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Title
A name given to the resource
Serafini, Anna Maria
Anna Maria Serafini
A M Serafini
Description
An account of the resource
One oral history interview with Anna Maria Serafini (b. 1922) who recollects her wartime experiences in Bologn and Imola.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Rights
Information about rights held in and over the resource
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Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Pasetti, AM
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
GF: Buongiorno signora Maria.
AMS: Buongiorno.
GF: Le chiedo se può raccontarmi cosa faceva, com’era la sua famiglia, dove abitava prima che scoppiasse la guerra.
AMS: Dunque io abitavo in via Pascoli 7, i miei genitori, mio papà ingegner Filippo Serafini [pause] era presidente dell’Aeroclub di Bologna [pause] devo andare avanti?
GF: Sì, sì, prego, mi racconti pure.
AMS: Ah, allora io ero giovane perché sono nata del ’22, il 16 luglio del ’22, perciò sono stata prima a scuola, alle scuole Pascoli poi sono passata al liceo Galvani che era un liceo molto importante a Bologna, ed era gli studi classici. Io facevo il liceo, quando è stata la seconda liceo, mi sono fidanzata con Luigi Pasetti che allora era uno studente. Lui era appassionato di volo, mio padre era il presidente dell’Aeroclub di Bologna, il mio, allora il mio fidanzato prese il brevetto di pilota civile, con questo lui sarebbe stato richiamato in aeronautica qualora lo avessero richiamato. E così noi eravamo fidanzati e scoppiò la guerra, eravamo ancora fidanzati. Mio marito fu subito richiamato, fece ehm il servizio militare come aviatore eh, e io continuai gli studi fino avere la licenza del liceo classico. Siccome mio marito, insomma il mio fidanzato, era lontano io mi, avevo preso il diploma del liceo classico, mio papà, benché io fossi molto giovane - avevo 19 anni - ci lasciò sposare e noi ci siamo sposati il 9 aprile del ’42 in piena guerra. Fu un matrimonio proprio bello, di guerra mio marito era in divisa da tenente, sottotenente dell’aviazione, e lì c’è la fotografia. E poi mio testimone fu il generale Ranza, Ferruccio Ranza un eroe della guerra mondiale, della seconda guerra mondiale, anche lui generale d’aviazione. E testimone di mio marito fu un suo collega anche lui sottotenente d’aviazione. Mio papà era in divisa da colonnello d’aeronautica perché lui aveva fatto la prima guerra mondiale come pioniere dell’aria infatti lui era vice presidente dei Pionieri d’Italia, ero stato uno dei primi aviatori italiani nella prima guerra mondiale. E allora in certe occasioni poteva vestire la divisa perciò fu tutto un matrimonio in divisa. Noi ci siamo sposati il 9 di aprile del ’42, finita la licenza che mio marito aveva avuto per un mese io lo seguii perché lui era allo stormo di bombardamento all’aeroporto di Aviano, a Pordenone, io vivevo in albergo a Pordenone e lui faceva il suo servizio militare. Siccome ero rimasta incinta sono rimasta lì vari mesi poi quando fu il momento di, che dovesse nascere questa bambina io sono venuta a Bologna, in Strada Maggiore 26. Siccome allora c’erano i bombardamenti sulla città di Bologna però noi si sperava che essendo una casa così in centro, quasi vicino alle due torri lì si potesse stare abbastanza tranquilli. E allora i vari inquilini, erano quattro, quattro o cinque, costruirono un rifugio nelle cantine della casa Rossini, c’erano delle belle cantine grandi. Io non sono mai stata in una cantina, in un rifugio di quelli pubblici, quando c’erano gli allarmi, io avevo la bambina piccola, io correvo giù in questo rifugio che era stato costruito per nostro, per nostra necessità, avevano, con dei pali, avevano sostenuto i muri, avevano messo tanti sacchetti di sabbia e poi delle panche contro il muro. E così quando suonava l’allarme, io correvo giù, e sempre con la bambina in braccio, con questa bambina stretta in braccio, e li sentivamo, sentivamo le fortezze volanti che arrivavano e naturalmente si stava con un po’ di agitazione. Io poi soprattutto avevo paura che la bambina si spaventasse, la piccolina aveva circa un anno, un anno e mezzo e allora magari giocherellavo con la bambina. E poi dicevano ‘Oh è caduta una bomba, dev’essere alla Corticella’ oppure ‘Dev’essere da qualche altra parte’ ma stavamo lì buoni, poi finiva l’allarme, venivamo su, riprendevamo la vita più normale possibile. Una volta mi sembra che fu nel 25 settembre, noi eravamo giù e cominciammo a sentire delle ondate [emphasis] di aeroplani, ondate! Venivano, e poi ne arrivavano degli altri, degli altri: un bombardamento terribile, la terra tremava e allora eravamo, io, io ero molto molto preoccupata, soprattutto sempre per la bambina, e mi stringevo la bambina. C’era qualcuno che pregava e si stava così. E quello fu il terribile bombardamento che cominciò dal Sant’Orsola, caddero le prime bombe sull’ospedale Sant’Orsola, e poi vennero avanti e fu un bombardamento terribile alla stazione e poi continuò dopo la stazione verso la Corticella giù. E si sentivano sempre questi aeroplani, erano le fortezze volanti che arrivavano di continuo, di continuo, fu un bombardamento lunghissimo, durò per tanto tempo e quello fu per me il bombardamento più terribile. Mio marito infatti, che allora era stato portato da Aviano a Gorizia, all’aeroporto di Gorizia, chiese una licenza per venire a vedere come stava la sua famiglia dopo questo bombardamento ed ebbe alcuni giorni di licenza. Ci trovò tutti bene, il tragico fu quando uscimmo dal nostro rifugio e ci dissero tutto quello che era successo, per fortuna lì in centro delle bombe non erano cadute e noi ci siamo salvati. Dopo quell’avvenimento, la mia famiglia pensò che era bene lasciare la città e come tanti essere sfollati e allora andammo nella villa dei Pasetti, vicino a Imola in via Piratello dove la villa era un po’ isolata, nascosta fra gli alberi e si pensava lì di stare più tranquilli. Per me, e lì anche c’erano, ogni tanto passavano gli aeroplani e lasciavano cadere delle bombe, o su Imola o sulla ferrovia che era a 300 metri dalla nostra villa, perché la villa era tra la via Emilia da una parte, 800 metri e dall’altra 300 metri la linea ferroviaria quella l’adriatica, quella che da Bologna va verso Ancona, allora cosa volevo dire. Ecco allora sì anche lì c’eravamo fatti una specie di rifugio in campagna, un buco per terra e quando sentivamo gli aeroplani corravamo lì ma non era una cosa molto sicura. Per me l’emozione più grossa l’ho avuta per un mitragliamento e questo è l’episodio che io vorrei raccontare. Posso parlare?
GF: Ovviamente sì, prego.
AMS: Nell’estate del ’44, estate del ’44, mio marito, siccome era caduto, insomma l’Italia aveva chiesto, aveva chiesto, come posso dire, l’Italia era divisa in due, è vero? Mio marito non si era più presentato tra i militari e faceva il partigiano eh, e allora siccome la nostra villa lì era stata requisita quasi tutta dai militari tedeschi noi c’eravamo ridotti tutti in due stanze a pianterreno, la cucina e un’altra stanza e poi, al primo piano e c’eravamo tutti ridotti lì, perché anche la mia famiglia il mio papà, la mia mamma, la mia nonna e le mie sorelle ancora ragazze erano venute tutte lì sfollate. Allora siccome io insomma eravamo messi un po’ molto male con i tedeschi che entravano uscivano, mio marito doveva stare nascosto perché lui era partigiano. Allora un nostro amico che si chiamava Luigi Baruzzi ci disse che avrebbe potuto ospitarci in una casa che aveva su in collina a Monteloro si chiamava, Monteloro sopra il paese di Borgo Tossignano, circa a una ventina di chilometri da Imola, dice, era una casa molto isolata là in montagna, abbastanza sicura. E allora noi, mio marito, io e la bambina avremmo potuto avere un po’ di ospitalità lì da loro per stare un po’ più tranquilli per un certo periodo e così accettammo. Mio marito, in segreto, di nascosto, trovò un cavallo, un calesse, caricò me, la bambina, alcuna qualche cosa di vestiario, qualche cosa di viveri, dei viveri e poi attraverso delle stradine secondarie, arrivammo alla via montanara che era la strada che collegava Imola con Borgo Tossignano e poi andava su verso la Toscana. Lì a un certo punto avremmo dovuto voltare a sinistra e andare su per la collina per arrivare a Monteloro. Mentre noi eravamo sul calesse in questa strada bianca perché non era neanche asfaltata, mio marito che era aviatore sentì da lontano un rombo allora lui capì subito il pericolo, fermò il calesse, fu velocissimo, scese dal calesse, mi tirò giù proprio dal calesse, io avevo sempre la bambina stretta in braccio. Di fianco alla strada, c’era un campo con del granoturco, con le piante di granoturco abbastanza alte. Allora lui in gran velocità mi fece saltare il fosso che c’era tra la strada e il campo, io siccome era d’estate avevo i sandali e i piedi nudi, lì c’erano tutti i rovi, mi sarei potuta ferire, allora lui aveva gli stivali allora pestò un po’ per terra ma in gran velocità, mi fece mettere i piedi lì dove lui aveva pestato, e poi mi buttò giù per terra in mezzo alle piante di mais. Io avevo la bambina sotto di me, lui aveva una sahariana verde e si buttò su di noi e mi metteva la testa mi teneva la testa giù con le mani così. Insomma l’aeroplano passò, vide naturalmente il calesse il cavallo sulla strada, ma a noi non ci vide nel campo e cominciò a mitragliare, a mitragliare il calesse e io sentivo i colpi della mitragliatrice cadere tutti intorno a me, fu uno spavento terribile però avevo mio marito che ci copriva con il suo corpo e allora eh eh, ma quella fu l’amozione più grande [gets emotional] perché sentii proprio i colpi vicini eh. Poi l’aeroplano passò dopo aver mitragliato, colpì il calesse ma il cavallo non lo colpì, allora mio marito disse ‘Stiamo ancora qui nascosti perché c’è il caso che torni indietro’ invece poi l’aeroplano non ritornò allora salimmo di nuovo nel calesse e in fretta raggiungemmo questo posto che si chiamava Monteloro. Io finirei così eh? Poi non so se vuol sospendere eh?
AMS: Posso chiederle Anna Maria se in quel momento si ricorda o aveva coscienza di chi la stava mitragliando, di chi era?
GF: No veramente io personalmente non capivo, so che era un aeroplano, non sapevo se era o tedesco o inglese non sapevo, o americano non sapevo, no.
GF: E passato quel momento poi l’ha scoperto?
AMS: Non ho capito.
GF: L’ha scoperto poi chi erano?
AMS: Sa che non mi ricordo? Non mi ricordo, ma, non mi ricordo, no.
GF: Suo marito cosa diceva?
AMS: Non lo so, non mi ricordo, no.
GF: Non si preoccupi, non si preoccupi. Allora se, se è d’accordo tornerei un attimo al ’42 quando è andata a Pordenone con suo marito.
AMS: Sì.
GF: Ok, mi ha detto che suo marito era un pilota dello stormo bombardieri.
AMS: Sì, sì.
GF: Mi può raccontare che cosa faceva? Se lo ricorda?
AMS: [pause] Dunque azioni di guerra no, da lì non ne ha mai fatte, dopo quando è passato a Gorizia, eeeh aspetti che anno? Subito l’anno dopo passò a Gorizia lui passò nei aerei siluranti, allora sì che partecipò a un’azione. Partivano da Gorizia con le, come si chiamano, non le bombe, sotto l’aeroplano e poi andavano a cercare nel mare, nell’Adriatico se c’era qualche nave inglese da silurare, ecco il siluro. Avevano due siluri sotto all’aeroplano, sotto l’apparecchio e da Gorizia partivano per fare questi siluramenti e mio marito partecipò a uno. Però non fece niente di, insomma non colpirono, non furono, tornarono eeeh senza, ma fu un’azione di guerra. Invece un suo collega, colpì proprio una nave, silurò una nave inglese, sempre partendo da Gorizia. [pause] Invece da Pordenone, da Aviano, facevano dei voli di addestramento, dei voli notturni ma non erano azioni di guerra. [pause] Poi cosa mi vuol chiedere?
GF: E parlava suo marito con lei si queste cose? Della guerra parlavate?
AMS: Mah di giorno in giorno diceva anche qualche cosa, mah. Però non è che mi desse dei particolari no.
GF: Allora torniamo adesso a quando lei torna a Bologna, con sua figlia piccola.
AMS: Sì.
GF: Eh mi ha raccontato che ehm avevate questo rifugio.
AMS: Sì.
GF: Ecco da quando, posso chiederle se mi racconta, da quando suonava l’allarme, a quando andavate, cosa facevate, cosa facevate durante il periodo?
AMS: L’allarme?
GF: Sì.
AMS: Ah ah, cosa vuole che facessimo? Eravamo lì, c’erano due panche, lo spazio poi era diventato ristretto perché coi sacchetti coi pali, la cantina si era ristretta e si stava lì, si cercava di sentire, se si sentiva qualche rombo, qualche colpo, ma si stava lì abbastanza tranquilli, io non ho assistito a delle scene di panico, no? Più che altro magari mia nonna sgranava il rosario ecco qualche d’uno pregava, io cercavo sempre di stare con la bambina a fare dei giochetti tanto tranquillizzarla, e poi insomma, non è che l’allarme durasse poi tantissimo, una mezz’oretta una cosa così. E invece poi fu il bombardamento che durò molto, molto eh.
GF: E quali emozioni provava? Se le ricorda che emozioni provava in quei momenti?
AMS: Mah emozioni, eh sì un po’ di preoccupazione, non è che fossi proprio molto molto agitata, no.
GF: C’erano anche i suoi genitori?
AMS: No, no, perché io stavo in Strada Maggiore e loro stavano in via Pascoli, loro avevano poi un altro rifugio.
GF: Invece poi l’anno dopo siete sfollati.
AMS: Sì siamo sfollati, siamo sfollati nella villa in campanga, allora anche i miei genitori, mia nonna, le mie sorelle, sono tutti venuti lì e lì avevamo questo buco nella terra perché su Imola anche ogni tanto sganciavano ma lì da noi no, però si aveva paura dei bombardamenti, dei mitragliamenti più che altro. Perché quasi tutte le sere, un apparecchio, noi dicevamo inglese ma non so se fosse americano eeeh, lo chiamavamo Pippo, lo chiamavamo Pippo ‘Ecco adesso arriva Pippo’ perché si abbassava e mitragliava, mitragliava le case, ecco quello faceva un po’ ‘Oooh, attenti attenti che adesso arriva Pippo!’ e allora ci mettevamo contro il muro, io avevo messo la culla della bambina in una zona contro il muro, una zona che non guardasse la finestra, in modo che il muro riparasse da queste mitragliate, passava e mitragliava quasi tutte le sere. Poi lì il brutto erano i tedeschi che occupavano la casa, capisce? Che sa questi militari così, e allora si stava stretti. Ma si viveva poi così di giorno in giorno, non è che si provasse sempre tutta questa gran paura, capisce? Eh, anche durante i bombardamenti qui a Bologna, noi pensavamo che lì a casa fosse abbastanza tranquillo, mia mamma solo diceva ‘Qui facciamo la fine dei topi, qui sotto!’ ma doveva proprio caderci una bomba in testa eh! Non è che fossi proprio agitatissima, no. Sa, quando poi si è anche molto giovani, si è anche un po’ spericolati, eh io poi pensavo a mio marito che era militare, che era via no, non è che mi agitassi molto. Correvo giù in rifugio, sì quello sì perché mi dicevano che bisognava andare in rifugio, è meglio andare in rifugio ma ero abbastanza tranquilla eh. Sì io poi ho vissuto, quello può essere ancora interessante, quando la liberazione di Bologna, quello è stato interessante. Dunque Bologna è stata liberata da truppe polacche che naturalmente erano con gli americani eh, ma erano truppe polacche. E ci fu, noi eravamo tornati a Bologna perché in campagna non si poteva più vivere, la casa era stata tutta requisita allora noi a un certo momento tornammo in città e anche i miei genitori, che siccome i tedeschi avevano fatto la Sperzone che si chiamava, cioè la zona centrale della città e entro la Sperzone che erano i viali in circonvallazione, mio padre e mia madre stavano in questa villa proprio al limite della Sperzone perché era sui viali Gozzadini, allora vennero nella nostra casa di Strada Maggiore 26. Quando ci fu, diciamo, come la liberazione di Bologna, ci fu prima una grossa battaglia la Battaglia della Gaiana che è un paese, un posto tra Castel San Pietro, cioè Imola, Castel San Pietro e Bologna. Lì ci fu una battaglia tenuta dalle truppe dalle truppe polacche, polacche contro i tedeschi e i tedeschi si ritirarono. Dopo la battaglia della Gaiana le truppe polacche entrarono a Bologna ed entrarono una parte per porta Santo Stefano e una parte per porta Mazzini, perciò lì a Strada Maggiore. Io con la bambina in braccio sempre, e i miei genitori, eravamo tutti sul balcone di casa Rossini, avevamo messo fuori una bandiera e applaudivamo le truppe polacche che arrivavano proprio lì sotto di noi, anzi, siccome era poi veniva l’ora del pranzo invitammo un soldato polacco a venire a mangiare con noi, e mangiò con noi a tavola. Noi, io poi personalmente, conobbi il comandante polacco che era un giovane tenente, il cappellano polacco e il dottore polacco dell’armata. Io c’ho lì un libro che mi ha regalato il dottore polacco con tanto di dedica perché eravamo diventati amici di questo gruppo polacco che aveva salvato Bologna. Questo è molto interessante, se vuol vedere le faccio vedere anche il libro con la firma.
GF: Sì, dopo volentieri. Quindi avete festeggiato alla liberazione?
AMS: Sì, noi abbiamo, perché dopo la vera liberazione che fu a Milano fu tre giorni dopo, ma a Bologna fu prima, tre giorni prima e furono i polacchi. Ah poi le dico un altro particolare che siccome in cima alla torre Asinelli avevano messo, i partigiani, avevano messo una bandiera rossa, appena i polacchi entrarono e videro quella bandiera rossa corsero su e via strapparono la bandiera rossa e misero la bandiera americana in cima alla torre Asinelli. Io dalla finestra, da una finestra del mio appartamento, vedevo la torre vedevo la cima della torre! E così vedevo questa scena di aver tolto la bandiera e aver messo quella americana, ha capito? Quello è stato anche un bell’episodio. Dopo siccome i polacchi vollero festeggiare il loro comandante, questo sottotenente, questo tenente, fecero una festa alla Gaiana, in un fienile di un contadino che era poi la proprietà dei principi Ruffo e a questa festa di militari polacchi invitarono anche me, mio marito e le mie due sorelle che erano ragazze. E così vedemmo il comandante polacco che si alzò in piedi durante il pranzo con la spada sguainata e poi tutti che lo festeggiavano, i suoi militari, ha capito? E poi io era diventata molto molto buona amica del cappellano che poi è saltato su una bomba, su una mina è saltato su una, ed è sepolto nel cimitero polacco di San Lazzaro, ma non mi ricordo il cognome, lo chiamavamo, lo chiamavamo cappellanie che in polacco il vocativo finisce in –ie, allora lo chiamavamo ‘Il cappellanie! Arriva il cappellanie!’. E veniva veniva a trovarci era molto carino. E poi c’era il dottore, il ‘dottorje’, il ‘dottorje’. Il dottore si chiamava Stanislav Krusceche e c’ho lì il libro che mi ha regalato che era ‘Tristano e Isolde’ in inglese e ha scritto come dedica ‘A great roman for a little lady’ e poi la sua firma, e quello ce l’ho lì. E quello è stato un bel periodo eh. Dopo, dopo tre giorni hanno liberato Milano, hanno liberato l’Italia e poi il governatore americano che era diventato governatore di Bologna, io lo avevo conosciuto molto bene ma non mi ricordo il cognome, questo questo governatore, che poi diventò da Bologna diventò governatore di Trieste, era un governatore americano, e davano delle feste da ballo e io ero sempre invitata a queste feste da ballo e ho ballato molto col governatore perché diceva che io ballavo molto bene. Quando io entravo in sala che generalmente le feste le facevano nel salone del palazzo Montanari in via Galiera, quando io entravo arrivava l’attendente del governatore e mi diceva ‘Il governatore vuole poi ballare con lei’ e io dicevo ‘Molto volentieri’ e così ho ballato col governatore americano. Però non è che noi che io ho legato poi molto con le truppe americane, no! Andavamo sì a qualche festa che loro davano ma così insomma, io stavo sempre in Strada Maggiore, al 26. Questo è stato subito dopo la guerra, perché poi la nostra villa in campagna, dopo i tedeschi quando arrivarono le truppe ci andarono prima i polacchi, fu sempre requisita da dei militari, allora ci andarono prima i polacchi e poi delle truppe americane, poi finalmente quando tutto si tranquillizzò e noi potemmo ritornare nella nostra villa in campagna era un disastro: la villa era rovinatissima, il giardino tutto buttato per aria e abbiamo dovuto ricominciare a ricostruire. Mio marito ha passato tutto il dopoguerra a ricostruire, ricostruire la nostra casa in campagna e le case dei contadini perché mio marito aveva quattro case coloniche e allora a ricostruire le case, a riprendere gli animali, le mucche così perché non c’era rimasto più niente, eh! E anche nel nostro giardino, a piantare gli alberi andavamo io e mio marito andavamo da Ansaloni a San Lazzaro che era un vivaio molto bello e compravamo gli alberi già abbastanza grandi e li facevamo piantare in giardino per rifare un po’ il giardino.
GF: Le va di raccontarmi di quando i tedeschi erano nella sua villa, della convivenza con loro, com’era?
AMS: Aaah, era era cercavamo di stare più separati possibile, aver meno contatti possibili ma al principio, lì nella nostra villa, siccome era vicina al cimitero del, del Piratello eh, lì nel cimitero di Imola cominciarono a seppellire i soldati tedeschi che cadevano mano a mano o in una schermaglia o in una piccola battaglia e li portavano lì e li portavano a seppellire lì. Allora nella nostra villa fecero l’ufficio del cimitero, venne un maresciallo tedesco che era un maestro di scuola mi ricordo che lui ci disse e noi lo chiamavamo il ‘grebelino’ perché ‘grebel’ in tedesco vuol dire tomba, eh? E allora quella era la sede dei ‘grebel’ cioè dei di quelli dei tedeschi che venivano sepolti, gli venivano dati i documenti lui poi questo ufficiale, questo militare questo maresciallo tedesco mandava le notizie alle famiglie, capito? Allora finché abbiamo avuto quei militari lì che erano un ufficio diremo, noi siamo andati abbastanza bene, insomma eravamo abbastanza tranquilli, quando spostarono questo ufficio perché il, l’armata tedesca mano a mano si ritirava, allora anche loro si ritirarono, andarono più avanti e allora vennero proprio le truppe quelle da combattimento con i carri armati e quelli sa, quelli facevano una gran paura, quelli facevano una gran paura sì, perché sa venivano, e giravano per casa, volevano i bagni, erano un po’ prepotenti, eh! Dopo noi abbiamo lasciato la villa e allora dopo hanno fatto quello che hanno voluto ma andati via i tedeschi dopo lì sono venuti i polacchi hanno occupato la villa i polacchi ma noi eravamo poi a Bologna. Eh, coi tedeschi in casa sa, eh era piuttosto preoccupante, eh! Anche perché una volta vennero giù in cantina da noi nella villa e presero tutto il vino che c’era. Noi mio marito, insomma la famiglia di mio marito, aveva delle antiche bottiglie ancora s’immagini del tempo della rivoluzione francese, con sopra il cartellino scritto ancora con la vecchia calligrafia, ma non era più vino, era un rimasuglio, ha capito perché era una cosa vecchia, e lo tenevano come ricordo. Quando vennero certe truppe tedesche portarono via tutto il vino che c’era e portarono via anche quelle bottiglie. Noi lo dicevamo ‘Ma quelle non sono da prendere, non son da bere’. Dopo tornarono cattivi! Arrabbiati perché dice che gli avevamo dato del vino cattivo: avevano aperto le bottiglie del ‘700! Quello non era più vino, erano delle vecchie bottiglie tenute come ricordo, noi l’avevamo detto ma loro non hanno voluto capire o sentire e dopo vennero arrabbiatissimi, erano arrabbiati dicendo ‘Ci avete dato del vino cattivo!’. Noi eh, ce lo avevano portati via, eh! [pause]
GF: Prima, prima mi ha detto che suo marito dopo il ’43 era diventato partigiano, le va di raccontarmi questa storia?
AMS: Sì, sì dunque, gli uomini, in quel periodo, dovevano stare nascosti perché avevamo i tedeschi dappertutto e se li avessero trovati li avrebbero mandati in un campo di concentramento e allora mio marito andava su in collina e si trovava con degli altri, eh! Era così. Poi veniva a casa, di nascosto sempre e poi stava con gli altri ma non è che ha fatto delle azioni da partigiano, lui stava così nascosto assieme a degli altri per non essere presi dai tedeschi.
GF: E dopo la liberazione invece? Ha ripreso il suo lavoro?
AMS: Ha ripreso?
GF: È tornato nell’aviazione?
AMS: No, ascolti, quello fu un mio grande dispiacere perché io avrei voluto che lui tornasse in aviazione come militare ma siccome intanto era morto mio suocero, lui aveva la campagna e la terra da seguire, tutte queste cose da ricostruire, lui disse ‘No, io lascio l’arma’ ma lui fu, è rimasto sempre attaccato all’aviazione tanto è vero che vede lì le fotografie. Lui poi da morto ha voluto che gli mettessimo la divisa da capitano d’aviazione, perché intanto era diventato capitano, perché lui era rimasto attaccatissimo all’aviazione ma non aveva più voluto fare il servizio militare. Perché aveva quel po’ di terra da seguire, intanto poi ci erano nati degli altri figli e allora insomma non ha più fatto il militare no. E io ebbi un gran dispiacere perché io gli dissi ‘Alla terra posso tenerci dietro e tu fare il tuo servizio militare perché è quella la tua strada!’ Perché lui poi aveva la passione della meteorologia e allora sa, avrebbe potuto per dire andare alla televisione a fare sa quelle spiegazioni del tempo così, perché lui come militare seguiva molto la metereologia [emphasis], ma lui non ha più voluto. Anche perché poi mio marito purtroppo si ammalò molto molto presto di cuore e aveva il cuore che non era più buono, continuò a volare come aviatore civile su apparecchi civili ma così con dei voletti. Fece anche il volo a vela, fece anche il volo a vela partendo dall’aeroporto di Bologna, veniva lanciato, lui era in un carrello c’era un aeroplano che lo trainava con una corda e lo lanciava e quando era per aria lo staccava e lui con questa navicella stava così un po’ in aria e poi cercava di ridiscendere. Io lo vidi, sa una paura terribile! E dissi ‘Guarda io non vengo più a vedere quando fai il volo a vela!’. Perché lui era rimasto sempre molto attaccato all’aviazione, però non volle più fare il servizio militare.
GF: Signora Anna Maria torno ancora una volta, per l’ultima volta sui bombardamenti.
AMS: Sì.
GF: Le volevo chiedere, quando era a Bologna e bombardavano.
AMS: Sì.
GF: Sapevate chi vi stava bombardando, cosa pensavate di chi vi bombardava?
AMS: Ah lo sapevamo che erano gli americani! Lo sapevamo sì, erano le fortezze volanti, le fortezze volanti erano solo americane.
GF: E ne parlavate? Cosa pensavate?
AMS: Eh pensavamo che era la guerra eh eh così, era la guerra. Noi poi pensavamo che i tedeschi se ne andassero che arrivassero questi americani a liberarci perché avevano liberato una parte dell’Italia e poi si fermarono l’ultimo inverno, si fermarono a un fiumicello che si chiamava il Pisciatello, Pisciatello, era un piccolo fiume e lì si fermarono gli americani tutto l’inverno e noi non vedevamo l’ora che arrivassero gli americani, per finire di liberare tutta l’Italia. E sapevamo che erano loro che ci bombardavano e dicevamo ‘Eh è la guerra, eh speriamo che finisca presto eh!’. Ma lo sapevamo benissimo chi era che ci bombardava, sì. I mitragliamenti no, perché quando veniva un apparecchio isolato non si, non si capiva bene se era tedesco, inglese, americano quello non si capiva ma i bombardamenti e quando arrivavano i, le granate su Imola e quello si sapeva che erano americane.
GF: E Pippo?
AMS: Eh Pippo, Pippo dicevamo ‘Arriva Pippo!’ ma io credo che fosse, non so, non sapevamo di preciso chi fosse, c’era sempre questo aeroplano che arrivava e lo chiamavamo Pippo ‘Arriva Pippo, arriva Pippo’.
GF: E avevate paura di Pippo?
AMS: Sì molto, i mitragliamenti facevano molta paura. Io poi che avevo avuto quel grosso mitragliamento ero rimasta impressionata. [pause] Perché non si capiva l’aeroplano che cosa facesse, dove andava, capito? I bombardamenti si sentivano arrivare, queste grandi fortezze volanti che facevano un rombo, un rombo enorme, e poi si sentiva lo sgancio poi si sentivano [makes a hissing sound] boom, si sentiva il fischio, il fischio delle bombe che venivano giù. Eran dei momenti tremendi, si vivevano così, giorno per giorno. [pause]
GF: Mi ha parlato dei tedeschi, e invece dei fascisti?
AMS: Dei?
GF: Dei fascisti?
AMS: Mah i fascisti non so, in che modo dei fascisti?
GF: Cosa pensava, avevano occupato la sua casa i tedeschi, c’erano anche delle truppe fasciste insieme?
AMS: No no.
GF: No.
AMS: Non c’erano truppe fasciste, no no no non c’erano truppe fasciste. Mio padre non è mai stato fascista, gli avevano dato insomma gli avevano dato onoris causa, l’avevano fatto diventare, gli avevano dato il termine fascista, ma lui non era fascista, infatti non ha avuto nessuna nessuna grana, nessuna, niente niente dopo la guerra niente niente, perché lui era, lui era militare della prima guerra mondiale. Vede là ci sono le medaglie che mio padre ha avuto nella prima guerra mondiale, è stato un eroe della prima guerra mondiale, io ti lascio delle fotografie bellissime di mio padre nella prima guerra mondiale, e lui era rimasto sempre, sempre attaccato all’aviazione, sempre come militare come, ma non era fascista, no. E lui essendo anche vice presidente dei Pionieri d’Italia lo volevano fare presidente ma lui disse ‘No, perché per essere il presidente bisogna stare a Roma, io sto a Bologna per me è scomodo, ormai son vecchio’ e lui era vice presidente dei Pionieri d’Italia ma non c’entrava niente col fascismo, no, lui non era fascista, noi non eravamo una famiglia di fascisti, no, non c’eravamo mai dati alla politica, anche mio marito, no mai, mio suocero, no, non, mio padre che era importante perché era presidente dell’aeroclub di Bologna non aveva cariche fasciste, no. Le dirò un particolare da ridere perché quelli che erano poi i capi fascisti avevano la tesserina per andare al cinema gratis, a mia madre piaceva tanto il cinematografo e diceva ‘Uh papà, non ha neanche la tessera, a lui non gliela danno!’ perché lui non era abbastanza, non era fascista capito, non avevamo neanche la tessera no no. E mia madre dice ‘Uh a me piace tanto il cinema ma io devo pagare il biglietto, eh!’ questo per ridere, ha capito? Per dire che non eravamo fascisti no, però eravamo italiani con gran sentimenti patriottici, mio padre sempre la prima guerra mondiale, tutte le cose della prima guerra, tutti i racconti, eh così. Certo noi a scuola dovevamo per forza essere Piccole Italiane, Giovani Italiane per forza, eh a scuola eravamo così eh, però non è che fossimo proprio fascisti no?
GF: Dopo il ’43 ha conosciuto lei personalmente dei partigiani?
AMS: Cosa?
GF: Se ha conosciuto dei partigiani.
AMS: Sì, eh! Io ho conosciuto uno poverino che è stato ucciso, si chiamava, aspetti sa, che era di San, aveva la casa a San Lazzaro ed era uno dei capi partigiani che hanno combattuto e poi è stato ucciso, quello era anche proprio nostro amico sì. E ne ho conosciuti parecchi di quelli che erano i nostri amici da ragazzi anche compagni di scuola che poi erano andati nei partigiani, quindi proprio avevano combattuto, su verso Castel San Pietro, hanno combattuto parecchio i partigiani bolognesi, romagnoli, adesso non mi ricordo più il nome, che eravamo tanto amici, lui aveva una bella villa a San Lazzaro, come si chiamava? Eh non mi ricordo più [pause] e come si chiamava? Eh non mi ricordo.
GF: Non si preoccupi se non ri ricorda il nome non importa.
AMS: Non mi ricordo il nome no.
GF: E a volte scendevano dalle colline e venivano nella vostra villa?
AMS: Come?
GF: A volte scendevano dalle colline e venivano nella vostra villa?
AMS: No, fin da noi no perché eravamo in una brutta zona ha capito? Eravamo oltre la via Emilia, la via Emilia poi noi e poi la ferrovia. I partigiani rimanevano sulla collina, noi eravamo in pianura, no da noi non venivano. Infatti mio marito doveva andare in su per andar da loro, andare in collina [pause].
GF: E li aiutava? Li aiutava? Portava dei rifornimenti, del cibo?
AMS: Ah sì! Sì, sì, dei prosciutti mi ricordo, eh, dei prosciutti e poi del vino, sì, e mi ricordo i prosciutti, mi ricordo i prosciutti.
GF: Volevo chiederle un’altra cosa.
AMS: Sì.
GF: Dopo la liberazione.
AMS: Sì.
GF: Quando c’è stato il referendum.
AMS: Sì.
GF: Lei ha votato, anche lei giusto?
AMS: Sì!
GF: Si ricorda com’era il clima, cosa avete votato?
AMS: Io in quel momento ero monarchica, io dopo la liberazione, siccome si poteva votare o monarchia o repubblica io votai monarchia, anche mio marito. Lo sapevamo che non avremmo vinto, però noi preferivamo la monarchia e invece vinse la repubblica eh, ma io ho votato monarchia, dico la verità. Io allora ero incinta della mia seconda bambina, mi ricordo benissimo, avevo un gran pancione. Andai a votare ma io votai monarchico, perché c’era il referendum, vero, era monarchia o repubblica e io votai monarchia.
GF: Cosa pensava del re?
AMS: Del re pensavo che si era tirato da parte per far posto a Mussolini, che non era stato abbastanza energico però la famiglia Savoia, sa, era una tradizione famigliare. Vede là quella fotografia, quello era un colonnello di cavalleria, era mio nonno materno che era di Torino e lui era aiutante del duca d’Aosta, vede lì che c’è la fotografia del duca d’Aosta con la dedica a mio padre, perché eravamo tutti attaccati alla famiglia Savoia eh! Insomma nella mia famiglia c’erano stati proprio dei rapporti con i Savoia, perché mio nonno era aiutante del duca d’Aosta padre, questo è il duca d’Aosta figlio, che era aviatore e veniva sempre a Bologna. E io l’ho conosciuto gli ho dato una mano ero una bambinetta, gli detti la mano io mi ricordo con l’inchino lui mi strinse la mano perché veniva sempre a Bologna, io ero la figlia del presidente dell’aeroclub, e lui veniva come pilota civile il duca d’Aosta giovane. Poi mi zio, cioè il fratello di mia mamma che è diventato generale di cavalleria, generale di cavalleria nella repubblica è vero? Eh, però lui era stato aiutante anche lui del duca d’Aosta figlio, il nonno del padre e lo zio del figlio del duca d’Aosta, perciò era molte legate ai Savoia capito, eh? E così, a me non è che il re Vittorio Emanuele piacesse molto però era sempre un Savoia, si sperava nella discendenza Savoia, in Umberto II, si sperava, ma. Perché nella tradizione di famiglia, sia di mia madre che erano dei Blanchetti di Torino, sia che anche dei Serafini c’erano un mucchio di generali c’era il generale Serafini, Giuseppe Serafini, Bernardino Serafini era colonnello erano tutti tutti militari, naturalmente allora era l’armata eeeh savoiarda, l’armata monarchica eh? Adesso le faccio vedere.
GF: Sì aspetti perché allora metto in pausa.
AMS: Ha capito perché ho votato monarchia?
GF: Sì. E invece però quando vinse la repubblica, come avete reagito?
AMS: Ah va bene così eh, ah non abbiamo fatto nessuna reazione, hanno scelto la repubblica, evviva la repubblica eh, sì sì non ne abbiamo fatto. Comunque di politica noi non ci siamo mai interessati, anche mio marito mai mai di politica, non si è mai interessato di politica, non era iscritto a nessun partito, no no no, lui aveva solo in mente l’aviazione e basta. Ah quando ci fu la repubblica evviva la repubblica e basta eh.
GF: Va bene signora Anna Maria, io la ringrazio veramente tantissimo per la sua disponibilità.
AMS: Non so se sono stata abbastanza interessante.
GF: È stata bravissima e la sua storia è stata davvero interessantissima, grazie.
AMS: Ma si immagini.
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Title
A name given to the resource
Interview with Anna Maria Serafini
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Po River Valley
Italy--Aviano
Italy--Bologna
Italy--Gorizia
Italy--Imola
Italy--Pordenone
Italy
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Greta Fedele
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-12-01
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Francesca Campani
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
01:04:22 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Regia Aereonautica
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1943-09-25
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
PPasettiAMS1601, APasettiAMS161201
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Description
An account of the resource
Anna Maria Serafini recalls her teenage life in Bologna as the fiancée of Luigi Pasetti, a civilian pilot later enlisted as torpedo bomber pilot. Describes how she got married and mentions Italian First World War pilot, Ferruccio Ranza, who acted as best man. Describes what life was like in a small private shelter with a propped ceiling, sandbagged windows and rudimentary furniture. Recalls life under the bombs: trying to keep calm her young daughter; people guessing points of impacts; prayers, games and pastimes. Describes her evacuee life in Imola and the trials and tribulations after the collapse of the fascist regime, when her husband joined the Resistance. Recollects being strafed when travelling on a byway. Describes Germans on admin duties as friendly and well-mannered, whereas those serving in combat units were arrogant and feared. Recollects the Gaiana battle and the occupation of Bologna by allied forces, stressing her connections with Pole officers. Gives an account of family life in the subsequent decades, emphasising loyalty to the monarchy. Judges bombing war from a fatalistic stance, stressing how strafing by isolated aircraft was more feared.
civil defence
evacuation
fear
home front
love and romance
perception of bombing war
Pippo
Resistance
strafing
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/66/713/AMazziG170420.2.mp3
1f1d1840cb8c40e1e085dfeff71e408b
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Mazzi, Giglio
Giglio Mazzi
G Mazzi
Description
An account of the resource
This collection consists of one oral history interview with Giglio Mazzi who recollects his wartime experiences in Reggio Emilia.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea (Reggio Emilia)
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-04-20
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Mazzi, G
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
GM: Very well.
DG: [laughs] Dunque partiamo dalle cose semplici: le chiedo dove e quando è nato.
GM: 18 febbraio ’27, Campogalliano. 18 febbraio, purtroppo ho 90 anni appena suonati.
DG: Complimenti [laughs].
GM: Purtoppo.
DG: Se ci può parlare un po’ della sua famiglia, del contesto appunto familiare. Cosa faceva la famiglia, cosa faceva lei prima della guerra, un po’ il quadro generale.
GM: Certo, certo. Non so, non credo [laughs].
GM: No, no tranquillo, vada pure. Quindi dicevamo: la sua famiglia e li contesto.
GM: Sì io sono di famiglia antifascista perché eh nei, negli anni dell’avvento del fascismo, 1921-22, mio papà e anche mio zio furono picchiati molto duramente dai fascisti. Tant’è che mio zio con una bastonata, avevan quelle mazze ferrate allora, gli hanno staccato un orecchio. Mio padre invece le ha solamente prese.
UNKNOWN SPEAKER: Ciao ciao.
GM: Ciao Baldini [?] [whispers]
DG: Non c’è problema tanto qua siamo tutti tra amici.
GM: Quindi io sono di famiglia antifascista, proprio per motivi familiari e anche perché evidentemente nella nostra zona, non so se voi siete di Reggio, la nostra zona risente ancora adesso, anche se adesso purtroppo alcune cose non ci convincono, del clima prampoliniano. La nostra è una città, una zona che ancora risente degli antichi trascorsi del Mulino del Po, di Prampolini eccetera eccetera. Quindi sono di famiglia antifascista.
DG: Ok, cosa faceva lei prima della guerra? Quanti anni aveva, come insomma, gli anni appunto, prima prima dell’inizio dello scoppio.
GM: Ecco esatto. Io ero studente dell’ITI (Istituto Tecnico Industriale), e durante la guerra qui siccome qui avevamo allora un grande stabilimento di guerra che eran le Reggiane e qui man mano che i giovani delle reggiane andavano al fronte loro chiedevano all’ITI, siccome noi conoscevamo il disegno tecnico, chiedevano all’ITI di mandare i propri studenti a supplire la mancanza di quelli che s’andavano al fronte. Io poi fui di questi. E questo avvenne alla fine mi pare, a metà, durante le vacanze del ’43 quando, mo anche prima, ci andai nel ’42. Però col grande bombardamento del 7-8 gennaio del ’44 eh le Reggiane furono polverizzate anche assieme alla parte nord della nostra città e naturalmente tutti i giovani che erano venuti nell’ITI e andati alle Reggiane, si trovarono a spasso. In quel momento lì, il comando, eh il comando fascista vedere tutta questa massa di giovani per strada era pericoloso per l’ordine fascista e con gli operai delle Reggiane, costituirono dieci centurie e fummo e fummo appunto reclutati e inquadrati nell’Ispettorato Provinciale del Lavoro, si chiamava proprio così, sulla falsa riga di quello che avevano già fatto anche in altri stati. Ispettorato del Lavoro, ci aveva mandato, ci avevano dato una, una tuta gialla con una bustina gialla in testa, sopra la bustina c’erano un piccone e un badile, puoi immaginare, il nostro compito era quello di sgombrare le macerie del bombardamento che era appena intervenuto. Però allora non c’erano le ruspe, allora c’avevamo una carriola e un badile, puoi immaginare che cosa potevamo sgombrare con questi attrezzi. La cosa però anche nell’Ispettorato non durò molto, perché nel successivo marzo ‘40, sì nel marzo ’44 arrivò l’ordine che tutti i centurioni dovevano recarsi sulla linea Gotica a fare le trincee per i tedeschi. Nessuno di noi, perché siccome da noi specialmente poi a Reggio, il clima era fortemente antifascista. Nessuno di noi si presentò per andare sulla linea Gotica. La mia centuria era stata destinata a Tombaccia di Pesaro, pensi un po’, che bel nome invitante che era, Tombaccia di Pesaro. Noi non ci presentammo, il giorno dopo, a casa nostra, anche se eravamo sfollati, il giorno dopo a casa nostra, c’era subito la camionetta della milizia per chiedere a mia mamma e ai miei genitori, eravamo sfollati in campagna a San Maurizio, dov’ero andato io, mia mamma era stata adeguatamente istruita ha detto ‘Ma mio figlio è andato sulla linea Gotica’ ‘No tuo figlio non è, non si è presentato’ e gli argomenti che si usavano allora, questi erano dei miei coetanei dei ragazzi di 16 – 17 anni, dissero a mia mamma e a mio papà ‘Se tuo figlio non si presenta entro tre giorni torniamo qui e vi ammazziamo tutti’ perché questi erano gli argomenti conclusivi dei discorsi. Per me, per mia fortuna, non tornarono più, perché avevano anche loro i loro problemi, perché noi. Io però in quel momento lì che, non ero ancora arruolato nelle formazioni partigiane però pensando che in quel momento, com’era arrivata la camionata quel mattino lì poteva arrivare anche alla sera, al giorno dopo, potevano tornare come avevano promesso. Ho detto ‘Qui bisogna che trovi una soluzione per dormire fuori casa’. Portammo un materasso sui tetti, eravamo già in giugno, si dormiva anche sui tetti. E per qualche settimana dormii lassù. Eh non era una cosa che poteva continuare molto però. E quando dormivo lassù di notte, sentivo giù nel porticato, che a Reggio la chiamiamo ‘porta morta’ non so se conosce questo termine. La porta morta l’è al porticato dove entravano i carri per buttare il fieno nel fienile. A gh’era cul portic, cul gros, quello era la porta morta. Io sentivo di notte dei rumori, sentivo di notte delle voci. Allora al contadino lì che ci ospitava dove eravamo sfollati, che si chiamava Piero chiesi ‘Ma scusa io ho questo problema da risolvere, non potrei mettermi in contatto con quelle voci che sento di notte?’ ‘Ma cosa vuoi parlar tu di questi problemi che non hai neanche 17 anni, pensa a studiare e dormire fuori casa, perché capisco che ne hai bisogno, vedremo come fare’. Naturalmente questa questa questo rifiuto a me è parso più non che fosse convinto delle mie esigenze ma che ci pensasse.
Unknown speaker: state registrando?
DG: Prego prego.
GM: Allora possiamo. E quindi pensando che, più che la sua impossibilità [coughs] fosse dettata dal fatto che noi a 16 anni e mezzo non potevamo avere i numeri per metterci in contatto con quelle voci sussurrate della notte. Il giorno dopo con un altro mio coetaneo di San Maurizio andammo in mezzo all’aeroporto e in pieno giorno, nonostante che la sentinella andava avanti e indietro abbiamo portato via una mitragliatrice sopra a un aereo tedesco. Signorine non è coraggio questo, questa è incoscienza dei 16 anni perché andare a portare via in pieno giorno. E tra l’altro noi pensavamo che prendere una mitraglia fosse come prendere questo astuccio. No, per portare via una mitraglia su un apparecchio ci vogliono due giorni di seghetto [unclear] perché son legate queste mitraglie, sono, sono solamente coi gas si scarico dell’apparecchio. Tra l’altro un blocco [?] l’abbiam portata via e l’abbiam portato a quello che ci aveva detto ‘Pesate a studiare’ a quel Piero, ci aveva detto, subito pensavano di ricevere qualche elogio insomma dire ‘Oh però voi due siete’ e invece ha detto ‘Siete due pazzi, siete due incoscienti, e non capite’ l’aeroporto da dove ero sfollato dista, era, è distante di un chilometro in linea d’aria, ‘Se i tedeschi si accorgono che avete portato via una mitraglia vengono qui e, tanto per cambiare ci ammazzano tutti’. E io dissi ‘Ma Piero ma io non è che io voglia fare l’eroe, né il Rambo nè il guerrigliero voglio solamente dimostrarti che potevamo avere i numeri per andare con quelle voci che noi sentiamo di notte. Lui ha detto ‘Voi siete due pazzi, due incoscienti, non capite niente, lascia lì sta mitraglia’, ma la mitraglia di un aereo è 40 chili non è uno scherzo, eh non è, non è questo astuccio, e ‘Lascialo lì, per il tuo problema di dormire fuori casa vedrò cosa posso fare’. Un mese dopo mi chiamò mi disse ‘Veh Giglio’, mi chiamavo ancora Giglio, non avevo ancora i nomi di battaglia ‘Veh Giglio se stanotte vuoi venire in un certo posto che mi disse, là a mezzanotte potrai veder in faccia quelle voci che senti di notte’. Naturalmente chi potevano essere quelle voci, quelle voci. Erano i miei amici sfollati lì con me, che io poi non sapevo che fossero già organizzati, però li conoscevo tutti, quando li avevo visti ‘Ah ma son queste le voci’. E quella fu, quella sera lì, assieme a quelli lì sbaragliammo il presidio, e questa è stata la mia prima azione da partigiano SAP, perché c’è grande, in pianura ci avevamo i SAP e i GAP. Fu la mia prima azione cioè abbiamo diciamo attaccato il presidio fascista che era sulla via Emilia a villa Masone, l’abbiamo attaccato, non abbiamo potuto finire l’azione perché poi è arrivato Pippo, ha buttato una bomba e poi è passata, arrivarono una colonna tedesca, una colonna di automezzi tedeschi da Reggio, anche quelli si misero a sparare, cioè un putiferio però poi abbiamo raggiunto lo stesso il nostro scopo perché il mattino dopo il presidio sgombrò e rientrò in città perché ha capito che lì a Masone era, c’era anche degli altri. Questo qua è stata poi successivamente, ho detto che questa è stata la mia prima azione e il mio inquadramento nelle brigate SAP, però alcuni, alcune settimane dopo, io poi non conoscete questa organizzazione, in ogni settore c’è un solo distaccamento GAP e 20 o 30 squadre SAP. La funzione del distaccamento GAP non è solo quello di fare i colpi più arditi, più, perché il GAP operava prevalentemente in città in pieno giorno i gappisti, ma venendo in quel giorno, la settimana dopo c’è stato il primo distaccamento GAP che non eravamo noi, che ha avuto uno scontro con la brigata nera nei prati della famiglia Vecchi di Gavasseto e i Vecchi che sono parenti con il nostro sindaco attuale, lì ci fu lo scontro in mezzo ai campi col primo distaccamento GAP, i distaccamenti GAP operavano tre persone, i GAP operavano sempre in tre, di questi tre uno non tornava mai indietro. Quella volta lì han visto arrivare i fascisti e i tedeschi, ma lì erano più i fascisti che i tedeschi e tentarono loro la sorpresa, uscirono dal rifugio perché era di quello sotto terra con le cotenne sopra, uscirono dal rifugio buttando bombe a raffica contro i fascisti, riuscirono a sottrarsi alla cattura tutti quanti feriti e malconci e si ritirarono su in montagna. Questo fu lo sbandamento del primo distaccamento GAP, primo distaccamento Gap era na grossa cosa per la resistenza della pianura perché oltre a fare i colpi in città in pieno giorno aveva anche l’incombenza di addestrare sia le squadre SAP del settore, sia i neofiti, quelli che entravano attualmente. Dissolto il primo distaccamento GAP i due comandi GAP e SAP della pianura pensavano a come rimpiazzare questo distaccamento perché aveva la funzione vitale per la resistenza in pianura e interpellarono un po’ tutte le squadre SAP del settore, come ho detto prima ce n’è una ventina che andava da Reggio fino a Rubiera, da Villa Gazzata fino alla collina. Noi avevamo, avevamo il settore sud-est della città, naturalmente una delle, una delle ricerche che sono state fatte furono indirizzate anche verso la mia squadra SAP. Noi eravamo in 6 nella squadra SAP. Mentre invece dicevo prima i distaccamenti GAP erano tre e attualmente proprio chi svolse la ricerca fu quel Piero che poi poi diventò Bloac, Bload che è il comandante del distaccamento. E naturalmente quando a noi chiesero se volevamo, almeno se c’erano almeno tre persone disposte a entrare a entrare nel distaccamento Gap è noi non volevamo assolutamente entrare nei GAP perché per noi i GAP, noi eravamo SAP in quel momento lì (Squadre Azioni Patriottiche) noi per noi sappisti, SAP i gappisti erano delle specie di kamikaze, gente votata alla morte che aveva, con pochissime possibilità di arrivare alla liberazione. Pensate signorine che mi ero ascoltate, che i primi gappisti, il gappismo si divise in due fasi: prima fase e seconda fase. Il gappismo prima fase è quello che operava solo in città e quindi la spia era micidiale solo in città, la seconda fase dei gappisti invece, che è quando sono entrato io nei gappisti operava e in città ma anche fuori. Fuori la spia ha la vita più dura perché i contadini della nostra zona erano tutti con la Resistenza, è stata una lotta unitaria la nostra, quindi nel mio settore che erano circa 120 – 130 famiglie tolto via quelle 8 - 10 famiglie che avevano dei figli o dei parenti nella milizia, tutti gli altri eran con la Resistenza. O perché c’è un giovane che si era arruolato o anche aiutandoli con indumenti o anche con dei soldi. Noi non volevamo quindi entrare, anche perché se pensate che ho detto prima la falange, eeeh il tasso di mortalità della prima falange, dei gappisti è otto o nove su dieci, 80 - 90% la mortalità e un terzo di questi morti erano suicidati, si suicidavano per non cadere vivi, come ho fatto io successivamente, per non cadere in, perché cosa succedeva se li catturavano? Ti torturavano a morte per farti parlare, poi non ti potevano lasciare in vita perché tu eri uno scomodo e pericoloso testimone per il post. Quindi il nostro impegno morale non scritto era quello di non farsi catturare vivi, tant’è che quando c’è stato lo scontro mio personale e chiudo perché altrimenti parlo solo io, stato il mio scontro personale con un ufficiale delle SS italiana che erano, oltre alle SS tedesche c’erano le SS italiane, che erano quegli ufficiali più fascisti, più fetenti, più criminali. Tant’è che quando ci siamo scontrati il giorno di Capodanno del ’45 sulla via Emilia a Villa Masone, lui aveva mandato avanti uno in divisa che faceva da esca e ci ha fatto da esca a noi altri due che stavamo pattugliando la via Emilia e lui era in borghese in mezzo ai ciclisti che abbiamo fermato perché quando si faceva un’azione di disarmo eh sulla pubblica via bisognava fermare i ciclisti, allora erano tutti i ciclisti, non c’erano le macchine. In mezzo a questi qui che abbiamo fermato provenienti da Reggio c’era questo giovane ufficiale delle, tenente delle SS italiane che aveva mandato avanti quello in divisa per fare, quindi una trappola ben congeniata. Noi naturalmente non abbiamo sospettato una cosa del genere, io e il mio compagno di sventura, che tra l’altro quel mio compagno di sventura è l’onorevole Otello Montanari del ‘Chi sa parli’ che qualcuno ne avrà sentito parlare. Noi non immaginavamo una trappola così, l’ho fermato io e gli ho detto con Otello, allora si chiamava Jack, Otello ‘Ascolta stai pronto’ io avevo una piccola pistola, poco, ero poco armato perché ero ero davanti avevo una tuta ero più snello. Lui invece aveva la mantellina, Jack (Otello) e sotto la mantellina aveva lo sten, il mitra tedesco, il mitra inglese. Ho detto ‘Fermo io come al solito’, tu stai pronto a darmi manforte se c’è bisogno’. Mi fermo e naturalmente io quando sono a distanza come da me a, a Giulia se ricordo bene, alla Giulia, butto la bicicletta in fondo al fosso e tiro fuori la pistola, e dice, davamo il mani in alto in due lingue ‘Mani in alto! Endaù [hände hoch]’ perché non sapevamo se era un tedesco o un italiano ‘Mani in alto! Endaù!’. E lui, il fascista, ha fatto un mezzo sorriso ha alzato le mani, non ci era parso troppo spaventato però nonostante questo noi non sospettammo niente. E noi per tranquillizzarlo gli abbiamo detto ‘Guarda che noi non ti vogliamo farti niente, tu hai una bella divisa calda’. Quel capodanno ragazze era un freddo che gelava la lingua in bocca ‘Allora tu hai una bella divisa calda, noi in pianura non ne abbiamo bisogno perché i contadini ci aiutano ma la tua divisa la mandiamo ai partigiani della montagna che là stanno gelando dal freddo’ e lui diceva ‘Sì, sì, sì’ ‘Allora vai giù per quella strada lì’. Siete della zona? No. Prima di Masone c’è una stradina che è via Roncadella, ‘Vai giù da Roncadella, vai giù di lì, avanti 100 metri ci dai la tua divisa poi tu vai dove vuoi’. E lò al dis ‘Oh ma c’è freddo adesso’ ‘Fa micca niente se c’è freddo, vai dentro a una stalla, vai in mezzo alle mucche e vedrai che’ eh è partito. Lui parte in prima posizione Jack (Otello) ci va dietro con la sua, con la sua artiglieria, la sua mantellina dietro, io prendo, prendo la bicicletta in fondo al fosso e poi mi metto in terza posizione per andare a prendere la divisa. Fatti pochi metri io sento dietro di me lo stridio di una catena, allora c’era poco olio da oliare le catene cri cri cri. Mi volto pensando [pause] mi volto pensando che fosse quello che qualche minuto prima ci aveva fatto un applauso perché tutte le volte che facevamo un disarmo ed era giorno sulla pubblica via c’era sempre qualcuno che diceva ‘Bravi, bravi! Bravi partigiani! È ora che la finiamo!’. Perché i tedeschi e i fascisti requisivano le biciclette allora vedere qualcuno che contrastava questa requisizione ‘Bravi, bravi!’. Io mi volto, sento sto stridio, penso che fosse quello che prima aveva fatto l’applauso e invece no, era un bel ragazzo, magnifico, giovane, tre o quattro anni più vecchio di me che per mia fortuna aveva, altro che io avevo un pistolino, pochi colpi, una beretta piccolina piccolina, appena appena sufficiente per fare qualcosa. Lui aveva la famosa Hi-power che è la pistola che ha in dotazione adesso la Polizia di Stato, che porta 15 colpi da mitra con un caricatore bifilare e per mia fortuna la sua Hi-power, la sua pistola, perché lui aveva, era vestito in borghese, aveva sopra un bel cappello nero e aveva un trench che allora usavano quei trench chiari. La pistola, per mia fortuna il mirino si era inceppato, attaccato alla tasca, non veniva fuori dalla tasca, è stata la mia salvezza perché lui era addestrato perché come ha sparato si vede che è addestrato, ma il gappista oltre che avere il coraggio aveva anche il sangue freddo perché chi ti porta fuori in queste cose è il sangue freddo più che il coraggio. Eh io allora mi volto, il fatto di vedere la scena come ho detto che anche noi eravamo addestrati, fu tutt’uno con l’istinto di voltarmi e di sparargli. Io mi volto quando vedo la scena, sono anche io in bicicletta, anche lui è in bicicletta, lui aveva, in bicicletta come me, lontano cinque metri, quattro, mi ha strinato sulla schiena, mia ha strinato la tuta tanto a dire che era vicino, eh mi volto, però prima, mi volto per sparargli, prima che sparassi io ha sparato lui, e nel momento in cui io mi volto per sparargli faccio questo, in bicicletta faccio questo movimento, inarco la schiena per potergli sparare, lui, è partito il primo colpo, in mezzo alla schiena. Se non mi fossi girato il colpo usciva qui. Girandomi il proiettile è entrato sulla scapola sinistra, è passato sopra la scapola e, avendo la schiena inarcata, è passato sopra la spina dorsale senza toccarla è tornato dentro sulla scapola destra, ha fatto quattro buchi è uscito dall’altra parte. Qui ho quattro buchi nella schiena. Poi naturalmente quando si prende un colpo d’arma da fuoco non è tanto, si si sente un gran calore un gran bruciore ma non è che, però è l’impatto che ti butta per terra è il colpo, io stramazzo lì, sull’asfalto sulla via Emilia lì a Villa Masone. Lui che era molto addestrato, senza scendere dalla bicicletta, anche lui in bicicletta, dà un secondo colpo a Jack e butta giù anche Jack, di colpo. Erano erano quegli ufficiali fascisti che i tedeschi avevano addestrato in Germania per farli venire in Italia a fare la lotta antipartigiana, quindi erano addestratissimi. Naturalmente, siccome quando sparava con la mano destra, sulla mano sinistra aveva la valigetta, anche la sua bicicletta ha perso l’equilibrio ed è caduto anche lui, è caduto a gambe aperte è caduto, quando è caduto ha aperto le gambe, ha mollato la bicicletta e si è fermato lì vicino a me. Io apro gli occhi e vedo sto pistolone vicino, era, purtroppo la guerra è fatta così, per essere sicuri che sia morto si da il colpo di grazia. E allora lui era lì sopra di me, col pistolone che mi sta per dare il colpo di grazia, in quel momento io apro gli occhi, ecco perché vi dico che anche noi eravamo addestrati, ero sdraiato sull’asfalto in mezzo a un lago di sangue, il mio sangue con quello di Jack aveva inondato la via Emilia li prima di Masone, quando vedo la scena senza muovermi, avevo il mio piccolo pistolino apro il fuoco, stavolta ho sparato prima io, gli ho messo sei o sette colpi addosso, tutti qua, all’addome. Lui non si aspettava questa reazione, tant’è che ho visto che ha fatto così e poi si è tirato indietro e mentre si tirava indietro ha continuato a spararmi che ero per terra, un altro colpo è uscito qui è entrato che dalla coscia sinistra è uscito dalla schiena perché erano, sono armi micidiali come potenza. Pensate che entrare qui e uscire dietro la schiena, salt la coccia la pistola. Naturalmente quando vede che lui, vede che io rispondo fin che avevo dei colpi va verso il mio compagno e l’ha massacrato. Se lo vedete adesso Otello Montanari, l’onorevole Montanari lo vedete che, adesso sta molto male, in questi giorni lo abbiamo visto durante questa manifestazioni è venuto, sta molto male perché le ferite col tempo eh lui è stato molto ferito. Lui però quando ha preso il colpo che è caduto sull’asfalto la, la cinghia del suo mitra, del suo sten, è andata sotto il manubrio e tra a bicicletta, il manubrio, la cinghia e il mitra io ho visto che in mezzo alla via Emilia c’era un fagotto che si, si arrotolava e gridava. Ecco in quel momento, quando si perde tanto sangue signorine belle, si perde tanto sangue hai il cervello che non è più il tuo cervello, vedi tutte delle cose, le vedi [pause], evanescenti, perché sembra un sogno, perché tu hai perso tutto quel sangue lì. In quel momento, io a me sembra di vedere che arrivano le famose camionette fasciste tedesche per catturarmi e per torturarmi, i nostri morti sono più morti da, per la tortura e in seguito alla tortura che al combattimento. Perché con la tortura ti facevano parlare, perché pensate che alle ragazze strappavano i capezzoli con le pinze, agli uomini massacravano i testicoli con, quindi nessuno di noi voleva farsi catturare più. Quando a me sembrò di vedere arrivare le macchine conoscendo anche, pensate che un terzo dei gappisti si son suicidati, un terzo dei morti. Io avevo la pistola in mano ‘Eh no, non mi prendete’. C’era una specie non, di impegno non scritto ma a non farsi catturare. Tiro la pistola per mia fortuna non ho più neanche un colpo. Ragazzi quando non è ora di morire non si muore, tiro tiro la pistola, non c’è niente, poi torno a perdere per qualche istante la conoscenza. Quando riapro gli occhi non ci sono più le macchine, che poi non c’erano neanche prima e sento il mio amico Jack, che noi chiamavamo tabarone, perché aveva sempre la mantellina, tabaroun, che gridava ‘Alì, Alì, Alì!’. Allora ero già Alì allora ‘Alì, Alì, Alì corri corri!’ perché dopo che abbiamo accettato di entrare nei gappisti, il mio nome di battaglia che prima era Febo diventò Alì, era l’obbligo di cambiare il nome di battaglia ‘Alì, Alì, Alì corri a chiamar la zia!’ io non sapevo neanche che Jack avesse una zia, ma mentre lui mi diceva ‘Corri a chiamare la zia, corri a chiamare la zia’ mi segnava una casa colonica proprio di fronte, di fronte dove c’è stato il combattimento e però per andare lì dentro dovevo andare avanti 100 metri e poi tornare indietro. Mi sono alzato, sono subito caduto perché non stavo in piedi poi con tutte le forze che può avere un ragazzo, perché a quell’età lì eh la spinta c’è. Tento ancora di rialzarmi, mi prendo la gamba che ormai è rigida come un marmo e a salton saltoni vado dentro alla casa che aveva indicato Jack, grido ‘Correte, correte in strada! Perché c’è’ non ho potuto dire ‘Jack ferito’ ho detto ‘Che c’è Otello Ferito’ perché se dicevo Jack nessuno capiva chi era Jack perchè, i nomi di battaglia non li sapevano. Poi io sotto la famosa porta morta torno a cadere perdo ancora conoscenza per un attimo, quando riapro gli occhi la casa è vuota, silenziosa e il lo zio, non la zia di Jack, lo zio era già in strada con un carretto, l’aveva caricato e l’ha portato via. Io sono rimasto lì sotto alla porta morta e con mia sorpresa, piacevole sorpresa vedo che sullo stipite del portone c’è la mia bicicletta, quella bicicletta che era rimasta sulla via Emilia in mezzo al sangue, ma come mai è lì la mia bicicletta. Dopo l’ho saputo: mentre c’era stata la sparatoria una ragazza che era amica di mia sorella perché dove è avvenuto il combattimento, era lontano mezzo chilometro da dove ero sfollato. La ragazza mi ha [ri]conosciuto, era amica con mia sorella [coughas], è corsa ad avvisare mia sorella, mia sorella [coughs] mia sorella arriva proprio nel momento in cui io superata la ferrovia, superata la ferrovia, sto ancora cadendo sotto a un’altra porta morta di un altro contadino oltre la ferrovia lei arriva lì, vedo sta ragazza, mi ricordo che aveva un abito rosso che piangeva, poverina aveva un anno, io avevo 16 -17 anni e lei ne aveva, 16 e mezzo, e lei aveva 15 anni, lei è del ’28 io son del ’27. Grida, grida ‘Ti hanno eh Giglio! Giglio!’ e lei diceva ‘Ti hanno ammazzato!’ ‘No, parlo ancora, non m’hanno ancora ammazzato’ e mi voleva mettere le mani addosso per aiutarmi ‘Ma stai ferma’ che ero tutto pieno di sangue, di polvere ‘Se ti sporchi le mani dopo ti prendono anche te, capiscono’ e lei voleva aiutarmi a tutti i costi mentre lì che ‘Cosa faccio allora?’ ‘Prendi quel carretto lì (c’era un carretto da contadini come sempre, quelli che portavano il latte al casello) dai caricami, cerca, aiutami a salire sul carretto, portami via’. Mentre lei poverina cerca di aiutarmi arrivano due giovani in borghese che io non conoscevo, ma erano due giovani in borghese e uno dice ‘Oh ma se t’è succes? Cosa è successo? Chi è stato?’ ma io non volevo dire chi era stato perché ‘Chi sono quei due lì? Perché se gli dico chi è stato se son due fascisti mi ammazzano subito, se son due partigiani’. Io cincischiavo, dicevo ‘Mah, mi, moh’. Quello ha capito che io cincischiavo, uno dei due ha detto ‘Se sei un partigiano non aver paura perché anche noi siamo del movimento, del movimento’. Parola che diceva tutto e niente, il movimento. E io senza dire chi era stato, perché la domanda era quella, ho detto ‘Beh se siete del movimento aiutate mia, a mia sorella, prendete voi il carretto e portatemi dove vi dirò io’. Mia sorella andò via, gli avevo dato quelle armi che avevo io, gli avevo detto di nasconderle dentro alla siepe le armi, perché per noi le armi erano molto, quello che facevamo era per recuperare le armi e lei ‘Nascondile nella siepe, non tenerle addosso perché altrimenti’. Lei poverina, in preda a questa questa situazione ha tenuto le armi fino a casa, meno male, ha incontrato nessuno. Io vado alla ferrovia con con quei due giovani lì, mi ha detto ‘Vai’ gli ho insegnato, mi hanno portato in una casa di latitanza là in fondo San Maurizio, la zona che si chiama Grastella e mi portarono in Grastella. Lì prima staffetta, [coughs] avvisò il mio distaccamento che era fermo a Castellazzo e prima ancora che calasse la sera, perché subito, quando vennero queste cose ci fu subito il rastrellamento. Prima che cominciasse il rastrellamento il mio distaccamento era già arrivato lì con le armi nei sacchi, perché eravamo in pieno giorno ancora e poi naturalmente, appena calate le tenebre è arrivato il medico quello che curava, non era quello che curava i partigiani, era perché normalmente, noi avevamo, partigiani, un medico che ci curava ed era il dottor Bertacchi che abitava su nella zona di via, invece il dottor Bertacchi, che era quello che curava i partigiani non c’era e andarono a prendere il dottor Ovi, era il medico condotto della villa [caughs]. Mia sorella per farlo venire gli ha detto ‘Corra, corra’, perché ci conoscevamo, era il nostro medico condotto ‘Corra, corra corra che mio fratello’ ‘Ma cosa?’ ‘Ha fatto indigestione, ha fatto indigestione’ e allora lui è arrivato là con la scusa, quando mi ha visto ‘Ho capito che indigestione ha fatto’ però era un fascista il dottor Ovi e quando noi siamo rimasti sorpresi di vedere che il medico che mi doveva curare e aiutare a soccorrere era il dottor Ovi, notoriamente, non lui ma di ceppo fascista, era un Ovi di Baiso, a Baiso, anzi di Cassinaro che è proprio la frazione dei fascisti. Lui ha detto però ‘Io sono un medico, io non guardo se è un partigiano se è un fascista, io sono un medico e io vi curo’. Questo ci ha fatto molto piacere, e ha avuto i complimenti e dopo la liberazione siccome lui era un fascista, io sono andato alla commissione che c’era, di epurazione e, a sottoscrivere la dichiarazione che lui durante la lotta partigiana mi aveva curato e quindi se ha avuto anche un attestato di benemerenza per collaborazione con la resistenza, punto.
DG: [unclear].
GM: In coda a quello che ho detto, sì allora, quando ho prima parlato dell’azione di disarmo del presidio, del presidio di Villa Masone che è sulla via Emilia, durante il nostro attacco, era la ca’ del fascio che c’era dentro il presidio fascista, mentre c’era la sparatoria, nella bella conclusione arriva Pippo, Pippo che ormai era familiare, che era quel ricognitore inglese che passava basso sugli alberi e buttava la bomba quando vedeva la luce. Arriva Pippo, vede tutti sti traccianti, ste pallottole, butta la bomba, tutti allora, c’era fermata anche una colonna di automezzi tedeschi che andavano verso Modena, si erano fermati, alcuni si sono messi a sparare, nel bel mezzo della sparatoria nostra dei tedeschi Pippo butta la bomba e tutto finisce perché noi abbiamo detto, a questo punto proviamo a ritirarci, i fascisti dentro, dentro al presidio, anche loro ‘Fermi!’ però abbiamo raggiunto lo scopo della missione perché non solo il mattino dopo il presidio è andato via, ma anche perché questa nostra azione era una delle prime, e faceva molto proselitismo e promozione per la Resistenza, tant’è che il giorno il mattino dopo, gli abitanti lì di Villa Masone, dicendo delle cose che non erano vere, ma che faceva a noi comodo ‘Questi bei giovanottoni con le barbe’ non potevamo avere le barbe in pianura ‘Con questi barboni’ tutti ben messi, son arrivati qui. ‘Erano d’accordo con Pippo, peinsa te! Erano d’accordo con Pippo!’ [laughs]. E quando eran d’accordo, arriva Pippo, eran già d’accordo coi barboni, butta la bomba, e tutti! [background noise] Basta.
DG: Bene, parliamo quindi più in dettaglio del bombardamento degli alleati, qual è la cosa che pensa, cosa le viene in mente come prima cosa, quali sono i suoi sentimenti di oggi e quali erano allora, parliamo un po’ più.
GM: Beh le dirò, nella casa dove ero sfollato che era lontano a San Maurizio lì dove adesso la tangenziale, dove la tangenziale torna in via Emilia, quello è Campo Alto eravamo sfollati in Campo Alto lì e la sera del, la sera del 7 che c’era stato il bombardamento degli inglesi che avevano illuminato, si vedeva lì dove avevano sfollato a distanza di alcuni chilometri i bengala illuminavano a giorno, poi ci fu il bombardamento, che noi non avevamo mai visto una cosa del genere, prima di tutto queste luci, questi paracaduti che scendevano col bengala attaccato, una, una cosa non solo mai vista ma anche incredibile inconcepibile, poi c’è stato un bombardamento. Il mattino dopo, io facevo parte oltre che, prima eh di andare, che dopo siamo andati nell’ispettorato, prima facevo parte delle squadre UNPA (Unione Nazionale Protezione Antiaerea). Il nostro compito era quello di girare, ci avevano dato un elmetto, chissà poi cosa serviva, un elmetto, un’accetta e una maschera anti gas. Giravamo per la città a dire quando vedevamo la luce ‘Smorsa! Spegni perché c’è Pippo, spegni la luce!’. Il nostro compito era quello di far spegnere le luci perché Pippo buttava la bomba. Allora quella sera lì c’è il bombardamento il 7 degli inglesi, il mattino dopo, io che facevo parte eccola la premessa, facevo parte dell’UNPA, mi metto la mia, la mia specie di divisa, a piedi, che sono tre chilometri o quattro, per andare in città, perché non c’eran mezzi gente! Si vedeva ancora la nube del bombardamento della notte sulla, era sulla città. Mentre questo vado in là whooo sento, perché si diceva anche allora che dopo un bombardamento degli inglesi arriva quello degli americani e di fatti, mentre sono di fronte alla portineria del San Lazzaro sento whoooo, le fortezze volanti, conoscevamo quel rombo lì purtroppo. Sento allora io a un certo punto, normalmente quando sentivamo questo rombo, gli apparecchi passavano, le fortezze volanti si vedevano che luccicavano là in alto, passavano sopra e andavano a bombardare i ponti sul Po, il ponte Lago Scuro, andavano a Ostiglia andavano verso il Po e ci passavano sopra. Quel mattino lì ho detto ‘È meglio che vada nel fosso, mi metto nel fosso per farli passare’ invece eravamo noi l’obiettivo quella mattina lì e han cominciato a bombardare dalla città, han cominciato le prime bombe a Pieve Modolena, che è dall’altra parte della città a ovest e l’ultima è arrivata proprio dove ero sfollato. Tutta questa striscia nord-est da ovest a est tutto hanno bombardato gli americani. Io ero nel fosso, sento che passa la prima ondata, la seconda, un terrore, un terrore, non avevo molto paura perché ero di quei ragazzi, io sono vissuto nei bassi fondi della città, io sono un ragazzo dei bassi fondi e non avevamo molta paura noi, eravamo purtroppo, per la miseria per la fame avevamo rotto a tutte a tutte le cose, non c’era eh. Aspettavo che passasse l’ultima, quando è passata l’ultima ho detto ‘Eh no, io con il mio elmetto non ci vado in città perché qui sta sta succedendo il finimondo’. Torno indietro torno là dallo sfollato. Il giorno dopo, la mattina dopo, dovevo, dovevo andare in città, si vedeva ancora là dove ero sfollato dalla città era già ed eran venuti sia il bombardamento della notte degli inglesi e quello di giorno degli americani. E io vado in città, quel mattino lì piano piano, senza fretta si sentiva odore di fumo, di carne bruciata si era tutti [background noise] i più brutti odori del possibile. E là da Campo Alto arrivo in città e vado lì dove abitavo io che ero sfollato ma io abitavo a San a porta San Pietro, io abitavo in via San Martino, proprio nei bassifondi abitavo, che allora c’era via Cavagni, c’era via Crevezzerie [?] erano i bassifondi della città. Io vado lì per vedere un po’ se le bombe sono arrivate lì, quando arrivo contro via Roggi, allora via Roggi è entrando da porta San Pietro imboccate viale Monte Grappa la prima a destra che torna in via Emilia è via Roggi e vedo lì, arrivo lì e vedo tutto un fumo, tutta la gente che guarda via Roggi era parzialmente sbarrata dalle macerie. Lì ci abitava un mio compagno di scuola, Alfio Proietti, che lo trovate negli elenchi delle vittime civili, c’è Alfio Proietti che era con me a scuola all’industriale, al professionale. E io vedevo tutta sta roba qui, tutta, la gente che non sapeva cosa fare, cosa fai? I più, gli unici che avevano una certa forza erano, era anche allora i vigili del fuoco però non potevano prendere dappertutto e via Roggi era lì con le macerie che arrivavano, c’era la casa di Proietti che era tutta, non c’era più, e si sentiva, e c’era, usciva dalle macerie questo odore, fumo e anche odore di carne bruciata, nauseante perché erano ancora sotto tutti i morti. Io, quando ho visto questa scena qui, nonostante il mio elmetto e la mia piccozza ah, anche perché l’UNPA, il comando UNPA era a porta San Pietro, era scomparso anche lui nel bombardamento. Io sono andato per trovare che c’era un capo squadra lì dell’UNPA, era a porta San Pietro, non c’era più nessuno. Allora io, adesso no, adesso torno indietro, tanto non posso fare niente, cosa puoi fare? E la gente che mi vedeva con sto elmetto che mi diceva ‘Aiutaci!’ ‘Cosa posso fare?’. Anche demoralizzato a vedere che sei impotente ad aiutare nessuno, e mi avvio sulla strada del ritorno, rimbocco la via Emilia li a San Pietro e mi metto andare verso verso la, San Maurizio. Arrivati contro allora c’era a sinistra, c’è una via che mi pare fosse via Paradisi, sì forse via Paradisi, che c’era una stradina che adesso non c’è più, la stradina che collegava la via Emilia con l’area nord di Reggio, e quella che passava di fianco all’aeroporto, che non c’è più, adesso c’è il ponte sopraelevato. Allora c’era una stradina che passava tra il cimitero di Ospizio e la monte, lo stabilimento Montecatini, faceva una curva là in fondo poi passato il passaggio a livello e passava all’aeroporto. E io quando arrivo alla via Emilia vedo tutta la stradina tutta, perché il muro il cimitero è arrivato sulla strada, il muro della Montecatini era sulla strada: la strada era interrotta. Però vedo che c’è, io dalla via Emila vedo che c’è della gente là che parla, questo qua è scritto qua, è scritto anche lì, anche su Ricerche Storiche c’è questo particolare. Eh vedo sta gente là sulle macerie che guarda dentro il cimitero e io, il mio elmetto là, non è che mi sentissi un’autorità però vado a vedere anche io, e vedo, monto su dei pezzi di muro che son sulla strada, guardo dal cimitero, il nostro cimitero perché me a sun de Ospezi [io sono del quartiere di Ospizio] il nostro cimitero di Ospizio, sono arrivate cinque bombe dentro il cimitero, tutti gli avelli, i sepolcreti, le tombe di famiglia, tutto per aria e su, e tutto con questi cinque crateri. In un cratere là in alto io, assieme agli altri vedo che c’è una cassa da morto ma non era una cassa da morto classica, era una cassa fatta con del legno compensato. Quindi da buongoverno buttata lì. Naturalmente da questa cassa, lo scoppio, l’urto aveva fatto saltare via la parte di dietro di questa, di questo compensato e si vedeva na testa, una testa, una testa bagnata che non si capiva se era bagnata d’acqua perché c’era, le bombe avevan, con la bomba trovi l’acqua, e non si capiva se era sangue. Però una cosa che ho notato io e lo dico anche che nessuno poteva notare perchè, solo uno che abitava a Ospizio poteva fare questa considerazione perché era, era il mio cimitero quello lì: ‘Ma come? Quello lì che vedevo io per la testa, ma quello son pochi giorni che l’hanno, l’hanno sepolto, è ancora intatto! Ma come mai che questo cimitero, me son dl’Ospesi, come mai questo cimitero che è chiuso da due anni, o da un anno o da, era già chiuso per affrancamento, era in via di affrancamento perché lo stavano chiudendo, non seppellivano più nessuno lì dentro già da un anno, come mai? Quello lì era appena supplì col lè? Eh però lungi da noi il pensiero che fossero quei fratelli Cervi, nessuno pensava che quella testa fosse uno dei Cervi. Però, io, questo particolare solo un abitante di Ospizio lo poteva rilevare perché gli altri, un cimitero normale ecco, io ho detto ‘Mo guarda, li lò l’ha apeina suplì’ [ma guarda lui l’hanno appena seppellito]. Di fatti, dopo la Liberazione, va bene, veniamo a imparare che la, l’incursione che, non si sa bene, forse è stata quella della notte, non si sa bene se la bomba era quella della notte o quella del giorno, hanno buttato per aria oltre a tutte quelle che dicevamo prima anche le bombe, anche le casse dei sette, una cassa dei sette fratelli Cervi, che era poi, io pensavo fosse, quando si è saputo tanti mesi dopo, si pensava fosse Aldo, che era un po’ il capo, Aldo il capo della, dei fratelli Cervi, quello che dirigeva. Eh invece dopo abbiamo saputo che non era Aldo, era, adesso ve lo dico. Allora eh quando il comando fascista ha saputo quello che è successo abbiamo, dopo tanti anni abbiamo trovato il verbale della polizia mortuaria che ordina, cioè il comando fascista ordina alla polizia mortuaria di riesumare tutte le sette casse, le otto casse perché c’era sette fratelli Cervi più Quarto Camurri, è Gelindo la testa che vedevo, non era Aldo ehm, vedo e di riesumarli e rieumarli [riesumarli] là vicino alla chiesa che era un pezzo che non era arrivate le bombe. Tant’è che le casse dei fratelli Cervi sono state tirate fuori dove, nel posto primitivo e poi son state portate in un posto non colpito dalle bombe e erano risepolti là. Tutto questo si è saputo solo dopo la Liberazione, [unclear] non si sapeva niente. Ecco in quella circostanza, nel mio libro la biografia dico, sembra quasi, sembra quasi che la sia intervenuta la nemesi, la famosa nemesi storica che libera col bombardamento della notte libera il padre perchè durante la notte vien giù il muro di cinta del carcere, scappa il papà Cervi che torna a casa senza sapere che i figli erano stati ammazzati. Allora arriva a casa a Gattatico, non sa niente. Nemesi allora [unclear], ne la famosa nemesi, perché poi non ci crede nessuno. Mentre la il bombardamento notturno libera il papà quello diurno tira fuori alla luce del sole i sette figli dicendo ‘Non devono stare sotto, devono stare sopra alla luce del sole’. Questo è stato, e una cosa dopo Liberazione si è saputo un po’ tutto, perché subito si pensava, non si riusciva a capire chi era. Dopo la polizia, ma 10 o 20 anni dopo, la Polizia di Stato [background noise] con i mezzi di indagine che hanno adesso, osservando le stempiature di quella testa che vedevo io là su e c’è anche la foto su, su Ricerche Storiche c’è la foto, han detto non era Aldo, era Gelindo perché la stempiatura con i mezzi che ha adesso la polizia scientifica son riuscite a determinare che non era Aldo come come la fantasia popolare pensava, era il capo dei fratelli Cervi, era la testa di Gelindo, Cervi. Poi questo qui, finisco un po’ la storia dei due bombardamenti grossi. V’ho detto prima che successivamente noi eravamo stati incorporati nell’ispettorato provinciale del lavoro con le centurie, durante la mia permanenza nel nell’ispettorato ci furono due gravi spezzonamenti a Reggio Emilia, uno il 30 di aprile che io ero ancora all’ispettorato, e l’altro è stato il 14 di maggio successivo, che non ero, le centurie si erano già sbandate il 14 maggio, il 30 aprile. [Pause] Quindi con lo spezzonamento del 30 aprile io ero ancora all’ispettorato e la mia centuria fu proprio inviata con un camion, un camion militare a raccogliere i morti dello spezzonamento in via Terrachini, quella che adesso è via Terrachini che è la strada che va dalla piscina e va fino alla casa bianca là in fondo al Quinzio. Ecco allora la stradina era piccolina, stretta ed era fiancheggiata da una parte e dall’altra da due filari delle grandi querce della val Padana. Noi eravamo tradizionali per quelle querce lì. In mezzo a questi filari, specialmente dalla parte sud, c’erano siccome la gente, quando ci sono stati i due bombardamenti precedenti, avevano capito che quando c’è un bombardamento di scappare fuori dalle case per non essere travolto dalle macerie, pensando che quel giorno lì fossero le bombe tutti scapparono in mezzo ai prati, in fondo i fossi ma gli spezzoni, è lì che fecero il massacro. Noi trovavamo dei gruppi di persone abbracciate trafitte. Lo spezzone sapete come è fatto? È una spirale, è una spirale d’acciaio già tutta segnata in modo che quando, la spirale d’acciaio compressa, e dentro c’è c’è la polvere esplosiva, questa spirale, quando scoppia che c’è il detonatore, la spirale è già stata segnata, la spirale son tutti quadratini d’acciaio tagliente, quando scoppia, lo spezzone nel raggio di 50 – 60 metri non si salva neanche le piante perché lo, queste schegge taglienti tagliano anche gli alberi. Quindi noi glieli abbiamo trovati abbracciati, sepolti, trafitti, proprio per tentare di salvarsi, si abbracciavano, e li abbiamo caricati sui carri dell’ispettorato e li abbiamo portati a quelli di via Terrachini, li abbiam portati.
Unknown speaker: Ciao Gigilo.
GM: Ciao.
DG: No, no, prego prego prego.
GM: Li abbiam portati al cimitero. Allora non c’era il cimitero di Coviolo, li abbiam portati al cimitero lì, questo qua che è stato il primo spezzonamento, dolorosissimo, un sacco di morti perché la gente convinto che fossero bombe scappava in mezzo ai campi apposta per salvarsi e invece era proprio il contrario che dovevano fare perché con lo spezzonamento dovevano stare in casa. Nel secondo spezzonamento, quello del 14 maggio, io noi avevamo già disertato le centurie era già venuta la camionetta a casa mia per portarmi sulla linea Gotica come ho detto prima e io e il mio amico [pause] e io e il mio amico, quello anche lui era un centurione come me, che non volevamo farci prendere eravamo sempre allerta per vedere se arrivava la camionetta. Quel giorno lì che c’era lo spezzonamento passa sopra gli apparecchi, sentiamo fissssh, un sibilo, fiiiiiiu ‘Oh! Mo l’è caschè poc luntan’ è caduto poco distante. Non capivamo cosa fosse, andiamo a vedere, un’altra testa, testa brusa come la mia, sei incosciente a 16 anni ‘Sì sì andiamo a vedere, andiamo a vedere’. Andiamo allora in mezzo al frumento, vediamo qualcosa che luccica. Era un telaio porta spezzoni con uno spezzone ancora attaccato che è arrivato giù, siccome è arrivato pari, non è scoppiato. Noi due ‘Guarda, guarda cosa c’è’ prendi uno spezzone, prendi uno spezzone ‘Ma dove lo portiamo? Al purtom a cà’ lo portiamo a casa. Come arriviamo al cortile dove eravamo sfollati ‘Ma voi siete proprio pazzi! Portate via!’ e noi con il nostro spezzone, perché sono 15 chili ‘Sai dove lo portiamo?’ il mio amico Gino Capelli ‘Lo portiamo alla casa del fascio, dove sono i militi’ ‘Oh sì sì’. Allora scalzi, pantaloncini corti, arriviamo dentro la casa del fascio, davanti alla casa del fascio che era a San Maurizio a destra dove adesso c’è, cosa c’è, contro la ferrovia c’era la casa del fascio. E davanti ci sono due fascisti col berrettino nero, a g’ho det ‘Oh dove la mettiamo sta bomba?’ ‘Oh!’ quello lì di sentinella, corri dentro, corri dentro c’era il corpo di guardia ‘Veh va fuori’ ‘Voi siete due terroristi!’ ‘Noi terroristi?’ ‘Allora se non andate via subito vi passiamo per le armi!’ è scappato via, aveva quelle biciclette lì per salire di quelle snodabili, salta sulle biciclette, son scappati verso Reggio, e nueter a’som mes a reder [e noialtri ci siam messi a ridere] col nostro spezzone abbiamo girato gliel’abbiam messa dietro la loro casa, non abbiamo mai saputo chi l’ha rimossa. L’abbiamo messa giù proprio contro, di dietro da parte della ferrovia, contro la casa del fascio. Quello è stata una delle nostre prime avventure d’incontro con, coi fascisti. Proprio direi, il ratto della mitragliatrice in mezzo all’aeroporto e questo spezzone che abbiam portato a casa del fascio, eh non eravamo ancora partigiani però son state le due le due prime azioni che ci han messo in contatto. Quindi due bombardamenti, a parte quelli del luglio ’43, che sono avvenuti bombardamenti lì a San Polo d’Enza, alla cabina [centrale elettrica] di San Polo, anche qui in via Gorizia, più i due della città grossi e i due spezzonamenti, quella è quello che c’è un po’ condensato in quella memoria.
DG: Benissimo giriamo un po’ la pagina e adesso le chiedo se ci può così brevemente raccontare cosa ha fatto dopo la guerra.
GM: Sì benissimo anzi io sono orgoglioso di raccontarlo. Allora, [pause] quando noi adesso certe illusioni sono cadute ma allora quando eravamo arruolati nelle formazioni partigiane si diceva che noi combattevamo per il popolo, siete i soldati del popolo che vogliono conquistare la libertà. Noi eravamo anche disposti non solo a combattere ma anche a morire perché volevamo raggiungere la libertà che in quel momento non c’era lavoro, c’era solo fame, mo una fame, altroché! Atavica trascurata, non si mangiava mai, e quando siamo entrati nelle formazioni partigiane noi abbiamo ritenuto di fare questa nostra, [pause] di fare questa nostra azione di arruolamento in favore non solo del popolo ma anche dello Stato italiano, anche della nostra patria. Finita la guerra, con la Liberazione, il giorno della Liberazione c’era una delinquenza evidentemente con tutte le armi che c’erano per strada, era eh il giorno della, signorine voi che non c’eravate il giorno della Liberazione non c’era più nessun corpo di polizia, eran spariti la polizia, i carabinieri, questura, perfino i vigili urbani erano dimezzati perché tutti quelli che erano compromessi col fascismo erano scappati via. Quindi i giorni della Liberazioni non c’era più nessun corpo di polizia efficiente. In ogni città il CLN (Comitato Liberazione Nazionale) aveva nominato i prefetti della Liberazione, a Reggio il prefetto era l’avvocato Vittorio Pelizzi, il prefetto, il prefetto nostro della Liberazione. La prima cosa che ha fatto il prefetto Pelizzi è stato quello di creare una forza di polizia per cercare di far, far fronte a questa delinquenza che c’era, oltre che delinquenza politica c’era anche delinquenza comune, in abbondanza. Allora con chi si può fare un corpo di polizia ausiliaria? Se non altro per prendere i giovani che son disponibili in quel momento, e c’erano disponibili i partigiani, c’era anche qualcuno che invece non era partigiano perchè si era imboscato nel fienile era saltato fuori il giorno della Liberazione e c’era anche qualche, anche i primi reduci dalla Germania che erano tutti malmessi, tutti rovinati. La prima questura di cui io ho fatto parte è stata la prima questura post- Liberazione che io ho tutte le fotografie ancora e i nomi di quei colleghi là che li ho scritti, li ho mandati anche al questore adesso, si vede che per adesso non gli fa molto comodo parlarne perché io sono molto duro con la questura di quel momento lì, specialmente la seconda parte, quando subentra il ministro Selva che ci caccia tutti dalla polizia, perché il ministro Selva democristiano di di lunga e grossa diciamo conoscenza, preferiva, non voleva che ci fossero dei partigiani emiliano-romagnoli che erano tacciati di essere solo comunisti un po’ era anche vero ma non era vero del tutto. E lui nella sua azione di Selva per cacciarci addirittura cacciava i partigiani, ecco perché la mia amarezza finale che poi si sfoga anche nel mio libro, quando vediamo che un commissario aggiunto come noi arriva da Roma e viene con noi finge di essere un [uclear] socialista, dice mi hanno, era vero, gli avevan bombardato la famiglia là su a Cassino e finge di essere un quasi un partigiano poi scopriamo che fa il doppio gioco noi lo aiutiamo per diventare commissionario effettivo e là c’è il nome e cognome di questo, di questo triste figuro, e l’ho scritto perché chiaramente, ecco perché dico che adesso il questore va piano a pubblicare le mie memorie perché salta fuori che [coughs] questa figura, appena arriva dal ministero la nomina a commissario effettivo vien dentro al bar Agenti dove noi, quel bar l’avevamo costruito noi, vien dentro con in mano aveva il foglio che era appena arrivato dal ministero, il fonogramma del ministero che dice ‘Sono diventato commissario effettivo’ noi l’avevamo aiutato in tutti i modi perché lui dicendo che era un disgraziato come noi, noi lo aiutavamo a diventare commissario effettivo. Quando arriva dentro al bar col fonogramma in mano e dice ‘E adesso che sono commissario’ scritto, testuale ‘E adesso che sono commissario effettivo voialtri partigiani comunisti vi farò crepare tutti’. Noi più che altro siamo rimasti ‘Ma come? Ti abbiamo aiutato in tutti i modi per diventare commissario effettivo e tu vieni qui’. Come ha detto questa frase eravamo nel bar chi beveva una gazzosa, ah gli abbiam buttato dietro le bottiglie, i bicchieri ‘Brutto schifoso!’ [coughs] è scritto questo qua eh. Ecco perché il questore va piano a pubblicare le mie memorie [coughs] ‘Brutto fascista schifoso rospo!’ eccetera eccetera chi più ne ha più ne metta e lui è scappato via. Quando è scappato fuori dalla porta di dietro ha tirato fuori la pistola ma non per spararci, per farsi coraggio perché ha capito [coughs] che tutto il bar gli era contro. E noi abbiam continuato a dirgli ‘Quella pistola dovevi usarla quando era il momento non con i tuoi compagni che t’hanno aiutato per diventare quello che sei, brutto schifoso rospo’, e poi è scappato via [coughs]. Non ne abbiamo più sentito parlare se non dieci anni dopo quando il commissario Renato Cafari, comandò, comandava il servizio di ordine pubblico, il 7 luglio del ’60 quando ammazzarono i cinque in piazza della Vittoria, era lui. Qualcuno dice che ha dato l’ordine lui, qualcuno dice che non ha dato l’ordine, resta il fatto che lì nella sparatoria in piazza della Vittoria morirono cinque giovani, cinque giovani che erano lì a manifestare perché era appena stato insediato il governo para-fascista di Tambroni, che Tambroni era un democristiano però aveva accettato il l’appoggio, per fare il governo ha accettato l’appoggio dell’MSI (Movimento Sociale Italiano). Quindi in quella parte lì io mi sfogo, durante il regime Selva, Selva mandò via i partigiani li cacciò! Se sapeste come cosa han detto a me quando mi hanno messo fuori [coughs] li cacciarono tutti, quelli quelli che erano meno tacciati venivano mandati in Sardegna, l’ultimo buco del mondo, quelli un po’ come me [coughs].
DG: Due frasi ci dice cosa, di nuovo cosa, abbiamo sentito che è molto attivo tutt’ora se ci racconta un po’ così registriamo cosa fa oggi. Questo libro che ha fatto, un po’ political.
GM: Partiamo dalla Liberazione.
DG: Sì l’ho fatto partire.
GM: Partiamo dalla Liberazione. Io ho accettato l’arruolamento nella polizia di stato perché ho pensato di continuare il mio servizio a favore del popolo italiano e dello Stato italiano, quindi mi sono arruolato. Successivamente perché il primo ministro degli interni era l’onorevole Romita, socialista, ci voleva bene e ci aiutava, il secondo ministro, quando De Gasperi andò quando De Gasperi andò in America purtroppo a prendere degli ordini perché allora chi comandava erano gli americani, eh ha messo, è tornato in Italia ed ha chiuso, quello che era stato per due o tre anni il famoso governo dell’arco costituzionale, il governo dell’arco costituzionale che comprendeva tutti i partiti, tutti: Partito Socialista, Comunista, Partito d’Azione, quello di Parri e successivamente quando De Gasperi tornò dall’America chiuse il governo di coalizione e cominciò con un governo monocolore che dopo si allargò, al ministro degli esteri venne venne insediato il ministro Selva, Selva che da tutti noi poliziotti era proprio considerato come un [uclear]. Oh lui era un fido, è un siciliano fido cattolico evidentemente, non so se era anche credente, ma comunque militare, era un democristiano e per tale l’hanno messo ministro degli esteri. Quando il ministro Selva è subentrato all’onorevole Romita cominciò la cacciata dei partigiani dalla polizia e, triste a dirsi e a constatarsi, in questi, venivano cacciati i partigiani dalla polizia e venivano assunti in silenzio, non era un fatto generalizzato, ma molti che erano ex militanti della milizia fascista, era importante che non fossero partigiani, questa è stata l’opera del ministro Selva. Successivamente io ho espresso le mie amarezze un po’ dappertutto, poi ero talmente, ero studente, ho continuato, dopo il mio servizio di polizia mi sono laureato, ho finito gli studi, mi sono laureato, ho prestato servizio in due, sempre con, essendo io economia e commercio la mia carriera era o fare la libera professione o dirigente d’azienda queste le due cariche che poi più che altro ho fatto per sia l’una che l’altra cosa. Sono stato dirigente a Reggio della grossa purtroppo adesso è fallita ma allora si chiamava Cooperativa Muratori Reggio, che era una potenza in Emilia Romagna la Cooperativa Muratori, io ne sono stato il direttore, dopo altri, che allora a dirigere le aziende mettevano se era possibile, se li avevamo, dei dirigenti di azienda che avevano fatto dei corsi per essere tali, non dei chiacchieroni che venivano dalle varie federazioni. Noi quel pochino che abbiamo fatto l’abbiamo fatto gratis per amore dei nella Resistenza. Lì fintanto che dopo la liberazione c’erano nel movimento cooperativo c’eran tre dirigenti veri che avevano studiato a Bologna per fare i dirigenti, uno era Lidio Fornaciari, l’altro era Pino Ferrari di Cavriago e il terzo immodestamente ero io che ero il più giovane dei tre. Noi cercavamo di fare veramente i dirigenti d’azienda a prescindere da quello che erano le direttive delle varie federazioni, perché non c’era solo la federazione comunista, che mandava i suoi, quando ero direttore delle Farmacie Comunali Riunite io, c’erano tutti i partiti rappresentati, c’erano due due commissari che erano del partito comunista, due del partito democristiano allora c’era tutto l’arco costituzionale dentro ancora adesso se guardate negli enti locali sono rappresentati tutti i partiti, cercano per lo meno. Quando ho visto i giorni scorsi la triste fine che ha fatto l’UNIECO, pensando che cos’era allora quando a dirigere si cercava, non è detto che sempre si riuscisse ma si cercava di mettere gente che per fare quel lavoro aveva fatto dei lunghi studi universitari, per cercare di fare alla bene e meglio e poi dopo subentrano, non vi sto a dire, certe frasi e certe sensazioni che io ho provato durante la mia carriera, perché a un certo punto ho abbandonato la carriera, la parte del, dirigenziale della mia carriera mi son messo in libera professione quello che ho fatti fino a pochi, che sto facendo ancora adesso perché sto passando le consegne adesso io, a 90 anni io faccio ancora il consulente, avevo la fortuna che a Reggio ero molto conosciuto, avevo il più grosso, uno dei più grossi portafogli della provincia come consulente finanziario grazie alle mie conoscenze, grazie anche un po’ alla mia, spero, alla mia serietà, ma ero molto conosciuto nell’ambiente finanziario e tributario. Io ho questo grosso portafoglio e l’ho tenuto, poi tutte le volte che ancora adesso ho detto ‘Ragazzi, io non voglio morire in servizio a g’ho novant’an! A un certo punto’ e tutti quanti ‘Ma no proprio adesso che c’è la crisi!’ ma la crisi c’è sempre, le crisi ci sono ogni tre anni che se io devo aspettare che non c’è la crisi! E quindi adesso sto passando le consegne a un mio collega e gli ho detto ‘Rispetta i clienti, ricordati, non guardare al tuo interesse attuale, semina per il futuro, tratta bene i clienti’ io non ho mai perso un cliente, mai! [emphasis] Ma quelli miei colleghi più giovani, che pensano purtroppo perchè hanno famiglia, hanno moglie, hanno bisogno di guadagnare, subito, quelli delle volte non si comportano bene nel consigliare un prodotto anziché un altro. Allora io gli dico ‘Non pensare a quello che guadagni adesso, lo so che ne hai bisogno, ma semina per, tratta bene i clienti’. Se il cliente è ben trattato no lo perderai mai! Quello che è successo.
DG: Va bene noi la ringraziamo moltissimo, l’intervista è andata bene e adesso firmiamo, pensiamo all’accordo e le condizioni appunto per come verrà trattata l’intervista.
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Title
A name given to the resource
Interview with Giglio Mazzi
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Giglio Mazzi (b. 1927) recalls his early life in Reggio Emilia, born in a family with strong anti-fascist sentiments. Describes his first job at the Reggiane works, then at the local labour inspectorate where he was attached to a debris clearance team. Speaks about removing corpses after two Reggio bombings and explains how he defected before being sent to dig trenches on the Gothic line. Describes his role within the Unione nazionale protezione antiaerea; provides an account of the January 1944 bombings and their widespread damage. Recollects how the explosions disinterred corpses buried in the local cemetery, among them one of the Cervi Brothers and of seven partisans killed in a reprisal action. Describes the effects of lack of anti-aircraft preparedness when many civilians were maimed by small bombs, how he stole one of the bombs and brought it to the local Fascist headquarters. Recollects how he became a partisan and describes the actions he took part in: capturing an aircraft machine gun and attacking a German stronghold, later joined in by "Pippo". Gives an account of the differences between Gruppi di Azione Patriottica (GAP) and Squadre di Azione Patriottica (SAP), two Italian resistance groups and mentions the assumed names under which he fought. Recollects how he narrowly escaped death in an exchange of fire with Italian SS and speaks with respect of a Fascist doctor who tended his wounds, regardless of side. Chronicles how he was enlisted into the Italian police force afterwards and how he was forced to leave following a change in the law and a political feud with a superintendent, he had previously helped.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Gladun Dzvenyslava
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea (Reggio Emilia)
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-04-20
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Francesca Campani
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
01:16:30 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AMazziG170420
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Po River Valley
Italy--Reggio Emilia
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
bombing
civil defence
home front
perception of bombing war
Pippo
Resistance
shelter
Unione Nazionale Protezione Antiaerea
Waffen-SS
-
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Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Ventriglia, Sarah
Ventriglia, Vincenzina
S Ventriglia
V Ventriglia
Description
An account of the resource
One oral history interview with Sarah Ventriglia who recollects her wartime experiences in the Milan and Lodi areas.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-07-25
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Ventriglia, V
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
L’intervista è condotta per l’International Bomber Command Centre. L’intervistatore è Sara Buda. L’intervistata è Vincenzina Ventriglia. Nella stanza sono presenti Sara Troglio e Greta Fedele dell’Associazione Lapsus. L’intervista ha luogo in [omitted] a Milano presso l’abitazione della sorella della signora Ventriglia. Oggi è il 25 luglio 2017.
VV: Oh, no!
SB: E’ presente anche un gatto che non riusciamo a contenere.
VV: Stai giu’, allora stai qui buono.
SB: Allora, cominciamo da prima della guerra. Cerchiamo di capire un pochino quale fosse…
VV: Ecco, il mio primo ricordo di quello che poi è successo della guerra è che ero ai giardinetti, abitavamo in Viale della Argonne e davanti c’erano i giardini…
SB: A Milano?
VV: A Milano. Avevamo una signora. E in quel momento, mentre eravamo seduti lì abbiamo sentito la voce del duce ,molto forte, che stava facendo la dichiarazione di guerra. Quello è stata la prima cosa che… mi pare che era il dieci giugno qualcosa, eh questo. Poi tutto il resto è venuto dopo, e ho sopportato tutto, ma tante cose, non so i rifugi, i rifugi alla sera andavamo nel rifugio ma non nel nostro perché non era abbastanza forte, e andavamo in una casa vicina, nella cantina di una casa vicina che aveva il rifugio fortificato [laughs], mentre noi avevamo un rifugio molto debole. E mi ricordo che alla sera la mamma appena c’era l’allarme ci faceva vestire a tutte, eravamo tre, Adriana era ancora…, e ci vestivamo in fretta e correvamo a questo rifugio che era, diciamo a poco, venti trenta metri da noi, così, basta. Io poi avevo il vizio che quando mia madre mi vestiva dopo pensavo che era ora di andare a letto e mi rispogliavo [laughs]. La mettevo sempre in crisi. Poi stando nel rifugio non è che mi preoccupava molto, ecco, stavo lì e non pensavo che poteva succedere qualcosa di terribile o, però dopo quando poi siamo partiti per Ospedaletto Lodigiano, siamo sfollati, ma è stato dopo il bombardamento che c’è stato forte nel ’43 perche’ io dal fondo della via ero fuori, correvo a casa perché c’era l’allarme ho visto una casa grande in fondo alla strada che bruciava, cioè era stata bombardata e quello mi è rimasto proprio nella mente sempre, per sempre. Dopo altre cose dopo siamo partiti, siamo andati a Ospedaletto Lodigiano, eravamo nascosti, anche perché la mamma si nascondeva non solo per i bombardamenti ma perché essendo ebrea aveva molta paura. Il papà essendo cattolico aveva degli amici, perché lui lavorava in Prefettura a Milano, aveva amici che quando sapevano che i Carabinieri arrivavano vicino a noi, a Orio Litta da quelle parti, c’era la mamma che prendeva Adriana che era piccolissima, la metteva sul sellino della bicicletta e scappava nella campagna. Noi restavamo a casa, però insomma, poteva succedere anche a noi, però no. Poi oltre a noi avevamo a casa lì a Ospedaletto una zia di papà che era scappata, una sorella di papà che era scappata dal meridione, che era venuta per salvarsi su al nord e con una zia sua, quindi eravamo in casa con questa persone, inoltre in un altro appartamento c’era un mio prozio da parte della mia mamma, veronese, che era un fratello della mia nonna. La mia nonna poi è stata presa in Svizzera, cioè non in Svizzera, beh questo dopo. E quindi anche questo zio abitava lì, lui da Verona era scappato, come sua moglie era cattolica e aveva una figlia, erano andati a Verona per prendere la zia, però lei ha detto ’ma io sono cattolica, poi sono una ragazza madre‘ come se non avesse il marito, mentre lo zio era a Ospedaletto. E dopo allora lo zio era difeso, era protetto dal parroco del paese che stava sempre nelle zone del parroco e insomma si era fatto un piccolo centro per lui, è stato lì sempre e si è salvato. Mentre la mia nonna, la mamma di mia mamma, che era anche lì in quel paese sfollata per un po', era in una cascina vicino. Noi eravamo ospiti, era come un ristorante albergo che però ormai dava gli appartamenti così agli sfollati. Allora, era in una cascina vicino a noi e stava lì insieme a mia zia, cioè la sorella di mia madre che non era sposata, era fidanzata con un cattolico che stava a Milano e la zia, purtroppo a un certo punto veniva corteggiata e seguita da un gerarca fascista che abitava proprio lì in un altro appartamento della cascina, quindi non ha più potuto vivere lì, ha dovuto ripartire, è venuta a Milano ed era ospitata da una cognata del suo fidanzato e abitava in via Archimede, eh io mi ricordo tutto questo. Poi era nascosta lì e mi ricordo che la mia mamma quando siamo tornati da Ospedaletto, che non siamo stati lì molto, siamo ripartiti da Ospedaletto a gennaio, febbraio del ’44, perché mio papà venendo a Ospedaletto era stato mitragliato sul treno, quindi non volevamo più, mia mamma non voleva più che corresse questo rischio, siamo tornati a Milano. E siamo andati a vivere a casa della nonna che la nonna non c’era più, era stata presa. Allora la nonna è partita il 5 dicembre, il 5 dicembre del ’43 è stata arrestata. Mio zio che poi aveva perso il lavoro nel ’38, io me lo ricordo quando lui parlava di questo, mio zio non poteva più lavorare, me lo ricordo ancora adesso che parlava con mia mamma ‘non so cosa farò’, poi ha fatto il maestro di sci, è diventato un grande maestro di sci, ha fatto un lavoro indipendente. Ecco, volevo dire che lui e la mia zia sono partiti con la nonna per accompagnarla in Svizzera, e io me la ricordo la nonna quando è partita da Ospedaletto, mi ricordo ancora la corriera che ha preso, perché sono scesa per salutarla, la corriera me la ricordo come se la vedessi adesso, con la pelliccia nera sulla porta della corriera mi salutava. [weeps] E così dopo di allora non abbiamo più saputo niente di lei. La mia sorella più piccola di me, però più grande di Adriana, in mezzo, che vive in America, lei ha dei ricordi vivissimi. Lei invece si ricorda che quando la nonna è partita, lei stava salendo la scala per tornare a casa e la nonna scendeva e si è fermata e gli ha detto ‘Ciao, io vado via‘, lei gli ha detto ’Ma perché vai via?’, così è rimasto il ricordo della nonna. Dopo quando è arrivata in Svizzera con lo zio e la zia che l’hanno accompagnata, non è stata ricevuta, cioè l’hanno scacciata insieme ad altre quindici persone, dicevano perché non aveva ancora sessant’anni, però non lo so per quale motivo. E poi sono scappati tutti insieme, sono arrivati fino a Pino, a Varese e l’hanno arrestata a Pino, poi è passata alla prigione di Varese, dopo è passata a San Vittore, mi sembra quinto raggio, e la mamma mia quando ha saputo che era lì voleva andarla a trovare. È andata al comanda dei tedeschi qui a Milano, e ha detto che voleva parlare con loro, allora una persona che era lì di guardia ’Ma signora lei è sicura che vuole parlare? Guardi vada a casa, non si fermi qua, non insista‘ e così la mamma è tornata a casa, perché se avesse parlato con loro. Così non ha potuto neanche vederla quando era in prigione. Però lei ha mandato una cartolina a una vicina di casa, la nonna, dicendo che, credo che ce l’abbiamo ancora che sia nell’archivio, dicendo che era lì e che così e basta. È stato così. Dopo di allora, insomma tutte cose che, non si trovava la ragione di tutto questo. Io poi non capivo tanto, perché dieci anni, soltanto che mia sorella quella dell’America che ha un anno meno di me, aveva una memoria diversa, aveva, era una osservatrice di tutte le cose che succedevano e si voleva rendere conto, era e ancora adesso ha questi ricordi. Purtroppo è lontana e la sua testa comincia a non lavorare tanto bene. Ecco i miei ricordi sono questi. Quelli della nonna. Poi quelli degli zii che venivano, perché io ho tre cugini che loro hanno proprio vissuto, si sono salvati perché sono stati salvati, ci sono stati delle persone, quelli che li hanno salvati hanno avuto anche il riconoscimento. Loro sono tre, una cugina vive, una vive a Verona, l’altra vive a Haifa, la più grande, e il gemello di quella che vive a Verona sta in Inghilterra. E quindi loro hanno passato tutto il tempo scappando, passando da un posto all’altro, stavano al Sacro Monte di Varallo, e lo zio aveva documenti falsi, nonostante tutto andava a lavorare, incontrava i fascisti sul treno che arriva dal Sacro Monte di Varallo andava a Novara a lavorare e quindi anche questo era, poi la moglie, la zia era russa, non russa, lituana molto religiosa, di famiglia molto religiosa, a parte che ha avuto tutta la famiglia massacrata, tutta la sua famiglia, dove abitava a Kaunas, ma lei essendo bionda e sapeva il tedesco perché si era salvata [cat meows loudly]
VV: Buono! Buono!
SB: Diceva appunto che essendo bionda, sapendo il tedesco probabilmente…
VV: Sì, sapeva il tedesco. Lei, quando lo zio arrivava a Sacro Monte dove abitavano la zia per dirgli che poteva arrivare, che non c’erano guai sulla strada, che non c’erano controlli metteva fuori un panno, come una vecchia divisa di soldato tagliata e quindi lo zio capiva che poteva arrivare a casa. Una volta è successo che sono andati proprio a casa i tedeschi da lei, perché hanno visto questo panno, hanno detto ‘Che cos’è questa cosa?’ ‘Eh questo li uso per fare i vestiti per i miei figli’ gli aveva detto in tedesco, poi è stata molto calma, ha parlato piano piano con loro, loro non hanno neanche pensato che fosse ebrea. Anche quella era una vita stranissima, poi con documenti falsi, i bambini andavano a scuola da lì con i documenti falsi che gli erano stati dati dal comune. Poi so che il sindaco di quel paese è stato fucilato, perché aiutava, forse a Borgo Sesia, è stato fucilato a Borgo Sesia che era vicino a Varallo Sesia. Eh è questo. Io vedevo questi zii che abitavano a Trieste loro, mio zio fratello della mamma con i figli e la moglie russa, che era arrivata in Italia perché doveva studiare, per quello si è salvata e non è stata trucidata come tutti i suoi fratelli che erano a Kaunas. E quindi lei era sempre sempre attenta, avevano i documenti falsi e non insomma vivevano sul filo del rasoio, alla fine si sono salvati, e poi nel ’49 sono andati in Israele, poi la figlia, una della figlie è tornata qua, si è sposata, adesso vive a Verona. Beh loro avrebbero tanto da raccontare, molto più di me. Certe volte penso chissà la nonna che cosa ha fatto quando, non si sa niente, dicono che è stata uccisa subito, ma… e anche una sua sorella, per esempio a Verona c’era la sorella della nonna. Erano diversi fratelli e la sorella della nonna si era rifugiata, viveva a casa insieme alla zia, con la figlia che era ragazza madre, però si è salvata andando a casa di un cugino, Tullio Basevi, che è stato anche lui deportato. Era lì e un giorno sono andati a prendere Tullio Basevi che era la sua casa e dopo due giorni hanno preso anche la zia e è andata a Bolzano, poi Ravensbruck e non abbiamo saputo più niente. Aveva mandato una cartolina chiedendo biancheria e cambi perché quando era a Bolzano, ma dopo… è stata una portiera o chi le portava da mangiare che li ha denunciati, per cinquemila lire li ha denunciati. Ecco così.
SB: Quindi scusi, giusto per capire la mamma era Basevi, quindi era la mamma ebrea?
VV: Sì, sì, la mamma.
SB: Nonostante ciò era il papà che si nascondeva, giusto? Ho capito bene?
VV: Il papà la difendeva.
SB: No, suo papà.
VV: Il papà mio?
SB: Sì, sì suo papà
VV: Era cattolico
SB: Si nascondeva quando eravate sfollati?
VV: Mio papà doveva stare attento perché era proibito sposare una donna ebrea. Mia mamma era ebrea, la legge era già da prima. Loro si sono sposati nel ’31. Devo dire che mio padre è stato molto coraggioso. Ma mio padre però si doveva un po', non si facevano mai vedere insieme perché, se andavano da qualche parte uno da una parte uno dall’altra. Ma io questo non lo sapevo, l’ho saputo dopo. E poi mio padre lavorava in Prefettura, aveva un bellissimo ufficio al primo piano. Questo me l’ha raccontato mia sorella dell’America, perché io, e aveva un bell’ufficio, lavorava per la censura, poi quando hanno capito che lì andavano i tedeschi a controllare i registri anche del personale l’hanno spostato al pian terreno qui alla Prefettura di Milano, perché la stanza dava su un giardino e lui già una volta era scappato uscendo dalla finestra del giardino. Insomma l’hanno aiutato perché, si anche lui doveva stare attento. Poi quando è stato mitragliato, l’abbiamo saputo eravamo a Ospedaletto, lui arrivava con il treno la sera, invece l’abbiamo visto arrivare su una carrozzella, si una carrozzella con il cavallo che era ferito e la mia mamma quando l’ha visto è svenuta. Ecco. Dopo siamo tornati a Milano e abbiamo ricominciato a studiare, abbiamo cercato di riprendere non so l’anno, quando. Stavamo a casa della nonna finché abbiamo potuto poi siamo andati in un’altra casa. Adriana era nata nel ’40 perciò era, non so, tutto questo è dentro di me non è che, è come se avessi una fotografia dentro di me, a parte tutto il resto, ma non so.
SB: Io ho delle domande.
VV: Sì.
SB: Vorrei fare un passo indietro.
VV: Sì.
SB: Intanto le chiedo se ci può far capire un po' come era costituita la sua famiglia, quanti anni avevate voi sorelle e che cosa facevate prima della guerra, che cosa facevano i suoi genitori.
VV: La mia mamma era casalinga, era molto brava a cucire, ci faceva dei bei vestiti, ma per il resto non lavorava, non ha mai lavorato. Il papà era sempre della Prefettura. Io andavo, ho cominciato ad andare a scuola, perché avevo dieci anni, mia sorella aveva un anno di meno, mia sorella Antonietta, Tata, che sta in America, e l’Iginia purtroppo non c’è più, la terza sorella, noi eravamo quattro, è morta nel duemila e due, ha avuto una malattia brutta, improvvisa, ha avuto una leucemia, stava a Roma e poi Adriana era piccola, nata nel ’40. Quello che mi ricordo molto quando la mamma prendeva la bicicletta, metteva Adriana sul sellino e scappava nelle stradine di campagna per non farsi trovare dai tedeschi eventualmente se dovessero venire a casa, se dovevano venire a casa. Perché loro andavano a vedere i registri di tutti, degli sfollati di tutti. Vedevo anche dei ragazzi che quando sapevano che arrivavano i tedeschi o i fascisti si nascondevano da tutte le parti, andavano sotto i letti a casa della persone anche che non conoscevano per non farsi trovare. E poi una volta, quando dalla mia nonna, adesso questo mi ero dimenticato però non è molto importante. Una sera quando stava ancora nella cascina dovevano tornare a casa, era da noi e doveva tornare a casa. Io l’ho accompagnata, ho detto ’Nonna, io ti accompagno’. Sono andata con lei, a un certo punto la nonna aveva in mano c’era una piccola lampadina da tenere che si chiamava mi pare no chiocciola, un altro nome, un nome così aveva, che faceva anche un rumore, che si accendeva e si spegneva toccandola. Allora si è avvicinato un gendarme, c’era già la repubblica no, tutto vestito di nero e ha gridato a mia nonna ’Cosa fa lei con quella luce, lo sa che c’è il coprifuoco’?” E la nonna l’ho sentita proprio gelare e io non ho detto niente, e niente ci ha lasciato andare per fortuna così l’ho accompagnata. Si chiamava forse aspetta, chiocciola. Era un tipo di lampadina che avevano tutti.
SB: A cosa serviva? Come mai ce l’avevano tutti?
VV: Non so perché, era quella che si usava quando c’era buio. Era molto comune come tipo, ma nel coprifuoco certo non si poteva usare, ma la nonna l’aveva usata. Per un tratto di strada non pensava che arrivasse un così, un gendarme. E così è andata.
SB: Senta quindi lei era piccola comunque…
VV: Sì, sì
SB: E quando è scoppiata la guerra lei come lo ha saputo. Qualcuno gliene ha parlato, qualcuno in qualche modo le ha spiegato cosa stava succedendo o lo ha capito lei da sola in un altro modo.
VV: No, no, no, non abbiamo avuto grandi spiegazioni. Abbiamo visto che tutto era cambiato, tutto diverso, le persone molto tese, molto preoccupate, e poi io l’ho sentito annunciare così me lo ricordo. No, no, diciamo non siamo stati preparati ad affrontare la guerra, ad affrontare la situazione, no. Arrivava di giorno in giorno e…
SB: Per esempio la prima volta che siete scesi in un rifugio, la mamma vi ha spiegato, il papà vi ha spiegato che cosa bisognava fare?
VV: E beh ci dicevano di stare buoni, tranquilli e di non muoverci, di non, niente di particolare. Eravamo forse troppo piccole per essere informate. E poi c’era sempre questa tendenza di mia madre di tenerci sempre, come dire, protette, di non darci troppe informazioni. Penso che questo, sempre l’aveva avuto questa. Mia mamma è morta nel 2004, dopo mia sorella, mia sorella nel 2002, mia mamma nel 2004, aveva novantaquattro anni.
SB: Wow.
VV: Ma di queste cose non ne voleva mai parlare. E perché il fatto della nonna è stato una tragedia. Non solo la nonna, anche la sorella, anche il cugino, anche… Per fortuna uno dei fratelli, dico fortuna, il fratello più grande, erano cinque fratelli, la mamma, la sorella e tre fratelli e uno, il più grande, Gino, era morto nel ’38 per un mal di cuore, quindi lui non ha vissuto niente di questo, ma non lo so, forse è stato meglio così. Erano cinque fratelli che si divertivano a Verona, abitavano nel ghetto di Verona, c’era allora ogni tanto mia mamma mi raccontava delle cose, di quello che facevano per divertirsi, andavano sull’Adige con le carriole, insomma cose così, ma questo era proprio prima.
SB: Quindi da Verona la sua mamma è venuta a Milano quando si è sposata.
VV: Quando si è sposata. Ha conosciuto mio papà a Verona, perché lui stava lì alla Prefettura. Si sono conosciuti e dopo è venuta a Milano. Però anche la mia nonna era venuta a Milano a Verona dopo che è stata vedova, che il suo marito è morto nella prima guerra, nella guerra ’15-’18, però è morto nel ’19, nel febbraio del ’19 perché aveva preso una malattia, la spagnola. La guerra era già finita, ma lui era ancora, diciamo, nel campo, allora da allora la nonna è partita da Verona e è venuta a Milano. Poi la nonna ha vissuto sempre a Milano, faceva la sarta, era molto brava, maestra di sartoria, e così. E non so se, prima della guerra era così, non sapevo molto di quello che succedeva, no.
SB: Veniva fuori per caso, prego…
VV: Una volta la mamma quando la zia, quando siamo tornati a Milano nel ’44 e la zia era nascosta in via Archimede, una sera la mamma ha deciso che voleva andarla a vedere, andarla a salutare, allora, c’era il coprifuoco anche a Milano e con noi ha voluto andare fino lì di sera, in fretta, però insomma anche lì è stata un po', e quindi mi ricordo che mio papà ha dato i biglietti per andare al cinema, eravamo andati al cinema, non lontano, in corso Ventidue Marzo c’era un cinema, e dopo del cinema la mamma ha voluto andare a trovare la zia. Comunque ha preso un rischio molto grosso, perché c’era il coprifuoco.
SB: E voi eravate con lei?
VV: Sì. Certe volte non si considera bene il rischio. Forse la mia mamma si sentiva protetta perché diceva ‘Io ho sposato un cattolico, quindi c’è un matrimonio misto quindi a me non mi toccheranno‘ e invece non è stato così. Vorrei raccontarvi di più, ma purtroppo.
SB: Beh io ho sempre delle domande. [laughs]
VV: Sì, sì [laughs]
SB: Posso procedere con le domande.
VV: Ah sì è messo calmo. Allora ha salvato qualche cosa?
SB: Sì, sì, sì.
VV: Il gatto?
SB: Sta ancora registrando, sì, sì.
VV: Ah sì?
SB: Sì, sì, assolutamente. Io volevo chiederle. Ha accennato a un registro degli sfollati. Siccome non ne so nulla, volevo sapere se per caso si ricorda quando siete arrivati a Ospedaletto se vi siete registrati.
VV: No, il registro era di tutti i residenti, ma anche degli sfollati ed era un paese vicino, Orio Litta. A Orio Litta avevano i registri, quindi quando arrivavano i tedeschi così, mio padre veniva avvisato e avvisava la mamma di nascondersi insomma. E no, non so veramente, sarà negli archivi, perché o registri li avranno..
SB: Però comunque voi comparivate in questo registro?
VV: Eh sì, sì.
SB: Ho capito. E senta e mentre eravate sfollati avete avuto delle difficoltà di qualche sorta a vivere in questo posto? Le condizioni com’erano?
VV: Beh, c’erano tanti sfollati, però non credo che considerassero o che pensassero che la mia mamma fosse ebrea, no. Però stava molto attenta, sì, stava molto attenta. Anzi le devo dire che c’era una sorella di mia padre venuta dal sud e la famiglia non era molto d’accordo che mio padre avesse sposato un’ebrea, questo è ovvio no, e allora lei con la mia mamma non andava proprio d’accordo e una volta quando era lì giù nel cortile della casa, il cortile interno, ha detto ‘Senti, smettila di parlarmi così eh’ la zia da giù, da giù a su dal balcone ’Smettila di parlami così perché io guarda che ti denuncio‘ e una zia io questa cosa l’avevo sentita, poi la mamma è rimasta proprio scandalizzata da questo. Del resto c’erano queste cose. Doveva stare attenta, doveva...
SB: Voi avevate contatti con questi altri sfollati?
VV: No. No, avevamo contatti solamente con chi ci ospitava che era il padrone di questo posto, di questo ristorante, credo che ci sia ancora nella strada principale di Ospedaletto Lodigiano. E solo con loro, poi basta. Poi sì, con altri sfollati sì, con delle persone che avevano dei figli nascosti, due figli maschi grandi in età di fare il soldato che erano nascosti e quindi si parlava così tra di loro, si sapeva di questo ma nessuno diceva niente. E poi avevo contatti con un’altra signora, sì una signora, una professoressa di piano che si chiamava Salomone di cognome, ma non abbiamo mai saputo se fosse ebrea o no, ed era molto brava, molto gentile, molto, sì, mi ricordo questo. Però con poche persone.
SB: Non c’era una comunità?
VV: No, no.
SB: E senta in questo posto, Ospedaletto.
VV: Sì.
SB: C’erano anche lì dei rifugi per qualche motivo oppure non c’era nulla di legato, che legasse quella esperienza al contesto più ampio.
VV: No, di rifugi no. No, no. Non c’erano i rifugi, non mi ricordo. Ogni tanto passava un aereo che non so come si chiamava, Pippo mi sembra, che faceva dei sorvoli ma non sapevamo neanche se fosse tedesco, se fosse, beh sarà stato senz’altro italiano o tedesco perché… No non era una vita di collettività, era una vita molto riservata.
SB: E di questo Pippo gliene ha parlato qualcuno o…
VV: No, no lo sentivo, si sentiva quando arrivava, era un aereo che faceva un sorvolo poi andava via.
SB: Quindi non vi, non vi…
VV: No, no.
SB: Non lo temevate.
VV: No. Lì i bombardamenti non ce ne erano, non ne abbiamo mai vissuti i bombardamenti, tranne il mitragliamento del treno. Probabilmente avran bombardato qualche treno, ma non lo sapevo.
SB: E di sirene invece ne avete sentite quando eravate sfollati?
VV: Oh tante, sì, sì eccome.
SB: Lì a Ospedaletto no.
VV: No, no.
SB: A Milano invece?
VV: Sì, sì, tante.
SB: Tante?
VV: Sì, sì, tante. Era molto impressionante. Adesso quando le rifanno sentire qualche volta si torna indietro subito.
SB: C’era una frequenza assidua durante il giorno?
VV: Una frequenza di sirene?
SB: Sì.
VV: Sì, anche due o tre, sì. Quelle di notte erano più brutte, perché bisognava uscire e andare al rifugio fuori con il freddo. Io mi ricordo ancora le persone che stavano magari di fronte a noi così di notte, perché nessuno doveva, a noi ci dicevano di non parlare, di non fare amicizie nel rifugio, così. Poi gli altri non lo so come facevano.
SB: Ma senta, quindi le persone che c’erano nel rifugio voi non le conoscevate?
VV: Eh no.
SB: Erano persone che arrivavano…
VV: Noi eravamo come dire dei fuoriusciti, dei raccomandati. Eravamo dei raccomandati perché andavamo all’altro rifugio. Non so come ha fatto mio padre, ma ci ha fatto andare in quel rifugio.
SB: Perché non si poteva andare in un rifugio a caso?
VV: No erano tutti dei palazzi, dei condomini, dei, si poteva essere ospitati se qualcuno ti ospitava, però ogni casa aveva il suo. Diciamo che eravamo raccomandati.
SB: E senta per tramite di suo padre o come?
VV: Eh non lo so se tramite mio padre o tramite mia madre o forse qualcuno. Mi ricordo ancora là sulla via tra Via Pietro da Cortona, doveva essere verso Piazzale Susa, prima, prima, mi ricordo ancora il numero della casa, cinque, era il numero cinque, ma è possibile che ci si debba ricordare le cose in questo modo? Non lo so. E la mamma diceva dobbiamo andare lì, perché lì siamo più sicuri.
SB: E vi convinceva? Eravate convinti di questa cosa?
VV: Sì, sì.
SB: Quindi lei si autogestiva, anzi no la mamma la vestiva.
VV:Sì, sì la mamma mi vestiva, diceva ‘Bisogna andare’, perché aveva tre da vestire, io più le mie sorelle. E lei mi vestiva e nel frattempo che vestiva le mia sorelle io mi spogliavo, perché pensavo che era l’ora di andare a dormire. Così insomma si vede che non mi rendevo conto neanche del pericolo che c’era.Sì, sì, questa è rimasto come un ricordo. Insomma non sono tanti i ricordi, però sono… Ormai non c’e quasi più, non c’è nessuno, ci sono i miei cugini, la mamma loro, la zia Golda, quella lituana non c’è più, è morta nel 2010, stava ad Haifa, aveva più di novantaquattro anni, lo zio ha avuto un incidente, il marito, il fratello di mia madre, cioè il marito, era in Israele e lui lavorava alle miniere di Timna, lavorava come chimico e niente un giorno è andato lì, un giorno mi pare che era quasi di festa e la macchina, pioveva e la macchina, le ruote non hanno resistito e ha avuto un incidente e nel ’72. Lui ormai era lì già dal ’49.
SB: Quindi dopo la guerra la famiglia si divide, giusto?
VV:Sì, sì.
SB: Voi rimanete a Milano?
VV: Noi sì. Fino a quando abbiamo studiato, poi dopo insomma negli anni ’60 mia sorella che è in America ha conosciuto un ragazzo di Tripoli che era scappato da Tripoli perché, l’ha conosciuto e si sono sposati, allora lei è partita ed è andata in America. Io sono andata a lavorare a Roma e Adriana è rimasta qui a Milano. L’altra mia sorella purtroppo è morta nel 2002 e lei viaggiava anche, alla fine lavorava all’Alitalia, ma aveva fatto anche, aveva fatto la cantante, aveva fatto anche un concorso a Sanremo negli anni Sessanta, poi alla fine lavorava all’Alitalia quindi.
SB: Senta, le è mai capitato di ripensare a questo periodo a cui appunto avete vissuto sotto minaccia?
VV:, sì, molto spesso.
SB: E ripensa, per esempio appunto per quanto riguarda i bombardamenti, le è mai capitato di pensare a chi guidava appunto gli aerei?
VV: A chi guidava l’aereo? Beh più che altro pensavo a chi sganciava le bombe, più che a chi guidava l’aereo. E quello sì. Lo pensavo sempre. Lo penso anche adesso, perché questo palazzo che ho visto tutto con il fuoco in cima, proprio era come un tizzone, un palazzo molto grande, si vede che avevano buttato più di una bomba e quello proprio mi è rimasto nella mente sempre. Non ho molti ricordi come..
SB: Beh non mi sembra. [laughs]
VV: Quello del gendarme quando camminavo con la nonna che si è avvicinato, quello quando ci penso mi vengono ancora i brividi. È stato proprio, dico ’Ma come è possibile sono pochi metri e spunta questo!’. Poi non parlava la nonna, la nonna mi ricordo che si è come raggelata e io non parlavo, per lo meno io non parlavo, perché se avessi parlato non so. Fortunamente se ne è andato. Tanto poi le cose sono andate male lo stesso. Sono un po' diversi i miei ricordi da quelli di mia sorella, no?
SB:, sì, sono di bambine di età diverse.
VV: Eh sì, sì. Beh però è un bel lavoro quello che stanno facendo.
SB: Ci stiamo impegnando. Allora…
VV: Se ha altre domande io sono qui
SB: Io sono soddisfatta. Se, OK interromperei l’intervista se non ha altro da aggiungere.
VV: No, per il momento no. Può darsi che poi mi viene qualche cosa.
SB: Certo. Allora la ringrazio.
VV: Io ringrazio voi.
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Title
A name given to the resource
Interview with Sara Ventriglia
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Sara Buda
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-07-25
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Greta Fedele
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:50:12 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AVentrigliaV170725
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Switzerland
Italy--Po River Valley
Italy--Lodi
Italy--Milan
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1943
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Description
An account of the resource
Sara Ventriglia, the daughter of a Jewish mother and a Catholic father, recalls her early life in wartime Milan. She describes the alarm being sounded, she and her family getting quickly dressed to reach a nearby shelter. She recollects moments inside the shelter emphasising how unpleasant it was on winter nights and mentions the terrifying sight of a building engulfed in flames. She narrates the trials and tribulations of her Jewish grandmother who was arrested in 1943 when trying to escape to Switzerland, likely to be a Holocaust victim. Speaks with an affection for her grandmother and emphasises how the grief is still alive and present. She describes the trials and tribulations of her Jewish relatives forced to live under false identities, one of them deported to Ravensbruck and the subsequent lives of those who escaped the Holocaust. She recounts how she was questioned by a Fascist militiaman for contravening blackout regulations during curfew. Several different wartime anecdotes: how her father was injured when the train he was travelling on was strafed, draft-dodgers hidden in concealed rooms, and the constant presence of Pippo.
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
bombing
childhood in wartime
faith
fear
grief
Holocaust
home front
Pippo
shelter
strafing
-
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fd6ab1d08c0b17f64c66276e8188629f
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Varesi, Pietro
Pietro Varesi
P Varesi
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Description
An account of the resource
This collection consists of one oral history interview with Pietro Varesi who recollects his wartime experiences in Pavia.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-03-08
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Varese, P
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
FA: Sono Filippo Andi e sto per intervistare il signor Pietro Varesi. Siamo a Pavia, è l’8 marzo 2017. Ringraziamo il signor Varesi per aver permesso questa intervista. È inoltre presente il signor Maggi. La sua intervista registrata diventerà parte dell’archivio digitale dell’International Bomber Command Centre, gestito dall’Università di Lincoln e finanziato dall’Heritage Lottery Fund. L’Università s’impegna a preservarla e tutelarla secondo i termini stabiliti nel partnership agreement con l’International Bomber Command Centre. Signor Varesi, vuole raccontarci la sua esperienza di ragazzo durante la guerra?
PV: Dunque, io mi ricordo il primo bombardamento che han fatto.
AM: Perché prima della guerra ti ricordavi quasi niente, ecco.
PV: Ecco, il primo bombardamento. Io, mia nonna con la cariola andavamo, faceva la lavandaia e portava i panni a lavare.
AM: In città.
PV: A Pavia, sì, noi chiamavamo Pavia la città. A metà borgo gli aerei cominciavano a girare. Erano a gruppetti, da quattro, cinque, non mi ricordo bene, no, giravano. E ha suonato l’allarme, ci siamo fermati, a metà borgo. Ohè, hanno cominciato a bombardare. Io mi ricordo, ohè, ero un bambino, il fischio [emphasis] che facevano le bombe. Facevano dei fischi che [unclear], però le bombe non si vedevano perchè, dopo un po’ s’è visto un polverone [emphasis], eh, ecco quello lì era il ricordo del bombardamento, il primo.
AM: Perché prima non avevano mai bombardato a Pavia. Questo nel ’44.
PV: È la prima volta.
AM: Qualche bomba qua e là, però loro non avevano avuto sentore.
PV: Beh mi ricordo i fascisti, che picchiavano anche la gente che ho visto. Però è il ricordo della guerra. Avevano una paura, la popolazione, una paura spaventosa. Che infatti, appena sono arrivati gli americani o gli inglesi figurati che, con le, la cicca americana [emphasis] la, sì, li accontentavano tutti. Al posto io mi ricordo che, adesso ho pensato, dico ma perché non li abbiamo odiati perché venivano qui a bombardare? Invece tutto il contrario. Il mio ricordo della guerra è quello. Appena sono, i liberatori, appena sono arrivati, la gente, gli americani qui. Però qualche mese prima hanno ucciso tutta la gente qui, li hanno ucciso loro eh, no i tedeschi, eh. Beh il mio ricordo è quello, della guerra. Mi ricordo dopo con la barca, con i miei vecchi no, siamo andati al Ponte della Becca giù, dove c’è il confluente, il Ticino e il Po, e son venuti a mitragliare il ponte e a bombardarlo. Io ero là la spiaggia, mi passava. Gli aerei prima mitragliavano poi sfioravano l’acqua e passavano, li vedevo, non so, a un quaranta, cinquanta metri da me. Erano sempre in due, cacciabombardieri eh, a un motore solo, erano solo in due, erano, adesso non mi ricordo più se erano inglesi, americani.
AM: Di che sapevi, no, tu non sapevi chi c’era sopra. Tu vedevi il pilota [unclear] ecco.
PV: Sì.
FA: E li vedeva proprio bene insomma. Ieran lì.
PV: Ho visto il bombardamento che facevano di notte. Pippo [emphasis] lo chiamavano, eh, lo chiamano Pippo. Ohè, da ragazzo scappavamo, andiamo [unclear], poi i ragazzi erano tutti, sempre in giro anche di sera eravamo in giro. Ohè ha buttato giù le bombe, si vedevano le scintille [emphasis], ero un po’ piccolo però ecco, le scintille lì. Poi hanno ucciso un mio parente al ponte, Pippo con le bombe, il Ponte Coperto non l’avevano ancora bombardato eh. Eh il ricordo è quello lì e la paura che aveva la gente, una paura spaventosa, infatti appena sono arrivati quelli là, ma se erano quelli là che bombardavano? Guarda . .
AM: Però erano considerati liberatori, no?
PV: Sì, liberatori. Morte ai tedeschi, infatti lì c’erano dei ragazzi tedeschi, che loro non c’entravano niente però li han picchiati [laughs], comunque. La popolazione, c’era un odio spaventoso. La guerra.
FA: Invece gli americani erano, erano ben visti gli americani.
AM: Anche se c’hann bombardato.
PV: Sì, fa niente. Hanno bombardato, però erano, boh.
FA: E quando era il primo bombardamento che ha visto lì sul borgo, poi cosa ha fatto, si è, è rimasto lì a guardare, si è nascosto?
PV: No, finito il bombardamento, c’era un polverone, mia nonna correndo [laughs] siamo venuti a casa.
AM: Son scappati a casa.
PV: Sì.
AM: Perché loro non erano ancora preparati. Non avevano capito che cosa potesse succedere la prima volta.
PV: Eh già.
FA: Non, non, non vi aspettavate.
PV: No, lui è uno che abitava vicino, più grande di me eh, era un giovanotto, io ero, avrà avuto diciott’anni, abitava qui, con la barca a prendere i pesci e il primo bombardamento. Il Ticino era pieno di legna perché [unclear] i legni del ponte e i pesci.
AM: [unclear]
PV: È il mio ricordo, adesso anche non mi viene eh, però. La guerra, c’erano i rifugi, quando c’era, ma i rifugi per modo di dire, facevano una buca e mettevano sopra qualche trave per andare, con un po’ di terra, erano quattro. Allora quando suonava l’allarme sotto le, che se buttavano una bomba li uccideva tutti.
FA: Sì sì.
AM: Tant’è vero che là, la Tumbina l’han ciapà.
PV: Ecco là, sono andati sotto in un buco, han bombardato, son morti tutti.
FA: Sapevo che ce n’era uno vicino alla Cascina Trinchera.
PV: La Cascina Trinchera non c’era eh qui. No, non c’eran cose.
FA: C’era un.
PV: Ma lì c’era una buca.
FA: Sì. In quella zona lì.
PV: Sì, eh.
FA: E voi andavate in quelle.
PV: Sì, no, no. Tutta la popolazione andava lì.
FA: Tutto il borgo insomma.
AM: Cioè quelli di qua insomma del Borgo basso, gli altri andavano un po’ più in su .
FA: Quelli di qua, della zona.
PV: Sì, eh.
AM: Quelli che non riuscivano a scappare andavano lì [unclear].
PV: Sì, eh.
AM: Perché, perché dopo il primo bombardamento tanti sono sfollati, sono andati via no, quando hanno continuato a bombardare perché poi avevano paura. Prima e non rendendosi conto, allora erano qua e con i bombardamenti sono scappati lì, no.
PV: A, a volte c’era, adesso non so se sparavano agli aerei o sparavano perché dovevano sparare. Si vedeva [makes a rhythmic sound] e si vedevano dei palloni neri dove sparavano.
FA: Questa la contraerea?
PV: Sì.
AM: Però quà non gli han mai presi, no?
PV: No [laughs].
AM: Mai ciapà niente [laughs].
PV: Adesso il racconto mi viene. Alla Vignazza.
M: Dove c’è il Gravellone?
FA: Sì.
PV: Dove c’è il Gravellone, la Vignazza, lì c’erano la difesa contraerea. Erano degli uomini anziani qui da noi che erano dalla parte dei fascisti eh, erano lì a fare la contraerea se venisse [laughs]. Noi da ragazzi tornavamo dalla scuola, io ero in seconda o terza elementare, tornavamo non per la strada del borgo, tutto attraverso i campi e via sempre, per giocare. E loro, i militari quelli lì, quelli della contraerea, era tutta l’osteria, lì c’era l’osteria.
AM: Lasciavano là le mitragliatrici e i cannoncini e andavano in osteria a mangiare.
PV: Noi siamo. C’erano le buche con dentro le mitraglie, due, mi ricordo a due canne o una canna sola. E c’eran tutti sacchetti in giro. Noi siamo andati lì e c’eravamo le maniglie.
AM: Giocavano, no.
PV: Bambini.
FA: Sì sì.
PV: È venuto fuori alla maestra a scuola dopo un paio di giorni, sono venuti là con i fascisti quelli tutti vestiti di nero. Chi è? [laughs] Eravamo bambini e allora.
FA: Han chiuso un occhio.
PV: Han chiuso un occhio.
AM: Però per dirti come funzionava la contraerea. Andavano all’osteria a mangiare.
PV: Sì andavano all’osteria. Era una guerra.
FA: Un po’ alla carlona, eh.
PV: Sì, un po’ alla carlona. Noi in genere c’era troppo, orca miseria. A scuola, adesso parlando della guerra, no, a scuola. Quando c’era una festa del fascismo, così, i ragazzi, dovevano venire i balilla, no, con la bandoliera bianca.
AM: Il fez.
PV: Con l’emme qui, non so cosa c’era, non mi ricordo proprio. Mio padre era contrario ‘sono bambini, cosa fanno fare la guerra ai bambini’ e non m’ha mai comperato la divisa.
FA: La divisa.
PV: Mai, e la maestra mi fava la nota:’il bambino deve venire a scuola adeguato’. Poi è finito tutto. Non le han dato l’olio [laughs] per un po’ perché le davano l’olio eh a quelli ecco, che erano contrari. Mi ricordo quei fatti lì ecco.
AM: Ecco però vialtar si no sfulare da chi , non siete sfollati voi.
PV: No, no.
FA: È sempre stato.
PV: Qui eravamo un po’ distanti eh, eravamo distanti dagli obiettivi che potevano essere.
FA: Però vedevate tutto insomma, quando venivano si vedeva bene.
PV: Sì, sì. Eh erano alti però eh i bombardamenti. Erano non so a che altezza potevano essere, oltre, ma forse oltre i mille metri.
AM: Pusè sì sì.
PV: Erano alti, eh gli aerei. Erano tutti gruppetti.
FA: Quindi si sentivano solo le bombe che venivan giù.
PV: No, le bombe si vedevano appena si staccavano dall’aereo, nere, così erano. Venivano giù, poi dopo non si vedevano più eh, perché si vede che si raddrizzavano, aumentavano velocità.
FA: Un dito.
PV: Sì, erano nere ecco, a gruppetti. Loro, gli aerei si staccavano dal gruppo, due o tre, favano, ma favano due o tre giri eh. Beh bombardamenti ne han fatto sei.
AM: Sei.
PV: Sei bombardamenti.
FA: E non avete.
PV: E sempre, una volta la settimana venivano, sempre, mi sembra sempre il solito giorno. Una volta la settimana.
AM: Agli inizi no ien gnid al dü. Le prime volte
PV: In settembre hanno cominciato.
AM: In settembre [unclear]. Sono venuti tre volte a distanza di un giorno, a distanza di un paio di giorni uno dall’altro le prime tre volte. Poi gli altri, perché non c’entravano il ponte invece gli han fatti.
PV: Sì, sì.
AM: L’ultimo l’han fatto il 22 di settembre. I primi gli han fatti all’inizio di settembre, i primi tre. Poi gli altri tre gli han fatti frazionati fin quando non hanno buttato giù il ponte.
PV: Per fortuna che non andavamo a scuola se no c’entravamo, han centrato le scuole eh.
FA: Ah, erano vicine la ponte?
PV: Eh già.
AM: No, perché hanno sbagliato una volta, han beccato tutte le case fino alle scuole. Però le scuole allora incominciavamo il primo di ottobre e i bombardamenti li hanno fatti a settembre no.
FA: Quindi era in Via Dei Mille la scuola? Più o meno?
AM: Dove c’era, quella prima lì dove c’è la chiesa adesso.
PV: Sì.
AM: Una parte della chiesa era rimasta danneggiata.
PV: Ma no, eran lì dove sono adesso le scuole.
AM: Sì in Via, lì in via dei deposit di strass ad Gavazzi cla gà brusa tut.
PV: Ma mi me par che
AM: E le scol ieran de dri. Dove iera i carabinieri. Comunque ieran lì, la zona era quella.
PV: Sì, ben, l’è lì, ecco, la zona l’è quella lì. Iera i scol.
FA: E invece i fascisti davano fastidio insomma?
PV: Ma i fascisti a volte, ma quando andavamo in città, noi andavamo a Porta Nuova, lì con i ragazzi di Porta Nuova dall’altra parte del Ticino e lì si vedevano, ma in borgo io non ne ho mai visti dalle nostre parti, fascisti.
FA: Erano in città.
PV: Erano sempre in città.
AM: Se venivano in borgo venivano per fare qualche retata.
PV: Eh sì ma in borgo.
AM: Come quando sono venuti a prendere Angelino per portarlo a suldà.
PV: Perché i giovanotti che erano assenti alla leva erano nascosti nelle cascine e.
AM: Venivano se c’era una soffiata, no.
PV: Ah sì.
AM: Perché Angelino che ndat in tel prat cl’era dre stend i pan , perché i gh’avivan dit che lu l’er la, che l’han fatto, che l’hanno.
PV: Mi ricordo bene che andavamo a scuola in borgo, io la quarta elementare sono andato in città perché in borgo non c’erano più le scuole. C’hanno fatto la passerella perché i più ponti, passerella sui barconi, si attraversava a piedi si andava. Qui c’erano gli indiani col.
AM: Turbante.
PV: Col turbante [emphasis]. Han vuotato. C’erano i.
AM: Questo è interessante.
PV: Quando c’era il fascismo facevano, prima del, non il Balilla, i più avanti erano i.
M: Gli Avanguardisti.
PV: No, ma.
FA: I Figli della Lupa.
PV: Il premilitare facevano, no. Andavano a fare le prove con, gli davano il fucile, giovanotti, quattordici, quindici anni eh, andavano. E gli indiani dovevano andare a dormire dove c’era il deposito, c’erano le bombe a mano per, eh per segnalazioni, c’erano gli esplosivi ma tutto per fare le prove loro, no, quei ragazzi lì. Han vuotato per andare. Son venuti qui in borgo con gli autocarri.
AM: Li han buttati tutti li.
PV: E han rovesciato un po’ in Ticino un po’.
AM: Sulle rive.
PV: Fuori, nelle sponde del Ticino. Oh, i ragazzi più grandi, io ero piccolo, andavo anche [unclear], tutti là a prendere bombe a mano, e ci son rovinati quattro, cinque giovanotti eh qui.
AM: Perché poi erano al fosforo, no, c’erano le saponette al fosforo.
PV: Oh, c’era un nostro amico, ohè la faccia.
AM: S’era bruciato tutto, no.
PV: Non erano, non uccidevano perché eran cose d’esercitazione, però.
FA: Però eran pericolose.
PV: Si son fatti male. Ah loro non guardavano, gli indiani.
AM: Quello è successo appena mandati via i tedeschi no perché nel ’44 due mesi dopo l’8 di settembre, [unclear] andati via, questo, quando sono arrivati gli americani durante il ’45 no, dopo il 25 aprile allora han buttato e c’erano un sacco d’armi qua, perché buttavan tutto così, no. Non stavano.
PV: Ormai la guerra era finita, eh.
[background noise]
PV: Perché non c’era niente, c’era la tessera con i bollini, tagliavano i bollini. E lì, e lì i negozianti han fatto i soldi eh. Tutti eh quelli che avevano un piccolo negozio. Tutti.
FA: Con la borsa nera.
PV: Borsa nera, bravo. Eh sì, altro che i bollini e no bollini. Eh, quelli che avevano i soldi mangiavano, gli altri, il pane, mi ricordo, era scuro, nero e a volte si trovavano [laughs] dentro i pezzi di legno o non so che cosa era dentro il pane, il mio ricordo.
FA: Perché c’era poca roba da mettere sotto i denti.
PV: Sì, c’erano i bollini. Mio padre fumava, mio nonno, avevano i, anche la tessera sul fumo. Mi ricordo. Qualcuno che non fumava vendeva la tessera ai fumatori. Ah, la guerra è stata una cosa. Io l’ho provata, ero piccolo e loro. Adesso mi, a volte mi ricordo ancora. Ma porca miseria dico, ma perché? E invece era così.
FA: Insomma la viveva un po’ da ragazzo.
PV: Da ragazzo, [unclear] avevo dieci anni. Otto, dieci anni. Eravamo, non è come adesso, i ragazzi non li vedi, prima erano tutti [laughs] a gruppi eh, i ragazzi eran tutti in strada eh.
FA: Era più quasi la curiosità che la paura.
PV: Sì, oh, tornavamo mai dalla strada, sempre, anzi qui abbiam, hanno ucciso tre bambini eh, hanno fatto una buca per la ghiaia. Quel periodo lì eh, in tempo di guerra era quasi finito, e noi abbiamo fatto, come una grotta e andavamo sotto a giocare, via, è ceduto, eran sotto al Pep l’è stat l’unic che l’è stat [unclear].
AM: Cioè eran sotto in cinque, due si son salvati, il Pep e un altro che era già, e tre invece, han scavato subito ma eh son soffocati sotto.
PV: Son morti sotterrati, eh c’è poco da fare. La guerra è stato, il mio ricordo ogni tanto, adesso pensando ho detto ma porca, ma perché si faceva così? Un odio tra popolazione, qui c’era uno che era fascista eh, e allora, ohé c’era da stare attenti perché poi.
AM: E se parlava lui, a lui davano ascolto e loro invece erano le vittime, no.
PV: La guerra.
AM: Che anche in borgo da basso che erano due o tre famiglie ad fasisti no.
PV: Sì, eh.
AM: Il papà ad Renata, quas chi. Sì, erano tre o quattro, cioè quelli che erano. Però sai quelli lì erano quelli che, a cui davano retta no, avevano il potere. Se dicevano loro qualche cosa, gli altri andavano nei pasticci.
FA: Certo.
PV: Noi eravamo piccoli, non guardavano, potevamo fare, ohè, potevamo fare quello che volevamo. Però quelli che sono andati a fare certi, certi cosi non guardavano eh. Ohè, sono andati a rubare in castello e li hanno uccisi eh.
AM: Gli han tirato le bombe e.
PV: Si è salvato il Galle , povero ragazzo si è salvato. Uno ha perso le gambe.
AM: e sono andati a rubare al castello perchè.
PV: Non guardavano se erano bambini eh.
AM: Andavano a rubare per sopravvivenza, non è che andavano a rubare perché. E poi adesso, il particolare delle barche che avevano sequestrato qua in Gravellona.
PV: Eh sì, eh sì, hanno portato via tutte le barche.
FA: Ah.
AM: I tedeschi sì.
PV: I tedeschi eh.
AM: Han sequestrato tutte le barche perché qua c’erano i barcaioli che avevano le barche da lavoro facevano gli scavatori di ghiaie, legname, portavano la biancheria di là, a un certo punto è venuto, hanno requisito tutte le barche perché avevan paura che portassero i partigiani e robe del genere . Le hanno requisite e dove le hanno portate? Nde ca ian purtà i barcè?
PV: In Gravellone, lì, dove il Gravellona va in Ticino .
AM: Ma che cosa han fatto vicino alle barche?
PV: C’era il cartello eh, ‘attenti minen’ neh,
AM: Hanno minato, hanno minato tutto.
PV: mi ricordo, noi andavamo a giocare là, stavamo sempre sulla strada, c’eran tutte le barche nel Gravellone.
AM: A turno hanno minato.
PV: E c’erano un paio di cartelli uno qui uno di là. [unclear] Il padre del, Un nostro amico è andato, è morto eh, scoppiata la mina.
FA: Eh sì.
AM: Ha cercato di prendere la barca perché ne aveva bisogno esasperato no e ha messo il piede sulle mine e c’è rimasto.
PV: Qui la gente quando vedeva, vedevano che noi ragazzi andavamo giù:’ohè, non andate là, eh’ [screams] Ecco.
AM: Quindi quello lì era quando c’era anche un po’ di repressione ecco.
PV: Qui è successo tutto.
AM: Poi quando i tedeschi hanno incominciato a ritirarsi, Piero, quà son diventati tutti partigiani.
PV: Sì, sì, anche i fascisti. Han tolto il nero e messo il foulard, il foulard rosso, eh mi ricordo, eh quello lì mi ricordo.
AM: E quando passavano si vurivan fa’? . Quand i pasavan intl’argin si vurivan fa’?
PV: Portavano via.
AM: Le armi e gli sparavano.
PV: Eh, rubavano.
AM: Tant’è vero uno, cosa è successo, al papà del Luisone, Luison, al mut, suo papà che successo
PV: Adesso mi ricordi plù.
AM: In tl’argin, gh’han no sparà? Che è mort?
PV: Li eran contro i tedeschi.
AM: Eh sì. Quando.
PV: [unclear].
AM: Quando i tedeschi si stavano ritirando.
PV: Siccome lì c’erano i tedeschi che stavano andando via qui hanno fatto una sommossa no.
AM: Con le armi che [unclear]
PV: I tedeschi però sparavano con la mitragliatrice, eh, sull’argine, chi attraversava l’argine, lui attraversa, ma era, era ubriaco eh.
AM: Però era là col fucile, sparava.
PV: To ziu al la saviva parchè l’era la eh.
AM: E l’hanno fatto fuori. Questi qua non guardavano.
FA: Infatti, sì.
AM: Se cercavano di scappare, i tedeschi mitragliavano, l’han beccato. Però non sapevano dove portare il cadavere, l’hanno portato in chiesa, no. L’han chiuso in chiesa.
PV: Sì, mi ricordo. Era un giorno, piovigginava. Noi volevamo andare a vedere no. Da ragazzi, quattro [unclear], io, Carboni e via. E al padre dal Galli [unclear] Ma se ciamava? Gili.
AM: Gili.
PV: Era un uomo rude con noi ragazzi perché andavamo dove stendevano i panni e rompevamo i pali. ‘Nde ca’ndiv vialtar? via a ca’ eh! Mi ricordo quell’uomo.
AM: Perché c’erano i tedeschi che passavano e loro erano ragazzotti eran curiosie allora li [unclear].
PV: Volevamo andare a vedere, si sentiva sparare [mimics machine gun noise] ogni tanto. Dicevo, piovigginava quel giorno, mi ricordo ancora.
AM: Quello lì era già nel ’45 dopo i bombardamenti, quando i tedeschi stavano scappando, ecco.
FA: E non siete mai andati a vedere le rovine del borgo, del ponte?
PV: Sì.
FA: Non siete andati a vederle, da ragazzi?
PV: Oh, sì, io, tutti i giorni andavamo, perché oramai si sapeva che i bombardamenti arrivavano [laughs] una volta la settimana sempre il solito giorno.
FA: E allora gli altri giorni?
PV: Gli altri giorni no. Mi ricordo che c’era, le saracinesche, dunque bombardavano e facevano tutta la pancia in fuori [emphasis], verso la strada, tutta la saracinesca così. E quelli esperti che lo sapevano dicevano:’è lo spostamento d’aria, prima va in dentro poi [makes a booming noise],
FA: Viene fuori.
PV: ‘Ecco viene fuori’. Tutte così, saracinesche con la pancia in fuori, verso la strada.
FA: Tutti i vetri delle finestre.
PV: Oh, bombardamenti, c’erano i muri maestri in piedi ma gli altri erano giù tutti. Oh ci sono stati morti, un mucchio di morti eh.
AM: Però anche le finestre delle case non bombardate, quelli lì i vedar ag n’era pü mia .
PV: Ma no giù, qui, la cooperativa del borgo.
AM: Allora in borgo c’erano due cooperative. Una, quella che c’è ancora adesso e l’altra che è di là dell’argine che era dove, quella che c’era di qua dell’argine è stata distrutta e c’era anche il teatro lì. Il teatro al, come se ciamava.
PV: Sì c’era il teatro del borgo. Eh ma non mi ricordi più. Il bombardamento gli aerei l’han fatto, han centrato il ponte della ferrovia e lì s’è sollevato il polverone, eravamo noi. Gli aerei son venuti via dritti, diritti, perché forse non vedevano, chi lo sà. Infatti han centrato l’arca verso il borgo del Ponte della Libertà, quello là, centrato. Ponte Coperto non l’han toccato, han centrato il borgo lì. Dopo il prossimo bombardamento, il Ponte Coperto era ancora, si passava, era ancora.
AM: Bordoni il teater.
PV: Il teatro Bordoni ?
AM: Era il teatro Bordoni , lì dove faceva le rappresentazioni Famiola, che era, Famiola l’era il nom, era il burattino di Pavia. Dove faceva le rappresentazioni Famiola.
PV: No, ma dopo han fatto il film, facevano il film.
AM: Dopo stavano anche i film.
PV: han fatto anche il cinema. Non so come si chiamava. Però.
AM: L’han distrutto però.
PV: E per il bombardamento han fatto così. Son venuti via diritti. Così spiegavano e lì da vedere. Il Ticino fa la curva, ecco.
AM: Così han preso tutte le case invece [unclear].
PV: Sì perché lì duevav ved al polverone ch’era neh. Io ero a metà borgo, era lì perché forse s’era fermà cun tu nona, me nona, che dia: ‘Regina, ma’, eh suona l’alarme sì ma, fa, suona sempar, des i van via, perché era ialtar dÌ aeroplani poi andà via senza bombardare. Boh. Primo, quello lì è il primo bombardamento. Poi tutte le settimane oramai si sapeva “Ah i vegnan eh!” [enphasis] ecco basta [laughs], ormai si sapeva che venivano.
AM: Però erano preparati, capivano che bombardavano quindi scappavano, mentre le prime volte non si rendevano conto di quello che stava succedendo.
PV: Ma come facevano a sapere che il ponte era ancora intatto? Forse i ricognitori.
AM: Guarda dintar il libar, c’è tute fotografie, che loro foto, quando passavano gli aerei, in coda c’era quello che faceva le fotografie, no.
PV: Oh, io non ho mai visto la contraerea sparare eh. E c’era eh.
FA: Quella lì, ponte zona Ticinello?
PV: Poi, ma c’era là dove c’è la fabbrica Casati là a ponte ad pedra, là. Ah, c’erano i cannoni con i tedeschi eh, ma grossi cannoni oh.
FA: Però niente.
PV: Mah. Niente, no.
AM: Non ha mai preso.
PV: Era mei sparà no eh, se no uhei [unclear]. Sparare, sparare noi non avevamo niente, loro avevano tutto eh.
FA: I tedeschi.
PV: E gli inglesi e americani.
FA: Gli inglesei, ah, è vero.
AM: Ma anche i tedeschi che avevano la contraerea lì, c’era lì e vicino al cimitero. Però effettivamente dicono che erano alti così. E loro non, sì qualche nuvoletta ogni tanto però non han mai visto, cioè, un, bombardare, prendere qualche aereo roba del genere, che non. Probabilmente non arrivavano neanche all’altezza degli aerei [unclear].
FA: Certo.
PV: Eh la guerra, ero troppo piccolo per ricordare.
AM: Però l’è na brutta robe, è na brutta robe.
PV: La fifa la, vedevo, mio nonno, mio nonno tremava sempre [laughs], appena sentiva l’allarme. Noi ragazzi no [unclear]. Ma i vecchi avevano paura, tutti i vecchi avevano paura tremenda. Perché? Perché .
FA: Si rendevano più conto.
PV: Sì, Han fatto delle cose lì, i liberatori, sì, dei bombardamenti, che non dovevano anche farli, dai. Si sa, eh. El libar gl’ho dsura mi, libar de, che scrit coso, l’è andat fin in America a to’ i dati.
FA: Va bene.
PV: Quello che. Perché, perché non mi ricordo tutto, ogni tanto mi ricordo qualcosa, eh. Che se ricordi robe, uhè go ottantadue anne, non passan mai, sesanta-setanta ani [laughs].
AM: Va bene.
FA: Va bene. Allora la ringraziamo.
PV: Oh, diamine.
FA: Per l’intervista.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Pietro Varesi
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Pietro Varesi describes wartime life in Pavia, focussing on the Borgo neighbourhood. He mentions the Ticino bridges as primary targets for bombers; recalls bent shop shutters and debris on the streets; stresses the limited accuracy of bombing and the damage to civilian buildings. Describes how ineffectual anti-aircraft fire was and remembers playing on anti-aircraft guns when the gunners were eating and drinking at a nearby country inn. Contrasts the reaction of adults being frightened and alarmed, with the care-free attitudes of youngsters. Mentions street urchins involved in dangerous games often with disastrous consequences. Criticises makeshift shelters, deemed tantamount to death traps. Recalls various wartime episodes: being a member of fascist organisations while his father was an opponent of the fascist regime, deserters, repression of partisan activities, corpses hidden in a church, 'Pippo' flying at night, disrupted communications, improvised footbridges, rationing, the black market, and food pilfering. Describes men quickly exchanging fascist uniforms with red handkerchiefs at the end of the war. Reflects on the bombing war and stresses the duality of liberators / tormentors.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Filippo Andi
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-03-08
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:29:50 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AVaresiP170308
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Pavia
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1943-09-08
anti-aircraft fire
bombing
childhood in wartime
fear
home front
perception of bombing war
Pippo
Resistance
shelter
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/70/717/AAn00974-170413.1.mp3
7b601175f7d1834f67ccdfb1c3feb0ae
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Three survivors of the Po valley bombings
Description
An account of the resource
This collection consists of one oral history interview with three survivors of the Po valley bombings.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-04-13
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
An00974
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
FA: Sono Filippo Andi e sto per intervistare le signore [omitted]. Siamo a Vellezzo Bellini è il 13 aprile 2017. Ringraziamo le signore per aver permesso quest’intervista. La sua intervista, le vostre interviste registrate diventeranno parte dell’archivio digitale dell’International Bomber Command Centre, gestito dall’Università di Lincoln e finanziato dall’Heritage Lottery Fund. L’università s’impegna a preservarvi e tutelarvi secondo i termini stabiliti nel partnership agreement con l’International Bomber Command Centre. Signora [omitted], vuole,
Interviewee: Eccomi.
FA: vuole raccontarci cosa si ricorda del tempo di guerra, in particolare dei bombardamenti avvenuti nella sua zona, dove abitava?
I: Eh, mi ricordo sì, che da quel particolare lì che noi abitavamo in una cascina che era in direzione del Ponte d’Olio, era il ponte più, un punto più preciso per i bombardamenti, venivano proprio di sopra della cascina e tiravano, e bombardava sempre il Ponte dell’Olio perché lì era, non so cosa c’era, che per loro era un punto più di riferimento. Poi va bene, prima di arrivare al ponte c’era un paese che si chiamava Orzinuovi, era un paese di molti partigiani, fascisti e via discorrendo. Mi ricordo bene quel periodo lì, ecco. Poi mi ricordo quando sono venuti alla cascina per cercare un partigiano che hanno fatto la rivoluzione per tutta la cascina quale che lui, benissimo, era scappato, era scappato fuori in una campagna dove c’era la, diciamo la produzione del tabacco. Lì c’è stato un po’ di trambusto, un po’ di difficoltà di tutti, anche con la famiglia perché venivano in casa e buttavano per aria tutto per vedere se delle volte erano o nel letto o nel mucchio del granoturco, vedere se era sotto, non so perché, come faeva a capì, e invece casa non c’era niente. Poi per proteggere, anche per vedere se ghe c’era qualcheduno che diceva la verità, portavano i ragazzi, i ragazzini come me d’otto anni dietro, perché dicevano che se non si diceva la verità mi avrebbero picchiato. E allora noi non è che potevamo dire la verità perché non era in casa nostra, era il figlio d‘un nostro principale che, lui benissimo era a casa ma noi non è che possiamo dire lui era a casa. Nel frattempo lui ha fatto in tempo a scappare. È scappato fuori, loro sono andati in casa, non hanno trovato niente e la roba è stata finita lì. Poi, sì, lì al paese ci sono state tante cose, tanti bombardamenti. C’era sto signora lì che l’hanno perfino pelata, perché era una partigiana, le dava fastidio non lo so, era perché era ricca, non lo so, lì l’hanno pelata tutta.
FA: Si ricorda qualche bombardamento in particolare?
I: Bombardamenti particolare no, perché diciamo lì alla nostra cascina non è mai successo niente, vedevamo solo a passare che buttavano le schegge, dicevano le schegge, i nostri genitori dicevano le schegge, magari erano bombette, non lo so. Diciamo proprio bombardamenti lì no. Sono stati al paese e sul Ponte dell’Olio. Noi, essendo vicini, si vedeva ma non che abbiamo visto proprio.
FA: Vi arrivavano i rumori, insomma.
I: Sì, sì.
FA: Lo spostamento d’aria.
I: Lo spostamento d’aria e così via. Però vedendo proprio da buttare giù. Poi quando c’è stato finito la guerra sono passati tutti con i carri armati i tedeschi e na davan de mangià.
I: Americani.
I: Erano gli americani na devana, passavan con i carri armati, eh quanti, e li davano giù quel pane che sembravano gallette.
I: Gallette le chiamavano.
I: ecco, il pane che si chiamano gallette e lì è stato quando la guerra è stata finita. L’abbiam finita nel ’45, ecco.
FA: Ok, va bene. Eh, signora [omitted], lei invece abitava alla cascina Brunoria.
I: E infatti, lì vicino a Pavia, proprio. E quando hanno bombardato, cosa lo chiamavano, il Ponte dell’Impero, quello lì lo chiamavano? O no?
FA: Quello di cemento?
I: Quando hanno bombardato Pavia, cos’era il Ponte dell’Impero, lo chiamavano?
FA: Sì, dell’Impero, sì. Di là c’era quello della ferrovia.
I: Che e poi mi ricordo che erano i primi di settembre no, noi eravamo, io, mia sorella e mio fratello eravamo nei campi a spigolare le patate.
I: Ah sì.
P: E niente, mia mamma è venuta a cercarci, no, perché in linea d’aria eravamo lì ad un paio di chilometri eh dal ponte, o forse neanche. Adesso non mi ricordo più però.
FA: Mi pare di sì.
I: Ecco. E niente, mi ricordo il fatto che una scheggia no, ha proprio preso mia mamma qui sulla spalla. Non c’era il sangue però c’era via la pelle, si vedeva proprio la carne rossa. Quel fatto lì la vedo ancora adesso, però c’è l’ho davanti agli occhi ancora ecco.
FA: Quindi si ricorda dove eravate più o meno. Quindi eravate lì nel.
I: Eravamo lì vicino alla cascina, fuori, fuori appena dalla cascina ecco.
FA: Quindi è arrivata fino, fino a lì.
I: Sì, sì, sì, eh, le schegge delle bombe, sì, sono arrivate fino a lì, ecco. L’altro, proprio dei bombardamenti no, non mi ricordo, ecco.
FA: Perché comunque c’era una certa distanza, ecco.
I: Sì. Anche. Ma quello lì c’è stato anche quello più che mi ricordo più grande, come bombardamento, no, che hanno buttato giu il ponte lì.
FA: E poi è andata, ma è andata in ospedale o?
I: No, no, eh sì, non c’era neanche, non c’era neanche la bicicletta per andare in ospedale. Niente. No perché difatti non è che era grave, era via solo un po’ di pelle che si vedeva, la carne rossa, eh.
FA: Graffiata insomma.
I: Sì, ecco, così. D’altri fatti, ecco proprio di bombardamenti proprio no, non mi ricordo neanche, magari me l’hanno raccontato anche i genitori, ecco.
FA: Lei invece, signora [omitted], dove abitava?
I: Io abitavo a Samperone, vicino alla Certosa. Lì hanno lanciato una bomba però non c’è stato nessun morto, praticamente, perché è caduto in campagna. Però io, di fronte a me, alla distanza di cento metri, avevo l’accampamento dei tedeschi e in casa mia mio papà era in guerra, però mia mamma aveva in casa il papà e un fratello che doveva essere militare. Quindi eravamo molto, molto, molto osservati. [phone rings] Quindi eravamo un po’ sotto pressione perché avevamo in casa questo zio.
FA: Esatto.
I: E dall’accampamento, la nostra porta dava proprio sull’accampamento dei tedeschi. Quindi loro ci vedevano in casa. Infatti un mattino mio zio è sceso dalla camera, si è messo lì per mettere le scarpe e l’han visto. Quindi hanno fatto irruzione in casa, cercavano il marito, a mia mamma dicevano il marito. Lei li faceva vedere le lettere e via, dicendo che il marito era, loro hanno visto e mio papà perché aveva in casa anche il papà,
FA: Ah già.
I: Ma loro han capito che poteva. Quindi sono andati su in camera, hanno con le baionette trafitto tutti i letti,
FA: Insomma hanno fatto un disastro.
I: un macello, non l’han trovato. Non l’han trovato poi hanno fatto, c’erano i camion che portavano via quelli che c’erano a casa non trovando per loro un uomo c’era, hanno portato via mio nonno. Però essendo vecchio il giorno dopo l’han fatto venire a casa. Ricordo dei bombardamenti per noi era come se fossero lì, erano quelli di Milano, quando bombardarono Milano, che eravamo fuori nei rifugi, sembrava proprio però non eravamo proprio lì.
FA: Dove, dove vi rifugiavate?
I: Eh, c’era un campo che avevano fatto un rifugio sottoterra, sì. Andavamo tutti lì fuori in campagna, avevano fatto un rifugio, c’era un campo. Per dire, uno era qui, poi c’era come una collinetta, l’altro era più là, lì sotto avevano scavato, fatto i rifugi e noi, quando suonava l’allarme, scappavamo tutti lì.
FA: E si ricorda come era costruito il rifugio, cioè, avevan scavato e han fatto un
I: Sì, sì, proprio scavato e noi andavamo tutti lì.
FA: E han messo le travi in legno.
I: No, no, una buca.
I: Una buca.
FA: Era giusto un buco.
I: Un buco. Era sostenuto perché era un campo alto e uno basso.
FA: Ah, ok.
I: Cioè, essendo quello lì più alto, fatto la buca e noi riuscivamo.
FA: Un terrapieno.
I: Ecco, dentro e uscire fuori.
FA: Ho capito. E l’allarme, si ricorda dov’è che era l’allarme, era in paese, a Samperone?
I: L’allarme, suonava l’allarme, dire da dove suonava non lo so. E c’è stato un bombardamento sulla statale, da Samperone alla statale, lì da Pavia c’è un chilometro e mezzo. Hanno bombardato un camion, però io non mi ricordo. C’è stato un bombardamento col camion.
FA: Ehm, un’ultima domanda. Cosa vi ricordate di Pippo?
I: Pippo era tremendo.
I: Pippo, posso dire, noi tre bambini, con l’accampamento fuori, ci faceva fare la pìpì in casa, per terra sul pavimento. Perché quand’era sera, bisognava che ci fosse tutto buio, noi avevamo l’accampamento lì, non potevamo aprire la porta, andare fuori a fare la pìpì, dovevamo farla in casa sul pavimento. I bagni in casa non c’erano, si andava fuori. E l’accampamento è come, ecco, questo è la porta, e lì dove c’è la mura, c’era l’accampamento.
I: Non c’era la luce però. Io non avevo la luce.
I: No, la candela. E magari la spegni.
I: No, no, io mi ricordo che avevamo la luce, sì, sì.
I: Una piccola lampadina.
I: Io mi ricordo che c’avevamo la lampadina. La lucerna non mi ricordo.
F: No, no, no, io la lucerna che mettiamo sul tubo e sotto c’era il petrolio, no.
FA: Esatto
I: Quando si sentiva Pippo, mia mamma [backgroud noise] la ciapava un strass nero , no la n’andava in gireva insima[unclear]
FA: e lo copriva.
I: E lo copriva. Lui andava.
I: Ma noi, noi la luce l’ho mai vista da [background voice]
I: Ricordo io, la luce l’avevamo, per quel che mi ricordo.
F: Noi facevamo con la lucerna. Con la lucerna, disevan la lucerna, c’era il petrolio. Poi avevo un tubo di sopra perché c’era fumo no. E niente, eran quello lì. Mio papà gaveva mis du caden se no comel fai. El leva tacà su li, era una lucerna.
I: Io dei tre ero la più piccola
F: non ho mai visto.
I: di tre figli ero la più piccola.
FA: Va bene allora. Va bene, vi ringraziamo allora per.
I: Niente. Bene. Poi se va bene.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with three survivors of the Po valley bombings
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
The informants remember wartime hardships endured near Pavia and Piacenza. Several stories recalled: a farmhouse being thoroughly searched for partisans, children questioned, people injured by shell splinters, a makeshift dugout used as shelter, improvised lighting at home, strafing, Germans looking for deserters and American troops giving away crackers to the children. They tell how the menacing presence of 'Pippo' forced them to relieve themselves inside on the floor. Mentions the bombings of Milan as seen from the countryside where they were.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Filippo Andi
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-04-13
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:13:33 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AAn00974-170413
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Po River Valley
Italy--Piacenza
Italy--Pavia
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This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
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Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
bombing
childhood in wartime
home front
Pippo
Resistance
strafing
-
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79ada1c6e318efb07ff780ad71942b47
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Title
A name given to the resource
Magnani, Tullio
Tullio Magnani
T Magnani
Description
An account of the resource
This collection consists of one oral history interview with Tullio Magnani who reminisces his wartime experiences in the Pavia area.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
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Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-03-03
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Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Magnani, T
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
Sono Filippo Andi e sto per intervistare il Signor Tullio Magnani. Siamo a Pavia, è il 3 marzo 2017. Ringraziamo il Signor Magnani per aver permesso questa intervista. La sua intervista registrata diventerà parte dell’archivio digitale dell’International Bomber Command Centre, gestito dall’Università di Lincoln e finanziato dall’Heritage Lottery Fund. L’università s’impegna a preservarla e tutelarla secondo i termini stabiliti nel partnership agreement con l’International Bomber Command Centre. Signor Magnani, vuole ricordarci i suoi anni durante?
TM: Dunque, sì, gli anni trascorsi dalla guerra in avanti.
FA: Esatto.
TM: Allora, prima di tutto, vengo da una famiglia di lavoratori. Naturalmente ho annusato il sapore dell’antiregime di cui si viveva allora. I miei genitori erano nettamente contrari al fascismo ma naturalmente non ho avuto neanche problemi a scuola. Sapevano chi era il papà, che è stato considerato un sovversivo comunista, ma per la verità nel periodo scolastico fatto durante il fascismo non ho avuto noie. Nel 1944, il 4 di settembre le superfortezze volanti americane e inglesi, alleate insomma, hanno prodotto un grosso bombardamento a Pavia e noi che abitavamo in Via Milazzi [Milazzo], della parte destra del fiume Ticino, siamo rimasti senza casa. Ci siamo salvati perché eravamo scappati nei boschi vicini. Naturalmente io e la mia famiglia ci siamo ritrovati nel territorio di Travacò a pochi chilometri da Pavia e da lì è cominciata la mia permanenza, gli ultimi mesi di guerra fino al 1945 a Mezzano Siccomario una casa che ci ha ospitato perché eravamo senza niente, eravamo ridotti proprio, io addirittura ero a piedi nudi quel giorno là. Però nel frattempo i miei genitori mi avevano mandati a casa di una famiglia, Lorenzo Alberti, che era un noto esponente dell’antifascismo pavese e che verrà arrestato nel 1944 con tutto il comitato del CLN provinciale e spedito in Germania. Ritornerà vivo e vegeto nel 1900, nel lontano 1945 dalla Germania. E naturalmente ero andato lì come garzone di bottega perché lui vendeva le macchine per scrivere e naturalmente faceva la, curava tutto l’andamento delle macchine che aveva nei vari uffici durante il regime fascista e la presenza del comando tedesco. E accompagnando l’operaio che doveva fare manodopera alle macchine da scrivere, io portavo una borsa vuota, leggerissima all’ingresso, pesante quando uscivo. Naturalmente controllato era l’operaio, io che avevo quattordici anni sia i fascisti che i tedeschi non mi perseguivano, non mi, non facevano i controlli. Poi abbiamo saputo che in quella borsa lì uscivano i bollini per l’approvigionamento degli alimenti. Perché in quel periodo dovete sapere che c’era contingentato i generi alimentari. Naturalmente questi bollini per il tesseramento andavano alla resistenza ecco. Quello era la cosa che io ho scoperto dopo la liberazione. Naturalmente di questo, di questi ricordi che ho avuto lì e anche nel comune di Travacò li ho messi giù, insomma i ricordi c’ho un fascicolo che consegno anche all’intervistatore. Ci sono alcuni particolari. Particolare è che un bel giorno, una mattina, l’operaio di questa ditta, Alberti, mi dice di andare presso l’istituto di anatomia umana dell’Università di Pavia a ritirare qualcosa. Io arrivo all’istituto di anatomia umana e a questo custode chiedo il nome e questo uomo già un po’ avanti con l’età, mi consegna una busta gialla con scritto ’Regia Università di Pavia’. Questa busta la riporto in negozio al mattino. Nel pomeriggio sempre l’operaio mi dice che doveva farmi fare una commissione fuori Pavia, e ha preso quella busta che avevo consegnato al mattino, l’ha messo dentro a una cartella, tipo quella di scuola, di cartone e m’ha detto: ‘Vai a Travacò a portare questa busta, devi andare all’inizio di Travacò alla frazione Frua e cercare la signora Brusca’ che poi ho capito si chiamava Bruschi, la chiamavano Brusca, io dico: ’sì sì sono pratico di quei posti lì perché ero, sono sfollato lì, in quei posti lì’, infatti non ho fatto fatica a trovarla una donna anziana con un cappellaccio di paglia in testa. E io dico: ’io devo consegnare questa a un signore che c’è qui’. E lui m’ha, lei m’ha detto: ‘È quel signore seduto su una cariola.’ Era un omino un po’, non troppo alto con un grosso paletò, che poi ho riconosciuto come segretario del Partito Comunista provinciale in, clandestino, l’ho ritrovato nell’immediato dopoguerra. Era Carlo Zucchella.
FA: Ah.
TM: E quella busta, ‘io devo consegnare questa roba a questo signore, sì, sì, io l’aspetto. Gliel’ho data. Era un’altra missione che mi han fatto fare. E questo mi è, mi è ancora caro ricordare quel territorio lì del Travacò adesso. L’intervistatore venne mandato dall’ex sindaco Boiocchi che abbiamo una forte amicizia e ricordo sempre quel territorio anche perché sono legato a tutta la gente che ho trovato lì, che purtroppo non ci sono più tanti. Poi ci sono anche altri episodi sempre fatti attraverso la bottega di Lorenzo Alberti. Mi dicono di andare in piazzetta, vicino alle scuole Mazzini a Pavia e io gli ho detto: ’Sì, sì’. Erano le mie scuole elementari, le conosco. Bene, proprio di fronte alla scuola vai su all’ultimo piano e devi portare questo era anche lì, una busta, una busta più pesante di quelle che ho portato prima. E in quella casa c’era un tavolo da disegno, che usano i disegnatori. E c’era un uomo che era là che m’aspettava. E c’era, a disegnare c’era uno che poi m’han detto che era un sordomuto. Era il disegnatore. Anche qui vengo a sapere, dopo la guerra, che questo signore era Cino del Duca, un grande editore di giornali e di riviste. Era anche lui membro della resistenza. E i ricordi sono tanti, gli episodi sono tanti. Sono ancora vivo anche per miracolo anche perché durante queste azioni, che io nulla sapevo l’importanza di quello che facevo, se venivo beccato non ero qui a raccontarlo.
FA: Certo.
TM: E è arrivata la liberazione e io con i miei quindici anni mi sono divertito come gli altri. Sono arrivati le truppe inglesi, la prima camionetta americana giù nel Ponte Vecchio di Pavia e ho ripreso a vivere come dovevamo vivere, a noi ragazzi alla nostra età ci è mancato cinque anni di vita.
[telophone rings]
FA: Allora, prima della pausa stavamo dicendo della liberazione.
TM: La liberazione...
FA: È tornato a vivere in borgo?
TM: No, non eravamo più in borgo perché la casa non ce l’avevamo più. Mio nonno era un pescatore, aveva le barche, tutto, è andato tutto in fumo, tutto, distrutto tutto, non avevamo più niente. Mia mamma e mio papà han trovato un appartamento vicino Piazzale Ponte Ticino ma in città. E lì è arrivata la prima camionetta americana, mi ricordo sempre, questo giovane americano, noi naturalmente ragazzi ci siamo andati tutto intorno avevamo fame e loro distribuivano cioccolato e questo qua si chiamava Dino perché era figlio di italiani, no, e aveva un sacco enorme. M’ha detto se trovavo una donna che gli avesse lavato la biancheria. Io subito gli ho detto: ‘c’è mia mamma’. E lì vicino abitavamo e ho detto, ho chiamato mia mamma, c’è questo soldato americano e ha detto che se gli lavava la biancheria c’era una cassa di sapone. Quando lui ha fatto vedere la cassa di sapone, mia mamma è saltata dalla gioia. Per dire i momenti e, ricordo ancora e ricordo anche questo fatto di questo americano che si chiamava, poi c’ha dato tanta roba da mangiare. E naturalmente lui poi è andato via. E’ stato lì due o tre giorni, ha ritirato la biancheria pulita e stirata e con grande dispiacere di mia mamma non l’abbiamo visto più. Io voglio raccontare, questo racconto dovrebbero sentirlo anche milioni di giovani perché la guerra c’ha tolto cinque anni di vita a noi ragazzi. È scoppiata che avevo dieci anni, è finita che ne avevo quindici. La fame totale, lo studio non c’ho più pensato, era talmente la gioia della liberazione che molti ragazzi miei amici non andavano più a scuola. Poi pian piano abbiamo ripreso ma poi m’ha preso un’altra cosa, la politica. E questa politica mi ha preso talmente che non ho proseguito gli studi e medie, liceo e avanti, questo. Però ho sempre chiesto e ottenuto di sapere, di volere, di sapere le cose, ho fatto uno sforzo io coi libri e anche. Il partito voleva dire tante rinunce, tante sacrifici ma il partito mi ha dato molto nel senso che nell’istruzione poi sono andato a fare dei corsi prima brevi poi brevi, poi abbastanza lunghi per cui ho fatto il mio percorso di apprendimento scolastico. Mi sono sposato, tre figli, quattro nipoti, avevamo un, abbiamo rilevato un negozio che era di mio papà ma non andavamo bene, sono entrato [clears throat], sono stato assunto dopo tante peripezie in Comune, perché voglio dire anche questo: ho partecipato a un concorso per agenti daziari e quando sono arrivato agli esami orali per essere ammesso, dopo aver presentato lo scritto, mi è stato detto che non avrei, non sarei mai stato assunto perché, essendo un corpo armato, non potevo accedere a quel posto lì per via di una vecchia legge fascista che impediva di entrare in questo corpo armato agli iscritti al partito comunista, o anche ai figli dei comunisti. Per cui però ho fatto un po’ di lavoro saltuario nelle scuole a sostituire alcuni bidelli ammalati e così via, insomma il comune mi ha sempre tenuto da conto finché poi è venuto il momento, sono entrato nel corpo vigili urbani come tesoriere e ho fatto per ventidue anni il cassiere al comando vigili di Pavia. Ma prima sono stato anche un dirigente della Gioventù Comunista e ho sempre mantenuto queste idee. Purtroppo adesso non c’è più niente, ma ho cercato di educare la mia famiglia a questi ideali e sono stato anche premiato perché sono contento dei miei figli, dei miei nipoti.
FA: Va bene.
TM: E adesso ho davanti un giovane che mi intervista e sono felice di poter rispondere a questo giovane che tra l’altro si è laureato con un personaggio che a me molto caro che è il professor Lombardi e il professor Guderzo.
FA: Tornando un attimo indietro nel, diciamo nel tempo del suo racconto, potrebbe provare a ricordare, a raccontarci quella giornata del 4 settembre?
TM: La giornata del 4 settembre ha dei precedenti. Intanto la guerra è scoppiata nel ‘40 e non so adesso con precisione ma noi da Pavia vedevamo i lampi dei bombardamenti di Milano di notte, Milano è a un tiro di schioppo da qui in linea d’aria, si vedevano i lampi, bombardavano Milano e poi venivamo a sapere che verso il ’42-’43 bombardavano anche i ponti del Po che collegavano Pavia. E noi stavamo su anche, poi per noi era un, cioè era anche bello di notte, stavamo su tra noi gli uomini pochi perché erano tutti alle armi, e allora venivamo a sapere i problemi delle famiglie questa qui, quella là, quello lì, quello là, insomma vedevamo... poi arrivano i cacciabombardieri americani, bombardano la parte nord di Pavia, ma così dei raid, di, due, tre aerei che hanno sganciato alcune bombe e han fatto qualche morto nella zona di Porta Stoppa di Pavia, la parte nord di Pavia. Quindi prima del 4 di settembre Pavia era stata
FA: Già.
TM: Aggredita dai, ma poi noi vedevamo che sull’argine del Ticino la milizia fascista aveva fatto delle postazioni con delle mitragliatrici antiaeree, che poi si sono rivelate in niente, insufficiente, erano giocattoli rispetto al momento, insomma c’erano già delle armi migliori, cioè le avevano i tedeschi, ma queste qui, e noi le vedevamo, noi capivamo che erano mitragliatrici per contrastare gli aerei. E il 4 di settembre c’è un precedente nel senso che due giorni prima a ondate successive queste superfortezze volanti cariche di bombe passavano su Pavia verso il nord, cioè andavano verso Milano, dicevano che andavano in Germania perché Milano non la bombardavano in quel periodo lì.
Interviewee’s wife: Buongiorno.
TM: La mattina di, del 4, mia moglie, ah questo ragazzo pensa Antonia.
AM: Piacere, Antonia.
FA: Filippo, piacere.
TM: C’è acceso. La mattina del 4 di settembre del ’44 mio papà si trovava al di là del fiume perché lavorava in fabbrica. Mia mamma stava cucinando qualcosa. Noi ragazzi quando passavano quegli aerei lì andavamo nel bosco adiacente lungo l’argine del Borgo Ticino per cui dopo che sono passate a ondate successive queste superfortezze volanti è arrivato il bombardamento. È stato un disastro, sembrava la fine del mondo non ci, l’atmosfera era rossa dai mattoni, picchiavamo contro le piante per scappare, insomma. Poi dopo è venuto anche il mitragliamento che è stato micidiale perché ha mitragliato verso la parte est di Pavia. Io come un automa come altri nostri amici ci siamo dispersi e siamo fuggiti verso Travacò, lungo l’argine verso Travacò e io sanguinavo, non me ne accorgevo. Nel pomeriggio ho ritrovato i miei genitori che io non pensavo più. Mio papà si era salvato perché era al di là del fiume. Mia mamma è stata salvata dal crollo, la casa non era completamente crollata, e per cui ci siamo ritrovati alla frazione Battella di Travacò Siccomario io, i miei genitori e tanti altri. Poi naturalmente i nostri genitori, tutti quelli, i borghigiani, cittadini che hanno perso la casa, molti sono arrivati nel comune di Travacò e hanno organizzato qualcosa per, insomma. [background noise] Abbiamo fatto due notti in un fienile, poi dopo siamo arrivati a Travacò e a Mezzano. Il podestà di allora, un certo Bruschi che, pur essendo fascista ci ha molto aiutati, siamo andati nelle scuole di Mezzano e i nostri genitori e tutti gli altri adulti hanno organizzato una mensa, son arrivati i generi alimentari, c’è stato un enorme, una cucina per cuocere i cibi. Dopo una settimana che eravamo lì, un giorno pioveva a dirotto, sono arrivati la Feldgendarmeria tedesca, che sarebbe la polizia militare tedesca, con un sidecar, questi due uomini mettevano paura, grandi, grossi, con questo soprabito di cuoio nero, ci hanno imposto di lasciare immediatamente le scuole e ci siam trovati in mezzo alla strada che pioveva. Eravamo un centinaio, figli, genitori, ma subito è arrivata la solidarietà del paese e ci hanno ricoverato un po’ di qui un po’ di là. Insomma la cosa è andata bene insomma, non c’è stato altro e devo dire che io da ragazzo mi ricordo ho vissuto lì fino, da settembre a due mesi prima della guerra, un paese dove, tenuto conto che mio papà era un segnalato come sovversivo, problemi non ne abbiamo mai avuti, quindi la cosa. Poi la liberazione è giunta che abitavamo già a Pavia.
FA: Ha parlato di generi alimentari.
TM: Sì.
FA: Si ricorda da dove, chi era, non so c’era un ente?
TM: I generi alimentari ce li portava il comune di Pavia.
FA: Ah, il comune di Pavia.
TM: Sì. Però dicevano, io ho saputo, che dovevamo procurarci un mezzo per arrivare da Travacò a Pavia a prender la roba, farina, riso, pasta, no. E questo podestà fascista Bruschi Pierino ha messo a disposizione un carro col cavallo e uno di noi mi ricordo ancora chi era andava a Pavia a prelevare la roba. E sono arrivate anche le brande. Il comune di Pavia ha messo a disposizione le brande e i generi alimentari. Devo dirlo con schiettezza. Cioè, pur nel disastro, il comune di Pavia è stato attento a queste cose.
FA: A queste esigenze. Prima ha detto che lungo gli argini vi erano delle, diciamo delle postazioni antiaeree, delle mitragliatrici.
TM: Sì, sì.
FA: Erano, vi erano soldati italiani o tedeschi?TM: Italiani. Erano quelli della milizia fascista.
FA: Ah, le milizie.
TM: Io, noi li conoscevamo anche perché alcuni abitavano lì vicino. La milizia fascista eran della gente che, la miseria era tanta, l’occupazione era, andavano nella milizia, alcuni andavano per sopravvivere.
FA: Per sopravvivere.
TM: Perché poi portavano a casa il rancio che gli davano in caserma. Io avevo due amici di figli, erano figli di due fascisti che erano nella milizia. E han fatto delle piazzole che adesso nell’argine non si vedono più e hanno piazzato queste mitragliatrici. Noi andavamo là a vederle eh. Erano rivolte verso là.
FA: Verso là.
TM: Però ci hanno detto gli esperti che erano stati a fare il militare che queste mitragliatrici agli aerei americani non gli facevano nulla. Soltanto però qui in questo, più più a nord di questo rione c’era una postazione di antiaerea tedesca, quella lì sì era..
FA: Vicina al cimitero forse.
TM: No, dopo.
FA: Ah, più in là?
TM: Più in alto. Addirittura c’è, lì c’è stato un, c’è uno stele che ricorda un antifascista che è andato a parlamentare con i tedeschi il giorno della liberazione per evitare che, perché loro minacciavano di bombardare tutto, è andato lì a parlamentare con i tedeschi, l’hanno ucciso. C’è ancora lo stele lì, in Piazza, Piazza Fratelli Cervi.
FA: Ah.
TM: Sì. Beh volevo dire che sì, quello che m’ha chiesto lei sulle piazzole erano nell’argine che dal Borgo va al Canarazzo, che va a Carbonara al Ticino, c’erano le piazzole della [laughs]
FA: Ah.
TM: E poi dopo il bombardamento del Ponte della Libertà che chiamavano dell’Impero una arcata è stata centrata dagli aerei americani e han fatto, i tedeschi han fatto il traghetto, traghetto con dei barconi, traghettavano e traghettavano dopo il ponte della ferrovia che era crollato anche lui. E noi andavamo a vedere tutte queste robe qui. Eravamo ragazzi. Il giorno della liberazione eravamo lì. Vedevamo i vigili urbani con la fascia tricolore il 25 di aprile in bicicletta. La città oramai era praticamente in mano agli insorti. I tedeschi si riunivano nel Castello Visconteo d’accordo con le forze partigiane. I fascisti erano scappati, c’era ancora qualcuno che per esempio dalla centrale dell’università un fascista ha sparato, poi è stato preso. E noi abbiam vissuto anche quello, da ragazzi eravamo lì rischiando anche perché c’erano dei proiettili vaganti. Fino al 26 aprile quando sono arrivate le, proprio le formazioni partigiane dell’Oltrepò Pavese dirette. Che poi il professor Lombardi ha fatto un bel libro dove parlavano di queste cose, della missione che i partigiani dell’Oltrepò Pavese hanno fatto, a Dongo hanno, quando hanno catturato Benito Mussolini.
FA: Va bene.
TM: Io le ho vissute con l’entusiasmo dei quindic’anni e non ho mollato più.
FA: Eh sì, quindi eh, poi lei dopo quel il primo bombardamento diciamo che ha subito vi siete spostati a Travacò. Avete continuato ad avere notizie, a vedere i seguenti bombardamenti sul borgo?
TM: No, noi, mia mamma e mio papà venivano, io rimanevo a Travacò venivo naturalmente a vedere di recuperare le cose che c’erano sotto i bombardamenti. Devo tenere conto che mio nonno aveva una bella attività di lavoro. Intanto erano lavandai, lavava la, erano lavandai il nonno e la nonna, avevano i clienti che portavano la biancheria da lavare. E mio nonno aveva un torchio, lo chiamavamo un torchio, era una centrifuga per strizzare i, che poi è venuta la lavatrice, ma era questo enorme cilindro che girava per strizzare i panni delle lavandaie. Anche lì l’abbiamo perso, abbiamo perso cinque barche, abbiamo perso molte reti da pescatori, insomma siamo stati molto danneggiati, siamo rimasti. Poi mio papà si è dato da fare per, come tutti, ricostruirsi una vita, cominciato a fare il commerciante di frutta e verdura e così.
FA: Ha detto che suo papà lavorava dall’altra parte del Ticino.
TM: Lavorava dall’altra parte del Ticino che era la ditta Cercil. Era una ditta specializzata che i tedeschi non la trasferivano in Germania. L’hanno fatto lavorare in Italia. Mio papà era preoccupato perché molti operai specializzati venivano trasferiti in Germania a lavorare per l’industria bellica tedesca. Per fortuna quella fabbrica lì non è stata smontata e ha continuato a lavorare fino agli ultimi giorni di guerra lì. E per io papà era un bel rifugio oltre che posto di lavoro per vivere era, cioè tenuto conto che lui era considerato un sovversivo, come li chiamavano stato mandato al confino sei mesi perché cantavano il primo maggio all’osteria e per lui era una salvezza eh avere un posto di lavoro così. Aveva una tessera per poter fare i turni di notte perché c’era il coprifuoco. Dopo le nove e mezza di sera non si poteva più girare. Se ti prendevano senza documenti venivi fucilato. Io ho vissuto tutte queste robe qui. Andavamo al cinema alle sette di sera perché era l’ultimo spettacolo. Andavamo tutti al cinema per scaldarci perché non avevamo più niente da bruciare in casa. Mancava la legna, mancava tutto.
FA: E la fabbrica di suo papà non è mai stata toccata da nessun bombardamento, nessun danno?
TM: La fabbrica, no, la fabbrica di mio papà si trova vicinissimo il viale lungo il Ticino e si trovava in Via Della Rocchetta. Che adesso han fatto, in quel cortile lì, han fatto abitazioni civili ma era la fabbrica Cerliani che l’altra è più avanti è stata fatta qui al Chiozzo c’è una fabbrica Cerliani.
FA: E producevano?
TM: E producevano filiere, meccanica, meccanica fine, roba non so. Io non sono pratico, non sono mai entrato in una fabbrica. Era proprio. Parlava, papà parlava di ‘ho l’esonero’ cioè non sono esonerato a non andare in Germania con gli operai
FA: Certo.
TM: E perché smantellavano le fabbriche i tedeschi e trascinavano gente in Germania a lavorare. Molti non rientravano più. Beh, da quel punto di vista lì ci è andata bene.
FA: Voglio farle un’altra domanda. Nella zona intorno a casa sua e del borgo, c’erano dei rifugi antiaerei, c’erano?
TM: No, in borgo non c’erano rifugi antiaerei. Noi scappavamo, i boschi dietro a via Milazzo, ancora adesso, c’erano i boschi. C’è il bosco fino a verso Travacò e noi ci [unclear], intanto sì rispetto ai bombardamenti l’abbiam fatta franca però se mitragliavano il bosco non era tanto, ti prendevano. No, a Pavia c’erano delle case, dei palazzi con, io ci sono stato perché andavamo a scuola, con i rifugi antiaerei che con le bombe americane erano, pff! E perché hanno centrato il borgo? Il borgo l’hanno centrato per via del Ponte Vecchio. Perché, se guardiamo bene la mappa di Pavia, i primi due ponti a saltare per aria nettamente sono stati quello delle ferrovie e quello cosiddetto dell’Impero che è Viale della, che è quello della Libertà
FA: Libertà.
TM: Mentre invece il Ponte Vecchio proprio per essere coperto, dalle fotografie inglesi che hanno fatto non veniva fuori netto il ponte, per cui ecco perché la parte di Borgo Ticino ha avuto dei danni con le bombe. Che loro volevano centrare il Ponte Vecchio, l’hanno centrato ma non l’hanno fatto saltare in aria. Ponte Vecchio, quello preromano, quello romano pre spagnolo, non è mai andato giù nettamente come non gli altri ponti. Per cui, no, non c’erano rifugi antiaerei come li ho visti io, in città, nei palazzi, dove si andava in cantina e queste cantine erano sostenute da pali, da travi, sacchetti di sabbia, no, in borgo non c’era niente.
FA: Insomma, ci si doveva arrangiare.
TM: E’ stata una carneficina perché i morti sono stati tanti. Poi è saltata per aria, il bombardamento successivo, la parte della città dove, viale lungo il Ticino, cioè la Via Rezia, che è stata colpita a metà. Lì avevo la nonna e la zia che abitavano lì hanno perso la casa anche loro. Però essendo sui posti di lavoro in un’altra parte si son salvate.
FA: Ho capito. Ehm, lei ha parlato prima del suo rapporto, del rapporto della sua famiglia con quel soldato americano ecco. Nonostante, diciamo il fatto che foste stati bombardati, questo vi ha?
TM: Ah per noi, gli abbiamo accolti con perché poi c’era questa atmosfera, caro giovane. Un po’ i fascisti ironicamente li chiamavano liberatori, tra virgolette, no, ma erano per noi, pur nella disgrazia. La guerra intanto non l’abbiamo, non c’entran niente gli americani, la guerra l’ha voluto il fascismo, per cui, vabbè, la mia famiglia, ma come in tutte le famiglie di gente povera, eravamo ridotti talmente male che aspettavamo gli americani. E devo aggiungere per inciso che noi, in Via Strada Nuova c’è ancora una farmacia che si chiama Farmacia Tonello. Un bel giorno sono arrivati i poliziotti in borghese, sono andati dentro da questo farmacista anziano, adesso vanno avanti i nipoti, e l’hanno arrestato, lo abbiamo saputo dopo, perché ascoltava Radio Londra. Radio Londra, io l’ho sentita, perché mio papà si sintonizzava alla sera c’era questo colonello Stevens che diceva [hums the beginning of Beethoven’s 5th Symphony] ‘Qui è Londra che parla’. Parlava in perfetto italiano e ci, ci aggiornavano. Parlavano anche dell’Armata Rossa che stava avvicinandosi alla Germania e parlavano anche che loro ormai erano arrivati anche in Italia, erano sbarcato giù, sapevamo tutto. E hanno arrestato il farmacista Tonello perché l’hanno colto in flagrante mentre ascoltava Radio Londra.
FA: Radio Londra.
TM: Naturalmente dopo due o tre giorni l’hanno rilasciato, era un uomo vecchio. Anche questo episodio ho sentito. E sì, Radio Londra trasmette. E noi, quel giorno che è arrivato, come detto, questa jeep americana, si è fermata nel piazzale pieno di macerie, eh noi ragazzi eravamo tutti attorno, per noi gli americani, intanto per la prima volta vedevamo gli americani, vedevamo gli inglesi, no. Gli Inglesi avevano nel loro esercito, avevano anche gli indiani col turbante e gli americani, questo americano si chiamava Dino, mi ricordo, non mi va via più dalla mente e per noi, lui, io avevo quindic’anni, questo soldato americano avrà avuto ventidue, ventitre anni, era un ragazzo come noi quasi insomma. Ci ha riempiti di cioccolato. Non potete, voi adesso non potete immaginare la contentezza che aveva il popolo italiano pur nelle macerie, pur, molti morivano di fame eh, perché ho saputo dopo, gli ospedali si sono riempiti perché la gente non mangiava. Io ero considerato uno scheletro. Io mi sono sposato con la mia compagna qui che ero sotto peso. Era il 1957. Ne portavo ancora le conseguenze, del mangiare che non abbiamo fatto. Per cui, loro ci hanno buttato giù la casa ma per noi ci hanno liberato.
FA: OK. Dopo.
TM: Viva gli alleati!
FA: Dopo il bombardamento del 4, è, ehm è tornato su in borgo o?
TM: Certo [emphasises], ci vado quasi tutti i giorni. Ho ancora qualche amico ma il più è il posto e naturalmente il territorio di Travacò. [pause] Ogni martedì, con i due o tre amici che ho ancora, andiamo in un’osteria di Travacò, non tanto per mangiare, possiamo mangiare anche a casa no, ma tanto per trovarci.
FA: Ho capito. Ehm, può descriverci le devastazioni diciamo che ha subìto, le devastazioni che ha subìto il borgo?
TM: Dunque, prima di tutto io ho saputo, dopo, dopo quella mattina del quattro di settembre del ’44, siamo fuggiti, siamo fuggiti, siamo scappati, un po’ di qui, un po’ di là, come ho ricordato prima, a Travacò, ma i bombardamenti si sono susseguiti. C’è stato una carneficina perché poi la gente si spostava verso San Martino. Presente Via Dei Mille? E sono andati in un tunnel che attraversava la strada e questo tunnel è dalle parti di, via sempre di Via Dei Mille, all’altezza di Strada Persa. C’era questo tunnel e la gente, per loro era diventato un tunnel antiaereo. Molta gente è andato dentro in questo tunnel. Alcune bombe sono arrivate anche lì, ma non perché hanno saltato, hanno bucato la strada, una bomba è esplosa ai lati del tunnel, c’è stata una carneficina nel Borgo.
FA: Lo spostamento d’aria.
TM: Sì, il piazzale attuale del borgo è stato tutto distrutto, chi lo vede adesso vede le case recentissime, solo la parte sinistra andando in là dove c’era la farmacia erano rimaste le vecchie case, per il resto son tutte nuove. Abbiamo perso degli amici lì, molti amici, ci giocavamo assieme. Nel mio cortile ci son stati dodici morti di anziani e gente appena arrivata. Ma la parte centrale [emphasises] del Borgo Ticino, cioè all’imboccatura del ponte vecchio, che c’è il piazzale che si chiama Ferruccio Ghinaglia, lì ho perso quattro o cinque ragazzi della mia età, non ci sono più, son rimasti lì. Per cui il borgo è, c’è un monumento lungo il Ticino voluto da un mio carissimo amico che adesso non c’è più, Calvi Agostino, che continuiamo a raccontare un po’ di cose sul calendario della AVIS tutti gli anni raccontiamo qualcosa del borgo, tutto lì. Naturalmente la Via Milazzo è stata salvata, salvo [emphasis] il mio cortile. Il mio cortile è stato l’ultimo a essere colpito da quella parte lì. Tutta la parte che va giù verso il Ticino si è salvata. Purtroppo noi siamo scappati, io non ho fatto più ritorno fin quando i miei genitori han trovato casa in città e anche lì un po’ ho stretto amicizia con i giovani del paese e mi ricordo, mia mamma aspettava mia sorella, che è molto più giovane di me e andavamo naturalmente siccome vivevamo in una stanza unica, meno male, era una stanza sia per dormire che per mangiare per cui, mentre mio papà era al lavoro, io e mia mamma andavamo in un’osteria a prenderci il cibo già pronto che ci cucinava per noi. Era bello insomma, vivevamo tranquilli in quel paese lì, trovavamo più da mangiare che non prima perché la campagna, insomma se ti dai da fare insomma, se hai i mezzi eh, perché se non hai i mezzi non c’è niente.
FA: Lei l’ha visto Pippo?
TM: Pippo, Pippo bombardava di notte. Bastava accendere un fiammifero che magari ti colpiva. Proprio davanti al mio cortile, se posso darti del tu no? Il mio intervistatore, come ti chiami di nome?
FA: Filippo.
TM: Filippo, ecco, caro Filippo, vai a fare un giro dopo. All’inizio di Via Milazzo, c’è il numero 9, è il mio cortile.
FA: Ah.
TM: Che ancora qualche fuori [muro] perimetrale, ancora la vecchia casa ristrutturate, dentro è tutto nuovo, perché è saltato per aria. Lì era il posto dove con le barche partivano di notte per andare a pescare. Caricavano le reti, erano sempre sei barche eh. Perché non era come il mare. Gettavano le reti nel fiume ma tiravano stando a terra gli,
FA: Ah.
TM: Per cui avevano bisogno di tanta manodopera, no. E avevano una lanterna, una lanterna a petrolio. È arrivato Pippo, ha lanciato uno spezzone, ha ucciso un uomo che, con un papà di un mio amico. Pippo ha colpito anche l’imbarcadero che adesso c’è dove c’è il ristorante Bardelli?
Fa: Sì.
TM: Lì c’era l’imbarcadero Negri. Pippo ha colpito anche lì. E devo dire che in una giornata bellissima come quella di ieri, a Travacò ero, ritornavamo da Pavia, io, mia mamma e mio papà che eravamo stati in prefettura a prendere qualcosa, ci davano un po’ di sostentamento, tutto a piedi eh. C’era un ricognitore inglese, un bimotore, che era talmente basso che si vedevano le figure degli uomini che c’erano dentro nella carlinga. E a volo radente eh. Noi ci siamo, ah beh la paura era tanta perché mitragliavano. A Cava Manara hanno mitragliato un corteo funebre, hanno mitragliato proprio il carro funebre. E non so, erano convinti che era una manifestazione di fascisti [laughs] o di tedeschi, vabbè e noi, si aveva paura anche di questi aerei che poi risultava un ricognitore. Sono quelli che facevano le fotografie, sempre inglesi erano. E quel ricognitore me lo ricordo sempre, una bestia sopra di noi, abbiam visto le figure degli uomini perché il bimotore aveva la carlinga senza motore, i due motori erano, sì, mi ricordo anche questo.
FA: Li avete visti quindi distintamente.
TM: Sì, li abbiamo visti benissimo e ci siamo scansati, ci siamo buttati giù a lato, io, mia mamma e mio papà. Eh sì, poi io ho sempre avuto paura di, sono rimasto scioccato. Andavo a nascondermi nei fossi asciutti del Travacò, uscivo sempre, io avevo il terrore di stare in casa fino a quando poi mi è passato ed è finita la guerra [laughs].
FA: Ho capito. Senta le faccio una domanda che...
TM: Sono qua.
FA: C’entra diciamo relativamente meno con il discorso che stavamo facendo. Lei nel ’48 era già all’interno del Partito Comunista?
TM: Ero già all’interno, devo dire che nel Partito Comunista il giorno della liberazione erano il 40, 25-26, i partigiani sono arrivati il 26-27, naturalmente si ballava si, c’era una grande confusione anche, il, ho visto, han portato un carico di fascisti che hanno fucilato in Piazza d’Italia, era la mattina del primo maggio o due maggio. E io, come ragazzo, ho aiutato, ho detto: ’ cià, vedete in Corso Mazzini, venite, venite aiutarci’, c’era un carretto dallo studio dell’avvocato Sinforiani che poi è stato eletto senatore della Repubblica trasferito un sacco di roba, cartacea no, dentro nelle casse con questo carretto del fruttivendolo li abbiam portati in Broletto. Il Broletto, bel palazzo eh, è stato occupato sia dai comunisti che dai socialisti, primo piano i comunisti, secondo piano i socialisti. Io naturalmente sono andato lì e ho partecipato a questo trasloco di documenti da Corso Mazzini e da allora sono entrato al Broletto aiutando questi partigiani che portavano la roba lì, si è instaurata la federazione comunista. Da allora ho frequentato, perché mio papà è diventato ambulante con un banco fisso di frutta e verdura in piazza, proprio di fronte al Broletto per cui vivevo lì e non ho mollato più. E allora non era ancora rinata la Federazione Giovanile Comunista perché è rinata nel ’49, io ho partecipato alla costituzione perché ero lì. Nel partito comunista se non avevi sedici anni non ti prendevano
FA: Ah!
ed eri considerato membro candidato, io ho ancora i documenti, e dovevi essere presentato da tre persone adulte perché allora la maggiore età si aveva a ventuno anni. Ma nel partito ti prendevano a sedici anni come membro candidato e ti davano la tessera ma eri oggetto di indagini, da dove venivi, chi eri e. Questo è importante. E sì, l’ho avuta, ma nel ’46, nel ’45 no, ero lì senza tessera. Ma avevamo il Fronte della Gioventù, che era un’organizzazione nata nella resistenza fatta di giovani liberali cattolici, comunisti, socialisti, era il Fronte della Gioventù. E abbiamo occupato i locali della ex-GIL, che adesso c’è il comando vigili di Pavia,
FA: Ah, sì.
TM: Là dalla curva. Sì siamo andati lì, abbiamo organizzato anche la balera, facevamo ballare, dappertutto si faceva ballare allora. Poi naturalmente noi eravamo comunisti. E nel ’48 ho partecipato al, alla battaglia elettorale che, la battaglia elettorale era una roba, bisognerebbe parlarne bene di queste robe, era una battaglia con i manifesti che la Democrazia Cristiana ci batteva tutti. Andavano ad attaccare i manifesti anche sotto le grondaie per via che loro avevano le scale delle chiese, è importante!
FA: Quindi belle lunghe.
TM: Lunghissime, che noi non avevamo. Noi potevamo al limite arrivare a tre metri. E poi loro avevano più mezzi.
FA: Bene.
TM: Ho partecipato a questa battaglia. Mi ricordo che il primo, abbiamo fatto una roba che, una roba da giovani. Il partito comunista ha fatto un bellissimo manifesto ‘Quo Vadis, dove vai, o Signore?’ e l’abbiamo messo sotto il portone del vescovado nottetempo. Però siamo stati individuati ma non siamo stati presi in flagrante e poi dopo ce l’han fatta pagare per il lancio dei volantini nei cinema. Si andava in guardina una notte, a lanciare i volantini nei cinema non autorizzati [emphasises] ti beccavano, andavi in guardina fin domani mattina.
[Doorbell rings]
TM: Tonia, guarda un po’. E, bisogna ricordarle queste cose, ai manifesti,
Unknown speaker: Chi è?
TM: il partito mi mandava in questura a portare i manifesti, bisognava metter la marca da bollo e venivano listati.
TM: Chi è?Ormai ci pensa lei, eh.
Unknown speaker: La signora Casella
TM: Venivano listati, bisognava andare in questura, allora c’erano le marche da bollo. Poi il partito mi mandava senza essere funzionario andavo con la corriera che si chiamava la Lombarda a .Milano con i soldi nella borsa a prendere le tessere. Era dove c’è la Mediobanca a Milano c’era l’Alto Commissariato Altitalia che per tutta l’Italia settentrionale c’erano le tessere e i bollini del partito e bisognava andare là con i contanti e prendere, a fare i prelevamenti, mandavano me che avevo diciotto anni, diciannove anni. Poi sono diventato funzionario del partito. Poi ho smesso quando non ne potevo più. Non si mangiava perché il partito, sì esisteva la cifra dello stipendio ma che non vedevamo mai e fin quando ero solo tiravo ma poi dovevo sposarmi e ho dovuto, non uscire dal partito ma non fare più il funzionario, lavorare con mio papà a vendere la frutta e la verdura per poi andare in Comune a lavorare.
FA: Va bene.
TM: Altro, io sono sempre a disposizione.
FA: Va bene allora la ringraziamo per questa intervista.
TM: Che cognome hai?
FA: Andi.
TM: Anni?
FA: Andi.
TM: Andi. E Filippo.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Tullio Magnani
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Tullio Magnani remembers his wartime years in the Pavia province. Although his father was blacklisted as a subversive communist he did not have any trouble at school. He recounted his role as a young resistance helper smuggling food rationing coupons, while working as a shop boy for a well-known antifascist. Remembers being an eye-witness to the bombing of Milan from Pavia. Retells of a machine gun being set up by fascists on the Ticino river bank, which proved ineffective against allied aircraft. Mentions the strafing of a funeral procession at the Cava Manara municipality carried out by what was thought to be a spotter aircraft. Remembers 'Pippo' bombing at night and targeting the fishermens wharf. Stressing how, during the intense bombing and strafing of Pavia on 4 September when they lost everything, the local fascist authority of Travacò municipality was very helpful in providing them with cots, food and lodgings in a school. Mentions wartime episodes: people seeking refuge in a tunnel used as a makeshift shelter and the carnage that ensued from the bombing, a chemist being arrested for being caught red-handed listening to Radio London, how some driven by poverty and hunger, joined the fascist guards and resorted to going to the cinema before the curfew to find a warm place to stay. Explains how Pavia’s old bridge, unlike the other two which were hit, was not hit by the bombers because it was not clearly visible in the reconnaissance photographs taken from aircraft. Describes the celebrations at the end of the war and reflects on the duality of bombers / liberators. Remembers seeing for the first time an American soldier called Dino, who gave them a soap crate as a gift for washing his laundry. Mentions post war acts of revenge, his role in the local branch of the communist party, the 1948 general election, and how he did not get a job as a tax collector because of his political persuasion.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Filippo Andi
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-03-03
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:52:11 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AMagnaniT170303
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Po River Valley
Italy--Milan
Italy--Pavia
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1944-09-04
1948
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
anti-aircraft fire
bombing
childhood in wartime
home front
Pippo
Resistance
shelter
strafing
-
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7bd5f6ab34fcdd7a3037a24972643f55
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Raffin, Ettore
E Raffin
Ettore Raffin
Description
An account of the resource
This collection consists of one oral history interview with Ettore Raffin who recollects his wartime experiences in Cordenons.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-12-10
Publisher
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IBCC Digital Archive
Rights
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Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Raffin, E
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
MDB: Allora, buongiorno Ettore.
ER: ‘giorno.
MDB: Cominciamo oggi l’intervista per l’International Bomber Command.
ER: Adesso si parla, adesso si parla degli aerei inglesi.
MDB: Sì. Eh, cominciamo l’intervista per
ER: Io ti faccio presente adesso eh, ti spiego.
MDB: Sì, cominciamo l’intervista per l’International Bomber Command.
ER: La linea di ferroviaria
MDB: Sì.
ER: Che va da Mestre da Trieste era tutta così, un coso, e gli inglesi, di notte viaggiavano inglesi e stavano a, come si dice, a guardare, sì a guardare, a mitragliare e a mettere giù bombe sopra la ferrovia perché passavano i mezzi tedeschi, e di quello che mi ricordo così e si chiamava Pippo [emphasises] l’aereo. Era inglese. Viaggiava di notte. Era uno solo. E si davano il turno, si vede faceva certe ore poi e di nuovo un altro tutta la notte era così, protetta, no protetta, era, era, come si dice, quando, quando succedeva, quando vedevo una un coso, la ferrovia, treni correre pieno di militari o pieno di armamenti, loro venivano giù, ma solo, ma solo, e tutte le notti era questa cosa eh. Si chiamava Pippo questo aereo. Già si vede che aveva proprio il suo turno. Uno faceva non so quante ore poi un altro. Poi io te ne dico un’altra. Qui sopra il mio, nostro tetto qua, per giornate intere abbiamo visto gli aerei americani a squadriglie a sei per sei, eh. Succedeva che quando, succedeva che quando, succedeva che quando, uno si guastava allora non proseguiva perché questi aerei andavano tutti in Germania a bombardare. Qui non succedeva niente, qui viaggiavano a sei per sei e venivano, insomma portati dei caccia americani, no, le squadriglie, tutti, tutte si chiamavano fortezze volanti, ecco. E poi succedeva che qui non c’era niente, non c’era contraerea, però, neanche i tedeschi non avevano più tanti, tanto caccia da, portarci, portarsi dietro però era successo, succedeva invece che quando, con il viaggio lungo, perché questi venivano, adesso ti dico dove, di quello che si è saputo. Venivano da, aspetta, aspetta, aspetta un momento che, deve venirmi sai, dunque sì, sì, dall’Oceano Indiano, eh, sai dov’è l’Oceano Indiano? Ecco, sulle isole là, su quell’isola partivano da, tutti questi aerei, sai, ma per una giornata intera sai, eh, e sei per sei, poi succedeva però che col viaggio qualcuno si guastava, sì, o il motore o non so neanche, tornavano indietro e scaricavano le bombe. Però non hanno mai scaricato le bombe sui posti dove c’era abitazione, cercavano di sganciarle sui posti non si può dire che noi non ci ha fatto niente queste cose qua anzi noi dicevamo e ora che cominciamo a vedere gli americani, inglesi, eh? E come la stessa cosa ti dico e qua la scuola nostra avevamo e inglesi e quelli non possiamo dire niente noi, tutta brava gente. Ce n’erano di tutte le razze, sudafricane, neo, aspetta, indiane, Sudafrica, poi, sta’ attento, tutte intorno avevano le colonie, avevano, erano, poi c’avevano insieme i polacchi [cosacchi] anche e qui io ti posso una cosa dei polacchi questa che è stato un periodo che sono venuti i polacchi [cosacchi] qua, e avevano coi cavalli tutti i suoi mezzi e si sono fermati qua e poi sono andati su per San Quirino, forse sono stati mitragliati dai inglesi perché qua gli inglesi aveva più potere degli americani. Poi ti dico della base americana qua. Quando son stata liberata, prima sono venuti gli inglesi a liberarla, poi sono, poco tempo dopo sono arrivati gli americani. Gli americani hanno messo la base, la base aerea di Aviano. E noi possiamo, mai nessun contrasto con loro, sono stati smistati a fare il suo mestiere a noi ah sì anzi avevamo il piacere di vederli. Poi spiegavano questa cosa. Io vado avanti, così capiscono cosa vuol dire, quando abbiamo visto gli Americani inglesi siamo stati molto contenti.
MDB: E quando scattava l’allarme, cosa, cosa succedeva?
ER: Cosa?
MDB: Quando suonava l’allarme, la sirena d’allarme.
ER: Oh, non suonava l’allarme, guardi, niente.
MDB: No?
ER: No, perché qua non bombardavano. Venivano su dall’Adriatico, prima su dall’Oceano Indiano e andavano su, attraversavano l’Africa là, penso là, e poi venivano su la, imboccavano l’Adriatico e su diretti per l’Adriatico, sopra l’Adriatico, non c’era contraerea, non c’era niente e venivano su, e passavano e andavano su diritti su in Germania. Poi il ritorno non veniva giù di qua, andavano in Inghilterra, tornavano a caricarli di nuovo per bombardare, tornare indietro e bombardare. Perché la Germania era rimasta tutta a pezzi, eh!
MDB: Ehm, e prima della guerra, si ricorda cosa faceva, aveva fratelli, sorelle? I suoi genitori cosa facevano prima della guerra?
ER: Oh i miei genitori. Mio papà era in America, mia mamma era qua, abitava qua con le mie sorelle e mio fratello. Però mio fratello non è stato in guerra perché mio fratello, un anno prima che cominci la guerra è stato richiesto in Germania, perché faceva il falegname. Era a Friedrichshaven e là, è sempre stato là fino alla guerra. Ha sempre lavorato in Germania per i tedeschi. Poi quando è venuto indietro, è venuto indietro per la Francia, mio fratello. Però, come ti dico, altre cose. Io ho visto sai cosa anche. Che quando a Trieste, Trieste cercavano di lasciarlo agli slavi, agli iugoslavi. Ed è intervenuto perché il signor Churchill aveva proprio, come si dice, Trieste perché vada in mano agli iugoslavi. Invece sono, poi sono arrivati gli americani. Io ero a Pordenone che avevano messo i treni che venivano arrivavano e gli americani, gli americani hanno bloccato tutto e Trieste è rimasta italiana. Hai capito?
MDB: Ehm.
ER: Dimmi.
MDB: Cantavate qualche canzone, qualche, facevate qualche preghiera durante?
ER: No, no, non si usava qua.
MDB: Ehm, non so, ha qualche altra, si ricorda qualcos’altra, qualcos’altra da raccontarmi riguardo a?
ER: Io posso dire, quello che mi è successo a me.
MDB: Racconti pure.
ER: Dunque un giorno, eravamo quattro di noi, tre erano del ’25, io ero del ’26, era settembre, siamo andati su per la campagna, andavo a prender uva sai, su, dove c’era qualche vigneto. Sul ritorno, sull’incrocio della via maestra, quell’incrocio che è qua su sai, quando vai su verso Via Cervell, quell’incrocio, quando c’è quell’incrocio lì, poi vai su, vai su verso la campagna ma vai dai su vabbè, là succede torniamo indietro a piedi era di domenica [pause] siamo sulla strada, sull’incrocio, vediamo che la via maestra viene una camionetta col mitra, si col mitra, col mitra, colla mitragliatrice sopra coi tedeschi poi c’hann visto [Mimics orders shouted in German] la lingua non si capiva. Si sono fermati lì faceva adesso c’è un giardino lì, faceva angolo così, si sono messi là, sopra eran due quelli lì, uno l’han impiccato in piazza, il giorno dietro, e l’altro è stato ucciso su per Bicon, sai Bicon, sicché fermati solo ti giuro due di loro col mitra ci hann toccato armi non ce ne avevamo e hann detto ‘andate, andate pure’. Sicchè veniamo giù per la Via el Zervell quando siamo con quell’osteria là erano tutti che giocavano a carte. Siamo andati dentro scappate che sono i tedeschi che vanno a rastrellare e io sono andato, lasciato la borsa e sono andato a casa mia. Quando ero a casa mia io ho sentito [makes a machine gun noise] in piazza, adesso ho detto ‘ammazzano qualcheduno!’. Succede che quando, gli altri sono andati, sono i miei amici che eravamo assieme, sono andati ognuno per conto suo, io sono venuto a casa. Ho sentito [unclear] e la figlia, e succede perché dopo quella cosa che è successo dopo l’ho saputa da uno che era in Argentina con me, un mio paesano, che è scappato per poco, per poco. Perché è successo questo: hanno bloccato il cinema, una volta dal cinema in piazza c’era una mula davanti, era una folla, i cancelli erano tutti aperti e il cinema, erano dentro al cinema solo che arrivano i tedeschi e questa, sempre questa camionetta. E tutti cercano di scappare di qua, di là.
MDB: Ci fermiamo un attimo. Allora riprendiamo. Stava raccontando.
ER: Allora succede che questo. Che quando siamo, sì, io sono a casa mia e sento una mitragliata.
Unknown speaker: porta chiusa.
ER: Bene.
Unknown speaker: devo far el giro de qua, porta chiusa.
ER: Uno era, erano diversi partigiani dentro. Sicchè lui, questo qua che ti dico io, era scappato, e l’hanno preso, l’hanno messo sulla camionetta, assieme con quei due che avevano lì uccisi e anche lui dovevano ucciderlo perché avevano trovato la pistola. Questa me la raccontata lui. Sono rimasto quando me l’ha detto ‘lei non porta’. Arrivato lo hanno detto sicchè uno dei partigiani va di dietro per la via Nazzario Sauro con la bicicletta per andare ad avvertire altri partigiani che erano giu’ per cortina o giù di là. Questo quà prende la bicicletta, prende la strada per andare giù in cortina dentro il municipio. Quando in piazza erano lì con la camionetta han visto uno di corso in bicicletta, han cercato di sparargli, ma poi non han potuto perché c’era il municipio però di là era l’altro lato aperto. Quando lui è arrivato ha imboccato la strada per andare giù han cominciato [makes a machine gun noise] hann ucciso. Quello era un Raffin come mi chiamo io. E’ caduto nella canale, c’era la canaletta d’acqua, è caduto là. E così è successo. Hai capito, l’errore?
MDB: E se dovesse descrivere diciamo il periodo con qualche emozione, che cosa, che emozioni userebbe?
ER: Di che, di cosa, non ho capito, non capiso.
MDB: Se dovesse descrivere quel periodo con qualche emozione, tipo paura, tristezza, cosa userebbe?
ER: Sempre paura, caro, sempre paura.
Angela Piccin: Tanta paura, sempre.
ER: Sempre paura.
MDB: [unclear] Un giorno succede che le voci dicevano che sta avvenendo un rastrellamento, e la gioventù sai. Sicché bene mi dice la mia cugina che abitava di là ‘Ettore, ti dico io se c’è qualcuno la mattina presto’. Sai perche’ quando sei giovane, dorme di più la domenica, boh, niente. La domenica dietro, no, l’altra domenica, abbiamo detto, eravamo d’accordo col prete è siamo andati a dormire sopra la chiesa, abbiamo passato la notte là e poi torno indietro, niente.. Va bene, sai, la domenica dopo è successo che erano, son venute sicché mia cugina mi ha avvertito e io sono scappato. Sono andato da mia sorella che c’aveva, sopra il granaio aveva un, come una cameretta col, proprio col balcone e là, son rimasto là. Ma gli altri venivano non so, se c’era a casa mio padre, portavano via mio padre perché se non mi trovavano a me perché c’avevano una lista. E allora è andata liscia. E ho saputo della cosa qua, del, dei tedeschi in quella volta che è stato al cinema uno che mi ha detto, mi ha spiegato, mio paesano, che qua lui, lui era stato preso, sei stato fortunato ho detto perché ‘vara, perche’ era la pelle sicura eh!’ [unclear] Non era, non bisognava avere avvocati, non c’era niente da fare. Ah no.
MDB: Ha qualcos’altro da aggiungere, non so, vuole raccontare qualche altro aneddoto, che si ricorda?
ER: Eh sono quelle che cose, perché sì io non sono mai stato tanto, non andavo tanto in giro io. Perché meno che andavo in giro, eh! Perché dico anche una cosa. Quando sei giovane ti viene neanche la voglia di vedere quelle cose là, perché la prima cosa che mi ha, la prima, la principante è stato che io non andavo fuori di casa però ho sentito che è stato impiccato in piazza questo, ho detto a mia mamma ‘adesso io vado a vedere’ e sono andato di lì piano piano sul difuori e sulla curva la via si vedeva il municipio, si vedeva quello là appeso. E son venuto via perché ero, una roba, perché qua erano i fascisti. Però altra, ti dico un’altra cosa. Però anche i tedeschi, quelli che erano qua, quelli che erano qua alle scuole, per questi portavano rifornimenti sul fronte. Perché giù in Italia c’era il fronte, e quando, e questi loro non facevano niente a noi. E loro avevano un rifornimento del coso, del materiale doveva succedere in guerra. Però ti dico un’altra. Che sono rimasto male anche sai perché? Perché dove c’è il bar dietro al campanile, una volta c’era il consorzio agrario. Lo gestiva mio cognato. Senonché mio cognato un giorno mi dice ’Ettore, vien a darmi una mano’. Che là prendevano su, il girasole sai, io per girarlo, punto in bianco i balconi erano aperti e le scuole, tutto là, fuori da scuola erano due di guardia, due tedeschi, [unclear], viene giù di una piazza vestito da partigiano col mitra e con la bicicletta. Erano gli ultimi giorni della guerra, erano, sì, era per finire. Senonche’ questo qua viene giù, ti chiamano fuori tre di loro, sai, loro perché noi avevamo i balconi al piano terra perché eravamo lì davanti dalla scuola, l’hanno fatto prima gli hanno levato le armi che aveva e poi, sui locali che son di qua, l’han incantonato [?] e poi gli hanno sparato, tre di loro [makes a machine gun noise] è stata paura, caro, quello che mi ricordo. Non posso ricordarmi tutto, sai? Tante cose eh, tanti anni. L’ho detto: di queste qua non mi sono mai dimenticato. Anche degli aerei tutto. Io non ho mai visto tanti aerei come, mi davvero, ma facevano rumore assai, tutta la mattina. [pause] Ciò, andavano sei per sei sai, e tutti carichi eh. E gerano, le fortezze volanti, sono e sarebbero quelli che hanno messo la bomba atomica là in coso, in Giappone, sì, questi era, quel tipo qua, quel tipo qua, di quello che ho sentito. All’inizio era un po’ più grossi di queste. [unclear] Eh, dai caro mio!
AP: Gera una paura, paura per tutto!
ER: Le squadriglie, Madonna! E gera tuti quei aerei la! E sai, son tanti anni, non mi ricordo più tanto, tanti , io non, non mi son mai messo fuori di casa, mai! Io sono sempre stato chiuso qua, o da mia sorella che abitava in Via Nazario Sauro, sono sempre stato, hai capito? Di quello che so io, che perche loro.
AP: Perche quando c’e’ la guerra bisogna esser contenti.
ER: Noi si sapeva le cose, sai perché? Mio cognato aveva una, la radio. Era un portare [?] abbastanza buono. Mettiamo le onde corte e si prendeva London. Faceva tutto [hums the the first notes of Beethoven's 5th Symphony] era, loro ci spiegavano in italiano e se no Radio Mosca prendevamo. E sapevamo certe cose, anche del fronte, tutte ste cose. Quelle erano le cose che non si potevano sapere qua.
MDB: Bene, se non ha altro da aggiungere, io spengo il registratore. Non so, ha qualcos’altro ancora? Si ricorda ancora qualcosa?
ER: Se mi viene in mente, ti chiamo.
MDB: Va bene. Allora io spengo qui, la ringrazio per l’intervista.
ER: Sì.
MDB: E grazie di tutto.
Dublin Core
The Dublin Core metadata element set is common to all Omeka records, including items, files, and collections. For more information see, http://dublincore.org/documents/dces/.
Title
A name given to the resource
Interview with Ettore Raffin
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Ettore Raffin describes his early life in wartime Cordenons, his father being in America and his brother at Friedrichshafen. Remembers watching masses of aircraft heading north en route to targets in Germany. Maintains that bombers took off from bases in the Indian Ocean. Mentions the frightening presence of "Pippo" which bombed and strafed the nearby railway line. Stresses constant fear and recalls public executions, roundups and anti-partisan repression. Mentions occupation by Cossacks and remembers clandestine short wave radio listening to London and Moscow. Recalls the end of the war and highlights the multinational character of Allied occupation forces.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Marco Dalla Bona
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-12-10
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:23:07 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ARaffinE161210
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Cordenons
Publisher
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IBCC Digital Archive
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Civilian
bombing
childhood in wartime
fear
home front
Pippo
round-up
strafing
-
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Title
A name given to the resource
Di Blas, Guido and Bolletti, Ilario
Description
An account of the resource
This collection consists of a dual oral history interview with Guido Di Blas and Ilario Bolletti who recollects their wartime experiences in Monfalcone and surrounding areas.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Bolletti, I
diBlas, G
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-08-26
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Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
PC: Sono Pietro Comisso e sto per intervistare Di Blas Guido e Bolletti Ilario, per l’archivio digitale dell’International Bomber Command Center. Siamo a Monfalcone, è il 26 8 2016. Grazie Ilario e Guido per aver permesso questa intervista. Prima di cominciare vorrei farle alcune domande per essere sicuro che questa intervista venga registrata come desidera. Ilario, è d’accordo che la sua intervista venga conservata presso dall’Università di Lincoln, esclusivamente per scopi non commerciali, che l’Università di Lincoln ne abbia il copyright e infine essere liberamente accessibile in qualsiasi formato per mostre, attività di ricerca, istruzione e come risorsa online?
IB: Va bene.
PC: È d’accordo che il suo nome venga pubblicamente associato all’intervista?
IB: Va bene.
PC: È d’accordo ad essere fotografato per l’Archivio Digitale dell’International Bomber Command Center?
IB: Va bene.
PC: E Guido: è d’accordo che la sua intervista venga conservata presso dall’Università di Lincoln?
GDB: Sì, sì.
PC: È d’accordo che il suo nome venga pubblicamente associato all’intervista?
GDB: Sì, sì, sì.
PC: È d’accordo ad essere fotografato?
GDB: Sì, sì.
PC: Bene, possiamo cominciare. Raccontatemi il vostro più vecchio ricordo riguardante i bombardamenti aerei su Monfalcone? Comincia chi vuole, chi preferisce.
IB: Posso parlare?
PC: Prego, prego.
IB: Io ero a vedere di Delfo, non c’ho la data, si era a, ci hanno preso con una, detti di andare a questa festa invece doveva essere un, i fascisti facevano un, sì che era Delfo ma non era solo Delfo, dovevano fare.
GDB: Manifestazione.
IB: Una manifestazione sua, e in quell’epoca è venuto un bombardamento e spessonamento, dove eravamo lì e si scappava dove si poteva e io ho preso un, un legno in testa che sono corso fin a Monfalcone da una zia che aveva una cantina e fin a lì, fin a poi passato il bombardamento, e ho saputo dopo che erano più morti, basta.
PC: Mi diceva di una bambina, mi raccontava.
IB: Sì. Ero con, su un bunker chiuso che non, non era aperto, eravamo lì e era anche un tedesco, e una bambina ferita alla testa con, che dopo ho saputo che è morta [pause] questo tedesco l’ha, è andata a prendere e portarla sotto lì, dopo no ho saputo più niente perché siamo scappati via e così è finita questa cosa qua. Cosa vuoi sapere altro?
PC: Parli pur liberamente di quello che si ricorda, qualsiasi cosa.
IB: Eh. E della guerra che, una volta per esempio i pescatori, mia nonna vendeva pesse in piassa per pre, quando era la mafia del pesse, non poteva venderlo come lo vendi oggi, e veniva spartito mezzo chilo di sardine facendo la fila in mercato, non era come oggi che puoi andar comprare la, il pane con la tessera, tutte quelle cose lì. Ecco, basta. Guido, parla ti!
GDB: Allora, mi ricordo el bombardamento di San Giuseppe nel ’44, quando abitavamo sempre lì su per Borgo San Michele, questa casa popolare con cinquantasei famiglie, io avevo nove anni e mio fratello ne aveva due anni più di me, due anni e mezzo più di me, Mario che adesso è morto, con una gamba poliomelitica, e quando abbiamo sentito tutt’un momento di scoppi tremendi e siamo usciti da casa scappando via, il cielo era illuminato coi bengala come a giorno, un spettacolo che mi è rimasto impresso che no mai dimenticherò, ma una scena apocalittica: le fiamme e i scoppi delle bombe del cantiere, una cosa, una cosa, un bambino di nove anni vede così, mio fratello; allora mia mamma, siamo scappati lungo il canale, l’argine e ‘ndavamo verso il monte verso, verso
IB: ‘Ndo che iera le grotte.
GDB: Dove c’erano le queste nostre grotte, ‘vevamo scavato un paio di grotte lì, per nascondersi; e ‘lora mio fratello e mia madre ‘Forsa Mario corri, corri’, lui non poteva, lui rimaneva dietro e noi, mia mama, ‘na cosa, ‘na cosa tremenda, lui faceva fatica a correre, no, lui aveva undici anni, e insomma siamo arrivati a lì, ma, ma questa scena apocalittica che ho visto io mi rimarà sempre nel, nel mie occhi. Ecco ‘l bombardamento, e poi mi ricordo che era venuto anche mio nono del Friuli di Terzo d’Aquileia, era venuto vedere dopo, l’indomani, anche cos’è succeso, quanti morti, e mi ricordo che siamo ‘ndati in cantiere e nel vecchio teatrino della Marcelliana, io ho sbirciato, mio nonno è andato dentro, era ancora tutte le, i morti messi lungo per terra là erano così, una scena anche da non vedere, ma ho visto dalla porta così, no, e mio nonno è andato a vedere. Ecco, questo è un ricordo brutto. Un altro ricordo è lo scoppio, lo scoppio della galleria, anche quella volta mi sembra fosse stata l’alba, perché abbiamo sentito questo tremendo scoppio, noi abitavamo, ‘vevamo la camera dietro verso la ferrovia, de questo grande caseggiato, case popolare, e io mi sono affacciato alla finestra e ho visto queste fiamme di fuoco che uscivano dalla galleria, no, ma anche di quella scena mi è rimasta una scena tremenda. Un altro [sic] immagine tremenda che mi è rimasta scolpita come, come ragazzo, non a Monfalcone, ma a Terzo d’Aquileia, ‘na stazione dove abitavano i miei nonni materni. A Terzo d’Aquileia io e mio fratello sempre andavamo là per motivi anche di, per mangiare roba non, un po’ di terra così, e avevano lungo la ferrovia da Cervignano a Belvedere, i tedeschi da Cervignano portavano dei vagoni anche, deposito di benzina qualche volta, facevano queste piccole stazioni fuori, no, da Cervignano, ecco, e mi è capitato che io e mio fratello ecco, anche in estate, l’estate del ’44, anche questo fatto qui, sono una squadriglia di caccia inglesi Spitfire, quelli che, veloci.
IB: Mitragliaven, cacciabombardieri.
GDB: Ecco e son capitati io, io, sulla ferrovia che raccoglieva, c’era un piccolo fosso dall’altra lato, tre binari, e io ero in mezzo lì, e un operaio che lavorava nella ferrovia, e son capitati questi caccia in picchiata, e io ho visto il pilota con gli occhiali, no, che venivano giù in picchiata e mitragliava e lanciava queste bombe, 500 libbre mi sembra che erano, o 1000 libbre, e una è rimasta anche inesplosa che l’ho vista, e son cadute nel campo di mio nonno, vicino lì, che ha fatto queste buche. Ecco io mi domando perché, vedere noi, due bambini lì, questi piloti inglesi accanirsi a mitragliare. Ma cosa mitragliavano? Io ho visto il pilota sa’, gli Spitfire e [makes a wooshing sound]
IB: Eh ma la guerra era guerra.
GDB: Tremendo, tremendo! [emphasis] Sono quelle scene che adesso io immagino chi va coi bambini che vedono la guerra, oggigiorno, capisco cosa vuol dire. E prima di questo era successo sempre lì, ‘na notte, il famoso Pippo, ha sentito parlare di Pippo?
IB: Sì, sì.
GDB: Il bimotore che girava.
IB: Iera qua.
GDB: Io dormivo nella camera e ha lanciato sempre sulla stazione un paio, due bombe che sono esplose, che la camera, i vetri son saltati, [emphasis] ma un spavento, un spavento impressionante, ecco. Son quelle cose che non vanno via, che son, colpiscono e ti rendono la vita, capisci ‘desso cosa vuol dire quanta fatica questi bambini per arrivare adulti quante prove che la vita ci provoca, no.
IB: Quel del treno blindato.
GDB: E poi anche a casa mia, non era a casa mia mama.
IB: Sì.
GDB: Subito verso, verso la fine de la guera.
IB: [unclear] La fine de la guera, no, i giorni prima.
GDB: No, è passato un treno blindato, sempre una ferrovia lì, dalla rotta.
IB: I gà sparà verso de noi.
GDB: Ecco, e ha mitragliato anche la nostra casa lì.
IB: Sì, sì!
GDB: Hanno forato il muro.
IB: Mi, mi un scuro caduto giù e lui ha cacciato tutto dentro e ha preso il contatore de l’acqua.
GDB: De l’acqua.
IB: E l’è esploso nell’attacco fuori [unclear].
GDB: Il treno blindato che è passato è andato via fuori da lì, no. Poi altri ricordi, dei flash, le dico solo dei flash della mia, siccome che lì dov’è l’ospedale adesso c’erano sei, otto, batterie antiaeree tedesche erano lì.
IB: Sì, lì che sé l’ospedal.
GDB: E lì, ecco, lì.
IB: Sì. I gà tirà lì quei li, lui iera via, ier ‘ndati i sfolati lori.
GDB: In Friuli, ma ogni tanto venivo giù.
IB: E invece noi siamo stati lì noi, no gavemo né parenti né niente.
GDB: E quegli anni là, quando passavano ma centinaia di aerei, i B-29, formazione che ‘ndavano a bombardare in Germania, erano alti.
IB: I gà tirà giorno e notte.
GDB: E lori tiravano queste nuvolette, [mimics anti-aircraf fire].
IB: I ultimi tempi proprio.
GDB: Cadevano giù le schegge anche là da noi lì.
IB: Iera proprio i [unclear].
GDB: Ma ecco, anche quei lì, quante fortezze volanti che son passate là, e una volta una è stata colpita.
IB: Sì, e i paracadutisti i sé cascadi qua, no i sé ‘rivadi [unclear].
GDB: Un aereo tentava di atterrare là dei partigiani.
IB: [unclear] L’ha cercà ‘ndar là dei partigiani. Invece no i ga arivai, li gà ciapadi i tedeschi e i fassisti.
GDB: I mitragliava, mitragliava.
IB: I fassisti che iera coi tedeschi, no, parché dopo.
GDB: I repubblichini.
IB: Sì, i repu, i repubblicani. E iera un prete che ga ciapà, iera anche un nero, che noi no lo gavemo mai visto un nero, no.
GDB: Ecco quei ricordi, quei ricordi, sì, de, che dopo altre c, altre cose lì, era un misto, sempre [unclear], al paese di mio nonno, sempre verso la fine dela guera, che i tedeschi prima di fuggire son passati di San Martino, no, ‘l paese di San Martino, dopo Terzo lì, e lì son stati attaccati, hanno ‘vuto un attacco, lì qualcosa, gli hanno sparato, e loro per rappresaglia hanno tirato su un, anche ragazzi de sedici anni.
IB: Era un treno blindato lì?
GDB: No no, lì li hanno presi per queste, e li hanno fatto rappresaglia e li hanno portati sul fiume, l’argine, andando a Terzo si vede ancora la lapide, e li hanno uccisi lì, ecco. E io ho visto passare, dopo, l’indomani, su un carro coperto col fieno, e li portavano verso il cimitero queste salme mon, sul carro, ecco. Vedi, quelle scene così.
IB: Sì.
GDB: Ecco. Tutto questo da bambino, da bambino, ecco. Altre cose Ilario?
IB: Ehh no so.
PC: Ho la domanda per Ilario: si ricorda un po’ com’è stato questo spettacolo del mago Delfo? Che ne ho sentito parlare, mi interessa saperlo questo.
IB: Sì, sì sì, semo ‘ndai là ma no go mio rivudo a vedere gnente, parché sé vignuo subito, semo scampadi via mi con me fradel, g’avevo un fradel più piccolo che sé morto [background noise], e semo scampadi via subito parché bombe, roba, de tut no sé stae niente.
GDB: In mezo al bombardamento.
IB: Ierimo ‘ndadi là con quela de veder, e ierimo tutti muli l’è, za dodici, tredici anni, quattordici anni, credemo che sia chissà cossa.
PC: Guido, prima me parlava de, dela galleria-rigufio; la me racconti quello che succedeva dentro la galleria-rifugio.
GDB: Ehh, tutti, tutti quei che abitavamo non la galleria grande, quelle piccole che ‘vemo noi, quelli de l’accasamento cinquantasei famiglie, che ‘raamo lì e ‘ndavamo su queste piccole.
IB: Quando che iera la guera e sonava l’allarme se scappava, sì.
GDB: E allora lì, una aveva vicina, perché un vecchio, un signore che ‘veva fatto la guerra del ’15-’18.
IB: Sì la g’emo scavada noi sotto.
GDB: Ha detto ‘Qui dev’esser una’, e c’era una grande busata sotto lì, e abbiamo, era pulita e ‘nsomma era la più vicina che era lì ‘nsomma, no, era abbastanza lunga come da qua a là, no Ilario, così lunga iera.
IB: Ehhla iera bela e granda, iera due entrate, cussì, no.
GDB: Perché sotto l’Austria, fatte sotto l’Austria quelle lì.
IB: Sì, iera dela guera del ’15-’18, lu ‘l se ga ricordà che iera sotto lì e g’amo scavà, parché lì vicin iera anche la cusìna, se ricorde che iera quel calabusata là, quando che sogaimo lì che iera.
GDB: Sì, sì, sì.
IB: Parché iera in tera.
GDB: E dopo ‘l nostro, dighe come che te faseimo risolver ‘l problema della fame, ‘ndaimo in cerca de pani.
IB: ‘Ndaimo a balini, ‘ndaimo.
GDB: Schegge, balini, su per i monti, purtroppo la nostra infanzia è vissuta in mezzo a tanti pericoli, ecco.
IB: Tanta miseria.
PC: Te me parlavi de questa foto qua che, recuperavisi le muizioni epoi ‘ndavisi a vender.
IB: Sì, sì.
PC: Conteme de questa.
IB: Ah ecco, poi, ‘pena finì la guera qua metevimo, una sotto cussì e meteimo la, la granata di là, qua [unclear] cussì, e qua la vigniva zo coi ditti neri [laugh], parché la granata che iera davanti, no, [unclear].
GDB: [unclear].
IB: Iera da drìo, no, meteva tal canon e i la tirava, no, e meteimo una cussì e la, e la ve dopo andavimo a scola e vendeimo la balistite, ghe disemo ‘Pol impisar al fogo’, invesse i feva.
GDB: Sa cosa facevo lui a Checco, coi vasi del Sidol, c’erano gli spaghetti, i famosi spaghetti là, li metteva dentro e dopo gli dava fuoco co’ la miccia e li lanciava, abbiamo inventato i missili, vai là, li lanciavo [makes whoosing sound], spettacolo, ai ai ai, sempre in pericolo lui, lui scop, dighe co’ te scoppiavi.
IB: No ma quan, no iero mi, poi ga fat lori ma mi no saveo niente, i g’aveva mes un, un tubo, carico de balistite, ma i ga sbaglià, i ga mes fulminante, no, e invece de scoppiar pian.
GDB: Metter la miccia?
IB: L’è soppià subito.
GDB: Ecco.
IB: Mi come che ‘ndavo fora ‘vevo giusto la man fora.
GDB: Ecco.
IB: Un mese de ospedal ho fatto, ma i te tignìa.
GDB: E poi cosa si faceva anche, Iaio ? Quando io ‘ndavo a pescar el pesse sul canal.
IB: Cu l’eletrico, butaimo su che sé l’alta tension, e gaveimo i fili che i tedeschi gaveva lassà.
GDB: Dei rodoli.
IB: Dei telefoni, no, telefonici, e mettemo ‘na ncorretta e tiraimo su oltre, e dopo tiraimo il filo e restava ciapà.
GDB: Sull’alta tension tra l’altro.
IB: Sì ma alta tension, e tal canal cu la voliga.
GDB: Una voliga, poi i pessi.
IB: Poi i pessi, vigniva, poi insomma, l’è restà morteggià, e ne trovo su.
GDB: E lù che ‘l me fa [unclear] [laughs].
IB: No [laughs], che mona, al sé ‘nda par cior el pesse, no, fortuna che ghe go tirà.
GDB: Ciapà ‘na scarica eletrica.
IB: No, ghe go tirà via el filo, al se ga distacà, i la gà risparmiada perché, bagnada e quela corente là, no iera a ven, a duecento.
GDB: Lungo il canale dell’ospedale lì, no, fino a Ponte Bianco, là così, tutta ‘na percorso di fili, alta tensione, e loro, un gruppo di giovani nuotavano su in alto [unclear].
IB: E una volta i tedeschi i se ha ribaltà, parché lì i muli, sa, i ‘ndav co’ sti gommoni no
[background noise]
PC: Tornando sempre al discorso della galleria-rifugio, che me disessi, voi me g’avè dito che sé stadi dentro due o tre volte durante la guerra proprio.
IB: Sì.
GDB: Quando l’era l’allarme, l’allarme.
IB: Sì.
PC: Ve ricordé cosa faseva le persone che iera dentro, proprio fisicamente dentro nella galleria?
IB: Eh i stava lì, i spettava, perché tante volte vigniva il bombardamento, tante volte no, ma l’allarme sonava e dopo sonava el cessato allarme.
GDB: L’alarme e il cessato alarme, sì sonava.
PC: Perché la domanda che mi me fasso, un momento de grande tension comunque perché no te sa se la casa.
IB: No te sa come che sé, cossa che l’è sta fora, o, quando che te sé dentro là, là te spetave.
GDB: Eh l’era un brusio de rumori, così, certa gente che fiadava, e iera eh, immagini del flash della galleria, sì mi quele quatro volte che ‘ndava, che me trovavo vissin Monfalcon ‘ndavo lì, ma se no ‘ndaimo sempre sul nostro, su le nostre piccole grotte che veimo qua, no, verso lì, ecco.
IB: Sì, se se trovave là te dove corer dove che iera, siccome che mi g’avevo la nonna che vendeva pesse in piassa sercavo de ‘ndar a ciapar un do pessi; i sé restadi anca schisadi un due.
PC: Te me racconti de questo fatto?
IB: Parché iera dei, i meteva dele trave, perciò che no posse un andar davanti dei altri, no, e la fila iera cussi’, pien de gente, no, pa’ ‘ndar a cior al pesse, e quel pesse che iera fin a col iera dava un po’ par’omo, e i ne dava fora cussì, iera l’ammasso per il pesse, no, i doveva portarlo tutti là, e dopo i ghe dava quel che ghe lo pagò, come che i ghe lo pagava, ma la gente ‘lmeno magnava.
PC: Perché lei la me ga contado anche che nella galleria-rifugio sé stada gente che se ga schisado durante un’allarme.
IB: Sì, sì, ma no iero là eh, noi staimo qua ma, dopo il gorno, quando che te sa subito, no, che i sé stai morti, par scampar dentro, iera ‘l bombardamento, parché se sé l’allarme ti va dentro pian, ma se sé bombardamento chi pol più, pianse meno, no i se, e par ‘ndar dentro sull’imbocco i se ga copà, che dev’esse’ ‘na brutta roba.
PC: Sì, sì, sì g’avemo trovado.
IB: Ma no so quanti, no me ricordo.
GDB: Dighe, dighe quando che i vigniva i tedeschi a far rastrellamento in casa mia, anche lì.
IB: I vigniva spesso perché iera tanti giovani che.
GDB: Partigiani.
IB: Tutti ‘ndadi coi partigiani, di fatti coi dovea sal, far saltar al ponte là, iera stadi i nostri de qua, del casamento lì, parché iera Renso, Santo; e una volta i sé vignui far rastrellamento e lu ‘l sé corso a casa San, Renso Bevilacqua, dopo i sé.
GDB: Tanti i ‘ndava sotto, sotto sui casamenti, sotto, te ricorditu?
IB: Sì, sotto de un casamento g’avemo,.
GDB: Fondamenta.
IB: Quando che iera rastrellamenti, quei che i era a casa, parché se no i li portava in Germania, i scampava sotto in cantina, ma iera la cantina bassa cussì.
GDB: Iera una portisela.
IB: Iera una portela e i ‘ndava dentro, e i ‘ndava in fondo là, e g’avea fat par fin a, serà che i ‘ndava anca de sora da sotto; per esempio Lino,.
GDB: Sì, sì.
IB: Lino proprio quel che sé morto lo, alla.
PC: A Ornella.
IB: Sì a Ornella, al g’avea fat sotto.
GDB: Una botola, sì.
IB: Sotto, sotto.
GDB: La casa.
IB: La casa, quando iera i rastrellamenti i ‘ndava sotto, gavav ‘l cappello.
GDB: Ecco, tutte robe.
IB: Ehh.
PC: E quindi per finire il discorso della galleria-rifugio, dopo sé stada questa famosa esplosion.
IB: Sì.
PC: Racconteme cosa che sé successo, se conosseve.
IB: Ehh i ‘ndava dentro par cior sti bossoli de otton, e i sé ‘ndadi dentro, i era dentro cu’ le candele, cun roba cussì e sé sta, sfilse, iera batterie, roba cussì, no sarìa sta quel che l’è vignù.
GDB: So che i ‘ndava, i sé’ndai più de ‘na volta dentro là.
IB: Sì.
GDB: Che i ghe ‘ndava [unclear].
IB: Ehh i g’aveva ferai, de nume, de roba, o che se ga rot qualcossa, parché nissun no sa, parché no sé sta, quei che i iera fora no ga rivà.
GDB: Perché ‘l cugin de tuo papà doveva esser responsabile.
IB: Sì, parché ‘l cugin de mio papà iera una guardia comunale, e lu no’l doveva lassa ‘ndar dentro ma, par la pecunia.
GDB: Ecco.
IB: Sé sta cussì, quei anni iera altri anni, de miserie, i g’veva fioi.
PC: E che voi ricordé anca alcuni nomi de queste persone, magari.
GDB: Due mi conossevo: quel lì de Ornella, Lino.
IB: Sì.
GDB: Che abitavimo assieme lì.
IB: E mi quel puntignì (?).
GDB: E quel Bolletti lì, che sé, sé la fìa ancora qua, che l’è infermiera [unclear].
IB: Sì, do casa qua, proprio qua da drìo.
GDB: Ecco.
IB: Una, una sorella sé morta, una sé viva, le iera tre, e quella muta.
GDB: Ecco, però, però, sì, mi no, mi no me lo ricordo quel Bolletti lì, nome lo ricordo.
IB: Ma anca mi.
GDB: [unclear] i ga lassà tutto.
IB: Sì, so moglie, sì che somo sempre, ierimo insieme. Anca quei iera vignui qua, no zera stai caquella volta?
GDB: Dopo, dopo, sì; mi, mi son de origine proprio monfalconesi, e noi, che noi staimo al baracche (?) de [unclear].
IB: Mi go i miei bisnonni tutti morti qua.
GDB: Dopo sé baracche(?) de [unclear], che iera vissin l’ospedal vecio, dove poi.
IB: ‘Pena finia la guera, ussio da me mama (?).
GDB: Dopo che sé tornadi indrìo tutti i profughi, i ha delle baracche fatte, no.
IB: Sì le baracche [unclear] staimo tutti e due.
PC: De là del canal iera?
GDB: Verso Via Buonarrotti.
PC: Mmmm.
IB: La Via Buonarrotti, là che iera l’ospedal vecio, vicin.
GDB: L’Ostaria del Placido, i carboneri iera.
IB: Sì.
GDB: Ecco, e dopo de lì, noi del ’38 semo ‘ndai a abitar.
IB: Lì.
GDB: Su sto palazzo grande ‘ga fatto in memoria del Duce. Mi no go conossuo mio nonno paterno, mio nonno paterno iera Capo della Finanza sotto l’Austria, Giuseppe se ciamava.
IB: E invesse.
GDB:... e iera, i ga dito, i ‘veva le caserme [unclear], però i zera pochi finanzieri, pochi finanzieri, e chi [unclear].
IB: E invece mi.
GDB: La giurisdizione le stada fin a Pieris di Turiacco.
IB: Me bisnonno Facchinetti, no, al iera a caccia con Francesco Giuseppe.
GDB: Ecco.
IB: Parché lori i stava a in Sdobba.
GDB: Ah ecco.
IB: I stava a Grado, i Facchinetti i è de Grado, me nonna iera Facchinetti, e la me contava de so papà mia nonna.
GDB: E mi,e so bepi sul, ‘l beche pescador là ‘l me contava de mio nono, che mi no l’ho conssuo mio nonno, iera in Afghanistan, no.
IB: Sì, sì, ma anca mi quel.
GDB: Alora ‘l passava.
IB: To nono me contava me papà.
GDB: Lungo el canal Valentinis, che era gente che la ‘ndava a pescar o tognar là, e lui ghe diseva ‘No, no se pol star qua, dové ‘ndar lavorar’, perché iera tante fabbrichette a Monfalcon, e i ‘ndava là, ‘ndava a lavo, lavorar, i li mandava a lavorar sotto l’Austria.
IB: So nono ‘l iera de Grado, fin a Duin ‘l g’era.
GDB: Sì, sì, ‘veva un bel.
IB: Tocco de, de vardar insomma.
GDB: E dopo se.
IB: In quei anni, ma era prima dela guera.
GDB: E dopo mi g’vevo dei zii, che no go cono, qualchidun zia no go conossù, e l’era anca [unclear]
IB: Sì, ma to bisnona la iera lì cun ti.
GDB: Le cose che mi ricordo di mia nona, che mi con mia nona, nel ’42, quei anni lì, andaimo, ela no la podeva caminar, ‘ndaimo co’ la carrozza ongi mese a cior la pension de l’Austria in Banca d’Italia, se ‘ndava, quei anni lì; e perché poi mandava ben l’Austria, pagava ben i suoi ex, no.
PC: Mi g’avesse ancora una domanda per lei, Guido, [background noise] come la se sente a esser stado bersaglio de qualchidun?
GDB: Scioccante, sé un trauma che l’è dificile cancelar, perché sé, sé robe, par impossibile che certa gente ga de accanirse magari anche contro dei putei giovani cussì, perché iera una, una stazion così de, de, che fossì sta in piena guera, ma mitragliar, i te vedi sti piloti che i te mitraglia co’ sti, sti.
IB: Ehh iera guera.
GDB: Ma, ma, ma, chi, chi chi.
IB: Lori no i saveva cos’ che iera.
GDB: Eh va ben, ma veder sti piloti co’ sti ociai cussì, che i vignìa zo in picchiata, e queste bocche ‘ tututututu’, e sganciava le bombe lì. Mio nono, che ha fatto un otto, dieci buse perché confinava con la ferrovia, no.
IB: Ma te vedi anche ‘desso.
GDB: Mio nono, co’ la carriola, da solo, i le ga stropade, sa?, mio nono, pian pian, pian pian, pian pian, col badil, sa?, cola pala, ecco, la grande costanza.
IB: Sì ma anca quel sarà [inclear] stropà tut.
GDB: No, no iera le ruspe quel’anno, col tut va a ciapr su che iera, ste bombe, buse de, mi me ricordo, go vue ‘nche, ecco. E i miei nonni quando che s’era in fin i ga dito che, semo rivai casa, che semo toradi de ritorno.
IB: Te sa cos’ che iera.
GDB: I pensava che ierimo tut morti, completamente morti, perché tut quel disastro che iera.
IB: Noi qua a Monfalcon anca semo vissudi un poco rubando il sal alla Solvay, o sui cari, o sui treni, che se saltava sui treni a cior carbon quando che i se fermava qua al semafero, se butava zo carbon o, se iera quei de sal, se ‘ndava su coi sacchetti, se impiniva de sal e dopo te lo vendevi, te ‘ndavi a ciapar pa’ roba, par ciò che i te dai la farina, ai contadini, qua a Monfalcon no iera niente, alora se ‘ndava in Friul, là, cul sal e te vivevi cussì, no.
GDB: Vigniva le navi de sal al porto, e rimaneva sula banchina tanto sal, e i ‘ndeva.
IB: Sì, ma anche, ma noi ‘ndeimo anca de note, de note cu’ me nono, te ghe davi ai fassisti, te ghe davi un do lire,i te lassava ‘ndar dentro, te ‘ndavi in scogliera, te impinivi un sac e te portava un, do, tre sacchi e dopo te li mettea, noi g’eimo i casoni, no, al porto qua, a Porto Rosegai.
GDB: In Friuli ifa bisogno del sal, per copar i maiali.
IB: Sì eh, lori par copar i porchi, una roba o l’altra voleva ‘l sal, iera come l’oro ‘l sal, e lori no i dava roba de magnar.
GDB: Ecco, ora contando ste robe qua, attualmente, anche mi go i nipoti, ne go un de unidici anni, un de sei, ma no ghe interessa niente, no sé più una volta ‘lora disea ‘Fin che quando i noni non raccontano, no, e i giovani non ascoltano.
IB: Cossa seo [unclear].
GDB: Termina tutta la storia, no’, per questo son triste mi anche, vedo mi ormai go quela età che go, no go nessuna ambission de viver, sa? Dopo go anche un fìo disabile che, povero, che ‘l ga cinquantaquatro anni, sa, tanti anni ad accudirlo e a farghe tutto.
IB: Finimo?
GDB: Sì, ‘peta ‘desso che te concludo ‘l mio percorso, Dio, son rivà a questa età qua, che no go nissuna più prospettiva, neanche speranza in un futuro migliore perché vedo che ‘l mondo va, sta andando a rotoli, sa, no sé nissun, nissun, sé ingestibile ‘l mondo ormai, per questo, ecco. E mi ringrazio ‘l signor Pietro Comisso.
PC: Mi ve ringrazio a voi.
GDB: Sì.
PC: Che sé stada una intervista meravigliosa.
GDB: No.
PC: Mi ve ringrazio per la testimonianza e per le tante robe che me g’avé.
GDB: Dei piccoli aneddoti flash, ecco, della vita nostra.
PC: Ve ringrazio infinitamente.
IB: Ti tira fora quel, quel che te par ben.
GDB: Ecco.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Guido Di Blas and Ilario Bolletti
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Projectiles, Aerial
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Pietro Commisso
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-08-26
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Marco Dalla Bona
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:29:08 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Monfalcone
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ABollettiI-diBlasG160826
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Description
An account of the resource
Guido Di Blas and Ilario Bolletti recount wartime memories associated with the town of Monfalcone and the surrounding area. Describes a severe night of bombing stressing the ominous sight of target indicators and loud explosions; recalls the massive loss of life when local children who were gathered to watch a magician's show, found themselves under attack. Recounts the appalling sight of many corpses placed in improvised morgues. Describes local shelters, some being modified First World War structures. Recollects a bomber being shot down and the stir caused by the sight of a black airman; remembers the strafing of a railway station when the aircraft was so close he could clearly see the pilot. Mentions various wartime stories: conscription dodgers trying to escape roundups, reprisals, the ominous presence of "Pippo", and a German armoured train opening fire. Recollects how people tried to get by and circumvent rationing: electrical supply by tapping overhead power lines, pilfering supplies from goods trains, bribing Fascist officers to make them turn a blind eye, trading stolen salt for flour. Describes post-war hardships when they salvaged shell cases and metal splinters for their scrap value, and mentions improvised pyrotechnic devices made with explosives taken from live ammunition. Recalls people injured or killed by improper handling of live shells. Reflects on the legitimacy of attacking non-military targets and the feeling of hopelessness this created. In the photograph, Guido Di Blas is on the left and Ilario Bolletti is on the right.
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
bombing
childhood in wartime
fear
home front
perception of bombing war
Pippo
Resistance
round-up
shelter
strafing
target indicator
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/74/736/ABisioG-MascherpaT170308.1.mp3
337d6cd7833eb21a9f2125039c266f3c
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Bisio, Gabriella and Mascherpa, Teresa
Gabriella Bisio and Teresa Mascherpa
G Bisio and T Mascherpa
Description
An account of the resource
The collection consists of a dual oral history interview with Gabriella Bisio and and Teresa Mascherpa who recollect their wartime experiences in Pavia.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-03-08
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Mascherpa, T; Bisio, G
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
Sono Filippo Andi e sto per intervistare la signora Gabriella Bisio e la signora Teresa Mascherpa. Siamo a Pavia, è l’8 marzo 2017. Ringraziamo le signore per aver permesso quest’intervista. È inoltre presente all’intervista il signor Maggi. La sua intervista registrata diventerà parte dell’archivio digitale dell’International Bomber Command Centre, gestito dall’Università di Lincoln e finanziato dall’Heritage Lottery Fund. L’università s’impegna a preservarla, [background noise] l’Università s’impegna a preservarla e tutelarla secondo i termini stabiliti nel partnership agreement con l’International Bomber Command Centre. Signora Gabriella, vuole raccontarci la sua esperienza del periodo di guerra, insomma?
GB: Le racconto che all’età di sette, otto anni, nove, quelle che l’è, partivo da sola dalla casa perché ero terrorizzata dai bombardamenti e andavo in una cascina nei dintorni all’Acquanegra.
AM: Sì, infatti.
GB: la cascina dei grandi, partivo il mattino, tornavo la sera. Nessun sbuieva no in ca’ mia perché non si andava da nessuna parte. Niente, la fame perché ho mangiato anche il latte con le patate perché non c’era il pane, la fila per poter avere magari il pacchettino di sale perché e poi tutto quello che si vedeva perché ad esempio mio papà lavorava in una cartiera Burgo, non ha mai voluto prendere la tessera.
AM: Del fascio.
GB: dei fascisti così e combinazione vuole, doveva essere portato via, dove li portavano a. Il giorno che doveva essere portato via è stato il giorno che è finito tutto il trambusto della guerra. Spariti anche di lì. Poi mi ricordo che c’erano i tedeschi nel piazzale del borgo, Piazzale Ghinaglia e si stavano arrendendo perché oramai erano e uno della compagnia tedesca si è portato avanti con le mani alzate, è stato ucciso dai compagni dietro. Tutti ricordi non belli. Poi, non lo so, la vita [unclear] ah, non è finita lì. Ehm, cos’erano i fascisti, tedeschi, chi l’è cl’è can mis tut al rob li dentar?
TM: Quello lì era un momento.
GB: Delle guerre.
TM: Alla fine guerre quando si ritiravano i tedeschi. La mitragliatrice [unclear].
GB: Giù c’è una paninoteca, qui, qui, sempre stato e han portato tutti.
TM: Mitragliatrici qui davanti all’entrata perché passavano da là per la statale.
GB: Sì, e han messo tutti armi e bagaj per sparare se arrivavano i.
TM: Davanti a una casa.
GB: il mio suocero insomma si è fatto risenti ma niente fare, spaventi anche li. Voi dov’è che andavate a prendere il pane?
TM: A Robecco.
GB: Robecco.
TM: C’era il pane, c’era.
GB: Perché loro.
TM: In bicicletta.
GB: Erano in una situazione diversa un po’ dalla mia. [unclear] Tra le disgrazie, ma varda quas chi, ciapa da li, scapa da là. Ciumbia abbiam fatto la fame.
AM: Invece Zina cioè andava.
TM: No num ndavam [unclear].
AM: No andava da Robecco in bicicletta.
TM: In bicicletta. Per prendere il pane per una settimana. I micconi. Il pane non c’era.
GB: Poi ha nascosto anche gente, gh’era chi nascost Muzzo, tla cunüsat, tlè conosü.
AM: Nascondevano anche gente come, come quelli che la dicevano che andavano nella cascina e là loro si nascondevano.
I: [unclear]
AM: Perché allora non c’erano tutte queste case.
TM: No, no.
AM: Allora c’erano, erano in fondo al borgo c’erano.
GB: Al tempo dei partigiani.
AM: Ma quand i bumbardavan vialtar scapavat o no?
GB: [unclear] Antonio, io no. Io ero sempre in quella cascina lì. Ah no, ti dirò un’altra cosa. Che poi avevamo preso l’abitudine, quando suonava l’allarme, si andava in quel rifugio che c’è, prendeva giù dall’Acquanegra. Quel rifugio lì. Quel giorno là c’era l’esumazione di qualche parente nostro. E allora con mia mamma, Gigi e Giovanni siamo andati al cimitero. Han bombardato, proprio preso quel punto.
AM: Quella volta, che ti diceva Piero quando hanno preso la tomba che ha fatto 90 morti.
TM: Tomba [unclear]
GB: Han proprio preso quel punto lì.
TM: I bombardamenti più brutti sono stati per il ponte vecchio perché.
GB: Che sbagliavano.
TM: Il ponte della ferrovia [unclear] Due volte sono andati giù. Ma questi qui tutte le volte
AM: Sì, in più quello che diceva.
TM: E han bombardato [unclear].
GB: Sbagliavano le posizioni. E anche quella volta lì, allora c’era già la passerella. Gh’era giamò un quaicos ca’ quadreva no. Fatto sta che ricordo ancora la scena. Perché naturalmente mio papà era al lavoro. Sentendo tutto e sapendo, memore che magari si andava lì, guarda. Noi tornavamo.
TM: Quel bombardamento lì l’ha centrà e l’è ndai giù anca mes Burg.
GB: Noi tornavamo dal cimitero, ci siamo visti sul ponte, lui tornava dal borgo. Non so dirti la scena quando ci ha visti perché il pensiero da ved pü una famiglia, vedasla davanti Tu ti ricordi che.
FA: Quindi si ricorda quando hanno bombardato?
GB: Eh questo no. Quand’è che l’è stat fiöi?
TM: Hanno bombardato.
AM: No le date, cioè un mese.
GB: Sì, sì, sì. No, no, no, no. Eh, noi eravamo dalla parte opposta del cimitero.
AM: Eran dall’altra parte del Ticino.
GB: Lì è stato un disastro, che roba. Vedere portavano via i morti, i feriti, la maniera ch’ieran, con la barelle di legno. Bisognava. Scene strazianti addirittura. No, no, è stato.
AM: E vialtar quand i bumbardevan, vialtar, erano qua a duecento metri da [unclear].
GB: Sì, sì, sì.
TM: [unclear ]A guardà in alt par ved, perché per, qui c’erano i, si fermavano i pullman che con l’allarme si sono fermati qui. I bombardamenti sono andati tutti nel rifugio lì. E sono rimasti sotto.
GB: E sono rimasti sotto tutti.
AM: Comunque tu pensa che a distanza di tempo, adesso te lo dico, c’era lì della Carminuti no, che han trovato un cadavere che praticamente era stato sbalzato in aria, era caduto sopra il tetto, aveva sfondato il tetto e non se n’era accorto nessuno, dalla puzza han rinvenuto il cadavere.
GB: Un po’ dappertutto anche quei che era stai bumbardà ] non c’erano più integri, erano tutti
AM: A pezzi.
GB: Immagini. Che robe ch’è stat li.
FA: Quindi hanno bombardato un rifugio vicino al ponte?
AM: No, qua, qua avanti.
GB: A metà abbondante.
AM: Quattro, trecento metri indietro da qua, che era distante dal ponte perché avevano sbagliato.
FA: Perché avevano sbagliato, sì.
GB: A metà borgata.
TB: Siccome forse era, c’era una curva li, fasivan fatiga.
AM: Non tenevano conto del Ticino.
TM: Facevano fatica a centrarlo il ponte vecchio e l’hanno bombardato due o tre volte.
GB: E poi c’era Pippo. C’era Pippo che rompeva le scatole tutte le notti. Non so no un mo’ ades, qual’era la sua funzione, so no un mo’ ades. Tutte le notti girava.
TM: Però un paio di volte ha bombardato la cascina Lignazza li, perché ieran andai int i camp , le bombe.
AM: Lui se vedeva magari qualche movimento, qualche cosa così, lasciava una bomba.
GB: L’unica cosa è che quando si andava fuori per non essere proprio sotto le case, andavamo quei prati li sempre giù dl’Aquanegra e mia mamma, e mia mamma si portava dietro il paiolo per fare la polenta. Oh Madonna, da mettere in testa, così se magari succedeva che bombardavano, mitragliavano, almeno la testa era salva. Di quelle cose che adesso ci ride magari a raccontarle ma allora no.
FA: Quindi c’era grande, c’era forte paura insomma.
TM: Altrochè.
GB: Forte paura, altroché. Forte paura e poi c’era il terrore di tutto. Perché anche per i giovani. Perché poi io avevo due zii, fratelli di mio papà, che erano fascisti fascistoni [emphasis] proprio. Gente che facevano del bene eh. Infatti quando è finita la guerra, nessuno li ha insultati, nessuno, Perché allora loro vivevano dentro la caserma, sul viale, e davano da mangiare a tutti quelli che andavano a cercarlo. Poi avevo uno zio, fratello di mia mamma, contro completamente, Angelo. E quindi avevamo anche un po’ di.
AM: Ma Tunon l’era, Tunon.
GB: Eh.
AM: L’era parente de tu ziu.
GB: Tunon chi l’è? [unclear].
AM: Al papà ad.
GB: Manuela?
AM: No. Bosi.
GB: Quel Bosi l’era me ziu.
AM: Quel che lui l’è partì, lui è partito, era appena sposato.
GB: Sì.
AM: E sua moglie era incinta, l’han fatto prigioniero in Albania, no. Poi è andato a finire in Egitto, prigioniero in Egitto, è tornato nel ’46, che suo figlio quanti anni che aveva? Aveva sei o sette anni. Non aveva mai visto suo papà no?.
GB: No, ah, l’è, ti te dre parlà del Mino?
AM: Del Mino, sì.
GB: Ah, Tunon disevi Angelo [unclear]?
AM: No, perché al ciamevan Tunon so papà.
Gb: No è il papà del Mino.
AM: Sì, il papà del Mino se ciama.
GB: È suo sio Piero.
AM: Suo sio Piero.
GB: Tornato che era più lui, perché sentire quello che racconntava, lo mettevano su una scala ripide e po’ ag devan un punton e al la fevan borlà giù , lo faseva andar giù. Delle cose.
AM: Gli inglesi l’avevan catturato perché lui era partito addirittura prima della guerra.
GB: Sì, sì.
AM: Per la guerra d’Albania, no.
Gb: Sì, sì, è stato in Albania.
AM: E l’han fatto prigioniero in Albania. L’han fatto prigioniero in Albania, lui non è più, era il ’46, cioè non il, era il ’38, ’39, robe del genere. Lui non è più tornato, s’era perso, quando è partito era, s’era sposato da poco, no.
GB: Sì. Era partito che non era più lui. Lü giamò al la ciamevan Tunon.
AM: [unclear], perché sì.
GB. Povero.
GB: Ritorno, e poi mi ricordo un’altra scena che non so se può essere importante o no. Che un giorno hanno schierato Angelo, non ricordo il nome degli altri tre, davanti alla caserma dei carabinieri. E i fascisti dall’altra parte pronti ad ucciderli. E varda s’eri una fiületina propi giuina ca vadivi tut chi rob li. Poi non so come mai le cose son cambiate e insomma si son salvati.
FA: D’accordo.
AM: Che poi qua, diseva Piero, che chi g’era un pustament ad contraerea giù all’Acquanegra.
GB: Si altroché.
TM: Sì.
GB: Ma n’era dappertutto, Antonio. Dappertutto n’era.
AM: E sparavano ogni tant quai li?
GB: Si sentiva il botto dappertutto. Quand han trai giù, che han bombardà il ponte.
TM: Si qual li l’è stat, bombardamenti più... spaventoso.
AM: Però non sono mai sfollati perché abitavano già in fondo il borgo. Cioè scappavano nelle campagne e nelle cascine basta [unclear].
GB: Fuori che almeno le case non cadevano in testa, ecco.
FA: Eravate un po’ più lontani insomma.
GB: Ma si pensava a un fatto del genere invece. Eh lì c’è gente che han perso figli e non figli, in particolare in quel rifugio lì. Era l’unic ca’ gh’era chi in Burg in borgo.
AM: Grosso.
TM: Chi I pensavan ac l’era al püsè sicur.
Fa: E lei invece era da questa parte di qua del borgo, quando?
TM: Anche quello lì da questa parte ma è più in là, più vicino al ponte diciamo.
AM: Sì, no, le Gina quand i bumbardevan l’era da chi.
GB: Non si è mai mossa [laughs].
TM: No, ma anca li me cas fa ndevi in tla stra da la giu li nei campi.
FA: E l’ha visto? Che cosa si ricorda di quelle giornate, di quella giornata lì insomma?
GB: Eh, un trambusto che non finiva più.
TM: Mah, forse niente. Una visione che non si può descrivere.
GB: No, non si può descrivere.
TM: Perché non riesci ad abbassare la testa, guardat sempar in su , con la testa in giù guardi anca li [unclear].
GB: Vabbè che c’è gente che ha perso proprio tutta la famiglia, eh.
AM: Sì, ma le la diseva, vialtar guardevav I bomb ca’ nieva giù? .
GB: [unclear] Si s’eram propi chi, at ia vedevat a grapul chi nievan giù, proprio che scendevano [mimics sound].
TM: Mia mamma la scappava magari in casa. La gneva no föra la steva in ca’ e mi s’eri li a guardà, ne mur ne nient e specie quas chi il Ponte dell’Impero è andato giù.
AM: Ma quel che ha bombardà la tombina, vialtar iv vust la nivula, av ricurdè subit o no?
GB: Io non le ho viste perché non ero in borgo.
TM: No guardevi propi püsè in la dal pont proprio che sei in là adesso.
AM: Quindi anche loro non se ne sono resi conto subito.
[background noise]
GB: Aveva dei lati comici magari anche.
FA: Quindi insomma una grande confusione. Non si riesce a descrivere.
TM: A descrivere non riesco.
GB: No. Io l’unica cosa che mi ricordo è che tornando dal cimitero tutte sti barelle, sul coso che li portavano non si sa dove, morti, non morti.
FA: Quindi è arrivata insomma dopo che era successo, ecco.
AM: E anche lei che era qua non si è resa conto subito, vedeva venire giù le bombe.
TM: Polvere, fumo, perché po anca frequenti le bombe, una da dre a l’altra.
Gb: Un grappolo, un altro grappolo, venivan giù, me delle.
TM: Più brutto è stato questo qui, il ponte vecchio. L’altro.
GB: Ma hanno sbagliato un paio di volte a prenderlo.
TM: Oh, quas chi si.
GB: Eh! Il ponte dell’impero era più vivo, era più.
TM: Ponte delle ferrovie, il primo bombardamento.
AM: È andato giù.
TM: Quello dell’impero, due volte son venuti per.
GB: Ma chi più sè?
TM: E chi ien gni tre o quattre volte. L’ultima volta, un disastro.
GB: Disastro generale.
TM: Perché forse gh’evam un età che capivam un po’.
AM: Si capiva propi no un mo’ ben.
TM: In che manera l’era.
Gb: Ti dico che mi a vundes ann l’era finì la guerra. Unidici anni.
GB: Anche se po’ ghe gent che as ie fai i danè.
AM: [unclear]
GB: Eh?
AM: Lo diseva anche Piero [laughs].
GB: Poi c’è gente che.
TM: Quando è finita la guerra han fat i Carneval.
GB: Sì.
TM: Andà in gir con una gabbia con dentar i.
GB: La storia [clears throat] a quan ievan impost da met, i due palloni in alto.
TM: Qual li l’è prima l’è il Duce, quando l’è passà il Duce, ha fatto l’inaugurazione dela Lupa .
GB: Ah d’la casa dla Lupa . E hanno imposto a mio suocero di abbellire un po’ la casa perché passava di qua. E l’abbellimento l’è stato. Ma.
TM: C’era, era metà che sembrava un gabinetto, un servizio. Allora l’hanno dovuto allungarlo, fare una specie di terrazzo con i palloncini di sopra perché passava il Duce . Ma è prima della guerra. [pause]
GB: Avete voi qualche domanda da fare? Dai, iutes.
FA: Vabbe’ quindi allora quello è stato il primo bombardamento. Invece dei bombardamenti che sono venuti dopo? Ne avete visto qualcuno?
AM: No. Noi.
GB: Quello lì.
AM: Ma loro hanno visto quelli del ponte, scappavano poi dopo.
TM: Sì, sì, del ponte là e basta. Am ricordi nanca se ien gnu a bumbardà.
AM: No, ma quelli ien quei del ponte, po g’era Pippo, gli altri.
TM: Gh’era Pippo cl’era sempar in gir.
GB: All’inisi dal Burg a bas l’è ndai giù anca lü.
AM: Sì, sì, sì, là del teatro Bordoni, la cooperativa.
GB: Andà giù tut.
AM: Eh ma il burg, fino a quasi alla chiesa l’èra andà giù tutti, Indè ca gh’era Gavassi al gh’eva al deposit di strass che è bruciato, è andato a bruciare avanti non so per quanti giorni perché lì c’era il deposito degli stracci, c’era uno che faceva proprio la raccolta degli stracci.
GB: Inde ca gl’aviva?
AM: Li atacà ai scol
TM: Ma li l’è indè ca stava , ma lu l’era chi da Sfross.
GB: Dopu atacà.
TM: chi nde gh’era l’edicula.
Gb: Ma lè ndai subit li?
AM: No li gh’è ndai dopu, Sì perché lu andava lì dove se i scole.
TM: Ah li ghe ndai dopu la guera?
AM: I la che stava lu con la ca’ Che lì l’è andai avanti a brusa non so per quanto tempo perché alcune bombe, cioè, non è che le bombe han colpito la chiesa, sono arrivate vicino alla chiesa, perché era caduto anche un pezzo di navata della chiesa.
TM: E sempre nel bombardamento per il ponte.
AM: Sempre per il ponte. C’era, sempre una di quelle volte che hanno sbagliato a bombardare perché non hanno sbagliato, cioè hanno sbagliato diverse volte. Cioè, il massimo è stato quando hanno sbagliato che hanno preso la Tombina che proprio erano fuori però altre volte, sempre per il discorso della curva, loro sbagliavano e beccavano il borgo, le case del borgo. Una volta hanno beccato anche le case appena fuori dal ponte città vecchia. Han beccato anche lì, dove adesso c’è la cremeria e così, no. Una volta hanno sbagliato perché probabilmente sono stati più di là e hanno buttato giù le case anche di là, dove adesso hanno costruito tutte quelle case nuove.
GB: si perché il ponte lo han rifatto.
GB: Ma non come prima [unclear], Prima era più curvo e adesso.
AM: Sì, l’hanno fatto un po’ più in giù.
TM: L’han spustà, l’han spustà.
GB: Perché lì nel piazzale c’erano gli alberghi, di Ferrari, gh’era tut.
TM: Al ciclista atacà al pont.
GB: Andàt giu tut.
TM: Antonio, l’ha vüst no nanca lü [unclear].
AM: No abbiamo visto in fotografie e senti quei c’am cuntan ialtar.
GB: Antonio l’è giuin eh dai.
AM: Che me contava mio ziu, me contava mio papà.
GB: Antonio da chi a dü dì al cumpisa no ottantaquattr’anni. [laughs]
AM: [laughs]
GB: [laughs] Te capì?
AM: Sì, sì, sì.
FA: Va bene.
GB: Basta così?
FA: Va bene.
GB: Mi dispiace che forse anche un po’ l’età che non siamo più.
FA: Ci mancherebbe.
TM: Non ci ricordiamo più.
FA: Ci mancherebbe. Va bene, vi ringraziamo allora per questa intervista.
GB: Facciamo il caffé?
Dublin Core
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Description
An account of the resource
Gabriella Bisio and Teresa Mascherpa recollect the bombing of Pavia and give a vivid description of its immediate aftermath. They describe food shortages, resorting to eating potatoes with milk and queuing up for a portion of salt. Gabriella emphasises how her father refused to join the fascist party and how the war ended the day he was about to be deported. They recount various wartime episodes: a German soldier in the act of surrendering being shot in the back by his comrades, harrowing scenes of bodies carried away on wooden stretchers, and acts of kindness by fascist relatives, 'Pippo' bombing at night, anti-aircraft batteries positioned in the city and the accidental bombing of a church and houses near the old bridge which was the actual target.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Filippo Andi
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-03-08
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:18:48 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ABisioG-MascherpaT170308
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Po River Valley
Italy--Pavia
Title
A name given to the resource
Interview with Gabriella Bisio and Teresa Mascherpa
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
anti-aircraft fire
bombing
childhood in wartime
home front
Pippo
shelter
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/75/741/AVischiS160806.2.mp3
f146537cebbc4a26a77c5a7cf3a43149
Dublin Core
The Dublin Core metadata element set is common to all Omeka records, including items, files, and collections. For more information see, http://dublincore.org/documents/dces/.
Title
A name given to the resource
Vischi, Stefania
Description
An account of the resource
One oral history interview with Stefania Vischi who recollects wartime experiences in the Monfalcone area.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-08-06
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
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Vischi, S
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PC: Sono Pietro Comisso e sto per intervistare Vischi Silvana, per l’archivio digitale dell’International Bomber Command Center. Siamo a Monfalcone, è il 6 agosto 2016. Grazie Silvana per aver permesso questa intervista. Sono presenti all’intervista Pietro Comisso e Andrea Ferlettich. Prima di cominciare vorrei farle alcune domande per essere sicuro che questa intervista venga registrata come desidera. È d’accordo che la sua intervista venga conservata presso dall’Università di Lincoln, esclusivamente per scopi non commerciali, che l’Università di Lincoln ne abbia il copyright e infine essere liberamente accessibile in qualsiasi formato per mostre, attività di ricerca, istruzione e come risorsa online?
SV: Sì.
PC: È d’accordo che il suo nome venga pubblicamente associato all’intervista?
SV: No me ricordo più, no.
PC: No, sì, sì, sì.
SV: Sì.
PC: È d’accordo ad essere fotografato per l’Archivio Digitale dell’International Bomber Command Center?
SV: No.
PC: Bene. Grazie, possiamo cominciare.
SV: Il ricordo che più sento dentro di me è quando passava Pippo: era un aereo piccolo ma quando arrivava faceva un frastuono che tremavano i vetri, le porte, e lì veramente era una paura tremenda, sia mia che dei miei genitori. Poi quando ripartiva, che se lo sentiva passare, era tutto silenzio. È questo proprio che mie è rimasto dentro, questo terrore addirittura, perché era veramente tremendo. Poi, passando i giorni, passando il tempo, continuavano a bombardare e io andavo al rifugio, i, mio padre mi accompagnava al rifugio e per portarmi lì mi preparavano una pentola con qualcosa dentro e io rimanevo tutto il giorno lì al rifugio, da bambina perché avevo sette, otto anni più o meno, e alla sera mio padre veniva a prendermi. Comunque è stata una vita di, di paura, di tremore, non si poteva uscire, e mi ricordo che alla sera, quando ci si chiudeva dentro, bisognava spegner tutte le luci e con una piccola candela avere questa, questo era tutto, il centro di tutto, no. Ti dirò che qualche volta si mangiava qualche volta no, questo non è importante, però mi ricordo di sentire fuori dei passi pesanti, come camminasse, non so, una squadra di persone, quella volta non sapevo cos’erano, dopo l’ho saputo, comunque continuando questo sistema, questo, ho capito che erano, che li chiamavano fascisti. Poi , andando ‘vanti col tempo le cose si sono un po’ calmate, però c’era sempre quest’ansia: non potevi uscire, non potevi, stare attento a tutto, dovei stare attento. Mi ricordo che quando, vicino a casa mia c’era una specie di canale, sai, la fame è una cosa chi l’ha provata che da bambina non è facile, e io attraversavo questo canale coi piedi nell’acqua e di là della rete c’erano dei militari: io penso inglesi, però. Comunque c’era uno, due che mi chiamavano, no, ‘Vieni, vieni bambina’ mi dicevano; io mi ricordo che mi davano la cioccolata e con questa si andava avanti anche due giorni come, come mangiare, no, però mi mandavano a casa, dice ‘Via, via’, ‘Casa, casa’ dicevano, e io ritornavo a casa; sia io, mia mamma e mio papà si può dire che avevamo qualcosa da mangiare, no, anche con due cioccolate: questo non lo dimenticherò mai. Perché vedi, ci sono delle persone che fanno del male ma nel stesso gruppo ci sono anche persone che fanno del bene, e questi erano le persone che mi hanno aiutato. Poi andando avanti nel tempo si erano, eravamo tutti quanti come sottoposti a una pressione di paura e ti dico che veramente queste bombe, [mimics explosions], in continuazione, più di notte, quasi di giorno qualche volta, e questo era veramente tremendo. Quello che ricordo, il mio ricordo sono le persone, le paure, i pianti di bambini, non si può dimenticar queste cose, non è una cosa facile; poi potevi uscire pochissimo. Mi ricordo che per prendere un chilo di polenta andavo a piedi fino a Turriaco, da bambina, mandavano i bambini perché gli adulti se no. Io devo dire grazie al Signore perché non mi è mai successo niente da bambina, camminavo co’ sta roba e si mangiava quei otto, dieci giorni che c’era: non è stato facile. Ci sono tante cose che in questo momento non riesco a ricordare, blocca.
PC: Lei prima mi parlava di Pippo.
SV: Sì, hai bloccato?
PC: Mmmh.
SV: Io parlo, poi ti arrangi. Allora, cosa. Sì, questo aeroplano era, veniva come un, lo sentivi già da lontano perché era forte, era potente, non so spiegarti bene, però quando arrivava lì [mimics loud aircraft noise], sentivi proprio una cosa pazzesca, però sinceramente non ricordo bene chi era, cioè, a parte che quella volta, sette, otto anni non è che vai a leggere l’aereo che cos’è, no, però veramente spaventava tutti; ma era così potente, come te l’ho già detto, che tremavano i vetri della casa veramente forte, e questo portava veramente tanto spavento nelle persone. Però una cosa posso dirla: tra noi c’era tanta comprensione, parlo di noi di gente che incontravi al rifugio, incontravi per strada quando si poteva, c’era più unione. Eh, quello che forse adesso manca.
PC: Lei mi parlava appunto nel, del rifugio…
SV: Sì.
PC: Cosa, cosa succedeva nel rifugio?
SV: Allora, si entrava da un piccolo buco, sai già, e lì eravamo giovani, vecchi, anziani, donne, donne incinte, anzi una mi, ha partorito nel rifugio con l’aiuto di tutti; c’era tanta unità, dividevi le cose anche, no, quello che portavo io, quello che portava l’altro [background noise], però stavamo lì tutto il giorno fino a notte inoltrata, veramente. No no era, c’è il male perché la guerra è male, ma c’era anche quell’unione di bene , di volersi bene, di aiutarsi, di stare assieme; ‘l spavento più grande, te lo dico, è stato veramente i, come si chiamano, i fascisti: quanta paura c’hanno messo addosso, quanta paura! Bussavano le porte, le finestre, non si sa il perché, tiravano fuori gente da casa, io come ti dico, gli urli sentivo, non ho visto personalmente, però gli urli, quelli non li dimentico mai, difatti come sto parlando mi viene un magone, perché piccola ma ricordo queste cose, e poi. Fermiamoci un momento. E così insomma, questa è la storia. Ci sono anche altre cose che forse adesso mi, non mi riaffiorano, debbo vedere qualche foto, qualcosa, non, che non ricordo bene, ma.
PC: Faccio ancora un’ultimissima domanda.
SV: Sì, fame.
PC: Riguarda questi ricordi qua: su quegli anni lì, poi con il passare degli anni, la sua, cos’è rimasto nella sua, nella sua memoria come, quello che è più legato a quegli anni lì proprio?
SV: Sinceramente, proprio sincero: quando mi ma, mi davano la cioccolata e mi mandavano a casa, [background noise] che dovevo correre subito a casa perché non succedesse qualcosa, diciamo, so che, perché se parliamo del male te l’ho già detto sono i fascisti, quello è stato proprio veramente brutto, come bene mi ricordo quello lì e soprattutto le persone, l’amore che c’era tra uno e l’altro, non lo dimenticherò mai: giovani, vecchi, bambini, grandi e piccoli, c’era un’unione perfetta, proprio cercavi il bene, no, cercavi il bene, sì.
PC: Quindi c’era una so, un senso di solidarietà all’interno.
SV: Molto forte, molto forte, sì sì. Specialmente nel rifugio perché stavi lì tutto il giorno, con tanti problemi che c’erano perché sai, un’intera giornata fino a sera nascosta lì sentivi il tremolio anche, sai quanto buttano le bombe [mimics explosions], tremava un po’ il rifugio però reggeva bene perché è stato fatto molto bene, sì. E così, questo per il momento, non mi viene. Poi ti dirò un’altra cosa che forse non, quando verso, no alla fine del, l’ultimo giorno della guera, l’ultimissimo, io avevo, lui lo sa, Geo Gastone, il fratello di mia mamma, era un, era nel, come si dice, quello d’avan, d’assalto, che andavano avanti, come si chiama, o Signore!
PC: Battaglione d’assalto.
SV: Bravo! Grazie. Battaglione d’assalto, lui era sempre in prima fila, sia per la sua caratteristica che era sempre tutto veloce nelle sue cose, finalmente si ritorna a casa , no, come tutti, e stava attraversando la piazza, da un campanile gli hanno sparato in testa, ‘na pallottola dum dum, sai cos’è no?, e lì è morto, ventotto anni. E anche quello mi ha fatto soffrire perché vedevi i miei nonni disperati, piangere. Ehhh, così la vita, no, combatti tanto poi torni a casa e l’ultimo giorno, l’ultimo momento, era questo cecchino che l’ha, sì che forse non c’entra poi vedrai tu come aggiustare, sono affari tuoi. Per il momento è così, non saprei cosa dirti.
PC: Signora io la ringrazio, è stata un’intervista bellissima.
SV: Comunque sincera eh!
PC: La ringrazio.
SV: Tutto quello che ti ho detto è verità pura.
PC: Grazie infinitamente.
SV: Sì.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Stefania Vischi
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Stefania Vischi recalls her wartime life in the Monfalcone area. Stresses how she spent long hours alone inside a shelter, frightened by explosions and tremors. Contrasts the horror of being at the receiving end of the bombing war and the strong community spirit among the population. Mentions food shortages, the threatening presence of "Pippo" and the shock of fascists round-ups. Recalls a relative who was killed the last day of war and speaks with gratitude of Allied troops who gave her chocolate, which she shared with her malnourished family.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Pietro Commisso
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Marco Dalla Bona
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:12:48 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AvischiS160806
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Turriaco
Italy--Monfalcone
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-08-06
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
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Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
bombing
childhood in wartime
fear
home front
perception of bombing war
Pippo
round-up
shelter
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/77/743/ABianchiM170912.2.mp3
940260dfe1038700f8c517f3d4264697
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Bianchi, Marisa
Marisa Bianchi
M Bianchi
Description
An account of the resource
One oral history interview with Marisa Bianchi who recollects her wartime experiences in Sesso and in the Reggio Emilia area.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-09-12
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
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An unambiguous reference to the resource within a given context
Bianchi, M
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
FC: Questa intervista è condotta per l’International Bomber Command Centre. L’intervistato è Marisa Bianchi. L’intervistatore è Francesca Campani. Siamo a Sesso, provincia di Reggio Emilia, è il 12 settembre 2017. Possiamo cominciare. Allora, la prima domanda che ti faccio è cosa ti ricordi di quando eri piccola, cioè.
MB: Avevo otto anni allora, ero piccola davvero.
FC: Cosa faceva la tua famiglia? Dove vivevi? Avevi fratelli?
MB: Vivevamo sempre a Sesso, fratelli non ne ho perché c’ho una sorella.
FC: Ecco.
MB: Eravamo, stavamo vendemmiando, arriva Pippo e noi giù, tutti nel fosso, gaemo un fosso. Ha cominciato a mitragliare, ha tagliato tutte le gambe degli scaletti. Per fortuna che c’era la bonifica che ha riparato le schegge. Se non morivam tutti quanti, da bom. Eh ohi. E poi abbiamo avuto anche che na volta han preso, ste Pippo, la bonifica, sai c’eravamo la bonifica in fondo ai nostri campi, l’avevamo presa per la stazione, per la ferrovia che era dietro la casa dell’altro contadino. Han mollè na bomba, guarda, non ti dico, ah, è successo la malora, tutti i vetri crollati.
FC: Della vostra casa.
MB: Tutti, anche quelli dell’altro contadino, davvero c’era venuto un buco che l’era enorme.
FC: E voi dove vi eravate nascosti?
MB: Noi eravamo nascosti in casa, dove che possiamo nascosti? Non c’avevamo mica il rifugio o cose del genere.
FC: Non ce n’erano lì?
MB: No, in campagna cosa vuoi che sia. Mamma mia, Gesù, e poi noi abbiamo avuto i tedeschi in, sai che, tu a Sesso non ci sei mai stata. E’ dove abitavamo prima, adesso è un casino che non si capisce più niente, ma avevamo un bosco.
FC: Ah.
MB: E la sera erano tutti messi coi carri armati, le camionette, tutti sotto lì. E avevamo i comandanti che allora vivevano nella villa e i soldati vivevano su nel fienile. [unclear] sta mattina doveva fare il pane. Davano la roba a loro, eh. La farina, portavano tutto facevano presto loro! Andavano a casa dei contadini, prendevano quello che volevano. E star matene e sai come fa il pane che c’era la, daghe l’amleri in poche parole. E io che, ero già, avevo già la lingua lunga allora, volete il pane? Giù alla mattina alle cinque a gramolare, [unclear] pan. [unclear] E il [unclear] c’aiutavo io ma loro s’arrangiavano sai. No eh guarda, noi li abbiamo avuti per quaranta giorni però son stati perfetti eh, a posto. Solo un giorno che due hanno cominciato a litigare e a sparè in elta e il comandante le [unclear] li ha spediti tutt via, li ha spediti in guerra, al fron in poche parole.
FC: Ah.
MB: Se no guarda, è solo che dopo, quando sono partie il 24 di aprile che sono poi morti tutti al Po, perché loro credendo di essere al Po, di essere già fuori ma è mort tutt al Po, eh. Marino ha preso via la scala del fienile, guai a chi va su. Sono venuti i carabinieri, hann raccolto due ceste così di bombe a mano, proiettili, sai, loro dormivano su nel fienile.
FC: E non c’erano più però. Erano scappati.
MB: No, no, erano già andati.
FC: Il 24.
MB: Il, loro sono andati via il 24. Pensando che, di arrivare al Po e di essere già fuori. Invece i mort nel Po. Han detto, eh, perché ovviamente, al Po non ci sono stata comunque l’han detto. Fat na brutta fine. Però erano maledetti. Nel senso che loro andavano nel confronto degli altri. E serviva la carne, andavano a prendere dal contadino un vitello senza pagarlo. Lo uccidevano nel nostro prato, ed era pena quel giorno, ma guarda un po’ che roba. Noi non abbiamo mai fatto la fame perché c’hann sempre dato tutto. Io ho fatto la cresima che quelle fotografie lì le deve avere ancora tua madre, che una volta la rileghi e ci porto vi l’album perché mi ha promesso che me le stampava e non me le ha ancora stampate.
FC: Va bene.
MB: Fatto la cresima. Sai quante scatole di cioccolata? Loro avevano la cioccolata in scatola i tedeschi.
FC: Eh. E te le hanno date?
MB: Orche!
FC: Perché sapevano che avevi fatto la cresima.
MB: Che ho fatto la cresima, la cresima.
FC: E quindi loro.
MB: No, no, guarda, son stati buoni, buoni, mai successo niente. Solo un giorno sti due cretini han litigato, uno ha sparato in alto.
FC: E ce n’erano di partigiani lì intorno? Ti ricordi qualcosa?
MB: Ma io ho ott’ann, cosa vuoi che mi ricordi?
FC: Ah non lo so, magari.
MB: Mi ricordo che dicevano che si erano nascosti nei campi e me sai, a otto anni che cavolo vuoi che sapessi. Io mi ricordo quelli lì i tedeschi perché avevo sempre avu per ca’ per quaranta giorni. Se no i partigiani sapevo che c’erano però a Sess non so mia se n’era, se c’erano a Sesso proprio, mah non lo so, quello non lo so.
FC: Ma, ehm, ti chiedo questa cosa qua. Ti ricordi quando è iniziata la guerra proprio? Cioè prima non c’era la guerra e dopo è iniziata.
MB: E dopo c’era la guerra.
FC: Ti ricordi quel momento lì? Cosa facevi? Andavi a scuola?
MB: Andavo a scuola, sì, sì.
FC: Dove andavi a scuola?
MB: Allora, avevano occupato la scuola. Allora mio padre e degli altri papà han preso su in soffitta in casa di un contadino, ci si portava la mattina con due pezzi di legno per uno per scaldarsi. E così che noi non abbiamo perso l’anno, hai capito? E quelli che non sono venuti hanno perso l’anno. Nella scuola con due pezzi di legno per uno, poi c’erano una di quelle stufette sai la Becchi come si chiamavano sì, la Becchi e noi li avevamo in casa la Becchi. C’erano nelle camere ve’. Era la villa padronale, c’era una nella camera della nonna, una, meno che nella mia e di tua madre. Alla mattina, se ti alzavi la notte a far la pipì, era ghiacciata, ve’. Era, perché noi avevamo proprio la camera a nord. Di andare a dormire col prete poi tiravi via, andavi sotto. Invece nella camera della nonna e quella della Iona c’era la Necchi, la Becchi, quelle stufette sai a piani.
FC: E a scuola parlavate della guerra?
MB: Oh, chi si ricorda.
FC: Non ti ricordi?
MB: Non mi ricordo.
FC: E se, non so.
MB: Mi ricordo solo che mi portava il papà con la bicicletta in canna, e che c’era sta borsa con due pezzi di legno da portare per scaldarci lassù perché eravamo su in soffitta. Però la guerra chi se la ricorda più. Sai, a parte che ero piccola, perché è finita la guerra che nel ’40?, ‘45, mi sono del ‘36, fa un po’ te i cunt, avevo nove anni.
Fc: Eh beh, però mi stai raccontando delle cose.
MB: Sì, ho capito, però certe cose non te le ricordi. Per esempio nella notte, la notte del 23-24, c’hann detto i tedeschi: ‘andate via, in mezzo alla campagna!’. Siamo andati a casa di un contadino, noi e tutta la famiglia intorno. Alla mattina il nonno voleva andare a vedere perché sai c’era le mucche da mungere così. Invece Nino, il figlio della Wilma, ha detto ci vado io perché vado più svelto a correre. L’hanno ucciso poco distante da casa.
FC: Chi l’ha ucciso?
MB: I tedeschi e i fascisti di Sesso.
Fc: Ah ecco.
MB: Sì, è il 24 aprile. E Il 25 ghe stè la liberazion, e lui avev disdott ann. Diciotto anni aveva. A fam, no zio ci vado io che corro corro più veloce, faccio prima ad andare a vedere cosa c’è. Loro erano già partiti, tutti quanti, le rivè a un poc distan da ca non so quanto. La casa più vicino l’hanno visto quando l’hanno ucciso. L’hann fatto mettere in ginocchio e [mimics shooting noise], gli hann sparè. E pensa che c’era uno di Sesso, che sua figlia abita sopra tua mamma, nell’attico. E una volta ha trovato la mamma di quella ragazza lì, lei è già morta perché aveva un tumore al seno, e ora ci siamo trovati lì giù, io c’ho chiesto delle sue figlie perché andavamo a scuola assieme con una cosa. La disi: ‘cosa vuoi che ti dica?’, la disi: ’è proprio vero’, la dis che le malefatte dei vecchi si sono rivoltate contro i figli. C’era morto già la figlia lì, morto il figlio con un tumore,
FC: Mamma mia.
MB: Sì, proprio mamma mia.
FC: Ehm, volevo provare a richiederti ancora se ti ricordi altre volte che è venuto Pippo, cioè cosa si diceva di Pippo?
MB: Quando arrivava Pippo tutti sparivano, sparivano tutti quanti.
FC: Veniva tutti i giorni?
MB: Tutti i giorni passeva su ma tanta [unclear] ciapè Pippo, ti dico. Sì, sì, guarda che una volta, non so della via, ha buttato delle bombe dove, e a noi ci sono crollati tutti i vetri un’altra volta. C’era la Lidia, la figlia della Ione, la sorella della Mirella, aveva avuto la difterite ed era già in convalescenza, lo spavento, la paura, l’è morta sul colpo. Aveva cinque anni, sì. Sai che solo la Mirella, ce n’erano già morti due, e tre con la Lidia ne g’avu quattre. Perché una era nata quando sono nata io, io sono nata la mattina e lei era nata al pomeriggio di sette mesi solo che in quei tempi lì! E sì, Pippo l’era maledetto eh. Non ti so dire se era inglese o se era americano, ste Pippo.
FC: E tu lo sapevi perché faceva così?
MB: Ma cosa pe de che, faceva, passava e mitragliava.
FC: Cosa pensavi di Pippo?
MB: Ciapa tante [unclear], ho pase tante di quelle paure a noi, sai c’avevamo il portico prima della stalla e c’eran le arcate. Le avevamo riempite tutte di paglia, le balle sai. L’ha fat na mitraglieta, per fortuna che non hanno preso fuoco. Aveva riempito le balle di proiettili. E quand [unclear] sai Marino le apriva poi dopo, poi si usavano, no, saltavano fora come i cosi.
FC: I proiettili.
MB: Sì. Che lur sa chissà cosa si credeva che fossero, c’era, sai nelle arcate tutte ste balle di paglia. Bel Pippo!
FC: E quindi cosa, cosa facevate quando arrivava Pippo?
MB: Eh, ci si nascondeva dove si poteva.
FC: E ti avevano spiegato cosa fare?
MB: Si andava in cantina, si scendeva nei posti più chiusi. Non c’era un rifugio, non c’era niente e non. E infatti i tedeschi avevano messo tutte le balle di, di paglia contro le finestre dentro per paura che Pippo passasse e mitragliasse. E la mess tutte le balle di paglia.
FC: E passava di giorno o di notte Pippo?
MB: Passava a qualunque orario, non c’era preoccuparsi, mattina, pomeriggio, notte.
FC: Tutti i momenti.
MB: E la notte, caro mio, si metteva la luce si metteva sopra perchè sta su un po’ unita perché le vedeva lui quelle luci accese di notte. C’era così, la vita là di quei tempi lì.
FC: E quando stavate nascosti, no?
Mb: Eh.
FC: Cosa facevate? Come passavate il tempo?
MB: A parlare.
FC: Parlare. Anche te.
MB: Sì eh.
FC: E c’erano altri bimbi?
MB: Sì, c’era altri bimbi, quelli di quella signora che abitava nel nostro cortile, ma sì ma si univa tutti eh. Mamma mia.
FC: E facevate dei giochi per distrarvi?
MB: No, no, no, stavem tut là, a tremare dalla paura perché.
FC: Avevate paura?
MB: Ah Madonna, se avevamo paura. Perché aveva fatto, buttato ste bombe nel prato di quell’altra famiglia che aveva preso la ferrovia per la bonifica. [unclear] un buso enorme. E sai, se ti buttano una così sulla casa, [makes a whistling sound]. Ma quella volta lì, quella mitragliata degli scaletti, tut dentro al foss.
FC: Eravate tutti a vendemmiare.
MB: Tutti a vendemmiare eravamo.
FC: E come avete fatto a capire che era.
MB: Allora, sintu arriver e allora giù, tutti nel fosso.
FC: Tutti nel fosso.
MB: E lui ha cominciato a mitragliare, a tagliare tutte le gambe degli scaletti. E per fortuna che poi dopo le schegge si sono fermate contro il coso della bonifica perché noi eravamo più bassi e la bonifica era più alta. Si fermedi tutti là, se no. E per fortuna che nel fosso non c’era acqua, perché sai era uno di quei fossi che si riempivano d’acqua, eravamo in settembre. L’acqua non c’era più, ma che usavano a annaffiare tutti i campi, tutti i cosi. Guarda che l’altro giorno venivo da casa da Reggio con Rico e [unclear], Rico, ti ricordi te, ma le e fa Rico, hai ancora in mente? Oh, se l’ho ancora in mente, porca miseria, altroché. La paura!
FC: Quella storia qua.
MB: Sì, quella storia lì della vendemmia e degli scaletti. E dopo [unclear] fer tutti i gambe nuve di scalette eh. Quelle cose lì, se, adesso non lo so ma se le ricordava anche tua mamma, tua nonna, la Laura.
FC: E tu te lo ricordi cosa faceva la Laura? Cosa, te la ricordi la Laura a quei tempi lì?
MB: La Laura aveva dodici anni più di me sicché lei aveva già più di vent’anni.
FC: E anche lei si nascondeva dove andavi tu?
MB: Anche lei. Sì, no, quando arrivava Pippo erano tutti unì, nelle cantine, nei posti, chissà, forse si pensava che fossero più sicuri, mah. Meno che nelle stalle perché le stalle sai eh, sono tutte esterne e ci si andava nelle cantine perché erano in mezzo alla casa, insomma, erano più. Beh sì, i tedeschi hanno proprio così.
FC: E i fascisti invece, cioè, ce ne giravano un po’? Li hai conosciuti,
MB: I fascisti erano schifosi.
FC: Te li ricordi?
MB: Sì che me li ricordo. Noi avevamo il cortile che guardava dritto alla cooperativa di Sesso. Noi sentivamo gli urli di quelli che torturavano, i fascisti.
FC: E cosa facevate, niente?
MB: Te fa [unclear]? Te scoltè o ti tappavi le orecchie. C’è uno che c’hann levato proprio tutte le unghie, tutti gli urli e poi l’hann stirato.
FC: Col ferro.
MB: Sì, col ferro. In cooperativa a Sesso.
FC: Tu sapevi, ti, tu cosa pensavi quando eri piccola di queste cose qua? Cioè, cosa.
MB: Che erano schifose.
FC: Sapevi che era, capivi perché c’era questa guerra, come funzionava la guerra?
MB: Capivi, capivi che c’era la guerra e basta.
FC: Nessuno ti aveva spiegato?
MB: No, neanche a scuola.
FC: Neanche a scuola. Non se ne parlava.
MBV: Eh, sì, sì! Noi sì, sentivamo urlare, gli urli, sai te tira via le unghie. Poi l’hann stirato bene poverino. Poi dopo sono andati nel prato, di quelli che ghe hann buttea la bomba. Ne hanno ucciso diciotto.
FC: Nello stesso posto dove era caduta la bomba?
MB: Sì, pochino più spostati ma i hann mazzè tutt.
FC: Perché?
MB: Erano partigiani proprio.
FC: Erano partigiani.
Mb: Tutti Manfredi, Miselli, tutti.
FC: E questo aereo che ha sganciato questa bomba, no?
MB: Era Pippo.
FC: Era Pippo, ma ne ha sganciate delle altre di bombe?
MB: Ne ha sganciate, non so dove, più in un altro posto ma sa sgancià solo quella lè.
FC: Solo una.
MB: Solo una. Mitragliet, quante mitragliet non so quante ne ha fatte, però una bomba l’ha butta sol quella lè. Finì la guerra dopo sono andati a riempire il buco, sai, tutti i contadini si sono uniti con cariole, con badili per riempire ste bus chel so mia quant temp e g’hann mess. Sì, n’è bella storia l’è quella li va’. Davvero eh. Noi al 25 aprile eravamo tutti nella curva di Sesso, sai, quando c’è la curva lì e g’era la co, la come si chiama, la bilancia quel che ci davano i carri a pesare, e riveva i american, venivano tutti da Cadelbosco. Insomma per noi venivano da Cadelbosco, poi non so da dove venissero. Comunque, mamma mia.
FC: E cosa successe il 25 Aprile?
MB: Niente, tutti a batterci le mani, contenti, perché eran sparì i tedeschi e ghe iera i americani.
FC: E gli americani cosa facevano?
MB: Niente, andavano, sono andati tutti a Reggio.
FC: Ah, sono solo passati.
MB: Sono solo passati.
FC: Non si sono fermati?
MB: No, no, no, no. Sono solo passati. Gli americani sono solo passati poi si sono fermati a Reggio. Si sono fermati a Reggio ma un giorno o due, poi sono proseguiti per Modena, Bologna, tutt.
FC: E quindi dopo che sono andati via i tedeschi dalla casa,
MB: Sì, sì.
FC: Voi siete rimasti lì?
MB: Sì, sì, noi siamo rimasti lì.
Fc: E cosa, come è funzionato il dopo? Cioè.
Mb: Eh, dopo ha ripreso la vita di prima di, che scoppiasse la guerra. Noi siamo rimasti nella villa perché eravamo nella casa vecchia. La padrona, lei è andà da stè a res, e noi avevamo preso la villa. C’era quattro camere da letto. Eran me, tua mamma e la Mirella, che dormivamo nella camera più fredda. E poi c’era la nonna e Marino in un’altra e l’altra l’aveva affittata a due sposini che erano poi i figli di quelli poi che erano venuti ad abitare nella casa vecchia. Poi anche lì si è ripreso la vita di prima.
FC: Tu hai ripreso ad andare a scuola?
MB: Eh sì, dopo a scuole s’è liberede. Allora ti voglio chiedere se sei fidanzata?
FC: No. [laughs] No, vedi che non è qua.
MB: Ah non, ah avevo sbagliato dito.
FC: Sì, sì, sì. Bene, allora, c’è qualcos’altro che ti viene in mente della guerra, qualcosa che mi vuoi raccontare?
MB: No, non mi
FC: Qualche emozione? Qualche, non so, qualche episodio legato, non so, a degli amici?
MB: No, sai com’è, eravamo.
FC: A cosa trovavate da mangiare?
MB: Ah noi, noi non abbiamo mai fatto la fame, no. Sai, i contadini non hanno mai fatto la fame. I contadini c’avevano tutto, i polli, conigli, c’avevamo tutte le uova. Fatto la fame erano quelli che. Guarda che hanno ucciso un ragazzo, ecco, quello, un ragazzo che andava a lavorare alla Reggiane allora. Era un fratello di una mia amica. Aveva sotto il braccio, aveva una mela e un cono, un pezzo di pane, era il suo pranzo. L’han sparè perché [unclear] gli una bomba sotto la braccio.
FC: E dove gli hanno sparato?
MB: A Sesso.
FC: Chi?
MB: I tedeschi.
FC: Così?
MB: Era il suo, il suo pranzo era, una mela e un pezzo di pane.
FC: Andava verso le Reggiane.
MB: Andava verso le Reggiane.
FC: Prima che le bombardassero quindi.
MB: [unclear]
FC: Quindi tu i bombardamenti che ci sono stati a Reggio di grossi non te li ricordi?
MB: No, non me li ricordo quelli lì, no.
FC: Non ne hai neanche sentito parlare, all’epoca?
MB: No, proprio no.
FC: Era proprio distante.
MB: Noi abitavamo a Sesso, sapevi quello che succedeva a Sesso. Fuori.
FC: Ah, beh, sì.
MB: So che hanno bombardato Reggio però non. Insomma, noi eravamo troppo lontani da Reggio. Hanno ucciso altre persone sull’argine del Crostolo, che andavano a lavorare anche loro a Reggio e facevano l’argine del Crostolo perché eran fuori nella via principale che [unclear] e li han ammassè sull’argine del Crostolo.
FC: Sempre i tedeschi.
MB: Sì. I fascisti hanno ucciso quegli altri quattro lungo la nostra strada. Facevi la curva e li hanno uccisi lì [unclear] la mateina.
FC: C’era la nonna che mi ricordo che mi diceva che a un certo punto c’era un morto. Avevano trovato un morto. Tu non te la ricordi questa cosa qua? Che in un fosso, in un angolo, da qualche parte, a Sesso hanno trovato sto morto, questa cosa non te la ricordi.
MB: Non me lo ricordo. Mi ricordo Nino, figlio della Wilma, il fratello di Enrico, che l’hann trovato in un fosso, in mezzo alla campagna, che l’hann massè lì. Disdott ann.
FC: Sarà quello lì.
Mb: Però altri non mi ricordo. Sai poi sono passati tanti anni che poi le cose.
FC: No, no, ma va bene. A noi, a me interessa sapere cosa ti ricordi. Cioè, non.
MB: Sì, no, ho capito ma certe cose poi dopo ti passano dalla mente, non te le ricordi più.
FC: Sì, sì, lo so.
MB: E’ passè per la miseria, sessantacinq’ann, ottant’ann, eh.
FC: Eh!
MB: Ti ricordi quello che hai vissuto in casa tua, avevi vissuto intorno, hai capito?
FC: Eh, quello, quello, quello a me interessa. Sì.
MB: Mamma mia.
FC: E tua mamma? Non ne hai parlato di lei? Come,
MB: Chi?
FC: La mamma.
MB: Ah, mia mamma? Ah, mia mamma era addetta al forno lei. Faceva.
FC: Era addetta al forno.
MB: Al forno, [unclear] pan per i tedeschi.
FC: E anche prima quindi lei faceva il pane spesso.
MB: Sì, noi l’abbiamo sempre fatto in casa il pane. Mi e me sorell [unclear] la mattena, una [unclear] gramler, eh sai,
Fc: Cosa vuol dire esattamente gramlere?
MB: Allora, c’è un’affare lungo così. C’è un’asta che lì ci va, ci va, perché alla sera lo mettono nella malia, poi lo mettono con il coso, mamma mia come si chiama, aiutami te,
FC: Il lievito.
MB: Il lievito. La farina, lo impastano, poi lo lasciano lì tutta la notte, poi la mattina lo prendono, poi lo mettono sotto a ste aste. Poi ce n’era, andava su poi giù veniva un bastone c’erano due maniglie e lì lo gramolavi. Ciameva gramlera.
Fc: Lo schiacciavi.
MB: Schiacciavi e mia madre era lì che lo girava, lo rigirava.
FC: Ah, lo rimpastava e dopo.
MB: Sì, sì, lo rimpastava tutto.
FC: Ah.
MB: Poi dopo c’era da fare il pane. Poi dopo che aveva finito di fare, di aver cotto il pane, facevamo il gnocco.
FC: Ah.
MB: Col bastone, bei [unclear] di rame.
FC: Ah. Col lardo?
MB: Col lardo, eh. E veniva buono, eh.
FC: [laughs]
MB: Quello me lo ricordo.
FC: Quello sì, eh.
MB: Sì.
FC: Eh. Ma non c’era, visto che voi stavate bene, insomma, che avevate da mangiare, non c’era gente che veniva lì e vi chiedeva da mangiare? Non c’era qualche sfollato?
MB: Ma noi. Eh, ce li avevamo gli sfollati.
FC: Ah, raccontami un po’ degli sfollati.
MB: Eh, gli sfollati non hanno mai patì fame perché casa dei Bianchi, non era problema. Avevamo la.
FC: Da dove venivano questi sfollati?
MB: Da Reggio.
FC: Da Reggio. E cosa dicevano loro?
MB: Che cosa vuoi che dicessero?
FC: Come erano? Chi erano? Grandi? Vecchi? Piccoli?
MB: No, no, non avevano, no, non erano vecchi perché c’era un signore che aveva un bambino piccolo, quel ga avu du, tre anni. Era coi parenti, ve’! Non eran, parenti della nonna. Stavano, dormivano nel garage.
FC: Dormivano nel garage. Quindi erano solo due?
MB: Marito e moglie con due bambini.
FC: Ah. E quanto tempo sono stati lì?
MB: Ah, fino alla fine della guerra.
Fc: Da quando, te lo ricordi?
MB: Ah, non me lo ricordo. Sono venuti a chiedere se c’era ospitalità, allora li hann messi lì.
FC: E quindi il bimbo piccolo più o meno aveva la tua età, o era più piccolo?
MB: No, era più piccolo di me.
FC: Era piccolino, piccolino. Ah, ok, ok.
MB: Sì, aveva due o tre anni, era piccolino. Invece la figlia, la figlia era più grande, forse la figlia avrà avuto qualche anno in meno di me. Comunque, ste [unclear] fin la fin de la guerra.
FC: Non ti ricordi se facevate dei giochi insieme, quali tipi di giochi facevi?
MB: Facevano la settimana, nascondino, tutte quelle cose lì. Perché poi sai non c’era tanto da giocare ve’, perché abbiamo avuto tanto tempo i tedeschi in cortile.
FC: I tedeschi non vi facevano giocare?
MB: Noi ci stavamo alla larga intanto. Perché per quanto non fossero gentili e carini, ie fem paura. E poi, ghe sempre Pippo sopra la testa.
FC: E quindi andavate a nascondervi.
MB: [unclear], mamma mia Pippo! Se avesse preso metà deigli accidenti [unclear]. Ma non so se era inglese o se era americano quel Pippo lì!
FC: Però sapevi che era uno buono o era uno cattivo? Cioè,
MB: Chi? Pippo?
FC: Pippo.
MB: L’era cattiv!
FC: Era cattivo.
MB: Perché dove si trovava buttava giù, mitragliava, la malora!
FC: Eh, però lo sai che gli inglesi e gli americani in teoria erano quelli buoni.
MB: In teoria non te lo so dire.
FC: No?
MB: Non te lo so dire.
FC: Erano i tedeschi quelli cattivi.
MB: Non so dire se era tedesco o se era inglese o americano. So che’l mitraglieva, butteva le bombe. Quando è crollato i vetri, che è morto pure la Lidia non so se è stato verso Verona, o più in qua di Verona, crolle, e ha bombardato proprio. [unclear] buttà zò una bomba un bel po’. E’ crollà tutti i vetri, lei dalla paura che ha avuto è ndeda. Era già in convalescenza. E ha avuto la difterite. [unclear] adesso eh. Aspetta che vado ad aprire un po’ il coso anche perché c’abbiamo ste zanzariere. E non passa l’aria.
FC: Va bene, io, intanto guarda, finiamo l’intervista perché secondo me se non ti, ormai non ti ricordi più niente.
MB: Ormai non ricordo più niente. No va bene, sai, caro mio.
FC: Va bene così.
MB: Ero piccola io.
FC: Hai detto delle cose interessanti comunque. Va bene. Va bene. Grazie mille allora.
MB: Niente. Grazie di che cosa? Sono cose di quelle cose che a rivangarli ti vengono in mente ancora, capisci?
FC: E certo, è per quello infatti che, funziona così l’intervista. Quindi questa cosa, ti ricordi ancora quelle sensazioni lì?
MB: Sì.
FC. Te li ricordi come se.
MB: Sì, sì, come se fosse successo oggi, o ieri. Mi ricordo poi quelle degli scaletti. Ti dico che l’altro giorno venivo a casa da Reggio con Rico. Allora gli dico, Rico ti ricordi quando eravamo a vendemmiare a dis, fa lo te lo ricordi ancora? La miseria, se me lo ricordo ancora. Sì, sì altro ché se me lo ricordo. E l’episodio che mi è rimasto più in mente capisci, che e quello lì di avere i tedeschi per quaranta giorni nel cortile. E nonostante che non fossero gentili, guarda che venivano, uccidevano il bestiame, ci portavano sempre la carne in casa, ve’. E che pena. Si guarda che un contadino lavora tutto l’anno poi van là e prendon su vitelli, prendon su una mucca, per mangiare loro non chiedevano il permesso, sai! E gnanca pagheve il [unclear].
FC: Però ne davano un po’ anche a voi.
MB: Sì, sì, sempre.
FC: E sai perché?
MB: Non so, si vede siamo loro ospiti e insomma. C’era poi, avevano il calzolaio, il sarto. Il calzolaio soleva scarpi a tutt, anche a noi.
FC: Tra i tedeschi? C’erano il calzolaio, il sarto.
MB: Il sarto, sì, sì.
FC: E faceva.
MB: Eh sì, ci solava le scarpe a tutti [laughs], sì, sì.
FC: Ah. Vedi. E c’erano altre figure tipo quelle.
MB: No, non mi ricordo, c’era, faceva da mangiare
FC: Eh, c’era un cuoco?
MB: C’era un cuoco.
FC: Quindi cucinavano loro per, loro?
MB: Sì, sì, cucinavano loro.
FC: Voi facevate solo il pane.
MB: Noi facevamo solo il pane. La prima, mi ricordo sempre che la prima volta che abbiam tirato fuori il pane, sai, il pane caldo, il profumo, venivano davanti ai vetri, mammi, mammi, chiamavano mammi. E allora dopo loro l’han chiesto, i capi l’han chiesto e me go det: ‘sì, ma vi alzate voi alla mattina a venire a gramler’, perché [unclear] assieme, lui si faceva il pane ogni otto giorni.
FC: Avevate il lievito, quello che.
MB: Ah, non te lo so dire che lievito che c’era.
FC: Quello che si teneva lì e poi lo rimescolavi con la farina e poi lo tenevi da parte.
MB: Sì, sì, sì, da parte, prendevi una madia , se c’era una madia che dentro era vuota, c’era quello che si faceva il pane, si impastava il pane.
FC: Ma che pane era? Era bianco o era scuro?
MB: No, era bianco, era buono. Altro che il pane d’adesso. E avevamo imparato anche a fare il pane, ve’. Con le manine. Adesso non sarei neanche più capace perché ciò questo e questo che sono dita a scatto.
FC: Ah, eh vabbè.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Marisa Bianchi
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Marisa Bianchi remembers her wartime years at Sesso, a rural hamlet in the Reggio Emilia province. Stresses the abundance of locally farmed food and emphasises how billeted German troops were friendly and supportive, even if she and her family had to work for them. Recalls "Pippo" coming over every day at the same time. Curses it for the fear it caused and describes two episodes connected with its menacing presence: being machine-gunned while working and the sight of her house under attack, an incident in which a relative died as the consequence of emotional shock. Explains her revulsion of Fascists, feared for their brutality and recollects the killing of her cousin on the last day of war. Describes wartime episodes: Fascists executing four partisans and torturing suspects; Germans shooting people on the Crostolo bank; a young worker being shot by mistake for carrying a bundle mistaken for a bomb. Recalls providing accommodation to evacuees from Reggio Emilia and the widespread enthusiasm at the end of the war.
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-09-12
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Francesca Campani
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ABianchiM170912
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Po River Valley
Italy--Reggio Emilia
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:33:09 audio recording
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Type
The nature or genre of the resource
Sound
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
childhood in wartime
evacuation
fear
home front
Pippo
Resistance
strafing
-
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Title
A name given to the resource
Pagano, Andreino
Andreino Pagano
A Pagano
Description
An account of the resource
This collection consists of one oral history interview with Andreino Pagano who recollects his wartime experiences in the Pavia area.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-07-12
Language
A language of the resource
ita
Type
The nature or genre of the resource
Sound. Oral history
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Pagano, A
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Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
FA: Sono Filippo Andi e sto per intervistare il signor Andreino Pagano. Siamo a Casei Gerola, è il 12 luglio 2017. Ringraziamo il signor Pagano per aver permesso questa intervista. La sua intervista registrata diventerà parte dell’archivio digitale dell’International Bomber Command Centre, gestito dall’Università di Lincoln e finanziato dall’Heritage Lottery Fund. L’università s’impegna a preservarla e tutelarla secondo i termini stabiliti nel partnership agreement con l’International Bomber Command Centre. Signor Pagano, vuole raccontarci i suoi ricordi, le sue esperienze nei bombardamenti di Voghera?
AP: Voghera, sì, e dintorni,
FA: E dintorni.
AP: Perché io essendo un po’ distaccato da Voghera, come tu vedi, sono a quattro chilometri da Voghera, verso Casei Gerola, ho vissuto questi eventi un po’ fuori, pur essendone al corrente. Cosa ricordo io? Già dico che ricordo queste cose perché io sono della classe 1934 e a quell’epoca avevo otto, nove anni, perché siamo nel 1943, ‘44, quegli anni lì, eh. Cosa ricordo? Prima parto da Casei Girola e poi mi avvicino a Voghera. Io mi ricordo che, quando bombardavano qui nella zona io mi ricordo che mi sono rifugiato nella chiesa parrocchiale di Casei Girola perché già a quel tempo avevo capito che i muri della chiesa, spessi quasi un metro, mi difendevano da eventuali bombe o da mitragliamenti, ecco. L’altra cosa venendo in avanti che ricordo è: un giorno c’è stato in mitragliamento sulla strada provinciale Novara-Voghera, un mitragliamento ad un camion pieno di biscotti e in quell’occasione volavano scatole di biscotti dappertutto, nei campi, nei miei campi, e figuriamoci noi che, a quell’epoca avevamo fame, andare a raccogliere i biscotti da mangiare per i campi era una delizia.
FA: È certo.
AP: Boh. Altra cosa di ricordi che è un po’ più pesante è questa. Quando c’è stato il bombardamento nell’, all’officina ferroviaria di Voghera, dove lì riparavano e costruivano le vetture e i treni. Quando hanno, c’è stato quel bombardamento, io mi trovavo nelle vicinanze di Voghera, su una strada detta Capalla, che poi è quella lì che ho segnato lì, e andavo alla messa con mia nonna in bicicletta. Visti questi aerei che sganciavano bombe, che mi passavano sopra la testa, mi sono rifugiato in un casotto da vigna di campagna e mi sono infilato dentro un camino. Finito il tutto, finiti i bombardamenti, ne sono uscito, ho trovato mia nonna che era con me lì, ed ero nero e mi hanno preso per uno spazzacamino, tanto ero sporco e nero perché mi sono, intanto mi sono riparato sotto il camino. Ecco questo è un po’ il ricordo degli eventi dei bombardamenti. Altri fatti collegati a questi che ricordo sono l’occupazione della cascina mia questa da parte prima dei tedeschi e poi degli americani con i mongoli. Sono, hanno alloggiato qui con le loro truppe, cavalli, eccetera eccetera, ma di lì hanno occupato anche le nostre camere eh! Dormivano nelle nostre stanze. Niente di particolare, poi insomma. Un ricordo che mi viene e che ho ancora il segno adesso in un dito è che questi americani soldati avevano delle lattine, scatole di cioccolato, di roba, di dolciumi e io mi sono abbassato per raccogliere una scatola di questi, per mangiare i cioccolati, e mi sono tagliato un dito e ho ancora la cicatrice adesso, a distanza di 75 anni, pensa. Ricordo che mi hanno disinfettato subito e mi hanno messo su la, già la Penicillina, allora loro avevano già la penicillina, la polverina bianca, e m’hanno disinfettato, pensa, [unclear] e qui eravamo nel 1944, ecco. Ricordo un altro particolare dell’occupazione della guerra. Mi avevano, i tedeschi avevano requisito, requisivano gli animali e mi hanno requisito l’unico cavallo che c’era in cascina, che faceva i lavori agricoli, pensare il disagio, l’unico cavallo te lo portano via. Poi, per un caso di fortuna, me l’hanno rilasciato subito perché aveva la coda mozza, il mio, stava male, e allora me l’hanno
FA: L’hanno lasciato.
AP: Rilasciato. Ehm, ancora, ti posso dire, ricordare, che in quei tempi a fine la guerra o in quell’epoca lì, c’è stato, lo chiamavano un po’ il mercato nero. Venivano giù i genovesi col treno, portavano le lattine d’olio e noi gli davamo invece sacchetti di farina, lardo e salumi. Dove li avevamo noi i salumi, nascosti per non farceli rubare dai tedeschi e o, da mericani no, perché ne avevano da mangiare? Avevamo delle otri, che io ne ho ancora una lì fuori, te la faccio vedere, delle otri antiche, si mettevano dentro lardo e salumi, si facevano una buca nell’orto, si sotterrava, stava al fresco e si conservava e nessuno te la rubava. Altra cosa è questa: come si conservava le derrate alimentari. Avevamo il pozzo, profondo venti metri e calevamo con la cordicella il cestino nel pozzo con dentro il burro e altre sostanze alimentari, altre derrate, così stavano fresche. Ed era il frigorifero d’epoca, ecco, e abbastanza valido. Da ultimo, di queste cose, di questi ricordi, i quali mi meraviglio di saperli ricordare dopo tanto tempo, ghe passà settantacinc’anni, da queste cose. Che, due famiglie di operai delle officine ferroviarie di Voghera, che abitavano nei pressi di queste officine che sono state bombardate, avevano paura di dormire lì la notte. Venivano qui a dormire da noi. Abbiamo ospitato due famiglie. E dove dormivano? Nel fienile, ma erano sicuri,
FA: E certo.
AP: Almeno dai bombardamenti, e così è stato. Sono stati contenti e poi li ritrovati ancora, finita la guerra, insomma, li ho trovati, siamo sempre stati amici. Io non ricordo altro se non queste cose, o belle o brutte. Dimmi tu.
FA: Posso farle una domanda?
AP: Sì.
FA: Si ricorda mica di Pippo?
AP: Pippo, oh, sì, Pippo, oh, mi ricordo. Il lucino azzurro che girava di notte, sentivamo il rumore che , ma non faceva tanto
UI: Pippo si chiamava Pippo.
AP: Senti! Eh, questo. Questo era
UI: Ha sete?
FA: No, no grazie.
AP: Non disturbare, eh! Questo era la spia, un aereo spia americana non dei tedeschi, americana ecco. Io ricordo quell’aereo, sì.
FA: Eh girava tutte le notti.
AP: Girava tutte le notti. E la gente cosa faceva? Per non far, perché quello individuava dove c’erano delle luci. Tutti avevano fatto l’oscuramento ai vetri, le carte blu sui vetri per non fare vedere le luci.
UI: Non sparavano. Vado, vado.
AP: [unclear] Ecco poi, va’ avanti tu che sei stato disturbato adesso.
FA: Sì, beh, a parte Pippo, venivano spesso invece su Voghera? Voi da qua vedevate?
AP: Venivano spesso su Voghera e facevano il giro qui perché qui da Voghera è vicino, faceva il giro di notte ma lo si vedeva eh l’aereo, lo vedevamo. L’ho visto io, ricordo.
FA: Bombardavano di più di notte o di giorno?
AP: Di notte i bombardamenti e di giorno i mitragliamenti.
FA: Ah.
AP: Vedi, Il mitragliamento al camion dei biscotti sulla strada in pieno giorno. I bombardamenti all’officina ferroviaria di notte. Il ponte sullo Staffora a Voghera e altri che di cui ne parla anche il dottor Salerno, tutto di notte, che faceva più danno.
FA: Ho capito, va bene.
AP: Dimmi pure tu.
FA: E quindi lei da qui insomma vedeva quando bombardavano tutti i campi.
AP: Eh sì, si vedevano i, ma, non solo da qui vicino, di qui vedevamo quando sono stati fatti dei bombardamenti a Genova.
FA: Ah certo.
AP: Dei bagliori, mi ricordo io, si vedevamo da qui.
FA: E insomma, eravate preoccupati.
AP: Eh sì eh, sai, non si sa mai, se sono là, oggi sono là domani vengono qui, eravamo preoccupati. E poi, per fortuna, un bel momento, è finita.
FA: Meno male.
AP: È un po’ vedi che da quell’età lì è un po’ incosciente. Non, magari non avevo certi, certe paure. Adesso mi fai venire in mente una cosa. Quando c’erano i mitragliamenti, dove scappavamo noi qui? Qui nel confine della mia proprietà c’è un fosso, si chiama fosso di Bagnolino come, noi correvamo a rifugiarci in quel fosso lì, coricati, non un fosso, eravamo in una trincea,
FA: Certo.
AP: E io mi ricordo di aver visto le trincee fatte a zig-zag. Proprio per entrare la gente e ripararsi dalle, più dai mitragliamenti che dalle bombe.
FA: E questo a Voghera, le trincee a zig-zag.
AP: Nei, nelle periferie perché era dove c’è il terreno che hanno fatto questo, nelle periferie di Voghera, sì.
FA: Ah.
AP: Li chiamavano. Poi c’è, a Voghera c’erano dei rifugi ma quelli io non li ho mai visti perché non ci sono mai stato. Li sentivo nominare, i rifugi e suonavano gli allarmi quando arrivavano gli aerei in prossimità.
FA: E quindi voi sentivate gli allarmi di Voghera.
AP: Gli allarmi, stanno bombardando su Voghera e allora noi per precauzione ci rifugiavamo nel nostro fosso.
FA: Nel fosso.
AP: Nel fosso.
FA: Quindi era un po’ il vostro rifugio ecco.
AP: Sì, il rifugio locale era quello lì.
FA: Ho capito. Va bene. La ringrazio.
AP: Vuoi sapere d’altro? Dimmi tu, io, quello che ricordo e sono queste cose qui ecco. Ah, devo dirti anche che io ho lì un ricordo. Tu vuoi anche fotografarlo? Ti faccio vedere. E io ho un rimorchio agricolo che ha sotto quattro ruote dei Dodge americani, dei camion da guerra.
FA: Ah sì sì. Ah erano? Ah, ho capito.
AP: Ce li ho lì, e sono ancora in funzione, pensa, i gà cent’anni le robe lì.
FA: Eh sì.
AP: E sono, e li tengo perché, e li usiamo quei rimorchi lì. Eh sì, rispettandoli un po’ senza, però sono gomme da, i Dodge, famoso, e camion americani, o tedeschi, no americani
FA: Americani, americani. Va bene.
AP: Tu li vuoi fotografare? Te li faccio fotografare.
FA: No dopo, sì, dopo li, diamo un occhio.
AP: Va bene, direi che, l’intervista va benissimo.
AP: Ti piace così, ti va bene così? Se vuoi sapere qualcos’altro domandi tu.
FA: Va bene. No, direi che siamo a posto, i punti sono stati toccati. Va bene, allora.
AP: Ti posso anche far fotografare uno o due bossoli da mitraglie, da mitragliatrice antiaerea. Ne ho due io.
FA: Ah, li ha raccolti.
AP: Li ho raccolti, e c’erano anche quelli piccoli, ma quelli lì sono spariti, i bossoli così, quelli da mitragliatrice. Invece quelli da antiaerea, i bossoli sono questi, così.
FA: No ecco, adesso allora, visto che parliamo di antiaerea, lei ha visto qualche postazione di contraerea qua a Voghera?
AP: A Voghera, viste no, ne avevo sentito che c’era qualche postazione che difendevano ma facevano poco.
FA: Provavano a difendere.
AP: Provavano, sì ma ci voleva altro che delle cosine così contro quelli, i bombardieri quando. Io ricordo ancora adesso il rumore dei bombardieri, che erano terrificanti perché non era il rumore di un aereo solo, erano sette, otto, dieci bombardieri insieme, tutti insieme.
FA: Uno stormo.
AP: E ricordo anche il sibilo delle bombe, quando uscivano dall’aereo che venivano giù, fischiavano, te capì?
FA: Ho capito. Contraerea americana, ehm americana, tedesca o italiana?
AP: Dunque, la contraerea, questi che ci bombardavano noi, chi erano? Tedeschi? Adesso non mi ricordo più perché poi non, quelli là ci hanno liberati, gli americani sono venuti a liberarci e c’erano sotto i tedeschi e sì, sì, eh.
FA: Quindi italiana insomma.
AP: Sì.
Fa: Ho capito. Va bene, la ringrazio per questa intervista.
AP: Prego.
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Interview with Andreino Pagano
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Filippo Andi
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2017-07-12
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Peter Schulze
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APaganoA170712
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Andreino Pagano (b. 1934) remembers his wartime experiences in the Pavia province. He explains how a parish church provided a good shelter owing to its thick walls. Recalls various stories: resorting to the black market, the bombing of the Voghera railway works, daytime strafing of a lorry delivering biscuit boxes, scattering them all over the place, the driver seeking shelter inside a vineyard cottage fireplace and afterwards being mistaken for a chimney sweep as he was covered in soot; Germans seizing his only workhorse which was later returned, being 'bobtailed'. Describes how his farmhouse was first occupied by German and then American soldiers, the latter coming with so-called ‘Mongols’. Remembers the first use of Penicillin and food being stored in a well like a larder. Mentioning 'Pippo' flying and recollecting blacked-out windows covered with blue paper. He remembers the droning noise made by the bombers and the bombs as they were falling.
bombing
childhood in wartime
home front
Pippo
strafing
-
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d025a0e5e087dd2fd35d9177353e109f
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Title
A name given to the resource
Muratori, Gino
Gino Muratori
G Muratori
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An account of the resource
This collection consists of one oral history interview with Gino Muratori who recollects his wartime experiences in Rimini.
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2016-03-14
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Muratori, G
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Daniele Celli: Oggi 14 marzo 2016, parliamo con Muratori Gino, classe 1929. Prima domanda che ti faccio.
Gino Muratori: Nato a Bellariva.
DC: Nato a Bellariva. Prima domanda che ti faccio è questa. Com’era composto il tuo nucleo famigliare quando c’è stato il primo bombardamento di Rimini. Quanti eravate in casa?
GM: Noi in casa eravamo mia nonna, mio nonno.
DC: Nonna materna?
GM: Materna.
DC: Materna.
GM: Nonna.
DC: E si chiama, te lo ricordi il nome, cognome e la classe, se ti viene in mente?
GM: Ostia, mio nonno dunque, è morto nel ’51 a 94 anni.
DC: E aveva 94 anni. Lui si chiamava?
GM: [clears throat] Gaspare.
DC: E di cognome?
GM: Angelini.
DC: Angelini.
GM: Angelini.
DC: Eh, sposato, eh, la sua moglie?
GM: La nonna si chiamava della Rosa che era parente qui dei della Rosa di Bellaviva.
DC: Di Bellaviva.
GM: E si chiamava Angela.
DC: E lei più o meno a che ora [unclear]?
GM: Dunque lei è morta a San Marino nel ’44.
DC: Ah lei è morta per il passaggio del fronte, tua nonna?
GM: Sì, è morta per il passaggio del fronte però di malattia perché lei.
DC: Tifo?
GM: No, lei, è venuto che, lei non ha voluto venir via da Rimini perché mia nonna, il primo bombardamento che ci han fatto, che han fatto a Rimini è morta una figlia sotto i bombardamenti.
DC: Ostia!
GM: Capito, una [clears throat] una figlia e una nipotina, hai capito.
DC: Lei stava di già ancora a San Martino quando c’è stato la guerra?
GM: No, no, no, mia nonna stava qui.
DC: Ah giusto, era nel nucleo con te.
GM: Erano già venuti giù loro da San Martino.
DC: Erano già venuti giù.
GM: Mia nonna dopo è stata tanti anni qui a Bellariva. Mia nonna aveva sette figlie, sette figlie femmine. Una stava a Riccione, una a Viserba e una
DC: No, quello, io voglio sapere quello del tuo nucleo famigliare.
GM: Il mio nucleo, c’era mio babbo che è stato anche in Germania, lui.
DC: Classe, il tuo babbo? Nome e classe.
GM: Mio babbo era del ’93.
DC: Del ’93.
GM: ’93.
DC: E si chiamava il tuo babbo?
GM: Ubaldo.
DC: Ubaldo. Sposato con?
GM: Con mia mamma Eucillia.
DC: Di soprannome, di cognome?
GM: Di cognome Angelini.
DC: Ah, Angelini, giusto. Angelini.
GM: Era una Angelini lei.
DC: E i figli? C’eri te e quanti?
GM: Io, Franco e Luciano.
DC: Franco di che classe era?
GM: Franco è del ’40, ’41 credo.
DC: E Luciano?
GM: Luciano è del ’26. E’ il più grande Luciano.
DC: Luciano è il più grande di tutti.
GM: E’ il più grande di tutti.
DC: Dimmi esattamente dove abitavate.
GM: Noi abitavamo in Via Pesaro
DC: Quindi?
GM: Numero 1, dove c’è la piscina dell’Oceanic.
DC: Sì.
GM: Lì c’era la casa dove eravamo noi.
DC: Via Pesaro 1. E quando c’è stato il primo bombardamento dicevi che la tua nonna
GM: Quando c’è stato il primo bombardamento mia nonna abitava Bellariva e io ero per un pelo che ci sono scappato, ero andato a rinnovare l’abbonamento, che io avevo un, lavoravo allora a Rimini facevo il meccanico dentista, no?
DC: Ostia!
GM: Pensa te [unclear]
DC: Con chi? Ti ricordi?
GM: Ah, con.
DC: Il dottor?
GM: Con Lazzarotto.
DC: Lazzarotto. E dove aveva il suo ambulatorio?
GM: Aveva l’ambulatorio giù per il corso. Avevo poi Marcello Drudi, lo conosci Marcello Drudi?
DC: Marcello...
GM: Drudi.
DC: Che fa il dentista
GM: Faceva il meccanico dentista.
DC: Sì.
GM: Dopo lui è andato a lavorare con il fratello del Lazzarotto che ha imparato il mestiere lì. E me son de fè fabbri da questo.
DC: [laughs] Le vabbe’ se continui ti lì
GM: [unclear]
DC: Oddio però anche un fabbro insomma.
GM: Sì. Dopo.
DC: Se entrava nel giro buono [unclear] stava bene. Era tutto un altro lavoro.
GM: E’ stato [unclear] Io dopo ho lavorato tanti anni da Fochi però dopo avevo tentato la scalata ma.
DC: [laughs]
GM: L’era sempre che la zente non aveva mai il soldo, paghè, l’era un casen te capì?
DC: Te mi, M’hai detto prima che durante il primo bombardamento, tua nonna ha perso due familiari?
GM: No, mia nonna sì, ha perso una figlia che era sposata, che aveva un albergo in via Cormons.
DC: Come si chiamava tua zia?
GM: [clears throat] Mia zia si chiamava Aldina.
DC: Angelini Aldina.
GM: Aldina.
DC: Angelini Aldina.
GM: E la bambina si chiamava Anna. Siccome aveva sposato lei un Corbelli, sposata con un Corbelli.
DC: Quanti anni poteva avere quella bambina?
GM: Avrà avuto, [unclear] Dio Bono!
DC: Più o meno.
GM: Avrà avuto cinque anni. Avrà avuto cinque anni.
DC: Quindi loro abitavano in Via Cormons.
GM: Loro avevano la pensione Primavera in Via Cormons. Che è andata giù in pieno con una bomba, hai capito? Erano
DC: Primo bombardamento su quella zona.
GM: Perché lì è stato un trucco. Diciamo che han dato l’allarme e io con l’allarme ero proprio vicino alla Villa Rosa.
DC: Proprio sul, la via del filobus.
GM: La via del filobus.
DC: All’angolo quasi con Piazzale Kennedy.
GM: Dove è venuto giù il ponte dell’Ausa che han colpito. [clears throat] Io ero andato a rinnovare l’abbonamento perché era il giorno dei santi in [unclear]
DC: Il primo Novembre.
GM: La vedi qua che vedo oggi [unclear]
DC: [unclear]
GM: Quando ho rinnovato sto abbonamento e difatti vado là, era chiuso. Allora il filobus non c’era, mi sono incamminato a piedi e lì nel Viale Montegazza c’era una mia cugina che abitava e c’era suo figlio che era un ragazzino più piccolo di me che è andato, era lì vicino il Bar Ceschi, che adesso è i Duchi, peta che è il ristorente Chi Burdlaz.
DC: Sì.
GM: E’ lì che c’è. Lì tiravano, lui aveva una fionda che tirava i [unclear]
DC: [laughs]
GM:E allora abbiamo chiacchierato un po’ così e poi io mi sono incamminato e ho detto: ‘Andrei per trovare mia zia’, hai capito,
DC: Sono qui vicino.
GM: In Via Cormons, no, e appunto là c’è l’allarme adesso quando c’è il cessato allarme appena e difatti c’era un bus fermo vicino la Villa Rosa. Da il cessato allarme e m’incammino per il bus, il bus parte e arrivo a Bellariva.
DC: Fai in tempo di arrivare a Bellariva.
GM: Faccio in tempo a Bellariva che han dato, c’era l’allarme ancora e difatti.
DC: E quindi ha suonato due volte la mattina.
GM: Due volte. Han dato il cessato allarme e nel tragitto da Villa Rosa a Bellariva
DC: Altro allarme
GM: C’è stato un cessato allarme però il, quello che guidava con la sciampugnetta, hai capito,
DC: Certo.
GM: l’altro dritto, e io son venuto a casa. Quando son venuto a Bellariva avevano già sganciato le bombe lì a [unclear]
DC: Lì il rumore del bombardamento non l’hai avvertito.
GM: Io non l’ho sentito, s’è sentito, quando sono sceso si è visto solo sto fumo nero che veniva
DC: Dalla città. Dalla zona marina centro.
GM: Dalla zona marina centro. Ho detto, puttana madonna, l’è bumbardè, ah, ie bumbardè, bumbardè, [unclear] dicevano, no. E così è stato, allora.
DC: Sei tornato a vedere dopo lì?
GM: No, no, no, e dopo è tornato il mio babbo, è tornato a vedere, perché mia nonna fa: ‘Ma Dio bono, [unclear] bombardè la dàs marina centro’.
DC: Andè veder che bordello.
GM: E difatti la pensione è andata giù completo, lei con l’allarme era già, è uscita e poi è [unclear], ha fatto in tempo ad entrare in casa.
DC: Tracchete.
GM: Andè zò da cegerme adoss.
DC: E’ morta altra gente lì? E la pensione, c’era della gente dentro o erano tutti [unclear]?
GM: No, nella pensione c’era, è rimasta sotto solo lei e gli altri figli si sono salvati che c’era, è rimasta una scalinata in quella pensione che andava nella sala e c’erano come dei gradini, si vede che era di cemento e c’era come un tunnel, come un sottoscala.
DC: Si sono infilati lì sotto?
GM: E s’infila lì sotto
DC: [swears]
GM: Tre delle figlie e lì [unclear] hai capito e quello è stato un disastro perché hanno fatto nel primo acchito lì, hanno preso proprio la scia della Villa Rosa che hanno buttato giù il Ponte dell’Ausa e poi hanno colpito lì nella Via Fiume, nella Via Trieste.
DC: Sono arrivati fino laggiù al gasometro.
GM: Sì, il gasometro.
DC: Anzi, con le bombe Via Gambalunga.
GM: Sì, l’hanno compito il gasometro in pieno [unclear], quella volta, sì.
DC: Ho parlato con una signora che stava di casa vicino al gasometro. Ha detto: ‘Noi eravamo andati alla messa dai Paolotti in città. Mentre torniamo’, dice, ‘siamo arrivati davanti al duomo, suona l’allarme, siamo corsi nel palazzo [unclear] che c’era un rifugio antiaereo’.
GM: Sì.
DC: E si sono messi lì sotto. Dice: ‘Abbiamo sentito le vibrazioni del bombardamento’, perchè loro lì erano vicini. Ha detto: ‘Il mio babbo a me e a mio nonno ci ha lasciati da un collega di lavoro’, che era in ferrovia lui.
GM: Sì, sì.
DC: E lui è andato a vedere giù. Dice: ‘Io da quel giorno lì non sono più tornata a casa. Siamo andati da un’altra parte’.
GM: Ah sì sì.
DC: ‘Mia mamma era rimasta a casa a prepararci da mangiare, è rimasta sotto le macerie.’
GM: E dopo il secondo bombardamento.
DC: Il 26 di novembre.
GM: Di novembre, allora poi è successo che, c’era la miseria qui no, allora si cercava di prendere qualche soldo. Da Milano, quando c’è stato il primo bombardamento là nel [unclear].
DC: Sono venuti un sacco di sfollati.
GM: Sono venuti un sacco di sfollati a Rimini. E allora...
DC: C’era gente anche qui a Bellariva che era venuta sfollata o erano in città, a Marina centro?
GM: Marina centro fino lì Via Pascoli c’erano tutti
DC: Erano tutti concentrati là.
GM: C’erano tutti quegli alberghi, quei due, perchè si contavano con le dita gli alberghi
DC: Sì non
GM: C’era l’Internazionale che era lì vicino, prima di Piazza Tripoli, era prima di Piazza Tripoli che avevano messo su lì una grande, dei grandi uffici di Milano e allora c’erano molti impiegati che lavoravano là. Avevano preso tutto loro l’albergo.
DC: Si era trasferita la ditta praticamente.
GM: Sì. Allora noi cosa abbiamo fatto? Io, Feruzzi e Zamagni andavamo alla fermata del filobus di Marina centro che scendeva la gente perché sull’Ausa non poteva passare la linea. Era interrotta.
DC: Era interrotta, perché c’era il ponte rotto.
GM: E noi con un velocino, andavamo a prendere le valigie.
DC: Facevate il trasbordo.
GM: Facevamo il trasbordo fino a Piazza Tripoli.
DC: E lì facevate [unclear]
GM: E da lì partiva l’altro bus che andava fino a Riccione e allora prendevamo
DC: [unclear]
GM: Dieci centesimi, venti centesimi, capito? [laughs] Un pomeriggio andavamo giù perché uno [unclear] era un [unclear] con delle ruote alte lì. Facevamo da cavallo e due salivano, hai capito? Un po’ per uno. Quando siamo a Piazza Tripoli vediamo le strisce in alto. Dio bono, gli apparecchi! Prendi ‘sta via.
DC: Non aveva suonato l’allarme quella volta?
GM: Non l’abbiamo sentito noi quel giorno lì, non l’abbiam sentito, abbiamo visto sti apparecchi, facevano tutto quel fumo dietro. ‘Gli apparecchi, dio bono, via, via, via!’ Giù in marina.
DC: Venivano dal mare? Te lo ricordi?
GM: No, venivano da monte.
DC: Da monte.
GM: Da monte.
DC: Quindi il secondo eh?
GM: Quel giorno lì, Il secondo bombardamento che noi andavamo verso
DC: Verso Riccione in quel momento
GM: Verso marina centro.
DC: Verso marina centro.
GM: Gli apparecchi, [unclear] zù in marene, la stanga pron e via, lascia [unclear] giù sotto la mura del lungomare.
DC: Del lungomare.
GM: Difatti, dio bono, venivan zù lì, [makes a booming noise] e cadono un sacco di bombe in acqua anche, no?
DC: Addirittura sono arrivati in mare quel giorno?
GM: Le bombe sono cadute anche in mare, allora noi tagliamo sulla spiaggia [unclear] andon zò verso Bellariva per mareina, però lì al direzione dei Angeli Frua, [unclear] l’Hotel Belvedere che è vecchio che è rimasto lì.
[dog barking]
DC: Tutto decrepito, quello che è ancora tutto messo male?
GM: Adesso come una volta.
DC: Sì.
GM: Però funziona ancora, funzionante, hai capito?
[Dog barking. Female voice: sta zitta.]
GM: Lì c’erano, sulla spiaggia c’erano i tedeschi con la contraerea, hai capito?
DC: Contraerea secondo te erano quelli...
GM: Che sparavano agli aerei.
DC: Ma canna o singola o quelle mitragliatrici...
GM: No c’erano le mitragliatrici a quattro canne, quattro canne.
Ui: Quelle da quattro canne, ho capito.
GM: E c’erano i reticolati fino ad un certo punto prima di arrivare nel mare, no, prima di arrivare sulla spiaggia. E allora c’erano i tedeschi [mimics angry screaming] te capì?
DC: Vi facevano andare via?
GM: Ci facevano segno, no? E noi quando hanno fatto segno ha detto: ‘Ma dai, tagliamo verso la ferrovia, andiamo giù per la ferrovia’.
DC: Guai.
GM: Guai.
DC: La ferrovia era
GM: Siamo andati giù in direzione [dog barking] della pensione, aspetta, lì c’è l’Audi, sai dov’è l’Hotel Audi. Vicino
DC: No adesso comunque, comunque dopo si ripiglia.
GM: L’Hotel Plata hai capito che adesso l’hanno chiuso perché era tutto scasinato lì.
DC: Quindi voi da lì avete preso...
GM: Abbiamo preso verso la ferrovia e la direzione, poco in là ci sono le officine.
[dog barking]
DC: Porca miseria, [laughs]
GM: E’ apparsa una formazione [speaks dialect], erano anche bassi, no, lì, bombardamenti [unclear] hanno fatto. Si me e Giorgio e [unclear]
DC: Giorgio chi, quello del distributore?
GM: Giorgio, no, era Giorgio Feruzzi, che adesso è morto lui.
Ui: Non ce l’ho presente.
GM: Quattro, cinque anni fa, dieci anni fa.
DC: Quindi siete andati in
GM: Era un mio collega, era un mio amico
DC: Coetaneo.
GM: Coetaneo, di, della stessa classe eravamo.
DC: Siete andati vicinissimi al ponte.
GM: Siamo andati lì, proprio lì [speaks dialect] finì, Dio bono. Allora dopo è passato sto bombardamento e siamo andati giù direttamente giù per la ferrovia e siamo arrivati a Bellariva, hai capito.
DC: L’antiaerea gli ha sparato a quegli aereoplani, secondo te ?
GM: Sì sì sparavano.
DC: Sparavano.
GM: Sì, sparavano, sì sì. E allora
DC: Erano aerei con quattro motori che c’avete guardato o no, erano alti?
GM: Non erano tanto, si vedevano, non erano quattro motori.
DC: Perché la prima volta mi hai detto che facevano le strisce.
GM: Sì, facevano le strisce.
DC: Perché dopo poi c’è stato un bombardamento anche il giorno dopo, il giorno successivo, grosso anche quello.
GM: Sì.
DC: In Novembre ce ne sono stati tre.
GM: Tre. C’è quell ch’è ste gross.
DC: Il terzo è stato grosso grosso.
GM: Ecco dopo lì, da quel bombardamento lì, sono andato a lavorare alla Todt, alla famosa Todt.
DC: Dov’era la sede della, dov’è che ti sei iscritto?
GM: La sede della Todt, niente come quando, di toi uperaio la Todt allora.
DC: Sì, ma dove sei andato te materialmente a[unclear]?
GM: Alla Maddalena, allora c’era la colonia Maddalena.
Ui: Colonia Maddalena, ah, a Marebello.
GM: Marebello, lì dalle colonie.
DC: Lì era la sede della Todt.
GM: Lì c’era, lì c’era, erano tutti i campi da grano quelli, no. C’era la colonia poi erano tutti i campi da grano, una casina in fondo. Si contavano con le dita le case lì. E c’erano tutti i camion [unclear] perché Maddalena era il centro dove facevano i cassettoni per le, per armare, il cemento armato, hai capito.
DC: I getti di calcestruzzo.
GM: Lì c’erano tutti i falegnami e la manodopera come noi, la mattina ci prendevano, prendevano
DC: Quindi quello era il punto di ritrovo e da lì vi portavano dove.
GM: Quello il punto di ritrovo. Tutte le mattine noi andavamo giù, lì facevano l’appello, hai capito, ti chiamavano, e poi salivi, si saliva sui camion che c’erano tutti autisti della
DC: Camion tedeschi o?
GM: Camion tedeschi.
DC: Tedeschi.
GM: Erano camion tedeschi che erano, gli autisti erano prigionieri
DC: Ucraini.
GM: Ucraini, erano tutti ucraini.
Ui: Polacchi, robe così.
GM: [unclear] Non erano armati nè niente. Avevano una divisa nera così e facevano, e ci portavano là.
DC: Eravate in molti a lavorare lì alla Maddalena?
GM: Eravamo in parecchi. La mattina andavamo giù perché dopo da là c’erano tre, quattro fortini che erano tirati giù dopo la guerra.
DC: Dove?
GM: Per togliere il ferro.
Ui: Dove ’là’?
Gm: Dopo il ponte, sai dov’è il Carlini che fann le barche?
Ui: Sì.
GM: Ecco, là.
DC: Là c’erano quei quattro fortini con i cannoni dentro?
GM: Eh, quelli lì.
DC: Quelli che guardavano il mare?
GM: Noi facevamo quelli.
DC: Quelli, lavoravi in quelli? Ma lo sai che c’ha lavorato anche il mio suocero?
GM: Ah sì?
DC: Lui era di Viserba Monte.
GM: [unclear] lì lavoravano parecchi.
DC: Senti cosa mi ha raccontato lui, non so se questo lo puoi, c’era gente che lavorava che veniva anche da fuori. Lui m’ha detto:’Io lavoravo con uno di Bergamo, che aveva un bambino con lui’. Il figlio, perché si vede che non sapeva dove lasciarlo.
GM: Però dopo, la sede, si vede che c’erano dopo altri punti di riferimento per questa organizzazione.
DC: D’incontro. Lui mi sa che faceva dalla corderia.
GM: Ah dalla corderia, ho capito.
DC: Che era un altro coso grosso che usavano i tedeschi.
GM: Noi partivamo da là, dalla Maddalena e quando c’era l’allarme ci portavano a Viserba Monte. Ci caricavano, davano l’allarme, si andava in campagna perché non potevano.
DC: Quanti mesi hai lavorato con loro secondo te?
GM: Due mesi.
DC: Quindi sei arrivato?
Gm: Sì, a Dicembre, così mi sembra.
DC: Perché se hai detto dopo il bombardamento di fine novembre.
GM: Dicembre, gennaio.
DC: C’hai lavorato dicembre e gennaio probabilmente.
GM: Due mesi ho lavorato.
DC: Se, te hai lavorato sempre a quei fortini là a Rivabella.
GM: Sì, noi facevamo la calce praticamente ecco perché dopo tutto il legno venivano giù coi camion tutte ste cose già pronte, queste.
DC: Perché quelli erano grossi, quei fortini lì a Rivabella.
GM: [unclear] Erano grossi, sì, sì, erano grossi.
DC: Ho visto delle fotografie.
GM: Ce n’era uno anche qui.
DC: Hanno messo prima i cannoni dentro e poi gli hanno fatto il calcestruzzo, te ti ricordi?
GM: Quando hanno messo i cannoni io non.
DC: Te non c’eri.
GM: Io non c’ero più.
DC: Quindi prima [unclear]. Li hanno messi dentro dopo.
GM: Sì, dopo, dopo, li hanno messi dentro.
DC: Qui vicino
GM: Qui ce n’era uno più grosso, eh.
DC: Dove? Spiegami un po’, che mi interessa molto.
GM: Qui.
DC: Toh.
GM: Era ne, qui, sai dov’è il gas?
Ui: Sì.
Gm: Qui, c’è quella stradina che viene che c’è il divieto, lì, la prima strada.
Ui: Guarda, così guarda. Questa, allora questa è la ferrovia. Via Chiabrera.
GM: Chiabrera.
DC: Qui ci sono gli uffici del gas.
Gm: Del gas. Qui c’è
DC: E qui adesso c’è la rotonda.
GM: Sì.
DC: Dimmi un po’ dov’era?
GM: Qui c’ è la prima, la prima strada.
Ui: Sì.
Gm: Qui. Poi dopo, c’è la prima col semaforo, la seconda col semaforo.
DC: Sì.
Gm: La prima strada qui e il bunker era qui.
Ui: Ed era grosso quanto, secondo te?
Gm: Ah, era grosso.
DC: Una stazza così?
GM: Eh, anche più grande.
DC: Quindi questo era un bunker.
GM: L’hann buttato giù lì proprio quando sono venuto giù io.
DC: Questo è il gas.
GM: Qui
DC: Bunker.
GM: Quando sono venuto giù io dalla parte verso Riccione, l’hanno forato con due cannonate. C’erano proprio i
DC: I buchi.
GM: I buchi delle cannonate.
DC: Ma questo qui secondo te, doveva tenere un cannone o era più?
GM: Ma quello lì penso io che tenessero mitraglitrici credo.
Ui: Qui lungo la ferrovia, allora, [unclear] quello della frutta cinquanta metri più in qua attaccata alla ferrovia, un metro
GM: [unclear]
DC: Sì, c’è un fortino piccolo.
GM: Eh.
DC: Sono andato a fargli la fotografia.
GM: Sottoterra vai anche lì eh.
DC: Questo qui.
GM: Quello è profondo.
DC: Ha, il, la botola sopra.
GM: Sì, la botola sopra che c’era una mitraglia penso io.
DC: Secondo, o era una riservetta, dico, sì, secondo me lì sopra ci doveva stare la mitraglia.
GM: Lì c’era questa piatta, questa cosa tonda che si vede che c’era una mitragliera
DC: Da fronteggiare.
GM: A quarantacinque gradi, vai a capire, a novanta gradi, e in più c’era una casamatta dentro. Casematte erano tutte quelle tonde di ferro che erano
DC: A cupoletta così.
GM: Erano tonde, tonde, proprio tonde. E avevano una porta di otto, nove centimetri. Che noi, quando io lavoravo da [unclear] dopo la guerra.
DC: Andavate a recuperare la roba.
GM: Abbiamo tagliato ste porte per fare il tasso per raddrizzare il ferro, per battere il ferro
DC: Per lavorare
GM: Hai capito?
DC: [laughs] Quella era roba bona.
GM: Ce n’era una anche vicino il [unclear] dove c’era, dove finiva la mura del De Orchi.
DC: C’era un fortino lato mare?
GM: C’era una casamatta di ferro così.
DC: Allora questa è la De Orchi.
GM: Eh. Di dietro.
DC: De Orchi. Questo qui è il mare.
GM: Sì.
DC: Dov’è che era sto fortino?
GM: Questo è il mare, il fortino è, dunque questo è la De Orchi, qui, qui. Era qui.
DC: Questa era uno di quelli piccolini, cupoletta.
GM: Tutto ferro, tutto ferro.
DC: Ah, solo ferro.
GM: Solo ferro.
DC: Ah , ostia!, interessante. C’è una fotografia nei libri della guerra lì dei [unclear]? Bunker.
GM: Quello è tutto ferro, tondo. C’era
DC: Tutto ferro.
GM: Con porta di spessore da dieci centimetri.
Ui: E qui intorno ce ne erano degli altri che ti ricordi te?
GM: No, qui, qui, qui, e qui [unclear], no.
DC: Sai dove ce n’è uno ancora esistente?
Gm: Eh.
DC: In Via Zavagli. Te sei a monte e vai verso il mare.
GM: [unclear]
DC: Come passi il primo ponte della ferrovia, guardi sulla spallata così della ferrovia, c’è il fortino. A trenta metri dalla Via Zavagli. Ci sono andato dentro, ho preso le misure.
Gm: [unclear] perché io ho visto un altro coso come quello della [unclear]
DC: E’ fatto così a due livelli.
GM: Ho capito.
DC: Sopra il tetto ha, stranamente ha la porta verso il mare, che non è, sembra illogico. E’ così guarda. C’ha la porta qui così,
GM: [unclear] verso il mare.
DC: si alza un po’ e qui c’è la feritoia. E’ fatto così, tutto in calcestruzzo. E qui la porta e la feritoia guardano tutti due
Gm: E’ quello che te sei andato qui perché invece
DC: Invece quello è così, è un rettangolo praticamente smussato un po’ indietro così
GM: Sotto si va, si va giù coi gradini sotto da dentro nel recinto dalla casa.
DC: Ah, anche quello c’ha la porta qui.
GM: Quello c’ha la porta.
DC: E il buco qua sopra.
GM: C’ha la porta verso il mare.
DC: Verso il mare.
GM: Sì. Infatti
DC: Guarda, è a un metro dalla linea ferroviaria, dalla rotaia.
Gm: Quella casa lì l’ha presa uno, ma sotto c’ha fatto la cantina.
DC: Sì c’ha fatto la cantina, ma non è tanto grande questo eh.
GM: No.
DC: Questo sarà largo così, è più lungo, è un rettangolo ma non è molto largo. Non so se lo usavano come riserva per le munizioni.
GM: Può darsi, senz’altro. Senz’altro.
DC: Tuo babbo che lavoro faceva in quel periodo?
GM: Mio babbo lavorava all’aeroporto allora al tempo di guerra.
DC: Cosa faceva?
GM: Dava benzina agli aerei così, hai capito?
DC: Ostia! Ma va!
GM: Eh sì, perché, dopo lui è stato in Germania.
DC: Coso qui, Antimi
Gm: Antimi, il falegname?
Ui: No, Antimi, adess l’è mort pure et ma lui durante la guerra era sotto naja, era in marina. Antimi, aspetta eh, sta, stava di casa, hai presente la rotonda qui dell’ospedale?
GM: Eh.
DC: Vai verso Riccione. Una, prima di arrivare in Via Rimembranza, lui sta in una di quelle casette lì. In Via Fasola.
GM: Fasola?
DC: Sta, lui di casa durante la guerra.
GM: Ah, ho capito.
Ui: Era di quella famiglia che stavano lì di fronte alla Coca-Cola. Un pochettino più verso Rimini.
GM: Sì [unclear]
DC: E lui lavorava dentro l’aeroporto e, se ricordo bene m’aveva detto, che era assieme, cosa che c’era, c’è un meridionale qui a Bellariva che anche lui era, lavorava dentro l’aeroporto.
GM: In tempo di guerra?
Ui: Sì, non so se faceva il calzolaio.
GM: Ah, può darsi.
DC: Come cus ciema, è famoso qui a Bellariva, sicuramente te lo conosci ma adesso mi sfugge il nome, e lo stesso. E lui quindi metteva benzina negli aeroplani, faceva questi servizi così. Porcaccia loca!
GM: [unclear] dopo, sì, mio babbo nel prima ha lavorato anche con il comune di Rimini, però lavorava d’estate, sai il lavoro era quello lì in tempo prima della, in tempo di guerra o prima della guerra, [unclear] ogni tent, si muradure.
DC: Dove capitava.
Gm: Dop l’è andè in Germania, è stato due tre anni là.
DC: Faceva le stagioni o stava fisso?
GM: No, no, lui, lui lavorava in una fabbrica di, dove facevano i sommergibili.
DC: Ostrica! Ti ricordi in che città era?
GM: Era witt, eh Wittenberg.
DC: Tre anni filati è stato là?
GM: No, veniva a casa in licenza.
DC: Faceva le licenze. Porco boia!
GM: Lui e mio zio, tutti e due.
DC: Perché qua mancava il lavoro.
GM: Eh, qua mancava il lavoro, dopo ha fatto sta cosa. Il primo anno l’ha fatto a Villach, in Austria.
DC: E li che cosa, fabbrica di che cosa?
GM: Lì campagna.
DC: E mio suocero l’è andè in Polonia a piantar patè di un anno.
GM: Anche lì fè in campagne dopo l’è [speaks dialect] il secondo turno l’ha fatto là in Germania.
DC: Perché pagavano più di qui.
GM: Ostia, pagavano [unclear] poi.
DC: Però mi ha detto mio suocero l’era un freddo
GM:Ah, l’era dura no però
DC: E’ arrivato là in maggio c’era ancora la neve dov’era lui.
GM: [unclear] Noi, io avevo tre fratelli, erano tutti e tre in Germania erano. Uno è rimasto anche fino la, il passaggio dei russi diciamo. [speaks dialect]
DC: [laughs] Dio poi!
GM: Hai capito? E invece gli altri due e mio babbo e mio zio, ce l’hann fatta a venire a casa [unclear]
DC: Dio poi! [laughs]
GM: Con una licenza e poi nel [speaks dialect]
DC: [speaks dialect]
GM: Sta bombardè forti là.
DC: Porcamiseria. La Germania dove c’erano le fabbriche l’hann rasa praticamente al suolo.
GM: L’hann raso al suolo.
DC: Il terzo bombardamento di Rimini, anzi forse è stato il secondo. Dei caccia di scorta hanno sganciato i [unclear] nella zona del Ghetto Turco.
GM: Sì, i serbatoi.
DC: I serbatoi.
GM: I serbatoi, sì sì.
DC: Ti ricordi di averlo visto te sta cosa?
GM: Sì sì. Che venivano giù sta cosa, puttana [unclear].
DC: Una signora. La Gattei [?], [unclear] la mamma di Gattei [?]
GM: Sì.
DC: [unclear], La mamma di Gattei [?]
GM: Sì.
Ui: Il coso, il vecchio bagnino di Bellariva.
GM: Sì sì.
DC: Lei mi ha detto: ‘io stavo là vicino al Ghetto Turco [unclear] abbiamo visto venire giù sti robi strani [unclear] ah, Dio poi! Ma venivano giù piano, che di solito le bombe, quando prendevano velocità, non le vedevi più no. E questa si continuava a vedere [unclear] sai che sarà, corri di qua, corri d’là, arrivano per terra, non succede niente. Allora tutti avevano paura, disi, scoppierà per terr. Allora dice che c’era un carabiniere là c’la dett: ‘[speaks in dialect] che vado a veder io. Tanto ormai sono vecchio, anche se muoio io’. Quand’è arrivato là ha capito che erano serbatoi di benzina. Dopo [unclear] che qualcosa hanno rimediato ma c’era rimasto poca roba.
DC: Quindi anche te li hai visti scendere?
GM: Sì sì.
DC: Si capivano che erano caccia su in alto?
GM: [unclear] quando c’era la, la formazione degli aerei, quella era per il terzo bombardamento adesso [unclear] perché [unclear].
DC: Cert. [laughs]
GM: Mi ricordo che ero, ero lì dove c’è il semaforo adesso, no, la Via Rimembranza era tutta campagna. [speaks dialect] mi fa:’dio bono’, difatti venivano da Riccione e andavano verso Rimini. C’era la caserma Giulio Cesare, che c’erano ancora i soldati lì. H a dit, Puttana madonna guarda quanti aerei. E difatti si è visto proprio, io mi sono messo nel fosso, sembrava che queste bombe cadessero proprio sopra di noi.
DC: Dio poi!
GM: Puttana Madonna! [speaks dialect] Invece, hai capito, [unclear] vicino la mura della caserma, hai capito. Ah la Madonna! Era un bel disastro.
DC: Robe che non si dimenticano eh.
GM: Eh, non si dimenticano.
DC: [unclear]
GM: Ti faccio vedere un libro che ha scritto mio, un figlio di una mia cugina.
DC: Su questo argomento qui?
GM: Che racconta anche lui [unclear]
DC: Va la!
GM: Di questa. Tutti, ci sono tutti racconti, non so se tu l’hai visto quel libro lì.
DC: Come s’intitola?
GM: A m’arcord.
DC: Prova a far vedere, che mi interessa moltissimo. Che ci sia anche in biblioteca, l’avrà depositato.
GM: Non credo.
DC: Signora, voi di solito a che ora cenate, che non vorrei.
FS: Ma no no no, tardi.
DC: Tardi.
FS: Tardi, eh.
DC: [laughs]
FS: No no, non si preoccupi.
GM: Aspetta, ‘la città invisibile’.
DC: Ce l’ho.
GM: Ce l’hai?
DC: Ce l’ho. La scritto chi, tuo cugino? Tuo parente?
GM: No, c’è un racconto che è di un mio parente.
DC: Coso?
GM: Rodolfo si chiama.
DC: Francesconi?
GM: Francesconi.
DC: Te sei parente con Francesconi?
GM: Francesconi è il figlio di una mia cugina buona.
DC: Lo sai che io da un racconto [unclear] qui?
GM: [speaks dialect] Sarà zinquanta, sessanta anni.
Ui: Fa vedere la fotografia di Francesconi che di faccia non me lo ricordo.
GM: [unclear] vieni a pagina qua.
DC: Questo è bellissimo, sto libro qui. Il racconto di Rodolfo. Fa veder. Perché qui c’è un racconto anche di un altro di Bellariva.
GM: Germano Melucci.
DC: [unclear] sull’elenco non c’è.
GM: Stai qui, stai qui.
DC: Non l’ho trovato sul elenco telefonico.
GM: Te dè me il numero.
DC: Dio bonamma! Rodolfo, fa veder la foto.
GM: Questo è tutta, tutta storia, tutta la parentela anche il mia, la mi zia, che era su nona, hai capito? Dopo c’era mio cugino.
DC: Questo è ingegnere? No.
GM: No, lui no, lui è chimico credo.
DC: Ingegnere chimico. Sta a Riccione?
GM: Sì.
DC: Lo sai che io c’ho parlato con lui?
GM: Sì?
DC: E mi ha prestato il suo diario da fotocopiare?
GM: Ah sì?
DC: [laughs] Perché gli sono andato a chiedere se aveva voglia di raccontarmi. Lui mi fa, mi ha guardato, fa:’ma perché fa sta cosa?’ Dico: ‘Guardi, io sono un appassionato, io ho letto un libro che c’è’. E mi fa:’sa che sto diario l’ho dato alla biblioteca di Cattolica’ che dovevano fare qualcosa, tipo una pubblicazione così. Ma lo vuole leggere? Dico:’magari, se vuole, ma si fida?’ dico perché io lui non l’avevo mai visto, c’eravamo incontrati così per le mie ricerche.
GM: Sì sì sì.
DC: Me l’ha dato, mi ha prestato il diario, me lo sono, lui qui ha fatto la cronistoria di tutti gli aerei che ha visto cadere.
GM: Sì sì. [unclear] tutto.
DC: Ha fatto una roba fuori di testa. Ma ha visto un sacco di roba questo qui eh. Poi si erano spostati là nella colonia a Misano.
GM: Sì perché la colonia lì, perché mia zia.
DC: Ma pensa te, è tuo parente [laughs]
GM: Aveva sposato un Amati, no. I famosi Amati di Riccione.
DC: Di Riccione.
GM: Anche parente c’è qualche [unclear] eccetera e praticamente il marito di mia zia era uno che stava bene, era uno che, una persona, un grande pescatore.
DC: Stava a Mirano mi sembra lui, Francesconi?
GM: Mirano, lui è stato
DC: C’ha lavorato?
GM: Francesconi era il babbo di Rodolfo, hai capito, che era un gerarca fascista. E’ stato in Libia, cred che sia mort, na, na, dop la guerra l’è torni. [speaks dialect] direttor l’Alitalia un per. Hai capito?
DC: Com’era, uno di quelli che
GM: Dopo mia cugina si era disunita da lui come
DC: Quest na, è Germano?
GM: Questo è Germano.
DC: Dio bonamma, l’ho cercato che gli volevo parlare.
GM: [unclear] sta zitta. Questo è un altro libro di chiesa, però racconta anche un po’ questo di bombardamenti. Questo è “una spiaggia, una chiesa e una comunità”.
DC: E chi l’ha, ah, Manlio Masini. Bravo che lui scrive
GM: Questo è ’43. Dal ’12 al ’43.
DC: E parla del [unclear], anche qui della guerra?
GM: Questo parla un po’ della guerra anche.
DC: Sei amico te con lui, lo conosci?
GM: Masini? No, questo qui me l’ha dato un mio amico che era un professore; Marcello [unclear] perché el cognom [speaks dialect]. Era, siccome faceva, d’estate faceva il, il, parlava bene l’inglese e il francese, faceva, lavorava per, con l’areoporto per le agenzie, ora ho fatto anche il tassista, te capì? Per sto [unclear]
DC: Per un certo periodo.
GM: E allora hai capito, beh comunque, c’è la storia di qualche bombardamento perché c’è anche Marvelli, che ha lavorato anche lui nella Todt.
DC: Ah, lui era ingegnere.
GM: Lui era ingegnere.
DC: Era lì alla cosa, alla Maddalena, come sede, lui? [unclear] in giro?
GM: Ma io non, io non me lo ricordo. Io ho letto qui che lui ha lavorato nella Todt.
DC: Sì ma l’hanno detto che lui era.
GM: Hai capito, ho letto qui che c’è un racconto.
DC: Forse lui magari era in una delle altre sedi.
GM: Lui era ingegnere, hai capito, dopo parlava bene il tedesco lui perché la mamma era tedesca di lui.
DC: Ah, non lo sapevo questo.
GM: Hai capito.
DC: Fammi vedere il titolo che me lo scrivo. Allora, Manlio Masini, una spiaggia, una chiesa, una comunità. Fammi una cortesia.
GM: Dimmi.
DC: C’hai il numero di Germano, hai detto?
GM: Sì sì sì.
DC: Dammelo subito che così non mi dimentico che dopo, dopo di te, becco anche lui [laughs]. Che belle foto che ci sono.
GM: Qui ci sono anch’io in una processione.
DC: Ah sì? Te frequentavi la, il coso dei Salesiani?
GM: Io nel, nel ’38, quando ho passato la cresima, tutti [unclear] lì perché la chiesa era a Piazza Tripoli, noi qui non avevamo la parrocchia, hai capito?
DC: Non facevate con la Colonnella?
GM: No, la Colonnella era dalla parte di là. La Via Rimembranze era, una parte della ferrovia in là era Colonnella e fino, sulla destra era Colonnella e sulla sinistra era Piazza Tripoli. Comunque
DC: Ah, quindi te eri collegato là.
GM: Io ero collegato con la chiesa di [unclear], quindi Germano, Germano, Germano, Germano, 380424.
DC: E abita anche lui in questa via qui?
GM: Lui abita dirimpetto [unclear] c’è pure il tabaccaio che fa angolo qui.
DC: Sì.
GM: C’è un tabaccaio no. La stradina lì, la seconda casa, c’è un cancello con l’automatico.
DC: Con l’automatico. Ah, dio bo, lo chiamo eccome. Lo sai che l’ho cercato anche sotto Riccione, [unclear] siccome quelli lì sono quasi tutti di Riccione, dico, si vede che sta a Riccione [unclear]
GM: [unclear] Ha il distributore a Riccione.
DC: Ah.
GM: Allora uno c’ha regalato il libro, lui, me l’ha dato lui sto libro.
DC: E’ bellissimo.
GM: E allora dopo [unclear] ho letto tanti
DC: Questa storia qui.
GM: Eh.
DC: Il racconto di Dino, questo.
GM: Sì?
DC: Che era il fabbro di Spontricciolo.
GM: Spontricciolo.
DC: Lui, assieme ad altri due, ha tenuto nascosto un americano per tre mesi, un aviatore che si era buttato il 5 giugno del ’44 nella zona di Ospedaletto. Erano in dieci, sei li hanno catturati subito, quattro
GM: [speaks dialect]
DC: Era, ma adesso arriviamo anche lì,
GM: Quando zè rivà, in che periodo che è caduto l’aereo?
DC: Cinque giugno ’44.
GM: Difatti, quando il fronte è passato in
DC: In settembre.
GM: In settembre
DC: Qui hanno combattuto a [unclear] dai primi di settembre.
GM: Era una fortezza volante.
DC: Era una fortezza volante.
GM: L’è cascè [speaks dialect] perché una volta c’era una fortezza volante, noi da porta san marino
DC: Vedevate tutto.
GM: Prendevamo una galleria che aveva tutto lo sbocco e abbiamo visto tutta la battaglia dei carri armati, si vedeva tutto, hai capito? E poi, era uno che aveva un binocolo buonissimo [unclear]
DC: La galleria quale, quella del Borgo Maggiore?
GM: No, era l’altra.
DC: [unclear] al convento dei frati?
GM: No. Dunque partiva, dal Borgo Maggiore partiva, dunque, petta,
Ui: Ce n’era una che faceva tutto il giro del monte
GM: No, Il nostro giro, la nostra galleria, quando tu venivi giù dalla città,
DC: Sì.
GM: Da San Marino, per andare già nel borgo, prima di prendere la penultima curva che [unclear] il borgo
DC: Che fa tutto il giro
GM: Sotto quel, quel coso lì c’è l’entrata di questa galleria
DC: Che fa tutto il giro del monte
GM: Che va, va a finire
DC: Al convento di Valdragone. Mi sembra, no?
GM: No, no, no, no, quello va a finire a Santa Mustiola. E prende un’altra galleria ancora che va nel borgo dopo.
DC: Ho capito.
GM: Ce n’erano due, hai capito, uno attacca l’altra.
DC: Quindi voi eravate dalla parte che guarda verso il mare.
GM: Noi guardavamo, sì, noi guardavamo verso il mare perché eravamo, quando uscivamo dalla galleria c’era uno spiazzale lì. Vedevamo il mare, Serravalle, e vedevamo, e se andavi su poi dopo vedevi anche Riccione eh cioè, però dovevi andare sulla strada, hai capito.
DC: Sì.
GM: Perché c’era la strada lì. Era una galleria che era ottocento metri credo, faceva un ferro da cavallo faceva
DC: Sì, girava intorno al monte,
GM: Sì.
DC: Praticamente.
GM: E vedevamo tutto Verucchio, tutto il Montebello, tutte le cose lì, tutti i compartimenti.
DC: Era una zona praticamente.
GM: Dalla galleria vedevi proprio i ultimi tedeschi scappava via
DC: E parlami di quel [unclear], di quella fortezza volante.
GM: Di quella fortezza volante, allora, è successo che sta fortezza volante andavano verso
DC: Verso sud.
GM: Verso sud.
DC: Stava rientrando da un bombardamento.
GM: Stava rientrando da un bombardamento. E questa che è qui ha preso verso la campagna qua, verso Cerasolo, su, su, e andava verso l’Arno. E poi tutta una volta si sono buttati via sti [unclear]
DC: Paracaduti.
GM: L’apparech andava verso Cattolica così, hai capito, [speaks dialect] quel casca.
DC: C’erano due caccia che lo attaccavano sta fortezza volante o era da sola?
GM: No, era da sola la
Ui: Allora è quello lì. Hai visto quello lì.
GM: Era da sola.
DC: Perché un mese prima ce n’era stato un altro sempre [unclear]
GM: Per me quella lì è stata colpita dalla contraerea.
DC: E’ esatto.
GM: E’ stata.
DC: A Bologna.
GM: Eh, difatti.
DC: Era andata a bombardare a Bologna.
GM: [speaks dialect] questo [speaks dialect] si vede che c’era qualcosa che non andava.
DC: I colleghi di, gli altri aeroplani che erano più avanti,
GM: Sì.
DC: Perché lui era rimasto attardato,
GM: Sì.
DC: Che non gli andavano i motori.
GM: Difatti [unclear] questo era lì per [unclear].
DC: Hanno scritto che era esploso in volo l’aereo. Te ti, quando è andato sul mare, secondo te, è andato giù nell’acqua o l’è sciupè?
GM: Io non ho visto [unclear] perché io [unclear] orca madonna butta zò [unclear] dopo hann detto che poi un po’ li hanno presi.
DC: Sei li hanno presi. Tre sono finiti a Monte Grimano e sono stati nascosti da un signore, con cui ho parlato, che li ha tenuti in casa
GM: [unclear]
DC: E il quarto era quello che ha aiutato lui.
GM: Ha avuto un bel coraggio.
DC: Quelli si sono incamminati, sono riusciti ad arrivare all’interno. Dopo hanno trovato dei partigiani che li hanno portati a Monte Grimano, in sta famiglia che stavano in una casa isolata. E lì sono stati circa due mesi. Poi dopo è arrivato il fronte e sono riusciti a consegnarsi. Lui invece che era rimasto aiutato da uno lì che era nella zona, questo, Dolci
GM: Sì, sì, sì.
DC: Questo, il Dolci di soprannome, era sfollato a Mulazzano.
GM: Ho capito.
DC: Dice, sono andato giù, per vedere dove erano atterrati sti aviatori. Dice, l’er ved un camion fascisti e tedeschi, ia ciap su, erano nel grano, dice, hann tirato, c’hanno mitragliato sopra in alto no questi col fazzoletto bianco così si sono arresi, dice, li ha ciap, ha detto, torno su a Mulazzano. Arrivo a Mulazzano e trovo un signore con la bicicletta che mi fa: ‘te’, siccome lui dava in giro i giornali proibiti, L’Unità così, faceva propaganda no, non era un partisen però si dava da fare e dai, lui era giovane.
GM: [speaks dialects]
DC: [speaks dialect] [laughs] Allora mi dice: ‘mi avvicina un signore con la bicicletta ha detto: ‘te che sei un partigiano, hai presente il Ristorante Vannucci a Mulazzano?
GM: Sì.
DC: Dietro il ristorante Vannucci, giù nella scarpata c’era questo aviatore, che qui c’è anche la fotografia, che si era slogato una caviglia e non riusciva a camminare. Diceva: ‘anda zì e aiutè perché quello non ries a moversi’ e da lì è nata la storia. E lui e gli altri, e un altro me l’ha raccontata tutta, ha fatto un libretto che ho depositato in biblioteca.
GM: Qui c’erano partigiani uno che faceva il tassista con me, lui è, per dire, che poi va detto, si chiamava Amati, Amati Gino, se tu guardi anche sul computer c’è Amati Gino
DC: A Rimini?
GM: Rimini sì. Era assieme con i tre che hanno impiccato lui eh. Quelli che sono scappati, è scappato via [unclear]
DC: Che è riuscito a
Gm: Scappar via a bruciapelo. La storia di lui.
DC: Lui è ancora vivo?
GM: No, è morto
DC: Vacca boia!
GM: E’ morto due, tre anni fa. E [unclear] dimmi Gino, insomma quante semo partigiani? [speaks dialect] durant la guerr eran tut partigien. [speaks dialect] In partigien sem sette o otto.
DC: [laughs]
GM: Quei poveracci che hanno ammazzato che poi delle grandi azioni non le hanno fatte.
DC: Grandi azioni qui a Rimini non le hanno fatte. Tagliavano i fili del telefono, mettevano i chiodi
GM: Bolini con la mazzetta, [unclear] fucilè fradè per sbai.
DC: Chi Bolini?
GM: Quelli di Bolini che
DC: Ciavatta.
GM: Ciavatta. Però
DC: [unclear]
GM: Era imparentato coi Bolini
Gm: Ciavatta er, erano quattro o cinque fratelli, no, la sai la storia
DC: Te li conoscevi, sì, me l’hanno raccontata.
GM: Io ho preso la pensione da loro quando
DC: Quando hai cominciato
GM: Quando hanno incominciato a fare la pensione a Marebello.
DC: Ah, Marebello avevano loro?
GM: Avevano la Pensione Emma lì no, che c’è ancora. Era dei Ciavatti quella lì.
GM: Che dopo poi loro ne hanno fatto un’altra là a Rivazzurra. E quella lì l’han venduta e noi l’abbiamo preso da lui in affitto quando
DC: Ho capito.
GM: Dopo l’ha presa una certa Giunchi e allora lì mi ricordo che ancora c’era ancora la mamma che era ancora [unclear]
DC: Poi con la storia che il fratello non si era consegnato [unclear]
GM: [unclear]
DC: E non tocchiamo questo discorso che qui siamo sul personale, dopo.
GM: E allora voglio dire che c’entravano [unclear] i partigiani, a volte [unclear] ah ma sei partigiano, ma che partigiano [unclear]. La battaglia [unclear].
DC: Durante il terzo bombardamento di Rimini i caccia tedeschi, te non so se te ne sei accorto,
GM: Caccia tedeschi.
DC: Caccia tedeschi hanno attaccato la formazione e hanno abbattuto due bombardieri, due fortezze volanti che sono andate a cadere, una a Città di Castello e una a Campo, che è verso
GM: Quello, quando è stato quel bombardamento lì?
DC: Quello è stato il 27 Novembre del ’43. Poi dopo ci sono stati quelli grossi
GM: Infatti, però hanno buttato giù anche un caccia tedesco che c’era un, c’erano i caccia della
DC: Della Repubblica Sociale.
GM: Della Repubblica Sociale.
DC: Quel giorno secondo te, è caduto?
GM: [speaks dialect]
DC: E dove sarebbe caduto questo aereo lì?
GM: Sarebbe caduto là verso San Marino credo, sia caduto là a Fiorentino, penso io.
DC: Dietro San Marino, due aerei della Repubblica Sociale sono caduti, abbattuti per sbaglio dai tedeschi. Pensa te. Uno è caduto verso Montecopiolo e uno una decina di chilometri più in là. Questi italiani della Repubblica Sociale Italiana stavano inseguendo,
FS: Oh ciao!
DC: Ciao, salve, non salve, ciao [laughs], te, scusami, sai. C’hai il babbo che, è uno classe 1929 che può raccontare un sacco di robe e non m’hai mai detto niente?
SFS: Eh, certo, come no.
DC: Eh no, no. [laughs]
FS: Ne abbiam parlato, ne abbiam parlato.
DC: Come stai?
FS: Bene, te?
DC: Non c’è male.
FS: Come va il tuo libro?
DC: Eh io due, ho depositato due libri in biblioteca.
FS: Ah sì?
DC: Sì.
FS: Dai, ma due.
DC: Raccogliendo le robine così ma robine così da bastare eh
FS: Vabbè, ma sei un appassionato infatti la Patrizia è mia amica la Patrizia, quella bionda bionda della biblioteca
DC: Ah sì, la [unclear]
FS: La [unclear]
DC: [unclear]
FS: Mi dice sempre perché una volta così abbiamo parlato. Mi fa, ma dai ma [unclear] parlare di storia perché anche lei è laureata in, proprio in storia moderna, hai capito, la sua specializzazione. E allora faceva: ‘Ma dai non lo conosci, non, coso, Celli, no, ti ricordi, ‘come non lo conosco’, ha detto, è anche venuto a casa mia per, che facevi l’albero.
DC: Sì che facevo le ricerche
FS: Le ricerche. E infatti allora insomma.
DC: Allora mi faccio raccontare anche dal tuo babbo quello che ha passato lui. Dio bon, c’ha una memoria della Madonna, il tuo babbo.
GM: [unclear]
FS: Il mio babbo, ha su quelle cose lì il mio babbo, mio zio Luciano di là, dio bon, chi li ferma più. Infatti fai bene, stai facendo un [unclear]
DC: Io adesso raccolgo, dopo vedrò.
FS: Vedrai.
DC: Adesso intanto cerco di raccogliere.
FS: Ah bene bene bene. Poi dopo fa. Adesso qua che li verrai a vedere, eh, quei depositi là?
DC: [unclear]
FS: Devi chiedere alla Patrizia.
DC: Fammi vedere i libri di Celli. Ma ti dico, io non sono bravo a scrivere, quindi, è giusto per non perdere la memoria di quello che mi racconta.
FS: Eh, hai fatto bene. Le hai praticamente solo depositato come documento.
DC: Come documento.
FS: Come documento che se uno vuole reperire delle cose, no? Un ambientazione.
DC: Se uno vuole fare una ricerca sul passato bellico di Rimini, lì ci sono delle notizie.
FS: Come no, come no.
DC: E uno, che dicevo adesso al tuo babbo, è nato da una storia che ho letto su sto libro qui. Qui c’è uno che ha aiutato un americano
FS: E chi è, perché adesso non ho gli occhiali, città?
DC: ‘La città invisibile’.
FS: ‘invisibile’. L’ho sentita dire. E chi è l’autore?
DC: Fabio Galli, Glauco Galli.
GM: Glauco Galli.
FS: Glauco Galli.
DC: Deve essere uno che [unclear] dalla politica e adesso penso che abbia una carica a livello di provincia o di regione.
GM: Ah sì?
FS: Può essere.
DC: Deve essere un politico lui.
FS: Ma guarda. Bene allora quando mi capita, io vedo sempre, al sabato sono andata a trovare la Patrizia, adesso me li faccio vedere quei libri.
DC: Uno non te lo daranno sicuro perché è in unica copia ma il secondo che ho fatto su quella storia lì, è in duplice copia, quindi uno può uscire. Poi se lo vuoi, se mi dai l’indirizzo di posta elettronica, ti mando il pdf, te lo leggi così.
FS: Ah, beh dai, scrivilo. Daniela, no aspetta, danimurat
DC: Danimurat
FS: Danimurat, con una t, @alice.it. Ecco, a posto.
DC: Ti mando le ultime due che ho fatto.
FS: Grazie.
DC: Anzi, sono tre depositate in biblioteca. Uno che stava lì [unclear] Pino Burdon, adesso sta qui in Via Carlo Porta [unclear]. Lavorava da Ciavatta, quelli che facevano le reti dei letti.
GM: Burdon. Pino.
DC: Fabbri, la, sua moglie qui in Via Carlo Porta doveva avere un negozietto di mercerie mi sembra, c’hai presente?
GM: Burdon. Stavano in Via Pesaro una volta.
DC: Ma forse quello sarà un altro parente, qualcosa di collegato, mi aveva raccontato una storia durante ste ricerche che mi aveva incuriosito tantissimo ma non riuscivo a trovare riscontri. Lui aveva visto passare sul mare un aereo tedesco con sei motori, bassissimo, perché c’erano le nuvole che erano
GM: Allora avevano i sei motori?
DC: Avevano[unclear] aerei da trasporto di quella stazza lì.
GM: Sì ne avevano.
DC: E’ andato a sbattere contro il coso di Gabicce.
FS: Davvero, la cosa, il monte lì?
DC: Sì, ho sentito con dei ricercatori storici di areonautica, non lo sapeva nessuno di sta storia qua. E allora, cerca, cerca, cerca, ho trovato uno di Gabicce che lui personalmente non se lo ricordava, però c’era un suo vicino di casa che gli aveva raccontato sta storia. Ci siamo messi in contatto, siamo andati a fare un sopralluogo, mi ha fatto vedere dove era caduto, ho chiamato i miei amici di Bagnacavallo col metal detector, sono venuti, abbiamo trovato i pezzi, e c’era un testimone oculare che ci ha detto dov’era caduto quindi sapevamo che era lì e poi dopo guardando su internet, al cimitero tedesco della Futa, tra Bologna e Firenze, c’era, c’erano nove militari morti il 16 dicembre del ’42 e ho trovato il riscontro di quei nove lì, registrati nel cimitero di Pesaro perché un mio amico delle Marche, che ho contattato attraverso internet, chiedendogli se sapeva di sta storia, perché non riuscivo a trovare riscontri. Lui me l’aveva raccontato, questo qui di Bellariva e non c’era, non riuscivo a trovare né una data
FS: Certo, non riuscivi a trovare riferimenti.
DC: Riferimenti per approfondire la ricerca.
FS: Eh certo.
DC: Allora, un mio amico bravo, uno di quelli con il metal detector, che si sa spatacare bene con internet, ha trovato sti nove caduti cinquanta chilometri a sud di Rimini. Cinquanta chilometri serìa Fano però Gabicce, poi con quell’aereo lì ne è caduto uno solo qui intorno. E dopo ho sentito anche quelli del cimitero.
GM: [unclear]
DC: Andavano giù in Sicilia.
FS: Ma no, me l’aveva raccontato coso a me, [unclear] una volta
DC: Mulazzani?
FS: Mulazzani perché io una volta
DC: Di sto aereo con sei motori?
FS: No, che passavano questi aerei. Che lui si ricordava
DC: Andavano giù. Seguivano il mare, la costa.
FS: Ma aveva parlato anche di una rotta. Adesso a m’arcord perché avevo scritto per la Granzela no, il giornalino facevo perché intervistavo [unclear] anch’io dei personaggi ma giusto a livello di narrativa, non di storia. Però naturalmente quando che ne so, magari intervistavo Mulazzani o mio zio, erano tutte cose legate alla guerra perché per loro era un ricordo vivo.
DC: Era qualcosa che, ecco, esatto.
FS: Quindi mi raccontava di questo, di questi aerei
DC: E insomma, dopo ho sentito quelli del cimitero di Pesaro. Gli ho detto, guardate, io ho trovato sto riscontro di nove caduti perché questo, l’amico delle Marche mi ha detto:’Guarda, io non so di questo aereo caduto, però ho trovato nelle mie ricerche un servizio su Il Corriere dell’Adriatico che parlava di un funerale di tedeschi ma non diceva né dove erano morti e né di che aereo erano’. Però un numero così, guarda, alcuni tedeschi, il funerale. Allora con quell’articolo lì, sentendo col cimitero se trovavano riscontro con la data di quell’articolo, mi ha trovato gli stessi che erano su al cimitero del Parco della Futa. Lì c’era scritto che era un aereo con sei motori perché c’era la sigla dell’aereo e quindi si è chiuso il cerchio.
FS: Si è chiuso il cerchio.
DC: E dopo ho presentato anche quella lì [unclear].
FS: Che bella questo.
DC: Ti mando anche quella.
FS: Ma questo, guarda, stai facendo un lavorone.
GM: Sì, anche a San Marino è caduto uno.
DC: Sì, è andato a sbattere contro la montagna un giorno che c’era nebbia. C’è, nel cimitero di San Marino c’è
GM: C’è l’elica.
DC: La tomba con l’elica. Sono andato a fargli la fotografia.
GM: Ah sì?
DC: Quei miei amici col metal detector hanno fatto un libro su tutti gli aerei che hanno censito loro.
GM: Su quella collina, sotto la città
DC: Montecchio si chiama lì, mi sembra.
GM: Non so. Dove ero io, io ero a Le Piagge, [unclear] che è poco lontano dal centro, no, dal paese e c’è una collinetta, hai capito, che si va giù a Santa Mustiola lì e st’aereo [unclear] quella volta.
DC: Veniva dalla zona di Ravenna e stava rientrando anche [unclear].
GM: Ma io penso che era uno di quei bimotori,
DC: Bimotori, bravissimo.
GM: Pippo, Pippo il bombardiere, che faceva [unclear], butteva zò una bomba.
DC: Buttava una bomba di cla, una bomba di là,
GM: Sempre quel fazeva.
DC: E disturbava il sonno della gente.
GM: Buttava i bengala, che s’illuminava tutto, no e poi faceva un giretto e [makes a booming noise] [unclear].
DC: Ma sai che quegli aerei
GM: Al Ponte di Verucchio, quando noi eravamo nella galleria, [speaks dialect]
DC: [laughs]
GM: Hai capì, ecco, arriva Pippo buttava zò i bengala e poi [makes a booming noise] e no i ne ciapava mai quel ponte, l’ha fat saltar per aria i tedeschi
DC: I tedeschi quando si sono ritirati
GM: Quando si sono ritirati. Hai capito?
DC: M’ha detto uno che stava dalla parte di là, m’ha detto, [unclear], i pezzi della roba che sono saltati, ha detto [unclear], ha detto, anche loro, ha detto, abbiamo visto un sacco di attacchi su quel ponte e non l’hann mai ciap.
GM: Non la mai ciap. Tutta scena [unclear]
DC: [speaks dialect]
FS: Ma pensa te. Bravo. Allora bene.
DC: Ti mando se c’hai voglia di leggere qualcosa
FS: No, ma è interessante, no ma mi piace molto la tua passione, no, perché io ce l’ho con i libri quella passione lì, nel senso come ricerca degli scritti, delle, no, a chi appartengono. Adesso non le faccio più quelle ricerche lì, però prima mi piaceva. E dai, è bello, è bello quando scopri, no
DC: A me piace tantissimo.
FS: Che arrivi, come hai detto te, che [unclear]
DC: Che riesci a trovare i riscontri
FS: Arrivi al, che ne so, al manuscritto del, questo [unclear] l’ha scritto quello, per dire.
DC: Io al tuo babbo gli ho chiesto per telefono, sai di quei due fucilati perché.
GM: Ho dunque quelli lì, sì io ho sentito un paio di volte
DC: A colonia De Orchi hanno [unclear] ragazzi
GM: Però, ho chiesto a mio fratello anche perché [speaks dialect] che cla volte hanno amazzè tutti a De Orchi perché io mi ricordo, quando sono venuto giù dalla guerra diciamo che siamo venuti che son venuto giù prima io dei miei, di mia mamma e di mio babbo, no, mio babbo era venuto giù, di mia mamma. Era passato mio cugino che andava dal dottore a San Marino perché aveva un infezione in un occhio e lui stava [speaks dialect]
DC: Al pedrune
Gm: Al pedrune. E io sono andato con lui che pioveva come oggi così. Siam passati tutta la campagna dove c’erano ancora le mine, i mort ancora mess a gambe de fura,
DC: Dio poi!
GM: hai capito?
DC: Cos’hanno visto questi.
FS: [unclear]
GM: Proprio c’era ancora.
DC: Tutto così, era successo da poco
GM: Il mio babbo, [unclear] con un casco su un bastone,
DC: [unclear] Un bastone.
GM: Per gli inglesi metteva il casco inglese, se eran tedeschi metteva il casco tedesco.
DC: [speaks dialect]
GM: [speaks dialect]
DC: I tedeschi li lasciavano così più che altro, m’hann detto.
GM: Sì guarda. E voglio dire che sono venuto giù e dopo che dopo, il giorno dopo sono andato a prendere la bicicletta [speaks dialect] alla dugena da una mia zia che era sfollata lì. I cupertun [unclear]
DC: [unclear]
GM: Allora [speaks dialect] cercione
FS: Madonna.
GM: [speaks dialect]
DC: [unclear]
GM: Strada vecchia di San Marino che era tutta una colonna di carri armati. [unclear] Puttana Madonna [unclear]
DC: Loro ce l’avevano la roba, eh.
GM: Tanta roba che ha questi qui. Ti facevi il coso coi tedeschi che erano ridotti [unclear]
DC: All’osso. [unclear]
GM: Con le vacche
DC: Con le vacche [unclear]
GM: Che dopo [unclear] ero arrivato lì alla Grotta Rossa, me davano cioccolata, m a’rcord ne [speaks dialect] sta bicicletta cerciun [unclear]
FS: Cioccolata [unclear] ce la puoi fare.
DC: Ma chi che l’aveva mai vista, la cioccolata?
GM: Non l’avevo mai vista la cioccolata. Hai capito?
DC: [laughs] [unclear] E allora che cosa ti diceva tuo fratello di quei due?
GM: Mi diceva:’Na, [unclear]
DC: No, no [unclear]
GM: Perché Gino, ma perché lui era in ferrovia mio fratello, no, aveva, era giovane, [unclear] diciassett diciotto anni. Però lui prendeva tutti i treni, tutti i giorni il treno poi passava da mia nonna che era ancora qui e poi dopo ogni tanto veniva a vedere della casa e poi andava a prendere il trenino per venire su a San Marino, noi dopo eravamo a San Marino.
DC: Finché ha funzionato.
GM: E lui sapeva più informazioni. Lui ha detto che:’No, lì l’unica cosa è che hanno ammazzato, sono stati quei tre tedeschi che tenevano la resistenza da [unclear] che poi erano seppelliti lì vicino [unclear]
DC: Come mi dicevi, me l’ha detto Zangeri, che li hanno seppelliti lì dove c’era quel traliccio
GM: Sì bravo.
DC: Davanti a Papini la, coso lì.
GM: Sì, erano tre tedeschi lì.
DC: Guarda che è vero quello della fucilazione.
GM: Sì, quello della fucilazione può essere, però la ricerca non c’è di quelli lì.
DC: Adess sta a sentire cosa mi è capitato. Il primo che mi ha raccontato di questa cosa è stato Tonino Baschetta, quello che fa i cesti a [unclear].
GM: I cesti.
UI. Lo conosci?
GM: Sì sì.
DC: Sandrini lì. [unclear] poliziotto [unclear] suicidato.
GM: No, non lo conosco.
DC: Sandrino, due anni meno di noi aveva.
GM: [unclear]
DC: Tonino Baschetta sta qui in Via Davanzati, qui, è vicinissimo. Qui, e lui [unclear]. Quando noi eravamo bambini avevano la bottega attaccata al Bar Vici. L’alimentari.
FS: Ah. Eh. Eh.
DC: Suo figlio, lui quando era bambino dice, loro stavano lì vicino alla Corial, sopra la [unclear]. Dice, c’avevano i tedeschi in casa perché venivano su dal fronte, si schiaffavano nelle case del contadino e dice, cosa faccio io ero diventato amico con loro, molti erano giovani cosa facevano la mattina presto? Prendevano i loro carri, andavano già verso Marina centro, le case con i bombardamenti erano tutte disabitate, spaccavano la porta, entravano, portavano via di tutto. Dice, facevano dei carri di roba. Arrivavano lì a casa mia, facevano le casse di legno, schiaffavano roba dentro, portavano alla stazione e mandavano in Germania. Fa, ma sono stati lì da me due tre mesi, dice, la roba, la roba che hann port via, io andavo con loro, ha detto, perché ero giovane. Un giorno tornando con sti carri, arrivano lì vicino al tiro a volo, un tedesco in mezzo alla strada li ferma, sentono la scarica di fucile e poi li fanno passare. Quando arriviamo davanti, [unclear], li hanno fucilati tra la colonia e il gruppo di bagni che c’è verso il distributore di Giorgio.
GM: Sì sì sì.
DC: Lì contro il muro li hanno fucilati.
GM: [unclear] anche a me avevano detto così.
DC: E lui mi ha detto: ‘Il tedesco, quando siamo stati lì vicino, mi ha messo le mani sugli occhi ma io sono riuscito a vedere. C’erano due ragazzi stesi per terra. Dicevano che erano due toscani che li avevano presi a tagliare i fili del telefono dei tedeschi e li hanno fucilati. Invece, avevo mandato, sapendo, pensando che fossero partigiani, ho mandato mail all’ANPI di Ancona, all’ANPI di, tutto qui intorno,
FS: Sì sì sì.
DC: All’ANPI di Firenze, all’ANPI di Ravenna, non mi ha rispost nienche nissun. Solo un istituto di Ravenna mi ha dato risposta che loro non conoscevano sta storia. Un giorno, leggendo un libro di Forlì, di Mambelli che ha fatto la cronistoria di quello che succedeva soprattutto a Forlì, ma due libri più grossi di quello, con un sacco di dati interessantissimi. Trovo, tre marzo 1944, fucilati due ragazzi a Forlì e di uno c’era anche il nome. Erano di Faenza. Questi qui probabilmente erano, si erano dovuti arruolare nella Repubblica Sociale verso, quando te ti sei iscritto nella Todt. Molti per non dover farsi richiamare, andavano nella Todt perché lì eri esentato dal presentarti. Questi qui probabilmente hanno cercato di scappare via, li hanno presi e li hanno fucilati. Quindi su quel libro ho trovato un nome, vado al cimitero di Rimini, c’era il nome lui e di quell’altro. Quindi son i due nomi, erano tutti e due del ’25, avevano diciannove anni e li sono venuti a riprendere i familiari dopo nel ‘45, dopo la guerra. Ho conosciuto [unclear]
GM: E allora come diceva quello lì che li hanno fucilati
DC: Li hanno fucilati lì contro il muro
GM: Alla fine del De Orchi e l’altra palazzina.
DC: Sono entrato in contatto con uno di Faenza, gentilissimo, che mi ha mandato anche dei dati su Rimini che li ha rimediati non so dove, e lui mi ha mandato anche la fotografia di uno di quei due. M’ha mandato la fotografia del monumento che c’è a Faenza dove ci sono riportati i loro nomi ma dell’altro ancora non sono riuscito a rimediare la foto. Ho sentito con quelli dell’anagrafe di Faenza. Mi hanno detto che, volevo parlare con, contatto con i familiari per vedere di avere.
FS: Eh sì, un riscontro diciamo vero.
DC: Dei riscontri. Di uno sono morti tutti, un altro si è trasferito a Cesena e con quel nome lì non figura nessuno. Adesso dovrei provare a sentire se a Cesena mi dicono, vivono, ci sono degli eredi perché dopo c’è il discorso della riservatezza, è un po’ fatica.
FS: Sì, un po’ fatica.
DC: Però,
FS: Può darsi che
DC: Può darsi che come l’hann fatto gli altri
GM: Io mi ricordo questo qui
DC: E quelli di Faenza dell’anagrafe mi hanno mandato un documento in pdf dove c’è scritto addirittura: ‘fucilati dai tedeschi’ e c’è anche il nome di un tenente della repubblica sociale che era andato sotto processo per quel, per quell’uccisione. Che era di Pesaro questo qui, quest’ufficiale.
FS: Ma pensa te.
DC: Quindi.
FS: Devo salutare. Ciao carissimo.
DC: Piacere di averti visto.
FS: Alla prossima.
GM: Però l’hanno,
FS: Continua così.
DC: [laughs]
GM: Non l’hanno, dico pure, l’hanno spenta così perché io dopo.
DC: All’ANPI qui di Rimini non sa niente nessuno. Li hanno fucilati. Potevano dire, sono due partigiani.
GM: Infatti io mi ricordo che eravamo, ma ti ho detto, dopo la guerra subito, e dopo siamo andati a lavorare un po’ anche con gli inglesi, a lavorè anche a De Orchi [speaks dialect]
DC: Con gli alleati.
GM: Con la [unclear]
DC: Che lì c’erano un magazzino di roba m’hann detto della Madonna.
GM: Madonna.
DC: [laughs]
GM: [unclear]
DC: [laughs] Però, tu, petta adess bisogna che la va a chieder perché se no la mi madre, la mi moglie. Te vuoi andè a prender [speaks dialect] uno di sti dì?
GM: Sì, sì, la facciamo.
DC: Dai, così continuiamo il discorso del bombardamento di San Marino. Comunque te ti ricordi un sacco di roba.
GM: Sì, eh mi ricordo tutto quello che
DC: Petta eh, l’ultima roba che m’hann detto su quell’aereo che avete visto
GM: Sparire
DC: Sparire.
GM: Io, per me è cascat [unclear] quell’aereo
DC: Gli alleati, i loro colleghi hanno detto, è andato sul mare, è tornato sulla terra ed è esploso in volo. Dovrebbe essere caduto tra Gradara e Gabicce, quelle zone lì, Cattolica, quel settore lì.
GM: Quel settore lì è caduto quello lì, [unclear]
DC: Un mese prima di questo fatto, ma non so se te l’hai visto, era passato, basso stavolta, perché questo doveva essere abbastanza su, era passato un altro quadrimotore che avevo dietro le calcagna due aerei tedeschi che, un da sotto e un da sora il mitraglieva. Sono arrivati fino a San Clemente, anche lì si sono buttati tutti i paracadutisti tranne il mitragliere di coda che, poretto si vede che l’avevano ucciso quei, i caccia
GM: I caccia
DC: E poi questo qui è andato a cadere tra Levola, Saludecio, Montefiore, quelle zone là. Te questo, te lo ricordi un aereo grosso, basso, che lasciava il fumo, attaccato da due caccia?
GM: No, ma io mi ricordo un’altra roba, che eravamo a San Marino che una formazione di aerei tedeschi, inglesi che andava verso nord, che passavano
DC: Bombardieri
GM: Bombardieri che andavano verso la campagna
DC: Sì
GM: E lì si sono sfilati dall’aeroporto qui di Rimini
DC: Sono decollati da qui, gli sono andati dietro
GM: Sono andati dietro e lì c’è stato un [speaks dialect] quella volta ma era in [speaks dialect].
DC: Perché ha incominciato il bombardamento?
GM: Perché c’era, c’era i caccia inglesi che c’erano anche i [unclear]
DC: Quelli con due code?
GM: Con due code.
DC: Sì.
GM: Puttana la Madonna.
DC: Li han fatt combattiment?
GM: Combattiment [speaks dialect]
UI. [laughs]
GM: [speaks dialect] dopo l’è finì perché [speaks dialect]
DC: [unclear] Quindi erano anche abbastanza bassi.
GM: Bassi, si vedeva proprio [unclear], puttana madonna, e la formazione andava avanti. E c’era sto combattimento che avevano fatto sopra Cà Berlone [?], Santa Mustiola
DC: Però non è caduto nessun apparecchio, secondo te?
GM: Non ho visto cadere nessuno, io lì.
DC: Questo non me l’aveva mai raccontato nessuno.
GM: Ah e l’è cla volta l’è sta un cumbattiment
DC: Quanto potrà essere durato, cinque minuti, dieci minuti?
GM: Eh
DC: Gli ha sparà na [unclear]?
GM: Sì dieci minuti, sì, sette minuti sicuro.
DC: Secondo te quanti aerei ci potevano essere in questo combattimento?
GM: La formazione dei caccia, [unclear] ce ne erano due, tre, che giravano.
DC: E chi è il tedesco, secondo te?
GM: E il tedesco, penso, due o [unclear]
DC: Altrettanto.
GM: Altrettanto.
DC: A Monte Tauro c’è stato un combattimento aereo. Due aerei si sono andati anche a sbattere e quello americano è morto poeretto. Il tedesco si è buttato con il paracadute.
DC: Io ho visto una volta proprio in volo sopra Covignano [?] sempre dalla galleria allora che lì Covignano ogni tent i caccia
DC: Lì hanno attaccato di brutto.
Gm: [unclear] Una volta proprio ho visto, proprio presi in pieno con una cannonata.
DC: Ne è caduto uno di aereo sotto la chiesa di San Fortunato. E [speaks dialect], sai dove gl’è? A metà sulla spalla ho parlato con uno che stava nel Ghetto. Dopo la guerra lui, quando è finito i combattimenti, ha recuperato un motore che l’ha portato giù e l’ha venduto alla stracciaia. Se, come dici te, lo hanno preso, lui si è schiantato lì contro la costa, a metà costa.
GM: Dopo [unclear], il giorno dopo
DC: Che aereo era, secondo te? Era un caccia?
GM: Era un caccia, erano i famosi Spitfire, hai capito.
Ui: Uno si era schiantato alla garitta della dogana. Che aveva fatto l’attacco basso
GM: Anche
DC: L’ha sbagliè, non ha calcolato bene, ha strisciato il terreno, s’amazzè lì.
GM: S’amazzè lì. Ah, qui passeva da sopra lì quando vedevano, io mi ricordo una volta c’era due, tre camion tedeschi che passavano uno ogni tanto, no, perché stavano in distanza. Era sempre un tedes sora. La Madonna, l’era un caccia [speaks dialect] un caccia sopra
DC: Come l’ha visto, eh
GM: Come l’ha visto, puttana madonna, che il tedesco s’è buttè del camion e
DC: [laughs]
GM: [mimics machine gun sounding]
DC: [speaks dialect]
GM: [speaks dialect] Prima di, tra Verucchio e Borgo Maggiore, sulla strada lì.
DC: Arca madonna, sulla strada da, quello che girava
GM: Ah lì [unclear]
DC: Uno m’ha detto è tedesco ma aveva messo, un italiano, dovevano andare a Pesaro a prendere materiale. M’ha detto, m’avevano messo sopra il carro che io dovevo guardare [unclear] [laughs] ho detto, batti sulla cabina se vedi caccia che a buttèm a terra. Ha dett, se m’andè ben cla volta. Dai, che adesso ti lascio.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Gino Muratori
Description
An account of the resource
Gino Muratori (b. 1929) recollects three Rimini bombings that occurred in November 1944, one of which was aimed at the Ausa river bridge. Mentions his grandmother losing two relatives when their boarding house was destroyed. Remembers how on 26 November 1944 they didn’t hear the alarm sounding and sought shelter only after seeing aircraft approaching. Describes evacuees being temporarily housed at local hotels. Remembers German anti-aircraft guns and barbed-wire fences, and recollects being employed by the Todt organization as a construction worker, toiling alongside Ukrainian and Polish prisoners of war deployed as truck drivers. Tells of his father being sent to Germany to work in a submarine factory. Discusses various anecdotes; dogfights; aircraft jettisoning fuel tanks; looting of private houses; strafing of German military transport; "Pippo" dropping flares and bombs at night time. Describes the whereabouts, use and general arrangement of German fortifications along the Adriatic coast.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Daniele Celli
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-03-14
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
01:05:29 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AMuratoriLG161125
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Rimini
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1944-11
1944-11-26
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
anti-aircraft fire
bombing
childhood in wartime
civil defence
evacuation
forced labour
home front
Pippo
strafing
-
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Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Mariani, Enrica
E Mariani
Description
An account of the resource
One oral history interview with Enrica Mariani who recollects her wartime experiences in Milan.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-12-09
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Mariani, E
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
EP: L’intervista è condotta per l’International Bomber Command Centre. L’intervistatrice è Erica Picco. L’intervistata è la signora Enrica Mariani. Nella stanza sono presenti Zeno Gaiaschi, Emilio Mariani e Roberto Sanvito. Ehm, ci troviamo in [omitted] a Milano. Oggi è il 9 dicembre 2017 e sono le 15.30. Va bene, possiamo cominciare. Allora, signora Enrica, ehm, io vorrei cominciare da prima della guerra e vorrei chiederle come era composta la sua famiglia, se aveva fratelli, sorelle, dove vivevate e qual’è il suo ricordo più distante, prima della guerra, che cosa si ricorda, come era la vita?
EM: Sì, difatti, mi ricordo perché mio papà, diciamo, lavorava in una fabbrica dove facevano, come si chiama? Le cose per i militari insomma, ecco. E, e allora, diciamo, allora c’era il Duce e volevano fare la tessera dei fascisti insomma. E invece mio papà non l’ha fatta. Non l’ha fatta e allora loro l’hanno lasciato a casa e allora dato che noi avevamo, mia mamma faceva la portiera in Via Pietro Borsieri 12 e allora c’era il ragioniere della casa che veniva lì e ormai li conosceva e allora c’ha trovato un posto al, dove, al Verziere. Al Verziere perché così almeno lui essendo di notte faceva la ronda, essendo che non era fuori e così almeno nessuno diciamo [unclear]. Viene che una serata insomma mia mamma aveva tre figli allora, cioè io, mio fratello, quello che c’è morto e questo qui che c’è adesso, Emilio, ecco. E diciamo questo qui era appena nato perché era del, è del ’38, dunque perciò. E allora c’ha detto mia mamma: ‘Te porta di sopra i bambini’, perché avevamo le camere da letto di sopra, ‘te porta di sopra i bambini che tanto manca due minuti alle dieci, credo che non dicano niente se io chiudo la porta, il portonÈ, perché allora facevano dalla mattina alle sette al pome, alla sera alle dieci. Viene che c’è una, dei signori lì della, dei fascisti, che fanno la ronda, perché una volta c’era in giro la sua ronda, la ronda di loro insomma. E allora vedono mio papà a chiudere e allora c’hann detto: ‘Ma lei perché chiude? Non, lei è il portiere?’ Lui c’ha detto: ‘No, io sono il marito, però mia moglie c’ha i tre bambini, è andata di sopra’. Insomma, lì c’hanno puntato la rivoltella e l’hanno portato di sopra. Sono andati su perché avevamo le camere da letto al primo piano, che si entrava anche dal primo piano e mia mamma allattava mio fratello, questo qui l’ultimo. E allora ci è venuta la febbre, ci è venuto un po’ di cosa, sa io, va bene, ero piccola ma però insomma, avevo otto, otto anni, nove però ero già svezzata [laughs] perché ecco, e allora e così. Dopo l’hanno portata, portato di sopra allora visto che mia mamma conosceva della gente lì nella porta che erano dei graduati dentro al, a quel, al fascista, al fascismo e allora [unclear] sono andati giù e li hanno richiamato quelli lì. Han richiamato quelli lì e allora insomma è andato un po’ più a posto insomma così ma oramai mia mamma aveva, si era spaventata e ci era andato indietro il latte. Dopo questo qui dovevamo prendere [unclear] poi dopo c’è arrivata la guerra dunque quella la, quella la, la cosa lì come si chiama, le cose lì che hanno mandato fuori insomma i cedolini delle cose così no eh ma bisognava aspettare che mandavano fuori la roba nei negozi. Insomma è che, che ne ho fatte tante di corse ma non ho mai preso niente [laughs]. Dopo la mia mamma così, dopo mio papà nel ’39 l’hann chiamato su a militare, l’hann chiamato a militare ma lui dato che la, il militare l’aveva fatto anche quando aveva diciassette anni in Libia, ma era nella Croce Rossa. Nella Croce Rossa e allora c’è stato un coso insomma che mio papà non aveva dentro più i denti perché con il calcio del fucile hanno buttato fuori tutta la roba e allora insomma. Lì viene che allora dopo è venuto a casa e dopo si è sposato con mia mamma insomma così però nel ’39 l’hann chiamato su lo stesso che già aveva trentanove anni. E allora l’hann chiamato su lo stesso, era nella Croce Rossa che la Croce Rossa allora era al Castello Sforzesco. E poi c’avevano fatto un tesserino che c’era scritto proprio che lui, alla sera, se lo prendevano in giro, doveva andare in servizio, insomma così. Dopo insomma così, e dopo invece mio fratello quel, il secondo, non questo, il secondo, che a furia di andare, portarlo giù in, ehm, in cantina, con il freddo, una cosa, quell’altra, insomma è che c’è venuto una cosa al polmone. E insomma nel ’41 è andato. Nel ’41 è morto, allora mia mamma, sa insomma i dispiaceri perché, ehm, allora mio papà invece dopo si è ammalato lui e l’hanno portato al Niguarda. Al Niguarda perché a Baggio, dove c’era la cosa dei soldati, dei militari, doveva arrivare quelli della Russia, che erano mezzi. E allora lui praticamente era in un, in un posto insomma civile perché allora una volta il Niguarda era civile, non era come Baggio che c’erano tutti i militari. Beh insomma andato così, comunque non ha preso niente e amen. E allora io, quando c’è morto mio papà nel ’42 avevo dieci anni, è morto al 19 di marzo e allora la mia mamma ha dovuto venir via dalla portineria. Ha dovuto venir via e allora la, i miei zii insomma mi fanno: ‘Senti, adesso devi andare a fare qualche cosa’. E difatti sono, è venuta una mia zia in, lì a scuola e c’ha detto: ‘Guardi’, dice, ‘che mia nipote, c’è morto suo papà’. E difatti m’hann fatto il libretto di andare a lavorare e difatti sono andata a lavorare sotto i bombardamenti, sotto la, insomma tutto e allora abbiamo portato via mio fratello, mio nonno è venuto giù [clears throat]. Portato via mio fratello questo qui perché bombardavano sempre e allora io, anche se ero in giro, cercavo di scappare dentro nei negozi e così [laughs], ma lui altrimenti restava a casa da solo. E allora insomma l’abbiamo mandato via. [unclear], oh, faceva di quelle fatiche, che dovevo sempre andare o da sua sorella di mia mamma che abitava dopo Pavia o dalla, da mio nonno che era su a Bizzarone, provincia di Como, ecco, proprio sul confine della Svizzera, era lì. E allora con lui e il bambino e poi anche c’è andato su anche una mia cugina, era insomma e sono stati là e così. Oh, ma ne ho fatte di cose. E poi c’era dei ragazzi, io dico ragazzi perché difatti erano giovani, perché altrimenti li prendevano e li mandavano in Germania. E allora cosa fa? Li portavo fuori la da mio nonno e andavamo sulla linea della Svizzera e rompavamo la, come si chiama, la rete e poi li facevamo passare. Dato che noi oramai sapevamo gli orari che passavano, che c’erano i tedeschi. C’erano i tedeschi e passavano e, però dato che se vedevano noialtri bambini, ragazzi insomma così, non dicevano niente anzi, si fermavano: ‘cosa fate qui?’, insomma quel poco che dicevano. Ma eravamo lì che si tremava [laughs] perché adesso qui se si accorgono che li abbiamo mandati di là dopo. E insomma fatto un po’ di tutto, ecco, e tutto per prendere qualche cosa, per tirare avanti perché la fame è brutta eh. E non e che.
EP: Assolutamente.
EM: Ecco e [unclear] allora sono andati, e poi io dopo sono andata a, in un, una mia zia mi ha detto: ‘Guarda’, dice, ‘che c’è una sartoria, Neglia, che aveva [unclear], c’è ancora qui a Milano, che cerca le, una ragazza insomma così, se vuoi andare?, eh sì, [unclear] perché [unclear] e allora sono andata lì da loro. E lui aveva il fratello che era capitano dei, ah Madonna, come se ciama quel lì, di quelli che andavano in montagna, come si dice? Che scappavano in montagna, orca
EP: I partigiani?
EM: Ecco, sì, eh, non mi veniva. Eh, cosa vuole, l’età, ottantasei sono eh. E, e così difatti, era un capitano di loro. Però lui, io andavo là al mattino prima delle otto, eh, allora picchiavo la claire e lui sapeva che ero io. Allora si alzava, quando era qui a Milano si alzava e poi andava insomma così e allora noi io dopo andavo dentro io e tiravo su la claire e insomma aprivo i negozi. Ma viene che suo fratello mi dice: ‘Guarda, vai a casa mia’, che era arrivato lì, ‘che c’è una cosa da portare qui’. Però non mi aveva mica detto cosa c’era dentro. E allora lui abitava in piazza, lì vicino Piazza del Duomo che adesso la vietta lì me non la ricordo più. E vicino a Piazza del Duomo allora andavo, dunque da Via Plinius [Via Plinio], qui in Corso Buenos Aires, andare là bisognava fare quasi tutto a piedi perché i tram, poi tutte le volte che io dovevo prendere il tram suonava l’allarme, ecco allora a pie [blows her nose] scusi ma.
EP: Ci mancherebbe.
EM: A piedi, e allora vado là e sua moglie m’ha dato sta, in mano una cosa lunga così. Mi fa: ‘Guarda che c’è dentro di fare gli abiti’ ma sì, difatti c’era dentro, era tutto coperta di stoffa. Quando sono arrivata in negozio lui la desfa, la sfatta e poi fa così e lo apre, il coso che c’è dentro, il bastone. Non c’erano mica dentro i soldi [laughs] che se qualcuno sapeva, guardi, quante volte sono andata a finire che se mi beccavano non so dove andavo a finire eh. Perché loro, quella gente lì, non c’interessava se io avevo dieci anni, o se ne avevo quindici, o se ne avevo, perché loro eh, mandavano tutti dove là in Germania. E la, così e allora, beh, le cose sono andate così. Ma viene che, dopo, tornando indietro ancora quando mio papà è morto, c’era mio nonno, no, ci fa mia mamma: ‘Eh cosa vuoi’, dice, ‘tutti abbiamo la casa’, come per dire, ognuno c’ha la sua casa, ognuno c’ha i suoi interessi. E allora c’ho detto: ‘Va benÈ, io ho sentito, anche se avevo undici anni, dieci anni, non mi scappava niente, come non mi scappa niente adesso, e così. E allora sono. Poi viene che finisce così insomma la guerra è finita, quello che è e io ero abbastanza stanca di [unclear] perché ormai la guerra è finita nel ’45 dunque io avevo quasi quindici anni. E allora ho smesso di andare lì da Neglia perché ho detto qui a fare la sarta, a dire la verità, stare lì tutto il giorno non mi andava. E difatti sono andata alla, in una ditta che facevano le cartoline, i cosi per i sposi però insomma sono andata dentro lì e sono stata dentro mica male. Però la mia, insomma ho dovuto farne di tutti i colori, guardi, con mia zia, la sorella di mia mamma è stata operata d’un fibroma che era nel ’44. ’44 e lì mia mamma quando andava a trovarla, diceva il dottore: ‘Eh’, fa, ‘cosa vuolÈ, dice, ‘signora, sua sorella andrà fuori quattro anni (?)’. Mia mamma ha capito, ha preso la suora [laughs] meno male che c’erano lì dei parenti e l’hanno tenuta perché aveva una forza che non era tanto grande ma. E così e poi allora l’ha portata a casa. Allora io non ho potuto più andare a lavorare perché dovevo farci da infermiera, perché mia mamma, lei se vedeva una cosa guai sveniva. Perché lei se poi vedeva un dottore, con su il camice bianco, basta, era fatta. E allora insomma siamo, ho fatto l’infermiera e amen. Dopo sono andata ancora a lavorare dentro nella ditta che ero prima perché sapevano come lavoravo e tutto. E poi dopo quando, dopo mi sono sposata a vent’anni, vent’uno ho avuto mio figlio, ecco, però ne ho fatte.
EP: Una bella vita intensa.
EM: Sì. Ecco. Perché mio marito era un partigiano.
EP: Ah.
EM: Partigiano. E allora cosa faceva? Andava a che, a mettere i, come si chiama le, mettere su i fogli lì.
EP: I manifesti.
EM: Ecco, i manifesti, tutte quelle cose lì e sempre lo prendevano e allora la sottoscritta doveva andare là, pagare per farlo venir fuori. Sono andata avanti un pochino così, dopo mi sono stancata, ho detto, no, adesso vado con mia madre e porto dietro il figlio, come dì, ti te se arrangi, ‘e te t’arrangi’ perché un bel momentino ero stufa di lavorare sempre per dare la cosa agli altri e io ero sempre indietro, ecco. Perché dovevo, andavo a lavorare con le ciabatte e un grembiule nero, sempre, festa, giorno di lavoro io ero così perché per forza dovevo pagare quello che mi. Eh, cosa vuole, andando in giro a fare, diciamo le figure, io no e allora.
EP: Allora, io andrei un po’, ehm
EM: Sì.
EP: A chiederle alcune cose che lei ha tirato fuori finora, che mi sembrano molto interessanti. Ehm, prima tra tutte, un po’ la storia di papà, del suo papà. Come è successo il fatto? Quando è successo che, appunto, è venuto a mancare? Un po’, se può raccontarmi un po’ come è successa questa cosa.
EM: Sì, è successa che lui, dato che dormivano giù nella, nelle caverne lì, dei castelli, e c’era molta umidità e così e poi non mangiava troppo perché eravamo noi altri e se cercavano se aveva qualcosa di lasciarlo in casa. E così ha preso la, aspetta, come si chiama, la polmonite doppia e allora ha continuato così e insomma in, quattro settimane, quattro settimane è andato. Tanto poco che adesso, io compio gli anni al 16, al 19 è morto lui. Tornando al [unclear], al 15 c’è morto un fratello di mia mamma, lì nella porta, che andava, è andato su a trovare con mio fratello, a trovare la bambina che era su anche lei con mio fratello, là da mio nonno e è andato sotto il treno. Nel venire a casa è andato sotto il treno, lì alla Camerlata in, ecco. È andato sotto il treno perché lui, dato che era con la bicicletta e non se la sentiva così tardi di venire a Milano con la bicicletta, e allora è andato giù e c’ha detto al capo: ‘Guardi’, dice, ‘io, m’avete messo su la bicicletta perché domani mattina ce l’ho bisogno per andare a lavorarÈ. E lui, c’ha detto, sì, sì, in quella che dice ‘sì, sì’ fa così, il treno lì della Nord si chiudono i portelli, il basello si chiude. Caspita! E lì è andato sotto. Ecco, vede, ecco così e allora insomma uno per un perché, un altro per un’altro, hann preso tutti le cose lì nei polmoni. Eh, l’unica diciamo sono io e mio fratello.
EP: E a proposito di suo fratello Emilio, lui si è salvato perché è stato portato via.
EM: Sì, perché lo abbiamo portato via.
EP: Può raccontarmi un po’ come era la vita, appunto, di chi era sfollato? Come si organizzava?
EM: Quando era sfollato, allora mia mamma lei non, non andava fuori perché aveva il difetto che era nata senza, la cosa lì nella bocca, senza, come si chiama quello lì, il palato. E allora hanno cercato di mettercelo tante volte ma non sono mai riusciti. E allora dato che non parlava molto bene e allora ero sempre io quella che, che andava in giro perché lei non, se no dovevo esserci assieme perché lei se li domandava qualche cosa, noi oramai eravamo abituati a sentirla e allora capivo quello che voleva ma gli altri no. E allora insomma siamo andati, sono sempre diciamo corsa io, per questo, per quello lì, per quello là e via [laughs]. È stata qui fino a 82 anni. Pensi che quando ci è morto mio papà, si è, le si è staccato un embolo e l’aveva proprio qui, si vedeva, eh, proprio la goccia dell’embolo. Il professore che adesso si chiama Granata e adesso non c’è più perché era già un po’ anziano prima, c’aveva detto che doveva stare qui ancora sei mesi. È stata qui fino all’88 [laughs], guardi lei, dal ’42 all’88.
EP: In barba alla morte.
EM: Ecco, e c’era il suo, lì nella porta c’era un dottore che son venuti grandi assieme. E allora c’ha detto, ‘vedi’, che si chiamava Angela mia mamma, c’ha detto: ‘Vedi Angela, te sei fortunata che c’hai qui una ragazza che fa tutto lei’. E fa, ‘Pensa tÈ, fa, e io così c’ho detto: ‘Fermi dottore, lei mia mamma ci sono io ma dietro di me non c’è più nessuno [laughs] e allora io mi devo arrangiarÈ.
EP: Ehm, e quindi quando c’è stato da portare via suo fratello Emilio se ne è occupata lei di fatto.
EM: Sì, sì, portato su io, sì, sì, con la. E poi andavo su ogni tanto a trovarlo e dovevo fare Milano-Malnate. Malnate andare giù e prendere la tradotta, perché una volta c’erano le tradotte, non c’era la, la tradotta che andava su a Bizzarone, però si fermava prima, un paesino prima, a Uggiate. Da Uggiate a sù, là da mio nonno dovevo farla sempre a piedi [laughs]. Tante volte avevo la valigia con dentro quello che mia mamma ci mandava perché là non c’era niente e allora lei lavorava a Zaini e allora, il cioccolato insomma e il suo principale le diceva perché la conosceva, ci diceva: ‘Guarda, fa così, quando tiri su la roba per fare, per pulire i cosi dici, lascia lì qualche cosa e tiri su’, e difatti portava a casa i pezzi così di [laughs], fatti su dentro nel sacco. Ecco se non aveva quello lì non so se, forse forse se mi veniva anche a noialtri il male ai polmoni.
EP: Ehm, un’altra storia di quelle che ha raccontato, mi sembra un po’ interessante da approfondire. La storia del capitano partigiano, questo capitano partigiano che viveva di fatto clandestinamente.
EM: Sì, sì. Sì.
EP: Come l’ha conosciuto? L’ha conosciuto appunto nell’attività?
EM: Era il fratello di Neglia, sì, il fratello minore.
EP: E lei sapeva un po’ di cosa si occupava, cosa facevano con gli altri partigiani?
EM: No, lui, no, lui, così. Era solo che di notte, perché, guarda, tante volte avevano da discutere no tra loro perché insomma bisognava anche, mettersi d’accordo, perché sulle montagne qui in giro ce ne erano tanti, non è perché, e poi noi altri adesso così che io poi che ero sempre in giro. Guardi che la c’è la, come si chiama? Aspetta, ci sono i scelbini, noi dicevamo i scelbini a quelli dei, della camicia nera, guardi che ci sono i scelbini, di lì, di là, perché essendo in giro li vedevo eh, eh ma lo sa che andavano anche nelle case eh. Così anche noi lì al 12 in Borsieri che abitavamo lì, oh venivano lì a, dicevano sempre: ‘Signora, ma c’è il tale dei tali? Adesso, c’è quello lì, c’è quello là?’ Noi dicevamo sempre: ‘No, non l’abbiamo mica visto, ma poi era militarÈ. Noi facevamo sempre finta di non sapere niente. Invece erano cose che, invece erano lì. Sa che tanti, abbiamo tirato indietro le, i cosi lì come si chiamano, i, [sighs] quello lì dei vestiti.
EP: Gli armadi, le credenze.
EM: Ecco, gli armadi, perché noi là avevamo le cose, ah, come si chiamano? Che andavano d’un altra, cose bugiarde, no? Ecco, si chiamavano le cose bugiarde perché allora così tiravamo indietro l’armadio, li nascondevamo di dietro, eh, però con una cosa che loro stavano alti perché se quelli là guardavano sotto [laughs], li vedevano. Insomma, guardi, siamo andati in tanti di quei rischi che non so come faccio a essere qui ancora. Adesso non perché ma ne ho passate eh! E poi c’avevo detto dopo un, c’era venuto giù mia zia, sorella di mia mamma, di parte di Pavia, e loro erano sfollati là ma allora, mio zio, mia zia così con la, con mia cugina, erano sfollati lì, avevano la casa, fatto bene diciamo ma è bene che ogni tanto venivano giù, no? Per, così. E allora io ci dico: ‘Zia, guarda, adesso te devi andare a casa, stai attenta che se viene su il Pippo’ – perché c’era un aeroplano che – ‘che suonano l’allarme, non andare giù dal treno’. Sai dove ci sono le cose così, quelli lì sono, è ferro. Te vai sotto a quelle cose, alla, ai sedili, ai sedili vai sotto lì perché lì non passa la. Sì, sì, sì, sì, poi invece quando è stata lì dopo Pavia, è suonata l’allarme, ha visto gli altri accorrere, corre anche lei e difatti c’è andato dentro la pallottola di qui, è venuto fuori di là. Ma a me, dico la verità, non è mai capitato niente perché io stavo lì e dicevo, tanto se scappo, quelli là mitragliano. Eh è inutile che io vado a farmi mitragliare, per che cosa? Mi buttavo sotto, allora ero magra, ero [unclear].
EP: E si ricorda un bombardamento particolare?
EM: Ah sì, nel ’43. Nel ’43 noi abbiamo dovuto perché è venuto giù gli spezzoni incendiari, no, lì al Borsieri. Allora ci hanno fatti andare fuori dall’altra parte perché avevamo i picconi, le cose così, perché c’erano le case vicine, ma combinazione la, insomma era [unclear], che come, mhm. Insomma fuori dal 12 siamo andati con i picconi così, e abbiamo fatto neh e siamo andati al 14, ecco, perché altrimenti non si poteva, non si poteva venire fuori di qui. Perché i piccoli, incendiari, andato giù fino al secondo piano. E allora c’era tutto un, il fumo [unclear] perché nella casa c’è il mobilio, c’è e hann bruciato tutto e allora. E quante volte che chiudevo la porta, ‘mamma, vai’ e allora con la bottiglia dell’acqua, perché non si sapeva quanto tempo si stava giù, la bottiglia dell’acqua e il pane che se avevamo avanzato perché non sapevamo quando arrivavamo su [laughs]. Ecco, e allora, insomma così. E quando io stavo chiudendo l’uscio, proprio spezzone incendiario, proprio, mi è venuto proprio quasi a filo, tra me, tra me e l’altra signora che è la mia vicina di casa, ecco proprio lì è andato giù. Meno male, perché se mi viene sulla testa, non ero mica qui a raccontarlo.
EP: E nel quartiere Isola avevate un rifugio o c’erano i rifugi dentro i condomini?
EM: Dentro i condomini, sì, sì, come adesso. Adesso ci sono le. E noialtri, lì al Borsieri, al 12, sono venuti fuori i tedeschi a guardare, prima che succedeva, proprio il casino, ecco, perché il casino proprio è incominciato nel ’42, eh, quasi ’43 insomma, perché allora sì, venivano su, suonava l’allarme, erano già lì che mitragliavano qui alla, alla Bicocca [laughs]. Adesso non è per, e allora, , io tante volte se era di giorno, non mi muovevo neanche di casa, andavo lì sotto a quegli usci lì, cose, ecco.
EP: E negli spazi in cui andavate a rifugiarvi in condominio, c’erano un po’ tutte le persone del palazzo.
EM: Sì, sì, sì. Tutte.
EP: Che cosa succedeva dentro? C’era.
EM: Eh beh, sa, c‘era un signore che aveva la chitarra, no, e allora per farci stare lì, noialtri ragazzi insomma e così, e suonava e poi si cantava, no, tanto per [unclear] che ogni tanto si sentiva [mimics the noise of a low-flying aircfraft] da qui ci si spostava di là perché era la, la [unclear]
EP: L’urto proprio.
EM: Sì, l’urto del, perché lì in Via Pietro Borsieri sono venute giù tante eh perché con la scusa che c’era la, la Brera [Breda], c’era la ferrovia e allora cercavano, cercavano ma hanno preso solo le case, non hanno né loro, quelle lì che facevano le, i motori per gli apparecchi e tutto, quelli lì non l’hanno presa. Ma hanno preso le case.
EP: E si ricorda qualche canzone che cantavate nei rifugi? C’erano delle canzoni particolari o non so?
EM: No, tutte cose che se mi sentivano, mi portavano dentro [laughs]
EP: [laughs]
EM: Perché era, adesso aspetti eh, [pauses] cantava: ‘la donna del DucÈ, in milanese però, ‘la donna del Duce, la fa una piruletta, e sotto c’era scritto, che era una bestia’. [laughs] Se mi sentivano, mi portavano via [laughs]. Ma lui con la chitarra ma dopo, dato che di sopra c’era uno che era nella Unpa, proprio che guardava quelli che quando non c’era gli apparecchi, quello veniva in giro, guardava che se vedeva la luce, noi sulle, la, le finestre avevamo le doppie, ehm, come si chiama? Le doppie cose così, no, nere, per non far vedere la luce e poi il straccio nero di sopra alla cosa, eh! Insomma [laughs] tutto per non far vedere perché se andavamo fuori e poi fare in fretta perché loro, uno dentro in casa che tirava subito la tenda, e insomma. Guardi, ne abbiamo fatte di tutti i colori.
EP: Beh, sicuramente il quartiere dove stava lei era un quartiere particolarmente vivace.
EM: Sì, sì, sì, sì, oh, eccome, eccome anche. Pensare che prima che, quell’anno lì che c’è venuta la guerra, no, ma c’era la ottobre, a ottobre non si sapeva ancora quello che c’era. Sì, sapevamo che c’era la guerra però. E allora era lì, era il giorno della festa della fontana, Santa Maria alla Fontana, ecco, perché noi era la nostra chiesa. E allora l’ultima volta che ho, che così, è venuto in giro, sai, venivano in giro i carrelli con su il, ah come si chiama, che hanno fatto vedere anche un po’ di tempo fa. Sul carrellino c’era una cosa che
EP: Una manovella che [unclear]
EM: Una manovella e dopo suonava dentro il, perché era fatto tutto di chiodi, no, però c’era
EP: La musica.
EM: La musica, insomma ecco, e allora prendevamo sotto il portone eh, si ballava, [laughs] eh, cosa
Volevo fare?
EP: [laughs] È giusto.
EM: E d’altronde non si faceva mica niente di male. Adesso invece non vanno in nessun posto. Vanno lì nelle cose però non sanno nè ballare nè divertirsi, noi invece con la stupidata ci divertivamo [laughs].
EP: Ehm, e mi dica un po’ signora Enrica, lei ha fatto le scuole sempre lì, in Isola?
EM: Sì, sì, sì.
EP: E come era la scuola lì?
EM: Ah, la scuola lì è sempre stata una scuola abbastanza buona insomma, ecco perché anche adesso la Rosa Govone ci sono tutte le, diciamo dalla prima fino alla terza media. Mio figlio l’ha fatta lì anche lui.
EP: E lei ha finito tutte le scuole lì?
EM: No, gioia, io ho finito che avevo dieci anni, basta. Dovevo mangiare e guardare i signorini lì, eh! Poi dopo [unclear] solo mia mamma non si aveva la, diciamo, i soldi o quello che è di andare, come tanti che stavano bene, si sono, sono sfollati di qua, di là e sono arrivati solo quando, eh, troppo bella! Noi invece con la roba, ‘ci sono le uova là’, si va bene allora [makes the noise of steps] via, quando si arrivava lì sulla roba, basta, dieci, dodici e poi dopo non c’era più niente.
EP: Ehm, lei si ricorda quando è stato dato l’annuncio che si entrava in guerra?
EM: Sì, è nel ‘39.
EP: E lei dov’era? Si ricorda un po’ la situazione com’era?
EM: Sì, sì, la situazione era che tutti dicevano che era la fine del mondo. Ci sono stati dei, [clears throat] come si chiama, dei conti qui a Milano che sono andati a finire a niente perché hanno venduto tutto e poi sono stati fregati perché la fine del mondo non è mica venuta [laughs]. Sì, a quelli che sono stati sotto i bombardamenti. Beh, quelli lì per forza, come quando è finita, prima di finire la guerra che qui a Gorla, alla, seicento e rotti bambini sono stati sotto. Mi ricordo eh, perché mi viene su ancora la pelle d’oca adesso [laughs]. Eh sì!
EP: [sighs] Ehm, quando appunto è stato dato l’annuncio, di, che si entrava in guerra,
EM: Ah sì.
EP: Come ne parlavano gli adulti? Appunto, c’era questa cosa che lei diceva un po’ la fine del mondo.
EM: No, ma ognuno.
EP: Ma voi ragazzini, ragazzi, bambini, cosa vi dicevano, cosa vi spiegavano?
EM: No, no, niente.
EP: Niente.
EM: La, le nostre, i nostri genitori, lei non sono come quelli di adesso. Non dicevano niente. Se sappiamo qualche cosa è perché si sentiva. Perché avevamo le orecchie che [laughs], come si dice, ecco. Ma altrimenti loro non dicevano mica niente, dicevano solo: ‘No, te fuori alla sera dopo l’orario non ci vai!’. Ma il mio papà tante volte mi diceva: ‘No, eh!’. ‘Senti’, cioè mia mamma gli diceva, ‘se vuoi prendere le sigarette mandala adesso che sono le sei, non alle otto’. Perché insomma non c’era in giro nessuno, però, e allora dovevo andarci a prendere le sigarette, facevo in fretta [laughs], perché. No, no, i genitori, i nostri genitori non dicevano mica niente. Noi non, adesso io che sono la prima, sono venuta a saperlo dopo, adesso faccio per dire che una persona doveva avere il bambino quello che è, ma non per lei eh! Ah, perché se no mi tirava dietro anche qualche cosa eh, non si poteva parlare come fanno adesso. Adesso ci sono le bambine lì di sei, sette anni, ‘ah, mia mamma è incinta, ah, mia mamma deve averÈ, oh! Adesso non è per, ma non si può a quell’età lì, adesso, eh! Io momenti che mi sono fatto il fidanzato, che avevo diciotto anni, a momenti momenti mi curava ancora [unclear], teste qui in casa, te va lì come, stava lì sul portone, sulla porta di casa, ecco. Chiacchierava con la gente ma ogni tanto veniva dentro a vedere perché non si poteva stare come adesso che vanno in campagna assieme, no? [laughs] C’erano tutte le regole.
EP: Eh, era diverso.
EM: E con le regole siamo andati anche abbastanza bene. Adesso non perché, perché adesso è proprio, eh, troppo adesso.
EP: Vorrei ritornare ancora un momento indietro e chiederle cosa, cosa succedeva al confine con la Svizzera. Lei prima raccontava che aprivate dei varchi nelle reti.
EM: Sì, sì, dei varchi nelle reti. Dopo lì mio nonno abitava proprio vicino alla, dove c’erano dentro i tedeschi, la, la, come si chiama? Che adesso, che adesso per esempio c’è dentro la Finanza insomma ecco, con la perché adesso ormai non c’è più. C’è dentro la Finanza, di sopra ci sono tutti i letti, tutte le insomma, è proprio una casa insomma, come se fosse. E allora dato che io, oramai con mio nonno così, eravamo proprio lì, si può dire a portone a portone, allora quando passavano con i cani, no, noialtri ragazzi, ‘ah, che bello, Tom, Tim’, insomma si chiamavano e allora loro venivano lì con il cane, insomma non c’hann mai fatto niente. Però se vedevano un adulto, allora [mimics a growling watchdog] ringhiavano, perché era, invece noi no. Dopo lì mio nonno era con una sua, era in casa di una sua parente, una sua cugina. E allora diciamo quella cugina lì aveva dei figli, delle figlie, e [unclear], andava, li lavavano, li stiravano le camice, eh sì tanto anche per prendere qualche cosa. Allora quando ci vedevano giù non, noi facevamo anche a posta, io, mio cugino, insomma così, eravamo quasi tutte della stessa età, e allora si, ‘Ohi, questo, Tom, Tim’, loro stavano lì a chiacchierare, intanto, magari avanti venti passi ma dato che lì è tutto un bosco, avanti venti passi c’era magari mio zio con mio nonno che facevano quel mestiere lì, ecco, allora noi facevamo le spie, ecco [laughs], facevamo le spie, se lo sapevano non so la passavamo liscia, eh! [laughs]
EP: Ehm, e lei cosa ne pensava da bambina dei tedeschi? Le facevano paura o [unclear]?
EM: Sì, sì, anche i ragazzi della mia età, eh, ragazzi proprio, che li davano, facevano i piccoli italiani. E difatti io, mio papà è venuto là una volta perché io facevo la, quando facevo la terza, no, mio papà c’era ancora. È venuto lì perché c’avevo una maestra che era una fascistona e insomma, a me mi lasciava sempre indietro perché io non sono mai andata vestita di piccola italiana. Prima di tutto, mio papà non voleva, perché non aveva lui la tessera del [laughs], secondo è che non avevamo i soldi abbastanza perché eravamo in tre, eh insomma, mia mamma quando faceva la portiera prendeva centosessanta lire al mese. Adesso prendono i milioni e non ne hanno abbastanza ancora [laughs]. E dovevano stare lì dalle sette del mattino fino alle dieci di sera. Adesso fanno otto ore sì e no, oh, pare che facciano tutto loro. Mia mamma aveva tre scale là da fare e senza i ballatoi e tutto. Oh, non è, però insomma, ce la siamo cavata. Anche se io, se mi veniva in, ho cercato ma non li trovo, delle fotografie di quando avevo quell’età lì, no, [unclear] avevo i calamai fino a qui eh, altri quella di.
EP: Ehm, in quartiere Isola sempre, tornando a Via Borsieri, ehm, c’erano i tedeschi? C’erano i fascisti? Giravano i fascisti?
EM: Tutti fascisti.
EP: Tutti fascisti. C’era uno che si chiamava, era. C’era quell’altro che si chiamava, che aveva la sorella e quello lì non mi ricordo più come si chiamava. Li hanno uccisi tutti quando è finita la guerra, lì sulla, la cosa della, lì c’è in Via Sebenico, c’è la chiesa, ecco, e prima c’è un lavatorio. Lì sono pochi anni che hanno messo tutto a posto, perché prima c’erano dentro tutte le mitragliate di quelli che hanno ucciso. E sempre all’orario che venivo a casa io dal lavoro. Io già stare in fondo, perché allora venivo giù, col tram. Il tram faceva solo, qui in Via Plinius, la Via Plinius così, qui prendevo il tram, veniva giù in Via, qual’è che Via l’è quella via, Via, Via, Via, eh, non mi ricordo, che viene la stazione, basta, dopo non venivano di qui. Basta, girava tutto di là e andava a metà strada, a metà Viale Zara, dunque io ero tutto fuori, eh, ho detto: ‘Piuttosto di fare di là, faccio di qua e arrivo subito in casa’. Allora sempre a piedi, sempre, se avrei qui cinque centesimi, cinque centesimi, di tutta la strada che ho fatto, sarei millionaria.
EP: [laughs] E il 25 aprile se lo ricorda?
EM: Eh, sì, perché venivo a casa dal lavoro e sono arrivata lì alla stazione centrale perché il fratello di Neglia aveva avvisato, ‘Manda a casa tutti, perché interveniamo’, insomma così. E allora, ma quella che abitava più distante ero io perché da Via Plinius venire qui in Borsiere è un bel pezzo. Insomma, sono venuta via di là alle dieci. Sa a che ora sono arrivata a casa? Che è tutta strada diritta? Ma non ho potuto fare la strada diritta perché quando sono stata lì in Via, arca miseria, insomma lì in Duca d’Aosta, no, che la [unclear], qui c’è, ehm, petta come si chiamava quello lì, l’albergo che c’è lì così, proprio di fronte, di fianco alla stazione centrale, lì c’è un albergone grande. Questi sparavano su, quelli là sparavano giù, eh, e non ho potuto passare perché mi è venuto incontro un ragazzo che abitava lì verso Borsieri in Casteglia e mi fa: ’Signorina, dove sta andando lei?’. E vu dì: ‘Io dovrei passare e andare a casa, abito in Borsieri’. ‘Orca miseria’, fa, ‘allora’, fa, ‘tagliamo dentro di là’. E siamo andati fuori, dove c’è la, come si chiama quella là, quella zona lì. Arca miseria, quasi Porta Nuova, abbiamo girato dall’altra parte, insomma, e siamo andati lì. Arriviamo lì a Porta Nuova, non si può passare, perché lì c’erano le scuole, ci sono, sono ancora le scuole, e c’erano i, le camice nere, che prendevano tutti i ragazzi, così, e li portavano dentro perché insomma si vede insomma che avevano paura, non so di che cosa comunque. Allora lì c’era, dove c’è la finanza adesso, in quella via lì, ecco. Allora lì di dietro c’era giù la casa e allora cosa abbiamo fatto? Cammina cammina, e ci siamo arrampicati su sulla casa e siamo andati giù in Corso Como. Arriviamo lì in Corso Como, allora c’era il passaggio che la ferrovia, no, il coso lì e un po’ il ponte che andava giù in Corso Como. Arriviamo lì, eh, e chi, dalla Borsieri, dal fondo della Borsieri, sparavano dentro e questi qui sparavano fuori perché c’era lì la, quelli lì della, perché lì prima, una volta, lì di dietro insomma, c’era la Finanza perché arrivava roba di così, era tutto lì insomma, era smistamento ecco. E allora ma c’erano lì i tedeschi e allora, quello là sparavano fuori, questi qui sparavano dentro. E allora stavamo lì, no, a pensarci su, adesso qui, se facciamo tutto il giro da Carlo Farini e così, ma dopo là in Postrengo [Pastrengo], come si fa a passare? E allora in quella è arrivato due signori, no, un po’ abbastanza, e allora c’hann detto: ‘Ohè, anche noi abitiamo di là del pontÈ. Sì, va bene, allora tutti in quattro, prima uno e poi quando non si sentiva più a sparare, passava quell’altro perché c’erano le cose fatte dei muretti così, così, così insomma per le bombe, per la, perché se mitragliavano lei li correva in giro a quei muretti lì e insomma si cercava di. E difatti sono arrivata a casa alle otto di sera. [laughs]
EP: [laughs] Una lunga giornata.
EM: Una lunga giornata. Sono venuta via di là alle dieci del mattino. Mia mamma che non, era lì che continuava ad andare avanti indietro, non sapeva più cosa, cosa averne in tasca, ti te se, te non sai più cosa ce n’hai in tasca ma io che sono stata lì.
EP: Prima di andare verso la nostra conclusione, volevo chiederle, come mai chiamavate le camicie nere scelbini?
EM: Eh perché, ehm, come si chiama, portavano come un fazzoletto, come una cosa, che, e poi avevano su il coso del fascio, che la roba proprio, perché la, loro la. Allora disevano, uhè, ghe scelbini, perché se ghe disevo, miscimis, [laughs] capiven. Invece a dire scelbini [laughs], noi sapevamo che erano loro.
EP: E adesso le faccio due ultime domande che riguardano proprio chi bombardava. All’epoca, lei che era una ragazza, insomma una ragazzina, insomma
EM: Sì, una ragazzina, ma [unclear]
EP: Sì, che cosa pensava di chi bombardava, di chi buttava giù le bombe?
EM: Eh, si pensava appunto di dover dire: ‘Ma caspita’, vu dì, se vengon, ma si diceva, se vengono dall’America e così, e passavano sopra la Svizzera, eh, per venire qui. Perché io, quando dormivo al letto, con mia mamma, ecco, io, prima che loro suonavano l’allarme, io ero già su eh, li sentivo, io. Se c’è una cosa, io, avere la testa sul cuscino, io la sento. Ancora adesso, eh. Vede, tante volte mio fratello mi dice: ‘Ma come fai a sentire?’ Eh, la sento! Arriva la, tante volte sento che svegliano. Arriva la croce rossa, ma come fai a sapere? Eppur, mi alzo, dopo si sente. È una cosa che subito sento.
EP: E a distanza di tanti anni, che cosa pensa adesso?
EM: Eh, penso che, che era meglio che non facevano niente perché di cose, e poi ancora adesso, quando apro la televisione che sento certe cose, guardi, adesso non perché ma adesso non fanno più quelli che facevano prima, però sono lì eh! Sono lì! Perché prima, quando in tempo di guerra, i giovani se li prendevano che avevano venti, ventuno anni, no, così e la mandavano a Villa, spetta come si chiamava, a Villa d’Este, sa dov’è la Villa d’Este qui a Milano? Vicino al, mamma mia, che memoria che [unclear], ce l’ho ma non sono più capace di, a Musocco, ecco. Musocco, sulla destra, eh, andando così a metà strada di Musocco c’era una, una caserma, una casa, lì, quello che è, e allora una volta di lì passava un fossetto, un fosso insomma, e lì dicevano la Villa d’Este perché ogni tanto trovavano qualcuno e lo buttavano fuori dalla finestra, dentro nell’acqua perché, tutto perché? Perché volevano, ma non tutti sapevamo che, perché sai sentivano per televisione, per radio, no? La radio bisognava sentirla ma nascosti, lì tutti con le orecchie così perché se mi vedevano, mi sentivano, guai! Venivano in casa, distruggevano tutto, eh. Altroché, bisognava stare attenti come si faceva. Se una persona guardava due volte, mettiamo, uno di loro, il fucile veniva giù dalla spalla e facevano quello che dovevano fare. Altroché.
EP: Va bene. Io la ringrazio moltissimo signora Enrica perché possiamo interrompere adesso.
EM: Sì, sì.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Enrica Mariani
Description
An account of the resource
Enrica Mariani recollects her wartime experiences in Milan: her brother dying of bronchitis after spending too much time in the shelter and her father working in an armaments factory. The aggressive fascist militiamen and the long hours she spent in the shelter listening to a man playing the guitar and singing songs mocking the regime. She recalls her partisan husband, who was repeatedly jailed for spreading subversive propaganda material. She describes the 1943 bombings when she narrowly escaped an incendiary. She remembers working at a very young age as a seamstress, following her father’s death and her mother leaving her job as a doorman. She stresses the social divide among evacuees: the better off were afraid to lose their wealth while working class people had a fatalistic, resigned attitude toward war. She discusses helping people fleeing to Switzerland by breaching the border fence, as to avoid detention as military internees in Germany and describes draft-dodgers living in hideouts. She recalls how she was able to sense incoming aircraft well before the alarm sounded.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Erica Picco
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-12-09
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
01:03:49 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AMarianiE171209, PMarianiE1701
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Po River Valley
Italy--Milan
Italy--Bizzarone
Switzerland
Italy
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1943
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
bombing
childhood in wartime
evacuation
fear
home front
incendiary device
perception of bombing war
Pippo
Resistance
shelter
-
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Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Pirovano, Giuseppe
G Pirovano
Description
An account of the resource
One oral history interview with Giovanni Delfino who recollects his wartime experiences in Milan.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-11-13
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Pirovano, G
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
ZG: Prova? Funziona? Sì. Allora, l’intervista è condotta per l’International Bomber Command Centre. L’intervistatore è Zeno Gaiaschi, l’intervistato è Giuseppe Pirovano. Nella stanza è presente, in qualità dell’assistente di Zeno, Simone Biffi dell’Associazione Lapsus. L’intervista ha luogo in Via Gian Rinaldo Carli al numero 34 a Milano il giorno 12 Novembre 2017. Ok, possiamo iniziare. Allora inizio con delle domande di riscaldamento. Qual è il ricordo più lontano che ha, più remoto di tutti?
GP: Diciamo, ma qualche ricordo già prima della guerra. Quindi io sono del ’31 per cui ho dei ricordi verso gli anni ’39-’40. Quegli anni lì ricordo benissimo. L’aspetto che mi è rimasto in testa è la situazione qui di Affori ma sicuramente rispecchia la situazione generale dove il Fascismo teneva in iscacco se possiamo dire, la popolazione. Esempio. Allora c’eran solo le osterie e mio padre andava all’osteria qualche volta, non sempre. Era anche lui uno che gli piaceva bere il solito bicchiere di vino coi compagni, con gli amici, e ogni tanto mi portava, anzi ero io che gli correvo dietro, avevo otto, nove anni quindi, dieci anni. E mi ricordo la situazione, mi è rimasto impresso alcune cose. Per esempio, mi ricordo che sulle pareti dell’osteria dove c’era il, dove si batteva, dove batteva la spalla della sedia c’eran tutte le parole d’ordine: ‘Qui non si parla di politica’, ‘Viva il Duce’ e tutte queste parole d’ordine che potete immaginare quali erano. Ma questo è il meno. Ricordo benissimo che c’erano due, due esseri, due signori che giravano il rione vestiti proprio con la tuta da fascista, camicia nera, pantaloni, in bicicletta, sempre loro due, uno si chiamava Marinverni, l’altro Cavallini, e con la pistola sempre addosso. Facevano il giro delle osterie e ogni, alzavano la voce, la gente stava in silenzio, loro facevano il cosidetto bauscia, disevano a Milan, e quindi in alcuni casi hanno provato anche a sparare in alto, tanto per intimorire la gente. Questi erano proprio i manovali, me li ricordo bene, mi sono rimasti in mente anche i nomi. Poi naturalmente c’erano quelli vestiti bene, quelli che erano alla sede del Fascio qui ad Affori e che loro si facevano solo vedere nei luoghi delle parate quando c’era qualche manifestazione nel rione. Ecco questo, sono i ricordi più lontani, di prima della guerra.
ZG: Ma lei si ricorda perché questa camicie nere intimorivano? Quali erano le motivazioni? C’erano delle cause scatenanti?
GP: Non saprei dire la motivazione. Sicuramente evitavano, volevano evitare, diciamo, che qualcuno si comportasse da antifascista, questo per loro era una cosa che non poteva esistere, per cui controllavano, vedevano se c’era qualcuno di questo tipo. Naturalmente c’erano, ma però non posso dire che alloro lo sapevo, li avevo conosciuti nel, nel dopoguerra chiaramente, negli anni ’45-’46, c’erano gli antifascisti e c’erano ma non si muovevano, non si. Qualcuno di questi venivano anche portati in prigione quando c’era le visite dei gerarchi fascisti, di Mussolini in particolare qualche volta che era arrivato a Milano, però loro non li conoscevo, ma penso che lo scopo principale era quello di tenere sotto controllo la situazione insomma.
ZG: Senta, che lavoro facevano i suoi genitori?
GP: Mio padre era un operaio, lavorava alla Ceretti e Tanfani, una ditta molto importante. Era una ditta ausiliaria si diceva allora, cioè ausiliaria nel senso che producevano cose che servivano per la guerra e quindi. Non le armi ma le strutture sono le gru, gli impianti funiviari, gli impianti che potevano servire per l’esercito, quindi lavorava in uno di quei. Mia madre era casalinga. Eravamo tre fratelli, due fratelli e una sorella.
ZG: Si ricorda un po’ della vita prima della guerra, in famiglia, a casa?
GP: Mah, prima della guerra ricordo che mio padre lavorava dieci ore al giorno e comunque, riusciva comunque a mantenere la famiglia ecco. Mia madre non ha mai lavorato da sposata e non saprei dire precisamente perché. L’età era poca e quindi eravamo, non eravamo in grado di capire per bene le cose. Però posso dire che riuscivamo a vivere, naturalmente con sacrifici perché il mangiare era quello che era, non è che eravamo. E ricordo in particolare che i giorni di Natale, mentre alcuni bambini avevano la fortuna di avere una famiglia un po’ benestante, meglio di noi, noi non avevamo niente insomma, c’erano i soliti pacchetto di mandarino con la noce con quelle poche cose di frutta. Ecco, quello che ricordo è un po’ questo. Facevamo fatica, vivevamo con fatica, ma vivevamo.
ZG: Lei e i suoi fratelli giocavate?
GP: Sì, sì, giocavamo, giocavamo. Mi ricordo che io ero il maggiore facevo, costruivo i monopattini, andavo da, c’era uno stracciaio vicino a casa dove abitavamo, noi abitavamo qui in, qui vicino insomma, un centinaio di metri. E andavo a comperare, ce li regalava praticamente, soldi noi non ne avevamo, le ruote a sfere che raccogliendo i rottami che questo signore c’era dentro anche queste cose qui, noi lo sapevamo e andavamo là e facevo il carrello, il carrellotto con il legno, la, col manubrio, bulloni per fare da perno, la ruota a sfera più grossa che riuscivamo a trovare e facevamo il carrellotto che ci spingevamo in giro oppure il monopattino, con due ruote a scorta. Per dire uno dei giochi, poi giochevamo tante altre cose siam bambini, giocavamo, giocavamo, questo.
ZG: Ehm, lei si ricorda qualche altro gioco in particolare?
GP: Giocavamo, ci allora, ci mettevamo carponi uno dietro l’altro e saltavamo sulla schiena. Chi saltava più, due persone, tre persone. Giocavamo alla, noi lo chiamavamo il Pirlo, pezzo di legno così che mettevamo per terra, picchiavamo sulla punta e il legno andava lontano, quindi chi andava più lontano vinceva. E così insomma questi più o meno erano i giochi che facevamo.
ZG: Senta, si ricorda di quando è scoppiata la guerra?
GP: Sì. Scoppiata la guerra, mi ricordo vagamente del discorso di Mussolini, stranamente. Però stranamente era, tutte le radio parlavano di questo. E mi ricordo vagamente, vagamente col senno di poi, l’ho sentito attraverso i tele, i giornali eccetera ma allora ricordo vagamente per dire la verità. Non è che potessi capire il significato, perché insomma io avevo, nel ’40, 10 giugno del ’40 avevo nove anni, capite che un ragazzo non, però ricordo ma poi. Diciamo quello che posso dire è come ho vissuto io la guerra, ecco questo.
ZG: Ecco sì, voglio fare giusto una domanda prima che era, gli adulti gli parlarono della guerra? I suoi genitori o famigliari a lei vicini, amici dei genitori?
GP: Beh, mio padre un po’, mio padre, mio padre parlava un po’ qualche volta però non si sbottonava. Mio padre non era un politico ma era un antifascista, questo sicuramente, questo, lo posso testimoniare. Politico no perché poi anche lui era un operaio nel senso che non aveva, scuole, sì, fatto le elementari ma non aveva cultura politica. Ma era un antifascista e ogni tanto qualche cosa me lo [sic] diceva. Era un tipo che ogni tanto mi ricordo che prendeva in giro qualche fascista della prima ora, con dell’ironia non con della, diciamo discussioni politiche, si guardava bene perché non avrebbe potuto. Però mi ricordo che c’era uno che aveva fatto la Marcia su Roma, abitava vicino a noi e mai poi era un uomo anziano, non è che fosse, non era un uomo cattivo ma era un fascista. Mi ricordo, eravamo forse nel ’41 quando, quando venivamo, eravamo in Africa ed eravamo sconfitti e allora mi ricordo precisamente, una volta visto fuori in strada e gli diceva: ‘Ohè, Scaiett’, si chiamava Scaietti, ‘Scaiett, andem ben, eh!’. Faceva così, il segno della vanga. Vangava per dire che andavamo indietro. Lo prendeva in giro, per dire. Era comunque un tipo abbastanza, le conosceva le cose, e qualche volta si azzardava anche con gli amici a parlare, ma molto, molto poco, non è che era un antifascista combattente, no, non lo era. E naturalmente poi ho saputo che in fabbrica c’era l’organizzazione clandestina ma questo l’ho saputo dopo e quindi.
ZG: Dopo torneremo anche su questo. Quindi lei non si ricorda nulla in particolare proprio di come suo padre invece parlava a lei della guerra e del fascismo?
GP: No, ma, no, soltanto qualche volta, quello che succedeva, lo diceva in casa ecco. Ma no, devo dire di no. Per dire la verità.
ZG: Eh per caso avevate parenti al fronte?
GP: Al fronte c’erano i miei cugini, i miei cugini sì. Figli della sorella di mio padre e sono, due son tornati tutti e due, sì e altri cugini, altri cugini non me ne ricordo, che erano al fronte.
ZG: Ok. Senta invece, si ricorda dei bombardamenti?
GP: Eh beh certo. Eh lì vorrei parlare un po’. Allora partiamo dal primo bombardamento avvenuto a Milano il 24 Ottobre del ’42, primo bombardamento a Milano. Premetto che a Milano era già stato fatto un bombardamento nel ’40 appena scoppiata la guerra, me lo ricordo bene perché mio padre con la bicicletta, noi abitavamo ad Affori, abitiamo tutt’ora ad Affori, siamo andati a vedere i bombardamenti, per dire incoscienti e incapaci di giudicare, penso che era normale. Allora con la bicicletta, io con la mia bicicletta, mio fratello con la sua biciclettina siamo andati in Via Thaon di Revel, sapete dov’è? Piazzale Maciachini, avanti, lì c’è la Chiesa della Fontana. Il bombardamento è avvenuto con qualche bomba incendiaria che ha toccato la chiesa e la casa di fronte. Siamo andati subito quando l’abbiamo saputo, mio padre c’ha portato, e abbiamo visto di cosa si trattava. Proprio due spezzoni erano apparecchi, erano i francesi, perché noi abbiamo dichiarato guerra ai francesi e quindi quelli si sono vendicati subito ma ridicolmente insomma. Era un bombardamento ridicolo eh. Incendiarie hanno rotto una soffitta, un pezzo di, vabbè, comunque, questo è [unclear], però non è più stato fatto nessun bombardamento. Il primo a Milano è avvenuto il 24 Ottobre ’42. Io ero in quel momento nel cortile di casa mia, in una stanzetta del cortile con cinque, sei amici ragazzi, sentiamo sto casino, sto bombard, sto rumore, sparare e il rumore degli aerei. Usciamo e siamo rimasti lì, era le cinque della sera, quindi iniziava il tramonto. Si vedevano tutti i traccianti della antiaerea, qui nella, c’era l’antiaerea piazzata, là nella Cava Lucchini, vicino proprio a noi, le mitragliatrici e si vedevano gli apparecchi che passavano, che urlavano, erano gli aerei, apparecchi inglesi naturalmente perché i primi bombardamenti sono stati fatti dagli inglesi ’42-’43. Gli americani non c’erano ancora e quindi, vedevamo chiaramente mollare le bombe, magari appena dopo perché appena dopo magari alla Bovisa sugli scali ferroviari eccetera nei dintorni. Noi ad Affori non siamo stati colpiti. E quindi questo è stato il primo bombardamento che ho visto coi miei occhi gli apparecchi che mollavano le bombe. Ricordo il rumore degli apparecchi che poi dopo li ho risentiti in qualche documentario ma li ricordo bene. Allora il giorno seguente, uno o due giorni, mio padre ha caricato la famiglia, ci ha portati fuori Milano, sfollati diciamo, eravamo i primi sfollati, perché poi Milano ha avuto molti sfollati proprio a causa dei bombardamenti. Allora il discorso è questo, noi con la famiglia eravamo sfollati in provincia di Brescia, in campagna, e lui lavorava tutti i giorni da solo a casa, ecco. Veniva tutte le domeniche, quasi tutti i sabati e la domenica a trovarci, prendeva il treno, veniva a trovarci. Però era il ’42, la guerra è finita nel ’45, e io saltuariamente venivo a casa con lui, ’43, ’44 quindi in permanenza non ero a Milano però venivo a casa con lui ogni tanto. E quando ero a casa non sono riuscito a dormire una notte perché c’eran sempre i bombardamenti, c’eran sempre gli allarmi. Su casa nostra non abbiamo avuto i bombardamenti ma le case circostanti, i rioni, Milano insomma è stata distrutta, lo sapete meglio di me. Quindi io ho vissuto nei rifugi qualche, alla notte ed era un dramma veramente: il terrore, la paura. Chi andava nei rifugi era, in genere le donne, ma tutti insomma, mio padre nei rifugi non c’è mai andato perché lui diceva: ‘Mi la fin del rat la fu no!’, la fine del topo non la voglio fare. E allora, quando io ero qui qualche volta mi è capitato di andare nei rifugi perché se era di giorno, o comunque un orario che mio padre era a lavorare e io ero solo, e quindi andavo nei rifugi non potevo, ma quando c’era mio padre lui mi prendeva come al primo allarme mi metteva sulla canna della bicicletta e correvamo fuori perché qui ad Affori adesso è costruito molto ma allora era campagna perché era l’ultimo rione della città e quindi avevamo molta campagna e mi portava nei fossi, nella campagna per evitare i bombardamenti. Ma diciamo che ho vissuto i bombardamenti nei rifugi quando venivano qui. E mio padre, dicevo, veniva ogni tanto, ogni tanto, ogni settimana, al massimo ogni quindici giorni veniva a trovarci. Il giorno del 10 settembre ’44 era un giorno che tornava a Milano della visita che aveva fatto a noi e quando tornava a Milano il treno arrivava generalmente dopo le dieci di sera, c’era il coprifuoco alle dieci di sera, quindi cosa succedeva? Lui dormiva alla stazione centrale, al mattino alle sei prendeva la bicicletta e andava a Bovisa a lavorare, Bovisa è qui vicino. La sera del 10 settembre il treno è, è arrivato in orario, ha fatto in tempo a prendere la bicicletta e andare a casa. È andato a casa, diciamo è salito in casa per disfare la valigia, le bombe cadevano. Nel cortile distrutta la casa. Cosa succedeva? Le bombe cadevano e quindi lui è sceso perché non poteva stare lì perché andavano giù, sentiva le case che andavano giù e anche la nostra dove abitavamo cominciava a crollare. Allora molta gente nel, che scendeva nel cortile perché era un gruppo di case, allora molta gente andava nel rifugio ma il rifugio era la solita cantina che costruivano dove si metteva il vino, si metteva, quindi non era un rifugio, era una cantina. E quindi mio padre faceva la parte delle persone che scappavano, oltretutto non era in grado di contenere tutte le persone, molta gente scappava. Mio padre è scappato con un gruppo di dieci persone. Fatto venti metri, è arrivato a un bivio, scappavano, cercavano di andare in un rifugio più sicuro, loro pensavano. Ha fatto venti metri, erano un gruppo di dodici persone, tredici persone, una bomba è caduta nel centro. Quindi strage completa. Mio padre è rimasto sotto i bombardamenti in quell’occasione lì. E, scusate,
ZG: Se vuole interrompiamo.
GP: [starts crying] cosa succede, c’erano i miei amici, un ragazzo col collo tagliato, mio padre combinazione non aveva niente ma lo spostamento d’aria gli ha spaccato il cuore. E però una parte di persone si è fermato nell’androne, nell’androne della casa si sono salvati, in cantina si sono salvati e quelli che sono usciti sono morti tutti. Tenete conto che la mia casa, la casa dove abitavo, era ai, dietro la chiesa, in linea d’aria trenta, quaranta metri, perché proprio era sull’angolo del giardino del parroco. A sinistra c’era la scuola elementare dove io ho frequentato la prima, la seconda e la terza. Alla mia destra, quella via, c’era l’asilo infantile con cinque suore. Ebbene, hanno distrutto l’asilo, distrutto la scuola, distrutta metà la casa dove abitavo. Hanno danneggiato la chiesa, per dire quel gruppo di queste case. Poi più avanti hanno distrutto dei caseggiati completi, la Cur di Restei, la chiamavamo e tante altre cose lì in giro ma poi anche tanti altri. Quindi questo è il 10 settembre ’44. Mio padre è morto e noi siamo rimasti là in campagna dove mia madre è stata assunta, in combinazione c’era una ditta di tabacchi, raccoglievano il tabacco, lavoravano il tabacco, mia madre è stata assunta lì e siamo riusciti per tirare avanti con lo stipendio di mia madre. Quindi siamo stati lì fin dopo, fino il ’45 e mi ricordo l’ultimo episodio che voglio dire. Il 25 aprile del ’45, ero ancora lì naturalmente, e io seguivo un po’ gli ultimi avvenimenti, ormai avevo quattordici anni capivo un po’ di più insomma. E son corso sul, sono andato sulla strada principale Asola-Brescia perché in quei momenti lì i tedeschi cominciavano a scappare. Ora sono corso là con i miei amici grandi, giovanotti che ricordo si preparavano già qualche giorno prima, armeggiare, trovavano qualche arma, qualche cosa del genere. Sono andato lì per trovarli, insomma io volevo esserci. Sono arrivato là, non ho trovato nessuno in quel momento lì al mattino presto. Però mi sono trovato di fronte un gruppo di tedeschi, quindici, circa quindici tedeschi, potevano essere quattordici o sedici, ma era più o meno un gruppo così, un gruppo di tedeschi in bicicletta armati di tutto punto, bombe a mano e mitra, in bicicletta con sacche pesanti. E ormai ero lì, non sapevo più cosa fare e ho detto: ‘Ma sono un ragazzo, forse non mi dicono niente’. Invece il capo lì: ‘Komma her, komma her’, mi ha messo in mezzo per attraversare il paese. L’intenzione era quella naturalmente di avere l’ostaggio in centro in modo che, avevano paura dei partigiani per cui se c’era qualcuno e attraversiam, per attarversare il paese. Naturalmente io il paese lo conoscevo come le mie tasche, e poi avevo quattordici anni quindi, e intanto che andavamo non so se per incoscienza o non sentivo paura, non è che avessi paura, stavo pensando come facevo a scappare. E infatti prima di uscire dal paese conoscevo bene come fare avevo visto, avevo pensato e quindi con un salto sono uscito dai ranghi. Immaginatevi questa gente qui, stanca, affamata, carica come era, non mi ha neanche visto insomma. Sono scappato e quelli se ne sono andati. Sono stati fermati dai partigiani in paese dopo. Io sono tornato là e ho trovato finalmente i ragazzi che si sono messi là, mi hanno messo assieme a uno con la mitragliatrice, io dovevo metterci su le cartuccie, le scatole e comunque eravamo lì a fermare i tedeschi. Diciamo che la giornata è passata così. Lì fermavano i tedeschi, li mettevano nella scuola poi dopo sarebbero stati mandati non lo so e, eh glielo ripeto ero là. E se venivano le macchine era più pericoloso dicevano se veniva qualche macchina. Allora c’era un incrocio rispetto alla provinciale, veniva una macchina dalla provincia di, era da Castel Goffredo provincia di Mantova, e io ero su quella strada lì dietro l’angolo con questo qui. Sento la macchina, sentiamo la macchina, guardo e tra le fronde della siepe avanti centocinquanta metri vedo un elmetto che non è tedesco quello non è un tedesco, non sono tedeschi allora metto la mano sulla mitragliatrice prima che quello mi, [unclear] tedesco, e arriva la camionetta degli americani. Era il primo americano che vedevo e così abbiamo visto sta camionetta, è arrivato lì, ha fatto quattro chiacchiere, sai quei classici, quattro persone, due di dietro sdraiati con le, che poi s’è visto nei giornali che c’hanno fatto vedere ma li era, mi ricordo classico, quattro parole che noi non capivamo niente e con la cicca americana e se ne sono andati subito. Ecco, questa è la mia giornata del 25 aprile ‘45. E poi naturalmente c’è tutta una storia del dopoguerra molto importante ma che non c’entra con.
ZG: Senta, io le volevo fare qualche domanda per tornare un attimo su qualche passaggio. La prima era, nel ’42 lei ha detto che c’è stato il bombardamento, quello degli inglesi.
GP: Sì.
ZG: Il primo che ha assistito. Ha detto che aveva sentito le bombe ma non ha parlato della sirena antiaerea. In quell’occasione lì, era suonato o non era suonato?
GP: No, assolutamente no. Le ripeto, noi siamo usciti perché abbiamo sentito rumore ma il, l’allarme aereo non era suonato. Nel modo più assoluto. Poi, voglio dire, l’allarme aereo raramente suonava. Non c’era, non c’era organizzazione. Gli unici un po’ organizzati erano la cosidetta UNPA, erano dei civili incaricati in ogni caseggiato per essere, diciamo era come un, come si dice, quelli che abbiamo adesso, la protezione civile ecco, faceva un po’ di queste cose qui. Allora c’era quello del caseggiato più anziano, più bravo, faceva questo lavoro qui. Tutta roba diciamo, organizzata e no, insomma. Allora se c’era qualcuno di buona volontà, se sentiva l’aereo, suonava, perché c’era la tromba, la sirena che faceva a mano, faceva andare a mano. Ma raramente suonava prima dei bombardamenti. Sì, il primo bombardamento assolutamente non suonava. Poi in seguito, mi dicevano i miei amici, perché ci sono quelli che erano qui tutti i giorni, qualche volta suonava ma di rado. In genere arrivavano gli apparecchi e bombardavano. Mio padre, quella volta lì lo stesso, arrivato gli apparecchi, bombardavano e son scappati, ma. Allarme niente, non c’era organizzazione!
ZG: Il rifugio in cui lei scappava di solito, era la cantina di casa sua?
GP: Sì, sono andato anche in altri rifugi. Per esempio, c’era un rifugio fatto, sempre qui, in un posto dove c’era un prato fra le case, era un rifugio che avevano fatto, scavato due metri, se dico due metri potevano essere due e cinquanta, forse anche tre, non lo so, no si passava appena appena, due metri, coperto da tavole, dico tavole. Sopra le tavole la terra che avevano scavato l’han messa su sopra, quindi rifugio per modo di dire. Andava bene se c’era qualche scheggia in giro perché bombardavano ma era una cosa inutile, assolutamente, non era rifugio. E per il resto erano cantine. Non c’erano rifugi, in zona parlo eh, perché poi in altri posti avevano fatto anche dei rifugi. Ma a Affori assolutamente non ce n’erano.
ZG: Come passava il tempo nel rifugio, se lo ricorda?
GP: Seduti, c’erano le donnine che pregavano, c’erano i bambini che piangevano, e io mi ricordo che, ero pieno di paura e quando ero in rifugio, ero solo naturalmente, mio padre non c’era. Ero, tremavo e pieno di paura, poi sa in quell’ambiente lì, donne che gridano, che urlano, i bambini che urlano, e così, è una tragedia insomma. Non era una cosa molto bella.
ZG: Senta, oltre alle preghiere, ogni tanto magari avevate altri metodi per passare il tempo, tipo qualcuno cantava magari o?
GP: No, no, no, io non ricordo. Beh la preghiera dico perché qualcuna che c’era, che faceva la preghiera, non è che, che fosse collettivo il fatto. Qualcuna si metteva a pregare, le donne anziane, me lo ricordo ma, no, anche perché nel rifugio non è che ci stavamo tanto. Cioè i bombardamenti potevano durare mezz’ora, l’allarme diciamo poteva durare mezz’ora, al massimo un’ora ma generalmente finiva molto prima insomma ecco. Che gli apparecchi non potevano star su le ore, bombardavano e se ne andavano. Magari si ripeteva ma non molto a lungo. Nei rifugi stavamo poco tempo, mezz’ora.
ZG: E senta invece dov’è che è sfollato, quando suo padre l’ha portato via?
GP: Sul confine fra Brescia e Mantova, in campagna, se posso [unclear] anche il paese Acquafredda si chiama, Acquafredda, c’è ancora eh!
ZG: E come mai vi ha portato là esattamente?
GP: Perché c’erano i genitori di mia madre, con un fratello di mia madre. E quindi abitavamo tutti assieme nella casa dove abitavano questi. Il, loro non erano contadini, mio nonno era una falegname e mio zio faceva l’operatore delle macchine, le trebbiatrici, le macchine che usavano per la terra, le aggiustava, le, insomma faceva quel lavoro lì.
ZG: E da quelle parti bombardamenti non ce ne sono mai stati?
GP: No, assolutamente, in campagna no, abbiamo vissuto bene.
ZG: Perché ogni tanto tornava a Milano con suo padre?
GP: Eh, perché ogni tanto, io, papà, vengo anche io a Milano oppure era lui ma non è che son tornato, forse due o tre volte a, tre volte a Milano. Però, ragazzi! Erano tragedie tutte le volte. Era una tragedia perché era sempre in giro. Mi son trovato in quel rifugio lì che le dicevo, mi son trovato scalzo. Quindi era, ’43 forse, o primavera ’44, insomma era terrore, scappavamo, eran momenti brutti insomma, non, una cosa che, da non augurarsi guardi.
ZG: Senta invece, un’altra cosa che volevo chiedere era, con la scuola, lei quando ha sfollato per la prima volta, stava già frequentando la scuola media?
GP: No, allora, io ho frequentato la scuola che hanno abbattuto lì quando hanno bombardato mio padre, è morto mio padre, ho fatto prima, seconda e terza, la quarta sono andato a farla nelle scuole nuove, sempre qui ad Affori. Allora la quarta, io sono stato bocciato, sono stato bocciato perché non ho risposto alle domande di religione. La mia maestra, maestra Giacchero, era una fascista di quelle terribili, clerico-fascista, e io non ho risposto a domande di religione perché avevo fatto, avevo tranciato i miei rapporti con la chiesa quando mi hanno fatto fare il chierichetto. Mi hanno fatto fare il chierichetto, parliamo forse nove, dieci anni, allora c’erano chierichetti così piccoli e mi ricordo che a un battesimo un signore ha tirato fuori i soldi, ha dato i soldi al prete, ha detto: ‘Questi qui sono i suoi, questi qui sono per il batte, e questi qui per i chierichetti’. Il prete ha messo in tasca i soldi e non ha dato niente, né a me né a nessun altro, ha tenuto tutti i soldi dei chierichetti. Da quel giorno lì, per me, sono andato a casa ho detto: ‘Mamma, io in chiesa non ci vado più’, ‘Perché?’ ‘Perché mi ha rubato i soldi’ mi ricordo. [unclear] ‘Ma no, ma’, basta, e io ho chiuso. Quindi per me la chiesa non esiste, non esiste da quel giorno là insomma. Poi tutto va bene, tutto [unclear], per me non è un problema, è un problema [unclear], ma. Quindi sono stato bocciato in quarta, ho rifatto la quarta qui e [mobile phone rings] scusatemi.
ZG: Interrompo, non si preoccupi.
PG: Sì?
ZG: Allora, dopo la pausa riprendiamo l’intervista.
PG: Ecco, ehm, quindi ho rifatto la quarta. Il mio maestro era un centurione, un ex-centurione della milizia. Allora e io ero il caposquadra per dire che sono stato bocciato non perché ero un asino, anche se non ero una gran scienza per dire ma io sapevo le mie cose.Sono bocciato proprio perché non ho risposto alle domande di religione e il mio maestro dopo qualche giorno mi ha fatto caposquadra. Era un centurione della milizia e lui voleva avere una squadra organizzatissima. Aveva fatto sette persone, sette ragazzi capisquadra, io ero caposquadra ma ne aveva fatte altri sei che ognuno aveva dato un compito ma soprattutto in palestra ci portava. Eravamo organizzati in un modo eccellente. Io avevo la mia squadra che comandavo a bacchetta: ‘Avanti marsch, destra, sinist, obliqua sinist’. Ero bravo, era il maestro che mi aveva insegnato. E quell’anno lì, doveva essere il ’41 o il ’42, ’41 sicuro o fine ’40, poi facciamo i conti e magari, sì ’42, ’41, ’42 sono andato via, e abbiamo fatto un raduno, hanno fatto un raduno all’arena di Milano di quattrocento classi elementari, la quarta e la quinta, per fare gli esercizi ginnici. Far vedere che erano i giovani, i Balilla che, come eran bravi i Balilla eccetera. E io ho portato la mia classe, siamo stati bravi, eravamo sicuramente fra i primi perché i nostri ci tenevano. Poi per c’han fatto uscire dall’arena. Uscendo dall’arena c’erano dei tavoloni, son stati cinque o sei tavoloni, non lo so perché eravamo in tanti. Ogni tavolone c’era un gerarca dietro lì, un fascistone e io ero il caposquadra, dovevo andare a rispondere, a rispondere alle domande che queste persone mi facevano. Sono arrivato là con la mia squadra: ’Avanti marsch, destra, sinistra, tac!’ ‘Senti’, mi dice, ‘chi ha dichiarato guerra? L’Italia all’Inghilterra o l’Inghilterra alla Germania?’. Sono rimasto un po’. Non lo sapevo, non lo sapevo anche se, che magari era stato detto però non quel momento, non lo sapevo. Però pensavo ragazzi la guerra è una cosa brutta, non siamo noi italiani che la vogliamo, nella mia mente, e ho detto, no è stata l’Inghilterra. ‘Bravo asino! Vai via con la tua classe!’. Questo per dire [laughs] come eravamo in quei tempi là. E poi naturalmente io ho passato la quarta, sono andato in quinta, nel ’42 già avevo perso un anno, nel ’42 a settembre, a ottobre siamo scappati. Perciò ho ripreso la quinta là in campagna, ho fatto la quinta là. Dopodiché là non c’erano più le scuole. Per fare la, per andare a scuola bisognava fare tredici chilometri fino a, un paese importante, paese grosso, ma allora come facevo? In casa c’era una sola bicicletta, a parte il fatto che fare tredici chilometri in bicicletta, col Pippo che ogni tanto sparava addirittura sui cavalli e carretti che c’erano sulla strada, hai mai sentito, avete sentito parlare del Pippo? Ma poi c’era una bicicletta, l’usava mio zio per andare a lavorare. Quindi io, finita la quarta, la quinta elementare, non ho più fatto la scuola. Anzi, devo dire che, allora per andare alle scuole medie bisognava fare, come si, gli esami di stato. E sono riuscito a fare gli esami di stato con la mia maestra - che voleva che li facessi - e con altre sei ragazze, la figlia del sindaco, del podestà, allora del podestà, la figlia del suo secondo era il caseario, aveva il caseificio, la figlia del fabbro e altre tre ragazze dei tre più grossi fittavoli del paese. Allora io ero quello che aveva, che mi vestivo con i pantaloni neri di tela stracciati con le pezze sul sedere e loro erano le figlie, erano le sei ragazze dei ricchi del paese. Allora sono riuscito ad andare, a fare gli esami di stato in quel paese e, non mi viene in mente va bene il paese, con cavallo e carrozza, cavallo e la carrozza con queste ragazze. Siamo, eravamo bene istruiti, siam passati tutti e però io non ho più potuto far scuola. Questo è quanto, questa è la mia scuola che ho fatto. Naturalmente poi ho avuto nel dopoguerra la fortuna di fare altro tipo di scuola e via ma così, scuola era questa, la mia scuola.
ZG: Senta, a proposito della maestra che diceva, quella qua a Milano. Allora innanzitutto prima un’altra domanda: la chiesa in cui lei faceva il chierichetto, è quella che poi è stata bombardata?
GP: Sì. La chiesa qui ad Affori è stata danneggiata, diciamo la parte posteriore sì.
ZG: E invece diceva che la sua maestra delle elementari qua a Milano era terribile. Mi sa spiegare il perché? Si ricorda qualche episodio?
GP: No, era semplicemente cattiva. Quando io le dico che era una fascista ed era fascio-clericale perché, metta assieme queste due cose, si può immaginare che cosa ne viene fuori. Io poi nel dopoguerra mi ricordo che, mi ricordo, c’era un amico che abitava qui anche lui che ha, con questa maestra che la conoscevo bene, aveva qualche anno più di me, e mi, ‘Eh, la Giacchero!’ ne abbiamo parlato ‘La Giacchero’, fa ‘volevamo andare a prenderla a casa, ma poi mi hanno sconsigliato, l’abbiamo lasciata perdere’. Per dire che era proprio una signora che si distingueva dalle altre per essere così cattiva e fascista insomma. Ecco questo. Non tutte erano così naturalmente ma quella, combinazione, l’ho avuta io. È andata così.
ZG: Invece, cambiando discorso, lei si ricorda dei tedeschi? A parte per quell’episodio del 25 aprile?
GP: Sì, sì, mi ricordo dei tedeschi. Mi ricordo dei tedeschi perché i tedeschi avevano occupato l’Alta Italia tutti i paesi, non soltanto dei presidi. Tutti i paesi piccoli e grandi erano presidiati. Noi avevamo lì, abitava vicino a dove abitavo io, nello stesso cortile avevamo un, era un sottoufficiale, era un sottoufficiale o ufficiale non di grande grado comunque abitava lì, quel tedesco lì. Poi c’erano altri, c’è un capitano, c’era dei piccoli presidi insomma in altre parti del paese ma io mi ricordo c’era questo capitano che aveva sequestrato un cavallo bello, che correva a cavallo nel viale del paese, per dire un ricordo perché questo. C’erano tedeschi c’erano anche lì. Dappertutto.
ZG: Che impressione le facevano?
GP: Boh, niente, diciamo che, mi ricordo che mio fratello è andato a rubargli la marmellata in un, c’era in questo caseggiato c’era un magazzino che mio nonno faceva il falegname. Quando sono arrivati i tedeschi han sequestrato tutto, mio nonno non ha fatto più il falegname e loro mettevano lì le vettovaglie e mio fratello con un altro ragazzo sono andati a rubargli le scatole di marmellata eccetera. Si vede che si sono accorti che c’erano, non lo so, e, e questo qui si è accorto e ci ha dato tante scudisciate che [laughs] insomma ecco. Però come persona non era corretta, non, con noi non ha mai detto niente, mai fatto niente. Ci tenevano a stare tranquilli, stavano bene lì quel paese.
ZG: Senta, tornando a quel episodio del 25 aprile, lei aveva già avuto contatti con dei partigiani?
GP: No. Chiariamo bene. I contatti che avevo io erano con gli imboscati, che era diverso. Nel senso che, in quel paese lì i partigiani non c’erano, non avevano niente a che vedere, erano nei paesi più grandi erano verso le colline, verso le montagne. Ma però c’erano gli imboscati voglio dire il. Nel ’43, l’8 settembre, l’esercito si sfasciava e ricordo che molti venivano nelle case, ricordo benissimo venivano anche là, si toglievano le divise e cercavano qualche giacca, qualche pantalone per far vedere che non erano militari, per sfuggire alla Decima MAS che già cominciava a sentirsi. E non i partigiani, solo gli imboscati, cioè coloro che avevano la possibilità di imboscarsi nelle soffitte, nelle campagne, eccetera, ecco. Però c’era qualcuno, c’era qualcuno che si preparava, che non era, era sì un imboscato, non è andato con i partigiani, non è andato con la Decima MAS, con la RSI italiana, i repubblichini, ma che però erano imboscati. Però qualcuno si preparava in quel 25 aprile e siccome io li conoscevo tutti, conoscevo morte, conoscevo morte, vite e miracoli del paese e quindi li conoscevo e sapevo che andavano a provare i mitra, mi ricordo che preparavano le armi per l’eventuale, ma questo gli ultimi giorni ecco, conoscevo questi imboscati diciamo. Partigiani veri e propri li ho conosciuti dopo ma non lì.
ZG: E quando queste persone qua si preparavano con le armi lei ha assistiteva?
GP: Sì, una volta mi ricordo che ero andato assieme e sparavano alle piante per vedere l’effetto che facevano insomma, per vedere le armi se andavano bene. C’avevano un mitra, c’avevano delle pistole, quel gruppo lì insomma che conoscevo io.
ZG: E poi il 25 aprile insomma andando là ha incontrato questo gruppo di partigiani.
GP: Questi gruppi di imboscati, c’erano uno, no, c’erano due forse partigiani che passavano, che davano un po’, che mi davano l’impressione che erano partigiani. Gli altri li conoscevo, erano gli imboscati che c’erano lì, si erano svegliati al momento opportuno. C’era forse una o due persone, una c’era sicuramente che si [unclear] era però il gruppo era quello lì.
ZG: Quindi furono questi imboscati che si erano appostati con la mitragliatrice all’incrocio.
GP: Sì, sì, sì.
ZG: Allora direi che con le domande sulla guerra ho finito. Le volevo chiedere a finita la guerra, lei si ricorda cosa è successo dopo? Siete tornati a Milano, insomma mi racconti un po’.
GP: Ho scritto un libro io.
ZG: Ah.
GP: Beh, molto interessante perché eravamo, diciamo qualcuno era fortunato che era riuscito a fare le scuole medie e andare avanti chi era rimasto a Milano ma la massa era come me, quinta elementare, senza lavoro però la cosa interessante è che il lavoro si trovava subito, c’era molto lavoro, c’era da ricostruire, e quindi sia mio fratello che io e che i miei amici abbiamo trovato da lavoro lì. Ma io vu fa l’elettricista, io vado a fare il meccanico, no, io faccio il panettiere, poi ci, assieme parlavamo e dicevamo: ‘Io vorrei fare questo, vorrei fare quello’. E c’era veramente la possibilità e ci siamo tutti impegnati a lavorare. Abbiamo lavorato da questo punto di vista. E qui io pensavo, speravo di andare a lavorare nella Ceretti e Tanfani, dove c’era mio padre. Il direttore del quale di questa ditta, aveva promesso a mia madre nel ’45 che mi avrebbe assunto appena poteva, ma al momento non poteva e non l’ha fatto. Faccio una parentesi. Questo direttore è stato messo al muro dai tedeschi con i compagni della ditta negli scioperi del ’44, negli scioperi del ’44 perché voi sapete nel ’43 e nel ’44 degli scioperi delle fabbriche di Milano, in particolare Sesto San Giovanni e la Bovisa, dove c’erano tante fabbriche e lì c’erano un gruppo, gli operai erano organizzati, fatto sciopero sono entrati i tedeschi e li hanno messi al muro e non hanno sparato, non gli hanno fatto niente, li hanno obbligato a riprendere il lavoro perché era una ditta ausiliaria, facevano dei lavori che interessavano ai tedeschi e quindi questo signore qui è rimasto direttore d’officina anche dopo la guerra e alla fine prima di essere, di andare via è riuscito ad assumermi, nel ’48 mi ha assunto. Questa persona. E io lì ho potuto capire, sentire tutti gli operai, capire cosa, come hanno vissuto, cosa hanno fatto nel periodo di guerra. E perché allora avevo, nel ’48 avevo diciassette anni ero, e avevo già gli speroni io, eran già due anni che lavoravo e quindi conoscevo già le difficoltà della vita. E quindi poi lì subito a vent’anni ero in commissione interna, facevo commissione interna, quindi conosco bene la vita della fabbrica, prima perché tutti gli amici mi conoscevano perché mio padre ogni tanto mi portava al dopolavoro e allora c’era il dopolavoro. Mi portava là che andavano a giocare alle bocce e poi a Natale c’erano i regali che allora era così durante il tempo del fascio. E tutti gli uomini anziani, gli operai mi conoscevano e quindi ho potuto entrare e conoscere bene le cose. Poi, c’è molto del dopoguerra ma.
ZG: Senta la scuola invece poi è riuscito ad andare avanti quindi?
GP: Sì, ho avuto la fortuna. Dunque intanto la scuola non potevo più nel senso che non avevo fatto le medie, non c’era ancora perché poi i sindacati sono riusciti a imporre la possibilità di fare le scuole medie a chi non le aveva fatte ma io avevo [sic] già troppo avanti. Allora quando sono entrato in Ceretti, la Ceretti aveva le scuole interne. Ho fatto matematica, meccanica e disegno, io poi ero appassionato del disegno, lo facevo prima di andare ancora lì. Ho fatto questi anni qui, questi due, e questo mi ha permesso di studiare perché poi ero uno che, mi piaceva, sapevo, ci capivo. Mi ricordo che il direttore gli diceva agli insegnanti che, gli insegnanti erano tutti gli ingegnieri della ditta, ma perché, perché non, deve andare a scuola questo qui, rimandatelo a scuola, come per dire, perché vedeva che capivo e insomma perchè non va non so, perché non va, ma io avevo la testa dall’altra parte, la testa dall’altra parte dal punto di vista sindacale-politico, per cui non ero, volevo fare quello e non andare a scuola, anche perché alla scuola non potevo andare. Quelle lì l’ho fatta perché mi interessava professionalmente. Vi dirò che ho fatto la vita politica, la vita sindacale fino a ventisei anni, poco eh, dieci anni, a ventisette, a ventisei anni mi sono sposato. Dopodiché ho capito una cosa, che non ero nelle condizioni di fare né il sindacalista né il politico perché la cultura era quella che era per cui, meno male, che ho voluto imparare la mia professione perché sarei stato un cattivo politico e un cattivo sindacalista, questo proprio convinto. Invece ho litigato all’interno della mia azienda per poter avere il mio posto di lavoro, perché allora ero martellato dall’azienda perché volevano disfarmi, disfarsi. Una serie di circostanze che forse è inutile, non interessa a nessuno però diciamo che mi hanno mandato fuori dall’azienda in un’altra azienda di proprietà della Redaelli di Rogoredo. Ho fatto un’esperienza notevole anche là. Dopodiché ho cominciato a lavorare all’esterno della ditta per l’azienda. Alla fine vi dirò che ho fatto il montatore, il capo montatore, il capocantiere, nel ’69 sono andato in ufficio come ispettore di montaggio. Io ho girato il mondo, per dire. America latina, America, Venezuela, andato in parecchi altri posti, son stato in Iran, son stato in Pakistan, son stato in quasi tutta l’Europa nel, e ho cominciato a ventisette anni, ho fatto il primo lavoro da capocantiere, avevo dieci montatori e nel ’59, ventotto anni, e ottanta operai in Sicilia. Ho fatto una teleferica di diciotto chilometri come capo montatore, avevo tutti i montatori della Ceretti, tutti esperti, tutta gente anziana, esperta e io ero, avevo fatto, avevo dieci anni di lavoro alle spalle, avevo fatto anche l’Iran sempre con i capi montatori, avevo fatto la mia esperienza, ma l’ispettore, il capo dell’ufficio montaggi, quando m’ha chiamato per andare in Sicilia per fare quel lavoro lì, ho detto: ’Va bene, vado, chi è che è il capo là?’, ‘No il capo lo fa lei’, ‘No, guardi, il capo lo fa lei’. ‘Sì perché lei’, m’ha detto, ‘io sono sicuro che con la sua savoir-faire volevo dire, il suo modo di fare, riesce a controllare la situazione perché vede, se mando Minisini, se mando Bersani, se mando, son tutti capi, uno che la vuol sapere più lunga degli altri e in effetti era tutta gente esperta. Però lei può metterse, metterli d’accordo, percé se mando uno di questi a fare il capo è una lite unica. Li conosco tutti, mi creda’. ‘Guardi, se lo dice lei’, e in effetti è andata così. Partendo da lì ho fatto presto a far carriera soprattutto perché avevo una cultura tecnica, nel senso che conoscevo il disegno, un po’ di matematica, la meccanica perché se ho fatto l’esperienza, e quindi è stato facile per me far carriera. Facile [laughs], non facile, ma ho potuto farla. E così sono riuscito a fare i miei quarant’anni e poi ho fatto sei anni di consulente dell’azienda. Ecco, questo è stato un po’ la mia carriera.
ZG: Ok, fantastico. Senta,
GP: Beh, forse questo pezzo non vi interesserà, ma insomma, tanto per.
ZG: No, no, no, teniamo tutto, non si preoccupi. Le faccio le ultime due domande. Lei all’epoca, all’epoca della guerra, cosa pensava di chi la bombardava, di chi bombardava?
GP: Le dirò: io sono stato molte volte, mi hanno chiamato nei rifugi a parlare dei bombardamenti e della guerra e i ragazzi diciamo della terza media, o la terza media in genere o la quinta, i ragazzi di diciotto anni, devo dire che è molto faticoso, molto faticoso perché non riescono a esprimersi, non parlano, non chiedono, fanno fatica, però qualche volta qualche domanda intelligente veniva fuori. Mi ricordo che uno ha chiesto: ‘Ma insomma, lei cosa ne pensa degli americani? In fondo hanno ammazzato suo padre, fatto bombardamenti, hanno ammazzato suo padre, quindi come la pensa da questo punto di vista?’. Cosa ho risposto? Dico: ’Sentite, è finita la guerra, ci siamo liberati, io ho avuto la sensazione che ci siamo liberati veramente da un giogo, ci siamo liberati dal fascismo, e io credo che sia stato inevitabile questo sacrificio che abbiamo fatto. Cosa posso fare? Cosa posso mettermi a odiare gli americani? Tutto sommato, gli americani sono anche morti per venirci a liberare. I soldati americani stavano bene in America ma sono venuti qui e ci hanno aiutato a liberarci. È vero, hanno fatto anche dei danni ma alla fine cosa possiamo dire? Cosa possiamo fare? Abbiamo di fronte un altro periodo e non con il giogo sulle spalle’.
ZG: Bene. Per me, se lei non ha altro da dire, finiamo qua. Grazie.
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Interview with Giuseppe Pirovano
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An account of the resource
Giuseppe Pirovano remembers wartime memories as schoolboy at Affori, a Milan neighbourhood. Describes daily life in fascist youth organisations, with regimented schooling and political rallies. Mentions childrens plays and pastimes, such as assembling a kick scooter from scrap and recalls fascist militiamen intimidating and jailing dissenters. Recalls conscription dodgers and factory strikes. Gives an account of the 24 October 1942 bombing, which caused limited damage and describes the much more intense one of 10 September 1944. Gives a graphic account of its aftermath, mentioning the death of his father and widespread damage. Describes different shelter types stressing their inadequacy, mentions his experience as evacuee in the Brescia countryside while his father was employed by a manufacturing firm. Recalls Pippo strafing. Gives an account of his experience as trade union activist, describing his post-war career as mechanical engineer. Mentions his involvement in the memorialisation of the bombing war, reflects on the morality of bombing, and stresses how he feels grateful for the sacrifice of those who died.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Zeno Gaiaschi
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The file format, physical medium, or dimensions of the resource
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A language of the resource
ita
Type
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Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Milan
Italy--Brescia
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1942-10-04
1944-09-10
1943-09-08
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An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
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Publisher
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Identifier
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APirovanoG171113
PPirovanoG1701
bombing
childhood in wartime
civil defence
home front
perception of bombing war
Pippo
Resistance
shelter
strafing
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Title
A name given to the resource
Fiorot, Piero
Piero Fiorot
P Fiorot
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Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2018-07-19
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An unambiguous reference to the resource within a given context
Fiorot, P
Description
An account of the resource
One oral history interview with Piero Fiorot who recollects his wartime experiences in Sacile.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Piero Fiorot
Description
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Piero Fiorot reminisces about his pre-war life in Sacile: schooling, fascist paramilitary training and indoctrination, curfews, rationing, and doing business in a tightly controlled, closed economic system. Contrasts the relatively tranquil life during the first stage of the war with the chaos following the fall of the Fascist regime and the brutality of the subsequent German occupation. Recounts wartime anecdotes such as dropping of propaganda flyers, clandestine listening of British broadcasts, evacuee’s life, German mop ups and killings, anti-aircraft fire, and damage caused by jettisoned bombs. Describes the tense atmosphere inside a shelter with people weeping and praying, and contrasts it with his care-free attitude. Stresses the strategic importance of the city, owing to its railway station and the nearby railway bridges. Describes the 1944 Sacile bombings and provides details on the 5 November 1944 attack in which a bomb nearly hit the private shelter of the Balliana family and many children lost their lives. Reminisces about the funeral and the sight of his schoolmates in white coffins. Speaks critically of the Resistance accused to provoke avoidable reprisal and mentions some victims of German brutality such as Raimondo Lacchin and Marco Meneghini. Describes Pippo dropping supplies and small antipersonnel mines, stressing how children were easily maimed until they were told not to pick them up. Mentions his friendly relationship with Heinrich and Peter Paul, two Luftwaffe pilots based at the nearby Aviano airfield who supported him in many circumstances; describes a fortuitous reunion with the latter. Provides details on the early post-war years and elaborates on the legitimacy of bombing. Recounts how British forces were generally hated and stresses the difficulty to reconcile the bombings with the idea of being liberated.
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Wehrmacht. Luftwaffe
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Sacile
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Alessandro Pesaro
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2018-07-18
Language
A language of the resource
ita
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1944
1944-11-05
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
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AFiorotP180719
bombing
childhood in wartime
perception of bombing war
Pippo
Resistance
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Title
A name given to the resource
De Manzano Vici, Annamaria
Annamaria De Manzano Vici
A De Manzano Vici
Description
An account of the resource
One oral history interview with Annamaria De Manzano Vici who recollects her wartime experiences in Trieste and surrounding areas.
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IBCC Digital Archive
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2018-01-13
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This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
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Vici, AdM
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A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
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PS: Signora Annamaria Vici mi può raccontare un po’ del suo nucleo familiare e del, dove innanzitutto dov’è nata, quando è nata e un po’ del suo nucleo familiare.
AV: Allora, sono nata a Trieste il 31 dicembre 1939, quindi in coincidenza perfettamente con l’inizio dela seconda guerra mondiale, l’ho vissuta tutta. Naturalmente dei primi anni eh non ho ricordi se, partiamo dal 1943 quando io avevo tre anni. Allora abitavo con la, con la mia mamma, la nonna, due zie, il mio fratellino più piccolo e una cugina di qualche anno più grande. Eravamo un bel numero di persone che vivevano tranquillamente assieme. Tutta questa tranquillità sparì, sempre di più, e creando un un’ombra che gravava su di noi e noi anche se bambini percepivamo benissimo. E i miei ricordi forse anche alcuni molto nitidi e precisi, con un’immagine chiara di quello che avevo vissuto ormai quasi tre quarti di secolo fa. Erano ricordi legati tutti a una situazione che era diventata pesante, pesante per la mancanza di cibo, pesante per le paure che provavamo ehm in per vari motivi, noi bambini in particolare al tempo del, del coprifuoco. Avevamo vissuto quelle sere con grande paura e timore perché addormentarsi da soli in una stanza buia non era certo cosa piacevole e facile da superare. C’era poi una costante atmosfera pesante di lunghe attese. Bisognava attendere per vari motivi, noi bimbi piccoli avevamo fame e ci lamentavamo più di una volta, e alle nostre domande di mangiare qualcosa ci veniva immancabile la risposta: ‘Dovete aspettare’ ‘Aspettare cosa?’. Aspettare l’ora di cena o l’ora di pranzo per mangiare una minestrina insipida che certamente non ci saziava del tutto. Bisognava spettare, aspettare con la mamma o con la zia nei negozi dove si andava con una tessera annonaria a prendere quel poco di cibo che si trovava. Dal ’43 in poi infatti i generi alimentari nei negozi eh anche se di prima necessità avevano, erano pochi, erano spariti e si faceva difficoltà enorme a trovare qualche cosa, anche avendo magari un po’ di soldi per comprarla, ma la roba non c’era. Fu così che, a poco più di tre anni feci la mia prima gita in Carso, una gita motivata proprio da questo, cioè dalla ricerca del cibo. Noi, come tante altre famiglie triestine, avevamo da prima della guerra e poi nei primi anni, il latte le uova fresche portate dalle contadine. Le carsoline scendevano dal Carso, venivano in città e passavano da una casa all’altra con i loro pesanti bidoni del latte e versando quello, con i contenitori che avevano, di alluminio di stagno e ci davano il litro, il mezzo litro quanto serviva: tutto era abbastanza facile e anche le uova fresche arrivavano buone da mangiare. Dopo i primi anni di guerra le contadine cessarono di venire in città, era troppo pericoloso e non rendeva e quindi eh e quindi mia zia un giorno pensò una mattina di prenderci per mano e di portarci fino a casa di questa contadina. Una salita faticosa più di un’ora per noi che eravamo piccoli, una, una strada che ci impegnava e ci costava molta, molta fatica. Finalmente insomma si raggiunse la casa di questa contadina, allora capii dall’insistenza e dalle preghiere di mia zia che forse ci aveva portato per impietosire questa contadina. Infatti dopo tante preghiere ci, tirò fuori insomma una bottiglia di latte, quattro uova, un pezzetto di burro. Eh beh e con quel prezioso fardello, dopo i ringraziamenti, dopo aver pagato noi ci incamminammo verso casa, la discesa era un po’ più facile e più, e anche un po’ più lieta, al pensiero del cibo che avevamo guadagnato in qualche modo. Ehm altri discorsi di attesa e di, sì, erano collegate ma più che altro di paure vissute al tempo del coprifuoco. Capitò che una un pomeriggio eeeh la mamma accompagnò una parente venuta in visita fino alla stazione e e poi con noi bambini eh ci ci riportava a casa. Lungo la strada evidentemente avevamo fatto qualche lagna, qualche lamentela qualche, che aveva fatto perdere un po’ di tempo a mia mamma. Quando ritornammo insomma era, quasi giunti a casa, mancavano poche decine di metri, un soldato tedesco che era all’angolo della strada ci bloccò e con il fucile puntato ci fece addossare al muro della, della casa e sentivo la mano di mia mamma che mi teneva, farsi tremante poi darmi una stretta che quasi mi faceva, mi faceva male. Io ero immobile come tante altre volte in una situazione di paura ‘Perché quel fucile puntato?’ Non capivo. La mamma cominciò a parlare in tedesco perché aveva fatto le prime, i primi otto anni di scuola, essendo nata nel 1908 le aveva fatte nelle scuole tedesche, quindi ricordava, sapeva insomma bene parlare il tedesco o per lo meno farsi capire. E il soldato ebbe la spiegazione del del nostro ritardo che poi non era che di qualche minuto per arrivare a casa. Mia madre gli indicò col dito la, il portone a poca distanza e di nuovo, girato il fucile ci fece cenno di andarcene. A casa sia io che mio fratello scoppiammo in pianto e chiedemmo perché quel fucile era puntato contro di noi, e la mamma ci spiegò che avevamo sbagliato a, ad andare oltre quello che era il nostro, la legge che imponeva di non trovarsi in strada se non con un permesso dopo il coprifuoco. Ci furono altri momenti di di paura. Un momento strano di paura e anche brevemente per qualche istante piacevole fu quando una sera, mia madre, io mi ritrovai dal letto, avvolta in una coperta tra le braccia di mia madre che correva per portarci nei rifugi. Era cominciato il periodo dei bombardamenti e c’era stato evidentemente l’allarme. Io mi ritrovai in strada nel buio e molto, molto perplessa guardai, guardai in alto e vidi per la prima volta un cielo stellato. Furono pochi istanti meravigliosi, poi, il respiro ansante di mia madre per la corsa, ehm il freddo del, della strada buia, tutto questo mi riportò la solita troppo frequente sensazione di paura. Le sirene dell’allarme suonavano sempre più spesso in realtà e noi avevamo ormai fatto abitudine a quelle corse verso il rifugio di via Irenio della Croce. Là in una galleria grande lunga umida scura terribile, piena di gente, di chi c’era qualche bimbo che piangeva, qualche persona che si lamentava, qualche gruppi di adulti che parlavano tra di loro, però il tempo era interminabile. Forse questo rimanere nei rifugi a volte era solo una una decina di minuti o una mezz’ora, a noi insomma sembrava un tempo infinito, non si. Ogni volta poi c’era la paura di non riuscire a tornar fuori da quella, da quel tunnel, da quella galleria e riprendere la via di casa. E fu così che proprio un giorno, e questa è una data che è diventata cosa molto dolorosa per la mia famiglia. Era il 10 giugno del ’44, i bombardamenti, il bombardamento che probabilmente eeh doveva colpire il tribunale dove erano ancora asserragliati i tedeschi e arrivò a colpire una casa di via Rismondo e la nostra che crollò con le pareti che davano sul cortile che ehm furono infrante e e anche i vetri delle finestre, erano fatti, la bomba li aveva fatti esplodere e quindi tutte queste schegge di vetro si erano conficcate nelle nei muri, nei mobili, molti dei quali erano stati scaraventati a terra. Questa fu la sorpresa dolorosa al ritorno di una di quelle corse al rifugio. La, fu fu un momento anche per noi bambini, per me in particolare che ricordavo di essere stata proprio lì in quella, in quella stanza solo pochi poche ore poche ore, e quindi avrei potuto, se non fossimo andati al al rifugio in tempo avrei potuto essere lì, colpita da queste schegge, finire veramente in maniera terribile, quasi come un San Sebastiano trafitto e forse per questo che qualche volta quando vedo il quadro di San Sebastiano sento un brivido particolare. Eeeh non bastò questa visione della della casa distrutta, si arrivò subito dopo un altro dolore più grande: la nonna che era sofferente di cuore ebbe un infarto e il medico e la croce rossa che era stata chiamata non arrivarono in tempo, mia nonna, noi fummo spettatori di questa, di questa ora in cui la nonna agonizzava sul letto e le figlie stavano vicine a, con, piangendo e anche loro in maniera inconsolabile. Noi bambini sì fummo spettatori di questa, di questa scena che ovviamente non, portiamo dentro di noi ancora con grandissimo dolore. E posso dire solo questo che la la distruzione della casa, la morte di mia nonna concluse definitivamente la mia infanzia, non, non ci sono, non sono riuscita forse più a risollevarmi da questo trauma che ho subito da bambina perché se io penso alla mia vita e alle cose anche piene di di gioia e di felicità che poi avrei avuto, tutto questo non mi è bastato a far sì che la mia, la mia weltanschauung, la mia visione del mondo non sia proprio pessimistica, ma di un pessimismo nero che spesso mi porta a delle, a delle crisi di depressione dalle quali esco con, con una certa fatica e e anche quello che sono io oggi, una pacifista forse anche in maniera estrema, io sono arrivata al ripudio della guerra, ma non solo della guerra di conquista, della guerra per la revanche, anche di ogni forma di guerra, anche la guerra di difesa, non la ammetto, non la capisco, non, e direi anche nella vita quotidiana, quando io vivo una sensazione di, di tensione, di forte tensione, di contrasto la vivo in maniera molto molto in una maniera che mi porta un grado di sofferenza notevole, non sopporto i conflitti, le polemiche e quando queste si fanno più dure io cerco sempre una via di fuga, un angolino, il mio silenzio, e da questo poi, con fatica esco fuori a riprendere la mia normalità tra virgolette.
PS: E ha forse dei, dei ricordi o dei vaghi ricordi di come quel periodo veniva vissuto a casa, se i suoi genitori ne parlavano, non ne parlavano?
AV: Guardi, dunque io vivevo solo, in questa specie di matriarcato, nonna, mamma, due zie e a noi bambini cercavano di farci apparire sempre tutto abbastanza abbastanza sereno, abbastanza buono, ci confortavano rinviando a un altro momento il la, la compagnia per i giochi, certo non avevano tempo per giocare con noi. La mamma lavorava, anche la zia, l’altra zia più giovane aveva l’impegno di accudire la nonna e a noi bambini e alle cose di casa, quindi io penso che nonostante tutte queste difficoltà e queste gravi situazioni che due due donne che lavoravano e dei bambini che chiedevano sempre qualcosa o comunque un aiuto o la presenza dei, del della mamma, la presenza e questo, e tutto questo mancava. Certo che gli adulti erano costretti a trovare la forza per loro, per risolvere i problemi e in più a fare un tentativo di aiutare anche noi bambini a vivere almeno in qualche momento una situazione di maggiore serenità, però questa era piuttosto rara.
PS: Che lavori facevano sua mamma e sua nonna?
AV: Ehm la nonna ormai era in casa e l’unico, l’unica sua occupazione era quella di badare qualche volta a noi, ehm mentre l’altra zia giovane faceva i lavori di casa, la mia mamma era impiegata e la sera spesso si portava a casa ancora il lavoro, del lavoro da fare, appunto sempre in questa necessità di danaro per comperare quelle cose che diventavano sempre più difficili da trovare. L’altra zia ehm lavorava alla SAMPT che era una società mineraria tedesca situata sulle rive a Trieste, e aveva anche uno stipendio piuttosto buono. Era lei che ogni tanto, non si sa come, riusciva a tornare a casa con una scatoletta di marmellata o con qualche biscotto per noi bambini: era una festa tutte le volte che arrivava, per noi sembrava molto più che San Nicolò, il Natale erano sorprese ci, ci davano qualche momento di di felicità e di insperata contentezza.
PS: Riguardo ai rifugi, andavate sempre nello stesso rifugio? Andavate in rifugi diversi?
AV: Eh dunque io abitavo in via Marconi proprio di fronte alla statua di Domenico Rossetti. La, nel giardino pubblico c’era una piccola casetta che poteva, così offrire, soprattutto nei momenti in cui il suono della sirena era diventato, insomma non si era riusciti ad uscire in tempo perché bisognava vestirsi, bisogna mettere le scarpe ai bambini e allora alle volte ci fermavamo in questa casetta ma non, del giardino pubblico, però non ci dava troppo affidamento quindi la corsa era quasi sempre fino al rifugio di via Ireneo della Croce.
PS: Le è mai capitato di vedere qualcosa, degli aerei o erano solo una presenza?
AV: No, eh mi mi è capitato di sentire qualche volta appunto in queste, in queste corse ai rifugi di sentire questo rombo degli aerei in lontananza e di e ovviamente, al in concomitanza con questo rombo le mamme, zie ci costringevano ad affrettare il passo oppure ci prendevano addirittura in braccio per far prima, e correre in questo posto in cui ci sentivamo relativamente sicuri. Mi avevi chiesto? Aveva chiesto? Degli aerei, se? Posso dire solo questo che, finita la guerra, quando ci fu primo, una prima serata a Trieste con i fuochi d’artificio, io che avevo allora cinque anni ormai eeeh, invece di sentire una festa sentii una cosa, una cosa orribile e cominciai a tirare la mamma per ritornare a casa come, come dovessimo proprio cercare in fretta qualche, qualche posto dove nasconderci in tempo. Non volevo vedere i fuochi d’artificio soprattutto non volevo sentire quel, quegli scoppi.
PS: Certo.
AV: Sempre periodo della, fine della guerra Trieste c’è stato, dopo per gli altri città d’Italia il, la fine della guerra era arrivata alla fine di aprile, noi invece avevamo avuto il periodo del, dell’arrivo dell’esercito cosiddetto dei ‘Titini’. Io questi soldati molto, molto male vestiti con divise che erano abbastanza, si vede, consunte strappate, venivano, li ho visti venire, scendere giù per via Cesare Battisti, e cantare e cantare urlando oppure urlando ‘Trst je nas!’ o cantare ‘[unclear]’. Io anche quella volta era forse tra le prime, sentire queste strane, queste strane parole avevo chiesto subito ‘Ma cosa dicono? Cosa cosa stanno urlando?’ ‘Eeeh’ e mia mamma ha detto ‘Eh dicono che Trieste è loro’ ‘Ma è loro?’ ‘Eeeh’ non, mia mamma non mi diede più nessuna risposta e, e come al solito si cercò solo di arrivare più velocemente possibile a casa. Furono, quei trenta giorni furono giorni duri per la città. Noi naturalmente da bambini eh per fortuna non non capivamo tutto non eravamo consapevoli dei pericoli o dei rischi in più che si potevano ancora correre una volta finita la guerra.
PS: E adesso e come, come vede quel periodo della guerra, come vede i bombardamenti? Cosa?
AV: Eh. Sono, sono purtroppo sentiti come causa di tante, di tante distruzione, causa di sofferenze, di macerie, che non sono solo quelle macerie materiali ma sono anche cicatrici indelebili, proprio queste ferite probabilmente, così dure da rimarginarsi diventano per alcuni motivo di desiderare un’altra guerra per far giustizia, le guerre non portano giustizia e i bombardamenti portano solo rovine.
PS: Che cosa pensa di chi li conduceva quei bombardamenti, quindi degli americani e degli inglesi.
AV: Purtroppo non vi viene di far differenza tra chi pilotava l’aereo del paese che sarebbe poi stato vincitore o di chi era invece il pilota di di aerei che sarebbero stati abbattuti o avrebbero fatto soltanto eeeh così un, una portata enorme di distruzione ma senza senza raggiungere un possibile fine. Non, penso che, che se son riusciti a fare questo sono riusciti a essere convinti che lo facevano per il bene del proprio paese. Io questo non posso, non posso pensarlo e quindi vedo questi uomini come, forse dei robot che sono stati loro stessi pilotati da altri, da altre forze e per portare in fondo qualche cosa che è servito solo a lasciare disperazione, dolore e ricordi brutti alla gente. [pause] Penso che molti di questi piloti si saranno sentiti degli eroi ma io penso in realtà che le bombe non possono far altro che creare una, una dolorosa situazione per, più che materiale, come dicevo anche poco fa è una distruzione spirituale. Questa finirà soltanto quando forse, nel mio pessimismo non mi è dato di pensare, qualcuno diventerà l’eroe della pace e non sarà più, non si penserà più come potatore di beni, di bene, di salvezza attraverso un periodo più o meno lungo di guerra.
PS: Va bene mi scusi se faccio ancora un salto indietro. Lei ha mai sentito parlare di Pippo?
AV: Si con questo nome era designato un, un pilota di un aereo che spesso era venuto, aveva sorvolato il cielo di Trieste e molte delle macerie, e anche di, di luoghi vicinissimi alla mia casa, per esempio via Rismondo, per esempio via Rossetti dove venne abbattuta una chiesa credo sia stata proprio opera di questo Pippo, che un po’, ben noto e ancora più temuto.
PS: Non si ricorda se di questo se ne era parlato anche a casa?
AV: Eh no, per la verità davanti a noi bambini, ecco questa attenzione forse delle, della mamma delle zie era quella di tenerci fuori da questo. Solo quando eravamo noi a porre le domande cercavano una qualche risposta che fosse possibile per un bambino e che fosse una risposta che acquietasse il bambino. Quindi abbiamo, insomma ho sentito molto poco parlare di guerra e poi anche con le non, con le zie con la mamma non, quando siamo diventati ragazzi o anche durante il periodo della giovinezza noi non abbiamo voluto ricordare queste cose, era, è stato tutto quanto sepolto per lungo tempo nel, in famiglia, si è, forse come anche io ho detto che tendo a chiudermi nel mio silenzio forse la stessa cosa è finita con l’essere quella che sembrava la soluzione più, più giusta, non pensare più a quelle, a quelle orribili cose che comunque venivano fuori da sole in certe circostanze, o per rivedere certi luoghi o per sentire di altra gente che pativa la fame allora sì, si tornava col pensiero alla guerra, ma come così tendenza a commentare quegli anni a commentare quei fatti, fu, non ci fu, in realtà forse proprio perché eravamo un gruppo di di donne e non di uomini, e anche gli uomini ritornati dalla guerra, mio zio più, più giovane che aveva conosciuto il campo di concentramento sì tendeva a ricordare delle cose però non ‘Vi risparmio’ diceva ‘di raccontare tutto quello che ho patito’. Solo un giorno quando difese un un altro che era nel campo di concentramento, chi lo, chi controllava quell’ambiente lo diffidò dal, dall’aiutarlo, dal sottrarlo alla punizione che gli stavano dando e gli dissero ‘Per questa volta, visto che ti chiami Fisher finiamo così ma stai bene attento che uguale sorte sarebbe per te la prossima volta’. Ecco, sì. Mi si è richiamato alla mente il fatto che di vicende di guerra vissute dagli uomini furono solo queste insomma, non non poco gravi perché credo che i due anni di campo di concentramento che avevano fatto ritornare questo zio neanche trentenne a casa più simile a uno spettro che non a un uomo, eh beh sono appunto ricordi, ricordi pesanti e giustamente anche lui non voleva riviverle. E poi raccontare alle donne dei fatti di guerra non si, non si ottiene troppa, troppo applauso, non si tengono applausi, si ottengono solo inviti a tacere ‘Basta! Basta!’ per la donna è anche troppo quello che ha dovuto, ha dovuto soffrire, la lontananza di chi avrebbe potuto proteggerle il marito, il padre, il fratello e quindi anche in questo senso la guerra certo non fa un buon lavoro né per chi la vive direttamente né per chi la subisce.
PS: Ehm solo ancora una o due domande dopo concludiamo, si ricorda dove era internato suo zio?
AV: Eh non ricordo esattamente. So che erano, faceva parte di un gruppo di soldati che erano stati bloccati dopo il ’43, dopo naturalmente l’armistizio per quello che fu l’armistizio dell’8 settembre, ehm furono bloccati in Croazia e dalla Croazia furono portati credo in Germania ma no ricordo esattamente il nome del di quel luogo. Certo non fu uno di quei luoghi come i centri di importanti noti no storicamente come tipo Dachau e simili. Era probabilmente una località vicina al luogo dove dove erano stati bloccati e fatti prigionieri.
PS: Va bene guardi io la ringrazio tanto del suo tempo anche a nome del Bomber Command, del progetto, e posso spegnere il registratore.
AV: Va bene.
PS: Grazie.
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Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AViciAdM170905
PViciAdM1701
Title
A name given to the resource
Interview with Annamaria De Manzano Vici
Description
An account of the resource
Annamaria De Manzano Vici recalls her wartime childhood in Trieste. Describes the struggle of her women-only family, coping with fear, hunger, and difficulties in finding food supplies. Remembers the run to the public shelter and the terror felt after a bombing that destroyed her house and caused her grandmother’s death by heart attack. Gives a brief account of few war episodes: a soldier met after the beginning of the curfew, the return of an uncle after a period of imprisonment in a work camp, and Tito’s men invading the city after the end of the war. Highlights her deep commitment to pacifism as the only way to deal with human conflicts. Describes Allied pilots as ‘robots’ driven by someone else’s will.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Peter Schulze
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-09-05
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Francesca Campani
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:34:23 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Trieste
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1944-06-10
1945
1943-09-08
Rights
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Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
bombing
bombing of Trieste (10 June 1944)
childhood in wartime
civil defence
fear
home front
perception of bombing war
Pippo
shelter
-
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a2fbdcaf2567650a931cc3eb4557f924
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Title
A name given to the resource
Boiocchi, Sandro
Sandro Boiocchi
S Boiocchi
Description
An account of the resource
One oral history interview with Sandro Boiocchi who recollects his wartime experiences in the Pavia area.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-02-25
Rights
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Boiocchi, S
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
FA: Sono Andi Filippo e sto per intervistare il signor Sandro Boiocchi. Siamo a Travacò Siccomario in provincia di Pavia, è il 25 febbraio 2017. Ringraziamo il signor Boiocchi per aver permesso questa intervista. La sua intervista registrata diventerà parte dell’archivio digitale dell’International Bomber Command Centre, gestito dall’università di Lincoln e finanziato dall’Heritage Lottery Fund. L’università s’impegna a preservarla e tutelarla secondo i termini stabiliti nel partnership agreement con l’International Bomber Command Centre. Signor Boiocchi, vuole ricordarci la sua esperienza, i suoi anni, qui a Travacò?
SB: Sì. Io sono nato nel 1941, ero bambino ma ricordo, ricordo perfettamente, ehm, i periodi che abbiamo attraversato durante la guerra e ricordo esattamente, [clears throat] esattamente come, ad esempio quella volta che, ehm, con mio padre, che mi teneva per mano. Ehm, dunque intanto noi qua siamo nel territorio di Travacò, che è il triangolo di confluenza fra il Pò e il Ticino. Nelle immediate confiniamo con il Borgo Ticino nella parte più bassa del Borgo che è il Borgo, cosiddetto Borgo Basso e con, e quindi con gli abitanti del Ticino che, ehm, per dire come sono le cose, i borghigiani si sentivano un po’ come, come un grosso paese cioè, ehm, è Pavia però il fiume ha definito la città dall’altra parte e questi erano legati alle nostre campagne, alle nostre amicizie eccetera eccetera. Quindi scoppia la guerra [coughs] e ci sono stati furiosi bombardamenti sul ponte del, sul vecchio ponte coperto e anche sull’altro ponte perché i ponti erano vie di comunicazione che, ehm, sicuramente per questioni strategiche dei vari, dei vari paesi in conflitto dovevano essere eliminiati e quindi rendere più difficile, ehm, lo svolgersi della vita normale o i passaggi di truppe, i passaggi di elementi eccetera. Ehm, quindi i borghigiani e molti si son visti crollare addosso le case, ci sono state tante vittime eccetera perché non è mica che le bombe a quel tempo fossero intelligenti come quelle di oggi, anche se di bombe intelligenti non ce ne sono perché lì è ignoranza e basta, non è intelligenza e chi distrugge non fa mai cose buone. Ehm, e quindi la popolazione del Borgo e praticamente scappava e si rifugiava nei paesi attorno e noi siamo stati il primo paese che ha avuto ma anche questa ricchezza, io la chiamo di tutta questa gente che scappava e tutte le nostre famiglie ospitavano questi sfollati che non sapevano neanche, ehm, dove andare. Ehm, quindi tanti facevano parte del gruppo partigiani di Travacò perché qua si era costituito un gruppo di resistenza al regime che era molto consistente, molto attivo. Ehm, e quindi, e quindi, vorrei dire anche che quel, nell’occasione, va beh lasciamo stare, andiamo con ordine. E quindi tantissimi ospitati da noi, ehm, si sono allontanati diciamo dai pericoli più gravi che avrebbero vissuto. Ehm, e poi riprenderò ancora questo problema, questo aspetto del, diciamo, di questi sfollati perché ci sono stati dei, cose che hanno determinato poi anche fatti importanti. Intanto, ehm, io ricordo perfettamente quando mio padre, ehm, mi ha portato con lui nella zona della confluenza, oggi è la zona dove, dove abbiamo costituito la grande foresta. Ehm, e ricordo anche il punto pressappoco dove è caduto un aereo, sembra che fosse un aereo tedesco, colpito dalla nostra contraerea perché al Vul, nell’Area Vul c’era la contraerea che cercava di colpire gli aerei che cercavano di bombardare il ponte e bombardare Pavia. E ricordo perfettamente perché ci siamo avvicinati a quell’aereo, e quell’aereo che era messo tutto sgangherato ormai e c’era sopra un pilota morto con la testa chinata e mio padre mi ha allontanato e così ecco questo è uno dei ricordi. Ricordo perfettamente quando hanno fatto saltare la, era l’inverno del ’43, quello è una roba che non posso dimenticare perché è scoppiata la polveriera, la santabarbara che c’era oltre il Ticino nel territorio di Pavia qua da noi
FA: Albaredo Arnaboldi se non sbaglio
SB: Scarpone
FA: Sì, ecco, esatto, sì, sì, sì.
SB: Nella zona di Scarpone, allora nonostante questa distanza io ricordo che la nostra casa allora io abitavo a frazione Boschi, là,
FA: Sì.
SB: A cinquanta metri dalla Marzia, dove c’è la trattoria. Ehm, siamo rimasti senza vetri, porte, son cadute anche le porte, le finestre, ehm, e quindi ricordo i miei nonni, ricordo mio padre eccetera che hanno dovuto tamponare con delle cose di emergenza perché c’era freddo, eravamo in casa e c’era anche forse ghiaccio, neve, roba del genere, ehm e quindi sono stati brutti momenti.
FA: Per lo spostamento d’aria?
SB: Per lo spostamento d’aria, per lo spostamento d’aria ma un boato esagerato eh, un boato esagerato. Cosa ha combinato dall’altra parte non lo so nelle zone più vicine, noi a questa distanza abbiamo notato questo. Ma ho vissuto anche gli ultimi momenti dei rastrellamenti che si facevano periodicamente perché noi, io ricordo, bambino con questi, ehm, tedeschi in divisa, allora io non sapevo chi erano, ma in divisa i tedeschi poi la divisa l’ho, più tardi ho potuto capire che li qualificava come tedeschi, accompagnati dai gerarchi fascisti del posto entravano nelle case e cercavano. Allora di mangiare non ce n’era, la farina non c’era, il riso non c’era, si viveva di espedienti, funzionava mi è stato detto poi un mercato nero di chi aveva possibilità però ma la gente comune non aveva niente, viveva delle risorse che c’erano,
FA: Del territorio.
SB: Che c’erano qua sul territorio, erano le verdure, erano la frutta, erano un po’ tutte queste cose. Ehm, e quindi questi rastrellamenti e ricordo perfettamente che sono entrati un gruppetto formati da tre tedeschi accompagnati da un paio di borghesi che questi erano sicuramente quelli, i nostri che collaboravano con gli occupanti tedeschi, ehm. E hanno fatto aprire tutti gli armadi, gli armadi, la madia del tavolo che una volta c’erano i tavoli
FA: Sì, sì, c’era [unclear]
SB: E c’era la tavola che si alzava e dentro lì si metteva il pane eccetera. Ehm, mia madre [pauses and starts crying], scusami, [pauses] ha avuto il coraggio di affrontarli anche [pauses] cacciandoli fuori perché [clears throat] in quella casa c’erano [pauses] bambini, io e i miei fratelli che avevamo niente da mangiare quindi cosa cercavano in questo nostre case? Non c’era niente, si viveva e basta ecco. Ehm, quelli ricordo che hanno abbassato la testa perché mia mamma gli ha detto: ‘Ma vergognatevi, cosa venite a fare qua? Ma non vedete in che condizioni siamo? Non vedete come viviamo? Non abbiamo niente! Quindi andate fuori, andate fuori dalle scatole!’ Ecco, una cosa così insomma. Beh questo lo ricordo perfettamente. E ricordo perfettamente che c’era in quel periodo un aereo che tutti noi lo chiamavamo Pippo, questo aereo che, come vedeva una luce, come vedeva, non so di notte anche eh, perché di notte quando noi lo sentivamo in lontananza quando arrivava e, e allora tutti a nascondersi. Qua noi, i rifugi soprattutto per noi erano le stalle che c’erano anche perché di riscaldamenti non ce n’erano, ehm, la vita anche fuori era pericolosa e quindi il fatto di raccogliere legna oppure erano momenti in cui arrivavano bombe da tutte le parti e quindi le stalle servivano anche per scaldarci perché ricordo che da bambini con i, con quelli più anziani, andavamo, ci trovavamo un po’ nelle stalle, un po’ di qua, un po’ di là perché con, con il bestiame c’era un clima, un clima che era tiepido insomma,
FA: Certo.
SB: E quindi ci sembrava anche. Ehm, e comunque gli ordini che c’erano tassativi anche da parte dei nostri genitori, dei nonni perché allora erano famiglie patriarcali eccetera: prima di tutto, quando veniva buio non bisognava accendere la luce; se c’era una necessità di accendere la luce solo per quel momento, tappando bene tutte le finestre eccetera perché altrimenti le luci erano visti dall’alto e lì c’era il rischio di avere bombardamenti. Ehm, dicevo prima che, poverini, quelli del borgo che sono sfollati da noi ma da noi sono arrivate bombe ad esempio, sono arrivate bombe che, che so, bombe impazzite, non lo so, non, oppure lasciate da un aereo che era stato colpito che sono cadute anche qua nel nostro territorio quindi, che però non sono esplose. Ce n’è una ad esempio, ehm, nella zona dell’agriturismo della Valbona che era caduta ed è scomparsa, sarà entrata in falda e non, anche le ricerche dopo non sono mai state, non hanno mai dato un frutto positivo. Ecco, quindi era una vita, una vita tremenda, sono stati momenti di paure e poi tutti hanno avuto un lutto in un senso o nell’altro, ad esempio, ehm, gente che si era nascosta, ehm, in, dove noi abbiamo i fossi sotto la strada ci sono le tubature e lì sono, sono scoppiate bombe vicine e abbiamo almeno un caso di due fratelli che si erano nascosti lì sotto e sono esplosi assieme alle bombe perché lo spostamento d’aria li ha disintegrati lì sotto il ponte. Ehm, quindi eh, quindi era una vita, una vita estremamente, noi non ci rendevamo conto perché i più piccini cosa facevano? Piangevano perché avevano fame. Piangevano perché sentivano sparare da tutte le parti, scendevano le bombe eccetera eccetera. Ecco noi abbiamo in quei momenti solidarizzato molto con i, gli sfollati che di fatto da qualche anno, ehm, prima del ’45, fino al ’45 perché poi con la liberazione abbiamo, abbiamo, tutto si è sistemato eccetera. Ehm, ma per anni hanno partecipato alla nostra vita, noi abbiamo avuto tantissimi, erano sfollati nell’oratorio di Travacò, nell’oratorio di Travacò c’era un borghigiano, Schiappini, che poi noi abbiamo un suo scritto, ce lo ricordava lui questa roba. Avevamo un vecchio prete, Don Morone all’epoca, che era veramente un prete e viveva per gli altri, e siccome aveva, aveva le scarpe rotte e d’inverno girava con le dita dei piedi fuori dalle scarpe questi borghigiani hanno fatto una colletta e hanno dati i soldi a questo prete che era venuto a Pavia per comprarsi le scarpe. E se lo son visto poi ritornare ancora nonostante questo con i piedi fuori dalle scarpe e gli hanno chiesto: ‘Ma, prevosto, come mai? Gli abbiamo dato i soldi per comprare le scarpe?’ E lui fa: ‘Guarda, [crying] ho incontrato uno che stava peggio di me [crying] e quindi le ho comprate per quello, non l’ho fatto’. Questo per dire i momenti che erano e la gente che c’era in quel momento.
FA: Certo.
SB: Noi , di questi borghigiani c’era la famiglia Maggi che era la madre, no che era la, era nella famiglia di Borgo Basso, di Via Milazzo, di Borgo Ticino ed erano scappati qua, erano scappati qua per fuggire appunto dai bombardamenti ed erano presso una famiglia, una famiglia guida che a trenta metri da casa mia. Con i bombardamenti questa donna era, stava per partorire e con questi bombardamenti poi ha partorito ma ha perso il latte, ha perso il latte. Mia madre aveva avuto mio fratello proprio in quel momento e allora la famiglia che lo ospitava erano venuti da mia madre, da mia madre per vedere, siccome era una donna un po’ rigogliosa diciamo, un po’ formosa, e diciamo e aveva un seno molto abbondante, ehm, gli hanno chiesto se avesse allattato anche quell’altro bambino. Mia madre l’ha fatto, ha detto: ‘ Io ne allatto uno e allatto anche l’altro se mi viene il latte’, infatti così è stato. Quel bambino oggi è il reverendo Don Maggi del, parroco del duomo di Pavia, è stato rettore del collegio Borromeo eccetera, Ernestino Maggi con il quale siamo ancora in ottimi rapporti e che lui, e che lui, beh lui, ehm, aveva due anni meno di me, ricorda poco. Ehm, quindi quando cinquant’anni dopo abbiamo fatto, adesso ritorno un attimo a quello che dicevo prima, quando abbiamo fatto quella rimpatriata concordando con il presidente del comitato di quartiere Borgo che è il Vittorio Chierico che tra l’altro è uno storico appassionato e che quindi, ehm, ha raccolto tante memorie e anche fatto diversi testi su queste cose, ehm, abbiamo fatto una rimpatriata qua a Travacò. C’era anche monsignore Bordoni che è stato, era parroco di Pavia ed era il direttore del giornale il Ticino della diocesi di Pavia e che lui, ehm, ha vissuto in mezzo ai bombardmenti, in mezzo, dentro le macerie perché fra l’altro, ehm, ha ricordato anche lui a tutti noi il suo lavoro di parroco nel soccorrere i feriti eccetera eccetera. C’era don, la famiglia di don Ernestino, c’erano tutti i borghigiani e in quell’occasione lì c’erano anche, ehm, tutti i famigliari che ricordavano queste cose. È stata una bellissima giornata, noi l’abbiamo passata assieme a, per ricordare tutte le nostre vicende comuni e guarda caso comunque dicevo prima qualche borghigiano tipo Abbà, Amleto Abbà, che non c’è più neanche lui, era partigiano qua da noi, ce n’erano anche altri e, ehm ecco, e lì abbiamo intervistato, noi come amministrazione comunale, tramite anche l’assessore alla cultura eccetera, ehm, i partigiani presenti anche il gruppo di Travacò ehm e abbiamo, e abbiamo messo queste interviste in un opuscoletto edito dalla nostra biblioteca. Ecco, vorrei dire che comunque il primo sindaco dopo la Liberazione di fatto è stato Luigi Fregnani, uno dei partigiani borghigiani che era di Travacò quindi è stato il primo sindaco nominato dal CLN e poi con le prime elezioni che ci sono state successivamente dopo la Liberazione ehm. È importante aver ricordato questo perché poi c’è stato un seguito di fatto. Il seguito è stato che il, queste interviste che noi abbiamo fatto ma anche per avere dei ricordi pensando che le cose finissero lì insomma ecco ehm e pensando che questi ricordi potevano servire in futuro qualche cosa. Succede che questa intervista, cioè che questo opuscolo finisce in mano a un graduato dei carabinieri che stava lavorando attorno alla storia dei carabinieri a Pavia, nella zona eccetera. E ehm, e questo qua a un certo punto, ma sto parlando di un paio di anni fa, neanche, un anno e mezzo fa, ormai eravamo, siamo diventati amici per altre cose, eravamo già amici, mi chiama e mi dice: ‘Ma senti, ma voi avete fatto quell’opuscolo lì, avete, ma vi rendete conto che, sotto, io sto trovando cose che hanno tutti riferimenti a Travacò’. Allora, ehm, abbiamo di fatto, ehm, visto un po’ tutta la nostra storia, e abbiamo fatto ancora altre ricerche e stiamo per pubblicare un libro sulle cose che abbiamo scoperto. Allora, intanto abbiamo scoperto che Travacò era strategicamente importante per la lotta di liberazione per i, i movimenti e i passaggi sia di armi sia di partigiani da Milano verso l’Oltrepò, arrivavano a Pavia, traghettavano il Ticino, erano a Travacò ma erano anche pronti ad attraversare il Pò ed essere un collegamento con i partigiani dell’Oltrepò delle colline eccetera. Noi qua avevamo il maresciallo Corippo che era il maresciallo all’epoca di Borgo Ticino che e avevamo il maggiore Olinto Chiaffarelli che era il comandante della caserma dei carabinieri di Pavia che in quell’epoca, e questo è quello che abbiamo scoperto dopo, in quell’epoca erano, si sono messi in aspettativa perché quando il Mussolini ha creato la Repubblica di Salò, voleva anche che tutti i carabinieri e tutte le organizzazioni militari eccetera aderissero alla Repubblica di Salò. Questi carabinieri, quindi il nostro maresciallo e Olinto Chiaffarelli, allora era, mi pare che fosse colonello o maggiore, adesso non ricordo bene, che comandava la caserma di Pavia, si sono messi in aspettativa, hanno detto: ‘Noi non aderiamo alla, ehm, alla Repubblica di Salò perché abbiamo fatto un giuramento. Noi abbiamo giurato al re’, perché in quel momento il re si era separato dal Duce, dal governo, e lì è scoppiato il finimondo perché tutti erano allo sbando, erano allo sbando le nostre caserme, erano allo sbando tutti i carabinieri, polizia eccetera perché chi aderiva da una parte, chi aderiva dall’altra eccetera eccetera, loro hanno detto: ‘Noi abbiamo giurato al re, non aderiamo a quella parte e ci mettiamo in aspettativa e quindi ci togliamo’. Ecco, questi due, quindi il maresciallo Corippo e il comandante Chiaffarelli con le loro famiglie erano a Travacò. Allora noi abbiamo avuto, ecco l’intersecazione della storia nostra con i carabinieri, erano a Travacò il comandante Chiaffarelli con la famiglia era alla Cascina Orologio, cinquanta metri distanti dalla Marzia, lì c’è una grossa cascina verso l’argine e erano alloggiati lì con la famiglia e la, il Chiaffarelli alla Cascina Carnevala, è quella cascina se lei torna indietro per Pavia dalla zona della Battella,
FA: Sì?
SB: Che esce in borgo, vede una bella cascina dove c’è la curva a gomito,
FA: Sì?
SB: Ecco, quella è la cascina Carnevala e lì c’era ed era una cascina [laughs] del podestà fascista che c’era all’epoca. Però c’era la famiglia di Chiaffarelli lì. Noi tutte queste cose adesso poi le produciamo nel nostro libro che facciamo. Ehm, poi avevamo un altro carabiniere di Travacò che era Colombi e avevamo e c’era un altro carabiniere, che era Vittorio Caraffa, che era a Mezzano, era sfollato qua in un’altra famiglia. Allora, questi carabinieri di fatto, allora il comandante di Pavia Chiaffarelli era il comandante addirittura di tutta l’area Nord, verso Milano eccetera, della Resistenza. Il comandante Corippo era, era quello che aveva anche lui compiti direttivi, ehm, e, ed era in contatto con i nostri capi partigiani del luogo. Tant’è vero che i capi dei partigiani qua erano di fatto Corippo e Crepaldi e Crepaldi ehm, che era, ehm, un milanese che aveva fatto il militare a Pavia in quell’epoca, poi si era fatto la morosa a Travacò, poi si è sposato anche lui con una di Travacò eccetera. Ehm, quindi c’è tutta una storia allora noi abbiamo scoperto attraverso queste indagini poi con l’estensione dei carabinieri intanto il gruppo di, dei carabinieri di Travacò comandati da Corippo il giorno 26 aprile, ehm, il giorno 26 aprile stavano aspettando l’ordine per contrastare i tedeschi che comunque erano già in ritirata. C’era una colonna di tedeschi nella zona del vallone e bisognava, e bisognava che questi fossero accerchiati e accompagnati per la ritirata verso, verso il Brennero, non so da che parte, perché stavano lasciando comunque l’Italia però attenzione, stavano lasciando l’Italia ma con la rabbia dentro e quindi dove incontravano, incontravano qualcuno, sparavano eh quindi uccidevano ancora, anche durante la ritirata. È arrivato l’ordine di, ehm, e Corippo aveva dato l’ordine a, di tenersi pronti perché il 24 o il 25, no, o il 25 o il 26, ehm, avrebbero dovuto attraversare il Ticino e quindi contrastare questi tedeschi che erano in ritirata. Noi abbiamo avuto un morto lì perché il nostro gruppo ha partecipato a quella, c’è stato uno scontro con, con i tedeschi ed è morto il carabiniere Colombi di Travacò. Quindo Travacò ha dato anche lui un contributo di vite umane e anche per la liberazione. Ehm, ecco queste sono le cose che poi abbiamo scoperto dopo ma c’è ancora una cosa: allora, stranamente, stranamente, questo l’ho sempre sentito anche dagli stessi partigiani, i tedeschi che hanno occupato questo territorio erano, erano ehm, solidarizzavano con le nostre famiglie cioè non hanno mai, a parte un fatto che è succeso che poi lo dirò, ehm, non, ehm, c’era stato un ordine - questo l’abbiamo scoperto dopo - un ordine dall’alto, parlo per la lotta di liberazione naturalmente, che Travacò e il suo gruppo partigiani di Travacò non doveva disturbare i tedeschi, non doveva scontrarsi con i tedeschi, non dovevano creare condizioni di contrasto. Il perché non l’ha mai saputo nessuno, l’abbiamo scoperto noi. E l’ho scoperto dopo perché noi abbiamo scoperto che Travacò era il luogo dove c’era la maggiore quantità di armi per la lotta di liberazione perché nei boschi di Travacò, ehm, lasciarono giù con gli aerei le munizioni che il comandante Chiaffarelli tutte armi che catturavano ai tedeschi eccetera eccetera venivano calate qua e poi distribuite, distribuite nelle case, nelle stalle, nelle botole, ad esempio sotto il tavolo del comandante Corippo, sotto il tavolo, c’era una botola. Corippo aveva due bambine piccole, il maresciallo aveva due bambine piccole e in quella botola lì c’erano armi, c’erano una quantità di armi non indifferenti. La moglie di Corippo ha avuto il coraggio e la prontezza di sedere le bimbe sopra il tavolo, di mascherare un po’ perché se avessero visto quella botola lì si fucilavano subito le persone e quindi, ci sono stati rastrellamenti e anche sparatorie con le mitraglie dove c’è il fieno nelle cascine eccetera perché pensavano che diversi partigiani si nascondessero nelle cascine e questa è la verità. Noi avevamo ad esempio anche quattro inglesi qua, che venivano ospitati clandestinamente nelle famiglie, erano ricercati dai tedeschi e, ehm, e le famiglie facevano a turno a, di giorno nei boschi a portare, a portare il cibo a questi qua, di notte dormivano nelle case che le ospitavano. Allora questo ordine di strategia l’abbiamo poi capito il perché. Perché qua non, doveva succedere nessun conflitto perché questo luogo era sacro ai fini della resistenza e ai fini dei passaggi da qua all’Oltrepò, dall’Oltrepò. Il Luigi Fregnani che poi, il borghigiano che poi è diventato sindaco ci ha confermato che lui aveva il compito di traghettare da Pavia o di collaborare con i traghettatori che da Pavia venivano a Travacò e che da Travacò andavano nell’Oltrepò e viceversa, e viceversa. Quindi abbiamo potuto poi ricostruire le cose che, ehm, che abbiamo avuto il piacere di conoscere, compreso il fatto che due partigiani, molto vicini di casa, non sapevano uno con l’altro che tutte e due avevano armi perché allora, se fosse trapelata una notizia o qualcuno che si fosse sbilanciato, sbilanciato, avrebbe rischiato la vita, non solo sua ma anche di tutta la famiglia. Quindi lì c’era l’intelligenza militare dei carabinieri, che, ehm, avevano creato dei compartimenti stagni in modo più assoluto, uno non sapeva cosa faceva l’altro, arrivava un ordine e ognuno doveva muoversi secondo gli ordini che arrivavano. Quindi per dire che, ehm, questa roba ha funzionato e noi siamo riusciti a scoprire dopo che almeno una quindicina di siti, almeno una quindicina di siti appunto c’erano nascoste armi, qualcuno nella mangiatoia, qualcuno nella stalla, qualcuno nella botola nell’orto, qualcuno nel cascinale, qualcuno, eccetera eccetera e quindi Travacò era comunque una, sarebbe stato una polveriera ma, ehm, per rifornire gli altri in battaglia e non tanto, ehm, perché qua di battaglie non ne dovevano accadere da quello che abbiamo capito. Quindi, ehm, ecco queste sono state le, ehm, la vita vissuta da noi e dalla gente di quei momenti e ehm, e anche, ehm, e anche dai nostri, dai nostri compaesani e dai nostri borghigiani che hanno partecipato con noi a questa vita, non dico. Ah noi abbiamo avuto delle persone che addirittura, noi abbiamo avuto il medico condotto, il dottor Ruozzi tanto per citarne uno, che, ehm, che ha, ehm, che curava a rischio perché era anche stato portato via accusato di curare i partigiani eccetera e quello ha avuto il coraggio di dire ai tedeschi: ‘Io sono un medico e io faccio il medico, non chiedo, ehm, una fede politica per curare uno o l’altro, curo tutti quelli che vengono da me’. E quindi il dottor Ruozzi è stato anche lui uno, ehm, un eroe, così come è stato eroe il partigiano Lavina che, [laughs] quello faceva parte del nostro gruppo partigiani che appena c’è stato sentore che era imminente la liberazione, lui aveva lavorato un po’ di anni in Germania, sapeva parlare il tedesco, il tedeschi lo usavano un po’ anche come interprete però era un partigiano di quelli anche abbastanza tosti e con una mitraglia, una mitraglia che un essere umano non riusciva a portare, con la forza della disperazione, dicendo parole in tedesco ha fatto uscire tutto il comando tedesco che c’era qua da noi con le mani in alto, perché lui ha fatto credere, parlando in tedesco che c’era, ehm, che il comando era accerchiato, che dovevano arrendersi. Qunado hanno visto che, invece, era una persona sola e che poi sono arrivati anche gli altri partigiani, ormai era tardi, e quindi sono stati beffati anche loro in questo modo, non ci sono state sparatorie perché quelli si sono arresi e, ehm, e tutto è finito lì. Ecco, io altro non saprei cosa dire ma ci sono anche tanti altri episodi ma la roba verrebbe un po’ troppo lunga.
FA: Vorrei farle una domanda, un paio di domande. Voi da qua, dal vostro punto di vista, dei suoi ricordi, vedevate quello che succedeva giù al borgo quando, quando bombardavano?
SB: No, no, no. Noi, ehm, diciamo perché, la vita era praticamente bloccata. Uno non si azzardava ad andare in Borgo se non per necessità perché ad esempio in Borgo c’era il farmacista Ricotti, la farmacia Ricotti del Borgo era un po’, ehm, era la nostra farmacia, allora per le necessità sì però, ehm, e quindi ci venivi, no, e quindi toccavamo con mano che la gente che è venuta qua non aveva neanche più la casa in Borgo perché il Borgo, ehm, più vicino al Ponte, tutto attorno al Ponte, era tutto giù.
FA: Certo.
SB: E quindi, e quindi, non ci siamo resi conto, dopo ci siamo resi conto, quando c’è stata la Liberazione, allora abbiamo visto. Ci siamo trovati con, con una tristezza esagerata, con tutto da ricostruire, con tutto da fare, con tutto da organizzare e lì ci sono voluti anche gli anni ma però la vita ha ripreso il suo corso e, e tutto ha cominciato a funzionare, e, funzionare.
FA: Certo. Un’ultima cosa. Ehm, gli sfollati che arrivavano a Travacò, ehm, erano organizzati diciamo secondo un sistema assistenziale condotto da qualcuno oppure erano un flusso autonomo, diciamo casuale?
SB: No, no, no. Allora nelle nostre zone di sistemi assistenziali non ne esistevano perché tutta la popolazione aveva bisogno di essere assistita si può dire. Qua non c’era niente per nessuno, tutti erano in miseria, tutti avevano, eccetto qualcuno naturalmente, no? Ehm, quindi era un po’ un’assistenza fai da te, di solidarietà, erano, uno aiutava l’altro. Se un vicino di casa non, aveva un bisogno c’era, c’era sicuramente la famiglia che lo aiutava quindi era un’assistenza che funzionava così. Solo dopo con la ripresa, dopo la Liberazione, allora le prime amministrazioni si sono dovute occupare anche dei problemi di assistenza,
FA: Questo problema.
SB: Perché anche questo era uno degli aspetti principali insomma perché se no, non si sopravviveva eh.
FA: Sì, quindi non era, per dire, il comune di Pavia o l’esercito, i carabinieri che li mandavano. Si spostavano secondo la loro esigenza.
SB: No, no, no, no. E poi ricordo che hanno costituito il patronato e noi bambini a scuola avevamo il contributo del comune per acquistare i libri, i quaderni eccetera, c’erano. Ecco, si sono organizzati, sono state organizzate dopo le varie assistenze, le varie organizzazioni che poi si occupavano di seguire queste miserie perché in effetti era una miseria generale insomma.
FA: Va bene. La ringraziamo allora per questa intervista.
SB: Per quel che può servire, grazie a voi, anche se m’avete fatto un po’ ritornare nella mente cose che avevamo già cancellato.
FA: La ringraziamo.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Sandro Boiocchi
Description
An account of the resource
Sandro Boiocchi remembers wartime memories at Travacò, in the Pavia area. Mentions various episodes: food shortages, the black market, fascist and German roundups, Pippo flying at night, bombing of bridges, giving shelter to evacuees. Tells how stables provided warm shelter but were also used as hidden storage for weapons. Mentions seeing an aircraft taken down in the woods, with a dead pilot still inside the cockpit. Remembers the blowing up of an ammunition dump and the following blast wave, which shattered their windows and doors. Describes the strict instructions issued by parents and relatives to black out the windows extremely well in order not to serve as a target for bombings at night. Tells of when his mother stood up against a group of Germans and fascists intending to search their house for food and how she told them off. Recounts episodes of selfless generosity and moral integrity . Explains how, following a direct order from the partisan leaders, actions against the German troops were forbidden in the Travacò area, of strategic importance for the resistance and where huge amounts of weapons were stacked. Tells of Carabinieri opposing the Fascist regime, having pledged allegiance to the king. Tells how, in absence of authority, the population resorted to informal mutual assistance networks.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Filippo Andi
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-02-25
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:43:10 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ABoiocchiS170225
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Po River Valley
Italy--Pavia
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1945-04-26
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
bombing
childhood in wartime
evacuation
fear
home front
Pippo
Resistance
shot down
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/439/7792/AVendraminL180717.1.mp3
1fac857c4ece118fe4b997062d1f9ca7
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Vendramin, Lidia
Lidia Vendramin
L Vendramin
Description
An account of the resource
One oral history interview with Lidia Vendramin who recollects her wartime experiences in Sacile and surrounding areas.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2018-07-17
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Vendramin, L
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Lidia Vendramin
Description
An account of the resource
Lidia Vendramin reminisces her childhood in Sacile including details on her primary schooling, family, and town life. Contrasts the public manifestations of joy the day the war was declared, with the shock and dismay of her parents, whose lives had been profoundly affected by the First World War. Describes the first bombings aimed at the railway lines and the subsequent, more severe attacks which targeted the whole town. Reminisces about her life as an evacuee at Nave and provides an account of night bombings on Aviano and Treviso, describing target indicators, flares, and the muffled noise of distant explosions. Stresses her sense of hopelessness, and the difficulty to make sense of meaningless violence and wanton destruction. Claims that parents tried everything to keep their children out of the horrors of war, and stressed how she had to piece together different bits of information to understand the events she had eye-witnessed. Mentions widespread solidarity among co-workers, who rushed to patch up a plant. Describes convoys packed with Jews and Italian prisoners of war en route to Germany and mentions various acts of kindness: women trying to pass food to the prisoners or collecting the notes they dropped on the railway tracks hoping to send news home; railwaymen sabotaging trains. Mentions some anecdotes connected about Pippo and the Resistance. Stressed how the droning sound of aircraft haunted her for years after the end of the war. Having been at the receiving end of the bombing war, it justifies her keen interest in the history of the second world war and human destructivity. Expresses sympathy for the victim of present day conflicts and elaborates on the present state of global politics and society.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Alessandro Pesaro
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2018-07-17
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
01:01:27 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AVendraminL180717
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Conforms To
An established standard to which the described resource conforms.
Pending OH transcription
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Sacile
Italy--Aviano
Italy--Treviso
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
bombing
childhood in wartime
evacuation
Holocaust
home front
perception of bombing war
Pippo
prisoner of war
Resistance
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/47/7852/AAn00976-170419.2.mp3
1ce0dba42c634dd1a9e58fad32b7feb4
Dublin Core
The Dublin Core metadata element set is common to all Omeka records, including items, files, and collections. For more information see, http://dublincore.org/documents/dces/.
Title
A name given to the resource
A survivor of the Voghera bombings (informant A)
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
An00976
Description
An account of the resource
One oral history interview with an informant who recollects her wartime experiences in Voghera.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
FA: Eeeh, signora [omitted] vuole raccontarci cosa si ricorda dell’esperienze vissute durante gli ultimi due anni di guerra a Voghera?
GB: Sì, volentieri potrei raccontare qualcosa anche magari dei primi mitragliamenti che sono successi.
FA: Certo.
GB: Nel ’41, ero ancora piccolina avevo solamente sei anni, eeeh il primo, il primo mitragliamento su Voghera credo che sia stato fatto nel mese di maggio o giugno, mi trovavo in mezzo ai campi, perché i miei genitori erano agricoltori e praticamente sono arrivati questi caccia e mi hanno, praticamente ero vestita di rosso e allora per paura che mi, mi mi vedessero meglio perché essendo giorno a volo radente diciamo, eeeh mi hanno coperta, buttata in un fosso e coperta per far si che non, non colpissero insomma. Ecco ricordo che c’è stato la sventagliata va beh comunque, non è, per noi non è successo niente. Mentre invece nell’agosto del ’40 ricordo molto bene, sì va beh le incursioni aeree che sono succedute nel ’44 le ricordo tutte, però quella del 20, del 25 cos’è, il 25 di agosto, lo ricordo bene perché l’ho, l’ho visto dal, l’ho visto io con i miei occhi da un rifugio che era stato costruito in mezzo in, in nella campagna e quindi ero seduta all’esterno un po’ all’esterno, quindi ricordo molto bene le bombe che sono scese e che hanno colpito la la città. Il perché lo ricordo anche molto bene è perché la mia famiglia aveva una cascina dall’altra parte della città, io abitavo di qui verso la parte di via Verdi, adesso è inutile dirlo loro perché non conoscendo, comunque abitavo dalla parte di via Verdi la cascina invece l’avevamo oltre, verso già Torremenapace in quella zona. Allora i miei genitori con mio fratello erano andati a lavorare dalla parte di là, io invece ero a casa con mia cognata che era di La Spezia e ricordava molto bene ed era sempre molto terrorizzata quando sentiva l’allarme.
FA: Certo.
GB: Perché ricordava molto bene il bombardamento del mare subito a La Spezia. Quindi io ero lì in mezzo al al, ero lì in mezzo adesso non racconto chi era perché, non è non, lo registra? No allora no eh [laughs], perché c’eran le pesche e con l’allarme c’era una fabbrica di, un cappellificio e tutti gli operai uscivano e naturalmente scappavano in mezzo alle alle piante e rubavano le pesche. Allora io ho detto a mia cognata ‘Senti tu stai qui ma io vado a vedere perché così almeno mi vedono non portano via le pesche insomma eh!”.
FA: Certo.
GB: Cercavo di [laughs] va beh, ecco perché anche oltretutto ho assistito poi un po’ al bombardamento e mi, per concludere, nel senso che, eh l’allarme è stato dato ed era un allarme che praticamente c’erano diversi tipi di allarme che non ricordo quanto erano, perché se era uno solo non era proprio importante, forse non so se erano tre colpi forti per dire perché eran fatti, ancora oggi ricordo il rumore del degli aerei, dei bombardieri, io mi sveglio di notte, e c’è un aereo di quelli da da carico che volano leg, adagio, lenti e proprio quel whooo whooo mi mi, sto ancora male adesso, pensi quanti anni sono passati, eppure però, ho mi, ho ancora proprio il ricordo nitido di questi aerei che andavano, che passavano che andavano e poi dicevano che andavano a bombardare la Germania o altri posti. Comunque per tornare al, al ’44 ho visto proprio tutte le bombe scendere, ho visto proprio le bombe scendere, e eeeh siamo rimasti divisi come dico, e infatti i miei, i miei parenti i miei genitori e mio fratello erano preoccupatissimi perché avevano paura che avessero colpito la nostra parte noi altrettanto non, mentre invece poi abbiamo saputo che praticamente era il centro che era stato colpito, e i miei genitori sono poi arrivati a casa alle dieci, dieci e mezza di notte perché questo bombardamento è stato fatto verso le quattro del pomeriggio, adesso, più o meno.
FA: Quindi in pieno giorno.
GB: In pieno giorno, in pieno giorno, eeeh ed è di lì che abbiamo saputo appunto che c’erano stati 187 morti, eeeh tantissimi 200 e più feriti, ehm quindi insomma è stato per, un bombardamento proprio veramente disastroso diciamo. Che qui attorno c’erano stati altri bombardamenti anche a Pavia, aveva avuto un bombardamento ma, molto importante ma però con pochi morti, qui invece la gente era andata tutta in cantina, si erano rifugiati in cantina e quindi, poi c’è stata gente per esempio, conosco un signore che la mamma ha perso un occhio, eeeh non vede più da un occhio, poi gente che è rimasta invalida, che è rimasta invalida. Mi dispiace che sia mancato un signore da poco tempo, in cui praticamente aveva perso papà e mamma eeeh e lui, e lui insomma, quindi conoscevo tante persone dell’epoca che, adesso ormai purtroppo praticamente. Questa questa signora di, la mamma di questo signore praticamente adesso è un po’ fuori di testa e quindi praticamente magari non ricorda neanche bene o quello che dice poi.
FA: Certo, quindi un fatto che ha segnato la città insomma.
GB: Sì ah insomma un fatto che ha segnato molto ma molto la città, perché veramente ha proprio distrutto quasi tutto, pensi che la qui la caserma la metà è stata è andata distrutta, mio marito che abitava qui a cento metri da qui praticamente si sono trovati, lo spostamento d’aria, un tedesco da qui è finito nel portone, dentro il portone ed è morto. Quindi, il bombardamento è stato importantissimo, ecco cioè molto devastante.
FA: Molto violento sì.
GB: Molto forte. È stato colpito anche l’ospedale e quindi non so, ecco è tutto quello che posso dire ecco, non è molto.
FA: Certo, ha memoria anche di bombardamenti seguenti a questo? Ce ne sono stati altri?
GB: No, ce ne sono stati qualcun’altri, si va beh ricordo nel, nel ’40, al 25 di aprile del ’45 quando il famoso Pippo, che di notte girava e se vedeva le luci lanciava il razzo, lanciava si, non è, non si dice razzo.
FA: Sì spezzoni.
GB: Gli spezzoni. Lanciava gli spezzoni, me lo ricordo perché è stato, anche questo io non, non l’ho vissuto per il fatto che era di notte ma mia mamma me l’ha sempre raccontato molto e tutto, è stata, ha colpito, la famiglia, una nostra famiglia amica e la gente finita, finita la guerra ha sentito Pippo sono andati sulla porta, loro per far festa, lui ha lanciato lo spezzone, è caduto sul cornicione di un palazzo e praticamente in una, cominciato, non mi viene la parola, il cemento armato, ha picchiato sul cemento armato del del muro, son partite le schegge e ne son morti cinque, e con sei o sette feriti, quindi praticamente, ma rimasti invalidi, eh! È morta la, una mamma che lei era terrorizzata dai bombardamenti e in questo bombardamento in cui io ho visto e che posso raccontare, lei col bambino valigia in mano da una parte e bambino per mano dall’altra, come sentiva l’allarme, dentro nel rifugio.
FA: Nel rifugio.
GB: Perché era terrorizzata, poveretta aveva ragione perché realmente poi c’è rimasta, perché quella notte lì è stata colpita da una scheggia alla giugulare e in un attimo se ne è andata.
FA: Prima ha parlato di di rifugi, avevate un, ha detto un rifugio in campagna?
GB: Sì ma era fatto nella terra viva eh. Era nel terreno vivo e poi c’era dentro tutte le balle di paglia in cui ci si sedeva sopra.
FA: Quindi sostanzialmente una buca.
GB: È una buca, una buca, sì.
FA: Che era una pratica comunque diffusa, ho sentito in.
GB: Sì, sì, anche noi l’avevamo, l’avevamo fatto anche noi perché dicevano che bisognava averlo però noi non ci siamo mai andati dentro, perché mio papà l’aveva fatto in un punto un po’ troppo umido e allora andar là dentro si stava proprio male male. Solo che tante volte invece, avevamo, anche questo me lo ricordo eeeh per esempio avevamo fatto, eeeh avevamo battuto il grano, il coso, c’erano tutte le balle di paglia, e le balle di paglia erano state messe in modo che facesse da rifugio, facesse da rifugio, quello lì mi ricordo che sono, che anche lì mi sono rifugiata una volta in seguito a un bombardamento, o a un mitragliamento ecco.
FA: Certo.
GB: Adesso, ma però per dire non mi ricordo né la data, né niente. Di questo ho proprio memoria perché è quello che mi ha impressionato più di tutti ecco diciamo.
FA: Quindi anche insomma, essendo, nonostante fosse una bambina, si ricorda le impressioni.
GB: Sì avevo nove anni, ‘che son del ’35 quindi avevo nove anni, e quindi lì, mi ricordo già un po’ di più anche insomma forse, poi, nel senso che la mia famiglia praticamente io avevo tre fratelli e tutti e tre i fratelli erano militari, erano in guerra ecco, due però avevano avuto la fortuna di rimanere qui in Italia, uno in Marina a La Spezia, che questa mia cognata e l’altro invece era nell’aviazione ma era nel, non come aviatore ma come aviatore, aviazione di terra, cioè.
FA: Personale militare di terra.
GB: Sì, personale di terra eeeh a Parabiago, quindi era vicino a casa, mentre invece l’altro mio fratello purtroppo no, purtroppo dopo aversi fatto, dopo essersi fatto l’Africa ha fatto, ah l’Africa in dal ‘40 al ’41 poi è tornato a casa perché aveva preso la scabbia e non l’han più rimandato in Africa quando è finita la convalescenza che è guarito, non l’han più mandato in Africa, ma è andato in Grecia, dalla Grecia poi praticamente stavano rientrando in Italia e invece di entrare in Italia è andato in con, nel ‘43 è andato a finire nel campo di concentramento e quindi dal 1939 è tornato a casa 1945 a settembre. Questo, ha avuto fortuna di tornare a casa.
FA: Certo.
GB: Tutto lì, però cioè eravamo anche un po’ diciamo sotto pressione come famiglia, i miei genitori erano sotto pressione perché praticamente con tutta la campagna da curare tutto, non avevano, se lo dovevano fare loro due.
FA: Certo.
GB: Perché non avevano nessuno.
FA: Certo.
GB: Han sequestrato i camion ci han messo i camion praticamente che non si potevano più adoperare, perché han tolto le ruote per far si che non lo adoperassero, li avevano messi, cioè erano dentro nei nei garage e praticamente avevano messo su sotto i, la la per tenerli su han fatto i muri le pile di mattoni e poi dopo c’han tolto i.
FA: Certo, quindi un, avrei un’ultima domanda, quindi insomma Voghera era abbastanza frequentata dalle incursioni aeree.
GB: Sì sì poi, no no ma perché, perchè avevamo anche praticamente come sa, a parte il fatto la caserma, che senz’altro era importante per dire, perché c’era tanti soldati, però le incursioni aeree ce ne sono state parecchie ecco ma per ricordare però perché era dovuto soprattutto al fatto del nodo ferroviario, perché come nodo ferroviario era molto importante, perché praticamente distruggere i due ponti voleva dire eliminare il contatto, in modo di poter cos, quindi niente, tutto lì. Io non ho solo ricordato questo perché è quello che ricordo di più che è anche quello che fa fatto più morti.
FA: Più danni certo.
GB: Più danni.
FA: Va bene allora la ringraziamo per questa intervista.
GB: Ma si immagini
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Title
A name given to the resource
A survivor of the Voghera bombings (informant A)
Description
An account of the resource
The informant reminisces about her wartime experiences in the Voghera countryside, at the time when her three brothers where enlisted and it was hard for her parents to run the farm.
She remembers how she narrowly escaped an aircraft trying to machine gun her by covering with a blanket and throwing herself into a ditch, and then describes the 25 August 1944 bombing on Voghera. Narrates how she was at home with her sister in law when the alarm sounded three times, the signal for imminent danger. She dashed outside trying to stop people pilfering fruit at her parent’s farm, as they routinely did during alarms. Recollects the aftermath of the attack, with hundreds of death and injured people and stresses the fact that Voghera was a local railroad hub with a significant military presence, thus a legitimate target. Reports an anecdote of five people died the last day of war, killed by a bomb dropped by Pippo. Describes shelters dug by country people in the ground and protected by hay bales; compares these makeshift solutions with proper shelters in urban areas. Stresses the fact that the bombing war has haunted her for the rest of her life, being still scared by the droning sound of aircraft at night.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Filippo Andi
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-04-19
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Francesca Campani
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:13:25 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Po River Valley
Italy--Voghera
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1944-08-25
1945-04-25
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AAn00976-170419
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Publisher
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IBCC Digital Archive
bombing
childhood in wartime
fear
home front
perception of bombing war
Pippo
shelter
-
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Dublin Core
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Title
A name given to the resource
A survivor of the Voghera bombings (informant B)
Description
An account of the resource
One oral history interview with an informant who remembers his wartime experiences in Voghera.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-08-29
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
An01183
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A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
Sono Andi Filippo e sto per intervistare [omitted]. Siamo a Voghera, è il 29 agosto 2017. Ringraziamo il signor [omitted] per aver permesso questa intervista. La sua intervista registrata diventerà parte dell’archivio digitale dell’International Bomber Command Centre, gestito dall’università di Lincoln e finanziato dall’Heritage Lottery Fund. L’università s’impegna a preservarla e tutelarla secondo i termini stabiliti nel partnership agreement con l’International Bomber Command Centre. Signor Marchese, vuole raccontarci i suoi ricordi, le sue esperienze durante gli anni di guerra, sotto le bombe a Voghera?
GM: Dunque, io all’epoca, all’inizio della guerra avevo undici anni, undici anni però ero già sveglio insomma eh. E la dichiarazione di guerra non è, ce, ce l’aspettavamo insomma, c’era, era attesa. Però i primi diciamo due anni, la leggevi sui giornali e basta la guerra, la leggevi, perché la cittadina come Voghera non è che fosse informata o, guarda poi leggevi i giornali (?). Dal ’43, dal 1943 invece è diventata un po’ pesante nel senso che Voghera, io avevo un diario avevo che non ho più ritrovato purtroppo nei traslocchi che ho fatto a Voghera c’erano state circa ottanta incursioni durante il periodo dal ’43 al ’45, ci sono state circa ottanta incursioni fra bombardieri grossi e cacciabombardieri, cacciabombardieri c’erano tutti i giorni, mitragliavano, qualunqua cosa si muovesse mitragliavano e i bombardieri bombardavano i ponti della ferrovia, pero’ di danni alla popolazione sono stati abbastanza relativi. Fino a che siamo arrivati a quel bombardamento che tutti dicono fosse stato terroristico del ’44. Nel mese di agosto del ’44, che effettivamente è stato pesante perché, a parte il fatto che diverse correnti di pensiero dicono che i morti siano arrivati a cinquecento addirittura e io, sono un po’ sopravvissuto a quello lì perché come ripeto un quarto d’ora prima ho fatto proprio il percorso dove sono cadute tutte le bombe e mi trovavo diretto a casa, erano le sette di sera, però era già tutto il giorno che ricognitori giravano in alto [unclear] tutto sopra la città e la gente diceva, ma come mai continuano a girare sti aerei qui sopra? Uno, si davano il cambio fino verso sera. Una giornata bellissima di agosto, un sole bello, e la gente, però la gente, sì, ci faceva caso ma faceva gli affari suoi faceva. Poi verso le, ecco io verso le sette io sono uscito dal lavoro, ho fatto il centro di Voghera, ho imboccato il Corso XXVII Marzo e come sono arrivato a metà Corso XXVII Marzo, a due passi da casa, è scoppiato il finimondo. Tutta la strada che avevo fatto dietro era bombe, bombe, crateri e bombe perché, dalla chiesa, dalla Via Emilia, Piazza Meardi dove hanno distrutto il Bar Ligure, è tutta una scena, tante case lì dove c’era la casa di riposo tra l’altro, c’era la casa di riposo, la casa per i poveri dove il comune distribuì i pasti e tutta la zona dietro, dove ci sono, adesso c’è il palazzo della SIP, su quello quadrato lì era raso al suolo proprio, Piazza Meardi tutta rasa al suolo, dove c’era il Bar, dove c’è adesso il Cafè Cervinia e compagnia bella. È durato una bella oretta la caserma dei, un pezzo della caserma, un pezzo di Corso Genova e io alla prima bomba che ho sentito scoppiare, sarà stata a cinquanta metri d’aria da me, perché è scoppiata in Via Pietro Giuria allora mi sono messo coricato per terra vicino e poi, e poi addio, il finimondo, bombe, bombe, bombe, bombe, finchè poi non si vedeva più niente, un odore acre di esplosivo che non riuscivi a respirare e un, che non si vedeva una persona a un metro di distanza dalla polvere, dalla e lì era di corsa sono arrivato in casa a cercare i miei cercare, effettivamente era ancora, era in casa mia mamma, mia sorella e mio papà che era a letto con, ammalato era, ammalato. Allora [ho detto?, unclear], ragazzi eran lì che ci siamo abbracciati e lo spostamento d’aria ci faceva girare da una parete all’altra ci faceva, lo spostamento d’aria delle bombe che cadevano. Poi, poi bum, è finita su, era la prima ondata perché poi è venuta una seconda ondata di bombardieri, B-12, hanno fatto posto, hanno sbagliato, fortunatamente la seconda andata hanno scaricato le bombe tutte oltre di là alla ferrovia, nei campi. Questi qui hanno, i primi dodici hanno, quelli lì, la seconda ondata o l’hanno fatta apposta o si sono sbagliati, non lo so, hanno sbagliato penso. Al di là della stazione, della ferrovia c’erano i campi c’erano e sono cadute tutte là perché altrimenti se cadevano anche quelle in citta’ era, era il finimondo. Ecco e lì abbiamo cominciato veramente ad avere paura insomma lì e allora lì e sai gira, esci, vai in casa, passata, cercare di vedere, di dare una mano a qualcuno ma era un problema perché c’era, non si poteva passare da nessuna parte, macerie dappertutto, macerie. La Croce Rossa che, la Croce Rossa [unclear] portati via a piedi no, con la barella con le ruote delle biciclette dopo [unclear] per cercare di dare una mano e compagnia bella ma come ripeto il disastro più grosso è stato lì Piazza Meardi che fece [unclear] i morti e lì si è andata avanti tutta la notte a scavare, scavare, scavare.
FA: A lavorare.
GM: E noi a casa, a riparare un po’ i danni perché, anche a casa nostra, i spostamenti e compagnia bella era, c’era di tutto in casa c’era perche’ poi tra l’altro due bombe mi sono cadute proprio in cortile,
FA: Ah!
GM: In cortile, dove la casa era in cortile c’era la cucina e il resto dell’appartamento era verso la strada, due bombe sono cadute proprio davanti alla cucina, la cucina era sparita, c’era di tutto in casa, ecco, e lì ci siamo tirati su le maniche e via, e siamo partiti, e siamo ripartiti.
FA: Eh certo.
GM: Pero’ poi è stato veramente un segnale che come sentivi poi un aereo, come sentivi, perché le sirene non suonavano neanche più perché arrivavano prima gli aerei delle sirene d’allarme. Come sentiva un aereo la gente terrorizzata scappava nelle cantine, nelle, dove poteva insomma, ecco.
FA: Dove trovava. Quindi lei durante quell’incursione lì dalla strada poi è rimasto in casa [unclear].
GM: Poi sono rimasto in caso finché è finita perche’ c’erano i miei e abitavamo al pianterreno e ci siamo abbracciati no, e lo spostamento ti faceva andare da una parete all’altra [unclear] poi figura quando sono cadute le due proprio davanti a, dietro, noi eravamo verso la strada, dietro lì al, dove c’è la cucina, figuriamoci
FA: Eh sì..
GM: Ci siamo ritrovati lunghi distesi per terra, immersi dal fumo, facevamo fatica a vederci, talmente era fumo, un odore che non si poteva neanche respirare [unclear] e beh, passato poi cominciato a dire [unclear] a vedere il disastro che è successo, io sono riuscito ad andare fuori ancora, a fare il pezzo di strada a vedere come, ho scusa ho toccato, a vedere c’erano già i soccorsi, a scavare nelle macerie, a scavare, a tirar fuori i cadaveri, tirar fuori gente ferita che si lamentava, siamo andati avanti tutta la notte ecco, tutta la notte.
FA: Lei ha aiutato?
GM: Eh, Un po’ ho aiutato, un po’, ero giovane, avevo quattordici anni oramai, quattodici, quindici anni [unclear] anche insieme a dei miei amici eh, insieme a amici che anche loro fuori andavano, davano una mano. Mi ricordo che lì verso Piazza Meardi adesso c’è una villa nuova che era stata ricostruita perché ci era caduta proprio una bomba, l’aveva distrutta e c’era il mio amico che era arrivato là per primo [unclear] mandato i soccorritori, aveva un due anni piu’ di me a scavare là che si sentivano lamenti lì sotto. E mi è rimasta impresso una cosa: che sono riusciti a tirare fuori quella persona lì e quella persona lì ha messo una mano nella schiena di quel mio amico lì che aveva una camicia bianca, ci è rimasta la mano sporca di sangue, è rimasta. Allora, poi lei lo mette insieme bene, eh?
FA: Prima della pausa stavamo dicendo appunto di quel ragazzo, suo amico che
GM: Ecco, la sera stessa che è stato lì a scavare, scavare in quella, quella via lì, ha tirato fuori una persona viva ma sa, capirà, e gli ha messo una mano qui per tirarlo fuori sulla schiena, gli è rimasta la mano sulla camicia sporca di sangue insomma perché era ferito e compagnia bella e quella è rimasta impressa nella mente perché non sono cose mica da ridere.
FA: Eh certo!
GM: Poi posso raccontarle un fatto mio personale perché un mio carissimo amico, che tra l’altro aveva la mia età, perché noi al mattino si usciva sempre presto? Per andare a cercare da mangiare, ecco, eravamo nel ’44, era inverno, penso ottobre, novembre, era tanta di quella neve, c’era tanta di quella neve per terra però un sole bellissimo e noi, eravamo usciti, abitavamo vicini, siamo usciti nel Corso XXVII Marzo e venivamo su. Sono arrivati i cacciabombardieri, cacciabombardieri che prendevano in filata il Corso XXVII Marzo e sparavano, e sparavano, e poi sparavano fino al ponte della ferrovia che va a Medassino, no?
FA: Sì.
GM: Ecco. Che poi c’era quello della [unclear] sul treno fermo, c’era col, un vagone cisterna pieno di vino,
FA: Ah!
GM: Eh! Comunque quello lì ecco, lì eravamo insieme, eravamo all’altezza, a metà Corso XXVII Marzo, dove c’è il Bar Bon Bon adesso, circa, che allora non c’era e noi eravamo rasente il muro, neve, bel sole limpido, insomma ci sono sti cacciabombardieri, allora, corri i caccia per terra, vicino al muro perché [unclear] e sparavano tutto lungo la strada. Quel mio amico lì si è spaventato. Di fronte c’era una portina aperta del condominio di quel palazzo lì e lui diceva: ‘andiamo di là, che c’è la portina, andiamo dentro, siamo riparati’, no, non muoverti, non vedi, non senti che arrivano, arrivano, arrivano?’ Non mi ha ascoltato, è partito in mezzo alla strada, l’han centrato in pieno, centrato in pieno, è rimasto là, è rimasto secco. Io non mi sono più mosso di lì, coricato per terra, ecco quello lì è il fatto che mi è rimasto più impresso di tutti, ecco.
FA: Certo.
GM: Perché? Perché oramai ci avevi fatto l’abitudine. I bombardieri c’erano tutti i giorni, lì sparavano dappertutto sparavano e noi? Il problema era quello di cercare di schivarli e loro, lì la superavi la paura perche’ avevi talmente tante cose da fare, corri, andare a cercare da mangiare, andare a cercare da scaldarti, andare a cercare, ecco il problema era quello lì.
FA: Ci si era abituati insomma.
GM: Oramai da cinque anni. Cinque anni è stata lunga, e poi quello che ha fatto più impressione è (vedere o vivere?) cinque anni al buio senza una luce fuori, all’ultimo giorno quando si sono riaccesi i lampioni e allora tutto, dopo cinque anni vedere accese le strade illuminate [unclear] e poi una cosa che rimane impressa perché appunto un giovane ci facevi anche l’abitudine eravamo anche un po’ incoscienti quando venivano i bombardieri che bombardavano i ponti, andavamo, scappavamo nei prati lì vicino perché era, e coricati per terra a guardare quando si aprivano quei portelloni, vedere le bombe scendere, ecco quello lì è stato uno spettacolo indimenticabile. Non te lo dimentichi più perché vedere sti portelli, perché erano abbastanza bassi e tutte ste bombe che cadevano, che cadevano ecco, allora lì [laughs].
FA: Sì.
GM: Ecco, sono impressioni che ti sono rimaste, ecco [unclear].
FA: Certo.
GM: Ecco. Adesso se ha qualche domanda, io non,
FA: Sì, certo.
GM: Non saprei più cosa dirle.
FA: Lei in casa avevate un rifugio antiaereo?
GM: No, le cantine.
FA: Le cantine.
GM: Le cantine. Cantine rimesse un po’ in ordine, no, dal comune, anzi, avevano, le cantine non erano più singole, avevano buttato giù le pareti e avevano fatto un corridoio lungo. Un corridoio lungo, poi l’hanno verniciato di bianco, compagnia bella, e quando suonava l’allarme, tutta la gente scendeva ma era diventato un corridoio lungo, sarà stato lungo come il palazzo ecco. Prima, anziché tante piccole cantine, un corridoio lungo,
FA: E certo.
GM: E diventava un, era diventato un rifugio era diventato, ecco.
FA: Per tutto il palazzo.
GM: Per tutto il palazzo.
FA: Certo. Si ricorda se c’era qualche rifugio pubblico, magari in centro?
GM: Rifugio pubblico, dunque, c’erano del, mi ricordo che, nei prati, e nei dintorni e in Piazza Meardi, sia dalla parte di qui che dalla parte di là della caserma, avevano scavato delle trincee a zig zag, delle trincee a zig zag dove la gente si rifugiava dentro, abbastanza profonde. Ti potevi rifugiare li dentro perché non erano diritte, che potevano essere prese in filata ma a zig zag che quanto meno ti riparava dalle schegge o
FA: Certo.
GM: Ecco, quelle me le ricordo bene. E ne avevano costruite abbastanza, in periferia ce ne erano tante, in periferia [unclear] e la gente scappava e si infilava lì dentro. Perché poi sai, erano tutte case vecchie, la cantina teneva per varie cantine, li mettevi una bomba sopra e allora tanta gente preferiva e come sentivano gli aeroplani, partivano o in bicicletta o a piedi e andare fuori,
FA: Andare fuori,
GM: Un po’ fuori che non era grosso così, c’erano i campi, i prati ecco, e si andava lì e si
FA: E si scappava [unclear]
GM: E si scappava e si stava fuori finché si poteva ecco.
FA: Ho capito. Una domanda un po’, diciamo un po’ personale. Secondo lei, e secondo quello che vedeva nella popolazione, insomma,
GM: Sì, sì, sì.
FA: Che sentimenti provavate nei confronti di chi vi bombardava?
GM: Mah, eh, dunque guardi [pauses] noi avevamo, il sentimento più brutto ce l’avevamo coi nostri governanti, di quell’epoca, che ci avevano portato in quella situazione lì. Che tu avevi fame, non c’era da mangiare, rischiavi la pelle tutti i giorni e il sentimento maggiore di rivalsa era quello. Tu pensavi che quelli facevano i loro mestieri. Però sul bombardamento sulla città pensavamo fossero dei criminali, eh, perché non era il caso, ecco, non era il caso. Se loro ti dicevano, pensavano o la propaganda ti diceva che si erano sbagliati, diceva, vabbe, questi non sono errori che si possono fare, ma bombardare proprio indiscriminatamente una città che faceva trenta, trentacinquemila abitanti, non c’era niente, non c’era, è stato un bombardamento terroristico che anche la gente si era abbastanza risentita.
FA: Risentita.
GM: Era abbastanza. Poi però ha prevalso il sentimento che eravamo a fine ’44, ancora qualche mese e poi la guerra era, finiva, noi sapevamo la notizia già dai partigiani e compagnia bella, che ah beh allora, vengano, se dobbiamo finirla vengano ancora anche, lo facciano ancora per un’altra volta che almeno basta.
FA: Sì.
GM: I liberatori, li chiamavamo i liberatori.
FA: Sì insomma, alla fine, diciamo, c’era più la voglia di,
GM: Bravo.
FA: Di essere liberati, che finisse la guerra
GM: Bravo, ecco, di farla finita, di farla finita perché oramai. Poi la propaganda sa, Radio Londra si sentiva tutto, Radio Londra era un appuntamento fisso, e sentivi insomma, ti raccontavano le cose, [unclear] bene o male, speriamo che arrivino in fretta, speriamo e difatti insomma poi cominciato i movimenti partigiani e compagnia bella. E allora anche per i fascisti, per i tedeschi non è che siano state rose e fiori, insomma.
FA: Era molto attiva qua su Voghera la Resistenza?
GM: [unclear] Tutto qui Oltrepò, era, ce n’era veramente perché, è stato, l’Oltrepò Pavese è stato il primo ad avere le bande partigiane, sono state nel ’43, e poi sai volevano, li conoscevi quei ragazzi che c’era la leva obbligatoria, la leva obbligatoria del maresciallo Graziani, da tredici anni a trentasette anni, eh. Chi non si presentava veniva fucilato. Sai, allora, nascosti sempre nascosti.
FA: Quindi o si era, o ci si presentava oppure si [unclear] andava in clandestinità
GM: Eh, non ti presentavi, è quello. La maggior parte non si erano presentati, tanti amici che avevano qualche anno in più, sono scappati subito su verso le montagne e poi sono stati su fino alla fine della guerra,
FA: Guerra.
GM: Che sono arrivati i soldati, sono arrivati gli americani, gli inglesi. I primi ad arrivare a Voghera mi sembra sono stati i brasiliani, brasiliani, sono stati i brasiliani, sono stati, dico bene?
FA: Sì.
GM: [unclear] Questo qui, è [unclear] stato un mio carissimo amico, aspetta, [unclear] dove è andato a finire che le vostre ricerche, sarà qui, eccolo qui, questo qui è il soldato brasiliano, uno dei primi che è arrivato a Voghera, questo qui. Mi ha dato l’indirizzo, mi ha persino scritto l’indirizzo dove abitava in Brasile, guardi. Ivan, Ivan. Mi portava a spasso poi con la jeep. E ci dava le sigarette da mangiare. Ci davano da mangiare,
FA: Eh, sì.
GM: Parlamoci chiaro, ci davano da mangiare.
FA: Quindi, poi c’e’ stato insomma un rapporto di, di amicizia.
GM: Perché, perché loro, sì, perché loro avevano i magazzini che noi siamo rimasti impressionati perché e guardavamo lì, figuriamoci. Vedere mangiare da loro, fare dei pentoloni di cioccolata che noi la cioccolata non avevamo mai sentito, figuriamoci, era [unclear] per quello che avanzavano, cioè ne distribuivano che ne avevano nei pentoloni, ne facevano di più apposta, c’eravamo noi in fila coi pentoloni a ritirare e portare a casa, ecco.
FA: Eh certo.
GM: Questo. Ecco questo è un particolare che [unclear] nella politica e nella politica ne abbiamo avuti perché i miei erano contrari, insomma io avevo un zio, beh un fratello di mia mamma, che era nel Comitato di Liberazione Nazionale a Tortona, perché mia mamma era [unclear] di Tortona, lei [unclear], e allora, le notizie le sapevamo tutte le notizie dei movimenti partigiani e compagnia bella.
FA: Certo.
GM: E poi, io sono stato, guardi questa, guardi bene questa cartolina e le date.
FA: 39.
GM: Ultimo avviso, perché si doveva essere tutti in divisa e io avevo finito, io, se non mi presentavo, perché non c’andavo mai, e mi han mandato l’ultimo avviso e se non mi presentavo non potevo più iscrivermi a scuola.
FA: A scuola.
GM: Non potevo più andare a scuola, capisce?
FA: Quindi lei non partecipava, diciamo, alle attivita’ dell’ [unclear]
GM: Eh no, perché mio padre era socialista quindi mio zio che era, figuriamoci, eravamo un pò, poi però abbiamo un vicino di casa che era un maggiore della milizia, un maggiore della milizia come vicino di casa che ci conosceva e allora sa, lo sapeva che non la pensavamo come lui, ma insomma
FA: Però non.
GM: No, no, no, ecco.
FA: E i bombardamenti dei ponti avvenivano di giorno?
GM: Di giorno, tutti di giorno. Tranne di notte che c’era il famoso Pippo. Pippo, quello tutte le notti era una cambiale, c’era sempre, fino al 25 aprile, l’ultimo giorno ha sganciato in Via San Francesco d’Assisi, che aveva visto qualcosa, aveva visto, degli spezzoni, e ha ammazzato una persona il 25 aprile proprio. C’era rimasta una persona che era [unclear]. Quasi tutte le sere girava tutta la notte. Se vedeva una luce, bombardava. E non c’era
FA: Quindi anche lui era ormai una presenza abituale.
GM: Quasi quasi era, oramai era della famiglia, [laughs] perché c’era sempre, c’era. Ecco, ecco se ha altre cose che, io non saprei cosa dire dell’altro adesso, perché son tanti gli aerei,
FA: Eh beh, certo.
GM: cose che la sera, quando si dove andare a, non so, a cercare con i ragazzi, amici, no, con dei carrettini, rischiando il coprifuoco, rischiando, perché c’era il coprifuoco, non si poteva andare. Io avevo uno zio che faceva il ferroviere e abitavamo vicino alla ferrovia no, [unclear] la ferrovia dietro, e lui guidava, faceva il macchinista e guidava sempre il treno Voghera-Genova coi tedeschi, ci fascisti e avevano i vagoni dove loro requisivano tutto, grano requisivano e quando era di servizio lui se lo diceva, lui, si, noi ci preparavamo vicino la scarpata della ferrovia rischiando la pelle perché e lui apriva un vagone, ci buttava giù un sacco, due sacchi di grano, quello che c’era sopra insomma e allora noi piano piano si raccoglieva, si portava a casa poi si divideva fra le famiglie,
FA: Certo.
GM: Se era grano poi ci mettevamo a pestare e farci la farina per farci il pane ecco queste così ma rischiavi la pelle oppure andare al di là, sotto il passaggio al di là della ferrovia a far legna da bruciare per scaldarti.
FA: Eh certo.
GM: E allora tutte le piante che c’erano, [laughs] tutte le notti ne partivano qualcuno. Queste sono, ecco, queste cose qui e tutto era per mangiare perché altrimenti [unclear] andare nei campi dove raccoglievano le patate, no, dopo quelle raccolte andare là, ne lasciavano sempre qualcuna indietro, eh.
FA: Eh certo.
GM: O spigolare come dicevano, no.
FA: Il granoturco.
GM: Il grano, il granoturco. Tutto quello che si trovava, si portava a casa.
FA: Sì, insomma, era
GM: Perché cinque anni sembrano pochi ma sono lunghi da passare. Ai primi, uno, due anni, poi c’avevi le tessere coi bollini, ragazzi. Una volta la settimana ti dicevano, per andare con il bollino numero, puoi ritirare un po’ di zucchero, un’altra settimana un po’ di sale, un’altra [unclear]
FA: Quello che c’era
GM: Quello che c’era insomma. Però è passato e siamo qui ancora adesso.
FA: Quindi insomma una vita così, un po’, con le bombe a fare da contorno ecco.
GM: Ma, contorno bombe e spaventi tanti.
FA: Eh certo.
GM: Perché spaventi tanti perché parliamoci chiaro, non solo le bombe, i rastrellamenti, i tedeschi, i tempi di guerra si sa come sono. Non sai mai come,
FA: Cosa succede.
GM: Tu vai fuori la mattina non sai mai se vai a casa la sera, non sai mai eh, perché lì i rastrellamenti o compagnia bella, o i bombardamenti perché come ripeto, i caccia c’erano tutti i giorni. I cacciabombadieri anche loro c’erano tutti i giorni. I bombardieri grossi no, quelli tre, quattro, dieci volte tranne, quella lì poi è stato il 23 agosto ma le altre volte andavano sui ponti e basta, andavano sui ponti e se ne andavano. E allora c’avevi quasi fatto l’abitudine, c’hai fatto l’abitudine.
FA: E il ponte, sono riusciti a buttarlo giù?
GM: Sì, sì, buttavano sempre giù, c’era, li rimettevano su di fortuna, li ribombardavano ma lì era ma tante volte ecco. Li han sempre buttati. Solo quei tre ponti che c’era la linea, Milano-Genova e Milano, Voghera-Genova, no, Voghera-Milano e Voghera-Piacenza, sono due linee diverse e dopo, poi c’era il ponte della linea Voghera-Varzi e poi il ponte stradale. E quel ponte lì
FA: Sempre.
GM: Un giorno sì, un giorno no. Era, ecco lì, Voghera bombardavano sempre solo quello. Tranne quella volta lì. Oppure i cacciabombardieri, vabbe’ che loro vedevano un carretto, sparavano, scendevano, mitragliavano, se ne andavano, ecco.
FA: Ho capito.
GM: Ecco, la guerra, per noi qui a Voghera, è stata quella, logico, perché se poi andiamo nella Resistenza e compagnia bella ne abbiamo conosciuti tanti compresi (?) tanti amici che purtroppo non ci sono più. Ma insomma lì è un altro discorso, lì andiamo nella politica, allora lasciamo stare la politica, lasciamo stare. Va bene?
FA: Certo. Va bene. Grazie mille, la ringraziamo molto per questa intervista, per la sua testimonianza.
GM: Ci mancherebbe altro, guarda io, li ho detto, di balle non ne ho raccontate, le ho detto, se poi lei legge questo qui che avevo detto , lì [unclear] a Salerno, sono più o meno le stesse cose che le ho detto, ma sono, sono cose che non ti vanno più via dalla mente, ti segnano, non ti vanno più via dalla mente. Però arrivi adesso, ne parli con amici molto più giovani e non, cioè non si rendono conto di
FA: Della gravità
GM: Del, dei momenti che hai passato così, diciamo, beh, che uno che si alza al mattino, e noi eravamo una famiglia, due, padre, madre e quattro fratelli, due sorelle e due fratelli, poi mio fratello era nei partigiani perché lui era più vecchio di me. Primo pensiero, ragazzi, per andare a cercare per mangiare a mezzogiorno, eh. Passare cinque anni così non è facile, eh.
FA: Eh no.
GM: E allora sta idea(?), sono esperienze che ti formano, ti formano la vita.
FA: Certo. Va bene, grazie mille.
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Title
A name given to the resource
Interview with a survivor of the Voghera bombings (informant B)
Description
An account of the resource
The informant recollects his wartime memories in Voghera. Emphasises how bombings, strafing, and Pippo flying at night became part of everyday life and how the population tried to cope. Gives a vivid and detailed account of the August 1944 bombing, which was labelled “terrorist” by many. Narrates how he barely managed to survive it and recollects the unreal contrast between the sunny weather and widespread devastation. Mentions various episodes: helping extricating dead and wounded people from the rubble; draft dodgers; inter-connected cellars and dug-out trenches used as makeshift shelters. Stresses the feeling of resentment and anger harboured towards the dictatorship; enduring the bombings while waiting for the end of the war and the arrival of the Allies. Remembers the first time the street lights were turned on after five years of wartime blackout. Tells of his uncle, a railwayman, pilfering grain. Mentions Brasilian soldiers handing out chocolate at end of the war.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Filippo Andi
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-08-29
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:29:53 audio recording
Language
A language of the resource
eng
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
An01183
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Po River Valley
Italy--Voghera
Temporal Coverage
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1944-08
Rights
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This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Publisher
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childhood in wartime
home front
perception of bombing war
Pippo
shelter
strafing
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Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Chiesa, Celestino
Description
An account of the resource
One oral history interview with Celestino Chiesa who recollects his wartime experiences in Pavia.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-10-02
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
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Chiesa, C
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Transcription
Text transcribed from audio recording or document
FA: Sono Filippo Andi e sto per intervistare Celestino Chiesa. Siamo a Pavia, è il 10 febbraio 2017. Ringraziamo il signor Celestino per aver permesso questa intervista. È inoltre presente la moglie. La sua intervista registrata diventerà parte dell’archivio digitale dell’International Bomber Command Centre, gestito dall’università di Lincoln e finanziato dall’Heritage Lottery Fund. L’università s’impegna a preservarla e tutelarla secondo i termini stabiliti nel partnership agreement con l’International Bomber Command Centre. Signor Celestino, vuole raccontarci la sua esperienza a Pavia in quegli anni?
CC: A Pavia sono arrivato nel ’38, prima sono nato in collina e poi purtroppo è morta la mamma, eravamo quattro fratellini piccoli, è venuta una zia, è stata là un po’ poi ci ha portato a Pavia tutti assieme. Poi nel ’39 purtroppo il primo fratello è annegato in Ticino, andato a prendere il bagno, è andato sotto, l’han trovato quattro giorni dopo in Po. E l’hanno, è stato fatto il funerale, e io m’han messo negli Artigianelli. Ero con mio fratello, mio fratello messo nei Colombini diciamo perché non lo so perché non, c’hann divisi, io sono stato entrato nel ’39. Il ’39 ho incominciato a fare la vita, in Istituto c’era tutto, c’erano le officine, c’era lo studio, c’era il divertimento, le gite, tutto! Si viveva indipendentemente dal mondo. Il mondo era tutto lì. Certo, c’era la fame perché era incominciata la guerra, mangiare non ce n’era, dar da mangiare a cento bambini una cosa difficilissima. Eh, riuscivano ma facendo un po’ di fatica si mangiava poco, pazienza. Abbiamo sopportato per cinque anni tutta la guerra. Sono uscito nel ’45, al 28 aprile compivo i diciotto anni, a diciotto anni si usciva dall’Istituto. L’esperienza è stata per me positiva, veramente perché ho imparato il mestiere metalmeccanico, fresatore ma un po’ di tutto, fresatore, tornitore, specificamente il fresatore. Ho lavorato alla Necchi, ho lavorato in altre officine. Sempre con, diciamo, molto ben gradito, mi venivano a cercare a casa perché valevamo molto. Ci dicevano: ‘Ma non ha altri artigianelli da mandare qui a lavorare? Perché sono tutti bravi ragazzi prima e poi bravi operai’. E io ho portato un ragazzo che ha fatto una bella figura perché era bravissimo, il Bonini, e lui, il Carluccio lo conosci, e lì, io sono diventato anche il capo officina lì, lì alla BCD poi ho smesso perché non si riusciva a fare carriera, eravamo una famiglia un po’ pesante. E allora abbiamo preso un bar con la moglie, abbiamo gestito il Bar Castello di Pavia, in Piazza Emanuele Filiberto. Eh ci siamo stati sette anni mi pare. Poi, causa malattia tutti e due, abbiamo smesso. Insomma io sono andato in pensione, ormai avevo raggiunto l’età delle pensioni perché ho lavorato ventitre anni nell’industria, ho fatto più di vent’anni nei bar e così, e sono arrivato circa a quarantaquattro anni di lavoro consecutivo, cambiando spesso, fatto un’officina per mio conto, una piccola officina che si lavorava ma non sono riuscito a sfondare e allora sono andato ancora a lavorare ma non facevo fatica a trovare lavoro. Mai. E sono riuscito, non dico a far carriera però stavo bene. Comunque col bar abbiamo continuato l’attività e siamo arrivati alla fine che io sono andato in pensione e la vita, la mia vita consiste un pochino. Da giovane ho giocato tanti anni a pallacanestro, a basket tanti anni e con risultati molto, sono andato anche nel Pavia di serie A. Ho fatto una partita sola però ho avuto la soddisfazione di provare la serie A e poi abbiamo fatto il Palio dell’Oca e sono riuscito come capo del rione Centro a vincere due volte il palio, è una soddisfazione anche quella, e poi la vita ha continuato. Adesso dopo finita la pensione sono andato in un centro anziani e ho fatto, man messo segretario, e siamo andati avanti per circa vent’anni poi purtroppo l’età avanza, adesso sto per compiere i novant’anni. Ho smesso anche a quello lì ah, beh! Adesso mi riposo.
FA: Giusto così.
CC: Non so. Se serve qualcos’altro non lo so.
FA: No, se vuole, può raccontarci gli anni di guerra, durante il periodo degli Artigianelli.
CC: Sì, gli anni di guerra nel ’44 più che altro perché prima no, prima abbiamo, non c’era né bombardamenti, c’erano gli aerei ma non è che bombardavano Pavia. Milano sì, stando a scuola si sentiva, o dicevano, Milano hanno bombardato completamente dal ’43 poi è venuto l’8 settembre, è finito, è caduto il fascismo, e allora cadendo il fascismo hanno incominciato gli aerei a bombardare. Bombardavano tutti i ponti, tutte le strade principali, tutti i movimenti che vedevano, venivano giù, mitragliavano. Io ho preso quelle mitragliate lì. Ero, stavamo andando a vedere una partita di calcio, Pavia-Novara. Nel Novara giocava Piola, il grande Piola, e siamo andati volentieri ma siamo arrivati a Porta Milano ma abbiamo visto due aerei che arrivavano da circa Milano, zona diciamo Nord, e arrivare verso Pavia, a allora se bombardano, bombardano lo scalo merci perché ci sono dentro i treni tedeschi e difatti hanno lanciato due bombe nello scalo merci. E noi abbiamo visto gli aerei, siamo fuggiti un po’ da tutte le parti, un centinaio di bambini, di ragazzi, si figuri. Siamo andati un po’ da tutte le parti. Io che avevo un terrore degli areoplani, veramente avevo una paura matta, son corso verso il Naviglio, verso, da Porta Milano dove c’era il consorzio allora verso il Naviglio ma sono arrivati prima loro. Mi sono trovato per terra, la mitragliata m’ha preso a circa un metro ma s’è persa dal tetto, preso uno spavento che non finiva più, poi mi è passato, pazienza. Siamo andati avanti ma il terrore degli aereoplani l’ho sempre avuto. Non ho mai volato neanche adesso.
FS: Non hai ancora imparato a andare.
CC: È stato tremendo.
FA: Le è rimasto impresso.
CC: [laughs] Eh, i bombardamenti lì a Pavia, il ponte per una settimana per distruggere il ponte coperto non riuscivano a centrarlo. Colpivano da una parte o dall’altra, han preso una parte della città, la parte del borgo, dopo il ponte, han distrutto, ci sono stati parecchi morti, però il ponte non riuscivano a colpirlo o lo colpivano, frantumi, diciamo, pezzo di qui, pezzo di là, fin quando sono riusciti poi dopo una settimana sempre a mezzogiorno. Stavamo andando a mangiare quel poco che c’era, bombardamento, allora in cantina, come rifugio, andavamo in cantina così, era rifugio antiaereo, pensi che in qui, nel rifugio c’era tutta la segatura perché scaldava segatura quelle stufe grosse. Si metteva la segatura, riempiva e si scaldava con quello lì, e c’era tutta la segatura in cantina, noi eravamo sopra la segatura ma se s’incendia bruciavamo tutti, chi ci pensava? Beh comunque vada, è passata, passata e i bombardamenti, non, sì, si sentivano da lontano perché dal ponte a noi, gli Artigianelli c’era una distanza che, non, qualche scheggia è volata fino in cortile, le bombe erano talmente forti, eh. C’era un, uno, un nostro fratello lì, Borghesi, che stava scopando il cortile erano tutte delle schegge ma non l’han preso lui, no, è rimasto sano. È durata per otto giorni, una settimana intera, tutti bombardamenti, sempre a mezzogiorno e ci siamo salvati diciamo.
FS: [unclear] che venivano gli inglesi da noi a Pavia, chi erano? Gli aerei, gli aerei erano americani?
CC: Americani, americani.
FS: Americani.
CC: Americani, non lo so se, comunque se, mi dicevano che erano americani. A Pavia poi di notte c’era il Pippo, cosiddetto Pippo che lanciava giù una bomba dove c’erano le luci. ‘Spegnete tutte le luci!’ urlavano, perché se vedevano una luce lanciavano giù le bombe, le bombette piccole. Tant’è vero che mia zia che abitava in Piazza Petrarca ha preso quella bomba proprio la facciata del, adesso c’è il cosiddetto, l’Annunziata, la sala dell’Annunziata e ha preso una facciata, hanno mostrato il buco. Mia zia che abitava lì di fronte in Piazza Petrarca dallo scoppio è caduta dal letto [laughs]. Si è spaventata a morte anche lei, zia carissima perché era tanto brava quando avevo fame, andavo a trovare qualcosa da lei, c’era poco da mangiare. Io per fortuna ero ben voluto e alle volte mi mandavano col furgoncino a portare i panni a lavare in un posto lì vicino, San Paolo perché c’è il, come si chiama quel fiume lì, la Vernavola e lì c’era uno, no, a San Paolo che faceva da lavanderia, lavava tutti i panni e io lo portavo col furgoncino però avevo qualche soldino, fermavo tutti i panettieri e cercavo da mangiare. La fame era troppa. Ho pianto due o tre volte per la fame, senza farmi vedere, ma la fame era troppa. In tempo di guerra, la tessera su tutto, si staccava il tagliandino per andare a fare la spesa, la tessera con tutti i bollini. Tutto il mese, bollino e dopo, da mangiare c’era pochissimo. Poi lì fuori negli Artigianelli abbiamo, ho, mettevo, trovano subito il lavoro loro, man trovato in posto, ho incominciato ad andare a lavorare, e per divertirci, quel che girava non c’era niente, allora cosa ho fatto? Abbiamo fatto una compagnia del teatro, messo in piedi una compagnia, andavamo in giro negli oratori, nelle parrocchie a fare le recite e ho conosciuto mia moglie. Venuto lì, conoscete le, eravamo là [unclear] a far la e passano loro in tre, tre ragazze, e dico, ma guardano ‘Ma perché non entrate? ‘Non abbiamo i soldi per entrare’, perché facevamo pagare il biglietto. Beh, venite dentro, ci sono ancora tre posti, ve li offro io. E sono entrati. Era bello, recitavamo bene e lei lì da cosa nasce cosa, ci siamo incontrati e dopo sessantasei anni sono ancora qui, assieme alla moglie [laughs]. Insomma, se posso.
FA: No, una domanda, quando venivano, ha detto che venivano?
CC: I bombardamenti.
FA: Verso mezzogiorno ha detto
CC: Verso mezzogiorno.
FA: Ma suonava la sirena?
CC: Sì, suonava, la sirena suonava sempre quando c’erano gli aerei in giro. Poi facevano il primo segnale come per avvertire che stavano arrivando gli aerei poi alla fine un altro colpo di sirena per annunciare che non c’era più pericolo, andavano via. Suonava sempre la sirena, per l’allarme.
FA: Si, si.
CC: Anche lì naturalmente prima di venire, un’oretta prima circa, suonava l’allarme. C’era la sirena che c’è lì in piazza, dove c’è la, cos’è il palazzo del governo, cosiddetto qui a Pavia, lì c’era la sirena, su in alto e suonava forte, si sentiva tutta Pavia.
FA: A Palazzo Mezzabarba?
FS: No.
CC: No.
FS: Piazza Italia.
CC: Lì, dove c’è
FS: Piazza Italia.
CC: Piazza Italia.
FA: Ah, la provincia.
CC: Lì c’è quel palazzone lì.
FA: Ah. Ho capito.
CC: Ecco, là sopra c’era la sirena. Suonava fortissimo. Si sentiva in tutta la città.
FA: Ah, per tutta la città.
CC: Sì, sì.
FS: Anche io a quindici chilometri sentivo.
CC: E allora quando stavano arrivando suonava per avvertire che andate in rifugio non lo so, mettetevi in salvo perchè stanno arrivando. Non si sa se bombardano o no, nessuno lo sa, cosa fanno quelli lì, che arrivano gli aerei? Eh beh, lì, suonava sempre la sirena, anche quando sono venuti per il ponte. Avvertivano sempre. Poi bombardavano, disastro ma. Poi alla fine
FS: Hanno bombardato.
CC: Ma durava una mezz’ora, circa una mezz’ora di bombardamenti. Poi dopo, alla fine suonavano le sirene per dire che è tutto finito, potete, potete uscire, mettervi [unclear]
FS: Anche la scuola qui hanno bombardato.
CC: Sì, questa qui la Pascoli.
FS: Coi bambini.
CC: Sono, ma non, no, lì c’era un aereo che stava precipitando perché era in avaria e aveva tutte le bombe su. Per scaricarsi, è venuto, cercava di andar fuori città.
FS: In mezzo alla campagna.
CC: Non in mezzo, è arrivato qui vicino alle scuole ha lanciato giù le bombe. Le scuole qui del Pascoli, Via Colesino, siamo noi, han distrutto metà scuola, però non c’erano i bambini erano appena usciti. Per fortuna non c’è stato
FS: Però le case popolari,
CC: C’erano le case popolari sono state settantotto morti mi pare, lì nelle case popolari perché ha scaricato le bombe quasi, poi è precipitato m’han detto verso Calebona. Un’altra volta c’era abbiamo visto, eravamo in cortile, abbiamo visto un aereo che arrivava da est e volava, aveva una fiammella e girava, man mano che andava la fiammella diventava grande. È arrivato su, verso sud, verso Genova e si sono visti tutti i paracaduti, insomma si sono buttati tutti poi l’aereo è scoppiato, abbiamo visto da lontano, scoppiati i paracaduti. Si sono, sono scesi e tutti gli aviatori lì
FS: è sempre [unclear]
CC: Gli aerei, un aereo americano e si sono persi per i campi, li hanno aiutati a salvarsi, a nascondersi, e l’aereo è precipitato lì. Mi ricordo bene perché io stavo per correre già in rifugio perché avevo una paura, e allora stavo per correre in rifugio quando ho visto quella scena lì, mi sono fermato a guardare anch’io, tutti gli ombrellini, i paracaduti che [unclear], scendevano. Poi dopo un momento è scoppiato l’aereo, andato in frantumi, si capisce che era, stava incendiandosi, si sono buttati, si sono salvati, uno solo che è morto perché non aveva il paracadute, è precipitato a San Martino, Martino Siccomario, è morto quello lì. Gli altri si sono salvati perché li hanno aiutati tutti i contadini lì, cercato di metterli in salvo, di farli andare anche nell’Oltrepò, sono riusciti a salvarli. Non ne hanno preso uno.
FA: Lei è andato a vedere poi dove è caduto?
CC: Siamo andati a vedere tutti i resti, abbiamo trovato tante di quelle pallottole, rotoli di pallottole, pezzi di aereo, uno ha trovato una cuffia addirittura da mettere su. E s’è frantumato, è andato tutto a pezzi. E siamo andati, quello era di giovedì, la domenica siamo andati a fare la passeggiata, abbiamo visto tutto il disastro che c’era. L’è una roba da far paura, cose che succedono purtroppo.
FA: Dove siete andati a fare questa passeggiata? Dov’è che avete visto?
CC: A San Martino.
FA: Ah, di là.
CC: Oltre San Martino verso il Po. Siamo andati, perché l’aereo è caduto quasi vicino al Po, più avanti di San Martino, ma dalla parte interna però non sulla strada.
FA: Ho capito.
CC: E abbiamo trovato tanti resti. Uomini non ce n’erano perché si sono salvati, li hanno fatti fuggire tutti, cercato di salvarli. Allora c’era già la psicosi degli alleati, così i fascisti sono corsi ma non hanno trovato, non hanno fatto in tempo a trovare nessuno. È stato un attimo.
FA: E invece ha visto in che condizioni diciamo era il Borgo Ticino?
CC: Eh, Borgo Ticino, non solo, prima qui a Calcinara han preso perché bombardando il ponte han preso una parte di Calcinara prima, una parte di Porta Nuova, lì c’era la batteria di colombi (?) sul Naviglio l’han distrutto e perché non riuscivano a colpire bene. Dicono che il Ticino fa un curva venendo in città dalla, dalla.
FS: Ponte dell’Impero.
CC: Sì, più ancora, Ponte della Ferrovia. Il Ponte della Ferrovia in un primo bombardamento l’hanno distrutto in un attimo, subito in pieno, sono rimasti i piloni e basta. Poi, invece questo qui
FS: Ponte Vecchio.
CC: Il Ponte del, cosiddetto dell’Impero, perché l’han fatto far su Mussolini, la prima arcata verso il borgo l’hanno centrato in pieno, è caduta e basta. Ponte interrotto, non venivano più. Però venivano col Ponte Coperto, non riuscivano a buttarlo giù. Dopo la settimana finalmente [unclear] a continuare a bombardare, han preso il Borgo anche lì, la parte del borgo dopo il ponte, han distrutto anche lì, ci sono stati morti anche lì. Un giorno sono andati anche più avanti del Borgo Ticino, verso
FS: Verso il Po.
CC: Canarazzo (?), no prima, e lì un aereo ha lanciato giù una bomba perché lì c’erano tutta la gente andava a nascondersi sotto un tunnel di un ponte. La bomba ha proprio centrato quel tunnel lì e c’erano dentro un quaranta, cinquanta persone, tutte frantumate, oltre tutto c’era dentro un professore che veniva a insegnare nella nostra scuola degli Artigianelli, noi abbiamo fatto le medie agli Artigianelli poi abbiamo dato l’esame fuori come privatisti, io ho fatto quello, la terza media l’ho fatta dando fuori i [unclear], lì abbiamo fatto l’esame sono passato, ho preso la terza media. Altro non ho potuto andare avanti perché ci si fermava alla terza media, era fin troppo a quei tempi là, nel ’50, ’45.
FS: ’45.
CC: Nel ’43, nel ’42 ho il diploma di terza media, nel ’42.
FA: Ho capito. Si ricorda il suono della sirena?
CC: Il?
FA: Il suono della sirena.
CC: Fortissimo, non saprei come dirla, proprio come un urlo.
FS: Una tromba prolungata.
CC: Sembrava un urlo, [mimics the sound of the siren] che calava, proprio sembrava una cosa che calava, ma fortissimo e durava.
FS: Mi veniva la pelle d’oca.
CC: Trenta metri, trenta secondi il preallarme, poi
FS: L’allarme di più.
CC: L’allarme, e poi alla fine quando avevano finito risuonava ancora per dare il segnale che era tutto finito. Ricordo perfettamente quel, ma un rumore che assordava le orecchie perché faceva [mimics the sound of the siren]! Ma fortissimo.
FA: Molto fastidioso insomma.
CC: Fastidioso, molto. Però avvertivano di mettersi al riparo. Possibilmente. Il riparo, a Pavia rifugi non ce n’erano, le cantine, andavi in cantina era il rifugio. Mettevano dei pali per rinforzare un pochino ma se colpiva la bomba andava giù tutto [laughs].
FS: Però non ha fatto tanti danni a
CC: Eh no, Calcinara, ha distrutto Calcinara e ce n’erano di gente lì. Proprio completamente rasa. Poi il Borgo Ticino lo stesso dopo il Ponte ha distrutto completamente un bel po’
FS: Il Carducci
CC: Fino a metà borgo
FS: Nino, racconta del Carducci, che c’erano tutti i soldati esteri.
CC: Ah? No, ah sì, ah sì perché noi essendo in Istituto eravamo in collegio, si viveva solo lì, la nostra vita era dentro lì sempre. Ci si alzava presto, si andava in chiesa a dire, sentire la messa, poi s’incominciava, si andava a fare colazione, poi si andava subito in officina a lavorare, subito. Poi, fino a mezzogiorno, si mangiava poi si andava ancora al lavoro, si faceva la ricreazione un’oretta poi si andava al lavoro. Fino alle quattro, alle quattro si andava sopra e a studiare c’era la scuola, prima un po’ di studio poi venivano i professori da fuori a insegnare per fare la terza media e arrivammo lì. Lì in Istituto c’era la Via Fratelli Cremona che confina con la scuola Carducci e a un certo punto, nel ’44, circa, hanno messo dentro, i tedeschi hanno messo dentro i mongoli, prigionieri russi, chi lo sa da dove venivano, prigionieri che hanno fatto in Russia. Li hanno messi lì e hanno messo tutto il filo spinato in mezzo alla via, tutta la via, tutto intorno al Carducci, per non farli fuggire. Poi li mandavano su, a fare i rastrellamenti nelle colline.
FS: Nelle colline.
CC: Quella gente lì. Gente di poca fede perché erano, hanno lottato per il nazismo ma non erano se andavano indietro poi li fucilavano, li fucilavano tutti. [Eh, se li. Noi eravamo dentro, loro avevano le pagnotte e noi eravamo là, ‘Ma dammi una pagnotta, abbiamo fame!’. Cercavano di tirargli ma non si poteva [laughs].
FS: Perché loro avevano.
CC: Perché noi abbiamo tutti i finestroni, abbiamo tutti i finestroni che davano sulla Via Fratelli Carboni, stando su in alto, la scuola diciamo, scuola e dormitori. e vedere quella gente lì con le pagnotte, avevamo fame, facevamo i segni ma per noi era gente brava, non era cattiva. Mongoli non lo so, dicevano mongoli.
FA: Ma quindi li avete visti proprio bene loro, in faccia?
CC: Sì, sì, sì, eh, si parlava, cioè si cercava di dire qualcosa, non si capiva niente però.
FA: Erano scuri o erano, come carnagione?
CC: No, giallastri.
FA: Olivastri.
FS: Avevano tutti
CC: Olivastri.
FS: Avevano tutti una coda.
CC: No, no.
FS: No?
CC: Quelli no, quelli erano, quelli che erano giù a, con i mitraglieri per difendersi dagli aerei ma mai ciapà un aereoplano.
FA: Si ricorda dove erano le, queste difese antiaeree?
CC: Le, giù al Ticino, appena giù dal ponte c’erano le postazioni delle mitragliere. Per gli aerei, ma non, ma.
FA: E chi c’era dentro, italiani o tedeschi?
CC: No, no, no, non tedeschi, mandavano indiani più che altro.
FS: Ecco.
CC: Cioè gente che era con i tedeschi. Ma perché erano loro che prima siamo stati lì fino alla fine della guerra perché nel ’45 quando è finita la guerra, ’45 era 25 aprile. Sono arrivati i partigiani a Pavia con diversi prigionieri tra i quali un nostro amico che era negli Artigianelli, è scappato, è andato nelle fiamme bianche, che chiamavano, sono paramilitari tedeschi, ragazzi, è andato su a fare i rastrellamenti. Poi l’han preso alla fine della guerra, l’han fucilato anche lui. Un certo Scolari, mi ricordo il nome. Un altro [unclear] l’hanno messo in castello prigioniero poi, era di Voghera, poi l’hanno mandato a casa sua. Non c’han fatto niente ma questo qui l’han preso a Stradella, vicino al cimitero li han messi là, sette, otto partigiani, li hanno fucilati. E c’era dentro quel nostro amico. Aveva diciassette, sedici, diciassette anni, poverino, mi ricordo, ricordo sempre, Scolari si chiamava.
FA: Scolari.
CC: [sighs] purtroppo.
FS: No, la guerra, speriamo che non avvenga più. Tremendo.
CC: Eh, la guerra, la guerra, è tremenda la guerra. [unclear] è venuta la liberazione, la festa. Tutti gli aerei [unclear], tutti gli aerei, sopra il 25 aprile quando hanno arrestato Mussolini, l’hanno ammazzato proprio il giorno che io compio gli anni. Il 28 aprile l’hanno fucilato a Dongo. Poi l’hanno portato a Milano, l’hanno appeso. Figura orrenda, da non dire perché è stata una bestialità quella, per mio conto. Non posso vedere quelle cose da nessuna parte.
FA: Certo.
CC: Io sono per il quieto vivere, per andar d’accordo con tutti, per avere l’armonia con tutti. Non l’odio, cosa vuol dire l’odio? Non vuol dire niente l’odio, assolutamente no. Vivere in pace con tutti. Come adesso, quello che succede. No, son cose da non dire.
FA: Certo. Avrei ancora una domanda.
CC: Sì.
FA: Si ricorda nel, quando andavate in rifugio, suonava la sirena, andavate in rifugio, come si confrontava con i suoi compagni?
CC: Ma no, eravamo, si giocava. Eravamo, andavamo giù quando suonava l’allarme, bisognava andare in rifugio. E tutti assieme in mezzo alla segatura, si giocava, sì, sì, si scherzava, si giocava, non avevamo paura, no, no, giù da basso non avevamo paura, ci sentivamo tranquilli, non lo so, niente.
FA: Niente.
CC: Mi ricordo una volta sola che siamo andati, meno male che siamo andati quando è suonata l’allarme perché? Perché c’era l’invasione delle cimici. Eravamo in camerata, le cimici si arrampicavano, venivano su, a metà si lanciavano giù addosso al letto quelle cimici rosse.
FS: [laughs] Poveri ragazzi.
CC: Eravamo molestati in un modo tremendo. Meno male che tu dici ‘Suona l’allarme, andiamo in rifugio, queste bestie almeno non ci sono’. Poi cos’hanno fatto? Hanno chiuso e hanno mandato dentro il disinfettante, l’hanno chiuso, sigillato, messo dentro il gas per farli morire. Ma ce n’era un invasione, ma enorme, di una quantità, tutte le cimici. Ma si arrampicavano, s’arrampicavano sul muro, arrivavano su, a metà sul tetto e blump! Si lanciavano giù. Una roba incredibile, una roba da , davano fastidio perché mordevano, eh sì. Ma nel rifugio noi non avevamo niente, stavamo bene, si giocava, non avevamo neanche per la mente.
FA: Anche gli adulti erano tranquilli diciamo o loro più?
CC: Sì, ma gli adulti, no, no, tutti tranquilli, ma gli adulti al massimo eravamo noi, io avevo diciassette anni già, nel ’44, che hanno bombardato nel ’44 a settembre, sempre tutta una settimana di bombardamenti per il ponte, ma va
FA: Ma i padri, i preti venivano sotto anche loro?
CC: Sì, sì, tutti, tutti, i nostri assistenti insieme a noi perché dovevano curarli sti bambini. Perché noi avevamo in camerata, avevamo un assistente in ogni camerata. Camerate erano di circa venti alunni, penso una camerata, forse c’è sul libro, una camerata di venti ragazzi e c’era l’assistente che curava tutti i ragazzi. Perché lì si andava a dormire alle nove, nove e mezza, e poi al mattino si alzava alle sei e mezza, andavamo a lavarci, pulirci, fare la, e poi si faceva il letto, e dovevamo fare il letto, per forza di cose. Poi fatto tutto andavamo giù in chiesa, a dire la coroncina, poi c’era la messa. Poi si andava a fare colazione, la giornata era così, a far colazione, via colazione, si andava al lavoro nelle officine. La sera alle quattro c’era lo studio, si andava a mangiare, poi si giocava, un po’ di ricreazione. Ricreazione in cosa consisteva? Non si poteva giocare a pallone, a calcio, no, solo pallacanestro, pallavolo, c’era un coso per la pallavolo, o altri giochi, la palla avvelenata, che era tremenda, un gioco tremendo, pallina, ci si lanciava uno contro l’altro perché ci si stava negli angoli, poi magari correvo per evitare, tac! Una [unclear] oh ma faceva male. In principio avevo una paura tremenda poi ho imparato, ero il più svelto di tutti.
FS: Svelto.
CC: Poi un altro gioco i battenti, mettevano, si giocava una specie di staffetta coi battenti, bastoncini piatti e si mettevano un po’ qui
FS: [laughs]
perché si picchiava sul sedere
FS: [laughs]
e allora coi battenti te lo riparavi. [laughs]. Giaco, sempre addosso ai nostri assistenti, i più grandi, batti. Eh, che bello. E insomma.
FS: Questa è la sua gioventù.
Poi lì a, negli Artigianelli si stampava il Ticino, c’era la tipografia che era la più bella di Pavia, stampava il Ticino e noi piccolini, prima quando sono entrato
FS: [unclear]
s’andava, c’era una camerata e si piegava il Ticino, si piegava in quattro parti perché poi si faceva il pacco, si legava e veniva spedito alle parrocchie, tutta la diocesi, si preparava tutti i pacchi.
FA: Era il giornale della diocesi? Era il giornale della diocesi?
CC: Sì, c’è ancora adesso, c’è ancora adesso il Ticino. Lo vendono in edicola.
FS: E anche nelle parrocchie.
CC: Sì, anche nelle parrocchie. E lo consegnano ancora.
FS: Parrocchie e
CC: Ma adesso non lo so dove lo fanno. Forse, no lo fanno al Pinne, il Pinne fa questi libri, un nostro amico, qusto qui che ha fatto questi libri è Pisati
FA: L’ho conosciuto sì il Pisati.
FS: Pisati, l’ha conosciuto?
FA: Sì.
CC: Ha conosciuto il Pisati?
FA: Sì.
CC: È bravissimo. Pisati è un mio carissimo amico.
FA: Più giovane però. È più giovane.
CC: Sì, più giovane. Lui ha ancora la ditta, sono due o tre soci mi pare. Ma è bravo Pisati e io ho avuto bisogno tante volte dopo. Eravamo al bar e facevo stampare tutti i manifesti, tutto quello che avevo bisogno.
FA: Va bene.
CC: Questo qui, noi si fa il giornalino e l‘lntrepido lo stampa.
FA: Sì, sì, sì.
CC: E il giornalino a gratis sempre. Le spese di una stretta di man. Bravissimo Pisati, ragazzo d’oro.
FA: Va bene. Allora la ringraziamo per questa intervista.
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Title
A name given to the resource
Interview with Celestino Chiesa
Description
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Celestino Chiesa remembers his wartime memories as a schoolboy in Pavia, while he was attending the Artigianelli boarding school: food shortages; rationing; Pippo bombing at night; machine-gun nests along the Ticino river; a friend joining the Fascist militia; the bombing of Ponte Vecchio and Borgo Ticino. Stresses how the bombing of Pavia started after the 8 September 1943 armistice. Talks of when he was caught in strafing, and how the memory of the event still unsettles him. Retells of an aircraft jettisoning its bomb load before crashing and how he visited the wreckage site later on. Remembers the constant high-pitched sound of the siren. Describes the time spent in the basement, sitting on a sawdust pile, playing with his friends stressing how they weren’t afraid at all. Mentions his mixed feelings about the public display of Mussolini’s body.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Filippo Andi
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-02-10
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:36:23 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AChiesaC170210
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Po River Valley
Italy--Pavia
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1943-09
1943-09-08
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Publisher
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bombing
childhood in wartime
home front
Mussolini, Benito (1883-1945)
Pippo
shelter
strafing
-
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064673f6b5c2f1b27d262972362b71cc
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Title
A name given to the resource
Intropido, Carluccio
Carluccio Intropido
Carlo Intropido
C Intropido
Description
An account of the resource
One oral history interview with Carluccio Intropido, who remembers his wartime experiences in Pavia.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-01-25
Rights
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Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Intropido, C
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
FA: Carlo vuole raccontarci la sua infanzia, gli avvenimenti.
CI: Volentieri, volentieri, son cose che mi sono capitate nella mia vita per cui non c’è niente da nascondere. Sono Carlo Intropido, sono nato da una famiglia contadina in un periodo di pace appena dopo i tre giorni della merla, nel freddo inverno del 1931 ed è per quello che son sempre pien di freddo. Il destino ha voluto di restare orfano prima di padre poi di madre, all’età di 10 e 11 anni. Sono stato parcheggiato in un istituto, vero? Molto accogliente, lì si lavorava, si studiava, e si imparava un’arte: era il 1941, proprio all’inizio della seconda guerra mondiale. I tempi erano quello che erano, si soffriva anche un po’ di fame, il cibo mancava però il lavoro c’era, e io mi sono sempre dato da fare, ho imparato l’arte del fare il falegname. E la vita d’istituto era tranquilla: di giorno si studiava, si lavorava, alla domenica si andava a far la gitarella. Quel giorno avevamo deciso di fare quattro salti da Pavia a Certosa, la famosa Certosa di Pavia, un gruppetto, una ventina di ragazzi, quasi tutti coetanei, avevamo su la nostra bella divisa, pantaloncini corti e maglione azzurro. Ci siamo incamminati, giunti all’inizio di via Brambilla, che è la strada che porta da Pavia a Milano, vero? Abbiamo notato quattro caccia americani, inglesi, ma oramai noi eravamo abituati perché tutti i giorni è la stessa cosa, tutti i giorni c’era una confusione di aerei, pochi o tanti, che sorvolavano Pavia e andavano a bombardare Milano, quindi per noi è una cosa quasi normale. Purtroppo, improvvisamente quello di testa, vero? Ha virato a sinistra, è sceso giù in picchiata, gli altri lo han seguito. Son passate proprio sopra di noi vero? E hanno sganciato le bombe, nel frattempo noi impauriti ci siamo scaraventati giù per la scarpata tra la strada e la ferrovia, proprio dove le bombe son cadute. Io personalmente ho visto le bombe a pochi metri dalla testa che scendevano e andavano a colpire la ferrovia, è stato un po’ di panico. Passati i primi, i primi quattro passaggi vero? Ci siamo quasi tutti immedesimati, abbiamo attraversato la strada, dall’altra parte della strada c’è il Navigliaccio, un corso d’acqua che da Milano arriva verso Pavia e va a finire nel Naviglio vero? Lì abbiamo traversato e non sappiamo come perché è, era un ponticello che attraversava il fiume, fiumicello a trasporto di un fosso, è una condotta d’acqua larga circa un metro e noi l’abbiamo attraversato tutti senza paura. Forse è la paura che c’ha c’ha dato il coraggio di fare questa azione. Ci siam ritrovati tutti insieme, dall’altra parte e abbiam deciso di proseguire la nostra, la nostra gitarella. Siamo andati oltre il, l’ospedale policlinico San Matteo che è lì vero? Siamo andati verso il campo della Madonnina dove c’era il campo sportivo di calcio, dove lo frequentavamo anche noi, tutti gli oratori di Pavia. Arrivata poi l’ora un po’ tarda, nel tornare il nostro assistente ha deciso di tornare sui nostri passi e vedere un po’ che cosa era successo. Siamo andati ancora sulla zona e con grande sorpresa abbiamo visto la scarpata dove noi eravamo precipitati per nasconderci era tempestata di spezzoni incendiari, ce n’era qualcuno ancora qualcuno ancora acceso proprio, tant’è vero che qualcuno l’abbiamo portato anche a casa, così tanto per ricordo. Fa niente se [unclear]? Abbiamo saputo, tornando a casa dopo, che un gruppo sempre del nostro istituto, ragazzi di età più avanzata della nostra hanno subito un mitragliamento, quasi al centro della città, nella zona dove c’era il consorzio agrario. Si vede che gli aerei in picchiata nello sganciare le bombe han fatto anche dei mitragliamenti, proprio i nostri amici han dovuto subire questa circostanza, nessuno si è fatto male, tutto è andato bene, per buona fortuna. Vedi adesso io ho perso la la memoria, fa niente beh la sosta dopo lo ricongiungi te, fa niente se faccio delle soste.
FA: Sì, va benissimo.
CI: Devo pensare, adesso dove sono arrivato io.
FA: Allora prima della pausa ci stava dicendo del mitragliamento.
CI: Nei giorni successivi, mentre stavamo in ricreazione in mezzo al cortile nel nostro istituto, in via Fratelli Cremona, abbiamo notato un nutrito stormo di aerei diretti verso Milano, era ormai un’abitudine, tutti i giorni passavano, quel giorno però capitò un caso strano: un aereo incominciò a fumare, proprio sopra il nostro cortile, ovviamente in alto dove si trovava. Questo aereo improvvisamente ha fatto una virata, si è girato e ha fatto ritorno da dove stava per arrivare, da dove stava arrivando. Improvvisamente il fuoco ha invaso l’aereo, oramai era quasi fuori dalla nostra vista, era sopra Tre Re circa diciamo, vero? Paesino appena fuori Pavia. Abbiam notato una cosa strana, mentre precipitava, dei paracaduti si allontanavano dall’aereo e scendevano, uno a destra e uno a sinistra, uno a destra e uno a sinistra. Abbiamo saputo dopo che questi paracadutisti sono stati protetti, raccolti dalla cittadinanza e poi accompagnati in Svizzera, hanno evitato di essere catturati dai tedeschi che occupavano in quel periodo l’Italia. Uno solo è stato catturato: combinazione è caduto in mezzo a un reticolato, si è ferito, quello è stato catturato. Qualche giorno dopo il nostro accompagnatore ha voluto portarci nella zona dove era caduto l’aereo, questo aereo era carico di bombe e prima di cadere a terra è scoppiato, son scoppiate tutte le bombe per cui ha invaso un’estensione enorme quindi c’erano sparsi oggetti frammenti. Abbiam notato un motore collocato su un gelso, chissà com’era finito sopra lì io non riesco a capirlo, vero? Comunque girando qualcuno di noi ha trovato degli oggetti interessanti, un mio amico ha trovato una cassettina metallica con dentro dei, dei prodotti sanitari, delle bende, dei cerotti, dell’alcool, e così via. Io personalmente ho trovato un cappellino militare, di quelli fatti in pelo in pelle col pelo, con l’aletta davanti, col copri orecchie che si poteva staccare e riattaccare al centro in alto, l’ho preso, me lo son nascosto e poi l’ho portato a casa. Questo cappellino ha fatto per me una storia perché quando sono andato a militare qualche anno dopo a 21 anni, la mia mansione era fare il motociclista e io tranquillamente toglievo il berrettino militare e mi mettevo su il mio bel berrettino di cuoio, di di pelo, era per me un po’ un hobby. [long pause] Non so più cosa dire dopo, perché non sono più fresco con la memoria, se mi metto lì a scrivere scrivo e via, ma così all’improvviso mi sfuggono le cose, vero? Militare, personalmente volevo ricordare, ah ecco, una, è acceso? Una cosa vorrei dire che mi è rimasta impressa, per me quei militari aeronautici inglesi o americani che erano, per me sono stati degli eroi, perché se sganciavano le bombe appena ha incominciato l’aereo a far fumo, purtroppo ci andava di mezzo mezza città e tutto il borgo Ticino, invece non hanno scoppiato le bombe ed è per quello che sono scoppiate prima di toccare terra l’aereo in picchiata, quindi per me sono stati degli eroi, forse l’han fatto di proposito, forse è stato nel panico, io non lo so, comunque sia hanno salvato mezza città con la loro azione eh così [long pause]. Ah ecco adesso qui incomincio l’altra, l’altra faccenda, non sono fresco oggi di di, casomai poi lo rifacciamo. Un’altra cosa vorrei dire, tanto per mettere le cose in chiaro: Pavia come altre città, salvo l’intervento di piccoli casi, non è stata liberata dai partigiani come si vorrebbe far credere, Pavia è stata liberata dai pavesi, cittadini pavesi, che son rimasto nell’anonimato, perché erano gente preparati nell’arte della guerra in quanto c’erano, c’era un tenente pilota che era un mio caro amico, vero? Pilota di caccia, che era, non era nei partigiani ma era uno sbandato lì nascosto in collegio dove aveva anche una radio trasmittente e trasmetteva con la RAF e mettendo in contatto i partigiani dell’Oltrepò pavese e del di altre zone collinarie e dei partigiani in giro per l’Alt’Italia. Questo qui, insieme a due cappellani militari, che conoscevo anche io perché erano nascosti nel nostro istituto, con l’appoggio della, della curia vescovile, hanno iniziato ad occupare la prefettura con il buon accordo del prefetto che allora non si chiamava prefetto, si chiamava, come si chiamava? Beh comunque era il personaggio che rappresentava la nazione, l’Italia insomma, allora c’erano ancora i fascisti praticamente, c’era ancora la repubblica, la repubblica di Mussolini, la Repubblica di Salò vero? Insieme ad altre persone che io non conosco hanno iniziato a liberare prima la prefettura e dopo gradualmente hanno armato 10 o 12 ferrovieri i quali avevano il benestare da circolare, avevano il permesso in quanto in servizio per la ferrovia sotto il comando tedesco quindi loro erano liberi di circolare mentre gli altri, tutti gli altri cittadini non potevano circolare, c’era il coprifuoco alle sette di sera tutti a casa, non c’era più nessuno che si muoveva da casa. Loro potevano, quindi sono stati arruolati sempre in buon accordo, vero? E hanno poco a poco disarmato tutte le altre caserme, dalle più piccole alle più grandi, è rimasto poi alla fine il castello. Il castello era un po’, c’erano i prigionieri, i partigiani, era un po’ il comando dei tedeschi, e lì è stata dura, però questi nostri bravi liberatori di Pavia competenti del mestiere c’han saputo fare, son riusciti a convincere una batteria antiaerea che si trovava in periferia di Pavia, nei pressi del ponte dell’Impero, han fatto credere che il castello era occupato dai partigiani, vero? E li hanno invitati con dei cannoncini antiaerei a bombardare il castello, quindi a bombardare direttamente i loro colleghi tedeschi, c’è stato un po’ di parapiglia. Nello stesso tempo son riusciti anche a deviare una colonna militare tedesca che era in fuga da Vercelli verso Pavia dove erano diretti forse per fare anche un concentramento, a deviarli dicendo che Pavia era già tutta occupata, tedeschi non ce n’erano più quindi quel battaglione ha cambiato direzione, non si sa dove sia andato. [pause] Allora, qualche giorno dopo la liberazione di Pavia, sono arrivati i partigiani, io ricordo mi trovavo sul piazzale del Ponte Vecchio di Pavia, lì proprio di fronte alla alla pasticceria eeeh.
FA: Pampanini.
CI: Pampanini, proprio di fronte alla pasticceria Pampanini, gelateria Pampanini vero? Dove esiste ancora tutt’oggi, vero? E ho notato un gruppetto di persone un po’ mal vestite, un po’ malconce ma armate fino ai denti. Si son messi in fila, il comandante ha dato l’ordine e son partiti verso il corso Vittorio Emanuele, così si chiamava, adesso è corso Strada Nuova. E sono entrati in Pavia come conquistatori, purtroppo la città era già stata liberata, Pavia è stata liberata senza nessun incidente, senza nessun morto, neanche un colpo di fucile, neanche i partigiani han dovuto sparare un colpo. Ovviamente dopo han fatto qualche piccola vendetta, qualcuno c’è andato di mezzo ma cose da poco diciamo e così si pensa che Pavia sia stata liberata dai partigiani, non è vero! Poi cos’è che dovrei dire? Cos’è dopo? Ah niente finisce qui.
FA: No una domanda Carlo, ha qualche ricordo dei, degli altri diciamo bombardamenti avvenuti sulla città, magari sulla zona del Borgo Ticino?
CI: Sì! Allora posso raccontare che quasi tutte le notti suonava l’allarme, è acceso? Quasi tutte le notti suonava l’allarme e c’era da precipitarsi in cantina, noi avevamo una cantina nella parte vecchia dell’istituto, era una vecchia cantina tutta puntellata, e ci trovavamo lì, vero? Fin quando suonava il via libera. In quelle circostanze, son capitate delle volte che i muri tremavano, noi eravamo ragazzi io avevo 14 anni, vero? E è capitato anche si sapere il giorno dopo che nei bombardamenti che han fatto per distruggerei i ponti a Pavia, che hanno dovuto continuare per sei o sette turni. Perché nel primo turno han buttato giù il ponte della ferrovia completamente, nel secondo è caduta un’arcata del Ponte dell’Impero, mentre invece il Ponte Vecchio non è mai stato centrato perché gli aerei seguivano la direzione del fiume ma non riuscendo a colpirlo han deciso di cambiare manovra, l’han preso per il traverso per cui le bombe hanno colpito anche le case prima e dopo il ponte distruggendo anche il ponte ovviamente, l’han distrutto completamente, quello è stato l’ultimo. In un altro bombardamento, una bomba sfuggita alla alla dalla zona destinata, caduta in mezzo a un bosco dove proprio si trovava un gruppo di rifugiati, nascosti in una tomba, in un tombone, vero? Due bombe son cadute, una a destra e una a sinistra di questo tombone, li han schiacciati dentro tutti come delle sardine, è stato un disastro. Questo fosso di chiamava “Acuanegra” per cui è ricordato come la tragedia della tomba dell’acqua negra, in Borgo Ticino.
FA: Carlo si ricorda che rumore faceva, che rumore faceva la sirena?
CI: Bah, che rumore faceva? Come si fa a riprodurre una eh una sirena? Non avrei, non ho una, per dar indicazione che ricorda il suono della sirena, cioè non c’è niente che lo ricorda perché le sirene non ce ne sono più come suonavano allora, non le ho più sentite dopo, non ho più avuto l’occasione dopo le sirene che usavano per i bombardamenti, preavvisi per i bombardamenti, non l’ho più sentita.
FA: Era, era diversa la sirena che segnalava l’arrivo dei bombardieri e quella che segnalava…
CI: No no era sempre la stessa.
FA: Sempre la stessa.
CI: Suonavano suonavano, quando suonava l’allarme vero? Era il segnale che arrivavano i bombardieri, quindi c’era da fare il fuggi fuggi, poi quando c’era la la, il passato pericolo, la sirena suonava ancora e si capiva che si poteva ritornare in piena libertà.
FA: E coi suoi, coi suoi compagni all’istituto cosa provavate, cosa, si ricorda qualcosa, cosa vi dicevate?
CI: Eh eravamo giovani e quando si è giovani le decisioni le si prendono un po’alla leggera, senza paura, non è che ero un coraggio, era una cosa naturale, e poi in quel periodo c’era la paura della guerra. La guerra anche non l’abbiamo passata al fronte è sempre guerra, certe cose eh si sopportano tranquillamente senza pensieri, poi quando si è giovani, si è spensierati non si pensano a quelle cose lì. Si pensa a divertirsi, giocare e stare bene in particolar modo in quel periodo noi pensavamo sempre a mangiare qualcosa, eravamo sempre pien di fame, i nostri pasti quasi quasi sempre si concludevano in un piatto di patate o di castagne secche cotte nell’acqua. C’è qualcos’altro che mi vuoi chiedere? Adesso lo sentiamo casomai lo rifacciamo.
FA: Eh prima della pausa Carlo, stavamo dicendo, si ricorda i nomi dei due cappellani militari che nominava prima?
CI: No no, erano segreti purtroppo, non mi ricordo, adesso è passato tanto tempo e non mi ricordo comunque sono sicuro che i nomi non li sapevo, sapevo solo quello del nostro ex-Artigianello, il tenente pilota, si chiamava Mario Cecchetti, vero? Ma dei cappellani non, non ho nessun ricordo dei nomi. Mi ricordo che uno era molto affabile, veniva a giocare anche a pallone insieme a noi, e ci ha anche raccontato che appena, appena c’è stata la disfatta lui è stato catturato un po’ dai fascisti ed è stato costretto a seguire come cappellano militare i fascisti che andavano a fare i rastrellamenti sulle montagne dei partigiani, ha raccontato che questi ragazzi, tutti ragazzi di 14-15 anni inconsapevoli di quello che facevano, non sapevano neanche usare le armi, non sapevano tirare la spoletta delle bombe a mano, non sapevano sparare il fucile e lui ha fatto da maestro un po’ a questi ragazzi a malincuore però ha dovuto farlo, la situazione era quella, appena ovviamente ha potuto è scappato ed è venuto a nascondersi lì agli Artigianelli. L’altro invece era un po’ più scorbutico, un tipo un po’ strano, un po’ stravagante, vero? Non diceva mai niente. Io mi ricordo che andavo a dire messa nei periodi che la chiesa era libera, andava a dire la sua messa e basta, e poi stava sempre nascosto. E poi ovviamente abbiam saputo che, ma solo noi l’abbiam saputo, questa è una storia che io penso che a Pavia non la si sappia neanche. La so io perché di prima persona vero? Ho potuto constatare le cose insomma, mi son capitate vicine, ho potuto parlare con questa gente che erano lì insomma.
FA: E vivevano con voi nell’istituto.
CI: Vivevano con noi, vivevano con noi, si erano nascosti lì da noi.
FA: E dove si nascondevano diciamo?
CI: Eh si nascondevano in nell’ala vecchia dell’istituto dove c’era un po’ di guardaroba, c’era un po’ di, quasi quasi era una zona un po’ isolata e non frequentata né dai ragazzi ma neanche dai superiori diciamo, lì tenevamo per esempio un mulino nascosto dove si macinava il grano che i contadini ci regalavano per la nostra sopravvivenza, avevamo un mulino che si macinava, si macinavano anche le castagne secche per far la farina, poi ci si arrangiava. E loro vivevano, c’era un piano terra, un primo piano, vivevano lì insomma ecco. E poi erano quelle cose che noi ragazzi non è che ci tenavamo a, non era il caso di andare a indagare come vivevano, cosa facevano, però erano lì con noi, noi eravamo protetti. Voglio dire una cosa: ero, tempo dei tedeschi, dell’occupazione tedesca, di fronte a noi c’era le scuole Carducci. Piano terra frequentavano ancora le scuole i ragazzi, al piano di sopra c’erano i mongoli, i mongoli erano prigionieri tedeschi ma li usavano per fare le, le sbandate nell’Oltrepò pavese a dare la caccia ai partigiani assieme ai fascisti, questi questi ragazzi vero? Erano anche loro prigionieri, dovevano fare quello che loro gli ordinavano, mi ricordo che aprivamo le finestre delle nostre camerate e loro ci lanciavano delle caramelle, gliele fornivano i tedeschi ovviamente come come pasto, in aggiunta al pasto erano delle bustine con dentro delle caramelle gommose, dieci o dodici caramelle con il cielo da una parte e dall’altra, trasparente delle delle come delle bustine diciamo e loro ce le lanciavano dentro le nostre finestre. Una volta c’è un altro ricordo, è la storia di Pippo. Pippo era un piccolo aereo che tutte le sere immancabilmente sorvolava Pavia. Si poteva mettere l’orologio a posto, non sbagliava, non sbagliava di un minuto, vero? Appena vedeva una luce lui sganciava una bombetta, ne ha sganciata una anche invia Fratelli Cremona proprio sotto le nostre camerate. Ha fatto un cratere di un metro circa di diametro con una profondità di 15, 20 centimetri, lì c’era un ciottolato di di sassi, vero? Una cosa da poco, però sganciava queste bombette, forse erano bombette piccole, era un preavviso, noi non abbiamo mai saputo se era un servizio dei tedeschi o se era contro i tedeschi, non lo abbiamo mai saputo, veniva a controllare le luci, quando vedeva una luce sganciava la sua bombetta, veniva tutti i giorni, tutti i giorni, tutti i giorni. Lo chiamavamo Pippo [laughs].
FA: Tutte, tutte le sere.
CI: Tutte le sere, tutte le sere. Aveva l’orario fisso [unclear]: arriva Pippo. Tac non sbagliava di un minuto.
FA: Quindi stavate al buio?
CI: Ah si eh sicuramente, e poi era l’orario del coprifuoco, nessuno si muoveva non c’era in giro nessuno e anche anche le luci, anche perché c’erano i sorvoli, i sorvoli degli anglo americani che andavano a bombardare Pavia, in quel periodo, quindi si cercava di tenere la città nascosta, di tenere le luci, senza luci, anche i lampioni della città erano spenti.
FA: Tutto spento.
CI: Malgrado tutto Pavia non è stata una città di bombardamenti, non so il perché, l’han bombardata esclusivamente per i ponti proprio alla fine alla fin fine, quando oramai la guerra per noi era quasi finita, gli americani stavano arrivando, erano già arrivati su verso il centro Italia per cui i tedeschi erano quasi in fuga e i ponti li han buttati giù per bloccare la fuga dei tedeschi praticamente. Ma oramai eravamo alla fine, alla fine del conflitto.
FA: Va bene, d’accordo, allora se non ha altro da aggiungere, la ringraziamo per l’intervista.
CI: Ma di quelle ce ne son tante, però cos’è che potrei dire, ricordi, ricordi. [pause] Ah volevo dire che di questi, di questi signori che hanno partecipato alla liberazione Pavia, son rimasti tutti nell’anonimato. Io sfido chiunque a dirmi un nome di chi ha liberato Pavia nessuno lo sa, perché eran tutti, eran tutti gente o militari, vero? O gente del clero che han preferito rimanere fuori dalla storia quindi si son resi tutti anonimi, non, nessuno lo sa chi erano, nessuno lo sa.
FA: D’accordo.
CI: Come come qualcuno è arrivato, io ho letto nel giornale, anche recente vero? Di qualcuno quando si parla della liberazione di Pavia, ho sentito qualcuno scrivere addirittura che i partigiani sono entrati con l’aiuto di un gruppo di finanzieri, forse si son sbagliati con ferrovieri perché le cose dette e ridette vengono magari anche confuse, io son sicuro che erano ferrovieri e non finanzieri ma però se ne dicono tante quindi accettiamo anche questa per buona. Un’altra storia ti posso raccontare, la storia di Mussolini, una mia storia anche quella, te la racconto? Allora mi trovavo assieme ad altri due amici a Rovescala. Allora si usava andare fuori città a mangiare pane e salame, oramai la guerra era finita da un po’ di anni, con questi miei amici siamo andati a mangiare pane e salame nell’osteria del Grison, in Rovescala, provincia di Pavia. Lì c’era un gruppetto che suonavano l’ocarina, sai cos’è l’ocarina?
FA: No.
CI: È una specie di flauto fatto in terracotta, ha un suono tutto particolare vero? Erano in quattro o cinque che suonavano l’ocarina, vero? E noi si mangiava e si parlava. Il discorso è caduto, non si sa come, sulla storia della fine di Mussolini e si diceva quello che ovviamente si sentiva in giro “L’han fermato a Dongo”, vero? Un gruppo di partigiani proprio dell’Oltrepò pavese hanno avuto l’incarico di andarlo a prendere, ed è vero che Mussolini l’han nascosto prima in una casa, poi in una seconda casa, lì sull’altura di Dongo e mentre parlavamo lì in osteria tranquillamente, stavamo discutendo di questa cosa, si avvicinò un signore di mezza età sulla quarantina, e ci dice: “Volete sapere la storia veramente com’è andata a finire? Ve la racconto io”. E noi siamo rimasti lì di stucco, vero? Ha incominciato fa “Io sono uno dei due che ha fatto la guardia a Mussolini nell’ultima notte. Allora Mussolini e la Petacci han chiesto, han chiesto alla, alla padrona di casa una coperta. Sono andati, la padrona di casa gli ha offerto la sua camera da letto, son andati a dormire e han cercato di chiudere la porta ma noi abbiamo avuto l’ordine di guardarli a vista, di tenerli, di controllarli a vista e ci abbiam detto “No no la porta rimane aperta”. Mussolini è stato così convincente con la sua abilità che ci ha convinto a tenerla chiusa, lui ha detto “Per la privacy, mia moglie…” e ci ha convinti tanto noi eravamo lì in una casetta isolata, vero? Abbiam lasciato chiuso e stavamo lì quasi quasi sonnecchiando a dir la verità. A un certo momento abbiam sentito un tonfo, abbiamo aperto la porta e lui non c’era più e c’era la finestra aperta. Ci siam precipitati fuori e l’abbiam visto che stava scendendo giù da una scarpata, ci abbiam dato l’ALT, due o tre volte, lui non ha risposto e ha continuato ad andare, abbiamo, uno di noi” e non ha detto né io, né l’altro, “Uno di noi” ha detto “Ha sparato un colpo di rivoltella non per colpirlo ma per fermarlo, purtroppo lui è caduto per terra, sono andati là e il colpo gli aveva preso proprio il collo, ovviamente c’è stato un subbuglio, anche gli altri partigiani che erano in zona sono arrivati lì, vero? E l’abbiamo portato su, era morto oramai, rantolava ancora ma oramai era era finito. L’abbiam portato su, abbiam fatto una fatica tremenda e dopo un po’ è arrivato un comandante partigiano, ci ha fatto giurare a tutti di non saper niente, ha portato via Mussolini, la Petacci e non sappiamo dove sono andati a finire. L’abbiam saputo dopo che li ha portati in una zona lì vicino e li ha fucilati. Ma non è vero, era già morto Mussolini, hanno ammazzato la Petacci, ma Mussolini era già morto. La rivoltella che ha ammazzato Mussolini, si trova parcheggiata a Casteggio, in una teca, ci si può informare e andare alla ricerca per vedere se è vero”. Questo è il racconto che ci ha fatto. Oh ovviamente poi è rimasto lì un po’ come per dire “Oh porco cane cosa ho fatto!?” ho detto una cosa che ero sotto giuramento e non devo, però non fa niente oramai non c’è più nessuno”. Perché questa storia ce l’ha raccontata eh tardivamente diciamo, non subito dopo, adesso non ricordo bene ma molto probabilmente tutti quelli che han partecipato forse non c’erano neanche più. E quindi ha detto “Mi raccomando ragazzi, dovete giurarmi che questa cosa non la raccontate a nessuno, e io ho rispettato il giuramento, non l’ho mai detto a nessuno. L’ho detto adesso ultimamente in questi ultimi anni perché oramai non c’è più nessuno di quelli, di quelli che hanno partecipato a quelle azioni lì non c’è nessuno, quindi non vado ad analizzare nessuno. Quindi lo posso raccontare: che sia vero, che sia non vero io la mano sul fuoco non ce la metto, però è quello che ho sentito raccontare.
FA: D’accordo.
CI: Dato che di storie sulla morte di Mussolini ne dicono tante, vero? Ma tante tante, quella vera non la si sa, nessuno la conosce, questa fa parte di una delle tante.
FA: Va bene, va bene, la ringraziamo Carlo.
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Interview with Carluccio Intropido
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Carluccio Intropido recalls his early life as an orphan studying in Pavia at the Artigianelli, a boarding school providing technical training. He recalls that children used to watch aircraft en route to Milan, until Pavia was bombed owing to the strategical value of their bridges. Recalls being caught under a bombing attack during a field trip, narrowly escaping death. Describes an aircraft on Pavia being hit and aircrew bailing out. One injured and captured, while others were spirited away to Switzerland by local people. Describes school children taken to the crash site and recalls an engine stuck atop a mulberry tree and debris scattered all around. Remembers people salvaging items, among them a first aid kit and a leather aircrew cap, the latter being used when the informant was later enlisted as an army despatch rider. Praises aircrew as heroes for refraining to drop bombs on Pavia when the aircraft was hit. Recalls the liberation of the city mentioning Mario Cecchetti - an insurgent manning a clandestine radio station - and two military chaplains hidden inside the school. Stresses how it was liberated in a non-violent way, mainly through ruse and suasion, and downplays the role of partisans. Describes how people taking shelter in a ditch (Tomba dell’acqua negra) were crushed by nearby explosions. Emphasises a light-hearted approach to war, describing hunger was feared more than the bombing. Recounts anecdotes of the ‘Mongols’ billeted at the school, troops captured by the Germans and deployed for anti-partisan operations. Recalls Pippo and describes its regular passages as being so accurate that people could check the clock against it. Emphasises its role as a black-out checker, in the context of curfew regulations but he was not sure if it was an Allied or Axis aircraft. Describes a post-war encounter with a person who claimed to know an alternative version of Mussolini’s death; he was killed during an escape attempt followed by a staged execution the day after.
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Italy--Po River Valley
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2017-01-25
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AIntropidoC170125
PIntropidoC1701
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bombing
childhood in wartime
fear
Mussolini, Benito (1883-1945)
perception of bombing war
Pippo
Resistance
shelter
shot down
strafing
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/448/7918/ASaraniR170325.2.mp3
800bd1562b956acccb35758c125350c7
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A name given to the resource
Sarani, Rinaldo
Rinaldo Sarani
R Sarani
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An account of the resource
One oral history interview with Rinaldo Sarani who recollects his wartime experiences in Pavia and the surrounding area.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
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An unambiguous reference to the resource within a given context
Sarani, R
Date
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2017-03-25
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A name given to the resource
Interview with Rinaldo Sarani
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An account of the resource
Rinaldo Sarani reminisces about the bombings of Pavia describing widespread damage at Borgo Ticino and people being extricated out of rubble. Stressed the importance of bridges: ponte della ferrovia, ponte vecchio, ponte dell’impero, ponte della Becca. Describes how inefficient anti-aircraft fire was, being mockingly dubbed “pensioner’s flak“. Reminisces about various wartime episodes: Pippo flying at night, the danger of minefields, partisan actions, killings, fascist militiamen brutalities, the Mongols (which were part of a German foreign division), makeshift shelters, and people being tortured in Broni. Describes a bomb dump explosion and how people disassembled ordnance to salvage explosives used for fishing, often with tragic consequences. Elaborates on the Fascism and recollects a person being helped by Rachele Mussolini.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Filippo Andi
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-03-25
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The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:42:32 audio recording
Language
A language of the resource
ita
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The nature or genre of the resource
Sound
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ASaraniR170325
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Italy--Po River Valley
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anti-aircraft fire
bomb dump
bombing
home front
incendiary device
Mussolini, Benito (1883-1945)
Pippo
Resistance
shelter
strafing
-
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e2651d9ab1831a92ac693f20ef9544b7
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Title
A name given to the resource
Pederielli, Marco
Marco Pederielli
M Pederielli
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An account of the resource
One oral history interview with Marco Pederielli who recollects his wartime experiences in Milan.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
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A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-12-12
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Pederielli, M
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Transcription
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AP: Sono Alessandro Pesaro e sto per intervistare il dottor Marco Pederelli. Siamo a Milano, è il 12 dicembre 2017. Grazie dottor Pederelli per aver acconsentito a questa intervista.
MP: Pederielli.
AP: MI perdoni. La sua intervista registrata diventerà parte dell’archivio digitale dell’International Bomber Command Centre, gestito dall’università di Lincoln e finanziato dall’Heritage Lottery Fund. Grazie per aver acconsentito a questa intervista. Mi parli per favore del suo ricordo più antico, dei fatti più remoti che riesce a ricordare. Potrebbe essere un ricordo legato alla sua famiglia, ai suoi genitori o alla sua prima casa.
MP: Beh, il ricordo più antico, sicuramente ricordo di quando mio padre ci portò a vivere di fianco all’aeroporto di Linate in una villa a Peschiera Borromeo. Perché mio padre era un ufficiale dell’aeronautica, tenente poi diventato capitano che aveva militato nell’aeronautica da quando aveva vent’anni e fece una ottima carriera essendo entrato come aviere. Per cui, quando io non ero ancora nato, siamo di origini emiliane, Cento, provincia di Ferrara, la patria del Guercino, del pittore Guercino e mio padre fece questa carriera molto buona e andò a seguire tutte le guerre, le guerre di conquista che fece l’Italia negli anni ’30 in sostanza. Dunque Abissinia, dunque Somalia, Eritrea, queste guerre dove lui era rispettivamente capitano, maggiore, sergente maggiore, piuttosto che maresciallo prima di diventare ufficiale. Io non ero ancora nato perché sono nato nel 1938. Questo è molto importante perché 1938 è l’anno in sostanza della dichiarazione di guerra dell’Italia agli stati, agli alleati in sostanza, no? E, e allora in quel momento lì effettivamente mio padre venne mandato prima a Padova poi, no prima addirittura a Palermo quando ancora non, non aveva, non era stata invasa la Sicilia dagli americani insomma per cui stemmo a Palermo, poi a Bologna, poi a Padova e alla fine proprio nel diciamo, nel 1941-42 appunto ci trasferimmo a Peschiera Borromeo, vicino all’aeroporto, all’aeroporto Forlanini, all’aeroporto di Linate. E mio padre dunque comandava questo gruppo che faceva, che comandava tutto l’aereoporto e aveva trenta, quaranta avieri che lavoravano per lui all’aeroporto eccetera. E io ero così piccolo da, addirittura mi ero, mi avevano fatto una divisa, una piccola divisa da aviere e allora il mio primo ricordo è una volta che io, arrivò mio papà, vestito da ufficiale e io cantavo una canzonaccia dei soldati. Allora lui mi fermò e mi disse: ‘Marco, non hai salutato il tuo comandante. Ricordati che tu, che io, prima di essere tuo papà, sono il tuo comandante’. Allora io mi misi a piangere disperatamente, corsi da mia mamma perché appunto avevo ricevuto il primo, la prima, il primo, diciamo sgridata da mio papà, in sostanza, ecco. Questo è il ricordo più vecchio che ho della guerra. Poi arrivò il, sostanzialmente l’8 settembre, no? L’8 settembre come tutti sanno ci fu la, il voltabandiera dell’Italia in sostanza, no? Per cui tutta la parte sud dell’Italia era già stata invasa dagli americani, c’era, c’era sostanzialmente l’ordine che diede Badoglio, personaggio disastroso per, addirittura avevano, gli inglesi e gli americani avevano coniato un termine: ‘to badogliate’. Non se lei lo sa, ‘to badogliate’ vuol dire tradire in sostanza per cui anche i nostri nemici, cioè gli anglo-americani non capivano come fosse possibile avendo una, avendo degli alleati tedeschi chiudere così, senza nessun accordo, col re che è scappato come lei sa in, a Brindisi e con tutto, con tutto il disfacimento totale dell’esercito italiano per quello che poteva valere, perché per un po’ di tempo sembrava che l’Italia avesse una, addirittura Churchill era abbastanza amico di Mussolini, aveva cercato disperatamente di evitare che entrasse in guerra, mi pare, qualche cosa di questo genere almeno. Per cui a quel punto lì quando arrivò l’8 settembre del 1943, 8 settembre ’43, noi dovemmo lasciare la villa di fianco al. Mio padre, diciamo che non scappò ma non volle più continuare in questa situazione perché i tedeschi da una parte gli dicevano: ‘Ma, se non vieni con noi, se non ti iscrivi alla Repubblica Sociale Italiana, noi ti portiamo in Germania, caro Pederielli’. Erano amici e io mi ricordo anche di pranzi dove sono andato a cena con gli ufficiali tedeschi, ero un bambino piccolissimo, vagamente mi ricordo. E così sostanzialmente ci trasferimmo in una cascina dove c’erano anche i topi sulle, che era vicino all’aereoporto e i tedeschi sapevano dove era mio papà e ogni settimana gli dicevano: ‘Allora, vieni o no?’. E finalmente mio padre disse: ‘Va bene, d’accordo, sono anch’io nella Repubblica Sociale Italiana ma tanto aereoplani non ce ne sono più in sostanza. Non c’era più niente, lui non, l’Italia era completamente, negli anni, alla fine del ’43 l’Italia, anche le fabbriche del Nord Italia erano praticamente quasi finite insomma non. E continuavano i bombardamenti, bombardamenti degli alleati e sappiamo il famoso estate del ’43 dove Milano fu praticamente distrutta. Si salvò fortunosamente il meraviglioso Duomo di Milano ma tutto il centro di Milano che adesso è una delle cose più belle che si possano vedere, a Milano, in Italia sicuramente Milano è diventata la città più affascinante, più perfetta che esista, tutto funziona, a differenza di Roma, tutto è perfetto, la moda, l’alimentazione, sono, è una città strepitosa ormai Milano. E ecco e per cui praticamente questa situazione noi andammo. Dopo un po’, essendo mio padre entrato come ufficiale nella Repubblica Sociale Italiana, lui non voleva nessuna carica perché era troppo brutto il discorso di dire: ‘Ma tu stai dalla parte del giusto o dalla parte del sbagliato?’. Lui credeva di essere dalla parte del giusto perché aveva giurato per il re, aveva giurato per tutto, aveva fatto una carriera di vent’anni entrando a diciotto anni eccetera e invece quelli che venivano dal sud, per caso incontrava perché si poteva ancora passare la Linea Gotica così, gli dicevano: ‘Ah, ma tu sei dalla parte sbagliata’. Certo, loro erano dalla parte giusta perché erano, c’erano gli americani ma non perché loro avessero delle cose. Per cui sostanzialmente mio papà aveva abbandonato l’attività e si era dato all’insegnamento delle marconiste, quelle che dovevano, e aveva una sede dove c’è adesso la Malpensa, mi pare. E lui faceva questo lavorino insomma, andava in bicicletta a fare questa cosa con, questo glielo racconto perché poi le da anche un episodio, c’è un altro episodio, un altro piccolo episodio un po’ particolare. Sostanzialmente mio papà scelse di andare a vivere in una villetta a Gorla, che è una piccolissima, era una piccola frazione di Milano, che è su Viale Monza, sulla via che porta a Sesto San Giovanni, molto vicina alle fabbriche di Sesto San Giovanni che erano sostanzialmente tutte distrutte ormai, non. Diciamo che alla fine del ’43 la Pirelli, la Breda, la Fiat, la Isotta Fraschini erano ormai distrutte, non facevano più niente sostanzialmente, anche i tedeschi. Poi c’erano già i partigiani dentro alle fabbriche che facevano attentati o facevano delle, per cui non funzionava più niente in sostanza. Allora cosa successe? Che noi andammo a vivere in questa piccola villa e io avevo cinque anni, esattamente cinque anni ma sapevo già leggere, scrivere, tutto. Allora mia mamma mi disse: ‘Ma, peccato che cominci, che vai a scuola, che ti insegnano a fare le aste, vai e cerchiamo di farti fare l’esame, entra in prima quando tu avresti dovuto, quando tu avrai sei anni, in sostanza, andrai in seconda.’ E questa fu la mia prima fortuna perché io andai, quando avevo, sono nato in luglio, quando avevo sei anni e tre mesi, andai, mi iscrissi alla scuola di Gorla. Mio padre venne a vedere com’era, anche questo me lo ricordo benissimo, il rifugio della scuola di Gorla era una cantina, una cantina puntellata che quando papà la vide disse: ‘Ma qui cade una bomba, muoiono tutti.’ Però non c’era altro da fare. E così arrivò appunto il 1944, poi è l’anno cruciale perché è lì che si fece poi la fine della guerra sostanzialmente per noi è il 25 aprile del ’45 in sostanza, quando anche questa parte d’Italia viene presa dagli americani e dai partigiani che poi diventano numerosissimi perché tutti abbandonano il fascismo eccetera eccetera e non esiste più il fascismo ma il 25 aprile fu la data del 1945, no? E allora, in pratica, passo a parlare di cosa successe quel giorno. Allora, quel giorno successe che questo piccolo bambino che non conosceva ancora i suoi compagni perché non avevo fatto la prima per cui dopo cinque, sei, sette giorni di scuola non conoscevo i miei compagni di classe, non li conoscevo ancora. E andai in questa scuola che era appunto circa cinquecento metri da casa mia, da questa casa che avevamo affittato. Allora successe che i, andai a scuola regolarmente, accompagnato da mia mamma e verso le undici arrivò un’allarme, il piccolo allarme si diceva così quando era un piccolo allarme. Allora tutti i bambini vennero messi in fila per scendere nel rifugio e anche noi che eravamo in prima, che eravamo in seconda, le prime, le seconde, scendevamo per primi perché poi gli ultimi invece erano gli ultimi, anche la quarta e la quinta classe che erano i più grandi, magari qualcuno si è salvato, successo così. Però cosa successe? Che io scesi le scale, scesi le scale e quando fui davanti alla porta d’uscita, quando fui davanti alla porta d’uscita mi ricordai che mia mamma in un giorno bellissimo mi aveva dato un cappotto, un piccolo cappottino. Allora lasciai la mia classe, risalii le scale che la mia classe era la secondo piano, presi con una certa fatica il cappottino e ridiscesi le scale. Erano le undici e quindici. Undici e quindici scoppiò il grande allarme per cui tutti andarono in rifugio. E il bidello non faceva uscire, prima non faceva uscire nessuno ma quando arrivai io aveva aperto la porta e basta ormai erano tutti in rifugio i bambini. Io vidi la porta aperta e corsi fuori. Corsi fuori in questa strada, c’è una piccola strada con una cascina, era ancora molto, di fianco al fiume, il naviglio, che è un fiume che c’è, un piccolo fiumiciattolo e di corsa, io che non ero mai andato senza mia mamma, era sempre venuta a prendermi, l’ho, ho cominciato a correre verso casa che sapevo più o meno dov’era. Vidi chiaramente gli aerei e sentii dei rumori spaventosi, cominciavano a buttare le bombe, vidi, vidi proprio fisicamente le bombe che cadevano. Fisicamente le bombe, e rumori spaventosi che mi sono rimasti nella testa. Vidi chiaramente, vidi le bombe che cadevano, una cosa incredibile. E di corsa, di corsa, non è vero che cadevano da duemila, tremila metri, cadevano, erano molto basse queste bomba insomma [unclear]. E allora di corsa arrivai, dopo duecento metri di corsa davanti alla chiesa, c’era una chiesa lì, c’è ancora una chiesa e per fortuna davanti alla chiesa c’era un negozio di un droghiere, di un, una drogheria, un piccolo supermarket si direbbe oggi e il padrone mi conosceva, m’ha preso e dice: ‘Ma dove vai? Vieni, vieni, andiamo in rifugio, ti porto in rifugio.’ E allora, mentre mi diceva così, scoppiò una bomba davanti alla chiesa, sul sagrato della chiesa ma io ero già dentro all’edificio e finì del, finì nella cantina insomma dove avevano attrezzato una, un rifugio, piccolo rifugio. Che non cadde, non cadde niente e semplicemente questa bomba fece uno spostamento d’aria tremendo per cui quelli che erano rimasti in strada morirono, furono schiacciati dalle, dalla. E io mi salvai e quando finirono, perché subito a questo punto alle 11.45 finì tutto insomma, no? Una polvere immensa aveva coperto tutto questo quartiere che era un quartiere un po’ popolare con delle case, anche delle case popolari eccetera, caduto dappertutto, Viale Monza era completamente. Tant’è vero che mio padre, allora io arrivai, io uscii e cominciai a correre verso casa perché l’allarme era finito. E vedevo delle bombe, anche delle buche enormi perché c’erano anche molti campi in questa zona. E finalmente vidi mia mamma che in un, veniva, attraversava un prato per venirmi a prendere e così io, io l’abbracciai e andammo verso il rifugio che avevamo a casa nostra, che era un bel rifugio ben attrezzato. E lì cominciammo ad avere sentore che qualcosa di spaventoso poteva essere successo perché quella zona non era stata, circa cinquecento metri non era caduta qualche bomba in un prato, in un prato ma non. E allora cominciammo a vedere, ‘Ma sei tu e gli altri? Dove sono gli altri bambini?’ ‘Ah no, ma io sono uscito prima, sono uscito da solo’. ‘Ma come? E mio figlio, mia figlia dov’è?’ ‘Eh, sarà ancora a scuola, sarà andata in rifugio’. Dunque momento di, tragico perché i bambini morti sono duecento per cui erano, ogni casa aveva come minimo due o tre morti, due o tre. E allora, però non si sapeva niente. E nel mentre mio papà che aveva, che aveva il suo ufficio più o meno da queste parti mi pare, non so, un ufficio qualsiasi per dove facevano, addestravano le marconiste non era più all’aereoporto ma era. Aveva visto questa nuvola di fumo così e allora in bicicletta è andato, è arrivato fino in Viale Monza e l’hanno fermato, hanno detto: ‘Ma dove va? Dove va?’ E dice: ‘Vado a casa perché’. ‘Ma lasci stare perché sono cadute tante di quelle bombe su Gorla e su Precotto che la strada, l’altra zona vicino a Sesto San Giovanni, che è tutto distrutto’. ‘E i bambini, i bambini?’ ‘I bambini non sappiamo ancora ma non’. Allora lui arrivò dove c’è la piazza dove era tutto silenzio e lui non si rese conto, tutto saltando da un, da una maceria all’altra, silenzio. Allora arrivò, dopo un poco, in bicicletta arrivò nel rifugio: ‘E Checco, Marco, dov’è?’ ‘Ah, è qua, è qua.’ ‘Ma e gli altri?’ ‘Ah non so, saranno ancora’. ‘Ma’, dice, ‘Io non credo che ci siano, saranno usciti prima’ perché c’era un silenzio meraviglioso dunque. Insomma dopo un poco cominciarono a dire: ‘Ma, no ma, i bambini sono sotto’. E allora lui si vestì così [unclear] e andarono anche lui a, andò anche a lui a cercare di aiutare a tirare fuori i bambini ma si resero conto che i bambini erano tutti morti praticamente. Perché la bomba, una bomba o due bombe, erano cadute esattamente nella tromba delle scale e avevano ucciso duecento, centonovanta bambini. Se ne erano salvati circa una ventina, che magari erano usciti prima, io l’unica persona che qualche volta vedo è un, qualche volta ho visto cercandolo, è un certo Francescatti che fu proprio travolto e si, un braccio, rimase col braccio sotto e si salvò per, per miracolo insomma, no? E anche un, ebbe anche un grosso problema agli occhi ma è ancora vivo e l’ho incontrato un giorno e ha fatto la sua vita normale eccetera eccetera. Per cui sostanzialmente questo è stato l’episodio clou del bombardamento. Poi queste cose sono vere nel senso che erano trentasei aerei americani che erano partiti da Foggia, dal sud, erano venuti su, avevano bombardato e poi. Le voci sono strane. Io ho letto da qualche parte che temevano di non avere più carburante per ritornare per cui quando sono arrivati qua, dopo poco hanno visto che non avevano più carburante e hanno buttato giù tutto dove capitava eccetera eccetera. Questa è la cosa più probabile. Ma anche qui c’è una frase di questo genere dove dice, ricevettero un ordine dal comando supremo di sganciare le bombe qualsiasi e questo falso nome di questo personaggio che non era lui perché, comunque il nome è Stew [o Steward?], qualcosa del genere, del comandante in capo si stupisce molto, dice: ‘Ma perché buttiamo le bombe giù adesso?’ Ma è un ordine del comando generale e buonanotte. Comunque lui era americano infatti qua si vede che è un, è un americano che vive nel New Jersey e che scrive alla sua bambina, dicendo: ‘Ah, andiamo a fare la guerra’, no, era per liberarsi, eccetera eccetera, c’è questa giustificazione che poi sostanzialmente è un po’ quello che diceva lei prima in sostanza, no? Per cui lo facevano di malavoglia, anche loro sembra ma insomma poi dopo lo facevano insomma quello che. Comunque erano trentasei aerei, tra cui fortezze volanti e così, e basta insomma. E poi qui io ad un certo punto dico centotrentasei, in realtà erano trentasei. E aerei che sono partiti da lì dove c’è adesso tutta, in quel libro che le dicevo, addirittura c’erano i nomi, cognomi di tutti, ma era irrilevante quanti fossero, sono. Partivano da Foggia, da un posto tra l’altro molto vicino alla famosa zona del santo Padre Pio [laughs], dove c’è Padre Pio da Pietralcina insomma, dove avevano costruito un aereoporto dove bombardavano tutto eccetera eccetera. Ecco, questo è un po’ l’episodio proprio della guerra che poi ricordo io è questa qua in sostanza. Che dopo io mi sono sentito sempre un miracolato e, miracolato ha condizionato molto la mia vita perché per esempio io quando perdo qualcosa non ho mai, non mi interessa assolutamente perché grazie al fatto che avevo dimenticato, quando dimentico molte cose, pazienza, non gli do mai nessuna importanza perché dico, se l’ho perso vuol dire che forse era meglio perderla che averla insomma, [laughs] no? Per cui questo aspetto. E poi, beh, poi praticamente io non avevo amici lì perché i bambini erano tutti morti quelli della zona e per cui ho fatto il liceo, ho fatto la scuola media più in centro, ho fatto il liceo scientifico dove ormai la cosa. Ma in questi anni, e questo è importante dirlo, non, queste ricorrenze per i primi vent’anni sono state molto limitate. Hanno fatto un bellissimo, non so se l’ha visto, hanno fatto un bellissimo monumento, sono state le famiglie più rilevanti, che si conoscevano, che erano di Gorla, che hanno voluto questo monumento. Hanno portato tutti i bambini in questo ossario che è dentro la chiesa, questi duecento bambini con i loro nomi eccetera eccetera e con le maestre e così. Però non se ne è parlato quasi più per un bel po’ di tempo perché, sì, Milano sì, ma insomma mica tanto, forse solo quelli che avevano parenti, avevano bambini, avevano ma è stata una cosa, insomma un po’ analoga alle foibe diciamo la verità. Perché in fondo c’era il Piano Marshall, in fondo c’erano gli americani. Dirò un ultimo, per darle un’idea, no? Quando arrivarono gli americani a un certo punto, io avevo visto, io, quando stavo a Peschiera Borromeo vidi i tedeschi che se ne andavano. I tedeschi con i loro carri armati che andavano via perché insomma arrivavano poi gli americani, arrivavano, cominciavano i partigiani. Ma poi vidi ancora di più quando arrivarono gli americani su Viale Monza. Quando arrivarono gli americani che successe nell’anno, un anno dopo, no? Il 25 aprile, dunque dopo pochi mesi da questa strage, le madri che avevano perso i figli lì a farsi dare la cioccolata, a prendere sigarette, a tenere, applaudire gli americani. Questo è una cosa che mi colpì in modo impressionante perché insomma voglio dire, avevano perso i figli, avevano perso tutto quello che avevano, non avevano più la casa, non avevano più niente. Però poi gli americani furono bravi perché il Piano Marshall perché, aiutarono il paese a, per cui non si poteva dire che erano stati loro sostanzialmente. Magari si diceva più volentieri che erano stati gli inglesi perché magari gli inglesi erano più antipatici, gli inglesi erano più, sembravano più antipatici infatti. Infatti, questo antipatia per l’Inghilterra, che io non ho mai avuto per la verità, però diciamo che negli anni cinquanta, sessanta, cinquanta forse, sì, negli anni cinquanta, era un, era rimasto un po’ nella testa degli italiani insomma, l’Inghilterra era considerata qualche cosa di, così, non c’era grande simpatia per l’Inghilterra. Poi invece, quando cominciarono, cominciò, bisogna imparare le lingue eccetera eccetera, addirittura io diedi uno, ero il direttore del centro relazioni universitarie con l’estero della Bocconi, accompagnavo su eserciti di ragazze che si dovevano laureare in lingue e che avevano bisogno della ragazza, dell’au pair piuttosto che e allora divenni, divenni un grande, ero un anglofono veramente, conoscevo bene l’inglese, miei amici, anche adesso li vedo, abbiamo un’associazione dei longevi dell’Università Bocconi che sono persone eccezionalissime, allegrissime, lì c’è il, uno che creò proprio un’agenzia di viaggi dentro alla Bocconi per favorire e io accompagnavo le persone su le ragazze, organizzavo i corsi d’inglese all’estero per cui divenni molto amico dell’Inghilterra, andai un’infinità di volte in Inghilterra in treno e. Per cui è cambiato molto l’atteggiamento vero l’Inghilterra. E invece lì, in quel periodo lì era un po’, s’incolpavano abbastanza gli inglesi di questa cosa, era più facile perché Dio stramaledica gli inglesi questa, queste frasi fatte, queste cose qua ecco. Questo è un po’ come si viveva questa, questo dopoguerra, ecco. E poi vabbe, poi dopo a questo punto l’Italia fu uno dei paesi che riuscirono meglio a superare con, all’ONU, abbiamo i nostri personaggi come De Gasperi eccetera che andò là e disse: ‘Io, io non ho altro da chiedere che chiedere scusa al mondo’, eccetera eccetera con il suo cappotto rivoltato senza, era uno dei personaggi che insomma cominciò e così. Per cui questo è un po’ la storia dei rapporti. Io non, non lo so, anche episodi di, ne ho anch’io episodio veramente drammatico per esempio di mio padre che il 25 aprile proprio prima di, prima che prendessero Mussolini e lo impiccassero eccetera eccetera i partigiani naturalmente diventarono, tutti erano partigiani, tutti erano comunisti, tutti erano. E un bel, e lui veniva dalla Malpensa e fecero un posto di blocco qui a Niguarda, c’è l’ospedale Niguarda. E a un certo punto mio papà era in bicicletta, si fermò e c’era un signore della sua età e dice: ‘Ma lei cosa fa?’. Erano tutti lì fermi ad aspettare. E c’era mio papà che aveva un soprabito, e vestito con la divisa. E lui diceva: ‘Io sono un medico. Sto aspettando di andare al mio turno. Un medico qui all’ospedale di Niguarda, proprio qua a cento metri, a mezzo chilometro da qua’. E lui dice: ‘No, no’, dice, ‘io sono un ufficiale dell’aeronautica’. ‘Lei è un ufficiale della nautica?’. ‘Eh, sì’. Perché lui non aveva ancora capito che era finito, che ormai, che erano nelle mani dei partigiani, di quelli che si dicevano tali. ‘Ma vada subito a cambiarsi, a tirarsi via la, i gradi e la divisa lì che c’è una, c’ha magari anche una rivoltella?’ ‘Ma sì, la portiamo sempre’. ‘Ma vada lì che c’è un casottino, tiri via tutto, si metta lì che ne hanno appena ammazzati due ufficiali qua della Repubblica Sociale Italiana’. E mio padre che in fondo non era, non è mai stato fascista, addirittura era un casino per lui perché essendo un ufficiale avrebbe dovuto essere fascista ma lui era sempre riuscito a non avere la tessera perché proprio non. Mio padre all’idea di togliersi i gradi, buttare la divisa in una casottina eccetera e la sua carta d’identità, la sua cosa, lo colpì in un modo veramente grande e a quel punto disse: ‘No, io, basta, non voglio più essere un ufficiale dell’aereonautica, non voglio più’. Poi lo richiamarono e lo misero a Treviso e lì c’era il dopo, dopo qualche mese insomma no? Ma lui nel mentre aveva cominciato una piccola attività a fare le radio eccetera così e un giorno mi portò anche a Treviso e disse: ‘Dai, vieni che ti faccio fare un giro su questo Spitfire’. C’aveva, c’erano gli Spitfire che dice: ‘l’aereo migliore che abbiamo qua’, era un aereo inglese come lei ben sa, e io dissi: ‘No, guarda, io ho paura [laughs]’ e mi fa: ‘Ma come? No, dai!’. Però lui stette lì ancora due anni ma poi non gli piaceva più proprio. Non c’era l’atmosfera più e dette le dimissioni, gli dettero una buona uscita e lui cominciò una vita, una vita di meditazione, una vita strana, una vita. Lui, lui divenne, vabbè, divenne un commerciante perché così doveva mantenere la famiglia eccetera, vendeva vetri, cristalli, specchi ma soprattuto divenne un teosofo, uno studioso delle religioni, e fece anche un libro che io ho pubblicato, Al di là del velo, che è un libro di Teosophical Society, della Annie Besant, si iscrisse a questa cosa e divenne un sostenitore di questa cosa, non c’è religione al di sopra della verità, insomma così. Un movimento nato proprio in Inghilterra mi pare.
AP: Vorrei riportarla per un istante a.
MP: Mi scusi, forse ho fatto delle divagazioni ma poi ho intagliato tutto quello che abbiamo detto non è che [unclear]
AP: Non si preoccupi. Si ricorda Pippo? Mi parli di Pippo, se ha qualche ricordo.
MP: Beh, Pippo era un incubo per noi eh, perché era questo aereo che tutte le notti non ci faceva dormire per un certo periodo di tempo però perché era un aereo che veniva qui, questo dicevano che veniva dall’Inghilterra, non lo so se venisse dall’Inghilterra. Fatto sta che era un aereo che faceva due cose sostanzialmente: una molto brutta perché buttava giù delle cose, dei bengala che magari incendiavano le case; oppure buttava giù delle, delle caramelle piuttosto che delle cose che i bambini poi quando le prendevano in mano scoppiava, cose del genere. Questo lo faceva così come divertissement. Ma soprattutto buttava giù una bomba, mi sembra proprio una e la buttava dove capitava in sostanza. Per cui, adesso magari ne buttava giù anche due o tre, non so, però sostanzialmente ne buttava giù uno o due bombe. Che cadevano dove cadevano. Allora la gente era un po’ terrorizzata insomma, perché quando arriva Pippo non puoi dormire, non puoi andare, devi andare in rifugio, non devi andare in rifugio, devi fare. E io stesso, mi sembra vagamente una volta che andassi, fossi andato giù in rifugio e per un pelo, ero con mio papà non so come mai, per un pelo non mi beccai una cosa, una scheggia, una scheggia che andò a piantarsi, evidentemente era un bengala, questi, no, uno spezzone, uno spezzone ma insomma. Comunque insomma era una cosa che dava molto, che era fatta apposta per terrorizzare un po’ la gente, ecco. Generalmente la gente se ne fregava perché però avevano un po’ paura insomma perché, però era questo, no? Pippo era questo. Su Milano veniva Pippo, forse su Milano, su grandi città era, non lo so ma questo era quello che. Poi c’era Radio Londra che si sentiva, Radio Londra e poi c’era ma insomma, che non bisognava sentire, vietato sentire, cose così, c’erano tutte queste cose qui che io ricordo vagamente insomma, no. Queste sono un po’ le, i miei ricordi che non sono niente di eccezionale ma che però sono, sono vere [laughs].
AP: C’è un’ultima cosa che vorrei approfondire. Lei mi ha parlato della sua laurea.
MP: Sì.
AP: In un periodo in cui le persone che si laureavano erano una minoranza, come si lega questo fatto all’essere un sopravvissuto di quel bombardamento e lei come si rapporta con i suoi compagni di scuola che sono rimasti sotto quel bombardamento? C’è un legame tra le due cose?
MP: No, perché non, no, perché è cambiato tutta la vita, a un certo punto. Io ho continuato ad abitare a Gorla per un bel po’ di tempo, facendo il liceo, che lo facevo in Corso Buenos Aires, liceo scientifico. E lì eran tutti ragazzi che abitavano intorno a Loreto per cui non, non c’era nessun, non è che io avessi un marchio particolare che sei sopravvissuto a Gorla eccetera. Poi la cosa si, cioè come tutti non ne parlavano anch’io non ne parlavo, andavo abbastanza, il 20 ottobre andavo a queste cerimonie dove a un certo punto cominciavano a farla un po’ più regolarmente. I primi tempi non se ne parlava quasi, soltanto proprio queste famiglie di Gorla che si sono unite e hanno fatto, e hanno creato questo bel monumento, e hanno. Ma sono proprio quelli che erano più di Gorla, proprio che erano, proprio erano come un paese lì, e allora loro erano più vicini a questa cosa ma non. Io sono andato a vivere sostanzialmente come, sì, abitavo lì ma non c’era nessuno che non, e poi dopo quando sono andato via da Gorla, mi sono iscritto alla Bocconi perché cioè mio padre lavorava in un ufficio vicino alla Bocconi e allora abbiamo preso la casa là insomma ma non, non ho più neanche, non c’ho neanch’io, ci pensavo solo il 20 ottobre in sostanza, ecco, non.
AP: C’è un’ultima cosa. Lei mi ha parlato di un fatto molto interessante. Le stesse madri che prima piangevano i figli scomparsi, poi hanno accolto festosamente gli americani che distribuivano sigarette e cioccolata.
MP: Sì, questo è sicuro.
AP: Vuole riflettere un po’ su questo? Cosa?
MP: Beh, è molto strano, cioè i miei genitori non erano, loro hanno vissuto un po’ di più, ecco, forse il discorso è un po’ questo. I miei genitori, facendo parte, mio padre della, di coloro che avevano combattuto veramente insomma, no, con, dalla parte dei tedeschi, e in quest’alleanza che, dell’Asse insomma per cui non, non hanno, non volevano assolutamente festeggiare questo arrivo degli americani, in sostanza. In sostanza lo, l’hanno, lo festeggiavano più quelli che erano i comunisti, che erano i, quelli che sono diventati subito partigiani, che sono diventati, per cui siccome lì è una zona molto, molto rossa perché Viale Monza, Sesto San Giovanni eccetera. Per cui i miei erano più, più agnostici, capivano che insomma alla fine questi hanno buttato giù le bombe, poche balle, insomma, no, per cui. Invece la gente più povera, più, che era diventata subito tutta fascista, tutta, scusa, tutta comunista, praticamente quelli lì, effettivamente credevano l’arrivo di questi liberatori, liberatori, erano tutti liberatori, per cui tutti erano diventati liberatori. Erano diventati liberatori i russi, erano diventati liberatori tutti e allora effettivamente c’era questa, come hanno fatto un po’ in Francia, no, che hanno abbracciato quelli che sono arrivati anche se avevano fatto parte della Repubblica di Vichy insomma, no, però erano. E allora questa la ragione per cui, quando c’è stato questo arrivo di tutti questi carri armati che venivano dal sud e sono passati per Viale Monza, questi qui erano pieni di cose che davano, da mangiare, di caramelle, di chewing-gum, di calze da donna, di tutte queste cose nuove, di Coca-Cola, piuttosto che. Evidentemente è un mondo nuovo che si apriva allora, allora c’era questa volontà di, di. Invece sono altre persone che non hanno più bevuto la Coca-Cola, non hanno mangiato il chewing-gum, proprio quasi per rifiuto di entrare subito in questa, poi sono entrati tutti naturalmente ma, cioè non erano molto popolari in sostanza questi americani, ecco diciamo. Gli inglesi non lo erano per natura perché non, venivano considerati un po’. Ma anche mio padre stesso, che pure è un uomo aperto eccetera, lui non è mai stato a Londra per esempio. Io due o tre volte, io andavo a Londra come, l’altra volta, ‘dai andiamo, ti porto, vieni’, allora [unclear], siamo andati con lui in due o tre paesi a fare dei viaggi, a Parigi, anche in Egitto eccetera, ma Londra lui diceva, ma no, Londra. Cioè, c’era sempre qualcosa di minimamente ostile insomma verso l’inglese ma non so, forse perché lui essendo, avendo visto l’inglese come nemico forse non, anche in Africa quelle cose lì. Eppure mio padre per esempio, deve anche lui la sua vita a una combinazione perché ha portato una volta un maresciallo, un Graziani, cosa del genere, sul suo aereo a Gibuti a incontrare il comandante inglese della Somalia britannica, prestando il suo aereo, cioè andando con il suo aereo e il suo aereo è stato sostituito da un altro che è andato a Addis Abeba, è stato circondato dalle truppe abissine e sono morti tutti e lui si è salvato. Per quello ha preso anche una medaglia d’argento perché è andato a trovare questi qui che erano stati come anche è successo a Kimbu che gli italiani sono stati come circondati dai, per cui. Mio padro ha avuto tre medaglie d’argento, in quei tempi lì, insomma lui evidentemente era uno che c’aveva creduto insomma no per cui insomma. Non credeva nel fascismo come le ho detto ma aveva creduto in questo stato che sostanzialmente, insomma non dimentichiamo che l’Italia nel ’33 ha attraversato l’oceano Atlantico ed era diventata la nazione più potente dal punto di vista aereo con non so quanti, cinquanta idrovolanti, una cosa del genere. Ho visto l’altro giorno alla televisione un episodio dove su tutta New York tappezzata di bandiere italiane con Italo Balbo, capo di questa grande spedizione di centocinquanta aerei, mio padre doveva andare poi dopo non so come mai non è andato ma, che hanno attraversato l’Atlantico con gli idrovolanti insomma no. Per cui insomma essere stato un ufficiale, un aviatore dal ’20, mio padre era del ’09, diciamo dal ’22, ’23 al ’40, è stato una cosa insomma, e di aver fatto una carriera molto prestigiosa insomma, partendo da zero è stato, non è andato all’accademia mio papà ma per cui insomma questa cosa l’ha molto. Per cui non aveva molta simpatia per gli inglesi, diciamo così [laughs] ecco.
AP: Le viene in mente qualcos’altro? Vuole aggiungere qualcosa o possiamo concludere qui?
MP: Ma io, se lei, io, abbiamo fatto una chiacchierata proprio, eh, non so cosa può tirarne fuori lei ma secondo me quello che può tirarne fuori è. Perché questo libro qui effettivamente va bene perché è un libro che è stato fatto con grande amore insomma anche se non, anche se non riporta esattamente le cose però un po’ i disegni fatti, un po’ le poesie messe, un po’ così questa, queste illustrazioni. La prima stesura era stata una stesura un po’, molto, molto brutale, io ho detto a Eugenio: ‘Ma no, qua non va bene insomma, far vedere i morti eccetera eccetera’. Invece effettivamente così è una favola, una favola triste e ma diciamo che è quello che si vuole avere. Perché non è, non è memoria, non è storia ma è memoria, questo è importante avere memoria, [unclear] non è storia perché questo, la storia è quella che si fa scientificamente eccetera, questa è una memoria per cui. Qui, anche questo sono io [laughs] e poi. No, no, va bene. Ecco.
AP: Mi sembra eccellente. Concluderei qui.
MP: Sì, direi che va bene così.
AP: Grazie per questa intervista.
MP: Sì, forse una cosa che potrebbe essere più sottolineata è che le famiglie che hanno avuto le perdite più gravi che si sono, si sono unite in una, in una specie di associazione dove, con la quale hanno raccolto fondi nel dopoguerra con il marmo, per comprare il marmo, per comprare tutto quello, per comprare il grande scultore che ha fatto un’opera molto bella è questo è un atto molto importante. Il primo sindaco di Milano che si chiamava Greppi è stato quello che sostanzialmente ha, ha sostenuto questo fatto di erigere questo monumento e non vendere quell’area lì molto grande che molti hanno detto: ‘Ah, adesso facciamo l’area, facciamo dei palazzi eccetera’, loro hanno detto: ‘No, qui sono morte duecento bambini e in questo rione sono morti trecento persone nelle varie case eccetera, facciamo un monumento di ricordo’. Ecco, sono stati un po’ loro che hanno. Perché proprio come le dicevo, sono quelle cose che in un certo periodo storico non era politically correct parlarne troppo, diciamo così, ecco, questo un po’ la. Forse questo vale la pena ecco. Perché lei potrebbe al limite avere una copia di quel documento lì, di quel monumento lì. Lei ce l’ha?
AP: Sì.
MP: Ah, lei ce l’ha. Basta.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Marco Pederielli
Description
An account of the resource
Marco Pederielli describes his father’s career as a Regia Aeronautica officer, providing details of his service in North Africa. Describes his personal situation after the fall of the Fascist regime, when he reluctantly joined the Aeronautica Nazionale Repubblicana as a Morse code instructor. Chronicles the 20 October 1944 Milan bombing describing aircraft approaching at a low altitude, bombs falling down on Gorla, and the subsequent widespread destruction. Explains how he left the school early and therefore did not go in the shelter where all his schoolmates perished. Mentions Pippo dropping small bombs at night which often maimed or killed children. Describes scenes of mothers who had their children killed during the bombings and cheering American personnel at the end of the war, gratefully accepting small gifts. Stresses the difference in perception between the Americans and British personnel, the former loved and hailed as saviours, and latter being generally disliked. Describes the difficult memorisation of the Gorla primary school bombing and how the monument was built in a period when the aerial warfare war was still a sensitive topic. Describes his father’s post-war career on Spitfires and his subsequent interest in theosophy. Elaborates on the legitimacy of bombing and reminisces how people of different political persuasions welcomed the Allies at the end of the war. Reflects on how being at the receiving end of the bombing has changed his outlook on life.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Alessandro Pesaro
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-12-12
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:50:52 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
APederielliM171212
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Po River Valley
Italy--Milan
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1944
1944-10-20
Coverage
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Civilian
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Publisher
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bombing
bombing of Milan (20 October 1944)
childhood in wartime
memorial
Morse-keyed wireless telegraphy
perception of bombing war
Pippo
shelter
Spitfire