salsomaggiore, andammo a Salsomaggiore in bicicletta, io e mia sorella, veniva in bicicletta con 20 o 30 chili di sale su la bicicletta. Ma venire a casa c’era da stare attenti perché se ti trova la polizia ti sequestravano la roba, perciò era. Questo qua e poi si veniva a Reggio, si vendeva il sale e coi soldi si andava a comprare la farina che solitamente c’è un mugnaio a San Polo che la vendeva, e andavamo a San Polo a pendere la farina. Si viveva in questo modo proprio si cercava in tutti i modi di vivere e tutto veniva da quei soldini che si prendevano a vedere la legna. Naturalmente prima di venderla allora riempivo la cantina per averla anche per noi durante la, durante la notte. Perciò durante la guerra con questi escamotage io era arrivato che a casa mia si mangiava abbastanza bene. La tessera ci interessava poco perché i soldi col mercato nero, un po’ con quelle patate lì si sbarcava il lunario. Mi ricordo che uno zio che ogni tanto veniva da me a chiedermi un po’ di legna, veniva con una bicicletta e un carrettino dietro, quelle quei tricicli dietro caricava un po’ di legna perché la trovava solo a casa mia la legna. E questo è quello che è successo lì. Ancora prima, sempre tornando indietro abitavamo in una casa in via Cavagni, che era il quartiere più maledetto di Reggio, delle prostitute, via San Pietro adesso c’è via, lì c’era via Cavagna, adesso non so come si chiama dove c’è il cinema Odeon, quella zona lì, e abitavamo lì. Il padrone ci ha ci ha ci ha mandato via perché non pagavamo l’affitto. Naturalmente viene i carabinieri [sic] che c’era allora, mettono il sigillo sulla porta e ci portano a Le Quattro Stagioni. Le Quattro Stagioni era un albergo che lì, dietro dove c’è, adesso c’è le Notarie, le Notarie come si chiama, lì, lì c’era l’albergo c’era Le Quattro Stagioni. Allora in quell’albergo lì era un po’ malfamato, quegli alberghi da poco c’era mia mamma e mia sorella che abitavan lì, che erano lì. L’altra cognata era andata a casa di sua mamma e io son mandato a casa del mio zio che avevo allora otto anni ed è stato l’unico periodo fino a quella età dove si mangiava da mio zio mattina pomeriggio, sera, faceva il fruttivendolo, frutta. Credo che siano stati i momenti più belli della mia vita, me li ricordo ancora adesso perché era raro che a mezzogiorno si mangiasse a casa mia e invece lì andavi a casa c’era tutto, sì, una famiglia normale era. Questo un episodio di quello che sto raccontando. E poi veniamo dopo al periodo di guerra naturalmente quando io andavo a legna, andavo a fare il mercato nero, perchè c’erano anche i bombardamenti, i mitragliamenti e voi capite che quando si andava in campagna, si andava a chiedere la legna ma noi le fascine, [unclear] si fatta una fascina, invece di prender una fascina prendavamo i pezzi di legna, perché interessava quelli. Ma quando viaggiavi sulle strade che allora le strade erano bianche, le macchine non ce n’era come c’è adesso, c’era una macchina ogni tanto poi, sulla strada si vedeva, ogni tanto venivano gli apparecchi, si buttava giù, mitragliavano si, noi andavamo dentro ai fossi, ci sdraiavamo lì ed è capitata una volta o due di queste cose ma di solito facevamo delle strade che erano un po’ protette dagli alberi stavamo attenti perché eravamo ragazzi ma eravamo molto con le antenne fuori e succedeva questo e i bombardamenti e mi mitragliamenti li abbiam provati tutti. Tanto è vero che già adesso guardiamo un pochino quelle, già i primi tempi nel ’43 c’è stato i primi bombardamenti in via Gorizia che l’obiettivo era la centrale elettrica in via Gorizia poi le bombe cadevano un po’ dappertutto in via Oslavia, in via via Gorizia, tutta quella zona lì, via Bainsizza era era quell’obiettivo in quella zona lì, e che poi la centrale non l’hanno mica presa, ma anche lì ci furono 7 morti e 11, 12 feriti, primo bombardamento in luglio del ’43. E noi li abbiam vissuti perché dove c’era del movimento eravamo noi ragazzi eravamo lì subito, i primi giorni eravamo già lì, appena il bombardamento si andava a vedere. Perché c’era sempre qualcosa da trovare, o un travetto di una casa che poi tagliavi per bruciare perché era questo. E questo qua è il primo bombardamento, e poi dopo, e poi dopo [pause] e poi dopo si arriva anche ai bombardamenti che ci sono stati il 7, l’8 gennaio. E quelli sono stati bombardamenti molto pericolosi ma sempre con lo spirito dei bambini come, bambino ragazzo come ero io che, era quasi divertimento perché, ci si pensava a tutto fuorché che venisse una bomba in testa, ma sentivi gli scoppi, questa era eravamo proprio dei dei, degli scugnizzi eravamo. E lì la sera del 7 gennaio, io abitavo in via Bellaria, sempre lì a Santa Croce, verso le otto e mezza, le nove ci stiamo, sentiamo l’allarme perché l’allarme suonava quattro o cinque volte al giorno, preallarmi erano, e si scappava da una parte e dall’altra e si correvano nei rifugi, e i rifugi all’epoca erano le scuole De Amicis, quelle che sono in via, via Leopoldo Nobili mi pare, quelle scuole lì c’era, una scuola di disegnatori, c’era le professionali e le commerciali, poi c’erano le elementari, e sotto lì che era un rettangolo si entrava da due parti, ma sotto si girava tutto questo questo perimetro, c’era dentro le panche, insomma un rifugio, proprio ce n’erano parecchi in giro di questi rifugi, anche nelle case private c’era la stemma con ‘rifugio che quando c’era un allarme potevi correre là dentro. E lì, col, scappiamo tutti, arriviamo tutti al, vediamo questo preallarme, ci facciamo fuori dalla finestra che c’è l’oscuramento, le finestre eran sempre chiuse perché i fascisti guardavano se c’era una finestra aperta, pensavano che tu facessi dei segnali agli apparecchi c’era anche il rischio di essere chiamati al fascio perché ogni quartiere c’era il fascio fascista. E un po’, un po’ come le chiese, che le chiese in ogni quartiere c’era una chiesa, questa qua è una cosa politica della vita che io ho capito col tempo. Eh, e lì i fascisti avevano messo un fascio per ogni quartiere, lì in via, in via, nella zona di via del Pozzo, via Mari c’era il il fascio. Il fascio era sempre al corrente di tutto perché c’eran le mogli dei fascisti che abitavano nel quartiere andavano a dire, questa qui è una brava persona ci puoi dare il pacco perché c’era il pacco per mangiare, il pacco Natale, era così come sono le dittature insomma, a quell’epoca. Allora lì venni, avemmo, abbiamo questi bombardamenti e siamo scappati tutti dentro questo rifugio. Il mattino ci alziamo, il 7 gennaio i bombardamenti colpirono la zona di via Roma, piazza San Prospero, l’ospedale, il mercato coperto, le carceri di San Tommaso ci furono un sacco di morti anche lì, l’ospedale Santa Croce fino alla via Antonio Veneri, fino dalle parti di là dalla ferrovia via Antonio Veneri. Questo fu il bombardamento del 7 della sera. Naturalmente per l’indole che avevamo, che avevo io che quando era al mattino uscivo di casa per cercare sempre qualcosa, mi ricordo bene che in viale Piave guardando dentro in fondo all’ospedale dalla parte di via Piave dove c’è adesso il campo del popolo dove c’è il monumento lì, lì c’era la camera mortuaria, portavano i morti, quella strada che dalla polizia va al carcere, va al il, [pause] va nel, la memoria ragazzi, scusate l’età ma è questo qua dove va nel parco del popolo, lì c’è quella strada che andava lì, in fondo era chiusa ma per, per i funerali, si andava lì per andare, partendo i funerali dall’ospedale, la camera mortuaria era proprio in fondo con un cancello che dopo lì c’era poi, adesso ci han fatto il parco. E lì guardando tra le mura, perché c’era una mura, bombardata, rotta, si vedevano i pezzi di morto lì, perché le bombe avevano colpito lì c’era un padiglione che costeggiava tutto dietro la chiesa dove c’erano i malati di polmoni quella roba lì che anche lì ci sono stati un sacco di morti. Io questa scena ce l’ho ancora in mente, perché andavo a vedere se c’era qualcosa, eravamo lì, e quando c’è un po’ di casino c’eri dentro e arriviamo lì e vidi questo. Poi a mezzogiorno suonò ancora l’allarme, suonò ancora l’allarme, si corre tutti all’ospedale, da notare poi che imparai col tempo che solo gli inglesi bombardavano di sera, gli americani no, gli americani di giorno e abbiamo saputo dopo che quelli della sera erano gli inglesi che avevano bombardato Reggio, che mi pare che fossero anche, beh sì colpirono via Roma, e non mi ricordo il numero degli apparecchi ma l’ho letto in qualche parte e mi pare che fossero una novantina di apparecchi che bombardarono la sera gli inglesi. A mezzogiorno invece suonò l’allarme dell’8 gennaio, come tutti tutti paura della sera corriamo tutti nei rifugi, e nei rifugi c’era tutto il gruppo familiare che oramai era lì ma io oramai ero sempre in giro per il rifugio per il, per il rifugio, siccome era molto largo, giravo da una parte all’altra. Cominciano i bombardamenti là proprio si ballava dentro a questo rifugio e mia mamma preoccupata perché siccome da un’ala all’altra c’erano anche 2 - 300 metri potesse scoppiare una bomba lì e non sapere niente e lì mi cercavano e io ero in girò là, il rifugio non è stato colpito, ma in quel bombardamento colpirono una casa lì, la zona Curti, in viale Piave, perché lì c’è da fare anche la storia. Viale Piave adesso dove c’è, dove c’è quel distributore lì c’era le case Curti e lì una bomba colpì in pieno un rifugio dove ci furono tanti morti, ma ma sempre lì che c’era di fronte, il foro boario allora era lì c’è, dove c’è adesso il, la la mutua quelle scuole lì, lì c’era il foro boario cioè c’era un capannone che chiudeva tutta la, recintato tutto con un cancello che di qua andava fino a via Monte San Michele fino in fondo. Una parte c’era un capannone tutto chiuso per i maiali e lì fuori c’eran tutte quelle transenne di vetro dove portavano le mucche, le mucche da vendere. E mi ricordo che all’epoca c’eran delle donne che giravano in mezzo a queste bestie che le mungevano, potevano prendere un po’ di latte perché le portavan lì per vendere potevano questo. Era questa era la scena che si viveva: si cercava da mangiare dappertutto. Queste sono scene che io ho vissuto e poi conoscevo anche le donne che andavano perché quando le vedevo ‘Am det un gos ed lat?’ [mi dai un goccio di latte?] prendevano un mescolino e mi davan da bere, questa era un po’ la storia. Questa la questione dei bombardamenti. Questi bombardamenti hanno fatto si che i morti sono stati circa 200, eh i morti furono tra feriti e morti circa 500 tra morti e feriti: 261 morti e 256 feriti, e questo lo so perché sempre l’attività che si faceva con l’associazione, noi abbiam chiesto, abbiam fatto un ossario nell’ospedale, nel cimitero, comunale questo che c’è qua in via Beretta, e abbiam l’ossario che son 244 celle per i, per i morti. Molti sono stati messi subito, sono stati raccolti dalle varie, dalle varie tombe poi li han portati lì, col tempo poi molte son state prese via le ossa che le han portate poi nelle sue, nelle tombe di famiglia ma ce n’è ancora delle cellule vuote ma c’è ancora l’ossario là che poi nel nel ’70 dopo quando l’ente è diventato pubblico, da pubblico a privato che non potevamo più mantenere questo ossario e l’abbiamo dato al comune perché sa c’era [unclear] la luce da pagare, c’era da tenerlo pulito. Fin quando e era pubblico mandavamo uno, faceva la fattura, si pagava, pagava lo stato, dopo dovevamo pagare noi, avevam mica i soldi, abbiamo fatto una convenzione col comune l’abbiamo donato al comune ma l’ossario è stato fatto dalle vittime civili di guerra. Quello quello che è successo è, tutti questi morti, su 261 una buona parte sono andati lì perché l’abbiam riempito, c’era rimasti sette otto vuoti erano di nostra competenza, potevamo darlo a chi volevamo ma non abbiamo poi fatto niente. Si potevan dare non so, poi quando è morta mia mamma potevo metterci mia mamma ma non lo abbiamo fatto perché era rimasto vuoto dall’inizio e non lo potevo occupare dopo perché fatti bellici non ci sono più stati dopo quel momento. E quella è la storia dei bombardamenti, e da quelli poi dopo col tempo con l’attività che ho fatto come presidente vittime civili di guerra, e con un grande impegno prima di tutto di Istoreco, ma allora c’era Orlandini che era direttore, avevamo un bel rapporto con Amos Monti anche, Amos Monti perché abbiamo cominciato con lui ad avere una attività con Istoreco poi son nati con Istoreco e con Istoreco è nato anche i Viaggi della memoria, ma i Viaggi della memoria bisogna dirlo perché son rimasti in poco, è stata un’iniziativa del presidente dell’ANPI allora Carretti si chiamava che è stato sindaco a Cadelbosco Sopra. Carretti e Landini, che sono io, non perché io avessi avuto l’idea ma siccome in questa in questa uffici c’erano i combattenti e reduci, i mutilati di guerra e gli invalidi civili di guerra e facevano parte della confederazione, e allora quando c’era da andare da qualche parte mi delegavano, i mutilati e i combattenti, di rappresentarli. Pertanto io in rappresentanza di questi tre uffici dell’associazioni combattentistiche e con Carretti abbiamo auto le prime riunioni in comune e in provincia, che allora c’era la Spaggiari come sindaco, nel ’95 cominciamo e si organizza il primo Viaggio della Memoria che viene fatto nel ’99. Siamo andati a Mauthausen, ma quel viaggio lì è stato tutto organizzato da Istoreco e l’Ampi prima di tutto, perché l’Ampi era già era già nel settore perché faceva quei viaggi e portava in giro della gente, faceva come un’impresa di viaggi, di viaggi. E allora organizza tutto l’Ampi ma tutto a spese di privati, qualche sponsor, in parte il comune e la provincia ma oggi nel 2017 è diventata un’istituzione, noi dall’epoca, dal 2000, dal 1999 questi Viaggi della memoria sono stati fatti tutti gli anni e più di 11 mila studenti di terza e quarta superiore son stati portati in giro per l’Europa e lo scopo di Caretti e il mio perché oramai era entrato nell’argomento era che si pensava ‘Questi qua sono i futuri dirigenti del paese, anche se un 10% di questa gente si ricorda quello che ha visto porteranno porteranno la memoria agli altri’. Questo era il nostro scopo e noi pensiamo di averlo risolto molto bene perché questa questa situazione continuerà per sempre e ogni anno si aggiunge mille persone, ma non le mille che si ripetono, non facciamo la storia dei 10 milioni di baionette che era sempre quel milione che girava, lì son sempre gente nuova e c’è sempre la mentalità, un torrente che corre, e questa è una grande soddisfazione. E io da quando poi ho cominciato a fare il dirigente delle le vittime civili di guerra, tutti tutti i posti che mi trovavo dicevo di questa esperienza fatta a Reggio che credo ce ne sia poche, perché molti fanno un viaggio da Auschwitz a Berlino, a Mauthausen a Dachau o a Buchenwald ma ci vanno per ‘na gita, roba di una giornata o due. Ma invece questo qua è diventata una istituzione, dove c’è sempre un argomento, sempre una ragione perché si fa questi viaggi, e si va sulla storia perché io che ho fatto, son stato tre volte a Berlino dal 2001, 2005, 2010 e si vede anche come si comportano in altri paesi, che vedi la differenza anche della mentalità dei popoli, perché. Io mi ricordo che Berlino del 2000 c’era la zona di Brandeburgo che andava giù, la parte sinistra tutta bombardata non c’era niente e si parla coi dirigenti da loro, dicevano ‘Qua ci sono dei progetti e si faranno in poco tempo’, nel 2005, dopo cinque anni era già stata tutta ricostruita, che ci han fatto tutte le varie ambasciate, di tutti i paesi perché era destinate a quelle, la Germania funziona così. Ma non solo le han progettate, in cinque anni son state fatte. E tutta questa zona che nel 2005, c’era uno spazio vuoto e chiedo il perché c’era questo spazio vuoto e quell’accompagnatrice ci dice ‘Perché lì è la zona del’, era la rappresentanza commerciale americana. Ma dican gli 800 metri, gli 800 metri, 800 metri a tutti, gli americani eran troppo poco, non lo volevan fare. Ma la Germania ha detto ‘Questo fate quello che volete’ poi dopo han fatto l’ambasciata da un’altra parte, lì han fatto una cosa commerciale, ma nel 2010 l’ha fatta anche quella. Ma nel 2005 si parlava del museo dell’Olocausto, quello che a sinistra di Brandeburgo, la questione della Shoa, ma nel 2010 era fatto ma è una cosa che se, bisogna vedere il volume del lavoro, poi abbiamo visto altrettante cose ma mi ricordo queste tre cose perché son passati cinque anni, passati cinque anni. E lì si diceva questo ‘Qui in Germania quando si fa qualcosa si programma, si fa le spese, e devon esser quelli, il tempo e le spese. E là funziona così non è come noi che quando comincia non ci son più soldi, se li han mangiato prima. Questa è un po’ quella storia che mette un po’, perché io non so se dobbiamo fare un’intervista sui bombardamenti o su quello che è successo da allora, perché stiam parlando un po’ di tutto, io salto un po’ da palo in frasca, ma.
GB: Beh se vuole torniamo un attimo sulla parte storica che lei ci raccontava e se le va anche di raccontarci un pochino com’era ehm l’atmosfera durante questi, non solo i bombardamenti ma proprio durante la guerra anche con la sua famiglia per esempio, come veniva percepito non so l’intervento degli alleati per esempio.
AL: Ma, si chiama Liberazione! Ma perché tutto il resto in quell’epoca era tutto, era tutto guidato da dal fascismo. Perché famiglie come le nostre che han bisogno di assistenza, voi pensate che io, sempre da bambino, avevo dieci anni, si andava a nuotare nella Modolena, ogni tanto ci son delle vasche che raccolgono la ghiaia e si andava a nuotare lì, si imparava a nuotare lì e siccome ho fatto anche gare di nuoto ho imparato a nuotare lì. Un giorno seduto sul muretto, vedo un ragazzo che si sta annegando, perché era più piccolo di me, io da [unclear] toccavo, lui no. Allora son saltato dentro con calzoncini e canottiera perché ero sempre scalzo, in aprile ero sempre scalzo. Salgo, lo porto, lo porto a riva, questo qua butta fuori l’acqua dopo, e va a casa. Va a casa e lo dice a suo padre quello che è successo. Suo padre lo dice al fascio, mi chiamano, mi danno una onoreficenza, mi fanno non non Balilla, ma Moschettiere, perché avevo fatto un atto, questo funzionava così allora le cose, bastava che tu facessi qualcosa a favore del fascismo che c’era già una corona intorno a te, era fatto così. E pertanto, queste cose io le ho vissute perché sono diventato, nel ’44, ma quando mi han chiamato il fascio mi han cominciato a dire ‘Perché tu non vieni al sabato fascista?’, io non sono mai andato al sabato fascista. Ma io non c’ho neanche i calzoni, non c’ho neanche la camicia, non c’ho il berretto con, non c’avevo niente. Allora, un buono dove c’è la GIL adesso, sotto c’era il magazzino del del dei fascisti, allora mi dan tutta la roba nuova: maglietta, cappello, ma non li ho mai messi perché dopo il ’44 [sic] scoppia il 25 luglio che allora eravamo sfollati assieme a casa di una nostra cognata a San Maurizio e mi ricordo bene questo 25 luglio che sempre come ragazzo, che io come mi alzavo dal letto e uscivo di casa ero ero uno sbandato. Andammo lì a San Maurizio dove c’era la casa, del popolo, casa fascista che c’era gente che portava via le macchine, da scrivere, le gomme così ecco, io non ho preso niente perché allora ero a casa di una famiglia che si dormiva in cinque in un letto, eravamo come degli zingari, ecco non c’era niente da rubare. Questo succede il 25 luglio del ’44 [sic], poi c’è l’8 settembre. L’8 settembre ero sfollato a Mancasale, al mattino vado da casa del contadino vado alla locanda di Sesso, che andavo a prendere qualcosa mentre vado lungo lungo la la strada, sempre strade di campagna, strade bianche, si andava a piedi, fare tre, quattro o cinque chilometri a piedi era cosa normale, non era che come adesso che ci vuole la bicicletta o la macchina. Mentre vado là viene fuori dal filare di di frumentone, di mais quelle piante lì, dei soldati che erano scappati dalla caserma Zucchi, erano cinque e andavano a prendere la stazione a Sesso, a Sesso c’era una stazione che li portava a Boretto così, perché loro si avvicinavano per andare a casa, erano milanesi. ‘Guardate che alla stazione c’è il posto di blocco, c’è i tedeschi là, vi portan via’ ‘Cosa facciamo?’ ‘Venite con me’. Li ho portati a casa di un contadino, i contadini allora in campagna, lontano da casa facevano i rifugi, facevano una buca li coprivano [unclear] guerra. Li porto a casa di questi contadini, questi contadini li vestono in borghese, ci dan della roba, in borghese poi allora eravamo in settembre bastava un paio di calzoni e una maglietta, c’era caldo allora, e questi qua mi ricordo che mi dicevan sempre ‘Quando è finita la guerra ti chiamiamo a Milano’ perché per un reggiano andare a Milano è come adesso andare a Casabianca insomma era così. E allora io ero contento perché avevo portato questi qua. Questo qua è successo l’8 di settembre era proprio quel giorno che è scoppiato, una giornata di sole mi ricordo la strada che facevo dove son venuti fuori. Son tutti episodi che nella vita li ho vissuti e mi son trovato, poi veniamo alla mia categoria di vittima civile di guerra, come rimasi, come rimasi ferito. Dunque, sempre tornando a quei ragazzi di strada, gli scugnizzi chiamiamoli adesso. Il 23 aprile del ’45, il 23, io un giorno prima so che le caserme sono state vuotate, i tedeschi e c’era i carabinieri, c’era il commando dei tedeschi li ho visti alla sera che facevano le colonne che andavano verso il Po perché scappavano, perchè c’era la Liberazione lì che arrivava. E uno, sempre questo Mazzali Franco mi dice che la caserma Zucchi c’è rimasto due soldati e basta perché son scappati tutti. Allora io che avevo fatto quel buco, sapevo che da lì potevo entrare dentro la caserma, io e altri due miei amici che adesso sono morti ‘Vin mèg c’andom’ [vieni con me che andiamo] perché nella parte dove adesso c’è l’università la parte proprio in fondo vicino alle mura, verso viale Piave verso diciamo la circonvallazione, lì c’era la cucina e poi c’era la caserma che aveva il capannone che adesso c’han fatto l’università. C’era la cucina allora da quel buco che l’abbiamo, loro l’avevano tappezzato in qualche modo allora l’abbiamo riaperto e da lì siamo andati in cucina, in cucina c’era ancora pezzi di formaggio, pezzi di roba perché, e poi c’era una camerata dove dormivano i cuochi. Io mi ricordo che i letti non erano fatti con i materassi, c’erano dei sacchi con dei, con delle, del pagliericcio dentro eran quelle, le cose delle delle pannocchie, quello delle pannocchie, che mettevano, quello lì era quello che ci mettevano dentro. Noi abbiamo vuotato tutte queste qua perché era stoffa, che allora non c’era neanche la roba lì. E abbiam cominciato prima rubandogli in cucina, poi abbiamo, siamo, questo qua succede il 23, due giorni prima del ’45 [sic]. Alla sera ci accorgiamo che possiamo andare anche oltre la la cucina perché c’erano quei capannoni che c’era dentro, cioè cui capannoni. Arriviamo, il primo capannone che c’era tutta roba da mangiare, il magazzino, e lì c’era: olio, farina, pasta, tutta roba da mangiare, e cosa succedeva, andiamo dentro, un sacco di farina che era mezzo quintale non riusciamo micca a portarlo, buttavo per terra e quella portammo fuori. Lo stesso era con l’olio, l’olio era troppo pesante vuotava per terra [unclear]. E lì ho cominciato a rubare, poi dopo le mie sorelle che erano a casa anche loro il 24, tutti tutti assieme a rubare. Il secondo capannone, quando vai dentro alla caserma, adesso lì c’è l’università, c’è un corridoio da una parte con un capannone e poi c’è un altro capannone. Quell’altra parte era tutta roba di vestiario, e lì sempre, ero sempre uno dei primi ad arrivarci perché ero stato, prima nella cucina, prima andavo di là con gli amici e con le mie sorelle, arriviamo in questo capannone che ci sono tutta roba di vestiario, sigarette, cuoio, tutta roba. Allora io vado con le mie sorelle col carretto perché il carretto rimaneva fuori con la mia sorella più giovane e quell’altra mia sorella portava fuori le robe sul carretto. Abbiamo fatto un carretto di roba portata a casa, che noi poi avevamo preso una camera, preso una camera vuota in via Franco Tetto dove per i bombardamenti avevamo pianto lì, abitavo in via Bellaria in un secondo piano vicino ai tetti. Andiamo là, ho riempito, in quella giornata abbiam riempito quella camera giù piena di roba. Venti cose di cuoio, sacchi di sigarette, sacchi di, perché riempivo un sacco di calzoni, calzoni coloniali, quella roba lì, nel ’44 [sic], nel, sì nel 24, il 23 è successo questo e sempre in questo movimento, questo qua ho sbagliato il 24, il 23, sempre il 23, ho cominciato il 22. Mentre faccio questo movimento c’è, portavo roba nel carretto, poi c’è una che mi dice che era la Caselli dice ‘Mi presti il carretto? Che mentre tu prendi la roba io vado a, porto a casa là’, perché via Bellaria era dall’altra parte dei giardini, roba di 10 minuti. Quando è finito tutto, che io avevo già fatto un sacco di roba con mia sorella più giovane lì che stava attenta alla roba portavan via tutto, le macchine, i copertoni, tutto tutto c’era proprio l’assalto alla dispensa insomma. Arrivato questo, io vado a cercare questa Caselli per farmi dare il carretto, c’è un gruppo di gente, vado a vedere, se lì, come arrivo lì scoppia, c’è uno della San Marco quei quei fascisti che avevano quel cappello fa scoppiare una bomba e io rimango ferito lì, è lì che rimango ferito, ferito alle gambe, poi la bomba è scoppiata per terra, c’era la ghiaia non c’era l’asfalto. Io ero scalzo, le scarpe le avevo legate vicino, scarpe da tennis perché allora era già, e si cercava di sciuparle poco perché dovevano fare due o tre annate, non è che te le portavi anno per anno. Mi portano all’ospedale con il rischio di togliermi, di tagliarmi le gambe, perché le gambe erano nere, con la polvere con il sangue così. Invece dopo una settimana mi mandano a casa perché c’era un pronto soccorso uno, di fianco al [Teatro] Municipale, e io abitavo in via Franco, in via Bellaria e da lì poi andar lì a piedi mi medicavano lì. Questa è la storia della mia ferita ecco. E poi come si viveva allora, ma si viveva alla giornata, lì mi ricordo che c’era un fascista che nel quartiere, era una brigata nera che diceva che ‘Se trovo un partigiano ci mangio il cuore’. Però quando c’era qualcosa, perché nei fascisti, lì nella zona di Santa Croce ‘al popol giost’ via Bellaria, via Franco Tetto, via Borgo Emilio, mettiamoci anche via Ferrari Bonini. Quando c’era i rastrellamenti, perché facevano spesso i rastrellamenti, appena appena arrivavano nella zona del quartiere lo sapevano già tutti, perciò non venivano più perché non ci trovavano mai nessuno, lì si passava da Franco Tetto a Borgo Emilio da una casa all’altra perché c’eran tutti i giri. Come c’eran in giro i fascisti che arrivavano perché cominciavano a chiudere le strade, la prima cosa che chiudevano nel quartiere non trovavano più nessuno, erano già andati tutti. E allora era un quartiere che era abbandonato a sè stesso e lì c’era questo fascista che quando c’era qualche problema perché prendevano un figlio, una cosa e l’altra, si andava da lui, lo chiamavano al tripulein, il tripolino perché lui veniva da Tripoli. Lui come brigata come brigata straniera [unclear] si faceva venire a casa, ma nel quartiere era conosciuto come una persona che faceva del bene a tutti, poi finita la guerra, dopo tre giorni è sparito e l’hanno ammazzato, perché chissà cosa ha fatto. Ma nel quartiere quando c’era qualche problema di natura politico così andavi da lui. E questo succedeva anche con la legna che andavo a rubare e tagliare. Questi gruppi di fascisti quando avevan bisogno di legna venivano a di via da Zanfi [unclear], sequestravano il carretto, ti portavano dentro, di facevano scaricare la legna, ti davano due schiaffi, sia tuo padre che tua madre e poi dopo ti lasciavano andare ma lo facevano perché volevano la legna questi qua. Ma poi se succedeva che ti tenevan lì c’era qualcuno che diceva a questo tripolino che veniva, ti faceva andar via col carretto, la legna no ma il carretto ti mandava a casa. Perciò era considerato una persona che faceva del bene a tutto che poi dopo l’hanno ammazzato come un po’ un gatto selvaggio insomma. Questo è un pochino tutto quello, poi cosa volete sapere?
[whispered speech]
GB: Ehm, un po’ in conclusione com’è, com’è cambiata anche la sua percezione di quello che lei ha vissuto durante la guerra, cosa che lei ci ha anche detto prima, no? Però dato che l’ha vissuta che era un ragazzo, grande però era comunque un ragazzo molto giovane, com’è cambiata la sua percezione negli anni di quello che era successo.
AL: Diciamo che si viveva di, molto diversamente allora, e non c’era, c’era una solidarietà che era enorme. Mi ricordo che c’era uno lì che, noi andavamo a casa, abitavamo a casa, in via Bellaria numero, numero 9, c’era uno che abitava in via Bellaria di fronte a me, un uomo che mancava una gamba, ed era marito di una che faceva la fruttivendola in via Cappuccini. Molte volte che venivo a casa, a casa perché ero sempre in giro, a casa c’ero poco, a dormire e basta perché ero sempre in giro, mi ricordo, e questo me lo ricordo adesso come ho parlato prima della camera mortuaria con la pezza di carne dei morti là in mezzo le macerie, si chiamava Ferruccio questo qua, era sempre, abitava a pian terreno, quand al feva da mangiare lui era lì in cucina ‘Ve Buti fermet chè che at dag un piat ed mnestra’ [Buti fermati qua che ti do un piatto di minestra] perché mi chiamavano Buti nel quartiere, sono alto così. E i maccheroni di Ferruccio ce li ho ancora in mente perché un piatto di maccheroni da lui era come un pasto di Natale, ‘na cosa per me, casa mia as feven rarameint cal cosi lè’. Per dire qual era la solidarietà d’allora ma di tutte le famiglie, se uno aveva bisogno, uno abitava al primo piano, anziano passava uno si fermava ‘Veh hai bisogno di qualcosa che vado in via Roma?’ era così, era una vita di famiglia, tutto aperto, non c’era chiavi, non c’era niente da rubare, cosa cosa, era così la vita, era proprio una famiglia intera. E c’era qualche gelosia, per cose altro ma si sbrigavano in una lite, in fuori, fuori dalla dalla di casa poi dopo tutto il resto tornava come prima, ecco era una cosa normale. Poi c’erano questi artigiani che se capitava di avere bisogno difficilmente ti chiedevano la paga, venivano come amici, come amici, è una vita che non, ma adesso non è più così, ma io poi che l’ho vissuta un pochino negli anni perché son sempre stato nella, nella quotidianità nella politica, io coi politici non ci ho mai avuto a che fare perché li ho sempre considerati della gente, dei buoni a nulla, nel ca, nel ce, le cose che fanno una carriera per poter vivere bene e avere dei privilegi che della gente poi alla fine se ne frega altamente, qualche d’uno lo fa anche con la coscienza a posto, proprio per fare per aiutare, ma sono più gli arrivisti che quelli che lavorano proprio per la gente. Io che faccio della della solidarietà per, di questo lavoro, lo faccio e non prendo niente, e lo faccio volentieri perché non è che abbia bisogno di essere portati su una poltrona e coperto dall’oro, devo avere la coscienza a posto, libera, a posto deve essere a posto, sentirmi gratificato io per quello che faccio. Quando faccio un piacere a qualcheduno lo faccio a me stesso perché mi sento gratificato e ce n’è poca gente così, la gente mira sempre ai soldi, sempre cose che poi alla fine quando muori non te le porti a dietro, rimangono lì, cosa se ne fanno la gente di stipendi di 10, 15 mila euro al mese quando c’è gente che non mangia, ma perché con tutti questi politici che vogliono fare il bene del popolo non fanno micca una legge dove dire ‘Al massimo vi diamo 5 mila euro al mese e il resto li teniamo per gli altri’ non succede, perché tutti i politici lavorano per il bene del popolo, ma non per il suo bene. Sempre quei viaggi a Berlino, siccome eravamo dei dirigenti noi, si andava, perché quando si accompagnava queste scuole c’era il gruppo, il terzo gruppo, che andavan via i dirigenti, i politici così. Io andavo sempre in questi gruppi perché tutto sommato io sono un presidente di una sezione eletto dal popolo, pertanto sono, in base alla costituzione, sono un cittadino, sono l’apice, pertanto io mi sono trovato in mezzo a delle autorità così che poi le considero persone normali, e mi ricordo che abbiamo avuto un incontro in Bundestag ci han fatto vedere come funziona il Bundestag. Alla sera alle sette, accompagnato da un gruppo di persone come funzione, il Buntestag se ve lo ricordate è una cupola dentro c’è, in alto, c’è una scala che gira a cos che vai fin su per vedere, e poi c’è il parlamento sotto. Il parlamento sotto che sono 300, 350 persone, c’è il governo, c’è gli eletti, e poi c’è un gruppo di mediatori chiamiamoli: lì ci vai con una legge, si discute, si mette i voti e poi c’è. Ma lì si propone la legge si fa entro il giro di 15 giorni si decide tutto, o si o no. Oppure si chiede il parere di questa gente che poi può essere l’ago della bilancia. Cosa prendan questa gente? E allora, all’epoca mi pare 2010 o 2005 prendeva massimo 5 mila euro al mese però tre giorni in parlamento, due giorni nel quartiere dove sei stato eletto. Se tu nei tre giorni manchi due giorni, non prendi più la quota del parlamentare, se nei due giorni, naturalmente ci sono le ferie e anche le giustificazioni, ma là non c’è bisogno di questo perché son persone serie le cose le fanno veramente, la metà. Un commesso là prende il doppio di un lavoratore nostro, cioè se un lavoratore nostro costa 30 mila euro, 25 mila, 30 mila euro, là ne prende 60 là, da noi ne prende 160. Là ce ne vuole uno ce ne mettono un mezzo, qua ce n’è uno e ce ne mettono cinque, perché, che poi che io viaggio anche come come consigliere nazionale, vado il giorno 4 a Roma al senato in un convegno, là quando arriva il ministro nella sala dove c’è il convegno, viene il ministro c’ha quattro commessi da una parte e quattro dall’altra, lui in mezzo viene accompagnato là ma queste quattro, otto persone cosa fanno lì? Questi qua che accompagnano il presidente dal suo ufficio al convegno. Poi nella sala c’è il convegno ci son quattro o cinque là così, che guardano, io vado dentro la prima volta che sono andato perché è già parecchie volte che ci vado, senza cravatta, mi dan la cravatta non posso andar dentro senza cravatta. Poi mentre sono seduto mi dicono ‘Quando va fuori la lascia lì la cravatta’ quando sei dentro questo convegno, questa sala che ascolti il convegno che partecipi, non puoi accavallare le gambe così perché c’è uno che ci dice che non si può. Gente che costa 160 mila euro all’anno, all’anno per far questo lavoro? Ma e poi dove ce n’è uno ce ne mettete dieci? Ecco dove abbiamo, dove va su il debito pubblico, perché se volessero lo mettono a posto in cinque, in cinque minuti in questa questione. Ci si dice ‘Tu prendi 11 mila (andiamo sul netto perché le tasse devon pagarle) prendici 11 mila euro netti, te ne diamo 5 mila in contanti gli altri 6 mila te li diamo di buoni del tesoro scadenti fra 30 anni. A fine mese ti trovi già l’ufficio del tesoro coi soldi non pagati, pagati con della carta senza soldi che puoi già metterli in economia, diminuire le tasse, fare, dare più soldi a chi lavora e così avvii anche l’economia perché la gente più soldi spende. Queste cose i politici devi fare, non le fanno perché son loro che hanno i benefici. Questo qua è uno sfogo eh!
GB: [laughs]
AL: Per tanto che io che c’ho una certa età che ho vissuto varie correnti, vari momenti alla fine è sempre la stessa cosa, tornando sul discorso di prima che la chiesa mette una chiesa di quartiere, il fascismo una casa del popolo ogni quartiere, a sinistra una cellula per ogni quartiere cioè è la storia che si ripete, perché il quartiere è, è la porcilaia dove tiri su i maiali o le pecore, perché devi coltivare, devi mangiare su quella gente lì, è così che funziona. Allora allora ecco perché un dato momento quando parli dei, cerchi dei politici che condizioni ti fanno. Io son stato anche nominato Cavaliere prima, Cavaliere Ufficiale, Commendatore per l’attività che faccio così sociale, a un dato momento vengo proposto come Commendatore, non è che abbia chiesto io, era il presidente nazionale che lo fa perché là faccio una certa attività, ecco e ci ho lasciato il segno. Viene un poliziotto a casa a prendere informazioni e io all’epoca, c’era un guardasigilli, che nell’88 quando ho cominciato a fare un pochino politica sociale sulle pensioni di guerra ci ho quasi detto dell’asino perché su delle domande fatte sulla nostra categoria si capiva che non sapeva niente, e io ci ho detto ‘Cosa è venuto a fare qua? Cosa ci ha, cosa ci ha invitati a fare?’. Quello è prendere in giro, non siam mica i vostri servitori. E l’epoca che è stato proposto come guardiasigilli, l’ho rinunciato perché la fine il guarda sigilli era quel personaggio, che non faccio nome per rispetto, che ha avuto questo qua cosa da dire 20 anni prima. Poi dopo questo qua va via perché le politiche, i governi cambiano, mi son trovato che addirittura che il presidente nazionale, vado lì, congresso, allora di consigli se ne faceva cinque o sei all’anno, mi chiama in ufficio ‘Te Landini ti faccio un regalo’. Eccola qua, questa scatolina che c’è scritto Commendatore. ‘Come mai? Non son micca commendatore’ no io lo so perché lui era a contatto. Non mi son neanche, neanche accorto lui ha insistito per farmi commendatore, mi dice questa scatola coi bigliettini, che ancora non mi era ancora arrivata la nomina, per dire che poi trovi soddisfazione su queste cose perché io ho anche chiesto a cosa servono, queste cose. E allora mi ha spiegato ‘Come presidente se tu hai bisogno di un ufficio come la Prefettura perché rappresenta lo Stato, io sono il Presidente della Repubblica, rappresenta lo stato. Se io vado là come Commendatore mi devono dare la precedenza subito. Se poi non sei contento per il capo ufficio, il capo sezione puoi chiedere di essere convocato dalla maggiore autorità, che in questo caso è il Prefetto, entro una settimana ti deve ricevere. Questo è quello che può servire’. Che poi a suo tempo mi è servito perché uno per diventare, doveva diventare orfano perché lo era, chiedeva dei documenti che era possibili averli perché papà era morto in certe circostanze e lo facevano girare, che là poi c’è l’impiegata agli orfani che son passati tanti anni, c’è e non c’è, questo qui veniva da Gattatico, ‘Vieni a Reggio’, l’han fatto girare. ‘Adesso ci penso io’. Sono andato in prefettura e ho chiesto di parlare con l’autorità, la prima autorità sotto prefetto ‘Ma no non si può, no’. Ci ho dato il biglietto allora quel puto lì, la guardia telefona su, mi riceve subito, è un sardo e le spiego la cosa. ‘Ha ragione, ci penso io ci penso io’ ‘Guardi che l’impiegata c’è e non c’è’. ‘Lei venga fra due giorni’ vado là fra due giorni e dice ‘Domani le do il documento’ è servito del documento che era orfano di guerra. Beh ma funziona così in Italia. Questo è quello che succede. Dico questi fatti perché.
GB: Ok la ringraziamo signor Landini per questa intervista
AL: Io sono sempre qua perché mè scamp fin a seintvint an perciò quand t’ghe bisoig tornet indrè [perché io sopravvivo fino a 120 anni quindi quando hai bisogno torni indietro].
GB: Torniamo a farne delle altre.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Adriano Landini
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Adriano Landini (b. 1930) recalls his childhood living in the poor Santa Croce neighbourhood in Reggio Emilia. Describes the profound sense of solidarity in wartime, stressing the community spirit among the so-called "popol giost" (the salt of the Earth). Narrates the role played by local fascist leaders in managing every-day problems, describes wartime hardships and explains the tricks he contrived to survive: stealing wooden posts, trading salt on the black market, pilfering food in cahoots with a railway policeman. Narrates how he broke into a magazine during a curfew, an action that allowed members of the Italian resistance to capture much needed ammunition - for this reason he has been later equated to a fully-fledged partisan. Recollects how he was wounded by a hand grenade while pillaging barracks on the last days of the war. Recalls two bombings and how he took cover in a vast public shelter. The first attack hit the power plant and the second the hospital, both caused many injuries. Stresses he was aware of the difference between night bombing, carried out the Royal Air Force and daylight bombing, which was the preserve of the United States Army Air Force. Hints at the gruesome sight of dismembered corpses and explains his role in the memorisation of the event. Gives a vivid testimony of the pillaging of barracks and fascist headquarters immediately after the fall of the regime. Provides a detailed account of his post war life: first his short-lived career as an athlete, then being employed in a leather factory where he worked his way up from ragged delivery boy to manager. Upon retirement he took an active role in the Associazione nazionale vittime civili di guerra becoming a prominent figure. Stresses the importance of keeping the memory of the Holocaust alive and highlights the differences between civil ethics in Germany and Italy.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Giulia Bizzarri
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-04-14
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Francesca Campani
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
01:03:34 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ALandiniA170414
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Royal Air Force. Bomber Command
United States Army Air Force
Royal Air Force
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Po River Valley
Italy--Reggio Emilia
Austria
Austria--Mauthausen
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea (Reggio Emilia)
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1943-09-08
1943-09-08
bombing
childhood in wartime
Holocaust
home front
perception of bombing war
Resistance
shelter
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/66/713/AMazziG170420.2.mp3
1f1d1840cb8c40e1e085dfeff71e408b
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Mazzi, Giglio
Giglio Mazzi
G Mazzi
Description
An account of the resource
This collection consists of one oral history interview with Giglio Mazzi who recollects his wartime experiences in Reggio Emilia.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea (Reggio Emilia)
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-04-20
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Mazzi, G
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
GM: Very well.
DG: [laughs] Dunque partiamo dalle cose semplici: le chiedo dove e quando è nato.
GM: 18 febbraio ’27, Campogalliano. 18 febbraio, purtroppo ho 90 anni appena suonati.
DG: Complimenti [laughs].
GM: Purtoppo.
DG: Se ci può parlare un po’ della sua famiglia, del contesto appunto familiare. Cosa faceva la famiglia, cosa faceva lei prima della guerra, un po’ il quadro generale.
GM: Certo, certo. Non so, non credo [laughs].
GM: No, no tranquillo, vada pure. Quindi dicevamo: la sua famiglia e li contesto.
GM: Sì io sono di famiglia antifascista perché eh nei, negli anni dell’avvento del fascismo, 1921-22, mio papà e anche mio zio furono picchiati molto duramente dai fascisti. Tant’è che mio zio con una bastonata, avevan quelle mazze ferrate allora, gli hanno staccato un orecchio. Mio padre invece le ha solamente prese.
UNKNOWN SPEAKER: Ciao ciao.
GM: Ciao Baldini [?] [whispers]
DG: Non c’è problema tanto qua siamo tutti tra amici.
GM: Quindi io sono di famiglia antifascista, proprio per motivi familiari e anche perché evidentemente nella nostra zona, non so se voi siete di Reggio, la nostra zona risente ancora adesso, anche se adesso purtroppo alcune cose non ci convincono, del clima prampoliniano. La nostra è una città, una zona che ancora risente degli antichi trascorsi del Mulino del Po, di Prampolini eccetera eccetera. Quindi sono di famiglia antifascista.
DG: Ok, cosa faceva lei prima della guerra? Quanti anni aveva, come insomma, gli anni appunto, prima prima dell’inizio dello scoppio.
GM: Ecco esatto. Io ero studente dell’ITI (Istituto Tecnico Industriale), e durante la guerra qui siccome qui avevamo allora un grande stabilimento di guerra che eran le Reggiane e qui man mano che i giovani delle reggiane andavano al fronte loro chiedevano all’ITI, siccome noi conoscevamo il disegno tecnico, chiedevano all’ITI di mandare i propri studenti a supplire la mancanza di quelli che s’andavano al fronte. Io poi fui di questi. E questo avvenne alla fine mi pare, a metà, durante le vacanze del ’43 quando, mo anche prima, ci andai nel ’42. Però col grande bombardamento del 7-8 gennaio del ’44 eh le Reggiane furono polverizzate anche assieme alla parte nord della nostra città e naturalmente tutti i giovani che erano venuti nell’ITI e andati alle Reggiane, si trovarono a spasso. In quel momento lì, il comando, eh il comando fascista vedere tutta questa massa di giovani per strada era pericoloso per l’ordine fascista e con gli operai delle Reggiane, costituirono dieci centurie e fummo e fummo appunto reclutati e inquadrati nell’Ispettorato Provinciale del Lavoro, si chiamava proprio così, sulla falsa riga di quello che avevano già fatto anche in altri stati. Ispettorato del Lavoro, ci aveva mandato, ci avevano dato una, una tuta gialla con una bustina gialla in testa, sopra la bustina c’erano un piccone e un badile, puoi immaginare, il nostro compito era quello di sgombrare le macerie del bombardamento che era appena intervenuto. Però allora non c’erano le ruspe, allora c’avevamo una carriola e un badile, puoi immaginare che cosa potevamo sgombrare con questi attrezzi. La cosa però anche nell’Ispettorato non durò molto, perché nel successivo marzo ‘40, sì nel marzo ’44 arrivò l’ordine che tutti i centurioni dovevano recarsi sulla linea Gotica a fare le trincee per i tedeschi. Nessuno di noi, perché siccome da noi specialmente poi a Reggio, il clima era fortemente antifascista. Nessuno di noi si presentò per andare sulla linea Gotica. La mia centuria era stata destinata a Tombaccia di Pesaro, pensi un po’, che bel nome invitante che era, Tombaccia di Pesaro. Noi non ci presentammo, il giorno dopo, a casa nostra, anche se eravamo sfollati, il giorno dopo a casa nostra, c’era subito la camionetta della milizia per chiedere a mia mamma e ai miei genitori, eravamo sfollati in campagna a San Maurizio, dov’ero andato io, mia mamma era stata adeguatamente istruita ha detto ‘Ma mio figlio è andato sulla linea Gotica’ ‘No tuo figlio non è, non si è presentato’ e gli argomenti che si usavano allora, questi erano dei miei coetanei dei ragazzi di 16 – 17 anni, dissero a mia mamma e a mio papà ‘Se tuo figlio non si presenta entro tre giorni torniamo qui e vi ammazziamo tutti’ perché questi erano gli argomenti conclusivi dei discorsi. Per me, per mia fortuna, non tornarono più, perché avevano anche loro i loro problemi, perché noi. Io però in quel momento lì che, non ero ancora arruolato nelle formazioni partigiane però pensando che in quel momento, com’era arrivata la camionata quel mattino lì poteva arrivare anche alla sera, al giorno dopo, potevano tornare come avevano promesso. Ho detto ‘Qui bisogna che trovi una soluzione per dormire fuori casa’. Portammo un materasso sui tetti, eravamo già in giugno, si dormiva anche sui tetti. E per qualche settimana dormii lassù. Eh non era una cosa che poteva continuare molto però. E quando dormivo lassù di notte, sentivo giù nel porticato, che a Reggio la chiamiamo ‘porta morta’ non so se conosce questo termine. La porta morta l’è al porticato dove entravano i carri per buttare il fieno nel fienile. A gh’era cul portic, cul gros, quello era la porta morta. Io sentivo di notte dei rumori, sentivo di notte delle voci. Allora al contadino lì che ci ospitava dove eravamo sfollati, che si chiamava Piero chiesi ‘Ma scusa io ho questo problema da risolvere, non potrei mettermi in contatto con quelle voci che sento di notte?’ ‘Ma cosa vuoi parlar tu di questi problemi che non hai neanche 17 anni, pensa a studiare e dormire fuori casa, perché capisco che ne hai bisogno, vedremo come fare’. Naturalmente questa questa questo rifiuto a me è parso più non che fosse convinto delle mie esigenze ma che ci pensasse.
Unknown speaker: state registrando?
DG: Prego prego.
GM: Allora possiamo. E quindi pensando che, più che la sua impossibilità [coughs] fosse dettata dal fatto che noi a 16 anni e mezzo non potevamo avere i numeri per metterci in contatto con quelle voci sussurrate della notte. Il giorno dopo con un altro mio coetaneo di San Maurizio andammo in mezzo all’aeroporto e in pieno giorno, nonostante che la sentinella andava avanti e indietro abbiamo portato via una mitragliatrice sopra a un aereo tedesco. Signorine non è coraggio questo, questa è incoscienza dei 16 anni perché andare a portare via in pieno giorno. E tra l’altro noi pensavamo che prendere una mitraglia fosse come prendere questo astuccio. No, per portare via una mitraglia su un apparecchio ci vogliono due giorni di seghetto [unclear] perché son legate queste mitraglie, sono, sono solamente coi gas si scarico dell’apparecchio. Tra l’altro un blocco [?] l’abbiam portata via e l’abbiam portato a quello che ci aveva detto ‘Pesate a studiare’ a quel Piero, ci aveva detto, subito pensavano di ricevere qualche elogio insomma dire ‘Oh però voi due siete’ e invece ha detto ‘Siete due pazzi, siete due incoscienti, e non capite’ l’aeroporto da dove ero sfollato dista, era, è distante di un chilometro in linea d’aria, ‘Se i tedeschi si accorgono che avete portato via una mitraglia vengono qui e, tanto per cambiare ci ammazzano tutti’. E io dissi ‘Ma Piero ma io non è che io voglia fare l’eroe, né il Rambo nè il guerrigliero voglio solamente dimostrarti che potevamo avere i numeri per andare con quelle voci che noi sentiamo di notte. Lui ha detto ‘Voi siete due pazzi, due incoscienti, non capite niente, lascia lì sta mitraglia’, ma la mitraglia di un aereo è 40 chili non è uno scherzo, eh non è, non è questo astuccio, e ‘Lascialo lì, per il tuo problema di dormire fuori casa vedrò cosa posso fare’. Un mese dopo mi chiamò mi disse ‘Veh Giglio’, mi chiamavo ancora Giglio, non avevo ancora i nomi di battaglia ‘Veh Giglio se stanotte vuoi venire in un certo posto che mi disse, là a mezzanotte potrai veder in faccia quelle voci che senti di notte’. Naturalmente chi potevano essere quelle voci, quelle voci. Erano i miei amici sfollati lì con me, che io poi non sapevo che fossero già organizzati, però li conoscevo tutti, quando li avevo visti ‘Ah ma son queste le voci’. E quella fu, quella sera lì, assieme a quelli lì sbaragliammo il presidio, e questa è stata la mia prima azione da partigiano SAP, perché c’è grande, in pianura ci avevamo i SAP e i GAP. Fu la mia prima azione cioè abbiamo diciamo attaccato il presidio fascista che era sulla via Emilia a villa Masone, l’abbiamo attaccato, non abbiamo potuto finire l’azione perché poi è arrivato Pippo, ha buttato una bomba e poi è passata, arrivarono una colonna tedesca, una colonna di automezzi tedeschi da Reggio, anche quelli si misero a sparare, cioè un putiferio però poi abbiamo raggiunto lo stesso il nostro scopo perché il mattino dopo il presidio sgombrò e rientrò in città perché ha capito che lì a Masone era, c’era anche degli altri. Questo qua è stata poi successivamente, ho detto che questa è stata la mia prima azione e il mio inquadramento nelle brigate SAP, però alcuni, alcune settimane dopo, io poi non conoscete questa organizzazione, in ogni settore c’è un solo distaccamento GAP e 20 o 30 squadre SAP. La funzione del distaccamento GAP non è solo quello di fare i colpi più arditi, più, perché il GAP operava prevalentemente in città in pieno giorno i gappisti, ma venendo in quel giorno, la settimana dopo c’è stato il primo distaccamento GAP che non eravamo noi, che ha avuto uno scontro con la brigata nera nei prati della famiglia Vecchi di Gavasseto e i Vecchi che sono parenti con il nostro sindaco attuale, lì ci fu lo scontro in mezzo ai campi col primo distaccamento GAP, i distaccamenti GAP operavano tre persone, i GAP operavano sempre in tre, di questi tre uno non tornava mai indietro. Quella volta lì han visto arrivare i fascisti e i tedeschi, ma lì erano più i fascisti che i tedeschi e tentarono loro la sorpresa, uscirono dal rifugio perché era di quello sotto terra con le cotenne sopra, uscirono dal rifugio buttando bombe a raffica contro i fascisti, riuscirono a sottrarsi alla cattura tutti quanti feriti e malconci e si ritirarono su in montagna. Questo fu lo sbandamento del primo distaccamento GAP, primo distaccamento Gap era na grossa cosa per la resistenza della pianura perché oltre a fare i colpi in città in pieno giorno aveva anche l’incombenza di addestrare sia le squadre SAP del settore, sia i neofiti, quelli che entravano attualmente. Dissolto il primo distaccamento GAP i due comandi GAP e SAP della pianura pensavano a come rimpiazzare questo distaccamento perché aveva la funzione vitale per la resistenza in pianura e interpellarono un po’ tutte le squadre SAP del settore, come ho detto prima ce n’è una ventina che andava da Reggio fino a Rubiera, da Villa Gazzata fino alla collina. Noi avevamo, avevamo il settore sud-est della città, naturalmente una delle, una delle ricerche che sono state fatte furono indirizzate anche verso la mia squadra SAP. Noi eravamo in 6 nella squadra SAP. Mentre invece dicevo prima i distaccamenti GAP erano tre e attualmente proprio chi svolse la ricerca fu quel Piero che poi poi diventò Bloac, Bload che è il comandante del distaccamento. E naturalmente quando a noi chiesero se volevamo, almeno se c’erano almeno tre persone disposte a entrare a entrare nel distaccamento Gap è noi non volevamo assolutamente entrare nei GAP perché per noi i GAP, noi eravamo SAP in quel momento lì (Squadre Azioni Patriottiche) noi per noi sappisti, SAP i gappisti erano delle specie di kamikaze, gente votata alla morte che aveva, con pochissime possibilità di arrivare alla liberazione. Pensate signorine che mi ero ascoltate, che i primi gappisti, il gappismo si divise in due fasi: prima fase e seconda fase. Il gappismo prima fase è quello che operava solo in città e quindi la spia era micidiale solo in città, la seconda fase dei gappisti invece, che è quando sono entrato io nei gappisti operava e in città ma anche fuori. Fuori la spia ha la vita più dura perché i contadini della nostra zona erano tutti con la Resistenza, è stata una lotta unitaria la nostra, quindi nel mio settore che erano circa 120 – 130 famiglie tolto via quelle 8 - 10 famiglie che avevano dei figli o dei parenti nella milizia, tutti gli altri eran con la Resistenza. O perché c’è un giovane che si era arruolato o anche aiutandoli con indumenti o anche con dei soldi. Noi non volevamo quindi entrare, anche perché se pensate che ho detto prima la falange, eeeh il tasso di mortalità della prima falange, dei gappisti è otto o nove su dieci, 80 - 90% la mortalità e un terzo di questi morti erano suicidati, si suicidavano per non cadere vivi, come ho fatto io successivamente, per non cadere in, perché cosa succedeva se li catturavano? Ti torturavano a morte per farti parlare, poi non ti potevano lasciare in vita perché tu eri uno scomodo e pericoloso testimone per il post. Quindi il nostro impegno morale non scritto era quello di non farsi catturare vivi, tant’è che quando c’è stato lo scontro mio personale e chiudo perché altrimenti parlo solo io, stato il mio scontro personale con un ufficiale delle SS italiana che erano, oltre alle SS tedesche c’erano le SS italiane, che erano quegli ufficiali più fascisti, più fetenti, più criminali. Tant’è che quando ci siamo scontrati il giorno di Capodanno del ’45 sulla via Emilia a Villa Masone, lui aveva mandato avanti uno in divisa che faceva da esca e ci ha fatto da esca a noi altri due che stavamo pattugliando la via Emilia e lui era in borghese in mezzo ai ciclisti che abbiamo fermato perché quando si faceva un’azione di disarmo eh sulla pubblica via bisognava fermare i ciclisti, allora erano tutti i ciclisti, non c’erano le macchine. In mezzo a questi qui che abbiamo fermato provenienti da Reggio c’era questo giovane ufficiale delle, tenente delle SS italiane che aveva mandato avanti quello in divisa per fare, quindi una trappola ben congeniata. Noi naturalmente non abbiamo sospettato una cosa del genere, io e il mio compagno di sventura, che tra l’altro quel mio compagno di sventura è l’onorevole Otello Montanari del ‘Chi sa parli’ che qualcuno ne avrà sentito parlare. Noi non immaginavamo una trappola così, l’ho fermato io e gli ho detto con Otello, allora si chiamava Jack, Otello ‘Ascolta stai pronto’ io avevo una piccola pistola, poco, ero poco armato perché ero ero davanti avevo una tuta ero più snello. Lui invece aveva la mantellina, Jack (Otello) e sotto la mantellina aveva lo sten, il mitra tedesco, il mitra inglese. Ho detto ‘Fermo io come al solito’, tu stai pronto a darmi manforte se c’è bisogno’. Mi fermo e naturalmente io quando sono a distanza come da me a, a Giulia se ricordo bene, alla Giulia, butto la bicicletta in fondo al fosso e tiro fuori la pistola, e dice, davamo il mani in alto in due lingue ‘Mani in alto! Endaù [hände hoch]’ perché non sapevamo se era un tedesco o un italiano ‘Mani in alto! Endaù!’. E lui, il fascista, ha fatto un mezzo sorriso ha alzato le mani, non ci era parso troppo spaventato però nonostante questo noi non sospettammo niente. E noi per tranquillizzarlo gli abbiamo detto ‘Guarda che noi non ti vogliamo farti niente, tu hai una bella divisa calda’. Quel capodanno ragazze era un freddo che gelava la lingua in bocca ‘Allora tu hai una bella divisa calda, noi in pianura non ne abbiamo bisogno perché i contadini ci aiutano ma la tua divisa la mandiamo ai partigiani della montagna che là stanno gelando dal freddo’ e lui diceva ‘Sì, sì, sì’ ‘Allora vai giù per quella strada lì’. Siete della zona? No. Prima di Masone c’è una stradina che è via Roncadella, ‘Vai giù da Roncadella, vai giù di lì, avanti 100 metri ci dai la tua divisa poi tu vai dove vuoi’. E lò al dis ‘Oh ma c’è freddo adesso’ ‘Fa micca niente se c’è freddo, vai dentro a una stalla, vai in mezzo alle mucche e vedrai che’ eh è partito. Lui parte in prima posizione Jack (Otello) ci va dietro con la sua, con la sua artiglieria, la sua mantellina dietro, io prendo, prendo la bicicletta in fondo al fosso e poi mi metto in terza posizione per andare a prendere la divisa. Fatti pochi metri io sento dietro di me lo stridio di una catena, allora c’era poco olio da oliare le catene cri cri cri. Mi volto pensando [pause] mi volto pensando che fosse quello che qualche minuto prima ci aveva fatto un applauso perché tutte le volte che facevamo un disarmo ed era giorno sulla pubblica via c’era sempre qualcuno che diceva ‘Bravi, bravi! Bravi partigiani! È ora che la finiamo!’. Perché i tedeschi e i fascisti requisivano le biciclette allora vedere qualcuno che contrastava questa requisizione ‘Bravi, bravi!’. Io mi volto, sento sto stridio, penso che fosse quello che prima aveva fatto l’applauso e invece no, era un bel ragazzo, magnifico, giovane, tre o quattro anni più vecchio di me che per mia fortuna aveva, altro che io avevo un pistolino, pochi colpi, una beretta piccolina piccolina, appena appena sufficiente per fare qualcosa. Lui aveva la famosa Hi-power che è la pistola che ha in dotazione adesso la Polizia di Stato, che porta 15 colpi da mitra con un caricatore bifilare e per mia fortuna la sua Hi-power, la sua pistola, perché lui aveva, era vestito in borghese, aveva sopra un bel cappello nero e aveva un trench che allora usavano quei trench chiari. La pistola, per mia fortuna il mirino si era inceppato, attaccato alla tasca, non veniva fuori dalla tasca, è stata la mia salvezza perché lui era addestrato perché come ha sparato si vede che è addestrato, ma il gappista oltre che avere il coraggio aveva anche il sangue freddo perché chi ti porta fuori in queste cose è il sangue freddo più che il coraggio. Eh io allora mi volto, il fatto di vedere la scena come ho detto che anche noi eravamo addestrati, fu tutt’uno con l’istinto di voltarmi e di sparargli. Io mi volto quando vedo la scena, sono anche io in bicicletta, anche lui è in bicicletta, lui aveva, in bicicletta come me, lontano cinque metri, quattro, mi ha strinato sulla schiena, mia ha strinato la tuta tanto a dire che era vicino, eh mi volto, però prima, mi volto per sparargli, prima che sparassi io ha sparato lui, e nel momento in cui io mi volto per sparargli faccio questo, in bicicletta faccio questo movimento, inarco la schiena per potergli sparare, lui, è partito il primo colpo, in mezzo alla schiena. Se non mi fossi girato il colpo usciva qui. Girandomi il proiettile è entrato sulla scapola sinistra, è passato sopra la scapola e, avendo la schiena inarcata, è passato sopra la spina dorsale senza toccarla è tornato dentro sulla scapola destra, ha fatto quattro buchi è uscito dall’altra parte. Qui ho quattro buchi nella schiena. Poi naturalmente quando si prende un colpo d’arma da fuoco non è tanto, si si sente un gran calore un gran bruciore ma non è che, però è l’impatto che ti butta per terra è il colpo, io stramazzo lì, sull’asfalto sulla via Emilia lì a Villa Masone. Lui che era molto addestrato, senza scendere dalla bicicletta, anche lui in bicicletta, dà un secondo colpo a Jack e butta giù anche Jack, di colpo. Erano erano quegli ufficiali fascisti che i tedeschi avevano addestrato in Germania per farli venire in Italia a fare la lotta antipartigiana, quindi erano addestratissimi. Naturalmente, siccome quando sparava con la mano destra, sulla mano sinistra aveva la valigetta, anche la sua bicicletta ha perso l’equilibrio ed è caduto anche lui, è caduto a gambe aperte è caduto, quando è caduto ha aperto le gambe, ha mollato la bicicletta e si è fermato lì vicino a me. Io apro gli occhi e vedo sto pistolone vicino, era, purtroppo la guerra è fatta così, per essere sicuri che sia morto si da il colpo di grazia. E allora lui era lì sopra di me, col pistolone che mi sta per dare il colpo di grazia, in quel momento io apro gli occhi, ecco perché vi dico che anche noi eravamo addestrati, ero sdraiato sull’asfalto in mezzo a un lago di sangue, il mio sangue con quello di Jack aveva inondato la via Emilia li prima di Masone, quando vedo la scena senza muovermi, avevo il mio piccolo pistolino apro il fuoco, stavolta ho sparato prima io, gli ho messo sei o sette colpi addosso, tutti qua, all’addome. Lui non si aspettava questa reazione, tant’è che ho visto che ha fatto così e poi si è tirato indietro e mentre si tirava indietro ha continuato a spararmi che ero per terra, un altro colpo è uscito qui è entrato che dalla coscia sinistra è uscito dalla schiena perché erano, sono armi micidiali come potenza. Pensate che entrare qui e uscire dietro la schiena, salt la coccia la pistola. Naturalmente quando vede che lui, vede che io rispondo fin che avevo dei colpi va verso il mio compagno e l’ha massacrato. Se lo vedete adesso Otello Montanari, l’onorevole Montanari lo vedete che, adesso sta molto male, in questi giorni lo abbiamo visto durante questa manifestazioni è venuto, sta molto male perché le ferite col tempo eh lui è stato molto ferito. Lui però quando ha preso il colpo che è caduto sull’asfalto la, la cinghia del suo mitra, del suo sten, è andata sotto il manubrio e tra a bicicletta, il manubrio, la cinghia e il mitra io ho visto che in mezzo alla via Emilia c’era un fagotto che si, si arrotolava e gridava. Ecco in quel momento, quando si perde tanto sangue signorine belle, si perde tanto sangue hai il cervello che non è più il tuo cervello, vedi tutte delle cose, le vedi [pause], evanescenti, perché sembra un sogno, perché tu hai perso tutto quel sangue lì. In quel momento, io a me sembra di vedere che arrivano le famose camionette fasciste tedesche per catturarmi e per torturarmi, i nostri morti sono più morti da, per la tortura e in seguito alla tortura che al combattimento. Perché con la tortura ti facevano parlare, perché pensate che alle ragazze strappavano i capezzoli con le pinze, agli uomini massacravano i testicoli con, quindi nessuno di noi voleva farsi catturare più. Quando a me sembrò di vedere arrivare le macchine conoscendo anche, pensate che un terzo dei gappisti si son suicidati, un terzo dei morti. Io avevo la pistola in mano ‘Eh no, non mi prendete’. C’era una specie non, di impegno non scritto ma a non farsi catturare. Tiro la pistola per mia fortuna non ho più neanche un colpo. Ragazzi quando non è ora di morire non si muore, tiro tiro la pistola, non c’è niente, poi torno a perdere per qualche istante la conoscenza. Quando riapro gli occhi non ci sono più le macchine, che poi non c’erano neanche prima e sento il mio amico Jack, che noi chiamavamo tabarone, perché aveva sempre la mantellina, tabaroun, che gridava ‘Alì, Alì, Alì!’. Allora ero già Alì allora ‘Alì, Alì, Alì corri corri!’ perché dopo che abbiamo accettato di entrare nei gappisti, il mio nome di battaglia che prima era Febo diventò Alì, era l’obbligo di cambiare il nome di battaglia ‘Alì, Alì, Alì corri a chiamar la zia!’ io non sapevo neanche che Jack avesse una zia, ma mentre lui mi diceva ‘Corri a chiamare la zia, corri a chiamare la zia’ mi segnava una casa colonica proprio di fronte, di fronte dove c’è stato il combattimento e però per andare lì dentro dovevo andare avanti 100 metri e poi tornare indietro. Mi sono alzato, sono subito caduto perché non stavo in piedi poi con tutte le forze che può avere un ragazzo, perché a quell’età lì eh la spinta c’è. Tento ancora di rialzarmi, mi prendo la gamba che ormai è rigida come un marmo e a salton saltoni vado dentro alla casa che aveva indicato Jack, grido ‘Correte, correte in strada! Perché c’è’ non ho potuto dire ‘Jack ferito’ ho detto ‘Che c’è Otello Ferito’ perché se dicevo Jack nessuno capiva chi era Jack perchè, i nomi di battaglia non li sapevano. Poi io sotto la famosa porta morta torno a cadere perdo ancora conoscenza per un attimo, quando riapro gli occhi la casa è vuota, silenziosa e il lo zio, non la zia di Jack, lo zio era già in strada con un carretto, l’aveva caricato e l’ha portato via. Io sono rimasto lì sotto alla porta morta e con mia sorpresa, piacevole sorpresa vedo che sullo stipite del portone c’è la mia bicicletta, quella bicicletta che era rimasta sulla via Emilia in mezzo al sangue, ma come mai è lì la mia bicicletta. Dopo l’ho saputo: mentre c’era stata la sparatoria una ragazza che era amica di mia sorella perché dove è avvenuto il combattimento, era lontano mezzo chilometro da dove ero sfollato. La ragazza mi ha [ri]conosciuto, era amica con mia sorella [coughas], è corsa ad avvisare mia sorella, mia sorella [coughs] mia sorella arriva proprio nel momento in cui io superata la ferrovia, superata la ferrovia, sto ancora cadendo sotto a un’altra porta morta di un altro contadino oltre la ferrovia lei arriva lì, vedo sta ragazza, mi ricordo che aveva un abito rosso che piangeva, poverina aveva un anno, io avevo 16 -17 anni e lei ne aveva, 16 e mezzo, e lei aveva 15 anni, lei è del ’28 io son del ’27. Grida, grida ‘Ti hanno eh Giglio! Giglio!’ e lei diceva ‘Ti hanno ammazzato!’ ‘No, parlo ancora, non m’hanno ancora ammazzato’ e mi voleva mettere le mani addosso per aiutarmi ‘Ma stai ferma’ che ero tutto pieno di sangue, di polvere ‘Se ti sporchi le mani dopo ti prendono anche te, capiscono’ e lei voleva aiutarmi a tutti i costi mentre lì che ‘Cosa faccio allora?’ ‘Prendi quel carretto lì (c’era un carretto da contadini come sempre, quelli che portavano il latte al casello) dai caricami, cerca, aiutami a salire sul carretto, portami via’. Mentre lei poverina cerca di aiutarmi arrivano due giovani in borghese che io non conoscevo, ma erano due giovani in borghese e uno dice ‘Oh ma se t’è succes? Cosa è successo? Chi è stato?’ ma io non volevo dire chi era stato perché ‘Chi sono quei due lì? Perché se gli dico chi è stato se son due fascisti mi ammazzano subito, se son due partigiani’. Io cincischiavo, dicevo ‘Mah, mi, moh’. Quello ha capito che io cincischiavo, uno dei due ha detto ‘Se sei un partigiano non aver paura perché anche noi siamo del movimento, del movimento’. Parola che diceva tutto e niente, il movimento. E io senza dire chi era stato, perché la domanda era quella, ho detto ‘Beh se siete del movimento aiutate mia, a mia sorella, prendete voi il carretto e portatemi dove vi dirò io’. Mia sorella andò via, gli avevo dato quelle armi che avevo io, gli avevo detto di nasconderle dentro alla siepe le armi, perché per noi le armi erano molto, quello che facevamo era per recuperare le armi e lei ‘Nascondile nella siepe, non tenerle addosso perché altrimenti’. Lei poverina, in preda a questa questa situazione ha tenuto le armi fino a casa, meno male, ha incontrato nessuno. Io vado alla ferrovia con con quei due giovani lì, mi ha detto ‘Vai’ gli ho insegnato, mi hanno portato in una casa di latitanza là in fondo San Maurizio, la zona che si chiama Grastella e mi portarono in Grastella. Lì prima staffetta, [coughs] avvisò il mio distaccamento che era fermo a Castellazzo e prima ancora che calasse la sera, perché subito, quando vennero queste cose ci fu subito il rastrellamento. Prima che cominciasse il rastrellamento il mio distaccamento era già arrivato lì con le armi nei sacchi, perché eravamo in pieno giorno ancora e poi naturalmente, appena calate le tenebre è arrivato il medico quello che curava, non era quello che curava i partigiani, era perché normalmente, noi avevamo, partigiani, un medico che ci curava ed era il dottor Bertacchi che abitava su nella zona di via, invece il dottor Bertacchi, che era quello che curava i partigiani non c’era e andarono a prendere il dottor Ovi, era il medico condotto della villa [caughs]. Mia sorella per farlo venire gli ha detto ‘Corra, corra’, perché ci conoscevamo, era il nostro medico condotto ‘Corra, corra corra che mio fratello’ ‘Ma cosa?’ ‘Ha fatto indigestione, ha fatto indigestione’ e allora lui è arrivato là con la scusa, quando mi ha visto ‘Ho capito che indigestione ha fatto’ però era un fascista il dottor Ovi e quando noi siamo rimasti sorpresi di vedere che il medico che mi doveva curare e aiutare a soccorrere era il dottor Ovi, notoriamente, non lui ma di ceppo fascista, era un Ovi di Baiso, a Baiso, anzi di Cassinaro che è proprio la frazione dei fascisti. Lui ha detto però ‘Io sono un medico, io non guardo se è un partigiano se è un fascista, io sono un medico e io vi curo’. Questo ci ha fatto molto piacere, e ha avuto i complimenti e dopo la liberazione siccome lui era un fascista, io sono andato alla commissione che c’era, di epurazione e, a sottoscrivere la dichiarazione che lui durante la lotta partigiana mi aveva curato e quindi se ha avuto anche un attestato di benemerenza per collaborazione con la resistenza, punto.
DG: [unclear].
GM: In coda a quello che ho detto, sì allora, quando ho prima parlato dell’azione di disarmo del presidio, del presidio di Villa Masone che è sulla via Emilia, durante il nostro attacco, era la ca’ del fascio che c’era dentro il presidio fascista, mentre c’era la sparatoria, nella bella conclusione arriva Pippo, Pippo che ormai era familiare, che era quel ricognitore inglese che passava basso sugli alberi e buttava la bomba quando vedeva la luce. Arriva Pippo, vede tutti sti traccianti, ste pallottole, butta la bomba, tutti allora, c’era fermata anche una colonna di automezzi tedeschi che andavano verso Modena, si erano fermati, alcuni si sono messi a sparare, nel bel mezzo della sparatoria nostra dei tedeschi Pippo butta la bomba e tutto finisce perché noi abbiamo detto, a questo punto proviamo a ritirarci, i fascisti dentro, dentro al presidio, anche loro ‘Fermi!’ però abbiamo raggiunto lo scopo della missione perché non solo il mattino dopo il presidio è andato via, ma anche perché questa nostra azione era una delle prime, e faceva molto proselitismo e promozione per la Resistenza, tant’è che il giorno il mattino dopo, gli abitanti lì di Villa Masone, dicendo delle cose che non erano vere, ma che faceva a noi comodo ‘Questi bei giovanottoni con le barbe’ non potevamo avere le barbe in pianura ‘Con questi barboni’ tutti ben messi, son arrivati qui. ‘Erano d’accordo con Pippo, peinsa te! Erano d’accordo con Pippo!’ [laughs]. E quando eran d’accordo, arriva Pippo, eran già d’accordo coi barboni, butta la bomba, e tutti! [background noise] Basta.
DG: Bene, parliamo quindi più in dettaglio del bombardamento degli alleati, qual è la cosa che pensa, cosa le viene in mente come prima cosa, quali sono i suoi sentimenti di oggi e quali erano allora, parliamo un po’ più.
GM: Beh le dirò, nella casa dove ero sfollato che era lontano a San Maurizio lì dove adesso la tangenziale, dove la tangenziale torna in via Emilia, quello è Campo Alto eravamo sfollati in Campo Alto lì e la sera del, la sera del 7 che c’era stato il bombardamento degli inglesi che avevano illuminato, si vedeva lì dove avevano sfollato a distanza di alcuni chilometri i bengala illuminavano a giorno, poi ci fu il bombardamento, che noi non avevamo mai visto una cosa del genere, prima di tutto queste luci, questi paracaduti che scendevano col bengala attaccato, una, una cosa non solo mai vista ma anche incredibile inconcepibile, poi c’è stato un bombardamento. Il mattino dopo, io facevo parte oltre che, prima eh di andare, che dopo siamo andati nell’ispettorato, prima facevo parte delle squadre UNPA (Unione Nazionale Protezione Antiaerea). Il nostro compito era quello di girare, ci avevano dato un elmetto, chissà poi cosa serviva, un elmetto, un’accetta e una maschera anti gas. Giravamo per la città a dire quando vedevamo la luce ‘Smorsa! Spegni perché c’è Pippo, spegni la luce!’. Il nostro compito era quello di far spegnere le luci perché Pippo buttava la bomba. Allora quella sera lì c’è il bombardamento il 7 degli inglesi, il mattino dopo, io che facevo parte eccola la premessa, facevo parte dell’UNPA, mi metto la mia, la mia specie di divisa, a piedi, che sono tre chilometri o quattro, per andare in città, perché non c’eran mezzi gente! Si vedeva ancora la nube del bombardamento della notte sulla, era sulla città. Mentre questo vado in là whooo sento, perché si diceva anche allora che dopo un bombardamento degli inglesi arriva quello degli americani e di fatti, mentre sono di fronte alla portineria del San Lazzaro sento whoooo, le fortezze volanti, conoscevamo quel rombo lì purtroppo. Sento allora io a un certo punto, normalmente quando sentivamo questo rombo, gli apparecchi passavano, le fortezze volanti si vedevano che luccicavano là in alto, passavano sopra e andavano a bombardare i ponti sul Po, il ponte Lago Scuro, andavano a Ostiglia andavano verso il Po e ci passavano sopra. Quel mattino lì ho detto ‘È meglio che vada nel fosso, mi metto nel fosso per farli passare’ invece eravamo noi l’obiettivo quella mattina lì e han cominciato a bombardare dalla città, han cominciato le prime bombe a Pieve Modolena, che è dall’altra parte della città a ovest e l’ultima è arrivata proprio dove ero sfollato. Tutta questa striscia nord-est da ovest a est tutto hanno bombardato gli americani. Io ero nel fosso, sento che passa la prima ondata, la seconda, un terrore, un terrore, non avevo molto paura perché ero di quei ragazzi, io sono vissuto nei bassi fondi della città, io sono un ragazzo dei bassi fondi e non avevamo molta paura noi, eravamo purtroppo, per la miseria per la fame avevamo rotto a tutte a tutte le cose, non c’era eh. Aspettavo che passasse l’ultima, quando è passata l’ultima ho detto ‘Eh no, io con il mio elmetto non ci vado in città perché qui sta sta succedendo il finimondo’. Torno indietro torno là dallo sfollato. Il giorno dopo, la mattina dopo, dovevo, dovevo andare in città, si vedeva ancora là dove ero sfollato dalla città era già ed eran venuti sia il bombardamento della notte degli inglesi e quello di giorno degli americani. E io vado in città, quel mattino lì piano piano, senza fretta si sentiva odore di fumo, di carne bruciata si era tutti [background noise] i più brutti odori del possibile. E là da Campo Alto arrivo in città e vado lì dove abitavo io che ero sfollato ma io abitavo a San a porta San Pietro, io abitavo in via San Martino, proprio nei bassifondi abitavo, che allora c’era via Cavagni, c’era via Crevezzerie [?] erano i bassifondi della città. Io vado lì per vedere un po’ se le bombe sono arrivate lì, quando arrivo contro via Roggi, allora via Roggi è entrando da porta San Pietro imboccate viale Monte Grappa la prima a destra che torna in via Emilia è via Roggi e vedo lì, arrivo lì e vedo tutto un fumo, tutta la gente che guarda via Roggi era parzialmente sbarrata dalle macerie. Lì ci abitava un mio compagno di scuola, Alfio Proietti, che lo trovate negli elenchi delle vittime civili, c’è Alfio Proietti che era con me a scuola all’industriale, al professionale. E io vedevo tutta sta roba qui, tutta, la gente che non sapeva cosa fare, cosa fai? I più, gli unici che avevano una certa forza erano, era anche allora i vigili del fuoco però non potevano prendere dappertutto e via Roggi era lì con le macerie che arrivavano, c’era la casa di Proietti che era tutta, non c’era più, e si sentiva, e c’era, usciva dalle macerie questo odore, fumo e anche odore di carne bruciata, nauseante perché erano ancora sotto tutti i morti. Io, quando ho visto questa scena qui, nonostante il mio elmetto e la mia piccozza ah, anche perché l’UNPA, il comando UNPA era a porta San Pietro, era scomparso anche lui nel bombardamento. Io sono andato per trovare che c’era un capo squadra lì dell’UNPA, era a porta San Pietro, non c’era più nessuno. Allora io, adesso no, adesso torno indietro, tanto non posso fare niente, cosa puoi fare? E la gente che mi vedeva con sto elmetto che mi diceva ‘Aiutaci!’ ‘Cosa posso fare?’. Anche demoralizzato a vedere che sei impotente ad aiutare nessuno, e mi avvio sulla strada del ritorno, rimbocco la via Emilia li a San Pietro e mi metto andare verso verso la, San Maurizio. Arrivati contro allora c’era a sinistra, c’è una via che mi pare fosse via Paradisi, sì forse via Paradisi, che c’era una stradina che adesso non c’è più, la stradina che collegava la via Emilia con l’area nord di Reggio, e quella che passava di fianco all’aeroporto, che non c’è più, adesso c’è il ponte sopraelevato. Allora c’era una stradina che passava tra il cimitero di Ospizio e la monte, lo stabilimento Montecatini, faceva una curva là in fondo poi passato il passaggio a livello e passava all’aeroporto. E io quando arrivo alla via Emilia vedo tutta la stradina tutta, perché il muro il cimitero è arrivato sulla strada, il muro della Montecatini era sulla strada: la strada era interrotta. Però vedo che c’è, io dalla via Emila vedo che c’è della gente là che parla, questo qua è scritto qua, è scritto anche lì, anche su Ricerche Storiche c’è questo particolare. Eh vedo sta gente là sulle macerie che guarda dentro il cimitero e io, il mio elmetto là, non è che mi sentissi un’autorità però vado a vedere anche io, e vedo, monto su dei pezzi di muro che son sulla strada, guardo dal cimitero, il nostro cimitero perché me a sun de Ospezi [io sono del quartiere di Ospizio] il nostro cimitero di Ospizio, sono arrivate cinque bombe dentro il cimitero, tutti gli avelli, i sepolcreti, le tombe di famiglia, tutto per aria e su, e tutto con questi cinque crateri. In un cratere là in alto io, assieme agli altri vedo che c’è una cassa da morto ma non era una cassa da morto classica, era una cassa fatta con del legno compensato. Quindi da buongoverno buttata lì. Naturalmente da questa cassa, lo scoppio, l’urto aveva fatto saltare via la parte di dietro di questa, di questo compensato e si vedeva na testa, una testa, una testa bagnata che non si capiva se era bagnata d’acqua perché c’era, le bombe avevan, con la bomba trovi l’acqua, e non si capiva se era sangue. Però una cosa che ho notato io e lo dico anche che nessuno poteva notare perchè, solo uno che abitava a Ospizio poteva fare questa considerazione perché era, era il mio cimitero quello lì: ‘Ma come? Quello lì che vedevo io per la testa, ma quello son pochi giorni che l’hanno, l’hanno sepolto, è ancora intatto! Ma come mai che questo cimitero, me son dl’Ospesi, come mai questo cimitero che è chiuso da due anni, o da un anno o da, era già chiuso per affrancamento, era in via di affrancamento perché lo stavano chiudendo, non seppellivano più nessuno lì dentro già da un anno, come mai? Quello lì era appena supplì col lè? Eh però lungi da noi il pensiero che fossero quei fratelli Cervi, nessuno pensava che quella testa fosse uno dei Cervi. Però, io, questo particolare solo un abitante di Ospizio lo poteva rilevare perché gli altri, un cimitero normale ecco, io ho detto ‘Mo guarda, li lò l’ha apeina suplì’ [ma guarda lui l’hanno appena seppellito]. Di fatti, dopo la Liberazione, va bene, veniamo a imparare che la, l’incursione che, non si sa bene, forse è stata quella della notte, non si sa bene se la bomba era quella della notte o quella del giorno, hanno buttato per aria oltre a tutte quelle che dicevamo prima anche le bombe, anche le casse dei sette, una cassa dei sette fratelli Cervi, che era poi, io pensavo fosse, quando si è saputo tanti mesi dopo, si pensava fosse Aldo, che era un po’ il capo, Aldo il capo della, dei fratelli Cervi, quello che dirigeva. Eh invece dopo abbiamo saputo che non era Aldo, era, adesso ve lo dico. Allora eh quando il comando fascista ha saputo quello che è successo abbiamo, dopo tanti anni abbiamo trovato il verbale della polizia mortuaria che ordina, cioè il comando fascista ordina alla polizia mortuaria di riesumare tutte le sette casse, le otto casse perché c’era sette fratelli Cervi più Quarto Camurri, è Gelindo la testa che vedevo, non era Aldo ehm, vedo e di riesumarli e rieumarli [riesumarli] là vicino alla chiesa che era un pezzo che non era arrivate le bombe. Tant’è che le casse dei fratelli Cervi sono state tirate fuori dove, nel posto primitivo e poi son state portate in un posto non colpito dalle bombe e erano risepolti là. Tutto questo si è saputo solo dopo la Liberazione, [unclear] non si sapeva niente. Ecco in quella circostanza, nel mio libro la biografia dico, sembra quasi, sembra quasi che la sia intervenuta la nemesi, la famosa nemesi storica che libera col bombardamento della notte libera il padre perchè durante la notte vien giù il muro di cinta del carcere, scappa il papà Cervi che torna a casa senza sapere che i figli erano stati ammazzati. Allora arriva a casa a Gattatico, non sa niente. Nemesi allora [unclear], ne la famosa nemesi, perché poi non ci crede nessuno. Mentre la il bombardamento notturno libera il papà quello diurno tira fuori alla luce del sole i sette figli dicendo ‘Non devono stare sotto, devono stare sopra alla luce del sole’. Questo è stato, e una cosa dopo Liberazione si è saputo un po’ tutto, perché subito si pensava, non si riusciva a capire chi era. Dopo la polizia, ma 10 o 20 anni dopo, la Polizia di Stato [background noise] con i mezzi di indagine che hanno adesso, osservando le stempiature di quella testa che vedevo io là su e c’è anche la foto su, su Ricerche Storiche c’è la foto, han detto non era Aldo, era Gelindo perché la stempiatura con i mezzi che ha adesso la polizia scientifica son riuscite a determinare che non era Aldo come come la fantasia popolare pensava, era il capo dei fratelli Cervi, era la testa di Gelindo, Cervi. Poi questo qui, finisco un po’ la storia dei due bombardamenti grossi. V’ho detto prima che successivamente noi eravamo stati incorporati nell’ispettorato provinciale del lavoro con le centurie, durante la mia permanenza nel nell’ispettorato ci furono due gravi spezzonamenti a Reggio Emilia, uno il 30 di aprile che io ero ancora all’ispettorato, e l’altro è stato il 14 di maggio successivo, che non ero, le centurie si erano già sbandate il 14 maggio, il 30 aprile. [Pause] Quindi con lo spezzonamento del 30 aprile io ero ancora all’ispettorato e la mia centuria fu proprio inviata con un camion, un camion militare a raccogliere i morti dello spezzonamento in via Terrachini, quella che adesso è via Terrachini che è la strada che va dalla piscina e va fino alla casa bianca là in fondo al Quinzio. Ecco allora la stradina era piccolina, stretta ed era fiancheggiata da una parte e dall’altra da due filari delle grandi querce della val Padana. Noi eravamo tradizionali per quelle querce lì. In mezzo a questi filari, specialmente dalla parte sud, c’erano siccome la gente, quando ci sono stati i due bombardamenti precedenti, avevano capito che quando c’è un bombardamento di scappare fuori dalle case per non essere travolto dalle macerie, pensando che quel giorno lì fossero le bombe tutti scapparono in mezzo ai prati, in fondo i fossi ma gli spezzoni, è lì che fecero il massacro. Noi trovavamo dei gruppi di persone abbracciate trafitte. Lo spezzone sapete come è fatto? È una spirale, è una spirale d’acciaio già tutta segnata in modo che quando, la spirale d’acciaio compressa, e dentro c’è c’è la polvere esplosiva, questa spirale, quando scoppia che c’è il detonatore, la spirale è già stata segnata, la spirale son tutti quadratini d’acciaio tagliente, quando scoppia, lo spezzone nel raggio di 50 – 60 metri non si salva neanche le piante perché lo, queste schegge taglienti tagliano anche gli alberi. Quindi noi glieli abbiamo trovati abbracciati, sepolti, trafitti, proprio per tentare di salvarsi, si abbracciavano, e li abbiamo caricati sui carri dell’ispettorato e li abbiamo portati a quelli di via Terrachini, li abbiam portati.
Unknown speaker: Ciao Gigilo.
GM: Ciao.
DG: No, no, prego prego prego.
GM: Li abbiam portati al cimitero. Allora non c’era il cimitero di Coviolo, li abbiam portati al cimitero lì, questo qua che è stato il primo spezzonamento, dolorosissimo, un sacco di morti perché la gente convinto che fossero bombe scappava in mezzo ai campi apposta per salvarsi e invece era proprio il contrario che dovevano fare perché con lo spezzonamento dovevano stare in casa. Nel secondo spezzonamento, quello del 14 maggio, io noi avevamo già disertato le centurie era già venuta la camionetta a casa mia per portarmi sulla linea Gotica come ho detto prima e io e il mio amico [pause] e io e il mio amico, quello anche lui era un centurione come me, che non volevamo farci prendere eravamo sempre allerta per vedere se arrivava la camionetta. Quel giorno lì che c’era lo spezzonamento passa sopra gli apparecchi, sentiamo fissssh, un sibilo, fiiiiiiu ‘Oh! Mo l’è caschè poc luntan’ è caduto poco distante. Non capivamo cosa fosse, andiamo a vedere, un’altra testa, testa brusa come la mia, sei incosciente a 16 anni ‘Sì sì andiamo a vedere, andiamo a vedere’. Andiamo allora in mezzo al frumento, vediamo qualcosa che luccica. Era un telaio porta spezzoni con uno spezzone ancora attaccato che è arrivato giù, siccome è arrivato pari, non è scoppiato. Noi due ‘Guarda, guarda cosa c’è’ prendi uno spezzone, prendi uno spezzone ‘Ma dove lo portiamo? Al purtom a cà’ lo portiamo a casa. Come arriviamo al cortile dove eravamo sfollati ‘Ma voi siete proprio pazzi! Portate via!’ e noi con il nostro spezzone, perché sono 15 chili ‘Sai dove lo portiamo?’ il mio amico Gino Capelli ‘Lo portiamo alla casa del fascio, dove sono i militi’ ‘Oh sì sì’. Allora scalzi, pantaloncini corti, arriviamo dentro la casa del fascio, davanti alla casa del fascio che era a San Maurizio a destra dove adesso c’è, cosa c’è, contro la ferrovia c’era la casa del fascio. E davanti ci sono due fascisti col berrettino nero, a g’ho det ‘Oh dove la mettiamo sta bomba?’ ‘Oh!’ quello lì di sentinella, corri dentro, corri dentro c’era il corpo di guardia ‘Veh va fuori’ ‘Voi siete due terroristi!’ ‘Noi terroristi?’ ‘Allora se non andate via subito vi passiamo per le armi!’ è scappato via, aveva quelle biciclette lì per salire di quelle snodabili, salta sulle biciclette, son scappati verso Reggio, e nueter a’som mes a reder [e noialtri ci siam messi a ridere] col nostro spezzone abbiamo girato gliel’abbiam messa dietro la loro casa, non abbiamo mai saputo chi l’ha rimossa. L’abbiamo messa giù proprio contro, di dietro da parte della ferrovia, contro la casa del fascio. Quello è stata una delle nostre prime avventure d’incontro con, coi fascisti. Proprio direi, il ratto della mitragliatrice in mezzo all’aeroporto e questo spezzone che abbiam portato a casa del fascio, eh non eravamo ancora partigiani però son state le due le due prime azioni che ci han messo in contatto. Quindi due bombardamenti, a parte quelli del luglio ’43, che sono avvenuti bombardamenti lì a San Polo d’Enza, alla cabina [centrale elettrica] di San Polo, anche qui in via Gorizia, più i due della città grossi e i due spezzonamenti, quella è quello che c’è un po’ condensato in quella memoria.
DG: Benissimo giriamo un po’ la pagina e adesso le chiedo se ci può così brevemente raccontare cosa ha fatto dopo la guerra.
GM: Sì benissimo anzi io sono orgoglioso di raccontarlo. Allora, [pause] quando noi adesso certe illusioni sono cadute ma allora quando eravamo arruolati nelle formazioni partigiane si diceva che noi combattevamo per il popolo, siete i soldati del popolo che vogliono conquistare la libertà. Noi eravamo anche disposti non solo a combattere ma anche a morire perché volevamo raggiungere la libertà che in quel momento non c’era lavoro, c’era solo fame, mo una fame, altroché! Atavica trascurata, non si mangiava mai, e quando siamo entrati nelle formazioni partigiane noi abbiamo ritenuto di fare questa nostra, [pause] di fare questa nostra azione di arruolamento in favore non solo del popolo ma anche dello Stato italiano, anche della nostra patria. Finita la guerra, con la Liberazione, il giorno della Liberazione c’era una delinquenza evidentemente con tutte le armi che c’erano per strada, era eh il giorno della, signorine voi che non c’eravate il giorno della Liberazione non c’era più nessun corpo di polizia, eran spariti la polizia, i carabinieri, questura, perfino i vigili urbani erano dimezzati perché tutti quelli che erano compromessi col fascismo erano scappati via. Quindi i giorni della Liberazioni non c’era più nessun corpo di polizia efficiente. In ogni città il CLN (Comitato Liberazione Nazionale) aveva nominato i prefetti della Liberazione, a Reggio il prefetto era l’avvocato Vittorio Pelizzi, il prefetto, il prefetto nostro della Liberazione. La prima cosa che ha fatto il prefetto Pelizzi è stato quello di creare una forza di polizia per cercare di far, far fronte a questa delinquenza che c’era, oltre che delinquenza politica c’era anche delinquenza comune, in abbondanza. Allora con chi si può fare un corpo di polizia ausiliaria? Se non altro per prendere i giovani che son disponibili in quel momento, e c’erano disponibili i partigiani, c’era anche qualcuno che invece non era partigiano perchè si era imboscato nel fienile era saltato fuori il giorno della Liberazione e c’era anche qualche, anche i primi reduci dalla Germania che erano tutti malmessi, tutti rovinati. La prima questura di cui io ho fatto parte è stata la prima questura post- Liberazione che io ho tutte le fotografie ancora e i nomi di quei colleghi là che li ho scritti, li ho mandati anche al questore adesso, si vede che per adesso non gli fa molto comodo parlarne perché io sono molto duro con la questura di quel momento lì, specialmente la seconda parte, quando subentra il ministro Selva che ci caccia tutti dalla polizia, perché il ministro Selva democristiano di di lunga e grossa diciamo conoscenza, preferiva, non voleva che ci fossero dei partigiani emiliano-romagnoli che erano tacciati di essere solo comunisti un po’ era anche vero ma non era vero del tutto. E lui nella sua azione di Selva per cacciarci addirittura cacciava i partigiani, ecco perché la mia amarezza finale che poi si sfoga anche nel mio libro, quando vediamo che un commissario aggiunto come noi arriva da Roma e viene con noi finge di essere un [uclear] socialista, dice mi hanno, era vero, gli avevan bombardato la famiglia là su a Cassino e finge di essere un quasi un partigiano poi scopriamo che fa il doppio gioco noi lo aiutiamo per diventare commissionario effettivo e là c’è il nome e cognome di questo, di questo triste figuro, e l’ho scritto perché chiaramente, ecco perché dico che adesso il questore va piano a pubblicare le mie memorie perché salta fuori che [coughs] questa figura, appena arriva dal ministero la nomina a commissario effettivo vien dentro al bar Agenti dove noi, quel bar l’avevamo costruito noi, vien dentro con in mano aveva il foglio che era appena arrivato dal ministero, il fonogramma del ministero che dice ‘Sono diventato commissario effettivo’ noi l’avevamo aiutato in tutti i modi perché lui dicendo che era un disgraziato come noi, noi lo aiutavamo a diventare commissario effettivo. Quando arriva dentro al bar col fonogramma in mano e dice ‘E adesso che sono commissario’ scritto, testuale ‘E adesso che sono commissario effettivo voialtri partigiani comunisti vi farò crepare tutti’. Noi più che altro siamo rimasti ‘Ma come? Ti abbiamo aiutato in tutti i modi per diventare commissario effettivo e tu vieni qui’. Come ha detto questa frase eravamo nel bar chi beveva una gazzosa, ah gli abbiam buttato dietro le bottiglie, i bicchieri ‘Brutto schifoso!’ [coughs] è scritto questo qua eh. Ecco perché il questore va piano a pubblicare le mie memorie [coughs] ‘Brutto fascista schifoso rospo!’ eccetera eccetera chi più ne ha più ne metta e lui è scappato via. Quando è scappato fuori dalla porta di dietro ha tirato fuori la pistola ma non per spararci, per farsi coraggio perché ha capito [coughs] che tutto il bar gli era contro. E noi abbiam continuato a dirgli ‘Quella pistola dovevi usarla quando era il momento non con i tuoi compagni che t’hanno aiutato per diventare quello che sei, brutto schifoso rospo’, e poi è scappato via [coughs]. Non ne abbiamo più sentito parlare se non dieci anni dopo quando il commissario Renato Cafari, comandò, comandava il servizio di ordine pubblico, il 7 luglio del ’60 quando ammazzarono i cinque in piazza della Vittoria, era lui. Qualcuno dice che ha dato l’ordine lui, qualcuno dice che non ha dato l’ordine, resta il fatto che lì nella sparatoria in piazza della Vittoria morirono cinque giovani, cinque giovani che erano lì a manifestare perché era appena stato insediato il governo para-fascista di Tambroni, che Tambroni era un democristiano però aveva accettato il l’appoggio, per fare il governo ha accettato l’appoggio dell’MSI (Movimento Sociale Italiano). Quindi in quella parte lì io mi sfogo, durante il regime Selva, Selva mandò via i partigiani li cacciò! Se sapeste come cosa han detto a me quando mi hanno messo fuori [coughs] li cacciarono tutti, quelli quelli che erano meno tacciati venivano mandati in Sardegna, l’ultimo buco del mondo, quelli un po’ come me [coughs].
DG: Due frasi ci dice cosa, di nuovo cosa, abbiamo sentito che è molto attivo tutt’ora se ci racconta un po’ così registriamo cosa fa oggi. Questo libro che ha fatto, un po’ political.
GM: Partiamo dalla Liberazione.
DG: Sì l’ho fatto partire.
GM: Partiamo dalla Liberazione. Io ho accettato l’arruolamento nella polizia di stato perché ho pensato di continuare il mio servizio a favore del popolo italiano e dello Stato italiano, quindi mi sono arruolato. Successivamente perché il primo ministro degli interni era l’onorevole Romita, socialista, ci voleva bene e ci aiutava, il secondo ministro, quando De Gasperi andò quando De Gasperi andò in America purtroppo a prendere degli ordini perché allora chi comandava erano gli americani, eh ha messo, è tornato in Italia ed ha chiuso, quello che era stato per due o tre anni il famoso governo dell’arco costituzionale, il governo dell’arco costituzionale che comprendeva tutti i partiti, tutti: Partito Socialista, Comunista, Partito d’Azione, quello di Parri e successivamente quando De Gasperi tornò dall’America chiuse il governo di coalizione e cominciò con un governo monocolore che dopo si allargò, al ministro degli esteri venne venne insediato il ministro Selva, Selva che da tutti noi poliziotti era proprio considerato come un [uclear]. Oh lui era un fido, è un siciliano fido cattolico evidentemente, non so se era anche credente, ma comunque militare, era un democristiano e per tale l’hanno messo ministro degli esteri. Quando il ministro Selva è subentrato all’onorevole Romita cominciò la cacciata dei partigiani dalla polizia e, triste a dirsi e a constatarsi, in questi, venivano cacciati i partigiani dalla polizia e venivano assunti in silenzio, non era un fatto generalizzato, ma molti che erano ex militanti della milizia fascista, era importante che non fossero partigiani, questa è stata l’opera del ministro Selva. Successivamente io ho espresso le mie amarezze un po’ dappertutto, poi ero talmente, ero studente, ho continuato, dopo il mio servizio di polizia mi sono laureato, ho finito gli studi, mi sono laureato, ho prestato servizio in due, sempre con, essendo io economia e commercio la mia carriera era o fare la libera professione o dirigente d’azienda queste le due cariche che poi più che altro ho fatto per sia l’una che l’altra cosa. Sono stato dirigente a Reggio della grossa purtroppo adesso è fallita ma allora si chiamava Cooperativa Muratori Reggio, che era una potenza in Emilia Romagna la Cooperativa Muratori, io ne sono stato il direttore, dopo altri, che allora a dirigere le aziende mettevano se era possibile, se li avevamo, dei dirigenti di azienda che avevano fatto dei corsi per essere tali, non dei chiacchieroni che venivano dalle varie federazioni. Noi quel pochino che abbiamo fatto l’abbiamo fatto gratis per amore dei nella Resistenza. Lì fintanto che dopo la liberazione c’erano nel movimento cooperativo c’eran tre dirigenti veri che avevano studiato a Bologna per fare i dirigenti, uno era Lidio Fornaciari, l’altro era Pino Ferrari di Cavriago e il terzo immodestamente ero io che ero il più giovane dei tre. Noi cercavamo di fare veramente i dirigenti d’azienda a prescindere da quello che erano le direttive delle varie federazioni, perché non c’era solo la federazione comunista, che mandava i suoi, quando ero direttore delle Farmacie Comunali Riunite io, c’erano tutti i partiti rappresentati, c’erano due due commissari che erano del partito comunista, due del partito democristiano allora c’era tutto l’arco costituzionale dentro ancora adesso se guardate negli enti locali sono rappresentati tutti i partiti, cercano per lo meno. Quando ho visto i giorni scorsi la triste fine che ha fatto l’UNIECO, pensando che cos’era allora quando a dirigere si cercava, non è detto che sempre si riuscisse ma si cercava di mettere gente che per fare quel lavoro aveva fatto dei lunghi studi universitari, per cercare di fare alla bene e meglio e poi dopo subentrano, non vi sto a dire, certe frasi e certe sensazioni che io ho provato durante la mia carriera, perché a un certo punto ho abbandonato la carriera, la parte del, dirigenziale della mia carriera mi son messo in libera professione quello che ho fatti fino a pochi, che sto facendo ancora adesso perché sto passando le consegne adesso io, a 90 anni io faccio ancora il consulente, avevo la fortuna che a Reggio ero molto conosciuto, avevo il più grosso, uno dei più grossi portafogli della provincia come consulente finanziario grazie alle mie conoscenze, grazie anche un po’ alla mia, spero, alla mia serietà, ma ero molto conosciuto nell’ambiente finanziario e tributario. Io ho questo grosso portafoglio e l’ho tenuto, poi tutte le volte che ancora adesso ho detto ‘Ragazzi, io non voglio morire in servizio a g’ho novant’an! A un certo punto’ e tutti quanti ‘Ma no proprio adesso che c’è la crisi!’ ma la crisi c’è sempre, le crisi ci sono ogni tre anni che se io devo aspettare che non c’è la crisi! E quindi adesso sto passando le consegne a un mio collega e gli ho detto ‘Rispetta i clienti, ricordati, non guardare al tuo interesse attuale, semina per il futuro, tratta bene i clienti’ io non ho mai perso un cliente, mai! [emphasis] Ma quelli miei colleghi più giovani, che pensano purtroppo perchè hanno famiglia, hanno moglie, hanno bisogno di guadagnare, subito, quelli delle volte non si comportano bene nel consigliare un prodotto anziché un altro. Allora io gli dico ‘Non pensare a quello che guadagni adesso, lo so che ne hai bisogno, ma semina per, tratta bene i clienti’. Se il cliente è ben trattato no lo perderai mai! Quello che è successo.
DG: Va bene noi la ringraziamo moltissimo, l’intervista è andata bene e adesso firmiamo, pensiamo all’accordo e le condizioni appunto per come verrà trattata l’intervista.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Giglio Mazzi
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Giglio Mazzi (b. 1927) recalls his early life in Reggio Emilia, born in a family with strong anti-fascist sentiments. Describes his first job at the Reggiane works, then at the local labour inspectorate where he was attached to a debris clearance team. Speaks about removing corpses after two Reggio bombings and explains how he defected before being sent to dig trenches on the Gothic line. Describes his role within the Unione nazionale protezione antiaerea; provides an account of the January 1944 bombings and their widespread damage. Recollects how the explosions disinterred corpses buried in the local cemetery, among them one of the Cervi Brothers and of seven partisans killed in a reprisal action. Describes the effects of lack of anti-aircraft preparedness when many civilians were maimed by small bombs, how he stole one of the bombs and brought it to the local Fascist headquarters. Recollects how he became a partisan and describes the actions he took part in: capturing an aircraft machine gun and attacking a German stronghold, later joined in by "Pippo". Gives an account of the differences between Gruppi di Azione Patriottica (GAP) and Squadre di Azione Patriottica (SAP), two Italian resistance groups and mentions the assumed names under which he fought. Recollects how he narrowly escaped death in an exchange of fire with Italian SS and speaks with respect of a Fascist doctor who tended his wounds, regardless of side. Chronicles how he was enlisted into the Italian police force afterwards and how he was forced to leave following a change in the law and a political feud with a superintendent, he had previously helped.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Gladun Dzvenyslava
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea (Reggio Emilia)
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-04-20
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Francesca Campani
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
01:16:30 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AMazziG170420
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Po River Valley
Italy--Reggio Emilia
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Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
bombing
civil defence
home front
perception of bombing war
Pippo
Resistance
shelter
Unione Nazionale Protezione Antiaerea
Waffen-SS
-
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Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Varesi, Pietro
Pietro Varesi
P Varesi
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Description
An account of the resource
This collection consists of one oral history interview with Pietro Varesi who recollects his wartime experiences in Pavia.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-03-08
Rights
Information about rights held in and over the resource
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Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Varese, P
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A resource consisting primarily of recorded human voice.
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FA: Sono Filippo Andi e sto per intervistare il signor Pietro Varesi. Siamo a Pavia, è l’8 marzo 2017. Ringraziamo il signor Varesi per aver permesso questa intervista. È inoltre presente il signor Maggi. La sua intervista registrata diventerà parte dell’archivio digitale dell’International Bomber Command Centre, gestito dall’Università di Lincoln e finanziato dall’Heritage Lottery Fund. L’Università s’impegna a preservarla e tutelarla secondo i termini stabiliti nel partnership agreement con l’International Bomber Command Centre. Signor Varesi, vuole raccontarci la sua esperienza di ragazzo durante la guerra?
PV: Dunque, io mi ricordo il primo bombardamento che han fatto.
AM: Perché prima della guerra ti ricordavi quasi niente, ecco.
PV: Ecco, il primo bombardamento. Io, mia nonna con la cariola andavamo, faceva la lavandaia e portava i panni a lavare.
AM: In città.
PV: A Pavia, sì, noi chiamavamo Pavia la città. A metà borgo gli aerei cominciavano a girare. Erano a gruppetti, da quattro, cinque, non mi ricordo bene, no, giravano. E ha suonato l’allarme, ci siamo fermati, a metà borgo. Ohè, hanno cominciato a bombardare. Io mi ricordo, ohè, ero un bambino, il fischio [emphasis] che facevano le bombe. Facevano dei fischi che [unclear], però le bombe non si vedevano perchè, dopo un po’ s’è visto un polverone [emphasis], eh, ecco quello lì era il ricordo del bombardamento, il primo.
AM: Perché prima non avevano mai bombardato a Pavia. Questo nel ’44.
PV: È la prima volta.
AM: Qualche bomba qua e là, però loro non avevano avuto sentore.
PV: Beh mi ricordo i fascisti, che picchiavano anche la gente che ho visto. Però è il ricordo della guerra. Avevano una paura, la popolazione, una paura spaventosa. Che infatti, appena sono arrivati gli americani o gli inglesi figurati che, con le, la cicca americana [emphasis] la, sì, li accontentavano tutti. Al posto io mi ricordo che, adesso ho pensato, dico ma perché non li abbiamo odiati perché venivano qui a bombardare? Invece tutto il contrario. Il mio ricordo della guerra è quello. Appena sono, i liberatori, appena sono arrivati, la gente, gli americani qui. Però qualche mese prima hanno ucciso tutta la gente qui, li hanno ucciso loro eh, no i tedeschi, eh. Beh il mio ricordo è quello, della guerra. Mi ricordo dopo con la barca, con i miei vecchi no, siamo andati al Ponte della Becca giù, dove c’è il confluente, il Ticino e il Po, e son venuti a mitragliare il ponte e a bombardarlo. Io ero là la spiaggia, mi passava. Gli aerei prima mitragliavano poi sfioravano l’acqua e passavano, li vedevo, non so, a un quaranta, cinquanta metri da me. Erano sempre in due, cacciabombardieri eh, a un motore solo, erano solo in due, erano, adesso non mi ricordo più se erano inglesi, americani.
AM: Di che sapevi, no, tu non sapevi chi c’era sopra. Tu vedevi il pilota [unclear] ecco.
PV: Sì.
FA: E li vedeva proprio bene insomma. Ieran lì.
PV: Ho visto il bombardamento che facevano di notte. Pippo [emphasis] lo chiamavano, eh, lo chiamano Pippo. Ohè, da ragazzo scappavamo, andiamo [unclear], poi i ragazzi erano tutti, sempre in giro anche di sera eravamo in giro. Ohè ha buttato giù le bombe, si vedevano le scintille [emphasis], ero un po’ piccolo però ecco, le scintille lì. Poi hanno ucciso un mio parente al ponte, Pippo con le bombe, il Ponte Coperto non l’avevano ancora bombardato eh. Eh il ricordo è quello lì e la paura che aveva la gente, una paura spaventosa, infatti appena sono arrivati quelli là, ma se erano quelli là che bombardavano? Guarda . .
AM: Però erano considerati liberatori, no?
PV: Sì, liberatori. Morte ai tedeschi, infatti lì c’erano dei ragazzi tedeschi, che loro non c’entravano niente però li han picchiati [laughs], comunque. La popolazione, c’era un odio spaventoso. La guerra.
FA: Invece gli americani erano, erano ben visti gli americani.
AM: Anche se c’hann bombardato.
PV: Sì, fa niente. Hanno bombardato, però erano, boh.
FA: E quando era il primo bombardamento che ha visto lì sul borgo, poi cosa ha fatto, si è, è rimasto lì a guardare, si è nascosto?
PV: No, finito il bombardamento, c’era un polverone, mia nonna correndo [laughs] siamo venuti a casa.
AM: Son scappati a casa.
PV: Sì.
AM: Perché loro non erano ancora preparati. Non avevano capito che cosa potesse succedere la prima volta.
PV: Eh già.
FA: Non, non, non vi aspettavate.
PV: No, lui è uno che abitava vicino, più grande di me eh, era un giovanotto, io ero, avrà avuto diciott’anni, abitava qui, con la barca a prendere i pesci e il primo bombardamento. Il Ticino era pieno di legna perché [unclear] i legni del ponte e i pesci.
AM: [unclear]
PV: È il mio ricordo, adesso anche non mi viene eh, però. La guerra, c’erano i rifugi, quando c’era, ma i rifugi per modo di dire, facevano una buca e mettevano sopra qualche trave per andare, con un po’ di terra, erano quattro. Allora quando suonava l’allarme sotto le, che se buttavano una bomba li uccideva tutti.
FA: Sì sì.
AM: Tant’è vero che là, la Tumbina l’han ciapà.
PV: Ecco là, sono andati sotto in un buco, han bombardato, son morti tutti.
FA: Sapevo che ce n’era uno vicino alla Cascina Trinchera.
PV: La Cascina Trinchera non c’era eh qui. No, non c’eran cose.
FA: C’era un.
PV: Ma lì c’era una buca.
FA: Sì. In quella zona lì.
PV: Sì, eh.
FA: E voi andavate in quelle.
PV: Sì, no, no. Tutta la popolazione andava lì.
FA: Tutto il borgo insomma.
AM: Cioè quelli di qua insomma del Borgo basso, gli altri andavano un po’ più in su .
FA: Quelli di qua, della zona.
PV: Sì, eh.
AM: Quelli che non riuscivano a scappare andavano lì [unclear].
PV: Sì, eh.
AM: Perché, perché dopo il primo bombardamento tanti sono sfollati, sono andati via no, quando hanno continuato a bombardare perché poi avevano paura. Prima e non rendendosi conto, allora erano qua e con i bombardamenti sono scappati lì, no.
PV: A, a volte c’era, adesso non so se sparavano agli aerei o sparavano perché dovevano sparare. Si vedeva [makes a rhythmic sound] e si vedevano dei palloni neri dove sparavano.
FA: Questa la contraerea?
PV: Sì.
AM: Però quà non gli han mai presi, no?
PV: No [laughs].
AM: Mai ciapà niente [laughs].
PV: Adesso il racconto mi viene. Alla Vignazza.
M: Dove c’è il Gravellone?
FA: Sì.
PV: Dove c’è il Gravellone, la Vignazza, lì c’erano la difesa contraerea. Erano degli uomini anziani qui da noi che erano dalla parte dei fascisti eh, erano lì a fare la contraerea se venisse [laughs]. Noi da ragazzi tornavamo dalla scuola, io ero in seconda o terza elementare, tornavamo non per la strada del borgo, tutto attraverso i campi e via sempre, per giocare. E loro, i militari quelli lì, quelli della contraerea, era tutta l’osteria, lì c’era l’osteria.
AM: Lasciavano là le mitragliatrici e i cannoncini e andavano in osteria a mangiare.
PV: Noi siamo. C’erano le buche con dentro le mitraglie, due, mi ricordo a due canne o una canna sola. E c’eran tutti sacchetti in giro. Noi siamo andati lì e c’eravamo le maniglie.
AM: Giocavano, no.
PV: Bambini.
FA: Sì sì.
PV: È venuto fuori alla maestra a scuola dopo un paio di giorni, sono venuti là con i fascisti quelli tutti vestiti di nero. Chi è? [laughs] Eravamo bambini e allora.
FA: Han chiuso un occhio.
PV: Han chiuso un occhio.
AM: Però per dirti come funzionava la contraerea. Andavano all’osteria a mangiare.
PV: Sì andavano all’osteria. Era una guerra.
FA: Un po’ alla carlona, eh.
PV: Sì, un po’ alla carlona. Noi in genere c’era troppo, orca miseria. A scuola, adesso parlando della guerra, no, a scuola. Quando c’era una festa del fascismo, così, i ragazzi, dovevano venire i balilla, no, con la bandoliera bianca.
AM: Il fez.
PV: Con l’emme qui, non so cosa c’era, non mi ricordo proprio. Mio padre era contrario ‘sono bambini, cosa fanno fare la guerra ai bambini’ e non m’ha mai comperato la divisa.
FA: La divisa.
PV: Mai, e la maestra mi fava la nota:’il bambino deve venire a scuola adeguato’. Poi è finito tutto. Non le han dato l’olio [laughs] per un po’ perché le davano l’olio eh a quelli ecco, che erano contrari. Mi ricordo quei fatti lì ecco.
AM: Ecco però vialtar si no sfulare da chi , non siete sfollati voi.
PV: No, no.
FA: È sempre stato.
PV: Qui eravamo un po’ distanti eh, eravamo distanti dagli obiettivi che potevano essere.
FA: Però vedevate tutto insomma, quando venivano si vedeva bene.
PV: Sì, sì. Eh erano alti però eh i bombardamenti. Erano non so a che altezza potevano essere, oltre, ma forse oltre i mille metri.
AM: Pusè sì sì.
PV: Erano alti, eh gli aerei. Erano tutti gruppetti.
FA: Quindi si sentivano solo le bombe che venivan giù.
PV: No, le bombe si vedevano appena si staccavano dall’aereo, nere, così erano. Venivano giù, poi dopo non si vedevano più eh, perché si vede che si raddrizzavano, aumentavano velocità.
FA: Un dito.
PV: Sì, erano nere ecco, a gruppetti. Loro, gli aerei si staccavano dal gruppo, due o tre, favano, ma favano due o tre giri eh. Beh bombardamenti ne han fatto sei.
AM: Sei.
PV: Sei bombardamenti.
FA: E non avete.
PV: E sempre, una volta la settimana venivano, sempre, mi sembra sempre il solito giorno. Una volta la settimana.
AM: Agli inizi no ien gnid al dü. Le prime volte
PV: In settembre hanno cominciato.
AM: In settembre [unclear]. Sono venuti tre volte a distanza di un giorno, a distanza di un paio di giorni uno dall’altro le prime tre volte. Poi gli altri, perché non c’entravano il ponte invece gli han fatti.
PV: Sì, sì.
AM: L’ultimo l’han fatto il 22 di settembre. I primi gli han fatti all’inizio di settembre, i primi tre. Poi gli altri tre gli han fatti frazionati fin quando non hanno buttato giù il ponte.
PV: Per fortuna che non andavamo a scuola se no c’entravamo, han centrato le scuole eh.
FA: Ah, erano vicine la ponte?
PV: Eh già.
AM: No, perché hanno sbagliato una volta, han beccato tutte le case fino alle scuole. Però le scuole allora incominciavamo il primo di ottobre e i bombardamenti li hanno fatti a settembre no.
FA: Quindi era in Via Dei Mille la scuola? Più o meno?
AM: Dove c’era, quella prima lì dove c’è la chiesa adesso.
PV: Sì.
AM: Una parte della chiesa era rimasta danneggiata.
PV: Ma no, eran lì dove sono adesso le scuole.
AM: Sì in Via, lì in via dei deposit di strass ad Gavazzi cla gà brusa tut.
PV: Ma mi me par che
AM: E le scol ieran de dri. Dove iera i carabinieri. Comunque ieran lì, la zona era quella.
PV: Sì, ben, l’è lì, ecco, la zona l’è quella lì. Iera i scol.
FA: E invece i fascisti davano fastidio insomma?
PV: Ma i fascisti a volte, ma quando andavamo in città, noi andavamo a Porta Nuova, lì con i ragazzi di Porta Nuova dall’altra parte del Ticino e lì si vedevano, ma in borgo io non ne ho mai visti dalle nostre parti, fascisti.
FA: Erano in città.
PV: Erano sempre in città.
AM: Se venivano in borgo venivano per fare qualche retata.
PV: Eh sì ma in borgo.
AM: Come quando sono venuti a prendere Angelino per portarlo a suldà.
PV: Perché i giovanotti che erano assenti alla leva erano nascosti nelle cascine e.
AM: Venivano se c’era una soffiata, no.
PV: Ah sì.
AM: Perché Angelino che ndat in tel prat cl’era dre stend i pan , perché i gh’avivan dit che lu l’er la, che l’han fatto, che l’hanno.
PV: Mi ricordo bene che andavamo a scuola in borgo, io la quarta elementare sono andato in città perché in borgo non c’erano più le scuole. C’hanno fatto la passerella perché i più ponti, passerella sui barconi, si attraversava a piedi si andava. Qui c’erano gli indiani col.
AM: Turbante.
PV: Col turbante [emphasis]. Han vuotato. C’erano i.
AM: Questo è interessante.
PV: Quando c’era il fascismo facevano, prima del, non il Balilla, i più avanti erano i.
M: Gli Avanguardisti.
PV: No, ma.
FA: I Figli della Lupa.
PV: Il premilitare facevano, no. Andavano a fare le prove con, gli davano il fucile, giovanotti, quattordici, quindici anni eh, andavano. E gli indiani dovevano andare a dormire dove c’era il deposito, c’erano le bombe a mano per, eh per segnalazioni, c’erano gli esplosivi ma tutto per fare le prove loro, no, quei ragazzi lì. Han vuotato per andare. Son venuti qui in borgo con gli autocarri.
AM: Li han buttati tutti li.
PV: E han rovesciato un po’ in Ticino un po’.
AM: Sulle rive.
PV: Fuori, nelle sponde del Ticino. Oh, i ragazzi più grandi, io ero piccolo, andavo anche [unclear], tutti là a prendere bombe a mano, e ci son rovinati quattro, cinque giovanotti eh qui.
AM: Perché poi erano al fosforo, no, c’erano le saponette al fosforo.
PV: Oh, c’era un nostro amico, ohè la faccia.
AM: S’era bruciato tutto, no.
PV: Non erano, non uccidevano perché eran cose d’esercitazione, però.
FA: Però eran pericolose.
PV: Si son fatti male. Ah loro non guardavano, gli indiani.
AM: Quello è successo appena mandati via i tedeschi no perché nel ’44 due mesi dopo l’8 di settembre, [unclear] andati via, questo, quando sono arrivati gli americani durante il ’45 no, dopo il 25 aprile allora han buttato e c’erano un sacco d’armi qua, perché buttavan tutto così, no. Non stavano.
PV: Ormai la guerra era finita, eh.
[background noise]
PV: Perché non c’era niente, c’era la tessera con i bollini, tagliavano i bollini. E lì, e lì i negozianti han fatto i soldi eh. Tutti eh quelli che avevano un piccolo negozio. Tutti.
FA: Con la borsa nera.
PV: Borsa nera, bravo. Eh sì, altro che i bollini e no bollini. Eh, quelli che avevano i soldi mangiavano, gli altri, il pane, mi ricordo, era scuro, nero e a volte si trovavano [laughs] dentro i pezzi di legno o non so che cosa era dentro il pane, il mio ricordo.
FA: Perché c’era poca roba da mettere sotto i denti.
PV: Sì, c’erano i bollini. Mio padre fumava, mio nonno, avevano i, anche la tessera sul fumo. Mi ricordo. Qualcuno che non fumava vendeva la tessera ai fumatori. Ah, la guerra è stata una cosa. Io l’ho provata, ero piccolo e loro. Adesso mi, a volte mi ricordo ancora. Ma porca miseria dico, ma perché? E invece era così.
FA: Insomma la viveva un po’ da ragazzo.
PV: Da ragazzo, [unclear] avevo dieci anni. Otto, dieci anni. Eravamo, non è come adesso, i ragazzi non li vedi, prima erano tutti [laughs] a gruppi eh, i ragazzi eran tutti in strada eh.
FA: Era più quasi la curiosità che la paura.
PV: Sì, oh, tornavamo mai dalla strada, sempre, anzi qui abbiam, hanno ucciso tre bambini eh, hanno fatto una buca per la ghiaia. Quel periodo lì eh, in tempo di guerra era quasi finito, e noi abbiamo fatto, come una grotta e andavamo sotto a giocare, via, è ceduto, eran sotto al Pep l’è stat l’unic che l’è stat [unclear].
AM: Cioè eran sotto in cinque, due si son salvati, il Pep e un altro che era già, e tre invece, han scavato subito ma eh son soffocati sotto.
PV: Son morti sotterrati, eh c’è poco da fare. La guerra è stato, il mio ricordo ogni tanto, adesso pensando ho detto ma porca, ma perché si faceva così? Un odio tra popolazione, qui c’era uno che era fascista eh, e allora, ohé c’era da stare attenti perché poi.
AM: E se parlava lui, a lui davano ascolto e loro invece erano le vittime, no.
PV: La guerra.
AM: Che anche in borgo da basso che erano due o tre famiglie ad fasisti no.
PV: Sì, eh.
AM: Il papà ad Renata, quas chi. Sì, erano tre o quattro, cioè quelli che erano. Però sai quelli lì erano quelli che, a cui davano retta no, avevano il potere. Se dicevano loro qualche cosa, gli altri andavano nei pasticci.
FA: Certo.
PV: Noi eravamo piccoli, non guardavano, potevamo fare, ohè, potevamo fare quello che volevamo. Però quelli che sono andati a fare certi, certi cosi non guardavano eh. Ohè, sono andati a rubare in castello e li hanno uccisi eh.
AM: Gli han tirato le bombe e.
PV: Si è salvato il Galle , povero ragazzo si è salvato. Uno ha perso le gambe.
AM: e sono andati a rubare al castello perchè.
PV: Non guardavano se erano bambini eh.
AM: Andavano a rubare per sopravvivenza, non è che andavano a rubare perché. E poi adesso, il particolare delle barche che avevano sequestrato qua in Gravellona.
PV: Eh sì, eh sì, hanno portato via tutte le barche.
FA: Ah.
AM: I tedeschi sì.
PV: I tedeschi eh.
AM: Han sequestrato tutte le barche perché qua c’erano i barcaioli che avevano le barche da lavoro facevano gli scavatori di ghiaie, legname, portavano la biancheria di là, a un certo punto è venuto, hanno requisito tutte le barche perché avevan paura che portassero i partigiani e robe del genere . Le hanno requisite e dove le hanno portate? Nde ca ian purtà i barcè?
PV: In Gravellone, lì, dove il Gravellona va in Ticino .
AM: Ma che cosa han fatto vicino alle barche?
PV: C’era il cartello eh, ‘attenti minen’ neh,
AM: Hanno minato, hanno minato tutto.
PV: mi ricordo, noi andavamo a giocare là, stavamo sempre sulla strada, c’eran tutte le barche nel Gravellone.
AM: A turno hanno minato.
PV: E c’erano un paio di cartelli uno qui uno di là. [unclear] Il padre del, Un nostro amico è andato, è morto eh, scoppiata la mina.
FA: Eh sì.
AM: Ha cercato di prendere la barca perché ne aveva bisogno esasperato no e ha messo il piede sulle mine e c’è rimasto.
PV: Qui la gente quando vedeva, vedevano che noi ragazzi andavamo giù:’ohè, non andate là, eh’ [screams] Ecco.
AM: Quindi quello lì era quando c’era anche un po’ di repressione ecco.
PV: Qui è successo tutto.
AM: Poi quando i tedeschi hanno incominciato a ritirarsi, Piero, quà son diventati tutti partigiani.
PV: Sì, sì, anche i fascisti. Han tolto il nero e messo il foulard, il foulard rosso, eh mi ricordo, eh quello lì mi ricordo.
AM: E quando passavano si vurivan fa’? . Quand i pasavan intl’argin si vurivan fa’?
PV: Portavano via.
AM: Le armi e gli sparavano.
PV: Eh, rubavano.
AM: Tant’è vero uno, cosa è successo, al papà del Luisone, Luison, al mut, suo papà che successo
PV: Adesso mi ricordi plù.
AM: In tl’argin, gh’han no sparà? Che è mort?
PV: Li eran contro i tedeschi.
AM: Eh sì. Quando.
PV: [unclear].
AM: Quando i tedeschi si stavano ritirando.
PV: Siccome lì c’erano i tedeschi che stavano andando via qui hanno fatto una sommossa no.
AM: Con le armi che [unclear]
PV: I tedeschi però sparavano con la mitragliatrice, eh, sull’argine, chi attraversava l’argine, lui attraversa, ma era, era ubriaco eh.
AM: Però era là col fucile, sparava.
PV: To ziu al la saviva parchè l’era la eh.
AM: E l’hanno fatto fuori. Questi qua non guardavano.
FA: Infatti, sì.
AM: Se cercavano di scappare, i tedeschi mitragliavano, l’han beccato. Però non sapevano dove portare il cadavere, l’hanno portato in chiesa, no. L’han chiuso in chiesa.
PV: Sì, mi ricordo. Era un giorno, piovigginava. Noi volevamo andare a vedere no. Da ragazzi, quattro [unclear], io, Carboni e via. E al padre dal Galli [unclear] Ma se ciamava? Gili.
AM: Gili.
PV: Era un uomo rude con noi ragazzi perché andavamo dove stendevano i panni e rompevamo i pali. ‘Nde ca’ndiv vialtar? via a ca’ eh! Mi ricordo quell’uomo.
AM: Perché c’erano i tedeschi che passavano e loro erano ragazzotti eran curiosie allora li [unclear].
PV: Volevamo andare a vedere, si sentiva sparare [mimics machine gun noise] ogni tanto. Dicevo, piovigginava quel giorno, mi ricordo ancora.
AM: Quello lì era già nel ’45 dopo i bombardamenti, quando i tedeschi stavano scappando, ecco.
FA: E non siete mai andati a vedere le rovine del borgo, del ponte?
PV: Sì.
FA: Non siete andati a vederle, da ragazzi?
PV: Oh, sì, io, tutti i giorni andavamo, perché oramai si sapeva che i bombardamenti arrivavano [laughs] una volta la settimana sempre il solito giorno.
FA: E allora gli altri giorni?
PV: Gli altri giorni no. Mi ricordo che c’era, le saracinesche, dunque bombardavano e facevano tutta la pancia in fuori [emphasis], verso la strada, tutta la saracinesca così. E quelli esperti che lo sapevano dicevano:’è lo spostamento d’aria, prima va in dentro poi [makes a booming noise],
FA: Viene fuori.
PV: ‘Ecco viene fuori’. Tutte così, saracinesche con la pancia in fuori, verso la strada.
FA: Tutti i vetri delle finestre.
PV: Oh, bombardamenti, c’erano i muri maestri in piedi ma gli altri erano giù tutti. Oh ci sono stati morti, un mucchio di morti eh.
AM: Però anche le finestre delle case non bombardate, quelli lì i vedar ag n’era pü mia .
PV: Ma no giù, qui, la cooperativa del borgo.
AM: Allora in borgo c’erano due cooperative. Una, quella che c’è ancora adesso e l’altra che è di là dell’argine che era dove, quella che c’era di qua dell’argine è stata distrutta e c’era anche il teatro lì. Il teatro al, come se ciamava.
PV: Sì c’era il teatro del borgo. Eh ma non mi ricordi più. Il bombardamento gli aerei l’han fatto, han centrato il ponte della ferrovia e lì s’è sollevato il polverone, eravamo noi. Gli aerei son venuti via dritti, diritti, perché forse non vedevano, chi lo sà. Infatti han centrato l’arca verso il borgo del Ponte della Libertà, quello là, centrato. Ponte Coperto non l’han toccato, han centrato il borgo lì. Dopo il prossimo bombardamento, il Ponte Coperto era ancora, si passava, era ancora.
AM: Bordoni il teater.
PV: Il teatro Bordoni ?
AM: Era il teatro Bordoni , lì dove faceva le rappresentazioni Famiola, che era, Famiola l’era il nom, era il burattino di Pavia. Dove faceva le rappresentazioni Famiola.
PV: No, ma dopo han fatto il film, facevano il film.
AM: Dopo stavano anche i film.
PV: han fatto anche il cinema. Non so come si chiamava. Però.
AM: L’han distrutto però.
PV: E per il bombardamento han fatto così. Son venuti via diritti. Così spiegavano e lì da vedere. Il Ticino fa la curva, ecco.
AM: Così han preso tutte le case invece [unclear].
PV: Sì perché lì duevav ved al polverone ch’era neh. Io ero a metà borgo, era lì perché forse s’era fermà cun tu nona, me nona, che dia: ‘Regina, ma’, eh suona l’alarme sì ma, fa, suona sempar, des i van via, perché era ialtar dÌ aeroplani poi andà via senza bombardare. Boh. Primo, quello lì è il primo bombardamento. Poi tutte le settimane oramai si sapeva “Ah i vegnan eh!” [enphasis] ecco basta [laughs], ormai si sapeva che venivano.
AM: Però erano preparati, capivano che bombardavano quindi scappavano, mentre le prime volte non si rendevano conto di quello che stava succedendo.
PV: Ma come facevano a sapere che il ponte era ancora intatto? Forse i ricognitori.
AM: Guarda dintar il libar, c’è tute fotografie, che loro foto, quando passavano gli aerei, in coda c’era quello che faceva le fotografie, no.
PV: Oh, io non ho mai visto la contraerea sparare eh. E c’era eh.
FA: Quella lì, ponte zona Ticinello?
PV: Poi, ma c’era là dove c’è la fabbrica Casati là a ponte ad pedra, là. Ah, c’erano i cannoni con i tedeschi eh, ma grossi cannoni oh.
FA: Però niente.
PV: Mah. Niente, no.
AM: Non ha mai preso.
PV: Era mei sparà no eh, se no uhei [unclear]. Sparare, sparare noi non avevamo niente, loro avevano tutto eh.
FA: I tedeschi.
PV: E gli inglesi e americani.
FA: Gli inglesei, ah, è vero.
AM: Ma anche i tedeschi che avevano la contraerea lì, c’era lì e vicino al cimitero. Però effettivamente dicono che erano alti così. E loro non, sì qualche nuvoletta ogni tanto però non han mai visto, cioè, un, bombardare, prendere qualche aereo roba del genere, che non. Probabilmente non arrivavano neanche all’altezza degli aerei [unclear].
FA: Certo.
PV: Eh la guerra, ero troppo piccolo per ricordare.
AM: Però l’è na brutta robe, è na brutta robe.
PV: La fifa la, vedevo, mio nonno, mio nonno tremava sempre [laughs], appena sentiva l’allarme. Noi ragazzi no [unclear]. Ma i vecchi avevano paura, tutti i vecchi avevano paura tremenda. Perché? Perché .
FA: Si rendevano più conto.
PV: Sì, Han fatto delle cose lì, i liberatori, sì, dei bombardamenti, che non dovevano anche farli, dai. Si sa, eh. El libar gl’ho dsura mi, libar de, che scrit coso, l’è andat fin in America a to’ i dati.
FA: Va bene.
PV: Quello che. Perché, perché non mi ricordo tutto, ogni tanto mi ricordo qualcosa, eh. Che se ricordi robe, uhè go ottantadue anne, non passan mai, sesanta-setanta ani [laughs].
AM: Va bene.
FA: Va bene. Allora la ringraziamo.
PV: Oh, diamine.
FA: Per l’intervista.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Pietro Varesi
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Pietro Varesi describes wartime life in Pavia, focussing on the Borgo neighbourhood. He mentions the Ticino bridges as primary targets for bombers; recalls bent shop shutters and debris on the streets; stresses the limited accuracy of bombing and the damage to civilian buildings. Describes how ineffectual anti-aircraft fire was and remembers playing on anti-aircraft guns when the gunners were eating and drinking at a nearby country inn. Contrasts the reaction of adults being frightened and alarmed, with the care-free attitudes of youngsters. Mentions street urchins involved in dangerous games often with disastrous consequences. Criticises makeshift shelters, deemed tantamount to death traps. Recalls various wartime episodes: being a member of fascist organisations while his father was an opponent of the fascist regime, deserters, repression of partisan activities, corpses hidden in a church, 'Pippo' flying at night, disrupted communications, improvised footbridges, rationing, the black market, and food pilfering. Describes men quickly exchanging fascist uniforms with red handkerchiefs at the end of the war. Reflects on the bombing war and stresses the duality of liberators / tormentors.
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An entity primarily responsible for making the resource
Filippo Andi
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-03-08
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Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:29:50 audio recording
Language
A language of the resource
ita
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An unambiguous reference to the resource within a given context
AVaresiP170308
Spatial Coverage
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Italy
Italy--Pavia
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Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1943-09-08
anti-aircraft fire
bombing
childhood in wartime
fear
home front
perception of bombing war
Pippo
Resistance
shelter
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/70/717/AAn00974-170413.1.mp3
7b601175f7d1834f67ccdfb1c3feb0ae
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Three survivors of the Po valley bombings
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This collection consists of one oral history interview with three survivors of the Po valley bombings.
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2017-04-13
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FA: Sono Filippo Andi e sto per intervistare le signore [omitted]. Siamo a Vellezzo Bellini è il 13 aprile 2017. Ringraziamo le signore per aver permesso quest’intervista. La sua intervista, le vostre interviste registrate diventeranno parte dell’archivio digitale dell’International Bomber Command Centre, gestito dall’Università di Lincoln e finanziato dall’Heritage Lottery Fund. L’università s’impegna a preservarvi e tutelarvi secondo i termini stabiliti nel partnership agreement con l’International Bomber Command Centre. Signora [omitted], vuole,
Interviewee: Eccomi.
FA: vuole raccontarci cosa si ricorda del tempo di guerra, in particolare dei bombardamenti avvenuti nella sua zona, dove abitava?
I: Eh, mi ricordo sì, che da quel particolare lì che noi abitavamo in una cascina che era in direzione del Ponte d’Olio, era il ponte più, un punto più preciso per i bombardamenti, venivano proprio di sopra della cascina e tiravano, e bombardava sempre il Ponte dell’Olio perché lì era, non so cosa c’era, che per loro era un punto più di riferimento. Poi va bene, prima di arrivare al ponte c’era un paese che si chiamava Orzinuovi, era un paese di molti partigiani, fascisti e via discorrendo. Mi ricordo bene quel periodo lì, ecco. Poi mi ricordo quando sono venuti alla cascina per cercare un partigiano che hanno fatto la rivoluzione per tutta la cascina quale che lui, benissimo, era scappato, era scappato fuori in una campagna dove c’era la, diciamo la produzione del tabacco. Lì c’è stato un po’ di trambusto, un po’ di difficoltà di tutti, anche con la famiglia perché venivano in casa e buttavano per aria tutto per vedere se delle volte erano o nel letto o nel mucchio del granoturco, vedere se era sotto, non so perché, come faeva a capì, e invece casa non c’era niente. Poi per proteggere, anche per vedere se ghe c’era qualcheduno che diceva la verità, portavano i ragazzi, i ragazzini come me d’otto anni dietro, perché dicevano che se non si diceva la verità mi avrebbero picchiato. E allora noi non è che potevamo dire la verità perché non era in casa nostra, era il figlio d‘un nostro principale che, lui benissimo era a casa ma noi non è che possiamo dire lui era a casa. Nel frattempo lui ha fatto in tempo a scappare. È scappato fuori, loro sono andati in casa, non hanno trovato niente e la roba è stata finita lì. Poi, sì, lì al paese ci sono state tante cose, tanti bombardamenti. C’era sto signora lì che l’hanno perfino pelata, perché era una partigiana, le dava fastidio non lo so, era perché era ricca, non lo so, lì l’hanno pelata tutta.
FA: Si ricorda qualche bombardamento in particolare?
I: Bombardamenti particolare no, perché diciamo lì alla nostra cascina non è mai successo niente, vedevamo solo a passare che buttavano le schegge, dicevano le schegge, i nostri genitori dicevano le schegge, magari erano bombette, non lo so. Diciamo proprio bombardamenti lì no. Sono stati al paese e sul Ponte dell’Olio. Noi, essendo vicini, si vedeva ma non che abbiamo visto proprio.
FA: Vi arrivavano i rumori, insomma.
I: Sì, sì.
FA: Lo spostamento d’aria.
I: Lo spostamento d’aria e così via. Però vedendo proprio da buttare giù. Poi quando c’è stato finito la guerra sono passati tutti con i carri armati i tedeschi e na davan de mangià.
I: Americani.
I: Erano gli americani na devana, passavan con i carri armati, eh quanti, e li davano giù quel pane che sembravano gallette.
I: Gallette le chiamavano.
I: ecco, il pane che si chiamano gallette e lì è stato quando la guerra è stata finita. L’abbiam finita nel ’45, ecco.
FA: Ok, va bene. Eh, signora [omitted], lei invece abitava alla cascina Brunoria.
I: E infatti, lì vicino a Pavia, proprio. E quando hanno bombardato, cosa lo chiamavano, il Ponte dell’Impero, quello lì lo chiamavano? O no?
FA: Quello di cemento?
I: Quando hanno bombardato Pavia, cos’era il Ponte dell’Impero, lo chiamavano?
FA: Sì, dell’Impero, sì. Di là c’era quello della ferrovia.
I: Che e poi mi ricordo che erano i primi di settembre no, noi eravamo, io, mia sorella e mio fratello eravamo nei campi a spigolare le patate.
I: Ah sì.
P: E niente, mia mamma è venuta a cercarci, no, perché in linea d’aria eravamo lì ad un paio di chilometri eh dal ponte, o forse neanche. Adesso non mi ricordo più però.
FA: Mi pare di sì.
I: Ecco. E niente, mi ricordo il fatto che una scheggia no, ha proprio preso mia mamma qui sulla spalla. Non c’era il sangue però c’era via la pelle, si vedeva proprio la carne rossa. Quel fatto lì la vedo ancora adesso, però c’è l’ho davanti agli occhi ancora ecco.
FA: Quindi si ricorda dove eravate più o meno. Quindi eravate lì nel.
I: Eravamo lì vicino alla cascina, fuori, fuori appena dalla cascina ecco.
FA: Quindi è arrivata fino, fino a lì.
I: Sì, sì, sì, eh, le schegge delle bombe, sì, sono arrivate fino a lì, ecco. L’altro, proprio dei bombardamenti no, non mi ricordo, ecco.
FA: Perché comunque c’era una certa distanza, ecco.
I: Sì. Anche. Ma quello lì c’è stato anche quello più che mi ricordo più grande, come bombardamento, no, che hanno buttato giu il ponte lì.
FA: E poi è andata, ma è andata in ospedale o?
I: No, no, eh sì, non c’era neanche, non c’era neanche la bicicletta per andare in ospedale. Niente. No perché difatti non è che era grave, era via solo un po’ di pelle che si vedeva, la carne rossa, eh.
FA: Graffiata insomma.
I: Sì, ecco, così. D’altri fatti, ecco proprio di bombardamenti proprio no, non mi ricordo neanche, magari me l’hanno raccontato anche i genitori, ecco.
FA: Lei invece, signora [omitted], dove abitava?
I: Io abitavo a Samperone, vicino alla Certosa. Lì hanno lanciato una bomba però non c’è stato nessun morto, praticamente, perché è caduto in campagna. Però io, di fronte a me, alla distanza di cento metri, avevo l’accampamento dei tedeschi e in casa mia mio papà era in guerra, però mia mamma aveva in casa il papà e un fratello che doveva essere militare. Quindi eravamo molto, molto, molto osservati. [phone rings] Quindi eravamo un po’ sotto pressione perché avevamo in casa questo zio.
FA: Esatto.
I: E dall’accampamento, la nostra porta dava proprio sull’accampamento dei tedeschi. Quindi loro ci vedevano in casa. Infatti un mattino mio zio è sceso dalla camera, si è messo lì per mettere le scarpe e l’han visto. Quindi hanno fatto irruzione in casa, cercavano il marito, a mia mamma dicevano il marito. Lei li faceva vedere le lettere e via, dicendo che il marito era, loro hanno visto e mio papà perché aveva in casa anche il papà,
FA: Ah già.
I: Ma loro han capito che poteva. Quindi sono andati su in camera, hanno con le baionette trafitto tutti i letti,
FA: Insomma hanno fatto un disastro.
I: un macello, non l’han trovato. Non l’han trovato poi hanno fatto, c’erano i camion che portavano via quelli che c’erano a casa non trovando per loro un uomo c’era, hanno portato via mio nonno. Però essendo vecchio il giorno dopo l’han fatto venire a casa. Ricordo dei bombardamenti per noi era come se fossero lì, erano quelli di Milano, quando bombardarono Milano, che eravamo fuori nei rifugi, sembrava proprio però non eravamo proprio lì.
FA: Dove, dove vi rifugiavate?
I: Eh, c’era un campo che avevano fatto un rifugio sottoterra, sì. Andavamo tutti lì fuori in campagna, avevano fatto un rifugio, c’era un campo. Per dire, uno era qui, poi c’era come una collinetta, l’altro era più là, lì sotto avevano scavato, fatto i rifugi e noi, quando suonava l’allarme, scappavamo tutti lì.
FA: E si ricorda come era costruito il rifugio, cioè, avevan scavato e han fatto un
I: Sì, sì, proprio scavato e noi andavamo tutti lì.
FA: E han messo le travi in legno.
I: No, no, una buca.
I: Una buca.
FA: Era giusto un buco.
I: Un buco. Era sostenuto perché era un campo alto e uno basso.
FA: Ah, ok.
I: Cioè, essendo quello lì più alto, fatto la buca e noi riuscivamo.
FA: Un terrapieno.
I: Ecco, dentro e uscire fuori.
FA: Ho capito. E l’allarme, si ricorda dov’è che era l’allarme, era in paese, a Samperone?
I: L’allarme, suonava l’allarme, dire da dove suonava non lo so. E c’è stato un bombardamento sulla statale, da Samperone alla statale, lì da Pavia c’è un chilometro e mezzo. Hanno bombardato un camion, però io non mi ricordo. C’è stato un bombardamento col camion.
FA: Ehm, un’ultima domanda. Cosa vi ricordate di Pippo?
I: Pippo era tremendo.
I: Pippo, posso dire, noi tre bambini, con l’accampamento fuori, ci faceva fare la pìpì in casa, per terra sul pavimento. Perché quand’era sera, bisognava che ci fosse tutto buio, noi avevamo l’accampamento lì, non potevamo aprire la porta, andare fuori a fare la pìpì, dovevamo farla in casa sul pavimento. I bagni in casa non c’erano, si andava fuori. E l’accampamento è come, ecco, questo è la porta, e lì dove c’è la mura, c’era l’accampamento.
I: Non c’era la luce però. Io non avevo la luce.
I: No, la candela. E magari la spegni.
I: No, no, io mi ricordo che avevamo la luce, sì, sì.
I: Una piccola lampadina.
I: Io mi ricordo che c’avevamo la lampadina. La lucerna non mi ricordo.
F: No, no, no, io la lucerna che mettiamo sul tubo e sotto c’era il petrolio, no.
FA: Esatto
I: Quando si sentiva Pippo, mia mamma [backgroud noise] la ciapava un strass nero , no la n’andava in gireva insima[unclear]
FA: e lo copriva.
I: E lo copriva. Lui andava.
I: Ma noi, noi la luce l’ho mai vista da [background voice]
I: Ricordo io, la luce l’avevamo, per quel che mi ricordo.
F: Noi facevamo con la lucerna. Con la lucerna, disevan la lucerna, c’era il petrolio. Poi avevo un tubo di sopra perché c’era fumo no. E niente, eran quello lì. Mio papà gaveva mis du caden se no comel fai. El leva tacà su li, era una lucerna.
I: Io dei tre ero la più piccola
F: non ho mai visto.
I: di tre figli ero la più piccola.
FA: Va bene allora. Va bene, vi ringraziamo allora per.
I: Niente. Bene. Poi se va bene.
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Title
A name given to the resource
Interview with three survivors of the Po valley bombings
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
The informants remember wartime hardships endured near Pavia and Piacenza. Several stories recalled: a farmhouse being thoroughly searched for partisans, children questioned, people injured by shell splinters, a makeshift dugout used as shelter, improvised lighting at home, strafing, Germans looking for deserters and American troops giving away crackers to the children. They tell how the menacing presence of 'Pippo' forced them to relieve themselves inside on the floor. Mentions the bombings of Milan as seen from the countryside where they were.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Filippo Andi
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-04-13
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:13:33 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AAn00974-170413
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Po River Valley
Italy--Piacenza
Italy--Pavia
Publisher
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IBCC Digital Archive
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Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
bombing
childhood in wartime
home front
Pippo
Resistance
strafing
-
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79ada1c6e318efb07ff780ad71942b47
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Magnani, Tullio
Tullio Magnani
T Magnani
Description
An account of the resource
This collection consists of one oral history interview with Tullio Magnani who reminisces his wartime experiences in the Pavia area.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
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IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-03-03
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Magnani, T
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
Sono Filippo Andi e sto per intervistare il Signor Tullio Magnani. Siamo a Pavia, è il 3 marzo 2017. Ringraziamo il Signor Magnani per aver permesso questa intervista. La sua intervista registrata diventerà parte dell’archivio digitale dell’International Bomber Command Centre, gestito dall’Università di Lincoln e finanziato dall’Heritage Lottery Fund. L’università s’impegna a preservarla e tutelarla secondo i termini stabiliti nel partnership agreement con l’International Bomber Command Centre. Signor Magnani, vuole ricordarci i suoi anni durante?
TM: Dunque, sì, gli anni trascorsi dalla guerra in avanti.
FA: Esatto.
TM: Allora, prima di tutto, vengo da una famiglia di lavoratori. Naturalmente ho annusato il sapore dell’antiregime di cui si viveva allora. I miei genitori erano nettamente contrari al fascismo ma naturalmente non ho avuto neanche problemi a scuola. Sapevano chi era il papà, che è stato considerato un sovversivo comunista, ma per la verità nel periodo scolastico fatto durante il fascismo non ho avuto noie. Nel 1944, il 4 di settembre le superfortezze volanti americane e inglesi, alleate insomma, hanno prodotto un grosso bombardamento a Pavia e noi che abitavamo in Via Milazzi [Milazzo], della parte destra del fiume Ticino, siamo rimasti senza casa. Ci siamo salvati perché eravamo scappati nei boschi vicini. Naturalmente io e la mia famiglia ci siamo ritrovati nel territorio di Travacò a pochi chilometri da Pavia e da lì è cominciata la mia permanenza, gli ultimi mesi di guerra fino al 1945 a Mezzano Siccomario una casa che ci ha ospitato perché eravamo senza niente, eravamo ridotti proprio, io addirittura ero a piedi nudi quel giorno là. Però nel frattempo i miei genitori mi avevano mandati a casa di una famiglia, Lorenzo Alberti, che era un noto esponente dell’antifascismo pavese e che verrà arrestato nel 1944 con tutto il comitato del CLN provinciale e spedito in Germania. Ritornerà vivo e vegeto nel 1900, nel lontano 1945 dalla Germania. E naturalmente ero andato lì come garzone di bottega perché lui vendeva le macchine per scrivere e naturalmente faceva la, curava tutto l’andamento delle macchine che aveva nei vari uffici durante il regime fascista e la presenza del comando tedesco. E accompagnando l’operaio che doveva fare manodopera alle macchine da scrivere, io portavo una borsa vuota, leggerissima all’ingresso, pesante quando uscivo. Naturalmente controllato era l’operaio, io che avevo quattordici anni sia i fascisti che i tedeschi non mi perseguivano, non mi, non facevano i controlli. Poi abbiamo saputo che in quella borsa lì uscivano i bollini per l’approvigionamento degli alimenti. Perché in quel periodo dovete sapere che c’era contingentato i generi alimentari. Naturalmente questi bollini per il tesseramento andavano alla resistenza ecco. Quello era la cosa che io ho scoperto dopo la liberazione. Naturalmente di questo, di questi ricordi che ho avuto lì e anche nel comune di Travacò li ho messi giù, insomma i ricordi c’ho un fascicolo che consegno anche all’intervistatore. Ci sono alcuni particolari. Particolare è che un bel giorno, una mattina, l’operaio di questa ditta, Alberti, mi dice di andare presso l’istituto di anatomia umana dell’Università di Pavia a ritirare qualcosa. Io arrivo all’istituto di anatomia umana e a questo custode chiedo il nome e questo uomo già un po’ avanti con l’età, mi consegna una busta gialla con scritto ’Regia Università di Pavia’. Questa busta la riporto in negozio al mattino. Nel pomeriggio sempre l’operaio mi dice che doveva farmi fare una commissione fuori Pavia, e ha preso quella busta che avevo consegnato al mattino, l’ha messo dentro a una cartella, tipo quella di scuola, di cartone e m’ha detto: ‘Vai a Travacò a portare questa busta, devi andare all’inizio di Travacò alla frazione Frua e cercare la signora Brusca’ che poi ho capito si chiamava Bruschi, la chiamavano Brusca, io dico: ’sì sì sono pratico di quei posti lì perché ero, sono sfollato lì, in quei posti lì’, infatti non ho fatto fatica a trovarla una donna anziana con un cappellaccio di paglia in testa. E io dico: ’io devo consegnare questa a un signore che c’è qui’. E lui m’ha, lei m’ha detto: ‘È quel signore seduto su una cariola.’ Era un omino un po’, non troppo alto con un grosso paletò, che poi ho riconosciuto come segretario del Partito Comunista provinciale in, clandestino, l’ho ritrovato nell’immediato dopoguerra. Era Carlo Zucchella.
FA: Ah.
TM: E quella busta, ‘io devo consegnare questa roba a questo signore, sì, sì, io l’aspetto. Gliel’ho data. Era un’altra missione che mi han fatto fare. E questo mi è, mi è ancora caro ricordare quel territorio lì del Travacò adesso. L’intervistatore venne mandato dall’ex sindaco Boiocchi che abbiamo una forte amicizia e ricordo sempre quel territorio anche perché sono legato a tutta la gente che ho trovato lì, che purtroppo non ci sono più tanti. Poi ci sono anche altri episodi sempre fatti attraverso la bottega di Lorenzo Alberti. Mi dicono di andare in piazzetta, vicino alle scuole Mazzini a Pavia e io gli ho detto: ’Sì, sì’. Erano le mie scuole elementari, le conosco. Bene, proprio di fronte alla scuola vai su all’ultimo piano e devi portare questo era anche lì, una busta, una busta più pesante di quelle che ho portato prima. E in quella casa c’era un tavolo da disegno, che usano i disegnatori. E c’era un uomo che era là che m’aspettava. E c’era, a disegnare c’era uno che poi m’han detto che era un sordomuto. Era il disegnatore. Anche qui vengo a sapere, dopo la guerra, che questo signore era Cino del Duca, un grande editore di giornali e di riviste. Era anche lui membro della resistenza. E i ricordi sono tanti, gli episodi sono tanti. Sono ancora vivo anche per miracolo anche perché durante queste azioni, che io nulla sapevo l’importanza di quello che facevo, se venivo beccato non ero qui a raccontarlo.
FA: Certo.
TM: E è arrivata la liberazione e io con i miei quindici anni mi sono divertito come gli altri. Sono arrivati le truppe inglesi, la prima camionetta americana giù nel Ponte Vecchio di Pavia e ho ripreso a vivere come dovevamo vivere, a noi ragazzi alla nostra età ci è mancato cinque anni di vita.
[telophone rings]
FA: Allora, prima della pausa stavamo dicendo della liberazione.
TM: La liberazione...
FA: È tornato a vivere in borgo?
TM: No, non eravamo più in borgo perché la casa non ce l’avevamo più. Mio nonno era un pescatore, aveva le barche, tutto, è andato tutto in fumo, tutto, distrutto tutto, non avevamo più niente. Mia mamma e mio papà han trovato un appartamento vicino Piazzale Ponte Ticino ma in città. E lì è arrivata la prima camionetta americana, mi ricordo sempre, questo giovane americano, noi naturalmente ragazzi ci siamo andati tutto intorno avevamo fame e loro distribuivano cioccolato e questo qua si chiamava Dino perché era figlio di italiani, no, e aveva un sacco enorme. M’ha detto se trovavo una donna che gli avesse lavato la biancheria. Io subito gli ho detto: ‘c’è mia mamma’. E lì vicino abitavamo e ho detto, ho chiamato mia mamma, c’è questo soldato americano e ha detto che se gli lavava la biancheria c’era una cassa di sapone. Quando lui ha fatto vedere la cassa di sapone, mia mamma è saltata dalla gioia. Per dire i momenti e, ricordo ancora e ricordo anche questo fatto di questo americano che si chiamava, poi c’ha dato tanta roba da mangiare. E naturalmente lui poi è andato via. E’ stato lì due o tre giorni, ha ritirato la biancheria pulita e stirata e con grande dispiacere di mia mamma non l’abbiamo visto più. Io voglio raccontare, questo racconto dovrebbero sentirlo anche milioni di giovani perché la guerra c’ha tolto cinque anni di vita a noi ragazzi. È scoppiata che avevo dieci anni, è finita che ne avevo quindici. La fame totale, lo studio non c’ho più pensato, era talmente la gioia della liberazione che molti ragazzi miei amici non andavano più a scuola. Poi pian piano abbiamo ripreso ma poi m’ha preso un’altra cosa, la politica. E questa politica mi ha preso talmente che non ho proseguito gli studi e medie, liceo e avanti, questo. Però ho sempre chiesto e ottenuto di sapere, di volere, di sapere le cose, ho fatto uno sforzo io coi libri e anche. Il partito voleva dire tante rinunce, tante sacrifici ma il partito mi ha dato molto nel senso che nell’istruzione poi sono andato a fare dei corsi prima brevi poi brevi, poi abbastanza lunghi per cui ho fatto il mio percorso di apprendimento scolastico. Mi sono sposato, tre figli, quattro nipoti, avevamo un, abbiamo rilevato un negozio che era di mio papà ma non andavamo bene, sono entrato [clears throat], sono stato assunto dopo tante peripezie in Comune, perché voglio dire anche questo: ho partecipato a un concorso per agenti daziari e quando sono arrivato agli esami orali per essere ammesso, dopo aver presentato lo scritto, mi è stato detto che non avrei, non sarei mai stato assunto perché, essendo un corpo armato, non potevo accedere a quel posto lì per via di una vecchia legge fascista che impediva di entrare in questo corpo armato agli iscritti al partito comunista, o anche ai figli dei comunisti. Per cui però ho fatto un po’ di lavoro saltuario nelle scuole a sostituire alcuni bidelli ammalati e così via, insomma il comune mi ha sempre tenuto da conto finché poi è venuto il momento, sono entrato nel corpo vigili urbani come tesoriere e ho fatto per ventidue anni il cassiere al comando vigili di Pavia. Ma prima sono stato anche un dirigente della Gioventù Comunista e ho sempre mantenuto queste idee. Purtroppo adesso non c’è più niente, ma ho cercato di educare la mia famiglia a questi ideali e sono stato anche premiato perché sono contento dei miei figli, dei miei nipoti.
FA: Va bene.
TM: E adesso ho davanti un giovane che mi intervista e sono felice di poter rispondere a questo giovane che tra l’altro si è laureato con un personaggio che a me molto caro che è il professor Lombardi e il professor Guderzo.
FA: Tornando un attimo indietro nel, diciamo nel tempo del suo racconto, potrebbe provare a ricordare, a raccontarci quella giornata del 4 settembre?
TM: La giornata del 4 settembre ha dei precedenti. Intanto la guerra è scoppiata nel ‘40 e non so adesso con precisione ma noi da Pavia vedevamo i lampi dei bombardamenti di Milano di notte, Milano è a un tiro di schioppo da qui in linea d’aria, si vedevano i lampi, bombardavano Milano e poi venivamo a sapere che verso il ’42-’43 bombardavano anche i ponti del Po che collegavano Pavia. E noi stavamo su anche, poi per noi era un, cioè era anche bello di notte, stavamo su tra noi gli uomini pochi perché erano tutti alle armi, e allora venivamo a sapere i problemi delle famiglie questa qui, quella là, quello lì, quello là, insomma vedevamo... poi arrivano i cacciabombardieri americani, bombardano la parte nord di Pavia, ma così dei raid, di, due, tre aerei che hanno sganciato alcune bombe e han fatto qualche morto nella zona di Porta Stoppa di Pavia, la parte nord di Pavia. Quindi prima del 4 di settembre Pavia era stata
FA: Già.
TM: Aggredita dai, ma poi noi vedevamo che sull’argine del Ticino la milizia fascista aveva fatto delle postazioni con delle mitragliatrici antiaeree, che poi si sono rivelate in niente, insufficiente, erano giocattoli rispetto al momento, insomma c’erano già delle armi migliori, cioè le avevano i tedeschi, ma queste qui, e noi le vedevamo, noi capivamo che erano mitragliatrici per contrastare gli aerei. E il 4 di settembre c’è un precedente nel senso che due giorni prima a ondate successive queste superfortezze volanti cariche di bombe passavano su Pavia verso il nord, cioè andavano verso Milano, dicevano che andavano in Germania perché Milano non la bombardavano in quel periodo lì.
Interviewee’s wife: Buongiorno.
TM: La mattina di, del 4, mia moglie, ah questo ragazzo pensa Antonia.
AM: Piacere, Antonia.
FA: Filippo, piacere.
TM: C’è acceso. La mattina del 4 di settembre del ’44 mio papà si trovava al di là del fiume perché lavorava in fabbrica. Mia mamma stava cucinando qualcosa. Noi ragazzi quando passavano quegli aerei lì andavamo nel bosco adiacente lungo l’argine del Borgo Ticino per cui dopo che sono passate a ondate successive queste superfortezze volanti è arrivato il bombardamento. È stato un disastro, sembrava la fine del mondo non ci, l’atmosfera era rossa dai mattoni, picchiavamo contro le piante per scappare, insomma. Poi dopo è venuto anche il mitragliamento che è stato micidiale perché ha mitragliato verso la parte est di Pavia. Io come un automa come altri nostri amici ci siamo dispersi e siamo fuggiti verso Travacò, lungo l’argine verso Travacò e io sanguinavo, non me ne accorgevo. Nel pomeriggio ho ritrovato i miei genitori che io non pensavo più. Mio papà si era salvato perché era al di là del fiume. Mia mamma è stata salvata dal crollo, la casa non era completamente crollata, e per cui ci siamo ritrovati alla frazione Battella di Travacò Siccomario io, i miei genitori e tanti altri. Poi naturalmente i nostri genitori, tutti quelli, i borghigiani, cittadini che hanno perso la casa, molti sono arrivati nel comune di Travacò e hanno organizzato qualcosa per, insomma. [background noise] Abbiamo fatto due notti in un fienile, poi dopo siamo arrivati a Travacò e a Mezzano. Il podestà di allora, un certo Bruschi che, pur essendo fascista ci ha molto aiutati, siamo andati nelle scuole di Mezzano e i nostri genitori e tutti gli altri adulti hanno organizzato una mensa, son arrivati i generi alimentari, c’è stato un enorme, una cucina per cuocere i cibi. Dopo una settimana che eravamo lì, un giorno pioveva a dirotto, sono arrivati la Feldgendarmeria tedesca, che sarebbe la polizia militare tedesca, con un sidecar, questi due uomini mettevano paura, grandi, grossi, con questo soprabito di cuoio nero, ci hanno imposto di lasciare immediatamente le scuole e ci siam trovati in mezzo alla strada che pioveva. Eravamo un centinaio, figli, genitori, ma subito è arrivata la solidarietà del paese e ci hanno ricoverato un po’ di qui un po’ di là. Insomma la cosa è andata bene insomma, non c’è stato altro e devo dire che io da ragazzo mi ricordo ho vissuto lì fino, da settembre a due mesi prima della guerra, un paese dove, tenuto conto che mio papà era un segnalato come sovversivo, problemi non ne abbiamo mai avuti, quindi la cosa. Poi la liberazione è giunta che abitavamo già a Pavia.
FA: Ha parlato di generi alimentari.
TM: Sì.
FA: Si ricorda da dove, chi era, non so c’era un ente?
TM: I generi alimentari ce li portava il comune di Pavia.
FA: Ah, il comune di Pavia.
TM: Sì. Però dicevano, io ho saputo, che dovevamo procurarci un mezzo per arrivare da Travacò a Pavia a prender la roba, farina, riso, pasta, no. E questo podestà fascista Bruschi Pierino ha messo a disposizione un carro col cavallo e uno di noi mi ricordo ancora chi era andava a Pavia a prelevare la roba. E sono arrivate anche le brande. Il comune di Pavia ha messo a disposizione le brande e i generi alimentari. Devo dirlo con schiettezza. Cioè, pur nel disastro, il comune di Pavia è stato attento a queste cose.
FA: A queste esigenze. Prima ha detto che lungo gli argini vi erano delle, diciamo delle postazioni antiaeree, delle mitragliatrici.
TM: Sì, sì.
FA: Erano, vi erano soldati italiani o tedeschi?TM: Italiani. Erano quelli della milizia fascista.
FA: Ah, le milizie.
TM: Io, noi li conoscevamo anche perché alcuni abitavano lì vicino. La milizia fascista eran della gente che, la miseria era tanta, l’occupazione era, andavano nella milizia, alcuni andavano per sopravvivere.
FA: Per sopravvivere.
TM: Perché poi portavano a casa il rancio che gli davano in caserma. Io avevo due amici di figli, erano figli di due fascisti che erano nella milizia. E han fatto delle piazzole che adesso nell’argine non si vedono più e hanno piazzato queste mitragliatrici. Noi andavamo là a vederle eh. Erano rivolte verso là.
FA: Verso là.
TM: Però ci hanno detto gli esperti che erano stati a fare il militare che queste mitragliatrici agli aerei americani non gli facevano nulla. Soltanto però qui in questo, più più a nord di questo rione c’era una postazione di antiaerea tedesca, quella lì sì era..
FA: Vicina al cimitero forse.
TM: No, dopo.
FA: Ah, più in là?
TM: Più in alto. Addirittura c’è, lì c’è stato un, c’è uno stele che ricorda un antifascista che è andato a parlamentare con i tedeschi il giorno della liberazione per evitare che, perché loro minacciavano di bombardare tutto, è andato lì a parlamentare con i tedeschi, l’hanno ucciso. C’è ancora lo stele lì, in Piazza, Piazza Fratelli Cervi.
FA: Ah.
TM: Sì. Beh volevo dire che sì, quello che m’ha chiesto lei sulle piazzole erano nell’argine che dal Borgo va al Canarazzo, che va a Carbonara al Ticino, c’erano le piazzole della [laughs]
FA: Ah.
TM: E poi dopo il bombardamento del Ponte della Libertà che chiamavano dell’Impero una arcata è stata centrata dagli aerei americani e han fatto, i tedeschi han fatto il traghetto, traghetto con dei barconi, traghettavano e traghettavano dopo il ponte della ferrovia che era crollato anche lui. E noi andavamo a vedere tutte queste robe qui. Eravamo ragazzi. Il giorno della liberazione eravamo lì. Vedevamo i vigili urbani con la fascia tricolore il 25 di aprile in bicicletta. La città oramai era praticamente in mano agli insorti. I tedeschi si riunivano nel Castello Visconteo d’accordo con le forze partigiane. I fascisti erano scappati, c’era ancora qualcuno che per esempio dalla centrale dell’università un fascista ha sparato, poi è stato preso. E noi abbiam vissuto anche quello, da ragazzi eravamo lì rischiando anche perché c’erano dei proiettili vaganti. Fino al 26 aprile quando sono arrivate le, proprio le formazioni partigiane dell’Oltrepò Pavese dirette. Che poi il professor Lombardi ha fatto un bel libro dove parlavano di queste cose, della missione che i partigiani dell’Oltrepò Pavese hanno fatto, a Dongo hanno, quando hanno catturato Benito Mussolini.
FA: Va bene.
TM: Io le ho vissute con l’entusiasmo dei quindic’anni e non ho mollato più.
FA: Eh sì, quindi eh, poi lei dopo quel il primo bombardamento diciamo che ha subito vi siete spostati a Travacò. Avete continuato ad avere notizie, a vedere i seguenti bombardamenti sul borgo?
TM: No, noi, mia mamma e mio papà venivano, io rimanevo a Travacò venivo naturalmente a vedere di recuperare le cose che c’erano sotto i bombardamenti. Devo tenere conto che mio nonno aveva una bella attività di lavoro. Intanto erano lavandai, lavava la, erano lavandai il nonno e la nonna, avevano i clienti che portavano la biancheria da lavare. E mio nonno aveva un torchio, lo chiamavamo un torchio, era una centrifuga per strizzare i, che poi è venuta la lavatrice, ma era questo enorme cilindro che girava per strizzare i panni delle lavandaie. Anche lì l’abbiamo perso, abbiamo perso cinque barche, abbiamo perso molte reti da pescatori, insomma siamo stati molto danneggiati, siamo rimasti. Poi mio papà si è dato da fare per, come tutti, ricostruirsi una vita, cominciato a fare il commerciante di frutta e verdura e così.
FA: Ha detto che suo papà lavorava dall’altra parte del Ticino.
TM: Lavorava dall’altra parte del Ticino che era la ditta Cercil. Era una ditta specializzata che i tedeschi non la trasferivano in Germania. L’hanno fatto lavorare in Italia. Mio papà era preoccupato perché molti operai specializzati venivano trasferiti in Germania a lavorare per l’industria bellica tedesca. Per fortuna quella fabbrica lì non è stata smontata e ha continuato a lavorare fino agli ultimi giorni di guerra lì. E per io papà era un bel rifugio oltre che posto di lavoro per vivere era, cioè tenuto conto che lui era considerato un sovversivo, come li chiamavano stato mandato al confino sei mesi perché cantavano il primo maggio all’osteria e per lui era una salvezza eh avere un posto di lavoro così. Aveva una tessera per poter fare i turni di notte perché c’era il coprifuoco. Dopo le nove e mezza di sera non si poteva più girare. Se ti prendevano senza documenti venivi fucilato. Io ho vissuto tutte queste robe qui. Andavamo al cinema alle sette di sera perché era l’ultimo spettacolo. Andavamo tutti al cinema per scaldarci perché non avevamo più niente da bruciare in casa. Mancava la legna, mancava tutto.
FA: E la fabbrica di suo papà non è mai stata toccata da nessun bombardamento, nessun danno?
TM: La fabbrica, no, la fabbrica di mio papà si trova vicinissimo il viale lungo il Ticino e si trovava in Via Della Rocchetta. Che adesso han fatto, in quel cortile lì, han fatto abitazioni civili ma era la fabbrica Cerliani che l’altra è più avanti è stata fatta qui al Chiozzo c’è una fabbrica Cerliani.
FA: E producevano?
TM: E producevano filiere, meccanica, meccanica fine, roba non so. Io non sono pratico, non sono mai entrato in una fabbrica. Era proprio. Parlava, papà parlava di ‘ho l’esonero’ cioè non sono esonerato a non andare in Germania con gli operai
FA: Certo.
TM: E perché smantellavano le fabbriche i tedeschi e trascinavano gente in Germania a lavorare. Molti non rientravano più. Beh, da quel punto di vista lì ci è andata bene.
FA: Voglio farle un’altra domanda. Nella zona intorno a casa sua e del borgo, c’erano dei rifugi antiaerei, c’erano?
TM: No, in borgo non c’erano rifugi antiaerei. Noi scappavamo, i boschi dietro a via Milazzo, ancora adesso, c’erano i boschi. C’è il bosco fino a verso Travacò e noi ci [unclear], intanto sì rispetto ai bombardamenti l’abbiam fatta franca però se mitragliavano il bosco non era tanto, ti prendevano. No, a Pavia c’erano delle case, dei palazzi con, io ci sono stato perché andavamo a scuola, con i rifugi antiaerei che con le bombe americane erano, pff! E perché hanno centrato il borgo? Il borgo l’hanno centrato per via del Ponte Vecchio. Perché, se guardiamo bene la mappa di Pavia, i primi due ponti a saltare per aria nettamente sono stati quello delle ferrovie e quello cosiddetto dell’Impero che è Viale della, che è quello della Libertà
FA: Libertà.
TM: Mentre invece il Ponte Vecchio proprio per essere coperto, dalle fotografie inglesi che hanno fatto non veniva fuori netto il ponte, per cui ecco perché la parte di Borgo Ticino ha avuto dei danni con le bombe. Che loro volevano centrare il Ponte Vecchio, l’hanno centrato ma non l’hanno fatto saltare in aria. Ponte Vecchio, quello preromano, quello romano pre spagnolo, non è mai andato giù nettamente come non gli altri ponti. Per cui, no, non c’erano rifugi antiaerei come li ho visti io, in città, nei palazzi, dove si andava in cantina e queste cantine erano sostenute da pali, da travi, sacchetti di sabbia, no, in borgo non c’era niente.
FA: Insomma, ci si doveva arrangiare.
TM: E’ stata una carneficina perché i morti sono stati tanti. Poi è saltata per aria, il bombardamento successivo, la parte della città dove, viale lungo il Ticino, cioè la Via Rezia, che è stata colpita a metà. Lì avevo la nonna e la zia che abitavano lì hanno perso la casa anche loro. Però essendo sui posti di lavoro in un’altra parte si son salvate.
FA: Ho capito. Ehm, lei ha parlato prima del suo rapporto, del rapporto della sua famiglia con quel soldato americano ecco. Nonostante, diciamo il fatto che foste stati bombardati, questo vi ha?
TM: Ah per noi, gli abbiamo accolti con perché poi c’era questa atmosfera, caro giovane. Un po’ i fascisti ironicamente li chiamavano liberatori, tra virgolette, no, ma erano per noi, pur nella disgrazia. La guerra intanto non l’abbiamo, non c’entran niente gli americani, la guerra l’ha voluto il fascismo, per cui, vabbè, la mia famiglia, ma come in tutte le famiglie di gente povera, eravamo ridotti talmente male che aspettavamo gli americani. E devo aggiungere per inciso che noi, in Via Strada Nuova c’è ancora una farmacia che si chiama Farmacia Tonello. Un bel giorno sono arrivati i poliziotti in borghese, sono andati dentro da questo farmacista anziano, adesso vanno avanti i nipoti, e l’hanno arrestato, lo abbiamo saputo dopo, perché ascoltava Radio Londra. Radio Londra, io l’ho sentita, perché mio papà si sintonizzava alla sera c’era questo colonello Stevens che diceva [hums the beginning of Beethoven’s 5th Symphony] ‘Qui è Londra che parla’. Parlava in perfetto italiano e ci, ci aggiornavano. Parlavano anche dell’Armata Rossa che stava avvicinandosi alla Germania e parlavano anche che loro ormai erano arrivati anche in Italia, erano sbarcato giù, sapevamo tutto. E hanno arrestato il farmacista Tonello perché l’hanno colto in flagrante mentre ascoltava Radio Londra.
FA: Radio Londra.
TM: Naturalmente dopo due o tre giorni l’hanno rilasciato, era un uomo vecchio. Anche questo episodio ho sentito. E sì, Radio Londra trasmette. E noi, quel giorno che è arrivato, come detto, questa jeep americana, si è fermata nel piazzale pieno di macerie, eh noi ragazzi eravamo tutti attorno, per noi gli americani, intanto per la prima volta vedevamo gli americani, vedevamo gli inglesi, no. Gli Inglesi avevano nel loro esercito, avevano anche gli indiani col turbante e gli americani, questo americano si chiamava Dino, mi ricordo, non mi va via più dalla mente e per noi, lui, io avevo quindic’anni, questo soldato americano avrà avuto ventidue, ventitre anni, era un ragazzo come noi quasi insomma. Ci ha riempiti di cioccolato. Non potete, voi adesso non potete immaginare la contentezza che aveva il popolo italiano pur nelle macerie, pur, molti morivano di fame eh, perché ho saputo dopo, gli ospedali si sono riempiti perché la gente non mangiava. Io ero considerato uno scheletro. Io mi sono sposato con la mia compagna qui che ero sotto peso. Era il 1957. Ne portavo ancora le conseguenze, del mangiare che non abbiamo fatto. Per cui, loro ci hanno buttato giù la casa ma per noi ci hanno liberato.
FA: OK. Dopo.
TM: Viva gli alleati!
FA: Dopo il bombardamento del 4, è, ehm è tornato su in borgo o?
TM: Certo [emphasises], ci vado quasi tutti i giorni. Ho ancora qualche amico ma il più è il posto e naturalmente il territorio di Travacò. [pause] Ogni martedì, con i due o tre amici che ho ancora, andiamo in un’osteria di Travacò, non tanto per mangiare, possiamo mangiare anche a casa no, ma tanto per trovarci.
FA: Ho capito. Ehm, può descriverci le devastazioni diciamo che ha subìto, le devastazioni che ha subìto il borgo?
TM: Dunque, prima di tutto io ho saputo, dopo, dopo quella mattina del quattro di settembre del ’44, siamo fuggiti, siamo fuggiti, siamo scappati, un po’ di qui, un po’ di là, come ho ricordato prima, a Travacò, ma i bombardamenti si sono susseguiti. C’è stato una carneficina perché poi la gente si spostava verso San Martino. Presente Via Dei Mille? E sono andati in un tunnel che attraversava la strada e questo tunnel è dalle parti di, via sempre di Via Dei Mille, all’altezza di Strada Persa. C’era questo tunnel e la gente, per loro era diventato un tunnel antiaereo. Molta gente è andato dentro in questo tunnel. Alcune bombe sono arrivate anche lì, ma non perché hanno saltato, hanno bucato la strada, una bomba è esplosa ai lati del tunnel, c’è stata una carneficina nel Borgo.
FA: Lo spostamento d’aria.
TM: Sì, il piazzale attuale del borgo è stato tutto distrutto, chi lo vede adesso vede le case recentissime, solo la parte sinistra andando in là dove c’era la farmacia erano rimaste le vecchie case, per il resto son tutte nuove. Abbiamo perso degli amici lì, molti amici, ci giocavamo assieme. Nel mio cortile ci son stati dodici morti di anziani e gente appena arrivata. Ma la parte centrale [emphasises] del Borgo Ticino, cioè all’imboccatura del ponte vecchio, che c’è il piazzale che si chiama Ferruccio Ghinaglia, lì ho perso quattro o cinque ragazzi della mia età, non ci sono più, son rimasti lì. Per cui il borgo è, c’è un monumento lungo il Ticino voluto da un mio carissimo amico che adesso non c’è più, Calvi Agostino, che continuiamo a raccontare un po’ di cose sul calendario della AVIS tutti gli anni raccontiamo qualcosa del borgo, tutto lì. Naturalmente la Via Milazzo è stata salvata, salvo [emphasis] il mio cortile. Il mio cortile è stato l’ultimo a essere colpito da quella parte lì. Tutta la parte che va giù verso il Ticino si è salvata. Purtroppo noi siamo scappati, io non ho fatto più ritorno fin quando i miei genitori han trovato casa in città e anche lì un po’ ho stretto amicizia con i giovani del paese e mi ricordo, mia mamma aspettava mia sorella, che è molto più giovane di me e andavamo naturalmente siccome vivevamo in una stanza unica, meno male, era una stanza sia per dormire che per mangiare per cui, mentre mio papà era al lavoro, io e mia mamma andavamo in un’osteria a prenderci il cibo già pronto che ci cucinava per noi. Era bello insomma, vivevamo tranquilli in quel paese lì, trovavamo più da mangiare che non prima perché la campagna, insomma se ti dai da fare insomma, se hai i mezzi eh, perché se non hai i mezzi non c’è niente.
FA: Lei l’ha visto Pippo?
TM: Pippo, Pippo bombardava di notte. Bastava accendere un fiammifero che magari ti colpiva. Proprio davanti al mio cortile, se posso darti del tu no? Il mio intervistatore, come ti chiami di nome?
FA: Filippo.
TM: Filippo, ecco, caro Filippo, vai a fare un giro dopo. All’inizio di Via Milazzo, c’è il numero 9, è il mio cortile.
FA: Ah.
TM: Che ancora qualche fuori [muro] perimetrale, ancora la vecchia casa ristrutturate, dentro è tutto nuovo, perché è saltato per aria. Lì era il posto dove con le barche partivano di notte per andare a pescare. Caricavano le reti, erano sempre sei barche eh. Perché non era come il mare. Gettavano le reti nel fiume ma tiravano stando a terra gli,
FA: Ah.
TM: Per cui avevano bisogno di tanta manodopera, no. E avevano una lanterna, una lanterna a petrolio. È arrivato Pippo, ha lanciato uno spezzone, ha ucciso un uomo che, con un papà di un mio amico. Pippo ha colpito anche l’imbarcadero che adesso c’è dove c’è il ristorante Bardelli?
Fa: Sì.
TM: Lì c’era l’imbarcadero Negri. Pippo ha colpito anche lì. E devo dire che in una giornata bellissima come quella di ieri, a Travacò ero, ritornavamo da Pavia, io, mia mamma e mio papà che eravamo stati in prefettura a prendere qualcosa, ci davano un po’ di sostentamento, tutto a piedi eh. C’era un ricognitore inglese, un bimotore, che era talmente basso che si vedevano le figure degli uomini che c’erano dentro nella carlinga. E a volo radente eh. Noi ci siamo, ah beh la paura era tanta perché mitragliavano. A Cava Manara hanno mitragliato un corteo funebre, hanno mitragliato proprio il carro funebre. E non so, erano convinti che era una manifestazione di fascisti [laughs] o di tedeschi, vabbè e noi, si aveva paura anche di questi aerei che poi risultava un ricognitore. Sono quelli che facevano le fotografie, sempre inglesi erano. E quel ricognitore me lo ricordo sempre, una bestia sopra di noi, abbiam visto le figure degli uomini perché il bimotore aveva la carlinga senza motore, i due motori erano, sì, mi ricordo anche questo.
FA: Li avete visti quindi distintamente.
TM: Sì, li abbiamo visti benissimo e ci siamo scansati, ci siamo buttati giù a lato, io, mia mamma e mio papà. Eh sì, poi io ho sempre avuto paura di, sono rimasto scioccato. Andavo a nascondermi nei fossi asciutti del Travacò, uscivo sempre, io avevo il terrore di stare in casa fino a quando poi mi è passato ed è finita la guerra [laughs].
FA: Ho capito. Senta le faccio una domanda che...
TM: Sono qua.
FA: C’entra diciamo relativamente meno con il discorso che stavamo facendo. Lei nel ’48 era già all’interno del Partito Comunista?
TM: Ero già all’interno, devo dire che nel Partito Comunista il giorno della liberazione erano il 40, 25-26, i partigiani sono arrivati il 26-27, naturalmente si ballava si, c’era una grande confusione anche, il, ho visto, han portato un carico di fascisti che hanno fucilato in Piazza d’Italia, era la mattina del primo maggio o due maggio. E io, come ragazzo, ho aiutato, ho detto: ’ cià, vedete in Corso Mazzini, venite, venite aiutarci’, c’era un carretto dallo studio dell’avvocato Sinforiani che poi è stato eletto senatore della Repubblica trasferito un sacco di roba, cartacea no, dentro nelle casse con questo carretto del fruttivendolo li abbiam portati in Broletto. Il Broletto, bel palazzo eh, è stato occupato sia dai comunisti che dai socialisti, primo piano i comunisti, secondo piano i socialisti. Io naturalmente sono andato lì e ho partecipato a questo trasloco di documenti da Corso Mazzini e da allora sono entrato al Broletto aiutando questi partigiani che portavano la roba lì, si è instaurata la federazione comunista. Da allora ho frequentato, perché mio papà è diventato ambulante con un banco fisso di frutta e verdura in piazza, proprio di fronte al Broletto per cui vivevo lì e non ho mollato più. E allora non era ancora rinata la Federazione Giovanile Comunista perché è rinata nel ’49, io ho partecipato alla costituzione perché ero lì. Nel partito comunista se non avevi sedici anni non ti prendevano
FA: Ah!
ed eri considerato membro candidato, io ho ancora i documenti, e dovevi essere presentato da tre persone adulte perché allora la maggiore età si aveva a ventuno anni. Ma nel partito ti prendevano a sedici anni come membro candidato e ti davano la tessera ma eri oggetto di indagini, da dove venivi, chi eri e. Questo è importante. E sì, l’ho avuta, ma nel ’46, nel ’45 no, ero lì senza tessera. Ma avevamo il Fronte della Gioventù, che era un’organizzazione nata nella resistenza fatta di giovani liberali cattolici, comunisti, socialisti, era il Fronte della Gioventù. E abbiamo occupato i locali della ex-GIL, che adesso c’è il comando vigili di Pavia,
FA: Ah, sì.
TM: Là dalla curva. Sì siamo andati lì, abbiamo organizzato anche la balera, facevamo ballare, dappertutto si faceva ballare allora. Poi naturalmente noi eravamo comunisti. E nel ’48 ho partecipato al, alla battaglia elettorale che, la battaglia elettorale era una roba, bisognerebbe parlarne bene di queste robe, era una battaglia con i manifesti che la Democrazia Cristiana ci batteva tutti. Andavano ad attaccare i manifesti anche sotto le grondaie per via che loro avevano le scale delle chiese, è importante!
FA: Quindi belle lunghe.
TM: Lunghissime, che noi non avevamo. Noi potevamo al limite arrivare a tre metri. E poi loro avevano più mezzi.
FA: Bene.
TM: Ho partecipato a questa battaglia. Mi ricordo che il primo, abbiamo fatto una roba che, una roba da giovani. Il partito comunista ha fatto un bellissimo manifesto ‘Quo Vadis, dove vai, o Signore?’ e l’abbiamo messo sotto il portone del vescovado nottetempo. Però siamo stati individuati ma non siamo stati presi in flagrante e poi dopo ce l’han fatta pagare per il lancio dei volantini nei cinema. Si andava in guardina una notte, a lanciare i volantini nei cinema non autorizzati [emphasises] ti beccavano, andavi in guardina fin domani mattina.
[Doorbell rings]
TM: Tonia, guarda un po’. E, bisogna ricordarle queste cose, ai manifesti,
Unknown speaker: Chi è?
TM: il partito mi mandava in questura a portare i manifesti, bisognava metter la marca da bollo e venivano listati.
TM: Chi è?Ormai ci pensa lei, eh.
Unknown speaker: La signora Casella
TM: Venivano listati, bisognava andare in questura, allora c’erano le marche da bollo. Poi il partito mi mandava senza essere funzionario andavo con la corriera che si chiamava la Lombarda a .Milano con i soldi nella borsa a prendere le tessere. Era dove c’è la Mediobanca a Milano c’era l’Alto Commissariato Altitalia che per tutta l’Italia settentrionale c’erano le tessere e i bollini del partito e bisognava andare là con i contanti e prendere, a fare i prelevamenti, mandavano me che avevo diciotto anni, diciannove anni. Poi sono diventato funzionario del partito. Poi ho smesso quando non ne potevo più. Non si mangiava perché il partito, sì esisteva la cifra dello stipendio ma che non vedevamo mai e fin quando ero solo tiravo ma poi dovevo sposarmi e ho dovuto, non uscire dal partito ma non fare più il funzionario, lavorare con mio papà a vendere la frutta e la verdura per poi andare in Comune a lavorare.
FA: Va bene.
TM: Altro, io sono sempre a disposizione.
FA: Va bene allora la ringraziamo per questa intervista.
TM: Che cognome hai?
FA: Andi.
TM: Anni?
FA: Andi.
TM: Andi. E Filippo.
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Title
A name given to the resource
Interview with Tullio Magnani
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Tullio Magnani remembers his wartime years in the Pavia province. Although his father was blacklisted as a subversive communist he did not have any trouble at school. He recounted his role as a young resistance helper smuggling food rationing coupons, while working as a shop boy for a well-known antifascist. Remembers being an eye-witness to the bombing of Milan from Pavia. Retells of a machine gun being set up by fascists on the Ticino river bank, which proved ineffective against allied aircraft. Mentions the strafing of a funeral procession at the Cava Manara municipality carried out by what was thought to be a spotter aircraft. Remembers 'Pippo' bombing at night and targeting the fishermens wharf. Stressing how, during the intense bombing and strafing of Pavia on 4 September when they lost everything, the local fascist authority of Travacò municipality was very helpful in providing them with cots, food and lodgings in a school. Mentions wartime episodes: people seeking refuge in a tunnel used as a makeshift shelter and the carnage that ensued from the bombing, a chemist being arrested for being caught red-handed listening to Radio London, how some driven by poverty and hunger, joined the fascist guards and resorted to going to the cinema before the curfew to find a warm place to stay. Explains how Pavia’s old bridge, unlike the other two which were hit, was not hit by the bombers because it was not clearly visible in the reconnaissance photographs taken from aircraft. Describes the celebrations at the end of the war and reflects on the duality of bombers / liberators. Remembers seeing for the first time an American soldier called Dino, who gave them a soap crate as a gift for washing his laundry. Mentions post war acts of revenge, his role in the local branch of the communist party, the 1948 general election, and how he did not get a job as a tax collector because of his political persuasion.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Filippo Andi
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-03-03
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:52:11 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AMagnaniT170303
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Po River Valley
Italy--Milan
Italy--Pavia
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1944-09-04
1948
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
anti-aircraft fire
bombing
childhood in wartime
home front
Pippo
Resistance
shelter
strafing
-
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Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Di Blas, Guido and Bolletti, Ilario
Description
An account of the resource
This collection consists of a dual oral history interview with Guido Di Blas and Ilario Bolletti who recollects their wartime experiences in Monfalcone and surrounding areas.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Bolletti, I
diBlas, G
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-08-26
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
PC: Sono Pietro Comisso e sto per intervistare Di Blas Guido e Bolletti Ilario, per l’archivio digitale dell’International Bomber Command Center. Siamo a Monfalcone, è il 26 8 2016. Grazie Ilario e Guido per aver permesso questa intervista. Prima di cominciare vorrei farle alcune domande per essere sicuro che questa intervista venga registrata come desidera. Ilario, è d’accordo che la sua intervista venga conservata presso dall’Università di Lincoln, esclusivamente per scopi non commerciali, che l’Università di Lincoln ne abbia il copyright e infine essere liberamente accessibile in qualsiasi formato per mostre, attività di ricerca, istruzione e come risorsa online?
IB: Va bene.
PC: È d’accordo che il suo nome venga pubblicamente associato all’intervista?
IB: Va bene.
PC: È d’accordo ad essere fotografato per l’Archivio Digitale dell’International Bomber Command Center?
IB: Va bene.
PC: E Guido: è d’accordo che la sua intervista venga conservata presso dall’Università di Lincoln?
GDB: Sì, sì.
PC: È d’accordo che il suo nome venga pubblicamente associato all’intervista?
GDB: Sì, sì, sì.
PC: È d’accordo ad essere fotografato?
GDB: Sì, sì.
PC: Bene, possiamo cominciare. Raccontatemi il vostro più vecchio ricordo riguardante i bombardamenti aerei su Monfalcone? Comincia chi vuole, chi preferisce.
IB: Posso parlare?
PC: Prego, prego.
IB: Io ero a vedere di Delfo, non c’ho la data, si era a, ci hanno preso con una, detti di andare a questa festa invece doveva essere un, i fascisti facevano un, sì che era Delfo ma non era solo Delfo, dovevano fare.
GDB: Manifestazione.
IB: Una manifestazione sua, e in quell’epoca è venuto un bombardamento e spessonamento, dove eravamo lì e si scappava dove si poteva e io ho preso un, un legno in testa che sono corso fin a Monfalcone da una zia che aveva una cantina e fin a lì, fin a poi passato il bombardamento, e ho saputo dopo che erano più morti, basta.
PC: Mi diceva di una bambina, mi raccontava.
IB: Sì. Ero con, su un bunker chiuso che non, non era aperto, eravamo lì e era anche un tedesco, e una bambina ferita alla testa con, che dopo ho saputo che è morta [pause] questo tedesco l’ha, è andata a prendere e portarla sotto lì, dopo no ho saputo più niente perché siamo scappati via e così è finita questa cosa qua. Cosa vuoi sapere altro?
PC: Parli pur liberamente di quello che si ricorda, qualsiasi cosa.
IB: Eh. E della guerra che, una volta per esempio i pescatori, mia nonna vendeva pesse in piassa per pre, quando era la mafia del pesse, non poteva venderlo come lo vendi oggi, e veniva spartito mezzo chilo di sardine facendo la fila in mercato, non era come oggi che puoi andar comprare la, il pane con la tessera, tutte quelle cose lì. Ecco, basta. Guido, parla ti!
GDB: Allora, mi ricordo el bombardamento di San Giuseppe nel ’44, quando abitavamo sempre lì su per Borgo San Michele, questa casa popolare con cinquantasei famiglie, io avevo nove anni e mio fratello ne aveva due anni più di me, due anni e mezzo più di me, Mario che adesso è morto, con una gamba poliomelitica, e quando abbiamo sentito tutt’un momento di scoppi tremendi e siamo usciti da casa scappando via, il cielo era illuminato coi bengala come a giorno, un spettacolo che mi è rimasto impresso che no mai dimenticherò, ma una scena apocalittica: le fiamme e i scoppi delle bombe del cantiere, una cosa, una cosa, un bambino di nove anni vede così, mio fratello; allora mia mamma, siamo scappati lungo il canale, l’argine e ‘ndavamo verso il monte verso, verso
IB: ‘Ndo che iera le grotte.
GDB: Dove c’erano le queste nostre grotte, ‘vevamo scavato un paio di grotte lì, per nascondersi; e ‘lora mio fratello e mia madre ‘Forsa Mario corri, corri’, lui non poteva, lui rimaneva dietro e noi, mia mama, ‘na cosa, ‘na cosa tremenda, lui faceva fatica a correre, no, lui aveva undici anni, e insomma siamo arrivati a lì, ma, ma questa scena apocalittica che ho visto io mi rimarà sempre nel, nel mie occhi. Ecco ‘l bombardamento, e poi mi ricordo che era venuto anche mio nono del Friuli di Terzo d’Aquileia, era venuto vedere dopo, l’indomani, anche cos’è succeso, quanti morti, e mi ricordo che siamo ‘ndati in cantiere e nel vecchio teatrino della Marcelliana, io ho sbirciato, mio nonno è andato dentro, era ancora tutte le, i morti messi lungo per terra là erano così, una scena anche da non vedere, ma ho visto dalla porta così, no, e mio nonno è andato a vedere. Ecco, questo è un ricordo brutto. Un altro ricordo è lo scoppio, lo scoppio della galleria, anche quella volta mi sembra fosse stata l’alba, perché abbiamo sentito questo tremendo scoppio, noi abitavamo, ‘vevamo la camera dietro verso la ferrovia, de questo grande caseggiato, case popolare, e io mi sono affacciato alla finestra e ho visto queste fiamme di fuoco che uscivano dalla galleria, no, ma anche di quella scena mi è rimasta una scena tremenda. Un altro [sic] immagine tremenda che mi è rimasta scolpita come, come ragazzo, non a Monfalcone, ma a Terzo d’Aquileia, ‘na stazione dove abitavano i miei nonni materni. A Terzo d’Aquileia io e mio fratello sempre andavamo là per motivi anche di, per mangiare roba non, un po’ di terra così, e avevano lungo la ferrovia da Cervignano a Belvedere, i tedeschi da Cervignano portavano dei vagoni anche, deposito di benzina qualche volta, facevano queste piccole stazioni fuori, no, da Cervignano, ecco, e mi è capitato che io e mio fratello ecco, anche in estate, l’estate del ’44, anche questo fatto qui, sono una squadriglia di caccia inglesi Spitfire, quelli che, veloci.
IB: Mitragliaven, cacciabombardieri.
GDB: Ecco e son capitati io, io, sulla ferrovia che raccoglieva, c’era un piccolo fosso dall’altra lato, tre binari, e io ero in mezzo lì, e un operaio che lavorava nella ferrovia, e son capitati questi caccia in picchiata, e io ho visto il pilota con gli occhiali, no, che venivano giù in picchiata e mitragliava e lanciava queste bombe, 500 libbre mi sembra che erano, o 1000 libbre, e una è rimasta anche inesplosa che l’ho vista, e son cadute nel campo di mio nonno, vicino lì, che ha fatto queste buche. Ecco io mi domando perché, vedere noi, due bambini lì, questi piloti inglesi accanirsi a mitragliare. Ma cosa mitragliavano? Io ho visto il pilota sa’, gli Spitfire e [makes a wooshing sound]
IB: Eh ma la guerra era guerra.
GDB: Tremendo, tremendo! [emphasis] Sono quelle scene che adesso io immagino chi va coi bambini che vedono la guerra, oggigiorno, capisco cosa vuol dire. E prima di questo era successo sempre lì, ‘na notte, il famoso Pippo, ha sentito parlare di Pippo?
IB: Sì, sì.
GDB: Il bimotore che girava.
IB: Iera qua.
GDB: Io dormivo nella camera e ha lanciato sempre sulla stazione un paio, due bombe che sono esplose, che la camera, i vetri son saltati, [emphasis] ma un spavento, un spavento impressionante, ecco. Son quelle cose che non vanno via, che son, colpiscono e ti rendono la vita, capisci ‘desso cosa vuol dire quanta fatica questi bambini per arrivare adulti quante prove che la vita ci provoca, no.
IB: Quel del treno blindato.
GDB: E poi anche a casa mia, non era a casa mia mama.
IB: Sì.
GDB: Subito verso, verso la fine de la guera.
IB: [unclear] La fine de la guera, no, i giorni prima.
GDB: No, è passato un treno blindato, sempre una ferrovia lì, dalla rotta.
IB: I gà sparà verso de noi.
GDB: Ecco, e ha mitragliato anche la nostra casa lì.
IB: Sì, sì!
GDB: Hanno forato il muro.
IB: Mi, mi un scuro caduto giù e lui ha cacciato tutto dentro e ha preso il contatore de l’acqua.
GDB: De l’acqua.
IB: E l’è esploso nell’attacco fuori [unclear].
GDB: Il treno blindato che è passato è andato via fuori da lì, no. Poi altri ricordi, dei flash, le dico solo dei flash della mia, siccome che lì dov’è l’ospedale adesso c’erano sei, otto, batterie antiaeree tedesche erano lì.
IB: Sì, lì che sé l’ospedal.
GDB: E lì, ecco, lì.
IB: Sì. I gà tirà lì quei li, lui iera via, ier ‘ndati i sfolati lori.
GDB: In Friuli, ma ogni tanto venivo giù.
IB: E invece noi siamo stati lì noi, no gavemo né parenti né niente.
GDB: E quegli anni là, quando passavano ma centinaia di aerei, i B-29, formazione che ‘ndavano a bombardare in Germania, erano alti.
IB: I gà tirà giorno e notte.
GDB: E lori tiravano queste nuvolette, [mimics anti-aircraf fire].
IB: I ultimi tempi proprio.
GDB: Cadevano giù le schegge anche là da noi lì.
IB: Iera proprio i [unclear].
GDB: Ma ecco, anche quei lì, quante fortezze volanti che son passate là, e una volta una è stata colpita.
IB: Sì, e i paracadutisti i sé cascadi qua, no i sé ‘rivadi [unclear].
GDB: Un aereo tentava di atterrare là dei partigiani.
IB: [unclear] L’ha cercà ‘ndar là dei partigiani. Invece no i ga arivai, li gà ciapadi i tedeschi e i fassisti.
GDB: I mitragliava, mitragliava.
IB: I fassisti che iera coi tedeschi, no, parché dopo.
GDB: I repubblichini.
IB: Sì, i repu, i repubblicani. E iera un prete che ga ciapà, iera anche un nero, che noi no lo gavemo mai visto un nero, no.
GDB: Ecco quei ricordi, quei ricordi, sì, de, che dopo altre c, altre cose lì, era un misto, sempre [unclear], al paese di mio nonno, sempre verso la fine dela guera, che i tedeschi prima di fuggire son passati di San Martino, no, ‘l paese di San Martino, dopo Terzo lì, e lì son stati attaccati, hanno ‘vuto un attacco, lì qualcosa, gli hanno sparato, e loro per rappresaglia hanno tirato su un, anche ragazzi de sedici anni.
IB: Era un treno blindato lì?
GDB: No no, lì li hanno presi per queste, e li hanno fatto rappresaglia e li hanno portati sul fiume, l’argine, andando a Terzo si vede ancora la lapide, e li hanno uccisi lì, ecco. E io ho visto passare, dopo, l’indomani, su un carro coperto col fieno, e li portavano verso il cimitero queste salme mon, sul carro, ecco. Vedi, quelle scene così.
IB: Sì.
GDB: Ecco. Tutto questo da bambino, da bambino, ecco. Altre cose Ilario?
IB: Ehh no so.
PC: Ho la domanda per Ilario: si ricorda un po’ com’è stato questo spettacolo del mago Delfo? Che ne ho sentito parlare, mi interessa saperlo questo.
IB: Sì, sì sì, semo ‘ndai là ma no go mio rivudo a vedere gnente, parché sé vignuo subito, semo scampadi via mi con me fradel, g’avevo un fradel più piccolo che sé morto [background noise], e semo scampadi via subito parché bombe, roba, de tut no sé stae niente.
GDB: In mezo al bombardamento.
IB: Ierimo ‘ndadi là con quela de veder, e ierimo tutti muli l’è, za dodici, tredici anni, quattordici anni, credemo che sia chissà cossa.
PC: Guido, prima me parlava de, dela galleria-rigufio; la me racconti quello che succedeva dentro la galleria-rifugio.
GDB: Ehh, tutti, tutti quei che abitavamo non la galleria grande, quelle piccole che ‘vemo noi, quelli de l’accasamento cinquantasei famiglie, che ‘raamo lì e ‘ndavamo su queste piccole.
IB: Quando che iera la guera e sonava l’allarme se scappava, sì.
GDB: E allora lì, una aveva vicina, perché un vecchio, un signore che ‘veva fatto la guerra del ’15-’18.
IB: Sì la g’emo scavada noi sotto.
GDB: Ha detto ‘Qui dev’esser una’, e c’era una grande busata sotto lì, e abbiamo, era pulita e ‘nsomma era la più vicina che era lì ‘nsomma, no, era abbastanza lunga come da qua a là, no Ilario, così lunga iera.
IB: Ehhla iera bela e granda, iera due entrate, cussì, no.
GDB: Perché sotto l’Austria, fatte sotto l’Austria quelle lì.
IB: Sì, iera dela guera del ’15-’18, lu ‘l se ga ricordà che iera sotto lì e g’amo scavà, parché lì vicin iera anche la cusìna, se ricorde che iera quel calabusata là, quando che sogaimo lì che iera.
GDB: Sì, sì, sì.
IB: Parché iera in tera.
GDB: E dopo ‘l nostro, dighe come che te faseimo risolver ‘l problema della fame, ‘ndaimo in cerca de pani.
IB: ‘Ndaimo a balini, ‘ndaimo.
GDB: Schegge, balini, su per i monti, purtroppo la nostra infanzia è vissuta in mezzo a tanti pericoli, ecco.
IB: Tanta miseria.
PC: Te me parlavi de questa foto qua che, recuperavisi le muizioni epoi ‘ndavisi a vender.
IB: Sì, sì.
PC: Conteme de questa.
IB: Ah ecco, poi, ‘pena finì la guera qua metevimo, una sotto cussì e meteimo la, la granata di là, qua [unclear] cussì, e qua la vigniva zo coi ditti neri [laugh], parché la granata che iera davanti, no, [unclear].
GDB: [unclear].
IB: Iera da drìo, no, meteva tal canon e i la tirava, no, e meteimo una cussì e la, e la ve dopo andavimo a scola e vendeimo la balistite, ghe disemo ‘Pol impisar al fogo’, invesse i feva.
GDB: Sa cosa facevo lui a Checco, coi vasi del Sidol, c’erano gli spaghetti, i famosi spaghetti là, li metteva dentro e dopo gli dava fuoco co’ la miccia e li lanciava, abbiamo inventato i missili, vai là, li lanciavo [makes whoosing sound], spettacolo, ai ai ai, sempre in pericolo lui, lui scop, dighe co’ te scoppiavi.
IB: No ma quan, no iero mi, poi ga fat lori ma mi no saveo niente, i g’aveva mes un, un tubo, carico de balistite, ma i ga sbaglià, i ga mes fulminante, no, e invece de scoppiar pian.
GDB: Metter la miccia?
IB: L’è soppià subito.
GDB: Ecco.
IB: Mi come che ‘ndavo fora ‘vevo giusto la man fora.
GDB: Ecco.
IB: Un mese de ospedal ho fatto, ma i te tignìa.
GDB: E poi cosa si faceva anche, Iaio ? Quando io ‘ndavo a pescar el pesse sul canal.
IB: Cu l’eletrico, butaimo su che sé l’alta tension, e gaveimo i fili che i tedeschi gaveva lassà.
GDB: Dei rodoli.
IB: Dei telefoni, no, telefonici, e mettemo ‘na ncorretta e tiraimo su oltre, e dopo tiraimo il filo e restava ciapà.
GDB: Sull’alta tension tra l’altro.
IB: Sì ma alta tension, e tal canal cu la voliga.
GDB: Una voliga, poi i pessi.
IB: Poi i pessi, vigniva, poi insomma, l’è restà morteggià, e ne trovo su.
GDB: E lù che ‘l me fa [unclear] [laughs].
IB: No [laughs], che mona, al sé ‘nda par cior el pesse, no, fortuna che ghe go tirà.
GDB: Ciapà ‘na scarica eletrica.
IB: No, ghe go tirà via el filo, al se ga distacà, i la gà risparmiada perché, bagnada e quela corente là, no iera a ven, a duecento.
GDB: Lungo il canale dell’ospedale lì, no, fino a Ponte Bianco, là così, tutta ‘na percorso di fili, alta tensione, e loro, un gruppo di giovani nuotavano su in alto [unclear].
IB: E una volta i tedeschi i se ha ribaltà, parché lì i muli, sa, i ‘ndav co’ sti gommoni no
[background noise]
PC: Tornando sempre al discorso della galleria-rifugio, che me disessi, voi me g’avè dito che sé stadi dentro due o tre volte durante la guerra proprio.
IB: Sì.
GDB: Quando l’era l’allarme, l’allarme.
IB: Sì.
PC: Ve ricordé cosa faseva le persone che iera dentro, proprio fisicamente dentro nella galleria?
IB: Eh i stava lì, i spettava, perché tante volte vigniva il bombardamento, tante volte no, ma l’allarme sonava e dopo sonava el cessato allarme.
GDB: L’alarme e il cessato alarme, sì sonava.
PC: Perché la domanda che mi me fasso, un momento de grande tension comunque perché no te sa se la casa.
IB: No te sa come che sé, cossa che l’è sta fora, o, quando che te sé dentro là, là te spetave.
GDB: Eh l’era un brusio de rumori, così, certa gente che fiadava, e iera eh, immagini del flash della galleria, sì mi quele quatro volte che ‘ndava, che me trovavo vissin Monfalcon ‘ndavo lì, ma se no ‘ndaimo sempre sul nostro, su le nostre piccole grotte che veimo qua, no, verso lì, ecco.
IB: Sì, se se trovave là te dove corer dove che iera, siccome che mi g’avevo la nonna che vendeva pesse in piassa sercavo de ‘ndar a ciapar un do pessi; i sé restadi anca schisadi un due.
PC: Te me racconti de questo fatto?
IB: Parché iera dei, i meteva dele trave, perciò che no posse un andar davanti dei altri, no, e la fila iera cussi’, pien de gente, no, pa’ ‘ndar a cior al pesse, e quel pesse che iera fin a col iera dava un po’ par’omo, e i ne dava fora cussì, iera l’ammasso per il pesse, no, i doveva portarlo tutti là, e dopo i ghe dava quel che ghe lo pagò, come che i ghe lo pagava, ma la gente ‘lmeno magnava.
PC: Perché lei la me ga contado anche che nella galleria-rifugio sé stada gente che se ga schisado durante un’allarme.
IB: Sì, sì, ma no iero là eh, noi staimo qua ma, dopo il gorno, quando che te sa subito, no, che i sé stai morti, par scampar dentro, iera ‘l bombardamento, parché se sé l’allarme ti va dentro pian, ma se sé bombardamento chi pol più, pianse meno, no i se, e par ‘ndar dentro sull’imbocco i se ga copà, che dev’esse’ ‘na brutta roba.
PC: Sì, sì, sì g’avemo trovado.
IB: Ma no so quanti, no me ricordo.
GDB: Dighe, dighe quando che i vigniva i tedeschi a far rastrellamento in casa mia, anche lì.
IB: I vigniva spesso perché iera tanti giovani che.
GDB: Partigiani.
IB: Tutti ‘ndadi coi partigiani, di fatti coi dovea sal, far saltar al ponte là, iera stadi i nostri de qua, del casamento lì, parché iera Renso, Santo; e una volta i sé vignui far rastrellamento e lu ‘l sé corso a casa San, Renso Bevilacqua, dopo i sé.
GDB: Tanti i ‘ndava sotto, sotto sui casamenti, sotto, te ricorditu?
IB: Sì, sotto de un casamento g’avemo,.
GDB: Fondamenta.
IB: Quando che iera rastrellamenti, quei che i era a casa, parché se no i li portava in Germania, i scampava sotto in cantina, ma iera la cantina bassa cussì.
GDB: Iera una portisela.
IB: Iera una portela e i ‘ndava dentro, e i ‘ndava in fondo là, e g’avea fat par fin a, serà che i ‘ndava anca de sora da sotto; per esempio Lino,.
GDB: Sì, sì.
IB: Lino proprio quel che sé morto lo, alla.
PC: A Ornella.
IB: Sì a Ornella, al g’avea fat sotto.
GDB: Una botola, sì.
IB: Sotto, sotto.
GDB: La casa.
IB: La casa, quando iera i rastrellamenti i ‘ndava sotto, gavav ‘l cappello.
GDB: Ecco, tutte robe.
IB: Ehh.
PC: E quindi per finire il discorso della galleria-rifugio, dopo sé stada questa famosa esplosion.
IB: Sì.
PC: Racconteme cosa che sé successo, se conosseve.
IB: Ehh i ‘ndava dentro par cior sti bossoli de otton, e i sé ‘ndadi dentro, i era dentro cu’ le candele, cun roba cussì e sé sta, sfilse, iera batterie, roba cussì, no sarìa sta quel che l’è vignù.
GDB: So che i ‘ndava, i sé’ndai più de ‘na volta dentro là.
IB: Sì.
GDB: Che i ghe ‘ndava [unclear].
IB: Ehh i g’aveva ferai, de nume, de roba, o che se ga rot qualcossa, parché nissun no sa, parché no sé sta, quei che i iera fora no ga rivà.
GDB: Perché ‘l cugin de tuo papà doveva esser responsabile.
IB: Sì, parché ‘l cugin de mio papà iera una guardia comunale, e lu no’l doveva lassa ‘ndar dentro ma, par la pecunia.
GDB: Ecco.
IB: Sé sta cussì, quei anni iera altri anni, de miserie, i g’veva fioi.
PC: E che voi ricordé anca alcuni nomi de queste persone, magari.
GDB: Due mi conossevo: quel lì de Ornella, Lino.
IB: Sì.
GDB: Che abitavimo assieme lì.
IB: E mi quel puntignì (?).
GDB: E quel Bolletti lì, che sé, sé la fìa ancora qua, che l’è infermiera [unclear].
IB: Sì, do casa qua, proprio qua da drìo.
GDB: Ecco.
IB: Una, una sorella sé morta, una sé viva, le iera tre, e quella muta.
GDB: Ecco, però, però, sì, mi no, mi no me lo ricordo quel Bolletti lì, nome lo ricordo.
IB: Ma anca mi.
GDB: [unclear] i ga lassà tutto.
IB: Sì, so moglie, sì che somo sempre, ierimo insieme. Anca quei iera vignui qua, no zera stai caquella volta?
GDB: Dopo, dopo, sì; mi, mi son de origine proprio monfalconesi, e noi, che noi staimo al baracche (?) de [unclear].
IB: Mi go i miei bisnonni tutti morti qua.
GDB: Dopo sé baracche(?) de [unclear], che iera vissin l’ospedal vecio, dove poi.
IB: ‘Pena finia la guera, ussio da me mama (?).
GDB: Dopo che sé tornadi indrìo tutti i profughi, i ha delle baracche fatte, no.
IB: Sì le baracche [unclear] staimo tutti e due.
PC: De là del canal iera?
GDB: Verso Via Buonarrotti.
PC: Mmmm.
IB: La Via Buonarrotti, là che iera l’ospedal vecio, vicin.
GDB: L’Ostaria del Placido, i carboneri iera.
IB: Sì.
GDB: Ecco, e dopo de lì, noi del ’38 semo ‘ndai a abitar.
IB: Lì.
GDB: Su sto palazzo grande ‘ga fatto in memoria del Duce. Mi no go conossuo mio nonno paterno, mio nonno paterno iera Capo della Finanza sotto l’Austria, Giuseppe se ciamava.
IB: E invesse.
GDB:... e iera, i ga dito, i ‘veva le caserme [unclear], però i zera pochi finanzieri, pochi finanzieri, e chi [unclear].
IB: E invece mi.
GDB: La giurisdizione le stada fin a Pieris di Turiacco.
IB: Me bisnonno Facchinetti, no, al iera a caccia con Francesco Giuseppe.
GDB: Ecco.
IB: Parché lori i stava a in Sdobba.
GDB: Ah ecco.
IB: I stava a Grado, i Facchinetti i è de Grado, me nonna iera Facchinetti, e la me contava de so papà mia nonna.
GDB: E mi,e so bepi sul, ‘l beche pescador là ‘l me contava de mio nono, che mi no l’ho conssuo mio nonno, iera in Afghanistan, no.
IB: Sì, sì, ma anca mi quel.
GDB: Alora ‘l passava.
IB: To nono me contava me papà.
GDB: Lungo el canal Valentinis, che era gente che la ‘ndava a pescar o tognar là, e lui ghe diseva ‘No, no se pol star qua, dové ‘ndar lavorar’, perché iera tante fabbrichette a Monfalcon, e i ‘ndava là, ‘ndava a lavo, lavorar, i li mandava a lavorar sotto l’Austria.
IB: So nono ‘l iera de Grado, fin a Duin ‘l g’era.
GDB: Sì, sì, ‘veva un bel.
IB: Tocco de, de vardar insomma.
GDB: E dopo se.
IB: In quei anni, ma era prima dela guera.
GDB: E dopo mi g’vevo dei zii, che no go cono, qualchidun zia no go conossù, e l’era anca [unclear]
IB: Sì, ma to bisnona la iera lì cun ti.
GDB: Le cose che mi ricordo di mia nona, che mi con mia nona, nel ’42, quei anni lì, andaimo, ela no la podeva caminar, ‘ndaimo co’ la carrozza ongi mese a cior la pension de l’Austria in Banca d’Italia, se ‘ndava, quei anni lì; e perché poi mandava ben l’Austria, pagava ben i suoi ex, no.
PC: Mi g’avesse ancora una domanda per lei, Guido, [background noise] come la se sente a esser stado bersaglio de qualchidun?
GDB: Scioccante, sé un trauma che l’è dificile cancelar, perché sé, sé robe, par impossibile che certa gente ga de accanirse magari anche contro dei putei giovani cussì, perché iera una, una stazion così de, de, che fossì sta in piena guera, ma mitragliar, i te vedi sti piloti che i te mitraglia co’ sti, sti.
IB: Ehh iera guera.
GDB: Ma, ma, ma, chi, chi chi.
IB: Lori no i saveva cos’ che iera.
GDB: Eh va ben, ma veder sti piloti co’ sti ociai cussì, che i vignìa zo in picchiata, e queste bocche ‘ tututututu’, e sganciava le bombe lì. Mio nono, che ha fatto un otto, dieci buse perché confinava con la ferrovia, no.
IB: Ma te vedi anche ‘desso.
GDB: Mio nono, co’ la carriola, da solo, i le ga stropade, sa?, mio nono, pian pian, pian pian, pian pian, col badil, sa?, cola pala, ecco, la grande costanza.
IB: Sì ma anca quel sarà [inclear] stropà tut.
GDB: No, no iera le ruspe quel’anno, col tut va a ciapr su che iera, ste bombe, buse de, mi me ricordo, go vue ‘nche, ecco. E i miei nonni quando che s’era in fin i ga dito che, semo rivai casa, che semo toradi de ritorno.
IB: Te sa cos’ che iera.
GDB: I pensava che ierimo tut morti, completamente morti, perché tut quel disastro che iera.
IB: Noi qua a Monfalcon anca semo vissudi un poco rubando il sal alla Solvay, o sui cari, o sui treni, che se saltava sui treni a cior carbon quando che i se fermava qua al semafero, se butava zo carbon o, se iera quei de sal, se ‘ndava su coi sacchetti, se impiniva de sal e dopo te lo vendevi, te ‘ndavi a ciapar pa’ roba, par ciò che i te dai la farina, ai contadini, qua a Monfalcon no iera niente, alora se ‘ndava in Friul, là, cul sal e te vivevi cussì, no.
GDB: Vigniva le navi de sal al porto, e rimaneva sula banchina tanto sal, e i ‘ndeva.
IB: Sì, ma anche, ma noi ‘ndeimo anca de note, de note cu’ me nono, te ghe davi ai fassisti, te ghe davi un do lire,i te lassava ‘ndar dentro, te ‘ndavi in scogliera, te impinivi un sac e te portava un, do, tre sacchi e dopo te li mettea, noi g’eimo i casoni, no, al porto qua, a Porto Rosegai.
GDB: In Friuli ifa bisogno del sal, per copar i maiali.
IB: Sì eh, lori par copar i porchi, una roba o l’altra voleva ‘l sal, iera come l’oro ‘l sal, e lori no i dava roba de magnar.
GDB: Ecco, ora contando ste robe qua, attualmente, anche mi go i nipoti, ne go un de unidici anni, un de sei, ma no ghe interessa niente, no sé più una volta ‘lora disea ‘Fin che quando i noni non raccontano, no, e i giovani non ascoltano.
IB: Cossa seo [unclear].
GDB: Termina tutta la storia, no’, per questo son triste mi anche, vedo mi ormai go quela età che go, no go nessuna ambission de viver, sa? Dopo go anche un fìo disabile che, povero, che ‘l ga cinquantaquatro anni, sa, tanti anni ad accudirlo e a farghe tutto.
IB: Finimo?
GDB: Sì, ‘peta ‘desso che te concludo ‘l mio percorso, Dio, son rivà a questa età qua, che no go nissuna più prospettiva, neanche speranza in un futuro migliore perché vedo che ‘l mondo va, sta andando a rotoli, sa, no sé nissun, nissun, sé ingestibile ‘l mondo ormai, per questo, ecco. E mi ringrazio ‘l signor Pietro Comisso.
PC: Mi ve ringrazio a voi.
GDB: Sì.
PC: Che sé stada una intervista meravigliosa.
GDB: No.
PC: Mi ve ringrazio per la testimonianza e per le tante robe che me g’avé.
GDB: Dei piccoli aneddoti flash, ecco, della vita nostra.
PC: Ve ringrazio infinitamente.
IB: Ti tira fora quel, quel che te par ben.
GDB: Ecco.
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Title
A name given to the resource
Interview with Guido Di Blas and Ilario Bolletti
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Projectiles, Aerial
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Pietro Commisso
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-08-26
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Marco Dalla Bona
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:29:08 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Monfalcone
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ABollettiI-diBlasG160826
Publisher
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IBCC Digital Archive
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An account of the resource
Guido Di Blas and Ilario Bolletti recount wartime memories associated with the town of Monfalcone and the surrounding area. Describes a severe night of bombing stressing the ominous sight of target indicators and loud explosions; recalls the massive loss of life when local children who were gathered to watch a magician's show, found themselves under attack. Recounts the appalling sight of many corpses placed in improvised morgues. Describes local shelters, some being modified First World War structures. Recollects a bomber being shot down and the stir caused by the sight of a black airman; remembers the strafing of a railway station when the aircraft was so close he could clearly see the pilot. Mentions various wartime stories: conscription dodgers trying to escape roundups, reprisals, the ominous presence of "Pippo", and a German armoured train opening fire. Recollects how people tried to get by and circumvent rationing: electrical supply by tapping overhead power lines, pilfering supplies from goods trains, bribing Fascist officers to make them turn a blind eye, trading stolen salt for flour. Describes post-war hardships when they salvaged shell cases and metal splinters for their scrap value, and mentions improvised pyrotechnic devices made with explosives taken from live ammunition. Recalls people injured or killed by improper handling of live shells. Reflects on the legitimacy of attacking non-military targets and the feeling of hopelessness this created. In the photograph, Guido Di Blas is on the left and Ilario Bolletti is on the right.
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
bombing
childhood in wartime
fear
home front
perception of bombing war
Pippo
Resistance
round-up
shelter
strafing
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Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Del Corto, Delia
Description
An account of the resource
This collection consists of one oral history interview with Delia Del Corto who recollects her wartime experiences in Tuscany.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-09-26
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
DelCorto, D
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
FC: Allora, questa intervista è condotta per l’International Bomber Command Centre. L’intervistato è Delia Del Corto. L’intervistatrice è Francesca Campani. Siamo a Viareggio, è il 26 Settembre 2017. Assiste all’intervista Elena Lencioni. Ok, grazie, grazie per quest’intervista, possiamo cominciare, no. Allora, come le stavo accennando prima, mi piacerebbe partire da tipo, quando è nata, dove è nata, cosa faceva la sua famiglia, prima della guerra, prima di iniziare a parlare della guerra. Se aveva fratelli, sorelle, tutto quanto.
DDC: Allora, io sono nata l’1.11.32.
FC: OK.
DDC: Allora, la famiglia era una famiglia grande perchè eravamo sei figli, il papà e la mamma, il nonno e la nonna, dieci persone. Avevamo la nostra casa, grazie a Dio, avevamo il nostro terreno, avevamo insomma, ecco. Il papà e il nonno erano falegnami, avevano una falegnameria. Poi c’avevo un fratello che faceva il verniciatore, poi ce n’avevo un altro [laughs], un altro invece che, come si può dire, era con lo zio Aldo quando era a lavorare ne, io non lo so come ci si chiamava insomma
EL: Ma, era un operaio.
DDC: Ma lavorava in, no, in un, come un ristorante o roba del genere. Ora non me lo ricordo bene,
EL: Sì, ah ok.
DDC: Non me lo ricordo bene però tra un altro e l’altro voglio dire, poi c’era lo zio Luigi che invece lui faceva il, era, avevano tutti qualcosa, lo zio Aldo faceva, ehm, come si dice
EL: Lavorava in un albergo.
DDC: Lavorava in un albergo però poteva fare anche l’imbianchino, poteva fare tante cose, fra l’altro, sono tante, infatti voglio dire, se mi concedeva di farmi un, così una panoramica e poi mi diceva magari ora facciamo sì ma insomma potevo. Dimmi qualcosa.
FC: Va benissimo così, va benissimo, noi, qualsiasi cosa si ricorda va bene. Non c’è problema.
EL: Ma dove, dove stavate voi?
FC: Esatto.
DDC: Si stava a Montemagno,
FC: OK.
DDC: Comune di Camaiore, il paesino Montemagno, lo sa no dov’è? Si abitava un pochino sopra così sopra il paese ma di poco, in cinque minuti s’arrivava e avevamo del terreno giù in paese, e avevamo tanto del terreno, c’era uliveto, c’era bosco, c’erano le vigne, c’era un popò di tutto ecco. Adesso ora io non so che posso di raccontarvi ecco. E in
FC: Sì, no, no, vada avanti pure.
DDC: Vuole sapere in tempo di guerra quello che
FC: Sì, sì. Va bene. Quello che si ricorda.
DDC: Eh, ma io non so quello che era tempo
FC: Lei si ricorda quando è iniziata la guerra?
DDC: Ero ragazzina, ora non so dire proprio il giorno preciso ma insomma che era scoppiata questa guerra e tutto quanto, anche nel paese voglio dire se ne parlava, poi ci fu da uscire di lì, andare, si portarono, c’avevamo le pecore, allora avevamo tutto il bestiame, c’erano le mucche perché nel paese così c’era, avevamo un pochino di tutto ecco, i nostri. E si portarono le pecore sopra Gombitelli, a, spetta come si chiama, al Ferrandino. Al Ferrandino, era proprio al tempo della guerra quella lì eh. Io ero ragazzina e lassù c’era andata la mia sorella più grande, insieme c’aveva portato il mi papà perché? Perché gli uomini, guai, erano sempre cercati lì, cosa [unclear], i tedeschi e allora andavano a dormire nel bosco lì per lì, per non farsi trovare e tutto quanto. Poi era una vita troppo difficoltosa. Ci si fece a attraversare la strada maestra perché lassù da dove si abita noi per andare a Gombitelli c’è da, c’è da scendere dalla casa dove abitiamo, c’è da scendere in paese e giù c’è la strada che fa Camaiore, che fa Valpromaro, che va a Lucca che va, ecco c’è la strada. Abbiamo attraversato la strada lì, siamo saliti su per il bosco, siamo andati, quando, no a Gombitelli, più su del Gombitelli, al Ferrandino, c’abbiamo portato le pecore perché? Perché in quel momento lì i tedeschi prendevino le mucche, prendevino le pecore, facevino d’ogni ben di dio, quel che gli veniva in mente. Allora per evitare, noi le nostre bestine, le nostre cose, insomma, abbiamo, le abbiamo portate lassù. Lassù ce le hann date alla zia Liliana, c’aveva portato il nonno Alberto, e io non ricordo più dello zio Virgilio perché se era andato lassù anche lui, se c’era andato non lo ricordo a dir la verità, a dir la verità. E io avevo diec’anni, avevo diec’anni e la nonna Ancilla era in stato interessante della zia Raffaella. Allora si partiva una volta per settimana, si faceva il pane in casa, casalingo perché lassù al nostro paese c’abbiamo il forno, c’abbiamo tutto, si faceva il pane. E poi, dopo con quelle borse grandi, lunghe così si portava tutto, il pane alla sua, alla zia Liliana insomma, si portava lassù sopra Gombitelli. E io cercavo di aiutarli come meglio potevo ma ero una ragazzina, voglio dire, un po’ più mingherlina, insomma vabbè facevo del mio meglio. E ora che
EL: C’erano anche partigiani.
DDC: E c’erano anche partigiani, sì. E una volta, allora, la posso raccontare, quel discorso del partigiano che ci fu un incontro tra cosi e il partigiano fu ferito?
EL: Certo.
FC: Certo.
DDC: Eh, non so quel che vuole sapere [unclear].
FC: Queste cose qua.
DDC: Ecco. Allora in quel momento lì c’erino partigiani e c’erano i tedeschi, ora non ricordo la precisione dove erano questi tedeschi. Ci fu un incontro e s’incominciarono a tirare col cannone le cose con le mitragliatrici insomma e ci fu anche, ferirono un partigiano. Ferirono un partigiano, era lassù sopra Gombitelli al Ferrandino anche lui, questo ragazzo. Allora non si sapeva come, non si sapeva, io ero ragazzina ma lo ricordo il discorso lì. E mi si diede, noi un lenzuolo fatto sul telaio, di quella tela grossa, la inchiodarono su du cosi, du
EL: Due assi. Assi.
DDC: Du assi inchiodarono questo coso, ci misero dentro questo coso ferito, questo ragazzo ferito e poi quattro donne di lassù, perché le stanghe del coso d’avertici nel mezzo l’ammalato erano due. Allora una donna di qui una donna di là, una di qui, una di là, quattro ragazze di lassù dal Ferrandino hanno portato questo povero ragazzo all’ospedale a Camaiore. Per la strada, siccome c’era dei posti di blocco, no? Allora questi tedeschi fermavano, ‘te, dove andare?’, facevano questo discorso qui, no. Allora questi ragazzi mi dicevino che non lo potevano scoprire perché questo ragazzo che era lì sulla portantina aveva un male che s’attaccava, sì, un male, come si chiama?
EL: La peste.
DDC: Come?
EL: La peste.
DDC: No, ma non era.
FC: Contagioso.
DDC: Contagioso, era un male contagioso. Digli così, loro avevino paura. E insomma, fu così che queste ragazze ce la fecero a portare questo ferito all’ospedale a Camaiore. Ora però io di lì non so più nulla nel senso perché ero ragazzina, voglio dire, anche se se ne è parlato non lo ricordo. Insomma ce la fecero queste ragazze a portare questo giovanotto all’ospedale. E non c’era portantine, non c’era nulla, allora la mia sorella più grande gli diede un lenzuolo fatto da noi sul telaio che è bello robusto, lo inchiodarono su due aste lì di coso, ci misero questo ferito e quattro ragazze prese di lassù portarono questo. E per la strada c’erano i posti di blocco e mi dicevano: ‘te, dove andare?’, visto come fanno, facevano così i tedeschi e questo era coperto e mi dicevino: ‘io lo scopro però’ che aveva, non so che malattia dicevino che si raccattava, una malattia.
FC: Il tifo.
DDC: Tipo il tifo, un affare del genere. Loro avevino una paura, no, no, allora, come dì, andate via. Fatto sta che ce la fecero a portarlo all’ospedale a Camaiore. Ora lì cosa successe poi io non lo so perché poi, voglio dire, non si potevino sapè tutte le cose, a quell’ora lì insomma.
FC: Quindi in questo paesino c’era tanta gente che era scappata su sui monti al
DDC: Al Ferrandino?
FC: Eh.
DDC: Ora, lì dove eravamo, noi avevamo trovato, ma più che una, insomma era una casetta, na stanzina, du stanzine piccoline che accanto c’avevino perfino il bestiame. S’era trovato questo piccolo coso così, come si dice, quando si va, si cerca na casina di sfollati, quel che si può trovà, si può trovà, così.
EL: Gli altri dormivano nel bosco, no?
DDC: Eh?
EL: Altri dormivano nel bosco.
DDC: Altri dormivano nel bosco ma nel bosco io lassù, quando siamo andati lassù, non, quello non lo sapevo perché più in là c’erano partigiani insomma era, era una cosa così lassù. Allora, nel bosco io lo so bene che ci dormivano quando si abitava qui a casa nostra. A casa nostra anche il nonno Alberto ha dormito nel bosco come lo zio Virgilio e io gli andavo a portare da mangiare. Allora, ti ha sentì, gli facevo, perché lassù la casa dove abbiamo la casa noi, per andare nel bosco praticamente s’attraversa tutta la strada ma così boschiva, eh. Allora io che facevo? Avevo dieci anni no, m’ero, la mamma m’aveva fatto, la mamma era sarta, m’ero fatta fare una gonna tutta increspata, sotto la gonna io c’avevo messo i sacchettini, non so se l’ha presente il sacchetto che ci s’andava a coglier olive?
FC: No, non ce l’ho presente.
DDC: Di stoffa, eh, tipo un grembiule ma però c’ha una bocca così, fatta così, fatto così il grembiule, il sacchetto, no? Ecco. Allora sotto la gonna il sacchetto, il sacchetto col da mangiare per il papà e per il fratello, ecco. E poi sopra un altro affare che facevo visto che andà nel bosco a raccoglier pini, un cesto al braccio, insomma così e cosà. E quaggiù c’avevo la roba da portare a mi papà e mi fratello eh e allora incontravo tedeschi, ‘te dove andare?’ e io gli dicevo che era, insomma facevo capire così che raccoglievo pini perché c’avevo la cesta al braccio con pini dentro, insomma tutto quanto. Però ero una ragazzina piccina, non pensavino di, e invece andavo a portà, se m’avessero scoperto [laughs].
FC: Eh, meno male. Ma quindi il suo papà e i fratelli erano nascosti lì perché avevano paura che
DDC: Eh sì, c’erano rastrellamenti perché, faccia conto che ogni volta per settimana e anche due facevano rastrellamenti. Quelli che erino giù in paese, i tedeschi, allora venivano su e venivino a fare rastrellamenti anche dove, noi si stava sopra il paese, popoino sopra il paese così, e noi ragazzi s’andava in cima così, ora io non so come spiegarglielo perché da lassù dalla casa dove abitiamo noi si vede giù il paese, s’affacciamo così si vede il paese, e c’erano queste macchine di tedeschi, queste cose vicine alla chiesa così e noi se n’accorgieva, ci s’accorgieva quando loro partivano per fare questi rastrellamenti. Allora, che si faceva? Te va a chiamar tu papà, te va a chiamà, a bussà a la porta, andate via perché vengino i tedeschi a fare rastrellamenti. Allora si finivinu di vestì per
FC: Per strada [laughs].
DDC: Per la strada e una volta lì accanto a me e perfino un nostro parente Elia, quando, ecco, non ce la fece a scappare questo giovanotto, non ce la fece a scappare, niente i tedeschi in casa. Allora c’aveva na sorella, che aveva na bimbetta piccolina, che era nata da poco e insomma e questa sorella stava lì con loro perché il marito era militare. E lei era in camera con questa figliola, allora, si pigiavano [makes a knocking noise] ecco i tedeschi, ecco i tedeschi, via. Allora lei che fece? Lu era su in questa camera che dormiva, non ce la fece ad andar via, si mise tra una materassa e l’altra, sdraiato su, tra una materassa e l’altra, la su, le coperte che coprivano questo coso, la sorella a sedere che dava la poppata alla figliola. Entrino i tedeschi in camera e, c’era la bimba, c’era la donna che dava la poppata alla figliola e insomma, hai visto come fai, facevano loro insomma, però come dire, non c’è nessuno ve’. Il fratello l’aveva messo tra una materassa e l’altra e le c’era a sedè così che dava, come dì, questa è lì, io mi metto a sedere sopra di lui e do da poppà alla figliola. Queste son cose successe davvero.
FC: Eh no, ci credo, lo so, lo so. Quindi non erano partigiani però i suoi famigliari.
DDC: No, no, proprio partigiani di dire sono stati ne partigiani no, non erano certi per i tedeschi però neanche [laughs]
FC: Anche perché se scappavano insomma.
DDC: Ma poi mio fratello, era, voglio dire, giovanetto, mio papà aveva già una certa età, non era per esempio, ragazzi da andare anche.
EL: Ha fatto la guerra del ’15-’18.
DDC: Sì, il papà, il nonno ha fatto la guerra del ’15-’18, vero, mi papà.
FC: Eh, va bene.
DDC: E quando ammazzarono là nella selva quei sette, n’ammazzarono sette. Una mattina si sente camminare così [stamps her feet] perché c’abbiamo proprio la casa lassù dove abbiamo la casa paterna, qui c’è la porta e lì c’è la strada che passa proprio lì davanti la strada e si sentiva [stamps her feet] camminare così. C’affacciamo sulla porta, io ero una ragazzina perché avevo paura e la mi mamma invece, lei non aveva paura di nulla, lei c’aveva sempre di vedè, da cosa no, di vedere se poteva aiutà qualcuno, era così, lei era così. S’affacciamo sulla porta e c’era sette giovanotti così camminavino uno dietro l’altro, prima un tedesco [unclear] e c’eran due tedeschi così. E signora, quando videro la mi mamma che s’affaccia sulla porta così, perché la porta è proprio sulla strada, la soglia così come lì ci fosse la strada, un sogliettina così. E la mi mamma quando li vide questi qui, allora che succede, che succede? o signora, ma loro non si poteva mica fermà a chiacchierare, la mamma n’andava dietro, o signora, ci portano ad ammazzare a Stiava. Ci portano, perché allora li fucilavano da tutte le parti, era così, e la mi mamma n’andava dietro perché loro camminavino e parlavino, ci portino ad ammazzare a Stiava. Me lo dice a la mi mamma che c’ha visto? Ma e che vi posso dire, io non so chi sia la tua mamma e c’era a quell’ora degli sfollati che erano venuti via, viareggini erano venuti lassù perché facevino bombardamenti le, le cose no, e c’erino allora, tanti andavino nel paese così per, non istavino nelle città perché era più pericoloso. Ma come fa, eh signora ci portino ad ammazzare a Stiava e guarda lì. E ma camminà non si poteva, non me ha fermà e la mamma dietro. Ma lei pensi, eh, la mi mamma non aveva paura di nulla. Ma me lo dice a la mi mamma? Ma me lo dice a la mi mamma che ci portino? Ma io non la conosco la mamma, tesoro, ma come faccio a dire a la tu mamma? Mi disse anche come si chiamava la su mamma ma io ora quello non me lo ricordo perché ero ragazzina, insomma. E dopo a un certo punto un pochino l’andò di dietro a questi, erano tutti in fila così, i tedeschi con quel coso puntato. Ad un certo punto la mamma si rigirò ma dopo un, sarà passato un dieci minuti, infatti furono fucilati lì vicino alla casa nostra, voglio dire. Ci siam [unclear] questa cosa le [mimics machine gun noise] queste scariche, no. Oddio, disse la mi mamma, l’hanno ammazzati, oddio l’hanno ammazzati, oddio l’hanno ammazzati, a me piglia il freddo, erano [unclear] perché cose passate proprio da lassù, oddio oddio l’hanno ammazzati, oddio l’hanno ammazzati. Dopo così un pochino ma non so il tempo che sarà passato ritornino indietro questi tedeschi con quei fucili, però quegli altri ragazzi non c’erino più. L’hanno ammazzati, diceva la mi mamma, l’hanno ammazzati. Io bisogna che vadi a vedere se qualcuno avessino bisogno di noi. Queste cose le ho viste, eh!
FC: Sì, sì.
DDC: Allora, la mi mamma si parte, si fece allontanare questi tedeschi perché stavino dal Bellotti ora te lo sai voglio dì, insomma quando si furono allontanati la mia mamma disse io ciò d’andà a vedè sti ragazzi com’è il discorso. Si parte ma per non mandarcela sola sta povera donna e io vado sempre dietro alla mamma. Quando si cammina poco distante dalla casa questi ragazzi tutti sternacchiati nella strada morti. Queste cose non si possino scordà!
FC: Eh immagino.
DDC: Non si possino scordare queste cose qui.
FC: E questi tedeschi non dicevano niente?
DDC: I, no, no, c’hanno anche, non li si poteva dir nulla perché guai, voglio dire. Non ci venivino mica a raccontà le cose a noi. Guai che, e poi, non avendo mai trovati gli uomini lì nelle nostre case perché eravamo in sette famiglie. Gli uomini non ce li avevino mai trovati perché chi dormiva nel bosco, chi dopo, noi siam dopo sopra Gombitelli al Ferrandino erano cioè erano andati vai perché lì nel paese lì vicino a Ricetro c’era il terreno, tedeschi anche lì c’erino proprio a dove c’è la villa lì a Ricetro, c’erino, l’avevimo da tutte le parti.
EL: Avevano messo anche un cartello, no, i tedeschi, con scritto che eravate partigiani.
DDC: Sì, qui tutti partigiani, tutti partigiani. Di stare attenti, qui c’era, no, ma ne avevino messo quattro, cinque di questi cosi, che erimo partigiani e c’era da stà, come si faceva? E’ così.
EL: E quello che venne in casa a chiedere il pane invece?
DDC: Allora, si faceva il pane, la mamma faceva il pane in casa, fatto così da noi no. C’abbiamo il forno.
FC: Che pane era?
DDC: Il pane bono, il pane casalingo.
FC: Bianco o nero?
DDC: No, bianco, no, non si faceva nero, si faceva normale voglio dire. Perché poi c’avevamo, si seminava il grano da noi voglio dire e poi a quell’ora c’era un, c’era la tessera, a quell’ora e davano un etto e mezzo di pane al giorno, a tessera alle persone, un etto e mezzo di pane al giorno. Invece c’era la possibilità, chi voleva la farina, si poteva prendere la farina. Allora a te la farina invece ne davino un pochino di, insomma a quell’ora là. Allora la mi mamma preferiva prendere la farina e poi il pane farlo da noi perché lassù alla casa paterna, accanto c’abbiamo il forno, c’abbiamo il forno. E poi c’aveva, ci s’aveva insomma sai terreno e si seminava il grano anche da noi e un po’ il grano ce l’avevamo anche da noi. E allora si prendeva un po’ dell’uno e un po’ dell’altro e si cercava di tirare avanti e fà questo pane. Allora, il giorno che avevamo fatto il pane [laughs], il giorno che avevamo fatto il pane [laughs], quel pane casalingo, lungo, grosso, no, così. Avevamo levato il pane e la mamma per farlo ghiacciare si metteva la tavola che ci si metteva poi il pane sopra quando si portava il pane al forno perché il pane, il forno, come qui c’abbiamo la casa, il forno era come lì in fondo, si camminava pochi passi, c’avevamo il forno. E niente, questa sedia, due sedie così, ci metteva la tavola e metteva il pane così e ritto come fosse, questo è il pane così e per farlo ghiacciare, prima di metterlo nell’armadio non ci si poteva mettere. A un certo punto, e noi eravamo, questi bamboretti perché c’erano altri du fratelli, c’era Franco, che ora è
EL: Prete.
DDC: Che è Franco che è prete voglio dì, erimo tutti in terra, io ero la più grandina, a sedè seduto su una cosa. E c’avevimo, aveva levato il pane, era là, così questo pane a ghiacciare. Entra un tedesco in casa poi si sentiva proprio quel profumo di pane casalingo, no, così, pane, pane, pane, perché, a un certo punto hann sofferto tanto anche loro eh, poverini, io quelli prima non lo so ma quelli quando li abbiamo avuti vicini lo so, poi loro c’avevino un pane nero come minimo così, brutto e cattivo, che se lo infilavi nel muro [laughs] si spaccava il muro ma il pane no. Allora, aveva fatto, aveva levato questo pane e noi eravamo, bamboretti così, eravamo io, che ero la più grandina poi altri du fratelli e poi c’era quello che ora è, Franco che è
EL: Prete.
DDC: Che è prete sì. Eravamo lì tutti in terra, c’era steso un panno e eravamo lì tutti in terra così a sedere e si chiacchierava così tra una cosa e l’altra, visto che si fa bamboretti insieme, anch’io voglio dire ero bamboretta perché avevo dieci anni ecco. Entra un tedesco, pane, pane, perché si sentiva il bel profumo di pane [unclear] così, pane, pane, pane. Entra e noi, questi bamboretti si fece certi occhi così e si vide entrà, e va là questo coso e piglia un pane così nella tavola come faccio io ora e dopo parte questo tedesco. Un vuole che il discorso nel frattempo che lui ci va fuori, entra la mi mamma: ‘E te, ndu vai?’. Mi disse, io, pane e pane. Parte di corsa. E lì, siccome, nel mentre che l’entrava questo andava via col pane in mano, mi chiappa il pane mi mà, e lo riporta là. [background laughing] E lu, andè via ma però poverino [unclear], ecco e lei s’affaccia sulla porta e lo guardava e dopo anche noi ragazzi sai e lu poverino andava via con la testa, un po’ son dolori perché aveva capito, come dì, ho preso il pane perché siccome lo sapevino anche loro che c’era la fame per il mondo a quell’ora, no, e allora, e a lei, come dì, povera donna hann levato il pane per i suoi figlioli, hai capito? E lu andava via così. E la mamma, no, la mamma la, nel mentre entrava la mamma, mi sono scordata un discorso. Nel mentre che la mamma entrava, e lui usciva fori col pane e lei glielo prese, tu ,come dì, m’hai preso il pane che per i miei figlioli, vedi quanti ce ne ho! Perché non erimo neanche tutti noi, c’era Franco, c’eran tutti
EL: Sì, sì, c’eran tutti.
DDC: Glielo prese e lo rimise là. E lu andè via, lo capì forse nella sua cosa capì che questo discorso come dì, hai preso il pane che c’erano i miei figlioli lì poverini miei che morino da fame. Quando lei lo rimise là e poi, e lu andè via ma popo’ così pover’omo, e dopo lei s’affacciò e lo guardò e lu era andato via un poco macilento così a lei ne seppe male, prese il pane, poi s’affaccia sulla porta: ‘Camerata! Camerata! Camerata!’ ‘Sì?’ e lu si gira e lei n’andò incontro e gli dette il pane. Povera donna. Lu, io v’avrei fatto vedè questo ragazzo abbracciato a nonna, v’avrei fatto vedè. Tutti i giorni che lu passava de lì c’aveva da salutar la nonna. Camerata! Poverini, han sofferto anche loro perché [unclear] quelli lì c’era quello che era più buono, c’era insomma, poverini. Non te le puoi scordà queste cose che. E lì vicino alla nostra casa t’ho detto, cioè ammazzarono questi ragazzi.
EL: Però era a Pioppetti, no? Il tuo vicino di casa, lì.
DDC: A Pioppetti, a Pioppetti trentadue.
EL: Ma il tuo vicino di casa come l’ammazzarono a Pioppetti, che l’andarono a prendere al bar?
DDC: Ah, ma quello, Corrado.
EL: Sì.
DDC: Corrado, quello sì che stava in
EL: Come mai c’era stata la strage di Pioppetti?
DDC: Allora, c’era stata la strage di Pioppetti perché se tu, ora io non so se lei è pratico come. Te vieni da coso, dal Pitoro, vieni dal Pitoro e quando arrivi a un certo punto c’è la strada che continua e va a Valpromaro, c’è la strada che va giù che va a Montemagno, e po’ Camaiore, un po’ dalle parti lì, no? Allora, c’è questo incrocio e lì, allora c’è anche quella marginetta?
FC: Sì.
DDC: Allora, dove c’è quella marginetta lì c’avevino ammazzato un capitano tedesco che l’avevino accusato e c’è stata non so quanto ferma la su jeep che avevino insomma quelle macchine lì che avevino soldati.
FC: Sì.
DDC: Perché c’erino partigiani lassù, dove siamo stati anche noi lassù al Ferrandino. Erino scesi di notte che avevino fatto? Avevino trovato, avevino visto che questa macchina veniva e loro appostati hanno sparato a questi partigiani, eh a questi tedeschi e avevino ammazzato questo capitano dei tedeschi, non so, capitano, generale, non lo so com’era. E lì c’era la su macchina ferma c’era stata tanto e lì ammazzavino un tedesco? Normale, dieci dei nostri fucilati. E invece un tedesco, un graduato, è logico che lì quanti ne passò. Eppoi, faccia, fa conto che trentadue li impiccarono, a ogni platano c’era uno impiccato. Trentadue. E poi se ne ammazzarono dei altri ora non me lo ricordo ma quelli io li ho visti.
EL: Il papà di Rino?
DDC: Eh, il papà di Rino, quello lo ammazzarono ma non senza portarlo laggiù. Vennero in sù, quando arrivarono lì a Leccio sono entrati perché c’è sempre stato ci vendevano insomma i cosi.
EL: L’alimentare.
DDC: L’alimentare insomma era un popo’ di tutto il sale, quella roba lì ci si andava a comprare allora il pane, un popo’ di minestra, insomma, quel che si poteva, ecco, e lui, si fermarono lì, lo trovarono lì, e lo presero. Ammazzarono. Ora, se l’ammazzarono lì laggiù ce l’hanno portato morto, se no, ce l’hanno portato, non so com’era o non me lo ricordo ora, quella cosa lì on me la ricordo bene.
EL: Ma sapeva una cosa della forchetta?
DDC: Ah, ma della forchetta che la, sì, ma quella, allora, allora, perché l’han trovato, eccovedi, ora me l’hai messo in mente, lo trovarono a mangiare e lu pover’omo mangiava la forchetta, e l’ammazzarono e la forchetta gliel’avevino infilata, pover’omo, sì. Erino, erino cose brutte a quell’ora lì, sì.
EL: Invece il camion?
DDC: Eh?
EL: Il camion mitragliato?
DDC: E il camion mitragliato, ma più che quelle cose però, più che un camion grosso era na macchina sempre da soldato si vedeva, era lì davanti dove c’è quella marginetta.
EL: No, no, ma dico, quello mitragliato dagli aerei.
DDC: Ora quello non me lo ricordo come
FC: In generale si ricorda per esempio degli aerei che mitragliavano, dei bombardamenti?
DDC: Ma quello, allora un camion che mitragliarono, la prima cosa che si fece che erimo io e lo zio Luigi, eravamo alle pecore, avemmo portato le pecore quaggiù nella selva che là c’è la dove si scende il monte di, per andare a Camaiore la. Noi si chiamava la Girata del Giannini perché lì c’era la cosa, la Signori Giannini, che a quell’ora c’era la villa di questi signori. E questa selva noi dove si mandava le pecore era vicina che come dì là c’è la villa, come fosse là, è la villa e qui, noi c’eravamo con le pecore e lì c’era la strada che passava e saliva sul monte di Montemagno. Allora quando un camion passava, eravamo vicini da questa curva e a parte che c’erano castagne, c’erino gli alberi e tutto quanto però la curva la rimaneva visente che voglio dire e noi, quando si vede questi. Nel frattempo arrivano questi aerei, arrivano questi aerei e là c’era questo camion, proprio a questa curva lì e il camion quando sentì gli aerei si fermò, si fermò lì, eh, oh, non c’era modo e lì era tutto scoperto. Questi cami fecero la picchiata, incominciarono a mitragliare questo camion, noi io e il fratello più piccolino c’avevamo le pecore allora, non so se ne ha raccontato a te, queste pecore, perché cami, e gli aerei quando fanno le picchiate poi, venivino bassi, venivino bassi chequasi quasi pareva che ti vedessero perché lì per, per cosa questo camion, [mimics the noise of a diving airplane] pecore spariti no. Oddio, si chiamava Luigi il mio fratello lì, che eravamo insieme, era più piccolino di me, le pecore sparite, non si sapeva dove erino andate a finì. Oh Luigi, ma noi si va a, andiamo a casa, andiamo a casa e si parte. Piglio mio fratello che era più piccolino di me per la mano e su attraverso per la vigne, per le cose, si arriva a, sì ma si andava per venì a casa, come si fa a dì alla mamma che le pecore non c’è più? E ndov’è queste pecore, ndov’è queste pecore, come si fa a dirglielo. Quando s’arriva a casa, prima d’andare a casa, si passa dall’ovile dove avevamo le pecore, no. Le pecore erano già tutte là suddentro! Si pigiavano l’una con l’altro, si pigiati, io ve ‘vrei fatto vedè, si erano ricosate tutte insieme, avevino avuto paura anche loro perché quando questi aerei facevino, un po’ bassi così, voglio dì, [mimics the noise of a diving airplane] per cosà quel camion. No, io quelle pecore ve l’avrei fatto vedè. Eppure presero la, erimo lontani, perché ora lei non lo sa ma di laggiù dalla curva del Giannini arrivà alle capanne, un è lì, come si fa, si diceva lo zio Luigi, oh Luigi, ma come si fa a dire alla mamma che un si sà dove sono andate le pecore? Come si fa? Io ero più grandina, come si fa andargliela a dì? E lo so, diceva mio fratello tutto calmo così eh, oh, c’è da dirglielo [laughs], c’è da dirglielo. Lo so che c’è da dirglielo, ma come si fa? E invece, quando s’arrivò a casa, lei pensi no, le pecore erano tutte dentro, una pigiata col culo nell’altro, sì n’avrei fatto vedè, pareva un gomitolo dallo spavento che avevino avuto anche loro. Perché questi aerei per fà la picchiata su quel, venivino proprio, ci sarebbe insomma lo potevi toccare, potevi prendere, una cosa così non si può scordà.
FC: E si ricorda degli altri episodi dove c’erano gli aerei? Degli altri momenti?
DDC: No, degli aerei.
FC: Così, che mitragliavano?
DDC: No, succedeva che, ad esempio quando hanno anche, mi pare anche che abbiano bombardato anche Viareggio qualche volta ecco, però noi stando lassù si poteva vedere questi aerei che facevino, si diceva delle volte, vedi stanno facendo la picchiata, si diceva tra noi ragazzi, perché [mimics noise of diving plane] e così o tiravino le bombe, ecco, quello sì. Però più vicini no [coughs] da noi.
FC: Ho capito, ho capito.
DCC: Quello era [laughs].
FC: E invece, ma lei lo sapeva chi erano questi aerei? Cioè chi è che li guidava? Chi è che faceva queste cose?
DCC: No, no, quello io non lo sapevo, allora prima di tutto
FC: Nessuno gliel’aveva spiegato?
DCC: No, che c’erano sopra come dì, dei soldati che guidavano l’aereo, quello sì, però non sapevo altro ecco.
FC: OK.
DCC: Perché le dico anche un discorso. Allora, ora in tutte le case ci sono le televisioni c’è, però voglio dire noi non ci sapevano, non si sapevano le cose ecco.
FC: E lei andava a scuola, in quel periodo lì?
DDC: E io in tempo, dunque la guerra c’è stata nel? ’40-’45, nel ’45 son passati di lassù. Ecco io però allora nel quarant, che ad esempio le dirò una cosa. Io ho fatto soltanto la terza elementare. Perché lì al paese facevano solo, vedi dopo, dopo no, dopo fecero, hanno fatto anche fino alla quinta però lì ci facevano fino alla terza elementare. Che succedeva? Chi voleva continuare per fare fino alla quinta, c’era da andare o a Valpromaro o alla Tirelici. Allora chi c’aveva la bicicletta, chi ci poteva che è, va bene, se no, si accontentavino della terza elementare. E infatti, io ho fatto solo la terza elementare.
FC: Prima della guerra quindi.
DDC: Sì, sì, prima della guerra.
EL: Prima della resistenza, perché sì, sì perché, prima della guerra.
DDC: Eh oh.
EL: Eh sì, perché sei del ’32.
DDC: Io sono del ’32 e la guerra nel ’40-’44 voglio dire, la peggio qui tra noi è passata nel ’44.
EL: Sì, sì, sì.
DDC: E allora chi voleva continuare, chi poteva continuare, c’era da andare a fare la quarta e quinta a Valpromaro o alla Tivaelici. Allora per quel che riguarda i nostri fratelli che si, coso l’han fatta alla cosa, Vergilio, l’han fatta alla Tivaelici. Invece dopo, hanno fatto, la quarta e la quinta la facevano anche lì alla scuola a Montemagno, infatti Luigi, lo zio Luigi e Aldo l’hanno fatta lì la quarta e la quinta che mi ricordo, per fare la quarta e la quinta a Luigi c’era una maestra tedesca a insegnarli. Che era cattiva da morire, che li picchiava, che una volta con una cosa, che poi lo zio Luigi era, boh non ce n’era, non ce n’era davvero, e n’aveva con, con una stecca di legno n’aveva picchiato su una cosa, aveva fatto male a un unghia, ora non mi ricordo, guarda, era insomma così. Quando venne a casa, che era buono lo zio Luigi, lo zio Aldo era un pochino più vivace, ma lo zio Luigi era un ragazzo che non ce n’era davvero, eh mio fratello. Allora, ma lei era cattiva, siccome poi parlava più tedesco che italiano, non la intedevino bene, lei voleva essere capita, voleva, non aveva quella cosa di dire, ma io parlo con dei bimbetti, voglio dire, che pretendo, no? No, no. Lei picchiava, c’aveva una stecca di legno, ma tipo un bastone no così e li picchiava e n’aveva picchiato su un unghia lo zio Luigi e quest’unghia mi sembra, era andata tutta, no. Lo zio Vergilio, quando vide che questo, a questo figliolo n’aveva accusato mezzo un unghia ma poi li s’era diventato tutto nero perché le unghie son delicate, con la stecca, che poi lo zio Luigi era buono, era un ragazzo, no, non ce n’era, Aldo no, lo zio Aldo era più vivace ma lo zio Luigi era un santo davvero. San Luigi Gonzaga delle volte si diceva, era così davvero eh. Allora, quando venne a casa che vide questo dito sfatto, lo zio Vergilio va laggù, trappò la chiappa per il collo, che sia la prima e ultima volta perché te insegno, mi fa, e poi non so chi salvò sennò la guantava per il collo sta maestra insomma che poi ti rovinavi perché voglio dì. Ma insomma, siamo così.
FC: E poi, lei prima a un certo punto ha detto che dopo un po’ sono arrivati dei tedeschi vicino, no, alla casa dove stava lei? Non ho capito se era lo stesso di quello che cercava il pane oppure se erano degli altri?
DDC: No, no, ora però che n’ho raccontato che facevano i rastrellamenti, in quel punto lì?
FC: No, in generale, se c’erano dei, se lei ha avuto a che fare altre volte con dei tedeschi? Se.
DCC: Eh ,tedeschi passavino mille volte davanti a casa, così e cosà, eh, voglio dire, di che, che l’avevino ammazzati il coso l’ho detto quel discorso lì ecco. E poi c’era una villa vicina come dì, come ti ho detto io, quella è come fosse da casa mia e là c’erino proprio tedeschi, ha capito? Eh, oh, che facevano a venir qua e andà? Camminavino tante volte su e giu però insomma ecco un c’è più stato delle cose così.
FC: Ho capito.
DDC: Da quella volta lì che ammazzarono quelli lì dopo voglio dire non c’è più stato. E dopo poverini venivino la gente a vedere perché sapevino per esempio, c’è, n’avevino ammazzato che era gente di, uomini di Stiava che l’avevino presi, l’avevino ammazzati là e quell’altro era da n’altra parte perché lì facevino i rastrellamenti e poi li chiappavino perché venivan in mente. Dicevino loro qui si va [unclear]. Erano tutti partigiani secondo loro anche se non erino perché quella gente lì poverino non erino partigiani.
FC: E invece di fascisti?
DDC: Ma fascisti nel paese, nel paese?
FC: Fascisti nel senso italiani, sì, fascisti che, non i tedeschi, i fascisti se venivano a, non so.
DDC: No, fascisti anche nei paesi allora c’era un discorso c’era sempre per dire il capo dei fascisti, quelli che contavino logico che, che poi facevano come ti potrei dire ad esempio il quattro novembre che facevino la, che uscivano fuori, facevino, andavano giù per la strada un bel terzo e poi si rigiravino insomma quando facevino quelle dimostrazioni lì, se ad esempio, tutti non c’andavano, guai, ma quelli non, ecco, erano proprio quelli del paese che ce l’avevino con te perché magari non la pensavi come lui, hai capito? Allora, così, così. Allora, ma proprio un tempo proprio de coso, prendevano un tempo proprio de famoso del fascismo, riprendevino chi non era andato, c’era de, il quattro novembre, faccio per dire, ora un discorso del genere e chi non c’andava, allora andavino a prender a casa e poi gli n’davino l’olio di ricino lì, ecco, tutte quelle cose lì. E nei paesi più che nelle città. Perché c’era sempre quello che ce l’aveva con quello là perché, hai capito, così. Così.
FC: Capito. E lei si ricorda quando è finita la guerra?
DDC: Ora quello, io non lo ricordo.
FC: Cioè, cosa, se è cambiato qualcosa, non proprio il giorno, magari non proprio il giorno preciso preciso. Però se c’è stato un momento in cui lei aveva capito che la guerra era finita?
DDC: Allora, allora, quando insomma era finita la guerra, questo me lo ricordo. Allora, dice, ma lo sai che vengono, oggi, dice, vengono gli Americani a Stiava, faccio per dì. Allora noi si scese il bosco, salgo a Stiava, infatti nel frattempo erano arrivati questi Americani, questi cosi, ci fu, la gente l’acclamava tutti insomma, quel discorso lì sì me lo ricordo però così come, comunque ci s’andò.
FC: E c’era andata.
DDC: Sì, ci sono andata, sì ci s’andò. Eh certo.
FC: E poi cos’è successo, cos’è successo dopo qunado è finita la guerra? Come sono cambiate le cose?
DDC: Eh, dopo allora abbiamo cominciato voglio dire, meno male questo, meno male quell’altro, voglio dire non c’era più il coso di rimpiattarsi, era tutta un’altra cosa. Eh, dopo quando ci furono.
FC: E’ tornata nella casa?
DDC: Sì, allora, il papà che eravamo andati tipo uno perché i tedeschi li prendevino, li fucilavino, li cosavino e erino andati lassù come detto sopra Gombitelli. Allora, quando furono, quando ci furono, voglio dire che siamo stati salvati allora ognuno è ritornato nelle sue case e abbiamo ricominciato quello che si faceva prima, voglio dire, ha capito la gente così e ha ripreso il suo modo di fare voglio dire.
FC: Quindi non si ricorda tipo questi famosi tedeschi che stavano nella villa quando sono andati via?
DDC:Eh no, allora,
FC: No, così, chiedo.
DDC: Quello non lo ricordo ma quando fu quell’affare lì, che cominciarono e che sono andati via, insomma hanno liberato queste case che avevino occupato loro, insomma così. Quello non ricordo altro, ecco.
FC: E la vita quindi, non so, è ritornato tutto come era prima?
DDC: Eh insomma, piano piano, voglio dire.
FC: Cosa, si ricorda qualcosa in particolare?
DDC: Eh c’erano, c’era anche lì vicino alla casa nostra c’era venuti degli sfollati di Viareggio che poverini insomma cioè poi un po’ nelle città bombardavano ma insomma e dopo sono ritornati ognuno a casa sua voglio dire, piano piano insomma. Ora quanti giorni c’avranno messo non lo so ma insomma [laughs], il discorso così. E lì, questi lì che avevano ammazzato lì vicini poi allora li vennero a bruciare questi, questi sette che ammazzarono lì vicino a casa mia. Ci son venuti, io chi era non lo so, senz’altro gente che voglio dire, gente apposta per, son venuti e l’hanno perché piano piano s’erano, ecco così.
FC: Nessuno li aveva sepolti?
DDC: Sono stati bruciati. E poi quello che c’era successo poi [unclear], quello non me lo ricordo comunque. Ma quelli lì poverini.
EL: Nessuno, ti ha chiesto se li avevano sepolti. No.
FC: Non li avevano sepolti?
DDC: No, no, no, erano là, erano rimasti, no, perché lì, vennero presi perché non è che per esempio erano stati ste cose lì e poi il giorno dopo sono andati via. Allora sono venuti a prenderli e li han portarli via ma gente non so, del comune, chi c’è venuto quello non lo ricordo. E parte erino già un poco posati se l’han bruciati, quello non ricordo. Non lo ricordo bene, direi delle bugie. Non me lo ricordo a modo quella cosa lì.
FC: E lei, lei dopo la guerra le è capitato spesso di ripensare alla guerra?
DDC: Eh, viene spesso da ripensare! Voglio dire allora, ora no, ora sono passati già qualche anno no, ma sul primo così se ne riparlava tante volte. Se ne riparlava, oddio ma ti ricordi quello ma quell’altro ma come è successo, ecco. Quella cosa lì sì, quello me lo ricordo bene quel discorso lì che ne è stato riparlato parecchie volte e insomma, eh allora.
FC: Si parlava anche degli americani, degli inglesi, dei, dei?
DDC: Sì, ma quando son venuti loro che voglio dire hanno occupato il paese insomma anche loro ma era già tutto differente. Non era un’affare come lì al tempo dei tedeschi insomma no.
EL: E che vi hanno dato gli americani? Vi avevano portato delle cose, no. Che sono, delle coperte, le calze.
DDC: Le coperte c’erino, piu che altro le coperte.
EL: Sì, sì. Ma non anche le calze di nylon?
DDC: Ora io quelle non me le ricordo e ci stà che
EL: Che la nonna te le tirò via.
DDC: No, ma quelle lì un l’avevino portate loro.
EL: Ah.
DDC: No, no, no, quelle lì, le calze fine?
EL: Sì.
DDC: No, no, quelle lì è un passaggio della nonna, che ero già giovanetta a quell’ora sì. Ero pronta, andava alla messa, prima lei andava alla prima messa, perché c’era la prima la mattina presto e dopo noi invece ci si andava più tardi. Che succedeva? Succedeva che noi si stava a casa, c’era la mia sorella più grande e la su nonna, che lei era la più grande di tutti e c’avevimo le bestie, c’era la mucca, c’eran le pecore, c’era il maialino, avevimo di tutto e non ci mancava nulla, non ci mancava nulla [laughs]. E le persone più anziane andavano alla prima messa e noi invece ci piaceva di più andare all’ultima messa, che c’eran le undici. Allora, quando loro andavino via noi si facevi te fa quella cosa, te fà quell’altra, la nonna faceva le cose più pesanti e io invece quelle più, ma insomma, via te fà questo te fa quel. Era l’ora della messa, era l’ora della messa e ero sù in camera che, allora avevo le calze, le calze fine, no? Le calze fine e le avevo lasciate così sulla seggiola, come si fà così, di un salotto, scendo le scale, scendo le scale ma avevo il sottabito. Ma lei pensi che il sottabito, quei sottabiti di una volta, che poi la mia nonna era sarta, e le facevino, ma no quelle, quei, quello spallino fino così, piccino, sì quelle cosine grandi così, un pochettino scollate ma non troppo, così, quelli erino sottabiti che poi la mamma era, la nonna Ancilla era sarta e si faceva, se li faceva da sè insomma. Allora, io ero a prepararmi e avevo lasciato le calze, era sul primo che mi mettevo le calze fini e l’avevo lasciate in salotto così attraverso alla seggiola. Scendo le scale, ma ero in sottabito. Lei era giù in cucina. Io chiudo l’occhio e la vedo. Scendo le scale e lei in fondo alle scale. Te dove andresti in questa maniera qui? Sono andà a prendermi le cose, vedilo là, vedi, vedete perché si dava del voi, vedete mamma, è là sulla seggiola là in salotto. Vai, te le porto io le calze. Dio bono, ma son già qui, e che mi ci vuole ad andà a prender le calze là? Cammina! Va in camera, vergognosa! Ma santo cielo, ma che ho fatto di male? Va in camera, ti potrebbe vedè tu fratello! Ora, se mi vedeva mi fratello con la, con i sottabiti fatti da lei perché era sarta la mi mamma, ma i sottabiti di una volta non se li scordi, eh. Avevino come minimo le spalle grandi così, qui quando era tanto era scollato qui, eh. Se mi vedeva mi fratello in sottabito. No, io chiudo l’occhi e vedo la mi mamma, vai, te le porto io le calze, dio bono, ma sono già qui, era in mezzo a scala che ci vol a piglià le, no! Ti potrebbe vedè tu fratello. Ci sarà stato, ragazzi, ora a parte tutto, ma allora nelle famiglie era così eh. Ora, se mi vedeva mi fratello.
EL: Insomma le calze te le ha portate?
DDC: Sì, le calze me le portò però mi fece rimontare le scale e a un certo punto se no poteva venirmi. No ma seria perché te.
EL: Però le calze, però non bruciò le calze di nylon?
DDC: Le calze, quando, no, non le bruciò, le strappò, le strappò. E queste sarebbino le calze? Perché calze fini allora, avevimo le calze fini perché sennò si dovevino portà fine ma già più grossine c’erano quelle no fine fine come c’eran ora voglio dì perché ero già giovanetta mica avevimo quelle lì già un po’ più, capito? E l’avevo su questa seggiola in salotto ma quando lei le prese in mano le strappò, e queste sarebbino le calze? Era così, era così. E in sottabito mi poteva vedè mio fratello.
FC: E quanti anni aveva quando è successo questo?
DDC: Ora io con esattezza io non lo ricordo insommma con esattezza ma ero e po’, ma avevo incominciato a portare le calze fini. Avrò avuto senz’altro, non so, una quindicina d’anni, voglio dì, così. Mi poteva vedè mio fratello. Ora, dice, poteva, al limite poteva ma se mi vedeva mio fratello in sottabito. Allora era così. E allora nelle famiglie c’era questo rispetto qui. C’era, era così guarda e non potevi mica camminare e allora ma le calze fine. Ma scherzi davvero. M’ero permessa di comprarmi le calze fini [laughs].
FC: Quindi lei lavorava già all’epoca?
DDC: Eh?
FC: Lavorava?
DDC: Ma allora non si faceva, ora voglio dire non, lavoravo ma in casa ero sempre voglio dire, si faceva di tutto perché si faceva, anch’io ho cominciato presto anche a cucire perché anche la mamma era sarta. La mamma era sarta però insomma io dopo mi sono cosata sempre di più voglio dire. Ma tante cose si sapevino già fare da lei, perché per esempio e fai via, io faccio [unclear] un po’ m’è sempre garbato a cucire voglio dire. Ero, voglio dire, non ero, la nonna, la tu nonna era più robusta di me, io invece sono sempre stata più magra, invece ora sì sono più grassa, ma allora sono sempre stata più magrina. E la mi mamma mi diceva che le persone bionde, più delicate di quell’altre, te no, te sta tranquilla, te fà così, te fà così. Me diceva così.
FC: Non era d’accordo.
DDC: No! Era vero che io non avevo la forza perché la su nonna, quel che faceva la mi sorella, è una cosa, ma davvero eh.! Ma non è che non lo comandasse nessuno, lo faceva proprio spontaneamente da sè. Per esempio, i nostri, sia mi papà sia mi fratello sia il nonno avevino la falegnameria e non ci lavorava nessuno sul terreno. E noi il terreno che s’aveva si chiamava allopre si diceva allora, si chiamava vello per vangà, cosa per fà il solco per fà, per seminare per, perché oh tanto terreno si faceva di tutto, voglio dire, era così. Lei, la mi sorella, le la sapeva fà tutto. Quando era fatto la cosa più grossa di vangar anche la terra, lei faceva solchi, seminava La cosa, faceva tutto, tutto, la nonna faceva tutto. Ma io ero magrina, ero così che [laughs] un avevo la forza della mi sorella. Mi davo da fà perché volevo fà quel che faceva lei [laughs] sì perché quando siamo ragazzi e le impastava il pane, le faceva il pane, le, io non ho mai fatto il pane in casa mia.
FC: No?
DDC: Mai, non ho mai impastato il pane.
FC: E come mai?
DDC: Eeeh, non avevo la forza perché, eh, diceva la mamma, te sei troppo mingherlina, non puoi perché quando faceva il pane si faceva,
FC: Come facevano?
DDC: Lei faccia conto che si faceva una decina o dodici pani ma quelli lunghi così casalinghi eh. E ciavevimo , c’è sempre lassù alla casa paterna e si cosava questo, faceva questo pane la mi sorella che lei è na forza e io,
FC: A mano?
DDC: Sì, sì, sì, sì.
FC: O usavate qualche strumento?
DDC: No, no, no, no, tutto a mano eh, tutto a mano. Lei faceva, sapeva fà tutto la mi sorella. A fà tutto, davvero, e allora [unclear] e allora ma io siccome volevo fare quello che faceva lei perché visto quando siamo bimbette ma perché io non lo devo fà? E allora diceva la mi mamma, ma te non puoi, non hai la forza che ha lei. Perché la nonna era brava per fà quelle cose lì, era più robusta invece e mi diceva: ‘le persone bionde un han na forza così’. Ma che vuol dì na forza? Dicevo io, [laughs] dicevo che vuo dì. Io volevo fà quel che faceva mi sorella ma niente da fà, non lo potevo fà. Ma vedi te, sei più mingherlina, sei mingherlina, mi diceva e io ero arrabbiata, non volevo che mi dicesse così [laughs]. E siccome sia mio papà sia mio fratello sia voglio dire facevano i falegnami e anche per lavorare la terra perché c’è l’abbiamo ma, ce n’avevimo tanta, si chiamava le persone apposta per fare queste cose. Allora quando era a lavorare invece per fà il solco che la terra è bella sciolta e viene lavorata, ma lei, la mi sorella ci faceva il solco, seminava veloce e lo volevo fà anch’io. Io non ho mai impastato il pane, eh oh. Ma te, siccome sei più bionda, sei più mingherlina, vedi le gente bionde o n’han la forza che hanno quelle more, ma perché uno deve avè la forza [laughs], no me faceva. Hai visto quando siamo bimbette che vogliamo fà quel che fà quell’altro, lo vogliamo fà anche noi. È così.
FC: Va bene. Se vuole aggiungere qualcos’altro? Qualche altra cosa che le viene in mente sulla guerra?
DDC: Ma io non mi ricordo, non so. Le ho raccontato quel discorso lì che si dovette partire, andare lassù sopra Gombitelli, al Ferrandino, ci si portò, ci s’aveva le pecore, ci s’aveva quella roba eh, c’andò mi papà, voglio dire, ci si portò anche quelle lì, c’andò lei lassù sempre la mi sorella più grande che era insomma col mi papà lassù voglio dire. Quando erano qui erano a fare, che ve sò dì, avevamo fatto anche, avevamo, io no perché. L’ho detto, ero una bimbetta avevino fatto anche un coso, un rifugio nel campo lì sotto che si, entravino da una parte che c’era un poggetto alto così e qua c’era il campo. E di lì c’avevino fatto il coso entravino lì sotto però come facevino a stà continuamente?
FC: Com’era fatto questo rifugio, proprio?
DDC: Questo rifugio era fatto dentro come tipo una stanza e poi era tutto cosato con le cose di, con le tavole, con le tavole di legno. E lì dentro era come una stanza ma certo.
FC: Era scavata?
DDC: Eh certo! Era scavato sì.
FC: E quante persone ci stavano?
DDC: Eh ma quattro cinque persone perché era un bell’affare grande così eh. Non sempre ci potevino dormì perché insomma anche dormì così sottoterra in quella maniera lì. Fu così che poi era una cosa insomma e andarono a finire sopra Gombitelli dopo il mi papà insomma gente lì via.
FC: Ah, era per nascondersi?
DDC: Nascondersi perché facevano
FC: Gli uomini?
DDC: Eh certo!
FC: Quindi lei non c’è andata, non c’andava dentro?
DDC: No, no, no, noi no, solo gli uomini. Prima dormivano nel bosco perché c’abbiamo boschi vicini ma con le coperte dormire nel bosco insomma, e io la mattina quando m’hanno detto andava a portà, andava a portare da mangiare il caffè, voglio dire, oppure a mezzogiorno la minestra tutto quanto, che mi mettevo il sacchetto sotto la gonnella per portargli e loro dormivino nel bosco. Ma han fatto una vita. Eh. E tutti quelli lì vicini, voglio dire, di lì, lassù dove si stava lassù c’eravamo, e sette famiglie mi pare. E ogni famiglia c’era, c’avevino la persona maschio voglio dire e partivino, chi andava di lì, chi andava di là, e sul primo che facevino i rastrellamenti che noi ragazzi s’andava lassù in cima e si vedevino quando le macchine partivino per i rastrellamenti, via! Scappate! Scappate! Magari andavino via mezzi nudi, si vestivino per il mondo, davvero, e dopo cinque minuti arrivavino i tedeschi a fare cosa. E noi erimo sempre.
FC: Cosa dicevate, ai tedeschi?
DDC: Nulla noi, noi erimo bimbetti.
FC: E non vi chiedevano dove erano gli uomini?
DDC: No, voglio dire a noi bimbetti no, erimo, voglio dire.
FC: Non si ricorda?
DDC: Voglio dire ai grandi, magari alle donne, magari l’avran detto ma e mi dicevino quando, a delle volte mi dicevino, come dì, che erino andati alla guerra, che non c’erino a casa, così. Erino andati alla guerra, eh, oh! A quello lì che t’ho detto che nun ce la fece ad andar via che la su sorella entrò tra una materassa e l’altra, la su sorella a sedere e faceva a vista lì a dò la poppa alla bimba. A sedere, entrino i tedeschi [unclear] al mondo e lui era tra. Eppure ragazzi a raccontarlo non ci si crede, ci si scriverebbe davvero un libro. È vero, è vero!
FC: E quindi adesso, quello che pensa lei della guerra, è cambiato rispetto all’epoca? Cosa pensa adesso della guerra?
DDC: Ma ora io, a dir la verità, insomma io penso che ora son tanti, son passati tanti anni voglio dire,
FC: Le dico le emozioni.
DDC: Certamente quando ne parlo, voglio dire, per me è come rivivere quel momento eh, eh, oh! Ma io delle volte penso, mi viene pensato come si fece a attraversare la strada maestra con le pecore per andare a Gombitelli. Perché lì lassù dove si abita noi, alle capanne ci chiamino eccetera, scendi giù in paese, e poi s’attraversa la strada e si prende la strada che va sù, lì accanto alla scuola c’è una strada grande che va a finire a Gombitelli ma poi quando siamo a Gombitelli per andare al Ferrandino dove si portò noi le bestie, ce n’era, c’era da camminare un altro bel pezzo eh, da Gombitelli al Ferrandino. Eppure. E delle volte dico io, ma come, io non ricordo, ecco quella lì quante volte me lo sono domandato che non sono mai riuscita a capire come si fece a attraversare la strada maestra per andare lassù. Perché da lì, da dove si abita noi c’è da scendere giù dove c’è la chiesa lì al paese, a Montemagno e poi c’è da prendere la strada per andare a Gombitelli. Come si fece, come è stata fatta quella cosa lì, me lo sono domandato tante volte, non l’ho mai capita.
FC: Perché non se lo ricorda?
DDC: Non me lo ricordo. Non lo ricordo perché lì da tutte le parti c’erano i tedeschi [unclear] a Montemagno era pieno così di tedeschi eh. C’era lì davanti alla chiesa c’erano i, nel coso del piazzale davanti alla chiesa c’erino proprio le cose dei tedeschi. Lì dove c’era la, che ora c’è la, come si chiama la cosa lì che c’ha Oriano?
EL: Bottega.
DDC: La bottega là che ci vanno a mangià la gente là.
EL: Sì, sì.
DDC: Più che bottega.
EL: Sì, sì, Le Meraviglie.
DDC: Le Meraviglie. Lì c’era, anche lì c’erino tedeschi da tutte le parti. Allora non c’era, c’era questo coso vuoto che i padroni erano in America e lì occuparono tutto questi tedeschi. Avevino, ti ho detto, [unclear] tutte le carte che erino lì. E loro sapevino, come trovavi una casa vuota, sta tranquilla, non chiedevino il permesso a nessuno. E poi ammazzavino le bestie [laughs], trovavino da mangià. Eh beh, ce n’erano tanti di tedeschi a Montemagno, non so come mai.
EL: Perché era la via che andava a Lucca forse.
DDC: E poi, partigiani, partigiani, come avevino paura dei partigiani però.
FC: I tedeschi.
DDC: I tedeschi avevino paura, anche quando venivino in casa, che noi erimo bimbetti no, e ‘te partigiani, no? Partigiani! Partigiani!’ E noi si diceva: ‘No! No!’. Quello si sapeva anche se eravamo bimbetti di dì di no. Di dir di no dei partigiani.
FC: E aveva paura dei tedeschi?
DDC: Avevimo paura davvero dei tedeschi. Insomma anche lì da noi averci fatto delle cose lì, aver ammazzato quella gente lì voglio dire, anche lì li ho visti tutti eh insomma. E quando eravamo là, perché si doveva, avevano attaccato fogli anche a questa villa, avevino attaccato fogli alle porte che noi si doveva sfollare. Si doveva sfollare perché lì tiravino all’aria tutto, no. Che di lì si andò alla casa là al Meschino. S’andò alla casa la, lo sai no dov’è questa casa al Meschino? Ecco, la casa al Meschino che poi anche lì vennero i tedeschi allora come come ci trovarono là non si sa perché questa casa qui che dico io è la nel mezzo a vigneto e al bosco, ma lontano di lì dalla casa dove si stava noi. Eravamo sfollati tutti perché avevano attaccato fogli che avrebbero ammazzato tutti, di sfollare, di sfollare. Allora non si sapeva dove andare e si parte, si va tutti là a questa casa là nel bosco, ma è na casa grande e era su, era du piani, na casa sotto e sopra insomma e s’andò là. Ci portammo le cose più necessarie e s’andò là. La nonna invece non volle mai venire, è sempre stata a casa lì. Invece quando vennero là i tedeschi, che si misero tutti in fila, che si dovevino fucilare tutti, perché c’avevino scoperto che noi eravamo là e dicevino che eravamo partigiani. ‘Tutti partigiani! Partigiani! Partigiani!’ Ma poi c’erimo bimbetti, c’era lo zio Luigi che era più piccolino di me. Allora ci misero tutti lì in piazza davanti alla casa, non so se eravamo una trentina, sì, una trentina eravamo sì, allora io abbracciai mio fratello e lì tutti i tedeschi intorno col fucile puntato. Abbracciai lo zio Luigi e girai le spalle al tedesco perché secondo me, secondo me, ammazzavino me e ma, con le spalle, ma io Luigi lo salvavo, te pensa. E invece che successe? Successe, eravamo lì tutti pronti che loro pronti, che si sapeva che quella gente non perdonavino. Nel frattempo scende di lassù, perché noi eravamo così giù che c’era questa casa e poi c’era un vigneto su che andava un popolino su così. Da questo vigneto che c’era nel mezzo una bella cosa, stradina che veniva giù, vennero, incominciarono a venì tre o quattro uomini, di lassù ma vestiti normali, no tedeschi. Allora noi si dice, questi ragazzi, ‘Oddio partigiani, oddio partigiani, oddio partigiani’, e quei tedeschi che erano lì ebbero, meno male! Ebbero paura, invece di venire insù vicino perché il coso, c’era la strada che veniva giù così, questi tedeschi incominciarono a saltà poggio e piano giù per il bosco. E noi [laughs] e meno male, se no c’avevino messo tutti in fila, si dovevino essere fucilati.
FC: Come mai vi avevano messo in fila?
DDC: E perché noi erimo partigiani o c’erimo figlioli dei partigiani, perché erimo là a questa casa nel mezzo a un vigneto nel mezzo così, non eravamo lì più alle case nostre.
FC: Quindi erano bambini, donne?
DDC: Bambini e donne, bambini e donne. E persone anziane messe giù che su una sdraia che poverini un camminavino.
FC: E questi uomini qua che scendevano dal monte, chi erano?
DDC: E quie, no, io non ho mai capito chi erano questi uomini ma questi uomini quando furono così che scendevino giù questo, perché erano, noi erimo qui ma poi c’era questo, questa salita che non era lì vicina, era un bel pezzo di lassù venivan giù e si vedevino sti omini scendere giù vestiti popo’, e lì si incomincià a dì: ‘Oddio partigiani! Se dio vuole partigiani!’. Questi tedeschi saltà poggi e piano e andà per ingiù per il bosco, non s’è più visti dove andati a finì perché avevino paura anche loro dei partigiani [unclear]. E meno male, meno male, ci fu quell’affare lì sennò, erimo già belli e pronti lì. E io avevo abbracciato lo zio Luigi e m’ero, avevo girato le spalle io verso i tedeschi che avevino il fucile puntato e io, secondo me, lo salvavo il mio fratello più piccolino di me. Dissi, me m’ammazzino ma mio fratello no. E invece meno male, ma c’erimo in tanti lì eh [laughs] e insomma. Erino momenti brutti. Erano momenti brutti davvero.
FC: Va bene. Direi che, io la ringrazio perché c’ha raccontato delle cose bellissime e interessanti.
DDC: Bellissime [laughs] insomma.
FC: Sì, bellissime, insomma.
DDC: Bellissime [laughs], bellissime era meglio se non [unclear], era meglio se io n’avevo raccontà, oh, era meglio se n’avevo raccontato na barzelletta [laughs].
FC: Bellissime, nella prospettiva. Ci ha raccontato delle cose interessanti e molto utili, ecco, mettiamola così.
DDC: Sì e insomma così, poverina, quel che v’ho detto la verità perché è successo, voglio dì.
FC: No, no, certo, certo.
DDC: Ero bimbetta e è successo qualche anno fa, eh. È passato qualche giorno, insomma [laughs]. Però insomma grosso modo le cose quelle lì. Ora non mi posso essere ricordate le virgole, per l’amor di dio, però insomma. Così.
FC: Va bene. Grazie.
DDC: E così, eh. E questo era il paese lì a quell’ora.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Delia Del Corto
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Delia del Corto (b. 1932) remembers daily life in wartime Tuscany, living in a family of ten. Provides details on rural life, especially home bread making, and stresses the difficult coexistence with feared German troops. Mentions many anecdotes in the context of the Italian civil war: actions of the resistance, locals being strafed, round-ups, and the killing of 32 civilians as reprisal for the death of a German officer. Recollects the day she found herself under aircraft fire while she took sheep to pastures with her little brother. Describes the construction of a makeshift dug out in a field in which her father hid and recollects how she got caught in crossfire.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Francesca Campani
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-09-26
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
01:09:27 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ADelCortoD170926
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
childhood in wartime
fear
home front
Resistance
round-up
shelter
strafing
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/77/743/ABianchiM170912.2.mp3
940260dfe1038700f8c517f3d4264697
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Bianchi, Marisa
Marisa Bianchi
M Bianchi
Description
An account of the resource
One oral history interview with Marisa Bianchi who recollects her wartime experiences in Sesso and in the Reggio Emilia area.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-09-12
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Bianchi, M
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
FC: Questa intervista è condotta per l’International Bomber Command Centre. L’intervistato è Marisa Bianchi. L’intervistatore è Francesca Campani. Siamo a Sesso, provincia di Reggio Emilia, è il 12 settembre 2017. Possiamo cominciare. Allora, la prima domanda che ti faccio è cosa ti ricordi di quando eri piccola, cioè.
MB: Avevo otto anni allora, ero piccola davvero.
FC: Cosa faceva la tua famiglia? Dove vivevi? Avevi fratelli?
MB: Vivevamo sempre a Sesso, fratelli non ne ho perché c’ho una sorella.
FC: Ecco.
MB: Eravamo, stavamo vendemmiando, arriva Pippo e noi giù, tutti nel fosso, gaemo un fosso. Ha cominciato a mitragliare, ha tagliato tutte le gambe degli scaletti. Per fortuna che c’era la bonifica che ha riparato le schegge. Se non morivam tutti quanti, da bom. Eh ohi. E poi abbiamo avuto anche che na volta han preso, ste Pippo, la bonifica, sai c’eravamo la bonifica in fondo ai nostri campi, l’avevamo presa per la stazione, per la ferrovia che era dietro la casa dell’altro contadino. Han mollè na bomba, guarda, non ti dico, ah, è successo la malora, tutti i vetri crollati.
FC: Della vostra casa.
MB: Tutti, anche quelli dell’altro contadino, davvero c’era venuto un buco che l’era enorme.
FC: E voi dove vi eravate nascosti?
MB: Noi eravamo nascosti in casa, dove che possiamo nascosti? Non c’avevamo mica il rifugio o cose del genere.
FC: Non ce n’erano lì?
MB: No, in campagna cosa vuoi che sia. Mamma mia, Gesù, e poi noi abbiamo avuto i tedeschi in, sai che, tu a Sesso non ci sei mai stata. E’ dove abitavamo prima, adesso è un casino che non si capisce più niente, ma avevamo un bosco.
FC: Ah.
MB: E la sera erano tutti messi coi carri armati, le camionette, tutti sotto lì. E avevamo i comandanti che allora vivevano nella villa e i soldati vivevano su nel fienile. [unclear] sta mattina doveva fare il pane. Davano la roba a loro, eh. La farina, portavano tutto facevano presto loro! Andavano a casa dei contadini, prendevano quello che volevano. E star matene e sai come fa il pane che c’era la, daghe l’amleri in poche parole. E io che, ero già, avevo già la lingua lunga allora, volete il pane? Giù alla mattina alle cinque a gramolare, [unclear] pan. [unclear] E il [unclear] c’aiutavo io ma loro s’arrangiavano sai. No eh guarda, noi li abbiamo avuti per quaranta giorni però son stati perfetti eh, a posto. Solo un giorno che due hanno cominciato a litigare e a sparè in elta e il comandante le [unclear] li ha spediti tutt via, li ha spediti in guerra, al fron in poche parole.
FC: Ah.
MB: Se no guarda, è solo che dopo, quando sono partie il 24 di aprile che sono poi morti tutti al Po, perché loro credendo di essere al Po, di essere già fuori ma è mort tutt al Po, eh. Marino ha preso via la scala del fienile, guai a chi va su. Sono venuti i carabinieri, hann raccolto due ceste così di bombe a mano, proiettili, sai, loro dormivano su nel fienile.
FC: E non c’erano più però. Erano scappati.
MB: No, no, erano già andati.
FC: Il 24.
MB: Il, loro sono andati via il 24. Pensando che, di arrivare al Po e di essere già fuori. Invece i mort nel Po. Han detto, eh, perché ovviamente, al Po non ci sono stata comunque l’han detto. Fat na brutta fine. Però erano maledetti. Nel senso che loro andavano nel confronto degli altri. E serviva la carne, andavano a prendere dal contadino un vitello senza pagarlo. Lo uccidevano nel nostro prato, ed era pena quel giorno, ma guarda un po’ che roba. Noi non abbiamo mai fatto la fame perché c’hann sempre dato tutto. Io ho fatto la cresima che quelle fotografie lì le deve avere ancora tua madre, che una volta la rileghi e ci porto vi l’album perché mi ha promesso che me le stampava e non me le ha ancora stampate.
FC: Va bene.
MB: Fatto la cresima. Sai quante scatole di cioccolata? Loro avevano la cioccolata in scatola i tedeschi.
FC: Eh. E te le hanno date?
MB: Orche!
FC: Perché sapevano che avevi fatto la cresima.
MB: Che ho fatto la cresima, la cresima.
FC: E quindi loro.
MB: No, no, guarda, son stati buoni, buoni, mai successo niente. Solo un giorno sti due cretini han litigato, uno ha sparato in alto.
FC: E ce n’erano di partigiani lì intorno? Ti ricordi qualcosa?
MB: Ma io ho ott’ann, cosa vuoi che mi ricordi?
FC: Ah non lo so, magari.
MB: Mi ricordo che dicevano che si erano nascosti nei campi e me sai, a otto anni che cavolo vuoi che sapessi. Io mi ricordo quelli lì i tedeschi perché avevo sempre avu per ca’ per quaranta giorni. Se no i partigiani sapevo che c’erano però a Sess non so mia se n’era, se c’erano a Sesso proprio, mah non lo so, quello non lo so.
FC: Ma, ehm, ti chiedo questa cosa qua. Ti ricordi quando è iniziata la guerra proprio? Cioè prima non c’era la guerra e dopo è iniziata.
MB: E dopo c’era la guerra.
FC: Ti ricordi quel momento lì? Cosa facevi? Andavi a scuola?
MB: Andavo a scuola, sì, sì.
FC: Dove andavi a scuola?
MB: Allora, avevano occupato la scuola. Allora mio padre e degli altri papà han preso su in soffitta in casa di un contadino, ci si portava la mattina con due pezzi di legno per uno per scaldarsi. E così che noi non abbiamo perso l’anno, hai capito? E quelli che non sono venuti hanno perso l’anno. Nella scuola con due pezzi di legno per uno, poi c’erano una di quelle stufette sai la Becchi come si chiamavano sì, la Becchi e noi li avevamo in casa la Becchi. C’erano nelle camere ve’. Era la villa padronale, c’era una nella camera della nonna, una, meno che nella mia e di tua madre. Alla mattina, se ti alzavi la notte a far la pipì, era ghiacciata, ve’. Era, perché noi avevamo proprio la camera a nord. Di andare a dormire col prete poi tiravi via, andavi sotto. Invece nella camera della nonna e quella della Iona c’era la Necchi, la Becchi, quelle stufette sai a piani.
FC: E a scuola parlavate della guerra?
MB: Oh, chi si ricorda.
FC: Non ti ricordi?
MB: Non mi ricordo.
FC: E se, non so.
MB: Mi ricordo solo che mi portava il papà con la bicicletta in canna, e che c’era sta borsa con due pezzi di legno da portare per scaldarci lassù perché eravamo su in soffitta. Però la guerra chi se la ricorda più. Sai, a parte che ero piccola, perché è finita la guerra che nel ’40?, ‘45, mi sono del ‘36, fa un po’ te i cunt, avevo nove anni.
Fc: Eh beh, però mi stai raccontando delle cose.
MB: Sì, ho capito, però certe cose non te le ricordi. Per esempio nella notte, la notte del 23-24, c’hann detto i tedeschi: ‘andate via, in mezzo alla campagna!’. Siamo andati a casa di un contadino, noi e tutta la famiglia intorno. Alla mattina il nonno voleva andare a vedere perché sai c’era le mucche da mungere così. Invece Nino, il figlio della Wilma, ha detto ci vado io perché vado più svelto a correre. L’hanno ucciso poco distante da casa.
FC: Chi l’ha ucciso?
MB: I tedeschi e i fascisti di Sesso.
Fc: Ah ecco.
MB: Sì, è il 24 aprile. E Il 25 ghe stè la liberazion, e lui avev disdott ann. Diciotto anni aveva. A fam, no zio ci vado io che corro corro più veloce, faccio prima ad andare a vedere cosa c’è. Loro erano già partiti, tutti quanti, le rivè a un poc distan da ca non so quanto. La casa più vicino l’hanno visto quando l’hanno ucciso. L’hann fatto mettere in ginocchio e [mimics shooting noise], gli hann sparè. E pensa che c’era uno di Sesso, che sua figlia abita sopra tua mamma, nell’attico. E una volta ha trovato la mamma di quella ragazza lì, lei è già morta perché aveva un tumore al seno, e ora ci siamo trovati lì giù, io c’ho chiesto delle sue figlie perché andavamo a scuola assieme con una cosa. La disi: ‘cosa vuoi che ti dica?’, la disi: ’è proprio vero’, la dis che le malefatte dei vecchi si sono rivoltate contro i figli. C’era morto già la figlia lì, morto il figlio con un tumore,
FC: Mamma mia.
MB: Sì, proprio mamma mia.
FC: Ehm, volevo provare a richiederti ancora se ti ricordi altre volte che è venuto Pippo, cioè cosa si diceva di Pippo?
MB: Quando arrivava Pippo tutti sparivano, sparivano tutti quanti.
FC: Veniva tutti i giorni?
MB: Tutti i giorni passeva su ma tanta [unclear] ciapè Pippo, ti dico. Sì, sì, guarda che una volta, non so della via, ha buttato delle bombe dove, e a noi ci sono crollati tutti i vetri un’altra volta. C’era la Lidia, la figlia della Ione, la sorella della Mirella, aveva avuto la difterite ed era già in convalescenza, lo spavento, la paura, l’è morta sul colpo. Aveva cinque anni, sì. Sai che solo la Mirella, ce n’erano già morti due, e tre con la Lidia ne g’avu quattre. Perché una era nata quando sono nata io, io sono nata la mattina e lei era nata al pomeriggio di sette mesi solo che in quei tempi lì! E sì, Pippo l’era maledetto eh. Non ti so dire se era inglese o se era americano, ste Pippo.
FC: E tu lo sapevi perché faceva così?
MB: Ma cosa pe de che, faceva, passava e mitragliava.
FC: Cosa pensavi di Pippo?
MB: Ciapa tante [unclear], ho pase tante di quelle paure a noi, sai c’avevamo il portico prima della stalla e c’eran le arcate. Le avevamo riempite tutte di paglia, le balle sai. L’ha fat na mitraglieta, per fortuna che non hanno preso fuoco. Aveva riempito le balle di proiettili. E quand [unclear] sai Marino le apriva poi dopo, poi si usavano, no, saltavano fora come i cosi.
FC: I proiettili.
MB: Sì. Che lur sa chissà cosa si credeva che fossero, c’era, sai nelle arcate tutte ste balle di paglia. Bel Pippo!
FC: E quindi cosa, cosa facevate quando arrivava Pippo?
MB: Eh, ci si nascondeva dove si poteva.
FC: E ti avevano spiegato cosa fare?
MB: Si andava in cantina, si scendeva nei posti più chiusi. Non c’era un rifugio, non c’era niente e non. E infatti i tedeschi avevano messo tutte le balle di, di paglia contro le finestre dentro per paura che Pippo passasse e mitragliasse. E la mess tutte le balle di paglia.
FC: E passava di giorno o di notte Pippo?
MB: Passava a qualunque orario, non c’era preoccuparsi, mattina, pomeriggio, notte.
FC: Tutti i momenti.
MB: E la notte, caro mio, si metteva la luce si metteva sopra perchè sta su un po’ unita perché le vedeva lui quelle luci accese di notte. C’era così, la vita là di quei tempi lì.
FC: E quando stavate nascosti, no?
Mb: Eh.
FC: Cosa facevate? Come passavate il tempo?
MB: A parlare.
FC: Parlare. Anche te.
MB: Sì eh.
FC: E c’erano altri bimbi?
MB: Sì, c’era altri bimbi, quelli di quella signora che abitava nel nostro cortile, ma sì ma si univa tutti eh. Mamma mia.
FC: E facevate dei giochi per distrarvi?
MB: No, no, no, stavem tut là, a tremare dalla paura perché.
FC: Avevate paura?
MB: Ah Madonna, se avevamo paura. Perché aveva fatto, buttato ste bombe nel prato di quell’altra famiglia che aveva preso la ferrovia per la bonifica. [unclear] un buso enorme. E sai, se ti buttano una così sulla casa, [makes a whistling sound]. Ma quella volta lì, quella mitragliata degli scaletti, tut dentro al foss.
FC: Eravate tutti a vendemmiare.
MB: Tutti a vendemmiare eravamo.
FC: E come avete fatto a capire che era.
MB: Allora, sintu arriver e allora giù, tutti nel fosso.
FC: Tutti nel fosso.
MB: E lui ha cominciato a mitragliare, a tagliare tutte le gambe degli scaletti. E per fortuna che poi dopo le schegge si sono fermate contro il coso della bonifica perché noi eravamo più bassi e la bonifica era più alta. Si fermedi tutti là, se no. E per fortuna che nel fosso non c’era acqua, perché sai era uno di quei fossi che si riempivano d’acqua, eravamo in settembre. L’acqua non c’era più, ma che usavano a annaffiare tutti i campi, tutti i cosi. Guarda che l’altro giorno venivo da casa da Reggio con Rico e [unclear], Rico, ti ricordi te, ma le e fa Rico, hai ancora in mente? Oh, se l’ho ancora in mente, porca miseria, altroché. La paura!
FC: Quella storia qua.
MB: Sì, quella storia lì della vendemmia e degli scaletti. E dopo [unclear] fer tutti i gambe nuve di scalette eh. Quelle cose lì, se, adesso non lo so ma se le ricordava anche tua mamma, tua nonna, la Laura.
FC: E tu te lo ricordi cosa faceva la Laura? Cosa, te la ricordi la Laura a quei tempi lì?
MB: La Laura aveva dodici anni più di me sicché lei aveva già più di vent’anni.
FC: E anche lei si nascondeva dove andavi tu?
MB: Anche lei. Sì, no, quando arrivava Pippo erano tutti unì, nelle cantine, nei posti, chissà, forse si pensava che fossero più sicuri, mah. Meno che nelle stalle perché le stalle sai eh, sono tutte esterne e ci si andava nelle cantine perché erano in mezzo alla casa, insomma, erano più. Beh sì, i tedeschi hanno proprio così.
FC: E i fascisti invece, cioè, ce ne giravano un po’? Li hai conosciuti,
MB: I fascisti erano schifosi.
FC: Te li ricordi?
MB: Sì che me li ricordo. Noi avevamo il cortile che guardava dritto alla cooperativa di Sesso. Noi sentivamo gli urli di quelli che torturavano, i fascisti.
FC: E cosa facevate, niente?
MB: Te fa [unclear]? Te scoltè o ti tappavi le orecchie. C’è uno che c’hann levato proprio tutte le unghie, tutti gli urli e poi l’hann stirato.
FC: Col ferro.
MB: Sì, col ferro. In cooperativa a Sesso.
FC: Tu sapevi, ti, tu cosa pensavi quando eri piccola di queste cose qua? Cioè, cosa.
MB: Che erano schifose.
FC: Sapevi che era, capivi perché c’era questa guerra, come funzionava la guerra?
MB: Capivi, capivi che c’era la guerra e basta.
FC: Nessuno ti aveva spiegato?
MB: No, neanche a scuola.
FC: Neanche a scuola. Non se ne parlava.
MBV: Eh, sì, sì! Noi sì, sentivamo urlare, gli urli, sai te tira via le unghie. Poi l’hann stirato bene poverino. Poi dopo sono andati nel prato, di quelli che ghe hann buttea la bomba. Ne hanno ucciso diciotto.
FC: Nello stesso posto dove era caduta la bomba?
MB: Sì, pochino più spostati ma i hann mazzè tutt.
FC: Perché?
MB: Erano partigiani proprio.
FC: Erano partigiani.
Mb: Tutti Manfredi, Miselli, tutti.
FC: E questo aereo che ha sganciato questa bomba, no?
MB: Era Pippo.
FC: Era Pippo, ma ne ha sganciate delle altre di bombe?
MB: Ne ha sganciate, non so dove, più in un altro posto ma sa sgancià solo quella lè.
FC: Solo una.
MB: Solo una. Mitragliet, quante mitragliet non so quante ne ha fatte, però una bomba l’ha butta sol quella lè. Finì la guerra dopo sono andati a riempire il buco, sai, tutti i contadini si sono uniti con cariole, con badili per riempire ste bus chel so mia quant temp e g’hann mess. Sì, n’è bella storia l’è quella li va’. Davvero eh. Noi al 25 aprile eravamo tutti nella curva di Sesso, sai, quando c’è la curva lì e g’era la co, la come si chiama, la bilancia quel che ci davano i carri a pesare, e riveva i american, venivano tutti da Cadelbosco. Insomma per noi venivano da Cadelbosco, poi non so da dove venissero. Comunque, mamma mia.
FC: E cosa successe il 25 Aprile?
MB: Niente, tutti a batterci le mani, contenti, perché eran sparì i tedeschi e ghe iera i americani.
FC: E gli americani cosa facevano?
MB: Niente, andavano, sono andati tutti a Reggio.
FC: Ah, sono solo passati.
MB: Sono solo passati.
FC: Non si sono fermati?
MB: No, no, no, no. Sono solo passati. Gli americani sono solo passati poi si sono fermati a Reggio. Si sono fermati a Reggio ma un giorno o due, poi sono proseguiti per Modena, Bologna, tutt.
FC: E quindi dopo che sono andati via i tedeschi dalla casa,
MB: Sì, sì.
FC: Voi siete rimasti lì?
MB: Sì, sì, noi siamo rimasti lì.
Fc: E cosa, come è funzionato il dopo? Cioè.
Mb: Eh, dopo ha ripreso la vita di prima di, che scoppiasse la guerra. Noi siamo rimasti nella villa perché eravamo nella casa vecchia. La padrona, lei è andà da stè a res, e noi avevamo preso la villa. C’era quattro camere da letto. Eran me, tua mamma e la Mirella, che dormivamo nella camera più fredda. E poi c’era la nonna e Marino in un’altra e l’altra l’aveva affittata a due sposini che erano poi i figli di quelli poi che erano venuti ad abitare nella casa vecchia. Poi anche lì si è ripreso la vita di prima.
FC: Tu hai ripreso ad andare a scuola?
MB: Eh sì, dopo a scuole s’è liberede. Allora ti voglio chiedere se sei fidanzata?
FC: No. [laughs] No, vedi che non è qua.
MB: Ah non, ah avevo sbagliato dito.
FC: Sì, sì, sì. Bene, allora, c’è qualcos’altro che ti viene in mente della guerra, qualcosa che mi vuoi raccontare?
MB: No, non mi
FC: Qualche emozione? Qualche, non so, qualche episodio legato, non so, a degli amici?
MB: No, sai com’è, eravamo.
FC: A cosa trovavate da mangiare?
MB: Ah noi, noi non abbiamo mai fatto la fame, no. Sai, i contadini non hanno mai fatto la fame. I contadini c’avevano tutto, i polli, conigli, c’avevamo tutte le uova. Fatto la fame erano quelli che. Guarda che hanno ucciso un ragazzo, ecco, quello, un ragazzo che andava a lavorare alla Reggiane allora. Era un fratello di una mia amica. Aveva sotto il braccio, aveva una mela e un cono, un pezzo di pane, era il suo pranzo. L’han sparè perché [unclear] gli una bomba sotto la braccio.
FC: E dove gli hanno sparato?
MB: A Sesso.
FC: Chi?
MB: I tedeschi.
FC: Così?
MB: Era il suo, il suo pranzo era, una mela e un pezzo di pane.
FC: Andava verso le Reggiane.
MB: Andava verso le Reggiane.
FC: Prima che le bombardassero quindi.
MB: [unclear]
FC: Quindi tu i bombardamenti che ci sono stati a Reggio di grossi non te li ricordi?
MB: No, non me li ricordo quelli lì, no.
FC: Non ne hai neanche sentito parlare, all’epoca?
MB: No, proprio no.
FC: Era proprio distante.
MB: Noi abitavamo a Sesso, sapevi quello che succedeva a Sesso. Fuori.
FC: Ah, beh, sì.
MB: So che hanno bombardato Reggio però non. Insomma, noi eravamo troppo lontani da Reggio. Hanno ucciso altre persone sull’argine del Crostolo, che andavano a lavorare anche loro a Reggio e facevano l’argine del Crostolo perché eran fuori nella via principale che [unclear] e li han ammassè sull’argine del Crostolo.
FC: Sempre i tedeschi.
MB: Sì. I fascisti hanno ucciso quegli altri quattro lungo la nostra strada. Facevi la curva e li hanno uccisi lì [unclear] la mateina.
FC: C’era la nonna che mi ricordo che mi diceva che a un certo punto c’era un morto. Avevano trovato un morto. Tu non te la ricordi questa cosa qua? Che in un fosso, in un angolo, da qualche parte, a Sesso hanno trovato sto morto, questa cosa non te la ricordi.
MB: Non me lo ricordo. Mi ricordo Nino, figlio della Wilma, il fratello di Enrico, che l’hann trovato in un fosso, in mezzo alla campagna, che l’hann massè lì. Disdott ann.
FC: Sarà quello lì.
Mb: Però altri non mi ricordo. Sai poi sono passati tanti anni che poi le cose.
FC: No, no, ma va bene. A noi, a me interessa sapere cosa ti ricordi. Cioè, non.
MB: Sì, no, ho capito ma certe cose poi dopo ti passano dalla mente, non te le ricordi più.
FC: Sì, sì, lo so.
MB: E’ passè per la miseria, sessantacinq’ann, ottant’ann, eh.
FC: Eh!
MB: Ti ricordi quello che hai vissuto in casa tua, avevi vissuto intorno, hai capito?
FC: Eh, quello, quello, quello a me interessa. Sì.
MB: Mamma mia.
FC: E tua mamma? Non ne hai parlato di lei? Come,
MB: Chi?
FC: La mamma.
MB: Ah, mia mamma? Ah, mia mamma era addetta al forno lei. Faceva.
FC: Era addetta al forno.
MB: Al forno, [unclear] pan per i tedeschi.
FC: E anche prima quindi lei faceva il pane spesso.
MB: Sì, noi l’abbiamo sempre fatto in casa il pane. Mi e me sorell [unclear] la mattena, una [unclear] gramler, eh sai,
Fc: Cosa vuol dire esattamente gramlere?
MB: Allora, c’è un’affare lungo così. C’è un’asta che lì ci va, ci va, perché alla sera lo mettono nella malia, poi lo mettono con il coso, mamma mia come si chiama, aiutami te,
FC: Il lievito.
MB: Il lievito. La farina, lo impastano, poi lo lasciano lì tutta la notte, poi la mattina lo prendono, poi lo mettono sotto a ste aste. Poi ce n’era, andava su poi giù veniva un bastone c’erano due maniglie e lì lo gramolavi. Ciameva gramlera.
Fc: Lo schiacciavi.
MB: Schiacciavi e mia madre era lì che lo girava, lo rigirava.
FC: Ah, lo rimpastava e dopo.
MB: Sì, sì, lo rimpastava tutto.
FC: Ah.
MB: Poi dopo c’era da fare il pane. Poi dopo che aveva finito di fare, di aver cotto il pane, facevamo il gnocco.
FC: Ah.
MB: Col bastone, bei [unclear] di rame.
FC: Ah. Col lardo?
MB: Col lardo, eh. E veniva buono, eh.
FC: [laughs]
MB: Quello me lo ricordo.
FC: Quello sì, eh.
MB: Sì.
FC: Eh. Ma non c’era, visto che voi stavate bene, insomma, che avevate da mangiare, non c’era gente che veniva lì e vi chiedeva da mangiare? Non c’era qualche sfollato?
MB: Ma noi. Eh, ce li avevamo gli sfollati.
FC: Ah, raccontami un po’ degli sfollati.
MB: Eh, gli sfollati non hanno mai patì fame perché casa dei Bianchi, non era problema. Avevamo la.
FC: Da dove venivano questi sfollati?
MB: Da Reggio.
FC: Da Reggio. E cosa dicevano loro?
MB: Che cosa vuoi che dicessero?
FC: Come erano? Chi erano? Grandi? Vecchi? Piccoli?
MB: No, no, non avevano, no, non erano vecchi perché c’era un signore che aveva un bambino piccolo, quel ga avu du, tre anni. Era coi parenti, ve’! Non eran, parenti della nonna. Stavano, dormivano nel garage.
FC: Dormivano nel garage. Quindi erano solo due?
MB: Marito e moglie con due bambini.
FC: Ah. E quanto tempo sono stati lì?
MB: Ah, fino alla fine della guerra.
Fc: Da quando, te lo ricordi?
MB: Ah, non me lo ricordo. Sono venuti a chiedere se c’era ospitalità, allora li hann messi lì.
FC: E quindi il bimbo piccolo più o meno aveva la tua età, o era più piccolo?
MB: No, era più piccolo di me.
FC: Era piccolino, piccolino. Ah, ok, ok.
MB: Sì, aveva due o tre anni, era piccolino. Invece la figlia, la figlia era più grande, forse la figlia avrà avuto qualche anno in meno di me. Comunque, ste [unclear] fin la fin de la guerra.
FC: Non ti ricordi se facevate dei giochi insieme, quali tipi di giochi facevi?
MB: Facevano la settimana, nascondino, tutte quelle cose lì. Perché poi sai non c’era tanto da giocare ve’, perché abbiamo avuto tanto tempo i tedeschi in cortile.
FC: I tedeschi non vi facevano giocare?
MB: Noi ci stavamo alla larga intanto. Perché per quanto non fossero gentili e carini, ie fem paura. E poi, ghe sempre Pippo sopra la testa.
FC: E quindi andavate a nascondervi.
MB: [unclear], mamma mia Pippo! Se avesse preso metà deigli accidenti [unclear]. Ma non so se era inglese o se era americano quel Pippo lì!
FC: Però sapevi che era uno buono o era uno cattivo? Cioè,
MB: Chi? Pippo?
FC: Pippo.
MB: L’era cattiv!
FC: Era cattivo.
MB: Perché dove si trovava buttava giù, mitragliava, la malora!
FC: Eh, però lo sai che gli inglesi e gli americani in teoria erano quelli buoni.
MB: In teoria non te lo so dire.
FC: No?
MB: Non te lo so dire.
FC: Erano i tedeschi quelli cattivi.
MB: Non so dire se era tedesco o se era inglese o americano. So che’l mitraglieva, butteva le bombe. Quando è crollato i vetri, che è morto pure la Lidia non so se è stato verso Verona, o più in qua di Verona, crolle, e ha bombardato proprio. [unclear] buttà zò una bomba un bel po’. E’ crollà tutti i vetri, lei dalla paura che ha avuto è ndeda. Era già in convalescenza. E ha avuto la difterite. [unclear] adesso eh. Aspetta che vado ad aprire un po’ il coso anche perché c’abbiamo ste zanzariere. E non passa l’aria.
FC: Va bene, io, intanto guarda, finiamo l’intervista perché secondo me se non ti, ormai non ti ricordi più niente.
MB: Ormai non ricordo più niente. No va bene, sai, caro mio.
FC: Va bene così.
MB: Ero piccola io.
FC: Hai detto delle cose interessanti comunque. Va bene. Va bene. Grazie mille allora.
MB: Niente. Grazie di che cosa? Sono cose di quelle cose che a rivangarli ti vengono in mente ancora, capisci?
FC: E certo, è per quello infatti che, funziona così l’intervista. Quindi questa cosa, ti ricordi ancora quelle sensazioni lì?
MB: Sì.
FC. Te li ricordi come se.
MB: Sì, sì, come se fosse successo oggi, o ieri. Mi ricordo poi quelle degli scaletti. Ti dico che l’altro giorno venivo a casa da Reggio con Rico. Allora gli dico, Rico ti ricordi quando eravamo a vendemmiare a dis, fa lo te lo ricordi ancora? La miseria, se me lo ricordo ancora. Sì, sì altro ché se me lo ricordo. E l’episodio che mi è rimasto più in mente capisci, che e quello lì di avere i tedeschi per quaranta giorni nel cortile. E nonostante che non fossero gentili, guarda che venivano, uccidevano il bestiame, ci portavano sempre la carne in casa, ve’. E che pena. Si guarda che un contadino lavora tutto l’anno poi van là e prendon su vitelli, prendon su una mucca, per mangiare loro non chiedevano il permesso, sai! E gnanca pagheve il [unclear].
FC: Però ne davano un po’ anche a voi.
MB: Sì, sì, sempre.
FC: E sai perché?
MB: Non so, si vede siamo loro ospiti e insomma. C’era poi, avevano il calzolaio, il sarto. Il calzolaio soleva scarpi a tutt, anche a noi.
FC: Tra i tedeschi? C’erano il calzolaio, il sarto.
MB: Il sarto, sì, sì.
FC: E faceva.
MB: Eh sì, ci solava le scarpe a tutti [laughs], sì, sì.
FC: Ah. Vedi. E c’erano altre figure tipo quelle.
MB: No, non mi ricordo, c’era, faceva da mangiare
FC: Eh, c’era un cuoco?
MB: C’era un cuoco.
FC: Quindi cucinavano loro per, loro?
MB: Sì, sì, cucinavano loro.
FC: Voi facevate solo il pane.
MB: Noi facevamo solo il pane. La prima, mi ricordo sempre che la prima volta che abbiam tirato fuori il pane, sai, il pane caldo, il profumo, venivano davanti ai vetri, mammi, mammi, chiamavano mammi. E allora dopo loro l’han chiesto, i capi l’han chiesto e me go det: ‘sì, ma vi alzate voi alla mattina a venire a gramler’, perché [unclear] assieme, lui si faceva il pane ogni otto giorni.
FC: Avevate il lievito, quello che.
MB: Ah, non te lo so dire che lievito che c’era.
FC: Quello che si teneva lì e poi lo rimescolavi con la farina e poi lo tenevi da parte.
MB: Sì, sì, sì, da parte, prendevi una madia , se c’era una madia che dentro era vuota, c’era quello che si faceva il pane, si impastava il pane.
FC: Ma che pane era? Era bianco o era scuro?
MB: No, era bianco, era buono. Altro che il pane d’adesso. E avevamo imparato anche a fare il pane, ve’. Con le manine. Adesso non sarei neanche più capace perché ciò questo e questo che sono dita a scatto.
FC: Ah, eh vabbè.
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Title
A name given to the resource
Interview with Marisa Bianchi
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Marisa Bianchi remembers her wartime years at Sesso, a rural hamlet in the Reggio Emilia province. Stresses the abundance of locally farmed food and emphasises how billeted German troops were friendly and supportive, even if she and her family had to work for them. Recalls "Pippo" coming over every day at the same time. Curses it for the fear it caused and describes two episodes connected with its menacing presence: being machine-gunned while working and the sight of her house under attack, an incident in which a relative died as the consequence of emotional shock. Explains her revulsion of Fascists, feared for their brutality and recollects the killing of her cousin on the last day of war. Describes wartime episodes: Fascists executing four partisans and torturing suspects; Germans shooting people on the Crostolo bank; a young worker being shot by mistake for carrying a bundle mistaken for a bomb. Recalls providing accommodation to evacuees from Reggio Emilia and the widespread enthusiasm at the end of the war.
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-09-12
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Francesca Campani
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ABianchiM170912
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Po River Valley
Italy--Reggio Emilia
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:33:09 audio recording
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
childhood in wartime
evacuation
fear
home front
Pippo
Resistance
strafing
-
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82938fcfa0094b054fdc2fa441873da9
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Delfino, Giovanni
Giovanni Delfino
G Delfino
Description
An account of the resource
One oral history interview with Giovanni Delfino who recollects her wartime experiences in the Milan and Cremona areas.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-10-29
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Delfino, G
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
ST: L’intervista è condotta per l’International Bomber Command Centre, l’intervistatrice è Sara Troglio, l’intervistato è Giovanni Delfino, e l’intervista ha luogo a casa dell’intervistato in [omitted] a Carate Brianza. Oggi è il 29 Ottobre 2017 e sono le ore 17. Volevo chiederti un po’ della tua vita prima della guerra, dove abitavate, appunto, ciò che ti ricordavi sul tuo quartiere.
GD: Allora, come ha già detto l’intervistatrice, sono Giovanni Delfino, classe 1933, ai tempi del racconto avevo undici anni, undici, dodici anni, perché parliamo del ’44-’45. Precedentemente all’avvenimento devo dire che la mia abitazione, il mio caseggiato era situato in Via Petitti al numero 11, che era una via adiacente alla Via Traiano che confinava con gli stabilimenti Alfa Romeo del Portello, i primi stabilimenti che erano stati fatti a Milano. Fino a quel momento, io la guerra l’avevo diciamo così sentita un po’ da lontano perché i miei genitori avevano provveduto a farmi sfollare nella zona di Cremona da nostri parenti dimodoché io ad un certo momento quando c’era un incursione aerea su Milano li sentivo solamente per sentito dire, oppure quando succedevano di notte da questa distanza che erano circa 60 chilometri, io vedevo i bagliori delle parti delle case incendiate eccetera perché essendo campagna tutta piatta si riusciva a vedere i bagliori da Milano. Caso vuole che ormai considerando che la guerra stava finendo, i miei genitori decisero di ritornare a casa e qui successe il fattaccio, successe il fattaccio perché dunque la mia abitazione, il mio caseggiato era adiacente ad un convento delle suore di clausura di Maria Teresa del Bambin Gesù, circondato da altissimi muraglioni alti, alti, alti, e intorno c’eran tutte, vuoi l’Alfa Romeo, e vuoi piccole aziende e altra campagna cioè prati, più che altro coltivazioni di ortaggi, eccetera eccetera. Dico questo perché una particolarità, tutte le siepi che circondavano queste ortaglie erano diciamo, luogo, diciamo, di ritrovo degli operai di queste ditte, piccole ditte che, finito l’orario di mensa, si mettevano per quei pochi minuti che rimanevano ancora a giocare a carte o a dama all’ombra di queste siepi. Il giorno che sto per raccontare era un giorno, non mi ricordo bene se luglio o agosto, era sul mezzogiorno. Gli operai erano tutti sotto queste siepi a giocare, eccetera eccetera. Io ero appena tornato da, dalla spesa, dall’aver fatto la spesa con mia mamma, che si trovava sull’androne del caseggiato insieme ad altre persone perché sotto c’era un bar, e insieme a un ufficiale dell’aereonautica militare italiana. Io ero lì che guardavo, curiosavo e la, come fanno tutti i bambini, questi operai che giocavano a carte, a dama, eccetera eccetera. A un certo momento, suona il piccolo allarme. Il piccolo allarme, allora c’era il piccolo allarme e il grande allarme. Il piccolo allarme veniva dato quando le squadriglie erano distanti abbastanza da Milano. In quel momento lì invece cosa successe? Successe che, con questo piccolo allarme, l’ufficiale che c’era insieme lì a mia mamma che stava chiacchierando, sentendo il rombo così degli aerei, guardò in alto e già a una certa distanza, essendo anche pratico, insomma, del mestiere [laughs], vide che c’era questa squadriglia altissima, altissima no, di Liberator, dice, famosi Liberator, e il caposquadriglia aveva fatto, aveva iniziato a fare una manovra, diciamo così, di circoscrizione della zona che, a detta dell’ufficiale dell’areonautica, era un segnale per, diciamo, l’inizio del bombardamento. Al che, l’ufficiale gridò subito: ‘Bombardano, bombardano!’, mia madre, immaginare lo spavento, io, come tutti i bambini che quando vengono richiamati dalle proprie madri, no, ci mettono una, due, tre volte prima di decidersi a rispondere, a obbedire, come sentii il grido di mia mamma, partii come un razzo e arrivai di volata, percorsi questi cinquanta, sessanta metri, quelli che potevano essere, arrivai sotto all’androne della casa. In quel momento arrivavano le prime bombe. Lo spostamento d’aria buttò mia madre, l’ufficiale ed io giù per la tromba delle scale, verso i rifugi, che normalmente una volta si chiamavano rifugi ma, insomma, erano quello che erano, erano le cantine, e fortunatamente in fondo alle scale c’era un mucchio di sabbia, che veniva messo per gli incendi, eventualmente spegnere gli incendi, e io ero davanti, dietro c’era mia mamma, l’ufficiale, e giù tutti a capo di collo e io mi infilai con la testa dentro nel mucchio della sabbia, mi ferii la testa, infatti sto facendo vedere ancora la cicatrice all’intervistatrice. E finisce così, frastuono, polvere, e devo dire che a distanza adesso di anni, ragionando adesso dai miei ottantaquattro anni, devo dire, sinceramente, che io non provai grande spavento perché probabilmente la situazione era stata così rapida, traumatica, improvvisa, imprevedibile, eccetera eccetera che non aveva lasciato il tempo di pensarci troppo, giusto? Alla fine, passa, passa il bombardamento, si esce. Spettacolo, allora sì, incominciamo ad avere una sensazione, così, non più di paura perché ormai non c’era più la paura ma di accoramento perché la strada era ormai tappezzata di macerie. Avanti di noi c’era una casa proprio che era sul limite della Alfa Romeo proprio, di quattro piani con, abitata da molti miei amici e ancora una casa di quelle vecchie, fatte di mattoni, non cemento armato, era letteralmente un cumulo di mattoni, un cumulo di macerie con sotto tutte le persone. [pause] Per fortuna la nostra casa, sì, aveva le persiane abbattute, finestre e i vetri rotti eccetera ma era ancora in piedi, non aveva subito danni, qualche scheggia eccetera perché? Faccio una piccola premessa doverosa. A quei tempi gli Alleati sapevano che, per esempio, l’Alfa Romeo aveva adottato per gli stabilimenti, per esempio di Pomigliano d’Arco a Napoli eccetera, il sistema di costruire i reparti sottoterra, per proteggerli dai bombardamenti. E allora loro, i bombardamenti, adottavano un sistema. Anziché usare bombe dirompenti, usavano bombe perforanti, le quali entravano sottoterra, e esplodevano, non alla quota diciamo zero, ma sottoterra. E così fecero anche per questo bombardamento, no. Questo per noi fu una salvezza perché, salvezza con una concomitanza anche di destino perché ad un certo momento, guardando poi la disposizione delle buche delle bombe di questo bombardamento a tappeto, vedemmo che quella bomba che in teoria, in pratica doveva arrivare su casa nostra, si era spostata di circa una cinquantina di metri, forse di più. Era andata a finire in una delle ortaglie. Andando a finire in una delle ortaglie, aveva perforato il terreno, aveva tirato su terra a non finire al punto che al terzo piano della nostra casa, sopra di noi abitava il padrone di casa, che aveva un terrazzo e con la terra che arrivò sul terrazzo riempì i vasi di fiori, non buttò via la terra, questo per dire. E questa è stata una fortuna, perché praticamente non c’è stato spostamento d’aria. Piccola premessa, piccola anzi parentesi, più che premessa, la vicinanza del convento delle suore di clausura di Maria Teresa del Bambin Gesù gridò, ci portò anche a dire, è stato anche un miracolo perché c’aveva protetto. Benissimo, prendiamo tutto per buono, l’importante che non ci era successo niente. Però, questo è un fatto che, mi dispiace quasi dirlo che, perché è un po’ macabro. Voi dovete pensare che le finestre della mia abitazione guardavano proprio su queste ortaglie, dove c’erano le siepi con quegli operai che stavano lavorando, che stavano giocando a carte eccetera eccetera. Non se ne salvò uno perché quella famosa bomba che è arrivata nell’ortaglia, sì, ha salvato la mia casa ma purtroppo non ha salvato gli operai. Bene, io non so per quanti mesi non mangiai più carne, ecco la storia macabra, perché dalle finestre di casa mia ogni tanto si vedeva il carro funebre del comune che andava a rovistare nell’ortaglia, non so cosa facessero però si vedeva che tiravano su delle cose, le mettevano dentro in sacchi di plastica e poi se ne andavano, basta, vi lascio pensare cosa potevano tirare su, senz’altro non carote e patate. E questo insomma è stato la mia esperienza bellica attribuita alle incursioni aeree. E voi dovete pensare, un particolare che può essere così anche di alleggerimento a questo racconto, in una, una dei crateri delle bombe che, essendo un bombardamento a tappeto, praticamente di bombe ne avevano sganciate un bel po’, era proprio vicino a casa nostra, no, e quando ci sono stati gli Alleati, da noi c’era un insediamento della Croce Rossa e allora c’erano degli italo-americani che si erano fatti amici dei miei genitori, venivano da noi a prendere il caffè, erano dei militari di Boston, mi ricordo ancora, no, bravissime, bravissime persone, no, e ovviamente io su suggerimento loro andavo in una delle buche di queste bombe, allora c’era qualche buca era adibita a raccolta di rifiuti diciamo umidi, e questa buca invece era adibita a rifiuti invece cartacei e lì c’era tutta la corrispondenza, le buste della corrispondenza che ricevevano i militari americani, e io, appassionato di filatelia, andavo a raccogliere dentro nella busta, [laughs] nella buca della bomba, andavo a raccogliere queste buste per togliere i francobolli che sono ancora qua nella mia collezione che quando li vedo mi viene un senso di, così di commozione perché a ottantaquattro anni ci si commuove anche per, guardando dei francobolli. Ecco questo per dirvi, questo bombardamento a tappeto cosa aveva prodotto, nel male 90% e nel bene 10% per i francobolli del Gianni Delfino, che sarei io.
SR: Prima mi parlavi di tuo papà e del suo lavoro in Alfa Romeo. Volevo chiederti.
GD: Sì, ecco sì, mio padre, noi abitavamo proprio vicini alla Alfa Romeo perché era abitudine, abitudine, si cercava chi lavorava in questi stabilimenti di metter su casa vicino per essere comodi, per non avere tanta strada da fare così. E mio padre aveva, ha lavorato la bellezza di quarantun’anni in Alfa Romeo, era un capolinea sulle dentatrici Gleason, di modo che io ho sempre mangiato pane e ingranaggi a casa mia, perché il suo da fare è raccontare, io ero figlio unico, era raccontare, a lui piaceva molto mettere al corrente, metterci al corrente di quello che succedeva sui posti di lavoro, sulle evoluzioni tecniche della costruzione degli ingranaggi eccetera eccetera, che, considerando che erano in Alfa Romeo, erano di altissima qualità perché sappiamo che l’Alfa Romeo allora insomma era una delle prime ditte italiane in fatto di costruzioni di automobili.
ST: E vi parlava anche della vita in fabbrica magari come succedevano, cosa succedeva durante i bombardamenti lì o episodi di resistenza?
GD: No, [unclear], se, ecco, quando avevano sentore di qualche allarme, sulla Via Renato Serra che era una via proprio che tagliava in due praticamente lo stabilimento dell’Alfa Romeo, avevano costruito degli enormi rifugi antiaerei di cemento armato, saran stati, avranno avuto minimo minimo un venti metri di diametro, dentro c’era tutta una, chiamiamo una scala a chiocciola, dove gli operai entravano, e poi man mano, tu, tu, tu, tuck, si sistemavano tutti seduti su questa scala a chiocciola eccetera; questi rifugi erano fatti anche con una punta conica, con una punta d’acciaio, proprio la cuspide in acciaio per fare in modo che se arrivasse, arrivava qualche bomba eccetera, era portata a scivolare via, insomma, non poteva dare l’impatto su questa. E questo è uno delle caratteristiche diciamo che mi ricordo. Poi, tu cosa, cosa mi chiedeva lei, scusi?
ST: Ti chiedevo se appunto lui magari parlava di, come reagivano gli operai durante i bombardamenti.
GD: Ah, niente, no, guardi, ormai c’era un’assuefazione tale che a un certo momento niente, non dico che quando c’era il bombardamento ‘oh che bellezza, così non lavoriamo!’, però insomma non è che si, oddio, gli operai la preoccupazione erano per i familiari a casa perché loro si sentivano superprotetti in questi bunker no, però purtroppo, come abbiamo visto, se ci fosse stato un operaio che aveva dei parenti nella casa di fianco alla mia, eh, vi lascio ben immaginare quale poteva essere stato il suo stato d’animo alla sera quando sarebbe uscito dal suo rifugio e fosse andato a casa sua ecco. Questo non, eh, niente.
ST: E i tuoi genitori parlavano della guerra o del regime, si scambiavano opinioni politiche quando erano in casa, anche davanti a te?
GD: Sì, sì, sì, sì, non è che si, cioè per quanto potessi capire io a dodici anni però a un certo momento qualcosa capivo anche perché posso dire perché tanto non è un segreto, mio padre non era di idee di regime. [background noise] Diciamo, sei possiamo dire all’opposto, abbiamo detto tutto. E a tal riguardo io potrei, mi piacerebbe raccontare un fatto molto, molto significativo, che elude da quello che è i bombardamenti, l’incursione aerea così, però è un fatto umano molto interessante. Il reparto di mio padre era decentrato a Usmate, un paese qui nella periferia di Milano. Mio padre così, forse, così, godeva di grande stima da ambo le parti, dalla direzione che senz’altro politicamente non la pensava come lui, dagli operai che politicamente qualcuno anche pensava come lui, e da, diciamo dei gruppi, diciamo partigiani, ecco, diciamo il termine giusto come deve essere, anche perché mio padre faceva parte della Brigata Garbialdi, parliamo chiaro, Garibaldi prima civile, non armata non, però questo cosa gli faceva fare? Voi pensate, quando era il giorno di paga, mio padre prendeva la bicicletta, mettevano le paghe in una borsa di cuoio normale che veniva messa a cavallo della canna della bicicletta, come si fa quando si mette dentro la merenda, oppure la colazione eccetera, e lui partiva lemme, lemme da Milano, prendeva la Gallaratese, trac andava verso Usmate eccetera eccetera a portare le paghe. Voi dovete pensare che, strada facendo, spesso e volentieri incontrava partigiani, che saltavano fuori un po’ da tutte le parti. Non l’hanno mai fermato una volta. Primo, perché sapevano chi era, poi perché, onestamente, erano partigiani onesti. Perché uso la parola onesti? Perché dobbiamo essere consapevoli che, a quei tempi, l’onestà non è che era una bandiera che tutti sventolavano; l’onestà era un piccolo vessillo privato che ognuno, alle volte cercava quasi di tenere di nascosto, per non farsi vedere troppo onesto. E allora probabilmente lui ha avuto la fortuna di incontrare sempre queste persone che, conoscendolo ed essendo onesti, non l’hanno mai fermato e non gli hanno mai portato via una lira. Lui arrivava sempre sul posto e portava le paghe agli operai di Usmate. Questo è un fatto molto molto importante e significativo perché purtroppo si sentono tanti racconti non belli di persone che approfittavano della loro idea politica e del loro grado, soprattutto idea politica, per fare anche nefandezze. A me piacerebbe, se è consentito, poi casomai sarà l’intervistatrice che taglierà, perché ad un certo momento io in questa intervista avevo fatto una riflessione, ero stato preparato dalla signorina Troglio, perché io, in mezzo a queste cose qui, così tragiche, volevo dire due cose significative, molto molto belle, che io devo cercare di non farmi prendere dalla commozione, intanto che le racconterò. Allora, noi avevamo undici dodici anni. Non è che si patisse la fame però ci si arrangiava come ragazzi a, insomma, a cercare dove, noi per esempio andavamo in queste ortaglie, che dicevo, a prendere, a rubare, a prendere le zucche, poi a fette le portavamo in questa casa di quattro piani, cumulo di macerie che vi ho descritto, c’era un fornaio e noi le portavamo quando il forno era spento però ancora caldo, portavamo le fette di zucca verso le tre, quattro del pomeriggio e poi le andavamo a prendere alle sette, alle otto, perché erano belle cotte e ce le mangiavamo. Ecco, questo per dire un particolare ma questo qui è un particolare ameno. Ma invece quello che ho detto che mi dà commozione ancora è questo. In Viale Certosa c’era tutto il filiare di platani. Ora, a un certo momento il comando tedesco aveva dato ordine di abbattere il platani, probabilmente non era, era per una questione di approvvigionamento di legna da ardere perché chiunque vi insegna che se c’è un filare di alberi e ci sono dei mezzi militari ci tengono a non abbatterli perché essendo nascosti dietro gli alberi gli aerei non li vedono. Perciò sarebbe stato assurdo un bel viale alberato, andare ad abbattere gli alberi quando, però abbiamo capito che era perché anche loro poveretti insoma c’avevano bisogno di legna da ardere. Bene. Particolare bellissimo, bellissimo, cioè noi arriviamo davanti a questo albero, noi siamo in due o tre amici che siamo lì a guardare abbattere l’albero con le borse della spesa in mano. C’è un tedesco con l’ascia che sta abbattendo l’albero. Ovviamente saltano via le schegge di legno, noi ragazzi raccogliavamo le schegge di legno per portarle a casa e accendere la stufa. Questo giovane tedesco, soldato tedesco, me lo ricordo ancora, faceva apposta a far fatica a fare le schegge più grosse per far in modo che noi, anziché le schegge piccole avessimo dei pezzi di legno più grossi da portar via, questa è una cosa che io, mentre la sto dicendo, mi sto commovendo, perché è una cosa che, niente, con questo io non sto difendendo il soldato tedesco tout court. No, per l’amor del cielo, eh, lungi da me, niente, sto riferendo un fatto mio personale che è molto, molto, molto importante. E il secondo fatto, e io ho già detto che nella mia famiglia, avete già capito le idee politiche quali potevano essere, però in quel momento, noi dobbiamo ricordare che negli anni ’40 eccetera, si era tutti infollarmati [sic], si era molto tutti, io ero un figlio della lupa, dico la verità, avevo la mia divisina anch’io, no, eccetera, e io mi ricorderò sempre un altro fatto importantissimo. Di fianco a noi, di fianco a questo convento delle suore c’era anche e c’è ancora un, diciamo, un ricovero eccetera, un’opera, dove erano ricoverati gli orfani, degli orfanelli, erano gli orfani di Padre Beccaro, esiste ancora eccetera. , Benissimo, a un certo momento c’era la scritta sopra, c’era scritto, ‘Opera derelitti di Padre Beccaro’. Derelitti è una parola italiana normale che vuol dire ‘abbandonati’, non è un’offesa, no? Bene. A un certo momento, arriva il Duce, arriva il Duce, tutto il rione in subbuglio, tutte, non tanto gli uomini perché erano al lavoro ma tutte le donne coi figli: ‘Arriva il Duce andiamo a vedere cosa farà questo Duce!’. Io me lo ricordo ancora adesso, come mi ricordo il tedesco là che faceva, io me lo ricordo ancora arrampicato su una scala, mia moglie, mia mamma eccetera, con le lacrime agli occhi insieme ad altri, io no perché io non capivo, perché io avrò avuto sei, sette anni, otto anni, quello che è, e avevano preparato, solo la parola, la parola ‘derelitti’ era stata tutta inbiancata. E lui, me lo ricordo, io chiudo gli occhi, me lo vedo ancora sulla scala, col pennello di vernice nera, che ha scritto ‘piccoli’, ‘Opera piccoli di Padre Beccaro’, ancora adesso se andate a vedere, c’è scritto ‘opera piccoli’ adesso fatta bene ovvio, aveva fatto togliere la parola ‘derelitti’ perché non voleva, ecco. Parliamo chiaro, è propaganda, cioè non sto dicendo che in quel momento lì il Duce si è svegliato una mattina e preso da un rimorso, ‘oh, io devo andare’, no, quello no, propaganda eccetera, però sono quelle cose che, cioè riflettendo adesso, dico ma, pensate un pochettino cosa può fare un regime per riuscire a imbonirsi eccetera, le persone. Oh, lì c’era una massa di donne che piangevano perché vedevano il Duce che stava scrivendo la parola ‘piccoli’ e infatti bisogna dire, è un fatto che non è riprovevole, anche encominabile perché insomma uno che tira via la parola ‘derelitti’ e ci mette ‘piccoli’, insomma tanto di cappello, giusto? Se l’avesse fatto un prete, sarebbe stata la stessa cosa. Ecco questo è il secondo fatto, diciamo così ameno, leggero che volevo mettere insieme al bombardamento.
ST: Ma, volevo chiederti, a scuola, com’era la vita a scuola durante la guerra, se avevano parlato di bombardamenti o vi parlavano della guerra in corso.
GD: No, dunque, allora devi pensare questo, io premesso, io un certo momento, nonostante le idee eccetera però si era presi dentro in un canale, io ero un figlio della lupa, avevo la mia bella divisina, ci tenevo a andare alla Scuola Pietro Micca di Via Gattamelata a fare le mie riunioni eccetera tutto così eccetera e non sono mai diventato Balilla perché siccome sono sfollato di modo ché non ho fatto in tempo. Io la terza, la quarta, la quinta l’ho fatta a Castelleone in quel di Cremona, perciò a un certo momento là per me la guerra non esisteva più, il fascio non esisteva più, cioè, ero ben lontano là, vivevo in mezzo ai campi contadini, per me insomma ormai, per me la vita era con le mucche, i tori, i cavalli eccetera eccetera, no, ecco. E perciò direi che mah, sì, io a un certo momento, più che la guerra in sé stesso, eccetera eccetera, ricordo due o tre fatti, proprio rapidissimi, così, per esempio, i fascisti scappano da Milano, c’erano i giovani della X Mas eccetera, eccetera, che mi ricordo che passavano da Viale Certosa, quel viale dove avevano abbattuto gli alberi e, io dico adesso alla mia età, con una paura addosso, perché chissà che paura avevano, erano, passavano coi camion, e sparavano sulle finestre perché non volevano che la gente si affacciasse a vedere che loro stavano scappando. Questo me lo ricordo perché casa mia, praticamente, Via Petitti è all’inizio era dopo c’era Viale Certosa perciò io da casa mia vedevo le case di Viale Certosa e quando sono passati sentendo il crepitio delle armi mi avevano detto ’Sì, sono i giovincelli del fascio che stanno sparando sulle finestre, perché probabilmente si vergognano per vedere che stavano scappando’. E invece l’altro fatto, l’altro fatto invece increscioso che mi ricordo, mi ricordo quello l’ho visto io,l’ho visto non visto fare ma visto dopo, quando hanno incominciato a fare le epurazioni che in Via Poliziano hanno preso la Ferida e Osvaldo Valenti, che erano i due attori, e a un certo momento li hanno fucilati lì sul marciapiede. Quella è stata una cosa che, ecco, io ricordo più, diciamo mi ha fatto più effetto il dopoguerra che la guerra, perché il dopoguerra per esempio c’era l’ingegner, faccio un nome, l’ingegner Gobbato. L’ingegnier Gobbato è un ingegnere dell’Alfa Romeo, bravissima persona, detto da mio padre, guardi, una cosa eccetera, ma era fascista, perché per forza, là tutti da un certo grado in sù, dai capi in sù dovevano essere per forza iscritti al fascio, perché altrimenti vivevano male, no? E a un certo momento si vede che qualcuno ce l’aveva su, dopo l’epurazione, a un certo momento l’hanno trovato in mezzo alla neve, fuori dell’Alfa Romeo, ammazzato eccetera, no? Ecco lì sono cose che si ricordano, si ricordano molto, molto, molto, molto, per far capire un pochetto cosa vuol dire cosa sono le, come si può dire, le vendette personali. E io posso dire che sotto di noi abitava un fascista. A un certo momento è stato preso e portato a San Vittore. Era una brava persona. Dopo un po’ di giorni è tornato a casa. Questo per dire che non era tanto perché uno avesse l’iscrizione al fascio o non al fascio, tutto dipendeva dall’indole della persona, una persona poteva essere malvagia o persona buona, e persona, e questo sono i vari ricordi. Oddio, questa è un’intervista che è partita con un tema ben preciso e cioè incursioni aeree eccetera eccetera, la RAF minga la RAF eccetera eccetera. Niente, potremmo farla un’altra, io ho aggiunto qualche particolare, potrei aggiungere altri particolari interessanti di vita bellica però su un altro tema, cioè il tema: vita bellica di un ragazzo eccetera eccetera. Si potrà fare un domani eccetera perché ci sono dei.
ST: Se vuoi anche ora.
GD: Degli altri, degli altri, ci sono degli altri avvenimenti importanti, per esempio, uno devo dirlo, devo dirlo perché.
ST: Racconta pure tutto quello che vuoi.
GD: E’ più forte di me. Allora, mio zio, anzi se la qui presente eccetera vuole anche con il telefonino filmare, riprendere un attimino quello che sto dicendo eccetera eccetera, mio zio era carrista sui carri armati M11 e diciamo zona di El Alamein, tanto per intenderci, carri armati M11 erano carri armati. L’M, avevano l’arma in torretta, poi furono trasformati in M13 con l’arma nello scafo, cioè praticamente fissa nello scafo, non nella torretta. Ovviamente con i carri armati inglesi bastava un colpo ben assestato che partiva via tutto, erano degli scatolini e io devo dire che mio zio era carrista, lui era capocarro a parte che a capocarro lì erano dentro in due o tre mi sembra, non è che come adesso sono dentro in cinque sei. E in una battaglia, mi ricorderò sempre, mi disse, stavano andando, a un certo momento colpiti da altri carri, a un certo momento un colpo tremendo, deve immaginare il frastuono tremendo eccetera eccetera tutto, a un certo momento, lui, il cannoniere era sopra di lui, lui era nello scafo, il cannoniere, e lui a un certo momento [screams] a cominciato a gridare, prende la gamba del cannoniere e gli dice, uè te, lo chiama per nome, cosa è successo, e gli è rimasto in mano la gamba. Praticamente il colpo aveva portato via la torretta, il cannoncino e mezzo cannoniere. Questo è stato il trauma di mio, al punto che mio zio è saltato fuori dal carro, si è spogliato, si è messo in mutande, si è messo con le mani alzate, e ha sperato che non ci fosse nessuno che lo colpisse. È stato fatto prigioniero. Ecco, questo non è per vigliaccheria, questo per dire come ci si trova. È stato fatto prigioniero, portato in Africa, bla, bla, bla, bla, tutto eccetera eccetera eccetera, rimpatriato, ehm, parte la nave, siluro, tutti mezzi morti, mio zio fortunamente aveva il mal di mare, era andato in coperta e si era addormentato su un rotolo di corde, giusto, e questo l’ha salvato perché è stato buttato a mare, è stato la bellezza di dodici ore a bagnomaria in acqua e poi è stato salvato dagli inglesi. Portato ancora in campo di concentramento, in Africa così, faceva il cuoco, stava benissimo, eccetera, eccetera. Precedentemente, voi dovete pensare che, per la sete, arrivavano a bere l’acqua dei radiatori del carro armato. Non gliene fregava niente se il carro armato poi si fermava, piuttosto che morire di sete bevevano l’acqua. E infatti mio zio poi dopo reduce a casa così, quando è deceduto, è deceduto anche perché aveva lo stomaco un po’. Ma il fatto invece bellissimo, bellissimo, uguale a uno di quelli che mi ricordo, è: io sono sfollato a Castelleone, ritorna mio zio reduce dalla prigionia, siamo in questo paese, la prima cosa che fece, mi ricordo guardi anche, me lo sento adesso, mi prende, mi porta fuori in campagna, c’era una roggia che si chiamava la Seriola, si chiama la Seriola, è un affluente del fiume Serio che incrocia sopra la Seriola, ci sono dei canali in cemento per portare l’acqua, eh cosa fanno, mica possono, allora facevano i canali, fanno i canali in cemento. E c’era uno di questi canali in cemento con dentro l’acqua corrente che se la Seriola era non so a diciotto gradi, lì l’acqua sarà stata a dodici gradi, forse a dieci. La soddisfazione di questa persona, reduce, arriva a casa, saluta i parenti, la prima cosa che fa, prende il Gianni, che ero io, andiamo in campagna, andiamo alla Seriola, ci spogliamo e in mutande dentro a bagnomaria nella corrente, a sentire quest’acqua fresca, fresca, freddissima, gelata. Io a un certo momento seguivo lo zio, e, cioè vabbè, non è che, mi piaceva, mi piaceva il fatto, non tanto perché io sentivo freddo ma io mi ricordo la soddisfazione di questo uomo a essere al suo paese, vivo, e immerso nell’acqua gelida, bella corrente, che avrà sognato non so per quanti anni, per quanti anni, per quanti anni. Bellissimo, bellissimo, sono dei fatti questi che sono, sono indimenticabili, indimenticabili, indimenticabili. E io torno a dire, la mia memoria ormai è quella che è: non mi ricordo quasi cosa ho mangiato a mezzogiorno, però questi fatti qui sono indelebili nella mia mente e mi fa tanto, tanto, tanto piacere perché io, come tutti i vecchi, chissà quante volte le ho già raccontate a Tizio, Caio, Sempronio, magari annoiandoli anche, mi fa piacere che questa volta così ho potuto lasciarli a una persona che magari ne può far tesoro, insieme ad altre testimonianze.
ST: Volevo farti un’ultimissima domanda.
GD: Sì. Dica.
ST: MI parlavi appunto dell’attivitò partigina di tuo papà. Lui in fabbrica era sabotatore quindi? Cosa?
GD: Sì, ah allora, [laughs], a un certo momento, dovete pensare anche questo: quando si parla di sabotaggio, sabotaggio non vuol dire mettere un ordigno esplosivo, far saltar per aria qualcosa eccetera. Sabotaggio c’è anche il sabotaggio intelligente. Il sabotaggio intelligente, che è molto pericoloso perché può essere frainteso come un finto sabotaggio. Cioè, lui essendo un capolinea perciò a un certo momento aveva anche una responsabilità verso gli operai, doveva stare attento anche che gli operai non facessero delle cavolate di loro iniziativa, però loro a un certo momento, se c’era, a un certo momento avevano capito che c’erano dei pezzi che facevano, che non c’entravano niente coi motori Alfa Romeo, erano dei pezzi che venivano fatti poi incellofanati tutti, oliati, eccetera, erano pezzi di V1, venivano mandati in Germania. E mi ricordo perché me ne portò a casa anche qualche dopo la guerra erano rimasti in magazzino, e mi diceva: ‘vedi, questi qui sono pezzi che facevamo per lavoro’, in modo che potete immaginare il controllo dei tedeschi come era, [makes a rhythmic noise], com’era pressante, no, eccetera, in modo che bisognava stare attenti di, se c’era da fare mille pezzi, cercare di farne ottocento, non cento, però ottocento, insomma duecento meno. Per fare questo, le macchine dovevano andare non troppo bene, però non potevano essere manomesse col dire ‘Ah io faccio bruciare il motore elettrico, la macchina non va più!’. No, deve essere sempre il solito bullone semisvitato, il solito dado che manca, il solito filo che si è spelato e ha fatto un po’, e non fa più contatto ma basta riagganciarlo e la macchina riparte, però intanto si perdono le ore, eccetera eccetera, ecco questo era stato fatto, questo mi raccontava che loro sabotaggio ne facevano, però era un sabotaggio, infatti non c’è mai stato in Alfa Romeo una rappresaglia e che erano curati perché, dovete pensare che uno degli azionisti dell’Alfa Romeo era Benito Mussolini, figuriamoci no. Eh, e questo è quello che mi raccontava dei sabotaggi che facevano quando si erano accorti che facevano i pezzi per la V1. E io li ho visti, bellissimi, tutti incartati in carta cellofan, tutto oliato, tutto per bene in scatolette, tutti, sì. Questo, ecco l’unica cosa di sabotaggio che posso dire è questo, altro non saprei. Abbiamo finito? Finito? Alla prossima puntata.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Giovanni Delfino
Description
An account of the resource
Giovanni Delfino was at first evacuated to the Cremona area, where he could see the glow of the distant bombings. He then came back to Milan only to witness a bomb nearly missing his house and killing factory workers. He describes the gruesome sight of undertakers picking up maimed bodies and scattered humans remains: the scene was so shocking that he avoided meat for a while. He recalls wartime episodes: being hurled into a cellar by the blast wave and landing on a pile of sand; stealing pumpkins from a nearby plot and covertly baking them in a ruined house oven; searching for stamps in a bomb crater; the public execution of the actors Osvaldo Valenti and Luisa Ferida; an act of kindness of a German soldier and post-war revenges. He retells his father’s wartime experiences as Resistance runner and Alfa Romeo factory worker: slowing down war-related production; manufacturing V-1 parts destined to Germany, a description of the factory shelter. He mentions his uncle’s wartime experience as tank man, mentioning harsh conditions, a gruesome combat episode in North Africa, surviving torpedoing and being picked up by the Royal Navy.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Sara Troglio
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-10-29
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:41:14 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ADelfinoG171029
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Po River Valley
Italy--Milan
Italy--Cremona
Italy
Italy--Pomigliano d'Arco
Rights
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Type
The nature or genre of the resource
Sound
bombing
childhood in wartime
evacuation
fear
home front
Resistance
shelter
V-1
V-weapon