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-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/20/326/Memoro 5754.1.mp3
f5d7be8666f1249eeac6fd181268d44f
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
GN: Cesenatico, ci fu il primo bombardamento in aprile del, bombardamento notturno, aprile del 1944. Lo effettuò un certo Pippo, un bombardiere solitario che faceva le incursioni notturne. Dunque, quella notte venne a bombardare e commise un grave errore. Sbagliò la posizione che era da bombardare. Il suo disegno era probabilmente quello di bombardare la stazione ferroviaria. La stazione ferroviaria, i binari erano lontani dal punto che lui ha bombardato, che era il centro del paese, circa 150 metri. Abbiam pensato tutti che nella notte forse aveva bevuto un po’ troppo oltre ad aver preso di mira un punto sbagliato perché nel centro del paese non c’era proprio nulla da bombardare. Caddero tre bombe nel cortile, nel vasto cortile del palazzo delle scuole elementari dove noi dormivamo. Dopo dico il perché dormivamo nelle scuole elementari o se no lo dico subito, perché mio padre era il bidello delle scuole e avevamo l’apartamento dentro. Bene. Cadono le bombe, io pensate avevo undici anni, ho fatto fatica a svegliarmi, beata la bella dormita dell’undicenne, [laughs] e allora mi sveglio nel dormiveglia, mio padre era già in piedi, capivo che era in piedi, parlava con mia mamma, aprii gli scuri, c’erano gli scuri e allora c’era un gran polverone fuori. Mio padre, che aveva fatto la guerra del 15-18, questi rumori delle bombe aveva già capito cos’era accaduto nelle vicinanze. Cosa facciamo? Si sentivano dei lamenti in giro un po’ lontano, però noi ci mettiamo quel che si poteva mettere addosso, scendiamo con prudenza gli scalini che mancavano per arrivare al pianterreno, ci portiamo fuori sulla strada e siamo ospitati dal dirimpettaio che aveva già fatto un rifugio in cemento armato. Lì abbiamo parlato un po’ fra di noi, ai primi albori del giorno usciamo, ringraziamo e andiamo nelle scuole. Andiamo a vedere nel cortile. Eran proprio tre bombe. Una aveva colpito un pozzo, polverizzato. il nostro frigo non l’avevamo più, lì mettevamo i cocomeri al fresco. Santo cielo! Mi porto vicino alla profonda buca che era venuta fuori dallo scoppio, guardo verso le nostre finestre, mmh che sgomento! Ma come mai non abbiam preso nemmeno una scheggia? Qundici metri di distanza, dove dormivamo, nemmeno una scheggia, illesi. Allora era finito, andato tutto bene e io, appena ho potuto muovermi, ho voluto andare a vedere dove erano cadute le altre bombe. Ed erano cadute tutte diritte ecco perché abbiamo pensato che in una linea diretta così molto probabilmente lui voleva colpire la ferrovia.
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Title
A name given to the resource
Interview with Gianfranco Nardi
Description
An account of the resource
Gianfranco Nardi (b. 1933) recalls the first bombing of Cesenatico in 1944, a night action carried out by 'Pippo'. Explains how the aircraft missed the train station and hit the nearby town centre; maintains that the pilot was drunk. Describes three bombs falling into the courtyard of the elementary school where her father worked as caretaker. Explains how the explosions didn't wake him up at first whereas his father, who served in the First World War, was immediately aware of what had happened. Tells how they stayed at the neighbours house that night, a family that had their own reinforced concrete shelter. Describes the damage done by the bombs and points out how lucky they were for escaping unharmed just 15 meters away from the crater.
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:04:18 audio recording
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Memoro#5754
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Cesenatico
Temporal Coverage
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1944-04
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Peter Schulze
Language
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ita
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Memoro. La banca della memoria
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Royalty-free permission to publish
bombing
childhood in wartime
civil defence
Pippo
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/20/314/Memoro 463.1.mp3
9060c67b6d20b35c4edaf747c1a2045f
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
MP: Io sono Marta Papotti sono nata l’11 luglio del 1937 e in una famiglia molto serena e eravamo tre fratelli, più uno più vecchio di me e uno più giovane, quello più giovane è nato nel ’42 e qui mi allaccio subito al, al periodo che era un periodo terribile che noi abbiamo vissuto inizialmente qui a Torino sotto i bombardamenti con questo mio fratello di nome Marco che era molto piccolo e andavamo sempre su e giù nei nei rifugi e come quando venivano giù le bombe e ringraziavamo dio che eravamo ancora vivi, si recitava il rosario, si parlava, era diventata così una forma di eh eh compagnia con le altre persone della casa e ci trovavamo sotto. Poi, dato che ci sono stati dei bombardamenti tremendi, allora mio papà ha comperato una casa di campagna a Cavagnolo.
[part missing in the original file]
MP: Eeeh dunque in via Miglietti e poi in via Principessa Clotilde, angolo via Saccarelli.
Unknown interviewer: Zona San Donato.
MP: Zona di San Donato ecco. E qui ci sono stati dei bombardamenti terribili, mio papà aveva una industria dolciaria e anche questa è stata bombardata e semidistrutta. E lui tutte le sere andava a togliergli gli spezzoni che buttavano questi aerei per non che pigliasse fuoco tutto, e l’ha fatto per tanto tempo. Poi ci sono stati dei bombardamenti terribili e allora, con tanti morti qui a Torino, anche per la zona di piazza Statuto, la zona di Porta Palazzo. Eeeh dunque quando arrivavano gli aerei dei nemici eeeh che venivano a bombardare suonava l’allarme e allora tutti correvamo in cantina e se andava bene si veniva fuori quando era finito.
[part missing in the original file]
MP: Io capivo che, io ancora adesso ho dei ricordi perché passava un aereo che si chiamava Pippo e faceva [long droning sound] era un ricognitore e io questo rumore ce l’ho ancora adesso a volte di notte nella testa, anche se avevo solo cinque anni, perché era un ricognitore e passava [long droning sound] e allora la gente diceva ‘Ecco passa Pippo’. E poi avevamo dovuto oscurare perché c’era il coprifuoco, e allora abbiamo dovuto oscurare tutte le finestre, le porte con quella carta blu tipo quella della pasta, perché una volta c’era la pasta che veniva dal meridione gli spaghetti così erano arrotolati in una carta blu, erano lunghi così erano così, era così, e allora prendevamo questa carta degli spaghetti che era blu che era spessa e coprivamo tutti i vetri perché alle 8 di sera non si doveva vedere nessuna luce questo appunto perché non venissero a bombardare, ecco perché non vedessero le luci. Poi dopo noi ci siamo andati da Torino e ci siamo trasferiti e, io ricordo mia mamma forse perché me l’ha sempre raccontato, un viaggio spaventoso, con questo bambino mio fratello che aveva quaranta giorni in carrozzina, su un trenino della SATTI che eravamo pigiati come le acciughe e ogni tanto ci fermavamo sotto i bombardamenti. Però anche lì a Chivasso ci fu un bombardamento terribile che però non ci ha presi e come dio vuole siamo arrivati a Cavagnolo, e a Cavagnolo io ho vissuto tutta l’epoca della guerra fino al ’45 – ’46.
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Title
A name given to the resource
Interview with Marta Papotti
Identifier
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Memoro#463
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Turin
Italy--Po River Valley
Italy
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The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:03:35 audio recording
Contributor
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Francesca Campani
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ita
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Memoro. La banca della memoria
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The nature or genre of the resource
Sound
Description
An account of the resource
Marta Papotti (b. 1937) remembers the bombings of Turin and how she and her family dashed to the shelter in the basement. Reminisces over the sense of community and describes people reciting the rosary or just chatting. Describes how her father the owner of a confectionary firm went every night to the site of the company as to deal with incendiaries. Mentions 'Pippo' and blackout precautions after curfew. Gives a brief account of the dreadful journey to Cavagnolo where they spent the last years of the war as evacuees.
License
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bombing
childhood in wartime
civil defence
faith
home front
incendiary device
Pippo
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/20/313/Memoro 6587.2.mp3
61931b51070e4e9138ce7cca8b2233ea
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
LP: Noi siam stati fortunati, a Bruzzano sa perché? Che di là c’è la Comasina, che va a Como, la provinciale e di lì c’è quella che va a Erba: noi eravamo in mezzo. Qui che dava paura era la polveriera dove c’è la Masmeir [Max Meyer] il, lì che fanno colori, lì la Masmer, è una, uno stabilimento di vernici, ha preso anche tutta la, lì, verso Novate, anzi mi pare che la polveriera era sotto Novate non a Milano però non son sicura. E lì che faceva paura era la polveriera però era, era fuori, era in aperta campagna. E qui a dir la verità, c’è venuto qualche spezzone incendiario, dopo la guerra si è saputo che lì, andando di lì c’è la ferrovia nord, e dopo la stazione c’è una bella villa, sempre del Lampertico [?] non dove abitava lui, quella lì l’aveva ceduta al figlio, lui abitava verso il comasino, e lì c’era ospite un generale inglese, e Pippo, non so se lei ne ha sentito parlare, era un ricognitore, che non suonava l’allarme da scappare, perché era un ricognitore ‘Ma fa niente Pippo!’, tutti scappavano perché sentiven l’apparecchio, però. Poi abbiam saputo che lì Pippo dietro alla villa c’era un pezzo di giardino, buttava giù dei plichi, Pippo s’abbassava, che non era un apparecchio bombardiere, e c’era. E noi vedevamo questo signore in bicicletta, vestito male ‘Ma chi è chel lì? Te cugnosen?’ ‘No’ ‘ Ma tu non sai chi è?’ tutti ci chedavamo chi era, nessuno lo conosceva. Lui andava in bicicletta, mi sembra ancora di vederlo passare per andare in paese, anche solo, in chiesa non andava lui era anglicano, ma girava in bicicletta eeeh ‘Chi è quello lì? Chi è? Lo conosci?’ ‘No’ ‘E allora chi è? Da dove viene? Da dove va?’. Ed era, dopo dopo abbiam saputo ‘Ah l’era chel là in bicicletta!’ e così quel particolare lì, l’ho saputo proprio.
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Title
A name given to the resource
Interview with Laura Perego
Description
An account of the resource
Laura Perego (b. 1919) narrates how her village in the outskirts of Milan went through the war almost unscathed, in spite of being close to an ammunition dump and other potential targets. Remembers a mysterious badly dressed man who lived in a nearby villa and who used to go around by bicycle, only after the war they discovered he was an English general. 'Pippo', instead of bombing, flew at low altitude and dropped messages for him into his house garden.
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Milan
Italy--Po River Valley
Italy
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:03:02 audio recording
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Memoro#6587
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Francesca Campani
Language
A language of the resource
ita
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Memoro. La banca della memoria
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Type
The nature or genre of the resource
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Royalty-free permission to publish
bombing
home front
incendiary device
Pippo
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/20/310/Memoro 9155.2.mp3
1ba11525a45d9925cfa9280f4413d74f
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
CM: Vabbeh della guerra per fortuna non ho molti ricordi per due motivi: primo perché ero molto piccolo, la guerra è finita nel ’45 io avevo appena cinque anni e per il secondo perché nell’ultimo anno di guerra cioè verso la fine del ’44 siamo, siamo andati, io e la mia famiglia siamo sfollati in un, da un parente che abitava in Frazione San Giovanni di Cherasco, quindi non abbiamo avuto percezione dei grossi avvenimenti che sono avvenuti nel nostro paese. Però comunque mi ricordo di un fatto che tutti i giorni nel, sul nostro paese passava un aereo, un aereo da guerra che sorvolava le case, e tutti lo chiamavano Pippo, Pippo. Noi bimbi eravamo stati addestrati che quando vedevamo l’aereo, sentire il rumore, dovevamo precipitarsi nei rifugi per nasconderci, e anche noi a casa mia avevamo fatto un rifugio al fondo dell’orto che era costituito da un, da uno, una trincea profonda circa un paio di metri con delle assi per tetto e sulle assi avevano messo del terreno. Certo a pensarci adesso era un rifugio per modo di dire perché quattro assi non è che avessero, avrebbero potuto impedirci di non soffrire i bombardamenti, però comunque ci davano una certa tranquillità e poi per noi bambini andare in un rifugio insieme a tutti gli altri ragazzi del, in questo mio rifugio eravamo almeno dieci era un, era un divertimento, era un gioco anche se quando sentivamo sto aereo che veniva a bassa quota un brivido ci percorreva, veniva lungo le nostre schiene. Eeeeh un'altra cosa che mi ricordo è che mio padre è passato molti mesi del ’44 fino al ’45 chiuso nel campanile della chiesa. Questo perché i tedeschi facevano dei rastrellamenti per cercare del, delle persone da mandare al fronte o a fare i lavori o a combattere, e mio padre che era stato, non aveva fatto il militare a causa della sua gracilità, perché era troppo magro, e a quel tempo aveva trentasette anni poteva essere preso, rastrellato e mandato in guerra. Allora lui si era nascosto in chiesa, nel campanile della chiesa, e e un paio di volte, due o tre volte a settimana mia nonna gli portava da mangiare nascondendo sotto le sue ampie gonne un po’ di pane, un po’ di formaggio e qualche uova che depositava poi in canonica e mio padre alla sera, quando la chiesa era chiusa, scendeva dal campanile e poteva andarsi a rifocillare. Ho assistito però una volta a un rastrellamento che è successo anche a casa mia, dei tedeschi, dei tedeschi sono entrati in casa e hanno beccato mio nonno, l’hanno fatto uscire in strada insieme agli altri e poi tutti assieme li han portati a piedi fino a Bra dove li hanno imprigionati nella caserma degli alpini. Qui li han trattenuti tre giorni, per tre giorni poi il terzo giorno sono stati liberati perché è venuto in loro soccorso il vescovo di Alba che era stato avvertito dal parroco di Narzole. Ma il fatto più traumatico per me è stato l’incontro con un tedesco la prima volta che avevamo tentato di andare a, a sfollare da questo nostro parente. Eravamo appena usciti di casa, mia mamma con sei, sei figli, il più piccolo era ancora nella carrozzina, e appena arrivati sulla crocevia all’inizio del viale vediamo un tedesco che ci viene incontro facendo roteare nelle sue mani una bomba a mano e dicendoci ‘Raus! Raus!’. Mia mamma non capiva, tentava di spiegare che voleva andare solo a trovare dei parenti ma lui continuava a dirci ‘Raus! Raus!’ e facendoci vedere le armi e la bomba a mano. Quella volta non siamo riusciti a passare però una settimana dopo mi ricordo che comunque siamo riusciti ad arrivare in questa, in questa cascina e abbiamo passato gli ultimi anni di guerra in tranquillità.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Corrado Marenco
Description
An account of the resource
Corrado Marenco (b. 1940) describes various wartime anecdotes: a makeshift shelter dug in his garden where he and other children had fun despite the danger of 'Pippo'; how his father had to hide inside the bell tower of a church to escape from German soldiers; his grandfather taken prisoner for three days and the frightening encounter with a soldier with an hand grenade.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Memoro#9155
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Cherasco
Italy--Po River Valley
Italy
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1944
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:04:25 audio recording
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Francesca Campani
Language
A language of the resource
ita
Publisher
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IBCC Digital Archive
Memoro. La banca della memoria
Rights
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Type
The nature or genre of the resource
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License
A legal document giving official permission to do something with the resource.
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bombing
childhood in wartime
civil defence
evacuation
home front
Pippo
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/20/302/Memoro 542.2.mp3
a0a1b1464a445638d29f1585297e686e
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
MM: Io sono nata il 2 agosto 1921 a Pradazzo, Villa Pradazzo che ora la Villa non c’è, non è più Villa Pradazzo, non so come la chiamano, però aveva un altro nome che non me lo ricordo, basta, così. Poi va beh lì sono nata e poi all’età della scuola lì in Pradazzo c’era la scuola e ho fatto fino alla terza elementare lì. Poi siamo andati via, siamo andati a, si chiamava Pellegra ma noi eravamo un po’ spostati, comunque era lì, va beh. Lì c’era anche la scuola, ho fatto lì fino alla quarta poi la quinta sono andata a Castelleone, che era il paese grande e però c’era solo fino a lì, poi c’era la sesta che io ho fatto ma mio padre a Cremona o a Crema col treno che era tempo di guerra non ci ha voluto lasciare andare, né io nessuno di noi sorelle, capito?
[part missing in the original file]
MM: Vabbeh ero fidanzata con un pilota, che è stato richiamato e il, al 23 settembre era in cognizione su Brindisi, è stato, non si sa da chi, è bombardato ed è caduto, è morto, ecco. Allora naturalmente io, eravamo innamorati, ero molto disperata, e dicevo ‘Vabbeh non voglio neanche più saperne degli uomini’.
[part missing in the original file]
MM: Dopo l’8 settembre son venuti i, le camicie, io dico le camicie nere, perché io mi ricordo che erano le camicie nere da mio padre a portar, e ci han portato via il grano. Allora mio padre si è ribellato e dice ‘Ma questo sacco di di grano l’ho messo da parte per la famiglia’ e uno di questi brigate, brigatisti, ci ha dato un colpo, giovane eh, ci ha dato un colpo a mio marito che, a mio papà che lo faceva cadere, e allora io mi sono arrabbiata e mi sono avvicinata per picchiare questo, questo fascistone diciamo così, ma mia mamma mi ricordo che mi ha preso e mi ha portato dentro e la roba è finita lì.
[part missing in the original file]
MM: Mio padre di notte si alzava e col fagotto o di vestiti o di mangiare è andato a portare, due però ne aveva che sapeva li conosceva, e andava nei campi che sapeva dov’erano nascosti a portargli da mangiare. Poi c’è stato uno spione che non hanno mai saputo chi, l’han detto, e sono andate le brigate nere, li han presi e li han portati via, uno è finito in Inghilterra, un prigioniero fino la fine della guerra, e gli altri li hanno presi, così.
[part missing in the original file]
MM: Dopo l’8 settembre che c’erano i bombardamenti mia mamma mi mandava a Milano perché mia sorella era qua sola, era sposata era qua sola ‘Vai lì e falle compagnia’. Io andavo brontolando perché dico ‘Ma allora anche a me, se ammazzano lei ammazzano anche me’. Va beh, un giorno mi sono stancata e ho detto ‘Guarda io vado a casa’ ho preso il treno pomeriggio, verso sera e quando siamo stati a un certo punto è passato il famoso Pippo, un aereo che di notte mitragliava, dove si trovava mitragliava, ha ammazzato anche tanta gente. Allora il treno si è fermato e il capotreno dice ‘Andate tutti giù perché il treno si ferma e non può più andare perché c’è Pippo. Allora io mi sono, io insieme agli altri mi sono fatta dieci, diciotto chilometri a piedi, a piedi di notte [emphasis] per tornare a casa. Allora ho una mia amica che era con me e dice ‘Ma dai non stare lì ad andare a casa devi fare altri tre chilometri a piedi, dormi con me’ a Castelleone dove lei abitava. E di fatti mi son fermata lì e il mattino dopo sono andata a casa insomma ecco.
[part missing in the original file]
MM: Tutte le notti passava il Pippo noi avevamo eeeh gli scuri sulle finestre c’eran tutte le cose blu perché quello bombardava, dove passava mitragliava o bombardava, questo, non si sa se era americano o inglese, l’aereo, non si sa.
[part missing in the original file]
MM: Una notte nel ’42 c’erano su a Milano i bombardamenti e noi stando alle finestre su in alto vedevamo tutto i bombardamenti, tutto il fuoco, vedevamo, e una notte sentivamo chiamare giù, era mia zia con quattro o cinque bambini, ne aveva nove eh! è scappata, son venuti da Milano a piedi, eh, di notte perché piangevano, avevano paura. Allora mio padre aveva, dall’altra parte della strada due, due locali, vuoti, dice ‘Dai stanotte state qua con noi, dormite come si può dormiamo, e domani’ e ci ha dato quel posto lì, e poi non so, ha comprato lei, non so che cosa han fatto, perché io poi ero una ragazza e son stati lì fino alla fine della guerra.
[part missing in the original file]
MM: Quando c’erano che non c’era ancora la guerra e i prigionieri li davano a lavorare nei paesi, e mio papà ne aveva quattro o cinque. Uno che si chiamava Ramo, era greco, mi pare, sì, è ancora, non so adesso, adesso sarà morto, però si è sposato lì, è stato sempre lì, e lui, e uno che è scappato era serbo. Poi l’hanno preso i tedeschi per la strada e l’hanno ammazzato, tutti.
[part missing in the original file]
MM: E un mio cugino, che era sul treno, i tedeschi lo stavano portando in Germania. Lui vicino lì al paese, è saltato dal treno, tutto massacrato, di notte, è venuto da noi e allora ci hanno dato una stanza sotto il tetto, che è stato lì fino alla fine della guerra, era un militare che è scappato insomma.
[part missing in the original file]
MM: Quando c’è stato la fine della guerra ci avevano al radio che diceva ‘Milano liberata’ eeeh ha parlato un po’ che erano liberi e che era finita la guerra e poi hanno tolto tutto perché allora era così, non si riusciva. E allora mio cugino, Dario si chiamava, è, è sceso, è sceso dal di sopra dov’era e attraverso i campi correva correva, voleva andare a Castelleone a piedi che era lontano da dove abitavamo noi. E allora l’hanno fermato, mio papà che dice ‘Ma stai qui vedrai che poi ti portiamo noi a casa’ perché lui era felice, dice ‘Meno male sono libero, adesso non sono più nella stanzina di sopra‘ che poverino, c’è stato perché doveva.
[part missing in the original file]
MM: Poi è finite, al ’45 è finita la guerra e in paese e tutte le donne fasciste erano tutte tosate a zero e le facevano camminare per il paese.
[part missing in the original file]
MM: C’era la figlia di Sorini, e tutte le ricche, c’era la Iole Doneda che abitava, ma erano tutte ricche eh, figli di ricchi, erano tutte in fila, tosate, così per il paese.
[part missing in the original file]
MM: Sapevo anche il nome ma non me lo ricordo, che lui andava in giro quando c’era il mercato, perché lì al mercoledì c’era il mercato, lui andava in giro, se c’era qualcuno che parlava in qualche modo li prendeva a calci, era cattivo e quando è finita la guerra, l’hanno preso l’hanno attaccato dietro a un carretto, a un carro e col cavallo via correvano e lo trascinavano, questo veterinario, basta, quello me lo ricordo, poi tante altre cose.
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Title
A name given to the resource
Interview with Maria Malagni
Description
An account of the resource
Maria Malagni (b. 1921) recalls her difficult childhood and chequered schooling history. Mentions wartime anecdotes: the death of her fiancé, an airman shot down over Brindisi; fascists seizing supplies; the capture of two partisans that her father helped; the constant fear of Pippo. She remembers the bombing of Milan and how her aunt fled from the city with five of her nine children. She recollects her father having two prisoners of war working as farmhands, one of them killed by German soldiers and recalls a cousin hiding in the attic until the end of the war. Mentions head-shaved female collaborators paraded in shame at the end of hostilities.
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:08:25 audio recording
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Memoro#542
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Cremona
Italy--Milan
Italy--Po River Valley
Italy
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Francesca Campani
Language
A language of the resource
ita
Publisher
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Memoro. La banca della memoria
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The nature or genre of the resource
Sound
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1943-09-08
License
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Royalty-free permission to publish
animal
bombing
fear
home front
love and romance
Pippo
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/20/227/10449.1.mp3
c2f325c55e3644c2a933fc441ae7005a
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Transcription
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RG: C’era il coprifuoco eh ragazzi, si chiamava coprifuoco. Tu dalla sera dovevi tappare le cose, le finestre perché arrivava Pippo che si divertiva anche, perché poi in un certo senso si divertiva, perché lui aveva preso la linea ferroviaria Modena-Brennero, Modena-Verona, cioè dove abitavo io passava passava la ferrovia, anche attualmente, passa a venti metri da casa, infatti nel cortile noi abbiamo avuto anche delle bombe, che tentavano di colpire Pippo ma non ci sono mai riuscite. Dopo la guerra, chi guidava, insomma l’aviatore di Pippo è venuto anche in Italia è venuto. I bambini alle 10 ti dicevano ‘A gh’e’ Pippo’. E lo sentivi che arrivava e cercava di bombardare, perché anche e soprattutto mandavano in Germania, perché io ho visto quel signore quando ha parlato di Ausiz [Auschwitz], io vedevo, noi bambini vedevamo i treni pieni, i treni merci pieni di deportati, che ci urlavano e ci chiedevano da bere e ci picchiavano nelle dita, o le nostre mamme perché erano soprattutto le donne, che cercavano di, tentavano [emphasis] di allungargli, buttargli qualcosa da quei finestrini dei mercati bestiame, dei vagoni bestiame, no? Era ‘na roba da matti, e cosa facevano? Cercavano anche di farli passare di notte, oppure facevano passare le armi, e Pippo cercava di centrarli.
[part missing in the original file]
RG: Ma in genere, almeno nella zona lì intorno, dei morti, dei feriti causa Pippo io non ne ricordo ecco.
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Title
A name given to the resource
Interview with Rosanna Giungi
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Holocaust, Jewish (1939-1945)
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Francesca Campani
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:02:20 audio recording
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Memoro#10449
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Verona
Italy--Modena
Italy--Po River Valley
Italy
Language
A language of the resource
ita
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This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Memoro. La banca della memoria
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Description
An account of the resource
Rosanna Giungi (b. 1933) describes how Pippo disrupted daily life in wartime, affecting especially those close to the Modena-Brennero and Modena-Verona railway lines. Reminisces the sight of Germany-bound trains packed with people desperately asking for food and water, and stressed the role of local women in helping them.
License
A legal document giving official permission to do something with the resource.
Royalty-free permission to publish
bombing
childhood in wartime
Holocaust
home front
Pippo
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/20/81/Memoro 5523.2.mp3
90f33533fd9ffacc5e279e81543ea85f
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A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
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DC: Non è stato molto bello anche perché io a sei anni ero saggia e orfana di padre e madre.
[part missing in the original file]
DC: E allora son stata in collegio [unclear] io sono nata che mia madre aveva già sette figli però aveva quarantacinque anni lei e poi è morta a cinquanta, per, non so se era una appendicite adesso non so bene. Perché io poi non sono stata molto vicina ai miei fratelli per il fatto che eh son stata in collegio e poi uscita dal collegio avevo qui una mia sorella maggiore che aveva casa qui a Milano e mi ha portato qui a Milano. E qui ho finito un po’ le scuole insomma.
[part missing in the original file]
Other: Com’è il fascismo?
DC: Ah è terribile guardi, ho visto delle scene terribili. Portar via degli uomini che, gli davano l’olio, il bicchiere di olio di ricino. Proprio uscendo dal, eravamo sul marciapiede.
[part missing in the original file]
DC: Vedere questi uomini braccati, da questi altri uomini con questo bicchierino che gli davano, non so guardi, una cosa pietosa è sempre stata.
[part missing in the original file]
DC: Beh in collegio non tanto, è stato quando io sono venuta a Milano che avevo otto o nove anni.
[part missing in the original file]
DC: Noi abitavamo in via Napo Toriani e una notte, come sempre tutte le notti c’era i bombardamenti e poi finito il bombardamento dopo una mezz’ora arrivava il famoso Pippo che avrà sentito nominare forse, no? E però non sentivamo perché l’allarme era cessato. Fatto si è che noi eravamo, eravamo ragazzi, insomma quindici sedici anni, sa a quell’ora lì non si è, a quella età non si è nemmeno tanto molto.
[part missing in the original file]
DC: Esperti non nel senso esperti, nel fatto che eravamo incoscienti insomma. Ci siamo messi a correre perché abbiamo visto le fiamme credevamo fosse la Stazione Centrale e invece era la Bicocca, era la Pirelli. Insomma c’erano le mitraglia [sic], questo qui dell’aeroplano Pippo con la mitraglia, si vede insomma, eravamo tutti pieni di schegge, eravamo in tre o quattro, eravamo tutti pieni di, è stata una notte terribile, terribile è stata.
[part missing in the original file]
DC: Eh si correvamo verso la stazione incoscienti e ci è capitato così insomma. Chi si andava, perché poi i portoni erano chiusi, perché c’erano i capi scala che chiudevano perché andavano nelle cantine a rifugiarsi. Quella notte lì non avevamo nemmeno, non trovavamo nemmeno una porta da andare, da entrare per essere fuori dal marciapiede insomma. Una cosa tremenda. Quella è stata proprio, una scena che non si può dimenticare insomma.
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Title
A name given to the resource
Interview with Delia Cardini
Description
An account of the resource
Delia Cardini recalls her childhood as an orphan in a boarding school and how, at the age of 10, she moved to Milan. She remembers how the Fascists used castor oil to humiliate their opponents. Delia also describes how, after a night bombing, she was running to the train station, when suddenly 'Pippo' arrived and started shelling the area, she remembers it as a terrible night.
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:03:49 audio recording
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Memoro#5523
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Milan
Italy--Po River Valley
Italy
Language
A language of the resource
ita
Rights
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Francesca Campani
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IBCC Digital Archive
Memoro. La banca della memoria
Type
The nature or genre of the resource
Sound
License
A legal document giving official permission to do something with the resource.
Royalty-free permission to publish
bombing
childhood in wartime
home front
Pippo
strafing
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/20/78/Memoro 2218.2.mp3
08b00ebc6db8d25d5a6527e261a199d0
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
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AF: Pippo è un delinquente.
[part missing in the original file]
AF: Marosin [?] che comandante dei partigiani, dei spatigiani, la parola giusta. El g’ha mandà la fotografia dal me camion, el g’ha dito ‘Guarda non star mia a mitragliare sto camion qua perché le quelo che me porta da mangiare’. E io salvai il camion. [unclear] Quella volta che me passò sovra me fotografava ma non me faseva, non me metraliava mia.
LF: E invece tanti li ha mitraliati su [unclear]
[part missing in the original file]
LF: E una notte l’ha buttati tanti di quei palloni incendiari lì che, l’avea illuminà dappertutto, è sta uno spavento quella notte lì perché credemmo che fosse bombe e invese.
AF: Eran palloni.
[part missing in the original file]
LF: Eran le 11, le 11 si di un giorno insomma alle 11 di [unclear]. Mi veniva dalla siga [?] venia su ch’era andata a trovar al pan, che proprio lì a metà discesa, sto apparecchio molla due bombe, dovea centrà il comune qua e il ponte zù in fondo. Me am’son trovaa in terra: mi, la bicicleta e tutto perché proprio spostamento d’aria, paffff. Insomma uno spavento del genere. E quelle sono state le due bombe che han mollato qui a Badia: una al municipio qua e una sul muraglion là del ponte.
AF: El ponte [unclear]
LF: [unclea] e l’ha sbaglià de poco il municipio e anca il ponte, l’ha sbaglià de poco. E mì mi trovavo sulla strada e spostamento d’aria m’ha fatto fare un salto che non si sa, ho perso il pan, ho perso tuto. Però dopo son tornata a metà, perché il pan, l’era una cosa che, odìo l’era orendo, perché dentro gh’era di tuto e non farina.
AF: Come ho deto prima era fatto de polenta, [unclear] gh’era dentro de tuto, semola gh’e metteva dentro.
LF: Ma quele due bombe lì sono proprio quelle che m’han spaventato.
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Title
A name given to the resource
Interview with Lidia Fabris and Alfonso Fridiani
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Lidia Fabris and Alfonso Fridiani remember 'Pippo'. Alfonso Fridiani recalls how his truck was saved from one of 'Pippo’s' attacks by a partisan. Lidia Fabris remembers the fear she felt when 'Pippo' fired off flares. She describes an incident in which she was knocked off of her bicycle by an explosion, she remembers that she came back later to find the bread she had been carrying, as it was so precious..
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:02:25 audio recording
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Memoro#2218
Language
A language of the resource
ita
Rights
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Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Francesca Campani
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Memoro. La banca della memoria
Type
The nature or genre of the resource
Sound
License
A legal document giving official permission to do something with the resource.
Royalty-free permission to publish
bombing
home front
Pippo
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/427/3601/PPirovanoG1701.1.jpg
f08cd474f8b3abb5a6bba59fc5a0eb22
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/427/3601/APirovanoG171113.2.mp3
44fd6d3723b29056871c2fb2c80da476
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Title
A name given to the resource
Pirovano, Giuseppe
G Pirovano
Description
An account of the resource
One oral history interview with Giovanni Delfino who recollects his wartime experiences in Milan.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-11-13
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Pirovano, G
Rights
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Transcription
Text transcribed from audio recording or document
ZG: Prova? Funziona? Sì. Allora, l’intervista è condotta per l’International Bomber Command Centre. L’intervistatore è Zeno Gaiaschi, l’intervistato è Giuseppe Pirovano. Nella stanza è presente, in qualità dell’assistente di Zeno, Simone Biffi dell’Associazione Lapsus. L’intervista ha luogo in Via Gian Rinaldo Carli al numero 34 a Milano il giorno 12 Novembre 2017. Ok, possiamo iniziare. Allora inizio con delle domande di riscaldamento. Qual è il ricordo più lontano che ha, più remoto di tutti?
GP: Diciamo, ma qualche ricordo già prima della guerra. Quindi io sono del ’31 per cui ho dei ricordi verso gli anni ’39-’40. Quegli anni lì ricordo benissimo. L’aspetto che mi è rimasto in testa è la situazione qui di Affori ma sicuramente rispecchia la situazione generale dove il Fascismo teneva in iscacco se possiamo dire, la popolazione. Esempio. Allora c’eran solo le osterie e mio padre andava all’osteria qualche volta, non sempre. Era anche lui uno che gli piaceva bere il solito bicchiere di vino coi compagni, con gli amici, e ogni tanto mi portava, anzi ero io che gli correvo dietro, avevo otto, nove anni quindi, dieci anni. E mi ricordo la situazione, mi è rimasto impresso alcune cose. Per esempio, mi ricordo che sulle pareti dell’osteria dove c’era il, dove si batteva, dove batteva la spalla della sedia c’eran tutte le parole d’ordine: ‘Qui non si parla di politica’, ‘Viva il Duce’ e tutte queste parole d’ordine che potete immaginare quali erano. Ma questo è il meno. Ricordo benissimo che c’erano due, due esseri, due signori che giravano il rione vestiti proprio con la tuta da fascista, camicia nera, pantaloni, in bicicletta, sempre loro due, uno si chiamava Marinverni, l’altro Cavallini, e con la pistola sempre addosso. Facevano il giro delle osterie e ogni, alzavano la voce, la gente stava in silenzio, loro facevano il cosidetto bauscia, disevano a Milan, e quindi in alcuni casi hanno provato anche a sparare in alto, tanto per intimorire la gente. Questi erano proprio i manovali, me li ricordo bene, mi sono rimasti in mente anche i nomi. Poi naturalmente c’erano quelli vestiti bene, quelli che erano alla sede del Fascio qui ad Affori e che loro si facevano solo vedere nei luoghi delle parate quando c’era qualche manifestazione nel rione. Ecco questo, sono i ricordi più lontani, di prima della guerra.
ZG: Ma lei si ricorda perché questa camicie nere intimorivano? Quali erano le motivazioni? C’erano delle cause scatenanti?
GP: Non saprei dire la motivazione. Sicuramente evitavano, volevano evitare, diciamo, che qualcuno si comportasse da antifascista, questo per loro era una cosa che non poteva esistere, per cui controllavano, vedevano se c’era qualcuno di questo tipo. Naturalmente c’erano, ma però non posso dire che alloro lo sapevo, li avevo conosciuti nel, nel dopoguerra chiaramente, negli anni ’45-’46, c’erano gli antifascisti e c’erano ma non si muovevano, non si. Qualcuno di questi venivano anche portati in prigione quando c’era le visite dei gerarchi fascisti, di Mussolini in particolare qualche volta che era arrivato a Milano, però loro non li conoscevo, ma penso che lo scopo principale era quello di tenere sotto controllo la situazione insomma.
ZG: Senta, che lavoro facevano i suoi genitori?
GP: Mio padre era un operaio, lavorava alla Ceretti e Tanfani, una ditta molto importante. Era una ditta ausiliaria si diceva allora, cioè ausiliaria nel senso che producevano cose che servivano per la guerra e quindi. Non le armi ma le strutture sono le gru, gli impianti funiviari, gli impianti che potevano servire per l’esercito, quindi lavorava in uno di quei. Mia madre era casalinga. Eravamo tre fratelli, due fratelli e una sorella.
ZG: Si ricorda un po’ della vita prima della guerra, in famiglia, a casa?
GP: Mah, prima della guerra ricordo che mio padre lavorava dieci ore al giorno e comunque, riusciva comunque a mantenere la famiglia ecco. Mia madre non ha mai lavorato da sposata e non saprei dire precisamente perché. L’età era poca e quindi eravamo, non eravamo in grado di capire per bene le cose. Però posso dire che riuscivamo a vivere, naturalmente con sacrifici perché il mangiare era quello che era, non è che eravamo. E ricordo in particolare che i giorni di Natale, mentre alcuni bambini avevano la fortuna di avere una famiglia un po’ benestante, meglio di noi, noi non avevamo niente insomma, c’erano i soliti pacchetto di mandarino con la noce con quelle poche cose di frutta. Ecco, quello che ricordo è un po’ questo. Facevamo fatica, vivevamo con fatica, ma vivevamo.
ZG: Lei e i suoi fratelli giocavate?
GP: Sì, sì, giocavamo, giocavamo. Mi ricordo che io ero il maggiore facevo, costruivo i monopattini, andavo da, c’era uno stracciaio vicino a casa dove abitavamo, noi abitavamo qui in, qui vicino insomma, un centinaio di metri. E andavo a comperare, ce li regalava praticamente, soldi noi non ne avevamo, le ruote a sfere che raccogliendo i rottami che questo signore c’era dentro anche queste cose qui, noi lo sapevamo e andavamo là e facevo il carrello, il carrellotto con il legno, la, col manubrio, bulloni per fare da perno, la ruota a sfera più grossa che riuscivamo a trovare e facevamo il carrellotto che ci spingevamo in giro oppure il monopattino, con due ruote a scorta. Per dire uno dei giochi, poi giochevamo tante altre cose siam bambini, giocavamo, giocavamo, questo.
ZG: Ehm, lei si ricorda qualche altro gioco in particolare?
GP: Giocavamo, ci allora, ci mettevamo carponi uno dietro l’altro e saltavamo sulla schiena. Chi saltava più, due persone, tre persone. Giocavamo alla, noi lo chiamavamo il Pirlo, pezzo di legno così che mettevamo per terra, picchiavamo sulla punta e il legno andava lontano, quindi chi andava più lontano vinceva. E così insomma questi più o meno erano i giochi che facevamo.
ZG: Senta, si ricorda di quando è scoppiata la guerra?
GP: Sì. Scoppiata la guerra, mi ricordo vagamente del discorso di Mussolini, stranamente. Però stranamente era, tutte le radio parlavano di questo. E mi ricordo vagamente, vagamente col senno di poi, l’ho sentito attraverso i tele, i giornali eccetera ma allora ricordo vagamente per dire la verità. Non è che potessi capire il significato, perché insomma io avevo, nel ’40, 10 giugno del ’40 avevo nove anni, capite che un ragazzo non, però ricordo ma poi. Diciamo quello che posso dire è come ho vissuto io la guerra, ecco questo.
ZG: Ecco sì, voglio fare giusto una domanda prima che era, gli adulti gli parlarono della guerra? I suoi genitori o famigliari a lei vicini, amici dei genitori?
GP: Beh, mio padre un po’, mio padre, mio padre parlava un po’ qualche volta però non si sbottonava. Mio padre non era un politico ma era un antifascista, questo sicuramente, questo, lo posso testimoniare. Politico no perché poi anche lui era un operaio nel senso che non aveva, scuole, sì, fatto le elementari ma non aveva cultura politica. Ma era un antifascista e ogni tanto qualche cosa me lo [sic] diceva. Era un tipo che ogni tanto mi ricordo che prendeva in giro qualche fascista della prima ora, con dell’ironia non con della, diciamo discussioni politiche, si guardava bene perché non avrebbe potuto. Però mi ricordo che c’era uno che aveva fatto la Marcia su Roma, abitava vicino a noi e mai poi era un uomo anziano, non è che fosse, non era un uomo cattivo ma era un fascista. Mi ricordo, eravamo forse nel ’41 quando, quando venivamo, eravamo in Africa ed eravamo sconfitti e allora mi ricordo precisamente, una volta visto fuori in strada e gli diceva: ‘Ohè, Scaiett’, si chiamava Scaietti, ‘Scaiett, andem ben, eh!’. Faceva così, il segno della vanga. Vangava per dire che andavamo indietro. Lo prendeva in giro, per dire. Era comunque un tipo abbastanza, le conosceva le cose, e qualche volta si azzardava anche con gli amici a parlare, ma molto, molto poco, non è che era un antifascista combattente, no, non lo era. E naturalmente poi ho saputo che in fabbrica c’era l’organizzazione clandestina ma questo l’ho saputo dopo e quindi.
ZG: Dopo torneremo anche su questo. Quindi lei non si ricorda nulla in particolare proprio di come suo padre invece parlava a lei della guerra e del fascismo?
GP: No, ma, no, soltanto qualche volta, quello che succedeva, lo diceva in casa ecco. Ma no, devo dire di no. Per dire la verità.
ZG: Eh per caso avevate parenti al fronte?
GP: Al fronte c’erano i miei cugini, i miei cugini sì. Figli della sorella di mio padre e sono, due son tornati tutti e due, sì e altri cugini, altri cugini non me ne ricordo, che erano al fronte.
ZG: Ok. Senta invece, si ricorda dei bombardamenti?
GP: Eh beh certo. Eh lì vorrei parlare un po’. Allora partiamo dal primo bombardamento avvenuto a Milano il 24 Ottobre del ’42, primo bombardamento a Milano. Premetto che a Milano era già stato fatto un bombardamento nel ’40 appena scoppiata la guerra, me lo ricordo bene perché mio padre con la bicicletta, noi abitavamo ad Affori, abitiamo tutt’ora ad Affori, siamo andati a vedere i bombardamenti, per dire incoscienti e incapaci di giudicare, penso che era normale. Allora con la bicicletta, io con la mia bicicletta, mio fratello con la sua biciclettina siamo andati in Via Thaon di Revel, sapete dov’è? Piazzale Maciachini, avanti, lì c’è la Chiesa della Fontana. Il bombardamento è avvenuto con qualche bomba incendiaria che ha toccato la chiesa e la casa di fronte. Siamo andati subito quando l’abbiamo saputo, mio padre c’ha portato, e abbiamo visto di cosa si trattava. Proprio due spezzoni erano apparecchi, erano i francesi, perché noi abbiamo dichiarato guerra ai francesi e quindi quelli si sono vendicati subito ma ridicolmente insomma. Era un bombardamento ridicolo eh. Incendiarie hanno rotto una soffitta, un pezzo di, vabbè, comunque, questo è [unclear], però non è più stato fatto nessun bombardamento. Il primo a Milano è avvenuto il 24 Ottobre ’42. Io ero in quel momento nel cortile di casa mia, in una stanzetta del cortile con cinque, sei amici ragazzi, sentiamo sto casino, sto bombard, sto rumore, sparare e il rumore degli aerei. Usciamo e siamo rimasti lì, era le cinque della sera, quindi iniziava il tramonto. Si vedevano tutti i traccianti della antiaerea, qui nella, c’era l’antiaerea piazzata, là nella Cava Lucchini, vicino proprio a noi, le mitragliatrici e si vedevano gli apparecchi che passavano, che urlavano, erano gli aerei, apparecchi inglesi naturalmente perché i primi bombardamenti sono stati fatti dagli inglesi ’42-’43. Gli americani non c’erano ancora e quindi, vedevamo chiaramente mollare le bombe, magari appena dopo perché appena dopo magari alla Bovisa sugli scali ferroviari eccetera nei dintorni. Noi ad Affori non siamo stati colpiti. E quindi questo è stato il primo bombardamento che ho visto coi miei occhi gli apparecchi che mollavano le bombe. Ricordo il rumore degli apparecchi che poi dopo li ho risentiti in qualche documentario ma li ricordo bene. Allora il giorno seguente, uno o due giorni, mio padre ha caricato la famiglia, ci ha portati fuori Milano, sfollati diciamo, eravamo i primi sfollati, perché poi Milano ha avuto molti sfollati proprio a causa dei bombardamenti. Allora il discorso è questo, noi con la famiglia eravamo sfollati in provincia di Brescia, in campagna, e lui lavorava tutti i giorni da solo a casa, ecco. Veniva tutte le domeniche, quasi tutti i sabati e la domenica a trovarci, prendeva il treno, veniva a trovarci. Però era il ’42, la guerra è finita nel ’45, e io saltuariamente venivo a casa con lui, ’43, ’44 quindi in permanenza non ero a Milano però venivo a casa con lui ogni tanto. E quando ero a casa non sono riuscito a dormire una notte perché c’eran sempre i bombardamenti, c’eran sempre gli allarmi. Su casa nostra non abbiamo avuto i bombardamenti ma le case circostanti, i rioni, Milano insomma è stata distrutta, lo sapete meglio di me. Quindi io ho vissuto nei rifugi qualche, alla notte ed era un dramma veramente: il terrore, la paura. Chi andava nei rifugi era, in genere le donne, ma tutti insomma, mio padre nei rifugi non c’è mai andato perché lui diceva: ‘Mi la fin del rat la fu no!’, la fine del topo non la voglio fare. E allora, quando io ero qui qualche volta mi è capitato di andare nei rifugi perché se era di giorno, o comunque un orario che mio padre era a lavorare e io ero solo, e quindi andavo nei rifugi non potevo, ma quando c’era mio padre lui mi prendeva come al primo allarme mi metteva sulla canna della bicicletta e correvamo fuori perché qui ad Affori adesso è costruito molto ma allora era campagna perché era l’ultimo rione della città e quindi avevamo molta campagna e mi portava nei fossi, nella campagna per evitare i bombardamenti. Ma diciamo che ho vissuto i bombardamenti nei rifugi quando venivano qui. E mio padre, dicevo, veniva ogni tanto, ogni tanto, ogni settimana, al massimo ogni quindici giorni veniva a trovarci. Il giorno del 10 settembre ’44 era un giorno che tornava a Milano della visita che aveva fatto a noi e quando tornava a Milano il treno arrivava generalmente dopo le dieci di sera, c’era il coprifuoco alle dieci di sera, quindi cosa succedeva? Lui dormiva alla stazione centrale, al mattino alle sei prendeva la bicicletta e andava a Bovisa a lavorare, Bovisa è qui vicino. La sera del 10 settembre il treno è, è arrivato in orario, ha fatto in tempo a prendere la bicicletta e andare a casa. È andato a casa, diciamo è salito in casa per disfare la valigia, le bombe cadevano. Nel cortile distrutta la casa. Cosa succedeva? Le bombe cadevano e quindi lui è sceso perché non poteva stare lì perché andavano giù, sentiva le case che andavano giù e anche la nostra dove abitavamo cominciava a crollare. Allora molta gente nel, che scendeva nel cortile perché era un gruppo di case, allora molta gente andava nel rifugio ma il rifugio era la solita cantina che costruivano dove si metteva il vino, si metteva, quindi non era un rifugio, era una cantina. E quindi mio padre faceva la parte delle persone che scappavano, oltretutto non era in grado di contenere tutte le persone, molta gente scappava. Mio padre è scappato con un gruppo di dieci persone. Fatto venti metri, è arrivato a un bivio, scappavano, cercavano di andare in un rifugio più sicuro, loro pensavano. Ha fatto venti metri, erano un gruppo di dodici persone, tredici persone, una bomba è caduta nel centro. Quindi strage completa. Mio padre è rimasto sotto i bombardamenti in quell’occasione lì. E, scusate,
ZG: Se vuole interrompiamo.
GP: [starts crying] cosa succede, c’erano i miei amici, un ragazzo col collo tagliato, mio padre combinazione non aveva niente ma lo spostamento d’aria gli ha spaccato il cuore. E però una parte di persone si è fermato nell’androne, nell’androne della casa si sono salvati, in cantina si sono salvati e quelli che sono usciti sono morti tutti. Tenete conto che la mia casa, la casa dove abitavo, era ai, dietro la chiesa, in linea d’aria trenta, quaranta metri, perché proprio era sull’angolo del giardino del parroco. A sinistra c’era la scuola elementare dove io ho frequentato la prima, la seconda e la terza. Alla mia destra, quella via, c’era l’asilo infantile con cinque suore. Ebbene, hanno distrutto l’asilo, distrutto la scuola, distrutta metà la casa dove abitavo. Hanno danneggiato la chiesa, per dire quel gruppo di queste case. Poi più avanti hanno distrutto dei caseggiati completi, la Cur di Restei, la chiamavamo e tante altre cose lì in giro ma poi anche tanti altri. Quindi questo è il 10 settembre ’44. Mio padre è morto e noi siamo rimasti là in campagna dove mia madre è stata assunta, in combinazione c’era una ditta di tabacchi, raccoglievano il tabacco, lavoravano il tabacco, mia madre è stata assunta lì e siamo riusciti per tirare avanti con lo stipendio di mia madre. Quindi siamo stati lì fin dopo, fino il ’45 e mi ricordo l’ultimo episodio che voglio dire. Il 25 aprile del ’45, ero ancora lì naturalmente, e io seguivo un po’ gli ultimi avvenimenti, ormai avevo quattordici anni capivo un po’ di più insomma. E son corso sul, sono andato sulla strada principale Asola-Brescia perché in quei momenti lì i tedeschi cominciavano a scappare. Ora sono corso là con i miei amici grandi, giovanotti che ricordo si preparavano già qualche giorno prima, armeggiare, trovavano qualche arma, qualche cosa del genere. Sono andato lì per trovarli, insomma io volevo esserci. Sono arrivato là, non ho trovato nessuno in quel momento lì al mattino presto. Però mi sono trovato di fronte un gruppo di tedeschi, quindici, circa quindici tedeschi, potevano essere quattordici o sedici, ma era più o meno un gruppo così, un gruppo di tedeschi in bicicletta armati di tutto punto, bombe a mano e mitra, in bicicletta con sacche pesanti. E ormai ero lì, non sapevo più cosa fare e ho detto: ‘Ma sono un ragazzo, forse non mi dicono niente’. Invece il capo lì: ‘Komma her, komma her’, mi ha messo in mezzo per attraversare il paese. L’intenzione era quella naturalmente di avere l’ostaggio in centro in modo che, avevano paura dei partigiani per cui se c’era qualcuno e attraversiam, per attarversare il paese. Naturalmente io il paese lo conoscevo come le mie tasche, e poi avevo quattordici anni quindi, e intanto che andavamo non so se per incoscienza o non sentivo paura, non è che avessi paura, stavo pensando come facevo a scappare. E infatti prima di uscire dal paese conoscevo bene come fare avevo visto, avevo pensato e quindi con un salto sono uscito dai ranghi. Immaginatevi questa gente qui, stanca, affamata, carica come era, non mi ha neanche visto insomma. Sono scappato e quelli se ne sono andati. Sono stati fermati dai partigiani in paese dopo. Io sono tornato là e ho trovato finalmente i ragazzi che si sono messi là, mi hanno messo assieme a uno con la mitragliatrice, io dovevo metterci su le cartuccie, le scatole e comunque eravamo lì a fermare i tedeschi. Diciamo che la giornata è passata così. Lì fermavano i tedeschi, li mettevano nella scuola poi dopo sarebbero stati mandati non lo so e, eh glielo ripeto ero là. E se venivano le macchine era più pericoloso dicevano se veniva qualche macchina. Allora c’era un incrocio rispetto alla provinciale, veniva una macchina dalla provincia di, era da Castel Goffredo provincia di Mantova, e io ero su quella strada lì dietro l’angolo con questo qui. Sento la macchina, sentiamo la macchina, guardo e tra le fronde della siepe avanti centocinquanta metri vedo un elmetto che non è tedesco quello non è un tedesco, non sono tedeschi allora metto la mano sulla mitragliatrice prima che quello mi, [unclear] tedesco, e arriva la camionetta degli americani. Era il primo americano che vedevo e così abbiamo visto sta camionetta, è arrivato lì, ha fatto quattro chiacchiere, sai quei classici, quattro persone, due di dietro sdraiati con le, che poi s’è visto nei giornali che c’hanno fatto vedere ma li era, mi ricordo classico, quattro parole che noi non capivamo niente e con la cicca americana e se ne sono andati subito. Ecco, questa è la mia giornata del 25 aprile ‘45. E poi naturalmente c’è tutta una storia del dopoguerra molto importante ma che non c’entra con.
ZG: Senta, io le volevo fare qualche domanda per tornare un attimo su qualche passaggio. La prima era, nel ’42 lei ha detto che c’è stato il bombardamento, quello degli inglesi.
GP: Sì.
ZG: Il primo che ha assistito. Ha detto che aveva sentito le bombe ma non ha parlato della sirena antiaerea. In quell’occasione lì, era suonato o non era suonato?
GP: No, assolutamente no. Le ripeto, noi siamo usciti perché abbiamo sentito rumore ma il, l’allarme aereo non era suonato. Nel modo più assoluto. Poi, voglio dire, l’allarme aereo raramente suonava. Non c’era, non c’era organizzazione. Gli unici un po’ organizzati erano la cosidetta UNPA, erano dei civili incaricati in ogni caseggiato per essere, diciamo era come un, come si dice, quelli che abbiamo adesso, la protezione civile ecco, faceva un po’ di queste cose qui. Allora c’era quello del caseggiato più anziano, più bravo, faceva questo lavoro qui. Tutta roba diciamo, organizzata e no, insomma. Allora se c’era qualcuno di buona volontà, se sentiva l’aereo, suonava, perché c’era la tromba, la sirena che faceva a mano, faceva andare a mano. Ma raramente suonava prima dei bombardamenti. Sì, il primo bombardamento assolutamente non suonava. Poi in seguito, mi dicevano i miei amici, perché ci sono quelli che erano qui tutti i giorni, qualche volta suonava ma di rado. In genere arrivavano gli apparecchi e bombardavano. Mio padre, quella volta lì lo stesso, arrivato gli apparecchi, bombardavano e son scappati, ma. Allarme niente, non c’era organizzazione!
ZG: Il rifugio in cui lei scappava di solito, era la cantina di casa sua?
GP: Sì, sono andato anche in altri rifugi. Per esempio, c’era un rifugio fatto, sempre qui, in un posto dove c’era un prato fra le case, era un rifugio che avevano fatto, scavato due metri, se dico due metri potevano essere due e cinquanta, forse anche tre, non lo so, no si passava appena appena, due metri, coperto da tavole, dico tavole. Sopra le tavole la terra che avevano scavato l’han messa su sopra, quindi rifugio per modo di dire. Andava bene se c’era qualche scheggia in giro perché bombardavano ma era una cosa inutile, assolutamente, non era rifugio. E per il resto erano cantine. Non c’erano rifugi, in zona parlo eh, perché poi in altri posti avevano fatto anche dei rifugi. Ma a Affori assolutamente non ce n’erano.
ZG: Come passava il tempo nel rifugio, se lo ricorda?
GP: Seduti, c’erano le donnine che pregavano, c’erano i bambini che piangevano, e io mi ricordo che, ero pieno di paura e quando ero in rifugio, ero solo naturalmente, mio padre non c’era. Ero, tremavo e pieno di paura, poi sa in quell’ambiente lì, donne che gridano, che urlano, i bambini che urlano, e così, è una tragedia insomma. Non era una cosa molto bella.
ZG: Senta, oltre alle preghiere, ogni tanto magari avevate altri metodi per passare il tempo, tipo qualcuno cantava magari o?
GP: No, no, no, io non ricordo. Beh la preghiera dico perché qualcuna che c’era, che faceva la preghiera, non è che, che fosse collettivo il fatto. Qualcuna si metteva a pregare, le donne anziane, me lo ricordo ma, no, anche perché nel rifugio non è che ci stavamo tanto. Cioè i bombardamenti potevano durare mezz’ora, l’allarme diciamo poteva durare mezz’ora, al massimo un’ora ma generalmente finiva molto prima insomma ecco. Che gli apparecchi non potevano star su le ore, bombardavano e se ne andavano. Magari si ripeteva ma non molto a lungo. Nei rifugi stavamo poco tempo, mezz’ora.
ZG: E senta invece dov’è che è sfollato, quando suo padre l’ha portato via?
GP: Sul confine fra Brescia e Mantova, in campagna, se posso [unclear] anche il paese Acquafredda si chiama, Acquafredda, c’è ancora eh!
ZG: E come mai vi ha portato là esattamente?
GP: Perché c’erano i genitori di mia madre, con un fratello di mia madre. E quindi abitavamo tutti assieme nella casa dove abitavano questi. Il, loro non erano contadini, mio nonno era una falegname e mio zio faceva l’operatore delle macchine, le trebbiatrici, le macchine che usavano per la terra, le aggiustava, le, insomma faceva quel lavoro lì.
ZG: E da quelle parti bombardamenti non ce ne sono mai stati?
GP: No, assolutamente, in campagna no, abbiamo vissuto bene.
ZG: Perché ogni tanto tornava a Milano con suo padre?
GP: Eh, perché ogni tanto, io, papà, vengo anche io a Milano oppure era lui ma non è che son tornato, forse due o tre volte a, tre volte a Milano. Però, ragazzi! Erano tragedie tutte le volte. Era una tragedia perché era sempre in giro. Mi son trovato in quel rifugio lì che le dicevo, mi son trovato scalzo. Quindi era, ’43 forse, o primavera ’44, insomma era terrore, scappavamo, eran momenti brutti insomma, non, una cosa che, da non augurarsi guardi.
ZG: Senta invece, un’altra cosa che volevo chiedere era, con la scuola, lei quando ha sfollato per la prima volta, stava già frequentando la scuola media?
GP: No, allora, io ho frequentato la scuola che hanno abbattuto lì quando hanno bombardato mio padre, è morto mio padre, ho fatto prima, seconda e terza, la quarta sono andato a farla nelle scuole nuove, sempre qui ad Affori. Allora la quarta, io sono stato bocciato, sono stato bocciato perché non ho risposto alle domande di religione. La mia maestra, maestra Giacchero, era una fascista di quelle terribili, clerico-fascista, e io non ho risposto a domande di religione perché avevo fatto, avevo tranciato i miei rapporti con la chiesa quando mi hanno fatto fare il chierichetto. Mi hanno fatto fare il chierichetto, parliamo forse nove, dieci anni, allora c’erano chierichetti così piccoli e mi ricordo che a un battesimo un signore ha tirato fuori i soldi, ha dato i soldi al prete, ha detto: ‘Questi qui sono i suoi, questi qui sono per il batte, e questi qui per i chierichetti’. Il prete ha messo in tasca i soldi e non ha dato niente, né a me né a nessun altro, ha tenuto tutti i soldi dei chierichetti. Da quel giorno lì, per me, sono andato a casa ho detto: ‘Mamma, io in chiesa non ci vado più’, ‘Perché?’ ‘Perché mi ha rubato i soldi’ mi ricordo. [unclear] ‘Ma no, ma’, basta, e io ho chiuso. Quindi per me la chiesa non esiste, non esiste da quel giorno là insomma. Poi tutto va bene, tutto [unclear], per me non è un problema, è un problema [unclear], ma. Quindi sono stato bocciato in quarta, ho rifatto la quarta qui e [mobile phone rings] scusatemi.
ZG: Interrompo, non si preoccupi.
PG: Sì?
ZG: Allora, dopo la pausa riprendiamo l’intervista.
PG: Ecco, ehm, quindi ho rifatto la quarta. Il mio maestro era un centurione, un ex-centurione della milizia. Allora e io ero il caposquadra per dire che sono stato bocciato non perché ero un asino, anche se non ero una gran scienza per dire ma io sapevo le mie cose.Sono bocciato proprio perché non ho risposto alle domande di religione e il mio maestro dopo qualche giorno mi ha fatto caposquadra. Era un centurione della milizia e lui voleva avere una squadra organizzatissima. Aveva fatto sette persone, sette ragazzi capisquadra, io ero caposquadra ma ne aveva fatte altri sei che ognuno aveva dato un compito ma soprattutto in palestra ci portava. Eravamo organizzati in un modo eccellente. Io avevo la mia squadra che comandavo a bacchetta: ‘Avanti marsch, destra, sinist, obliqua sinist’. Ero bravo, era il maestro che mi aveva insegnato. E quell’anno lì, doveva essere il ’41 o il ’42, ’41 sicuro o fine ’40, poi facciamo i conti e magari, sì ’42, ’41, ’42 sono andato via, e abbiamo fatto un raduno, hanno fatto un raduno all’arena di Milano di quattrocento classi elementari, la quarta e la quinta, per fare gli esercizi ginnici. Far vedere che erano i giovani, i Balilla che, come eran bravi i Balilla eccetera. E io ho portato la mia classe, siamo stati bravi, eravamo sicuramente fra i primi perché i nostri ci tenevano. Poi per c’han fatto uscire dall’arena. Uscendo dall’arena c’erano dei tavoloni, son stati cinque o sei tavoloni, non lo so perché eravamo in tanti. Ogni tavolone c’era un gerarca dietro lì, un fascistone e io ero il caposquadra, dovevo andare a rispondere, a rispondere alle domande che queste persone mi facevano. Sono arrivato là con la mia squadra: ’Avanti marsch, destra, sinistra, tac!’ ‘Senti’, mi dice, ‘chi ha dichiarato guerra? L’Italia all’Inghilterra o l’Inghilterra alla Germania?’. Sono rimasto un po’. Non lo sapevo, non lo sapevo anche se, che magari era stato detto però non quel momento, non lo sapevo. Però pensavo ragazzi la guerra è una cosa brutta, non siamo noi italiani che la vogliamo, nella mia mente, e ho detto, no è stata l’Inghilterra. ‘Bravo asino! Vai via con la tua classe!’. Questo per dire [laughs] come eravamo in quei tempi là. E poi naturalmente io ho passato la quarta, sono andato in quinta, nel ’42 già avevo perso un anno, nel ’42 a settembre, a ottobre siamo scappati. Perciò ho ripreso la quinta là in campagna, ho fatto la quinta là. Dopodiché là non c’erano più le scuole. Per fare la, per andare a scuola bisognava fare tredici chilometri fino a, un paese importante, paese grosso, ma allora come facevo? In casa c’era una sola bicicletta, a parte il fatto che fare tredici chilometri in bicicletta, col Pippo che ogni tanto sparava addirittura sui cavalli e carretti che c’erano sulla strada, hai mai sentito, avete sentito parlare del Pippo? Ma poi c’era una bicicletta, l’usava mio zio per andare a lavorare. Quindi io, finita la quarta, la quinta elementare, non ho più fatto la scuola. Anzi, devo dire che, allora per andare alle scuole medie bisognava fare, come si, gli esami di stato. E sono riuscito a fare gli esami di stato con la mia maestra - che voleva che li facessi - e con altre sei ragazze, la figlia del sindaco, del podestà, allora del podestà, la figlia del suo secondo era il caseario, aveva il caseificio, la figlia del fabbro e altre tre ragazze dei tre più grossi fittavoli del paese. Allora io ero quello che aveva, che mi vestivo con i pantaloni neri di tela stracciati con le pezze sul sedere e loro erano le figlie, erano le sei ragazze dei ricchi del paese. Allora sono riuscito ad andare, a fare gli esami di stato in quel paese e, non mi viene in mente va bene il paese, con cavallo e carrozza, cavallo e la carrozza con queste ragazze. Siamo, eravamo bene istruiti, siam passati tutti e però io non ho più potuto far scuola. Questo è quanto, questa è la mia scuola che ho fatto. Naturalmente poi ho avuto nel dopoguerra la fortuna di fare altro tipo di scuola e via ma così, scuola era questa, la mia scuola.
ZG: Senta, a proposito della maestra che diceva, quella qua a Milano. Allora innanzitutto prima un’altra domanda: la chiesa in cui lei faceva il chierichetto, è quella che poi è stata bombardata?
GP: Sì. La chiesa qui ad Affori è stata danneggiata, diciamo la parte posteriore sì.
ZG: E invece diceva che la sua maestra delle elementari qua a Milano era terribile. Mi sa spiegare il perché? Si ricorda qualche episodio?
GP: No, era semplicemente cattiva. Quando io le dico che era una fascista ed era fascio-clericale perché, metta assieme queste due cose, si può immaginare che cosa ne viene fuori. Io poi nel dopoguerra mi ricordo che, mi ricordo, c’era un amico che abitava qui anche lui che ha, con questa maestra che la conoscevo bene, aveva qualche anno più di me, e mi, ‘Eh, la Giacchero!’ ne abbiamo parlato ‘La Giacchero’, fa ‘volevamo andare a prenderla a casa, ma poi mi hanno sconsigliato, l’abbiamo lasciata perdere’. Per dire che era proprio una signora che si distingueva dalle altre per essere così cattiva e fascista insomma. Ecco questo. Non tutte erano così naturalmente ma quella, combinazione, l’ho avuta io. È andata così.
ZG: Invece, cambiando discorso, lei si ricorda dei tedeschi? A parte per quell’episodio del 25 aprile?
GP: Sì, sì, mi ricordo dei tedeschi. Mi ricordo dei tedeschi perché i tedeschi avevano occupato l’Alta Italia tutti i paesi, non soltanto dei presidi. Tutti i paesi piccoli e grandi erano presidiati. Noi avevamo lì, abitava vicino a dove abitavo io, nello stesso cortile avevamo un, era un sottoufficiale, era un sottoufficiale o ufficiale non di grande grado comunque abitava lì, quel tedesco lì. Poi c’erano altri, c’è un capitano, c’era dei piccoli presidi insomma in altre parti del paese ma io mi ricordo c’era questo capitano che aveva sequestrato un cavallo bello, che correva a cavallo nel viale del paese, per dire un ricordo perché questo. C’erano tedeschi c’erano anche lì. Dappertutto.
ZG: Che impressione le facevano?
GP: Boh, niente, diciamo che, mi ricordo che mio fratello è andato a rubargli la marmellata in un, c’era in questo caseggiato c’era un magazzino che mio nonno faceva il falegname. Quando sono arrivati i tedeschi han sequestrato tutto, mio nonno non ha fatto più il falegname e loro mettevano lì le vettovaglie e mio fratello con un altro ragazzo sono andati a rubargli le scatole di marmellata eccetera. Si vede che si sono accorti che c’erano, non lo so, e, e questo qui si è accorto e ci ha dato tante scudisciate che [laughs] insomma ecco. Però come persona non era corretta, non, con noi non ha mai detto niente, mai fatto niente. Ci tenevano a stare tranquilli, stavano bene lì quel paese.
ZG: Senta, tornando a quel episodio del 25 aprile, lei aveva già avuto contatti con dei partigiani?
GP: No. Chiariamo bene. I contatti che avevo io erano con gli imboscati, che era diverso. Nel senso che, in quel paese lì i partigiani non c’erano, non avevano niente a che vedere, erano nei paesi più grandi erano verso le colline, verso le montagne. Ma però c’erano gli imboscati voglio dire il. Nel ’43, l’8 settembre, l’esercito si sfasciava e ricordo che molti venivano nelle case, ricordo benissimo venivano anche là, si toglievano le divise e cercavano qualche giacca, qualche pantalone per far vedere che non erano militari, per sfuggire alla Decima MAS che già cominciava a sentirsi. E non i partigiani, solo gli imboscati, cioè coloro che avevano la possibilità di imboscarsi nelle soffitte, nelle campagne, eccetera, ecco. Però c’era qualcuno, c’era qualcuno che si preparava, che non era, era sì un imboscato, non è andato con i partigiani, non è andato con la Decima MAS, con la RSI italiana, i repubblichini, ma che però erano imboscati. Però qualcuno si preparava in quel 25 aprile e siccome io li conoscevo tutti, conoscevo morte, conoscevo morte, vite e miracoli del paese e quindi li conoscevo e sapevo che andavano a provare i mitra, mi ricordo che preparavano le armi per l’eventuale, ma questo gli ultimi giorni ecco, conoscevo questi imboscati diciamo. Partigiani veri e propri li ho conosciuti dopo ma non lì.
ZG: E quando queste persone qua si preparavano con le armi lei ha assistiteva?
GP: Sì, una volta mi ricordo che ero andato assieme e sparavano alle piante per vedere l’effetto che facevano insomma, per vedere le armi se andavano bene. C’avevano un mitra, c’avevano delle pistole, quel gruppo lì insomma che conoscevo io.
ZG: E poi il 25 aprile insomma andando là ha incontrato questo gruppo di partigiani.
GP: Questi gruppi di imboscati, c’erano uno, no, c’erano due forse partigiani che passavano, che davano un po’, che mi davano l’impressione che erano partigiani. Gli altri li conoscevo, erano gli imboscati che c’erano lì, si erano svegliati al momento opportuno. C’era forse una o due persone, una c’era sicuramente che si [unclear] era però il gruppo era quello lì.
ZG: Quindi furono questi imboscati che si erano appostati con la mitragliatrice all’incrocio.
GP: Sì, sì, sì.
ZG: Allora direi che con le domande sulla guerra ho finito. Le volevo chiedere a finita la guerra, lei si ricorda cosa è successo dopo? Siete tornati a Milano, insomma mi racconti un po’.
GP: Ho scritto un libro io.
ZG: Ah.
GP: Beh, molto interessante perché eravamo, diciamo qualcuno era fortunato che era riuscito a fare le scuole medie e andare avanti chi era rimasto a Milano ma la massa era come me, quinta elementare, senza lavoro però la cosa interessante è che il lavoro si trovava subito, c’era molto lavoro, c’era da ricostruire, e quindi sia mio fratello che io e che i miei amici abbiamo trovato da lavoro lì. Ma io vu fa l’elettricista, io vado a fare il meccanico, no, io faccio il panettiere, poi ci, assieme parlavamo e dicevamo: ‘Io vorrei fare questo, vorrei fare quello’. E c’era veramente la possibilità e ci siamo tutti impegnati a lavorare. Abbiamo lavorato da questo punto di vista. E qui io pensavo, speravo di andare a lavorare nella Ceretti e Tanfani, dove c’era mio padre. Il direttore del quale di questa ditta, aveva promesso a mia madre nel ’45 che mi avrebbe assunto appena poteva, ma al momento non poteva e non l’ha fatto. Faccio una parentesi. Questo direttore è stato messo al muro dai tedeschi con i compagni della ditta negli scioperi del ’44, negli scioperi del ’44 perché voi sapete nel ’43 e nel ’44 degli scioperi delle fabbriche di Milano, in particolare Sesto San Giovanni e la Bovisa, dove c’erano tante fabbriche e lì c’erano un gruppo, gli operai erano organizzati, fatto sciopero sono entrati i tedeschi e li hanno messi al muro e non hanno sparato, non gli hanno fatto niente, li hanno obbligato a riprendere il lavoro perché era una ditta ausiliaria, facevano dei lavori che interessavano ai tedeschi e quindi questo signore qui è rimasto direttore d’officina anche dopo la guerra e alla fine prima di essere, di andare via è riuscito ad assumermi, nel ’48 mi ha assunto. Questa persona. E io lì ho potuto capire, sentire tutti gli operai, capire cosa, come hanno vissuto, cosa hanno fatto nel periodo di guerra. E perché allora avevo, nel ’48 avevo diciassette anni ero, e avevo già gli speroni io, eran già due anni che lavoravo e quindi conoscevo già le difficoltà della vita. E quindi poi lì subito a vent’anni ero in commissione interna, facevo commissione interna, quindi conosco bene la vita della fabbrica, prima perché tutti gli amici mi conoscevano perché mio padre ogni tanto mi portava al dopolavoro e allora c’era il dopolavoro. Mi portava là che andavano a giocare alle bocce e poi a Natale c’erano i regali che allora era così durante il tempo del fascio. E tutti gli uomini anziani, gli operai mi conoscevano e quindi ho potuto entrare e conoscere bene le cose. Poi, c’è molto del dopoguerra ma.
ZG: Senta la scuola invece poi è riuscito ad andare avanti quindi?
GP: Sì, ho avuto la fortuna. Dunque intanto la scuola non potevo più nel senso che non avevo fatto le medie, non c’era ancora perché poi i sindacati sono riusciti a imporre la possibilità di fare le scuole medie a chi non le aveva fatte ma io avevo [sic] già troppo avanti. Allora quando sono entrato in Ceretti, la Ceretti aveva le scuole interne. Ho fatto matematica, meccanica e disegno, io poi ero appassionato del disegno, lo facevo prima di andare ancora lì. Ho fatto questi anni qui, questi due, e questo mi ha permesso di studiare perché poi ero uno che, mi piaceva, sapevo, ci capivo. Mi ricordo che il direttore gli diceva agli insegnanti che, gli insegnanti erano tutti gli ingegnieri della ditta, ma perché, perché non, deve andare a scuola questo qui, rimandatelo a scuola, come per dire, perché vedeva che capivo e insomma perchè non va non so, perché non va, ma io avevo la testa dall’altra parte, la testa dall’altra parte dal punto di vista sindacale-politico, per cui non ero, volevo fare quello e non andare a scuola, anche perché alla scuola non potevo andare. Quelle lì l’ho fatta perché mi interessava professionalmente. Vi dirò che ho fatto la vita politica, la vita sindacale fino a ventisei anni, poco eh, dieci anni, a ventisette, a ventisei anni mi sono sposato. Dopodiché ho capito una cosa, che non ero nelle condizioni di fare né il sindacalista né il politico perché la cultura era quella che era per cui, meno male, che ho voluto imparare la mia professione perché sarei stato un cattivo politico e un cattivo sindacalista, questo proprio convinto. Invece ho litigato all’interno della mia azienda per poter avere il mio posto di lavoro, perché allora ero martellato dall’azienda perché volevano disfarmi, disfarsi. Una serie di circostanze che forse è inutile, non interessa a nessuno però diciamo che mi hanno mandato fuori dall’azienda in un’altra azienda di proprietà della Redaelli di Rogoredo. Ho fatto un’esperienza notevole anche là. Dopodiché ho cominciato a lavorare all’esterno della ditta per l’azienda. Alla fine vi dirò che ho fatto il montatore, il capo montatore, il capocantiere, nel ’69 sono andato in ufficio come ispettore di montaggio. Io ho girato il mondo, per dire. America latina, America, Venezuela, andato in parecchi altri posti, son stato in Iran, son stato in Pakistan, son stato in quasi tutta l’Europa nel, e ho cominciato a ventisette anni, ho fatto il primo lavoro da capocantiere, avevo dieci montatori e nel ’59, ventotto anni, e ottanta operai in Sicilia. Ho fatto una teleferica di diciotto chilometri come capo montatore, avevo tutti i montatori della Ceretti, tutti esperti, tutta gente anziana, esperta e io ero, avevo fatto, avevo dieci anni di lavoro alle spalle, avevo fatto anche l’Iran sempre con i capi montatori, avevo fatto la mia esperienza, ma l’ispettore, il capo dell’ufficio montaggi, quando m’ha chiamato per andare in Sicilia per fare quel lavoro lì, ho detto: ’Va bene, vado, chi è che è il capo là?’, ‘No il capo lo fa lei’, ‘No, guardi, il capo lo fa lei’. ‘Sì perché lei’, m’ha detto, ‘io sono sicuro che con la sua savoir-faire volevo dire, il suo modo di fare, riesce a controllare la situazione perché vede, se mando Minisini, se mando Bersani, se mando, son tutti capi, uno che la vuol sapere più lunga degli altri e in effetti era tutta gente esperta. Però lei può metterse, metterli d’accordo, percé se mando uno di questi a fare il capo è una lite unica. Li conosco tutti, mi creda’. ‘Guardi, se lo dice lei’, e in effetti è andata così. Partendo da lì ho fatto presto a far carriera soprattutto perché avevo una cultura tecnica, nel senso che conoscevo il disegno, un po’ di matematica, la meccanica perché se ho fatto l’esperienza, e quindi è stato facile per me far carriera. Facile [laughs], non facile, ma ho potuto farla. E così sono riuscito a fare i miei quarant’anni e poi ho fatto sei anni di consulente dell’azienda. Ecco, questo è stato un po’ la mia carriera.
ZG: Ok, fantastico. Senta,
GP: Beh, forse questo pezzo non vi interesserà, ma insomma, tanto per.
ZG: No, no, no, teniamo tutto, non si preoccupi. Le faccio le ultime due domande. Lei all’epoca, all’epoca della guerra, cosa pensava di chi la bombardava, di chi bombardava?
GP: Le dirò: io sono stato molte volte, mi hanno chiamato nei rifugi a parlare dei bombardamenti e della guerra e i ragazzi diciamo della terza media, o la terza media in genere o la quinta, i ragazzi di diciotto anni, devo dire che è molto faticoso, molto faticoso perché non riescono a esprimersi, non parlano, non chiedono, fanno fatica, però qualche volta qualche domanda intelligente veniva fuori. Mi ricordo che uno ha chiesto: ‘Ma insomma, lei cosa ne pensa degli americani? In fondo hanno ammazzato suo padre, fatto bombardamenti, hanno ammazzato suo padre, quindi come la pensa da questo punto di vista?’. Cosa ho risposto? Dico: ’Sentite, è finita la guerra, ci siamo liberati, io ho avuto la sensazione che ci siamo liberati veramente da un giogo, ci siamo liberati dal fascismo, e io credo che sia stato inevitabile questo sacrificio che abbiamo fatto. Cosa posso fare? Cosa posso mettermi a odiare gli americani? Tutto sommato, gli americani sono anche morti per venirci a liberare. I soldati americani stavano bene in America ma sono venuti qui e ci hanno aiutato a liberarci. È vero, hanno fatto anche dei danni ma alla fine cosa possiamo dire? Cosa possiamo fare? Abbiamo di fronte un altro periodo e non con il giogo sulle spalle’.
ZG: Bene. Per me, se lei non ha altro da dire, finiamo qua. Grazie.
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A name given to the resource
Interview with Giuseppe Pirovano
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An account of the resource
Giuseppe Pirovano remembers wartime memories as schoolboy at Affori, a Milan neighbourhood. Describes daily life in fascist youth organisations, with regimented schooling and political rallies. Mentions childrens plays and pastimes, such as assembling a kick scooter from scrap and recalls fascist militiamen intimidating and jailing dissenters. Recalls conscription dodgers and factory strikes. Gives an account of the 24 October 1942 bombing, which caused limited damage and describes the much more intense one of 10 September 1944. Gives a graphic account of its aftermath, mentioning the death of his father and widespread damage. Describes different shelter types stressing their inadequacy, mentions his experience as evacuee in the Brescia countryside while his father was employed by a manufacturing firm. Recalls Pippo strafing. Gives an account of his experience as trade union activist, describing his post-war career as mechanical engineer. Mentions his involvement in the memorialisation of the bombing war, reflects on the morality of bombing, and stresses how he feels grateful for the sacrifice of those who died.
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Zeno Gaiaschi
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Italy--Milan
Italy--Brescia
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Temporal characteristics of the resource.
1942-10-04
1944-09-10
1943-09-08
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Title
A name given to the resource
Buffadossi, Annunciata
Description
An account of the resource
One oral history interview with Annunciata Buffadossi (b. 1932) who recollects her wartime experiences in Milan and in the Lake Maggiore area.
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Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Buffadossi, A
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Transcription
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ZG: Abbiamo iniziato? Sì.
AB: Il mio nome...
ZG: Allora, l’intervista è condotta per l’International Bomber Command Centre. L’intervistatore è Zeno Gaiaschi, l’intervistata è Annunciata Buffadossi. Nella stanza sono presenti Marialuigia Buffadossi, la sorella, Nava Spizzichino, l’amica delle due sorelle, e Sara Buda, come, dell’Associazione Lapsus. Siamo in [omitted] a Milano ed è il 28 maggio 2017. Nell’intervista saranno fatti dei cenni all’intervista fatta precedentemente da Sara Buda alla signora Marialuigia. Iniziamo. Si presenti pure.
AB: Io mi chiamo Buffadossi Annunciata. Sono nata l’11 ottobre 1932 a Milano, perciò sono proprio del tempo di guerra.
ZG: Ehm...
AB: Nel ’32, sono nata nel ’32, perciò è iniziata la guerra nel ’40, quando io avevo otto anni e facevo la terza elementare. Facevo la terza, siccome sono sempre, sono nata in Via Confalonieri 11,
MB: All’Isola.
AB: Eh, all’Isola, che adesso è diventata una zona di pregio, no, perché è la zona della movida e di però ai tempi, miei tempi era una zona molto degradata ed era ritenuta una zona proprio popolarissima, piena di ladri di galline proprio, non di grande, di grande [laughs] levatura. Però io abitavo in una casa che aveva, noi abitavamo nel, al quarto piano, una casa naturalmente senza né ascensore, né niente né, addirittura tanti appartamenti non avevano neanche il servizio in, all’interno. Siccome era una casa di ringhiera, tanti, tutti quelli che abitavano gli appartamenti che erano nella ringhiera, nella parte della ringhiera, avevano il servizio comune per tutti i quattro appartamenti che c’erano nella, sul piano. Perciò case proprio popolarissime. Però la veniva chiamata la casa di sass, perché era una casa molto antica ed era fatta di sasso proprio e dicevano che avesse duecento anni di età questa casa ed era di fronte alla Brown-Boveri , che era una, sì, la Brown-Boveri era una azienda che fabbricava le, forse le armi, era una, insomma una, ed era anche di fronte alle, alle linee varesine. Le linee varesine erano quelle che portavano a Varese, quella zona lì, che adesso invece hanno, sono state trasformate nella, come si chiama, la stazione di Porta Garibaldi, eh, quelle erano le varesine. Perciò potevano venire bombardate ed erano bombardate, era una zona bombardata perché c’era Brown-Boveri, che era proprio di fronte a casa nostra, noi eravamo all’undici, la Brown-Boveri aveva un numero pare, ma proprio di fronte, e di fronte c’erano pure le linee varesine che erano invitanti per i bombardamenti. Quando è arrivata, quando è venuta la guerra, che è stato nel 1940, noi l’abbiamo saputo dalla radio, che avevamo una radio regalata dalla mia nonna, l’unico regalo di mia nonna che, insomma, per quel poco che poteva fare, no, quella nonna lì poteva fare di più ma insomma ci aveva fatto solo il regalo della radio, avevamo saputo che era stata, scoppiata la guerra nel 1940. Da un discorso di Mussolini che diceva: ’Italiani, al di là del mare, al di là dei monti’, l’Italia insomma adesso mi ricordo che faceva dei discorsi roboanti proprio, che però prendeva tanta gente di, dalla parte proprio della passione così, comunque. Mio padre non era, né un fascista né niente, non aveva, perché aveva fatto sì la guerra del ’14-18, però siccome non era fra gli Arditi, era un alpino di artiglieria di montagna, che un tempo invece degli Alpini c’erano, c’era l’artiglieria di montagna. E’ che il papà amava molto sulla, cosa aveva fatto, sul, eh non mi ricordo più, comunque parlava sempre di avere fatto la guerra nell’artiglieria di montagna. Amava gli asini, che erano i compagni, i compagni degli artiglieri perché gli ha, ha salvato tante vite eh l’asino, il mulo anzi, più che l’asino il mulo perché portava, aveva.
ZG: Ma.
AB: Un capo, non so. Comunque mio padre quando raccontava le sue imprese, però non l’aveva finita, perché si era ammalato, aveva avuto la polmonite e l’avevano messo nelle retrovie. Perciò non aveva visto la fine della guerra ed era diventato l’attendente del colonnello, di un colonnello che stava a Torino ed era il capo della, dell’accademia degli artiglieri mi pare perciò mio padre, ecco. Però veniva da un paese della Lomellina, che erano contadini. Niente, questo per quanto riguarda la mia famiglia.
ZG: Eh
AB: Mio padre faceva il muratore, però veniva da un paese di contadini. E la mia mamma veniva sempre da un paese di contadini che era la Lomellina ed era, faceva la sarta. Io avevo una sorella maggiore, che era mia sorella Marialuisa che era della. Marialuisa, Io dico sempre Marialuisa ma il vero nome è Marialuigia perché così è. Rinnovava la nonna, sa che un tempo si rinnovava, io invece avevo rinnovato la nonna da parte materna, mia sorella invece da parte paterna ed era la preferita da, da quelle nonne lì, da quella nonna lì, mentre io ero la preferita della nonna Mussiada, insomma, è logico. Comunque quando è scoppiata la guerra, io facevo le elementari. Mi ricordo quando era scoppiato perché c’era stato il discorso del, di Mussolini. Il fratello di mia mamma, invece, siccome aveva fatto la guerra negli Arditi, era del 1800 eh perciò erano, avevano fatto la guerra del, era fra gli Arditi, era diventato un fascista, era piuttosto fascista perché gli Arditi, che erano del, del gruppo del, insomma erano tutti fascisti quando erano tornati dalla guerra, ti ricordi eh, lo zio Berto, ehm. Però era una bravissima persona, eh, una persona retta, che si interessava delle colonie per mandare, le colonie i bambini, che a quel tempo, se non andavano a fare la villeggiatura nelle colonie, i bambini non vedevano il mare neanche dopo vent’anni. Io ero stata mandata a Pietra Ligure per esempio, tant’è vero che avevo fatto la prima comunione a Pietra Ligure quando ero lì nella colonia, mandata da mio zio, che non avevo che da ringraziare perché ero una, avevo visto il mare per la prima volta [laughs] nel ’41 forse, ’41 o ’42, non so, perciò ero, avevo visto il mare per la prima volta, se no non conoscevo. Conoscevo la campagna della Lomellina quando andavo a trovare la mia nonna contadina e se no, non conoscevo altro. Comunque, vabbe’. Quando è scoppiata la guerra, io per i primi anni sono stata a Milano e ho finito la scuola, le elementari qui perciò devo averlo finito nel ’42, perché avevo dieci anni. Però mia mamma aveva cercato di mandarmi a, sfollata presso mia zia che abitava a Pallanza sul Lago Maggiore. E lì, purtroppo ecco lì non mi piaceva tanto perché mi trovavo bene con la mia zia, che era la mia zia preferita però tutte le sere, quasi tutte le notti si sentivano gli aerei che passavano sopra il Lago Maggiore. Venivano dalla Francia probabilmente, o dalla Svizzera, non lo so, e si sentivano i rumori e noi dicevamo tutti, sia mia zia sia le mie compagne di scuola che sentivo, che parlavo con le amichette, dicevo: ’Questi sono gli aerei che vanno a bombardare Milano’. Perché passavano sul Lago Maggiore, passavano Luino e venivano a Milano e questo mi faceva un bel dispiacere perchè io sapevo che a casa c’erano la mia mamma, il mio papà e mio fratello. Mia sorella no perché nel ’43 era andata, sapevo che era sfollata sul Lago di Como, perché era andata in banca e la banca aveva sfollato tutti i suoi dipendenti sul Lago Maggiore, eh sul Lago di Como. Perciò per lei ero tranquilla. Sapevo, sentivano dei bombardamenti. Nel ’43 è stato l’anno proprio brutto per i bombardamenti perché si sentiva parlare dei bombardamenti su Milano, massicci, proprio i più brutti, infatti c’erano stati tanti morti. Siccome noi abitavamo in una casa di fronte a un’azienda che faceva, che faceva proiettili, non so, era la Brown-Boveri , era una ditta che faceva forniture per la guerra, era pericolosa. E in più di fronte anche alle varesine, alle linee varesine era una casa, tant’è vero che avevano buttato delle bombe e avevano bruciato tutte le gelosie. Una volta le gelosie rientravano dentro nella, non so se voi, no, voi siete giovani non lo sapete, ma una volta rientravano nel muro e si chiamavano le gelosie. Erano di legno. Naturalmente hanno buttando tante bombe incendiarie hanno bruciato tutte le gelosie della nostra casa e lì mio padre che era il capofabbricato era, ha dovuto intervenire, fare venire non so i pompieri, quello che era, però ha annerito tutto il davanti della casa e abbiamo avuto delle, non era successo nient’altro però tanti rimanevano senza casa ad un certo momento. Noi abbiamo avuto solo quell’inconveniente lì delle gelosie, però, che erano bruciate e non so, adesso non mi ricordo più come. Ad un certo momento però io nel ’43, alla fine del ’43 dovevo fare l’esame di ammissione per la scuola media perché volevo fare la scuola media, che dopo forse avrei fatto magari le magistrali come mia sorella però i miei non potevano farmi studiare. Comunque c’era la mia sorella che lavorava, lavorava in banca, insomma avevamo qualche cosa di più da poter contare. E ho fatto la scuola, l’esame di ammissione alla scuola media lì a Pallanza e poi sarei tornata per fare la scuola media a Milano e sono ritornata nel ’43, ’44. Nel ’44 avevo quanti, dodici anni, avrei fatto la seconda media, ma ho fatto anche la prima media a Milano. E siccome non c’erano scuole, tutte le scuole medie erano un po’, sono andata a finire nella scuola che c’è in Via Giusti che è una scuola per capomastri. Infatti la mia scuola mi ricordo che aveva tutti i disegni, tutte le formine di architravi, cose del genere, però era diventata una scuola media perchè scuole per capomastri non venivano fatti in tempo di guerra, erano tutti ragazzotti che erano stati richiamati, avevano magari sedici, diciasette anni, erano richiamati. E allora andavo e tutti i giorni da, dall’Isola mi portavano nella zona dei cinesi, la Via,
MB: Paolo Sarpi
AB: Via Giusti, Via Paolo Sarpi, perchè la mia scuola era nella via che proseguiva la Via Giusti, la Via Giusti. Andavo però sempre accompagnata da un mio compagno di, un vicino che studiava nelle scuole che aveva un anno più di me e perciò non era richiamato perché, eh. E veniva, mi accompagnava, facevo tutta la strada insieme, dovevo passare dalla Via Guercino dove c’erano, dove c’era il comando dei, e dalla scuola Tenca, la scuola Tenca che adesso è la scuola magistrale che aveva frequentato mia sorella, che era la sede della Muti. La Muti era un’associazione di fascistotti, ragazzotti fascisti, che mettevano una paura solo con la loro divisa, non so lei no lei che non se ne ricorda ma io quando passavo davanti alla scuola Tenca, che era una scuola che mi piaceva perché era la scuola di mia sorella, mi faceva paura perché si vedevano questi ragazzotti che avevano sui diciotto, vent’anni, tutti vestiti di nero, con i baschi con il pennacchio rosso, era una cosa, con gli scarponi che facevano un rumore solo a sentir scandire queste, queste passi, erano una cosa che metteva, e io dovevo passare anche dalla Via Guercino dove c’era la sede dei tedeschi. Era terribile, la Via Guercino era sempre piena di questi tedescotti che mettevano paura perché marciavano in una maniera diversa da, anche dai nostri, che so io, dai nostri alpini, dai nostri bersaglieri che erano simpatici, così. Loro erano, facevano paura proprio, ecco. E io tutti i giorni dovevo fare e ogni tanto si sentiva suonare l’allarme perché di giorno, bombardavano anche di giorno, soprattutto di sera ma di giorno bombardavano e allora si sentiva. Noi eravamo a scuola e allora dovevamo scendere nelle cantine che io ero anche contenta eh di questa facenda perché mi impediva di essere interrogata, perché mi piaceva. Fra l’altro la mia professoressa di latino e di italiano e di latino così, era la professoressa Lighini che era la sorella del dottor Lighini, che, dell’ingegner Lighini che era il luogotenente del generale Cadorna e perciò lei non diceva mai, non parlava mai dei ribelli come erano chiamati i partigiani, erano chiamati ribelli no, non erano chiamati partigiani. I partigiani sono venuti dopo, quando dopo la fine della guerra che allora erano partigiani. Lei diceva sempre: ’ quei ragazzi’, i ragazzi che sono contro i fascisti logicamente, però sono partigiani, parteggiano per una certa parte. L’abbiamo saputo dopo che era la sorella di un, del luogotenente di, del generale Cadorna e infatti dopo era diventata la preside della Carlo Tenca perché era diventata, era la sorella di un cotanto personaggio, eh, perciò. E allora, questo per quanto riguarda i miei ricordi di. Invece di notte suonava sempre l’allarme, spesso l’allarme ma mia mamma non aveva paura e io pure non avevo paura, poi ero un po’ smemorata, non sentivo neanche l’allarme, non lo sentivo. Mia mamma se non mi svegliava io dormivo beatamente poi quando aveva l’allarme, il cessato allarme, mi risvegliavo ma andavo avanti a dormire. Invece mio padre scappava via come una lepre perchè era un pauroso, prendeva su la valigia dove c’erano tutti i tesori della famiglia e andava in cantina con mio fratello, mia sorella non c’era perché era sfollata e noi andavamo, andavamo avanti così. Alla fine della guerra quando c’è stata il 25 aprile, io mi ricordo che in Via Borseri che è una via dell’Isola era passato un convoglio di tedeschi con davanti l’ufficiale con, che imbraccava la rivoltella e faceva così con la mano per tener lontano perché tutta la gente lì che guardava i tedeschi che se ne andavano finalmente, perché mettevano paura, erano vestiti e si atteggiavano in una maniera che mettevano paura solo a vederli, mettevano paura. I fascisti vestiti, quelli della, delle brigate nere e i tedeschi mettevano proprio paura. Erano arrivati i partigiani. Ad un certo momento i partigiani però, insomma ne hanno fatte anche loro perché uccidevano i fascisti o quelli che ritenevano tali. Ci sono state tante vendette anche, insomma, fatte, fatte così ad arte che. Noi avevamo il nostro Don Eugenio Bussa che era il capo della Chiesa del Sacro Volto, che aveva salvato tanti ebrei, ma vicino al loro oratorio, c’era un muro dove venivano uccisi i partigiani che venivano presi o renitenti alla leva, perché c’erano tanti renitenti alla leva. Anche nella nostra casa c’erano due o tre amici di mia sorella che erano del ’24, ’25, che erano proprio giusto giusto per essere renitenti alla leva e loro cercavano di non andare, di non essere, perché se no andavano in Germania e non ritornavano più. E la guerra non la volevano fare, giustamente, perché poi, dopo il ’43 quando c’era stata l’armistizio, tanti erano scappati, magari erano anche militari ma erano scappati come un mio zio, quello zio lì del Lago Maggiore che era un carabiniere che era in Iugoslavia neh, si era levato le mostrine di carabiniere perché se no lo ammazzavano e si era presentato come un povero profugo, era riuscito però era stato preso dai tedeschi e mandato in Germania. Però è riuscito a sopravvivere perché mangiava, però quando ritornava, quando è ritornato ci ha raccontato che mangiava la pelle delle patate che buttavano via i tedeschi. Mio zio era molto furbo, eh furbetto anche lui ma, però insomma, che lavorava in banca anche lui, però all’istituto, dov’era, al, ehm, coso di Novara, ne. E lì a Pallanza c’era la, ma era furbo furbo mio zio e perché per riuscire a e quando è ritornato però, è ritornato nel ’46 o ’47 dopo perché, sa, prima che ritornassero indietro, ma insomma, comunque, è ritornato. Io poi mi ricordo altre cose. Che ogni tanto, con la mia mamma, andavamo al paese di mia nonna, che ci dava magari qualche gallina magari che riuscivo perché dovevano portare tutto all’ammasso ai tedeschi e invece lei riusciva a rubacchiare qualche chilo di farina, qualche uovo, qualche gallina, così andavamo lì, prendavamo il treno, andavamo lì a Sartirana, che mia mamma era di Sartirana, e riuscivamo a portare a casa qualche sacchetto di farina, qualche uova, così, che mia mamma sulla stufa faceva, faceva da mangiare. Faceva il pane bianco, che il pane bianco era un dolce addirittura, oppure metteva l’uovo, faceva qualche cosa di, insomma, una gallina che riusciva. Perché la tessera annonaria è continuata anche dopo la fine della guerra eh, perché è continuata mi pare fino al ’47, non, fino al ’47, perciò si è. Non è che si stesse tanto bene anche finita la guerra, no. Mio zio, mio zio, quello lì, il fratello di mia mamma che era un, ritenuto un fascista perché, ma siccome non aveva fatto male a nessuno, anzi, faceva solo piaceri appunto, faceva andare i bambini alle colonie, accompagnava alle colonie così, non ha avuto niente, è scappato dalla mia zia, quella lì di, che era la sua sorella insomma praticamente, lì sul Lago Maggiore, ma è stato via due o tre giorni e poi è ritornato che nessuno gli ha fatto niente, non, perché era una bravissima persona mio zio Berto. Niente, basta, questo per quanto riguarda il. Poi nel ’47 io trovato il lavoro presso un ragioniere, però avevo fatto giusto le tre medie e basta, non avevo né diploma né niente, avevo appunto fatto solo la terza media. E però mi piaceva di più ragioneria che fare le magistrali. Prendevo sempre da mia sorella che gli ricopiavo gli appunti, lei li faceva magari in stenografia, io invece li facevo in chiaro e allora lei mi dava magari una lira o dieci lire forse perché dopo mi pagava di più. E io guadagnavo la mancetta ma dopo prendevo anch’io lo stipendio, poco, perché i ragionieri non pagavano per niente ma insomma piuttosto di niente e poi imparavo. Dopo nel ’47, questo sono andato nel ’47 neh dal ragioniere, ecco. Nel ’47 mi sono iscritta alle scuole civiche, che erano le scuole civiche di Milano che facevano ragioneria al Parini. Al Parini facevano le serali, era la scuola civica di Milano che facevano ragioneria. E poi mi sono nel ’54, no, dopo ho cambiato, però sono andata in una scuola privata alla, al Volta neh, e poi ho fatto gli esami e mi sono diplomata nel ’54 ecco. E nel ’55 invece ho trovato posto a Selezione del Reader’s Digest, era un giornale, era il giornale di, Reader’s Digest era americano, era uno dei giornali più in voga, mensile, è un mensile. Ma faceva, vendeva anche tante e dischi e giradischi e libri e tutto, oltre la rivista, la rivista era, ecco. E sono stata lì 32 anni. 32 anni più 8 del ragioniere ho fatto 40 anni di iscrizione all’INPS, ecco. E nel ’50, nel ’87 invece sono andata in pensione, ecco, con quarant’anni di anzianità. E adesso sono qui, malata, malandata, sì, no, e perché purtroppo con quello che ho avuto non sono, non sto tanto bene, ma.
ZG: Sì. Io volevo fare.
AB: Dica.
ZG: Mi sono segnato un sacco di domande.
AB: Sì.
ZG: Se vuole, iniziamo. Allora. La prima era una curiosità mia. La sua era una famiglia contadina, giusto?
AB: Sì. La mia mamma viene da una famiglia contadina. Anche mio padre veniva da una famiglia contadina, però faceva il muratore. Dalla Lomellina venivano.
ZG: Però una sua nonna ha potuto regalarvi una radio, ha detto prima.
AB: Sì perché mia nonna, la nonna, la mamma di mio papà viveva con la figlia, la quale si era sposata molto bene e aveva, vero, aveva un albergo. Lei, cioè il marito aveva un albergo. Mia nonna era andata a aiutare, era furba, tremenda era mia nonna, era una donna molto in gamba ma un po’ tremenda. Era riuscita, era l’unico regalo che ci aveva fatto, eh, perchè lei naturalmente viveva con la figlia, il figlio lo teneva meno da conto ecco. E l’unica cosa, ma siccome mia sorella si chiamava come lei, quel regalo lì ce l’ha fatto, ecco. E c’aveva regalato la radio, che a quel tempo la radio, avere la radio era una cosa, una cosa che non si poteva, per noi era un lusso, ecco, era un lusso.
ZG: E senta invece, oltre a suo zio, avevate altri parenti che, insomma...
AB: Erano fascisti?
ZG: Sì.
AB: No, altri parenti no, c’era solo mio zio, che era il fratello della mia mamma, l’unico fratello della mia mamma. Perché loro erano in cinque in famiglia, un fratello e quattro sorelle erano. No, solo mio zio, quel mio zio lì.
ZG: E lui come mai non è tornato in guerra?
AB: Chi, mio zio?
ZG: Sì.
AB: Eh mio zio perché aveva fatto la guerra del ’15-’18, era più giovane di mio papà, non era stato richiamato, ma non so per quale ragione. Lavorava dove, lavorava in un’azienda farmaceutica perché aveva un po’ studiato, Perché, adesso le spiego. Sartirana era sotto la, c’era un duca che era il padrone del paese, ducato di Sartirana era ed era imparentato con i, gli Aosta. Tant’è vero che il ragazzino, quando era stato, nel ’42 o ’43 che era, era lì nel castello di Sartirana. Ma mio zio, ma questo duca di Sartirana era, aveva due figlie. Una non si era sposata perché era mezza inscemita. Invece una aveva sposato un principe di Hannover e quando il marito era morto lei, per non perdere il titolo di principessa, non si era più sposata. Però aveva fatto tante, era padrona, praticamente era padrona di tutto il paese, di tutti i terreni, così. Aveva fatto molto per la, per la gente del paese. Per le donne, aveva, ad Alessandria aveva messo su la scuola per sarte e mia mamma l’aveva potuta frequentare, tant’è vero che mia mamma faceva bene, era una brava sarta perché aveva studiato proprio nella scuola della principessa. E invece mio zio l’aveva, si vede forse perché era tornato lì dal, eh no, tu non lo sai perché tu non ti sei mai interessata, ma io le sapevo queste cose perché mia mamma le raccontava, raccontava. La principessa poi aveva preso mia mamma per fare i vestiti di, prima che lei si sposasse, per fare i vestiti, i vestiti di casa delle domestiche insomma e anche per lei, fare i vestiti di casa, così. E li voleva molto bene. Poi siccome si aggirava per i boschi una volta si era persa lì dei boschi de, perché mia mamma abitava in una cascina ma sperduta, vicino alla, Bisognosa si chiamava, si figuri che cascina poteva essere. Comunque era vicino al Po mort perché lì passa, passavano i bracci del Po ma che chiamavano il Po mort perché sono bracci un po’ di, da poco ecco, e che tagliava il Monferrato alla Lomellina. Perché qui c’è la Lomellina dalla parte della, nella parte della Lombardia e invece nella parte del Po ma piemontese c’è il Monferrato e mia mamma veniva dal Monferrato, i suoi del, contadini ma del Monferrato che insomma si sono trasferiti lì nella Lomellina. E una volta si era sperduta la principessa, mia mamma questa qui lo raccontava sempre, e mio nonno l’aveva tirata fuori dai pasticci, come la signora con mia sorella. E allora è diventato e poi l’aveva portata a casa e le aveva presentato la famiglia, era praticamente un suo dipendente perché lavorava le terre della principessa, del duca, del duca di Sartirana e gliele aveva presentate e siccome c’era mia, l’unica che non faceva la contadina era la mia mamma perché faceva la sarta ma se no le sue tre sorelle facevano tutte le contadine. E gliel’aveva, allora lei ogni tanto quando, e poi gli aveva dato da mangiare o da bere, non so, il latte, così, e si era affezionata, la principessa si era affezionata sia alla mia mamma che la, che. Poi aveva dei domestici che erano parenti della mia mamma e perciò era particolarmente, insomma, la conosceva bene. E perciò non. Invece per le donne aveva messo sù questo atelier dove imparavano a fare le sarte e invece per gli uomini li aveva mandati, mio zio veniva dalla guerra ed era un dipendente di, che sarebbe finito di fare il contadino, le aveva fatto studiare, aveva fatto qualche scuola tant’è vero che poi aveva trovato da impiegarsi in questo, in questa la Paganini Villani, che era una ditta farmaceutica. E allora non era andato a militare perché... Poi si era sposato.
ZG: Fantastico. Ehm, senta invece, della vita in Isola, quando eravate in Isola....
AB: Ah, si stava bene, guardi. Io venivo a casa di sera, alle undici di sera, con un nebbione che non, perché venivo a casa dalle, dalla scuola serale. Venivo a casa magari con dei miei compagni che abitavano. Ma io entravo all’Isola che era piena di nebbia da non finire, io mi sentivo sicura, guardi, non avevo nessunissima paura. L’isola era un, una zona bella. La Via Confalonieri, la Via Volturno, la Via Borsieri. Eh, e poi, che si doveva fare la Via Borsieri, Piazzale Tito Minniti, che cos’è, ah cantavi , sì è vero, io salivo dalle, siccome avevo paura invece fare le scale perché ero al quarto piano, allora cantavo, e la gente, però erano le undici, era. Mia mamma mi sentiva, veniva fuori che mi preparava da mangiare perché io mangiavo alle undici di sera, quando ritornavo da scuola. E cominciavo a cantare e allora mia mamma veniva fuori, mi veniva ‘Tina, Tina, Tina’ e io arrivavo a casa e sapevo di essere aspettata, insomma.
ZG: Ma lei faceva le serali quando faceva le medie?
AB: No, facevo le serali quando ero andata dal ragioniere. Quando nel, dopo il ’47. Perchè io le medie le ho finite nel ’45. In aprile del ’45 io ho finito, il 25 aprile io facevo la terza media. Nel ’45 avevo tredici anni, no.
ZG: Eh, senta.
AB: Tant’è vero che non le ho finite, non le ho finite ma mi avevano promosso lo stesso perché.
ZG: E senta, sempre lì in Isola, prima sua sorella faceva riferimento però al fatto che, anche lei le diceva prima che era un quartiere molto popolare, che c’era un po’ di delinquenza.
AB: Oh, sì, sì, era ritenuto un, era ritenuto ed era proprio popolare, popolare, popolare. Case vecchie, erano case vecchie, tutte, Via Borsieri, Via Confalonieri, Via
MB: Via Serio
AB: Viale, no Via Serio era già più avanti, era già più verso la, la fontana. Piazzale Tito Minniti, ecco lì, proprio là, Piazzale Tito Minniti. Quando noi andavamo a fare il mese di maggio nel ’45 si andava in chiesa a fare il mese di maggio, sa, che mese di maggio è mese della Madonna. E mi ricordo che quando siamo passati di lì era il 25 aprile, era appena passato e maggio siamo passati di lì. Io mi ricordo che c’era uno appeso perché era stato ucciso, era stato strangolato, non so, che era il fratello della pollivendola che abitava nella casa ed era stato ucciso dai e alcuni invece li avevano uccisi nel, nel muro dell’oratorio di, del Don Eugenio, che è il Sacro Volto, questa. Lì in Via Volturno c’è la chiesa del Sacro Volto che era la chiesa del Don, Don Bussa, che però dopo è stato fatto uno dei giusti del... Ti ricordi quando il Peppino è andato che l’hanno festeggiato e mio fratello è andato in Israele che avevano, che l’avevano festeggiato, l’avevano. Perciò una personalità, il Don Eugenio.
ZG: Ehm, senta, volevo. Arrivando al periodo della guerra,
AB: Sì.
ZG: Lei ci ha detto prima che ha scoperto tramite la radio che era scoppiata la guerra.
AB: Sì, sì.
ZG: In famiglia se ne era parlato?
AB: Ma, non mi pare. Forse se ne parlava che doveva scoppiare la guerra perché c’era, ma non mi ricordo, non mi ricordo, no.
ZG: E la sera del discorso alla radio di Mussolini, eravate tutti insieme in famiglia?
AB: Eh probabile, probabile, sì, senz’altro.
ZG: Ah ok. Quindi non si ricorda se suo padre o sua madre avevano fatto dei commenti, sul discorso?
AB: No, ma loro non s’interessavano nè di politica nè niente. E non erano neanche nè fascisti nè niente perché.
MB: [unclear]
AB: Eh, sì, c’era mio padre che solo che diceva: ’mi raccomando, scrivete Duce bene, eh, scrivetelo bene’ perché a quel tempo il fascista era ritenuto e anche con mio zio:’ mi raccomando eh, zio Berto’, che era, noi sapevamo che era fascista perché quando era ritornato e poi quando andava a accompagnare i bambini, mia zia, che era la moglie, andava a accompagnare con la moglie del federale, andava a accompagnare i bambini alle colonie, passeggiava avanti e indietro sulle panchine della stazione centrale, a noi sembrava che fosse la moglie del federale invece era la moglie di un povero diavolo, ma insomma. Poi noi eravamo vestiti da piccoli italiani, ti ricordi? Che avevamo le calze nere delle mamme, che a quel tempo portavano le calze nere. Li facevano sulla un bottone e si faceva la,
MB: Ah sì.
AB: Il cappello, si metteva su in testa la calza della mamma con il fondo, mettevano il bottone veniva il cappellino della piccola italiana. Mia mamma m’aveva fatto la divisa eh! Perché a quel tempo si usava così, eh. D’altra parte ancora tanta grazia che ogni tanto davano dei pacchi, ti ricordi, che la
MB: Noi, non ne avevamo mai usufruito.
AB: No, dai, ma non dir pacchi dai
MB: Io mi ricordo quando è andata a dare la.
AB: Io mi ricordo quando andavo a prendere
MB: Io mi ricordo quando è andata a prendere la vera, io mi ricordo quando è andata a prendere la vera.
AB: Ah sì, perché forse c’è stato un periodo, forse nel ’38-’39, chiedevano,
MB: Dalle tombole di San Marco [?]
AB: Sì, chiedevano. Il Duce ha chiesto la
MB: L’oro.
AB: L’oro alla patria e allora tutte le donne, anche per farsi vedere, per, davano la vera, la vera, gli ori. Ce n’erano pochi, c’era poco, l’unico oro che avevano erano delle verone perché usavano. Però mia mamma l’aveva portata e dopo se l’era fatta rifare.
[ ZG: laughs]
MB: Perché poverina.
MB: Non so se aveva portato la, quella di mio papà o aveva portato la sua ma so, mi ricordo che erano una, erano vere alte, più alte di quelle che si usano adesso.
ZG: Quindi ha fatto fare rifare la fede?
MB: E aveva fatto rifare la fede.
ZG: E in che materiale era?
MB: Eh materiale d’oro. Aveva…
ZG: Dopo averla donata?
MB: Eh sì, perché dovevano far vedere perché lì venivano scritti, eh. Buffadossi, eh, ha lasciato la vera.
AB: Ha fatto la strada quella sera lì.
ZG: Senta, invece, suo padre era capofabbricato.
AB: Sì.
ZB: Il suo lavoro che cos’era esattamente?
AB: Eh doveva curare che, quando suonava l’allarme, venisse diretto bene il flusso alla cantina perché le cantine erano cantinacce, non erano mica le cantine che ci sono adesso, che sono belle pulite. C’erano, io mi ricordo che passavano i topi, eh, perché erano case vecchie, erano umide così. E doveva guardare che ci fosse le panchine perché mettevano le panchine, la gente andava lì, si sedeva e stava lì ad aspettare, contarsela sù che...
ZG: Quindi lui faceva questo lavoro di insomma far affluire le persone in cantina.
AB: Sì.
ZG: La cantina spettava soltanto al vostro palazzo o c’erano anche altri palazzi che dovevano [unclear]?
AB: No, ogni palazzo aveva la sua cantina.
ZG: E come mai vostro padre non vi svegliava, quando suonava l’allarme?
AB: Eh perché era compito della mia mamma ma mia mamma, lui scappava via [laughs] e mia mamma stava lì. Lei non c’era, c’ero solo io e io non avevo paura come non aveva paura la mia mamma. Mio fratello seguiva mio padre e via, perché lavorava anche lui. Aveva cinque anni più di me, perciò nel ’43 così.
MB: Lavorava alla Grazioli.
AB: Lavorava alla Grazioli.
ZG: Ma, e non avevate paura neanche dopo che si era incendiato il tetto della casa?
AB: No, non si era incendiato il tetto, si erano incendiato le gelosie.
ZG: Ah, le gelosie, giusto. E neanche dopo quell’occasione?
AB: Io non, non avevo paura, tant’è vero che pochissime volte sono andata giù in cantina. Non mi piaceva perché bisognava andare su e giù dalle scale, mamma mia, e dormivo. No, non mi piaceva.
ZG: E invece quando eravate a scuola è capitato che suonasse l’allarme?
AB: Ah sì, di giorno e lì era di giorno, lì invece mi piaceva perché ero con i miei compagni. Stavamo lì e magari dovevamo essere interrogate perciò c’era andata bene. La professoressa Lighini era un po’ severotta, eh.
ZG: E alle elementari come passavate il tempo nel rifugio?
AB: E niente, chiacchierando, chiacchierando.
ZG: Le maestre non vi, non c’erano compagni spaventati, qualcuno che aveva paura?
AB: Ma era solo le medie, perché io nelle elementari no eh. Nelle elementari non mi è mai successo. Perché nelle elementari, le avevo già finite perchè nel, io sono andata a scuola nelle elementari fino al ’42 perché, ma nel ’42 non c’erano i bombardamenti, ecco, sono incominciati nel ’43 i bombardamenti feroci che erano, che erano, e dopo ’43, dopo che c’era stato l’armistizio, perché prima no. C’erano i tedeschi che erano nostri alleati e noi effettivamente, quando abbiamo fatto l’armistizio li abbiamo lasciati, li abbiamo traditi in un certo senso e adesso.
ZG: Senta invece, tornando invece alle cantine di, a casa vostra. Com’è che le persone scendevano in queste cantine, c’era tipo una gerarchia, scendevano prima alcune persone poi delle altre?
AB: No, no no, venivano giù. Il primo piano era il primo a sedersi e poi c’erano gli altri piani e noi eravamo al quarto piano, eravamo gli ultimi a scendere.
ZG: Ok. Ehm, invece un’altra domanda. Lei era andata sul Lago Maggiore?
AB: Sì, da mia zia, da questa mia zia che era la moglie di un carabinieri che era stato richiamato. Lui era più giovane di mia mamma perché aveva forse un dieci anni, mia zia aveva dieci anni meno, lui era del ’92, lei era del ’02 e lui, eh, sarà stato del ‘900. Perciò nel ’40 quando era stato richiamato aveva quarant’anni.
ZG: Ehm, lei era andata sul Lago Maggiore per sfuggire ai bombardamenti.
AB: Eh sì perché.
ZG: E come mai nel ’43 ha deciso di tornare?
AB: Eh perché mia mamma a un certo momento ha detto: ’ritorna, se moriamo, moriamo tutti insieme’, ecco.
ZG: Ehm, senta invece mi. Volevo farle una serie di domande sempre su, sempre sul quartiere Isola durante proprio il periodo dei bombardamenti. Avevate paura di rapine in casa o?
AB: No, rapine no, perché cosa vuole, si chiudeva la porta. A quel tempo non si chiudeva neanche la porta perché io a dir la verità, avevamo la porta e l’antiporte, erano case così. Ma spesso e volentieri noi andavamo a dormire senza, anche dopo appena finita la guerra non chiudavamo neanche la porta. Non sempre si chiudeva la porta.
MB: Eh dai.
AB: Sa, rapine, cosa vuole che rapinassero in casa nostra? Se portavano via noi [laughs], dovevano darci da mangiare, no no per carità. Non c’era niente da rubare. Giusto quando andavamo al paese della mia nonna, che portavamo a casa quel sacchetto di, e dopo per passare il Ticino perché noi dalla Lomellina bisogna passare il Ticino a Vigevano bisogna passare il Ticino e il treno si fermava prima del Ticino, noi lo facevamo a piedi il pezzo del Ticino perché se no c’era il pericolo che bombardassero e poi c’era un altro treno che dal Ticino, dal ponte del Ticino a Milano via San Cristoforo, e noi poi prendavamo l’8 perché qui girava l’8 in Piazzale Tirana. A quel tempo l’8 era il tram principe per arrivare alla, alla Isola. C’era il 4 e l’8, che girava l’Isola. Noi prendavamo lì da San Cristoforo o da Porta Genova, ma noi scendavamo a San Cristoforo con il nostro pacchettino e il chilo di farina, e due o tre uova, la gallina, così e andavamo a casa, io e la mamma.
ZG: E senta.
AB: Perché tu non sei mai andata a Sartirana quando, invece io andavo con la mia mamma.
ZG: Però suo padre durante i bombardamenti la valigia con i gioielli di famiglia [unclear] [laughs]
AB: Sì, i gioielli [laughs], cosa vuole,
ZG: Quelli lì li portava via però.
AB: Ah sì, li portava via. C’era, io mi ricordo che c’era un taglio di vestito, poi forse c’erano delle lenzuola c’era un, era un valigione tutto grande, sa di quelli di cartone e pressato. Quello, c’era un taglio di vestiti, c’era, c’erano le lenzuola e che cosa d’altro, niente, nient’alto, non c’era nient’altro di, cosa vuole che portasse. E da mangiare, da mangiare sì, portava giù qualche cosa ma, un panino ma, ma non certamente pane e salame che non si trovava. Era tutto tesserato, si figuri.
ZG: Ehm, e gli spostamenti invece erano, per andare al paese di sua nonna erano facili o?
AB: No no, non tanto facili, perché c’era sempre il pericolo che bombardassero il, perché le vie ferrate erano le più, le più appetibili per le bombe, eh capisce? Magari erano spostamenti di forze armate addirittura, non era, non guardavano se. Perché erano odiati poi gli americani perché erano gli americani dicevano, che i russi non bombardavano perché erano troppo lontano. Invece gli americani erano quelli che bombardavano e venivano odiati perché erano loro che bombardavano.
ZG: Ma ehm, della possibilità che le ferrovie potessero venire bombardate lei lo sapeva già allora. Cioè chi glielo diceva?
AB: Eh me lo, eh si sapeva, cosa vuole, si è, si diventa svegli anche, quand’anche, anche se siamo bambini ma.
ZG: Senta invece volevo farle le ultime domande. Tornando al quartiere Isola. Quando mi diceva che aveva paura di attraversare la via in cui c’erano prima i fascisti e poi i tedeschi.
AB: Eh sì. Via Guercino guardi, e la Via Guercino c’era il comando tedesco e prima nella via, quella via lì che poi è attraversata da Via Guercino, c’era la Carlo Tenca ed era la sede delle Brigate Nere. Facevano, mettevano paura proprio, vedeva, sentiva questo passo cadenzato erano magari tre o quattro insieme [makes a thumping noise], le cose chiodate credo che avessero i, mettevano paura.
ZG: Ma avevano anche un atteggiamento nei suoi confronti oppure giravano delle voci su qualcosa?
AB: No, dicevano che erano cattivi e andavano a prendere i renitenti, renitenti alla leva venivano. Ogni tanto passavano le ronde, vero, ti ricordi? No, tu non te lo ricordi, io mi ricordo che nella nostra casa c’era un ragazzo, un ragazzo che era un poco più vecchio del e proprio lui che era il fidanzato di una sua amica che aveva la sua età, lui aveva forse due o tre anni più di lei e quando è stato chiamato che aveva giusto vent’anni è stato chiamato perché mandavano a chiamare no, con un foglio così e lui. I suoi hanno fatto così ma hanno fatto male perché poi vivevano male. Hanno chiuso una camera, l’hanno chiusa e come se non esistesse. Avevano tre camere e invece hanno fatto come se fossero due camere. E in quello lì c’era il ragazzo però ogni tanto lui si, guardava fuori dalla finestra e la gente della casa, guardando fuori, lo vedeva che veniva fuori. Poi lui era sparito, ‘sto ragazzo era sparito, perché era come noi, erano tre figli, lui in quella famiglia lì, era tre, di tre figli maschi. Invece noi, una figlia femmina e aveva 25, a quel tempo era del ’25, il primo, il Camillo avrà avuto, sarà stato del ’22 o del ’23, poi c’era il Franco che aveva l’età di mio fratello e poi c’era l’Antonio che era quello che mi accompagnava a scuola quando andavo a fare le medie, che aveva, era forse, io sono del ’32, lui forse era del ’31 o del ’30. E mi ricordo che mi, mi accompagnava lì in via e mia mamma mi lasciava andare perché se no cosa faceva. Io non potevo andare a scuola, lei non poteva mica venirmi a accompagnare che doveva lavorare [unclear] non faceva tutte queste e allora andavo. Erano proprio come una scalletta così e quando è sparito, che non si è visto più il Camillo, eh, dov’è andato a finire, poi abbiamo capito perché la sua casa, il suo appartamento era di tre camere e ad un certo momento si è trovato solo due camere. Perché era lì. Loro lì si vede che gli passavano da mangiare e via.
ZG: Ma ehm, lo hanno scoperto le autorità?
AB: No, non l’hanno scoperto.
ZG: Qaunto tempo ha passato così?
AB: Eh, avrà passato due anni. Eh sì. Ha vissuto male.
ZG: E poi è riapparso, finita la guerra.
AB: Poi è riapparso. Poi era fidanzato con, con la
MB: Con la Bruna.
AB: Con la Bruna.
ZG: Ehm
AB: Che poi non ha sposato però.
ZG: Senta invece, l’altra storia di quartiere, mi può parlarmi di quella di Don Eugenio?
AB: E di Don Eugenio era ritenuto una brava, una bravissima persona, infatti dopo, finita la guerra, è stato l’unico che ha messo su sulla. L’oratorio, nell’oratorio dove prendeva solo i ragazzi, i maschi, non era un oratorio misto. Però lui ha fatto, faceva i film al giovedì e alla domenica mi pare, i film che noi, il cinema non si andava al cinema, invece da lui si vedevano dei bei film, magari.
MB: La sera.
AB: Alla sera.
MB: L’Amante indiana.
AB: L’Amante indiana. Una volta abbiamo visto, sì, era bello. I film che magari non erano recentissimi però per noi erano recente perché non vedevamo mai niente. Cinema, dov’è che, c’era il Vox, c’era il Farini come qui nel, il Vox che era in Via Farini. E il Farini che è in Via Farini. E lì erano due cinema che c’erano in tutta la, in tutta l’Isola. Perché gli altri, non c’erano altri e noi si andava lì a. Ah, poi faceva il teatro e le parti da donna le faceva fare dagli uomini, neh. Eh perché non si usava fare, le ragazze, fate lavorare le ragazze. Però erano belle perché poi a un, ah, ecco dell’Alfredo e del Luciano. Nella casa di Don Eugenio poi era stata messa una famiglia di gente che veniva forse da Rovigo così, neh. Comunque insomma era stata messa che i Bussa erano andati a stare con il Don Eugenio a fare la mamma e la sorella, gli facevano da perpetua diciamo ed erano state, stavano lì in canonica con il e in questa casa è stato il Luciano, c’era l’Alfredo che aveva, era un pochettino più vecchio di te e il Luciano che era un pochettino più vecchio di me. Siccome era un ragazzotto che un po’ avventuroso, il Luciano l’ultimo figlio che ehm, non so, si era messo nei pasticci, era stato messo in prigione a San Vittore. Un ragazzo che poco più vecchio di me, avrà avuto, nel ’44 così avrà avuto, io quanti avevo, avevo dodici anni, lui avrà avuto un quindici anni eh. Era stato messo e allora lì. Sua mamma, siccome noi avevamo la legna, facevamo andare la stufa e avevamo la legna perché mio padre portava a casa dei rimasugli di legna e la sua mamma veniva sempre su da noi che così si scaldava e nello stesso tempo chiacchierava lì con la mia mamma. Mia mamma lavorava a macchina e lei, lei chiacchierava. Era grossa [emphasises], era grossissima. Sì, la mamma del, eh dai, dell’Alfredo, no, no, era, sarà stato un centocinquanta chili. E non avevamo né poltrone né sedie per farla sedere allora si sedeva in una cassa dove c’era dentro la legna, però un giorno si è seduta, l’ha sfondata [laughs], ed è caduta dentro la cassa. La cassa era una cassa di legno ma grande eh, grande così. Il coperchio si è rovesciato e lei è caduta dentro. È che da rompersi l’osso del collo, altro che fare il [unclear].
ZG: E questo, e Don Eugenio ha aiutato il, il ragazzo a San Vittore?
AB: Eh, credo di sì. Eh certo che l’avrà aiutato, avrà cercato di portarlo fuori perché era un suo protetto, era uno di quelli.
ZG: E voi avete scoperto che Don Eugenio ha aiutato degli ebrei e dei partigiani dopo, finita la guerra?
AB: No, questo l’abbiamo, questo l’abbiamo scoperto finita la guerra. Che abbiamo saputo che lui ha salvato degli ebrei e dei partigiani. Mentre invece, sono venuti. Questo l’abbiamo saputo dopo. E quello di, della, quando è stato, è stato un po’, è stato poi mica neanche tanti anni fa che l’hanno, hanno messo l’albero dei giusti. Perché sa che gli ebrei hanno una foresta fatta con gli alberi.
MB: [laughs] Perché sai che, sì [laughs]
AB: E perché, non è così? è vero. C’è una foresta fatta solo di alberi con i nomi dei giusti che hanno aiutato gli ebrei.
ZG: Senta, le faccio le ultime due domande. Il Pippo, cosa si ricorda del Pippo?
AB: E del Pippo dicevano che era un italiano andato in America, un americano che era diventato diventato americano e che veniva a bombardare [background noise]
AB: Buongiorno, scusi tanto. Dicevano così e, si diceva che fosse un italiano americano che avesse delle spiate di qualcuno che gli diceva dove buttare la bomba. Ma lo chiamavano il Pippo, non so io. Era noto dappertutto dicevano il Pippo. Stanotte arriva il Pippo perché guardavano la giornata, se era una bella giornata questo si sapeva quando si, quando era in. Noi, io ero sul Lago Maggiore, se era una bella giornata, oggi il Pippo va a Milano. E noi avevamo paura perché a Milano c’erano tutti, tutti quelli sfollati perché ce n’erano di sfollati lì sul Lago Maggiore.
ZG: Ehm, questa storia qua lì del Pippo chi la raccontava?
AB: Eh ma tutti lo dicevano. Parlando sì, tutti. Perchè vede anche mia sorella lo sapeva che, non sapeva niente mia sorella perché mia sorella non. Io invece parlavo con gli altri bambini, gli altri, perché giocavamo eh, nonostante la guerra, noi si giocava per la strada in Via Confalonieri, si correva, si faceva. Poi nella, nella nostra casa, in Via Confalonieri 11, c’era un bel cortile che adesso dopo ultimamente era diventato il box di tutta la gente che, ma un tempo. Che bel colore di pantaloni che ha, e molto, è vero.
ZG: Senta, proprio ultimissime domande. Lei sapeva chi vi bombardava?
AB: Dicevano gli americani.
ZG: Che cosa, che cosa pensava allora di chi bombardava?
AB: Eh male. Perché devono bombardarci, di colpa non ne abbiamo noi, noi gente. I civili che cosa devono fare? I soldati va bene, sono comandati, ma noi che non eravamo neanche comandati, non sparavamo mica a loro. Eh, bombardarci voleva dire farci fare la morte del topo proprio perché non potevamo scappare, potevamo andare via.
ZG: Finita la guerra, ha più ripensato a, ai bombardamenti, a cosa si provava?
AB: No, perché dopo, quando sono venuti gli americani, gli americani hanno portato l’UNRRA, c’era l’UNRRA che davano le stoffe,
MB: I vestiti.
AB: Che davano i vestiti, così e vabbè, ben, ringraziamo, cosa dobbiamo fare.
ZG: Senta, adesso che cosa pensa invece di chi bombardava?
AB: Eh sempre male perché non era mica giusto. Però d’altra parte anche noi che abbiamo tradito i tedeschi, cosa pretendi. E poi se la prendevano con noi, con la gente inerme, mentre invece erano i capi che avevano sbagliato eh. Il re per esempio si è comportato male.
ZG: Senta, ultimissimissima domanda. La casa di sass, la vostra casa. Esiste ancora?
AB: Sì, certo. Adesso c’è la targa proprio per il Don Eugenio. C’è la targa che all’11 di Via Confalonieri, lei vede la targa proprio che qui è stata la casa dove è vissuto Don Eugenio Bussa, uno dei giusti d’Israele mi pare, mi pare che ci sia. Che è bruttissima. Adesso però l’hanno un po’ rimessa a posto perché mi pare che abbiano messo l’ascensore. Figuriamoci che noi la facevamo tutta a piedi, adesso adesso chissà come farei.
ZG: Senta, io vi ringrazio moltissimo e concluderei l’intervista.
AB: Va bene. Che sono intervenuta quando non dovevo.
ZG: Ma no.
SB: Ma no, ci mancherebbe.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Annunciata Buffadossi
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Annunciata Buffadossi recollects her wartime life in Milan. Annunciata stresses poor-quality housing in a low-class neighbourhood close to potential targets; emphasises how much she feared Germans and Fascists; and speaks with affection of her old house, a block of flats with shared balconies. Describes the effects of fire on her house and recollects how shelter life was like. Contrasts the boldness of her mother with the behaviour of her father, who was easily frightened in spite of his role as warden. Annunciata stresses her own care-free attitude, explaining how day bombings were welcomed as opportunities to skip school tests, and night attacks regarded as an annoyance rather than a serious menace. Mentions her brief evacuee experience which ended in 1943, when the bombing war intensified and the family resolved to face the danger together in Milan. Describes aircraft flying over Lake Maggiore, and how children tried to guess their target. Describes subterfuges to get food in spite of rationing, and mentions many war-related anecdotes: reprisals and post-war revenge, a draft dodger hiding in a concealed room for years, and military internees. Mentions Eugenio Bussa, one of the Righteous Among the Nations, explaining his benevolent activities, as well as his role as helpers of partisans and Jews. Tells many anecdotes of her relatives, especially in connection with the Duchess of Sartirana and her charitable activities. Describes Pippo as an aircraft piloted by an Italian American, who relied on information passed to him by helpers. Describes Americans as generally hated for the bombing of cities and killing innocent people. Links the bombing war with Italy’s change of allegiance and recognises the contribution of the allied after the end of the conflict.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Zeno Gaiaschi
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-05-28
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
01:19:20 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Po River Valley
Italy--Milan
Italy--Pietra Ligure
Italy--Pallanza
Europe--Lake Maggiore
Italy
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1943
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ABuffadossiA170528
PBuffadossiA1701
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
bombing
childhood in wartime
civil defence
evacuation
fear
Holocaust
home front
perception of bombing war
Pippo
Resistance
round-up
-
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Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Ventriglia, Adriana
A Ventriglia
Description
An account of the resource
One oral history interview with Adriana Ventriglia (b. 1940) who recollects wartime experiences in Milan.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-05-07
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Ventriglia, A
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
ST: L’intervista è condotta per l’International Bomber Command Centre. L’intervistatrice è Sara Troglio. L’intervistata è Adriana Ventriglia. Nella stanza è presente Sara Buda e il marito della signora, Maurizio Ghiretti. Ha luogo in [omitted] a Milano. Oggi è il 7 maggio del 2017 alle ore 11. Signora Ventriglia, per iniziare io le chiederei un po’ com’era la sua famiglia, dove vivevate all’inizio della guerra.
AV: Certo. Beh, all’inizio della guerra eravamo, cosiddetti sfollati. Quando ci sono stati i primi bombardamenti, siamo sfollati nel Lodigiano, nella campagna del Lodigiano. Nel ’43, di quello non ricordo nulla. Io sono nata nel 1940, nell’ottobre, per cui sì, ricordo la campagna, ricordo un pochino la casa, ho dei flash, ma di bombardamenti non ricordo assolutamente niente. Ricordo invece quando poi siamo tornati a Milano dopo il ’43 e quando c’erano i bombardamenti noi eravamo in Via Bronzetti al 33. Eravamo mia madre, mio padre e le mie tre sorelle, io ero la piu piccola, quindi ero molto piccola, diciamo che avevo un massimo di cinque anni, che quando era finita la guerra avevo cinque anni. E non ho un ricordo di angoscia, di paura, forse perché ero molto piccola, forse perché i miei genitori hanno fatto di tutto per non trasmettermi la paura che sicuramente loro avevano, ma ho dei ricordi molto tranquilli di quel periodo. E quando, per esempio ricordo il Pippo, che era il famoso aereo da ricognizione che girava sopra Milano, e so che il Pippo, io non avevo ovviamente paura, ma so che il Pippo veniva guardato con preoccupazione. Per esempio, la mia sorella maggiore, Licinia, quando c’era il Pippo che sorvolava, andava nervosamente in balcone a mangiare, mamma diceva, pane e formaggio per la paura e per l’ansia. Io invece dei bombardamenti ho un ricordo quasi, non dico allegro, ma molto sereno, perché quando succedeva che dovevamo andare in cantina nel rifugio, mamma faceva vestire tutte quante e poi mi ha raccontato che vestiva mia sorella Cicci e Cicci, di notte, e Cicci si rispogliava un’altra volta e si metteva a letto e lei la doveva rivestire di nuovo. E mi prendeva sotto il braccio, non in braccio ma sotto proprio il braccio e mi portava giù per le scale, tutti quanti giù per le scale insieme ai vari abitanti della casa, tutti giù in cantina e giù in cantina si stava buoni e zitti. Della cantina ricordo molto bene l’odore di umidità e devo dire, tra, sa quel momento per me l’odore di umidità, non so come mai ma io l’ho sempre associato a qualcosa di simpatico. A me la cantina piaceva, forse perché era un diversivo, chissà mai no. Comunque, senso di angoscia mai, senso di pericolo mai. Io ho capito cos’era la guerra dopo, quando sono diventata più grande. Quando poi ho sentito che mia madre cercava dappertutto mia nonna, che era stata deportata e lei sperava ancora che tornasse. Sono cominciate le mie prime domande quando avevo sei anni. Prima assolutamente la guerra non, non mi hanno trasmesso i miei, sono stati capaci di non trasmettermi nessuna paura. Questi sono i ricordi che ho dei bombardamenti e direi che si chiude lì non ho, non ho altro.
ST: Se posso, come mai siete rientrati a Milano nel ’43?
AV: Era successo che mio padre, che noi eravamo a Ospedaletto Lodigiano, tutta la famiglia allargata perche noi famiglia eravamo, avevamo, mia madre aveva preso in affitto una, sopra una, piccolo appartamento sopra una trattoria ricordo bene il cortile c’era l’orto e invece mia nonna e anche mia zia erano andate vicinissime, cinquecento metri, ospiti in una cascina, avevano preso in affitto una stanza in una cascina. Mio padre, una volta la settimana, mio padre, che faceva l’archivista della Prefettura, una volta la settimana prendeva il treno e veniva a trovarci. Una volta c’è stato un mitragliamento dagli aerei e hanno mitragliato il treno, mio padre è rimasto ferito, mia madre gli è andata incontro con, lui l’avevano portato su un carretto perché allora c’era poco altro con la gamba ferita e da quel momento mia madre ha deciso che saremmo tornati tutti a. Siamo andati in Via Bronzetti 33 perché mia nonna nel frattempo era stata portata, perché eravamo venuti via tutti, mia nonna era stata portata da mio zio in, alla frontiera svizzera e l’avevano presa, lui quindi era tornato indietro tranquillo, tutti noi credevamo, pensavamo che la nonna fosse in Svizzera e quindi la mamma, poi in realtà la nonna il giorno dopo era stata rimandata fuori, poi è stata arrestata in treno e deportata ma. Quindi noi siamo andati nella casa della nonna, in Via Bronzetti 33 e, non so se questo c’entri tanto con il discorso dei bombardamenti ma io l’ho saputo vent’anni, trent’anni dopo che eravamo tornati indietro che la data era dopo il luglio, dopo la caduta del Fascismo e dopo la formazione della RSI, ma noi avremmo potuto essere stati tutti deportati, ma mia madre, siccome aveva fatto un matrimonio misto, senza conoscere la storia perché poi i particolari si sanno sempre dieci anni, vent’anni dopo, credeva di poter stare tranquilla perché lei aveva fatto matrimonio misto. In realtà [laughs] eravamo nella casa della nonna che è stata deportata e avremmo potuto essere stati tutti tranquillamente deportati, magari un po’ dopo perché matrimonio misto nelle leggi prevedeva intanto un atto successivo a quello del prendere anche le persone che avevano fatto matrimonio misto ma vabbè è stato un atto di pura incoscienza da parte di mia madre ma così è stato, è andata bene.
ST: Posso chiederle quindi la sua famiglia era composta, sua madre era quindi di origine ebraica?
AV: Mia madre era ebrea e mio padre era cattolico, era un buon cattolico napoletano e noi eravamo stati tutti battezzati, non subito, la mia prima sorella è stata battezzata dopo sei mesi ma poi via via siamo stati tutti battezzati. Quindi eravamo figli di matrimonio misto, battezzati. Quindi per la legge italiana c’era un certo tipo di legge, quindi saremmo stati non tanto noi figli non tanto sotto la legge perché eravamo stati battezzati alla nascita. Per le leggi tedesche il discorso era un po’ diverso.
ST: Posso chiederle se successivamente quando lei ha iniziato a crescere in famiglia si è riparlato della guerra, dei bombardamenti?
AV: Sì, altroché. Ci sono tutti i racconti della mia mamma, mio padre è morto nel ’54 e non ricordo racconti da parte sua. Però la mia mamma appunto raccontava, raccontava di come reagivano le mie sorelle. Il racconto della sorella maggiore che andava in balcone me l’ha fatto la mamma. Il racconto della prima sorella che si svestiva insonnolita perché non capiva perché dovesse vestirsi in piena notte, anche quello me l’ha raccontato mia madre. Ma direi che, il discorso dei bombardamenti forse era un discorso corale e non sento, non ricordo grande angoscia per quanto a proposito la nostra prima casa quella dove abitavamo nel ’40 quando siamo venuti via era stata bombardata, eravamo in via, vicino a Piazzale Susa, e infatti non non, quella casa non c’era più per quello che siamo andati poi nella casa della nonna. Ma, non, anche nei racconti di mia madre c’era qualcosa di superato, ma probabilmente perché il tutto è stato poi sovrastato invece, per molti anni, dall’angoscia della perdita della nonna, della mamma di mia mamma. La ricerca nei primi anni, sperando che tornasse, l'andare per le varie organizzazioni, scrivere, si parlava soprattutto di quello. Direi che io sono stata segnata più da questo che non dai bombardamenti. I bombardamenti erano una casa che avevamo vissuto tutti a Milano, per cui erano una specie di grande tempesta che era arrivata, l’avevamo passata tutti, qualcuno c’era rimasto sotto ma insomma non, ripeto non c’era angoscia in casa nostra per i bombardamenti. Tra l’altro allora, soltanto dopo ho percepito, ho fatto un po’ i calcoli, erano i bombardamenti degli alleati, non erano i bombardamenti dei tedeschi prima. E, anzi no nel ’43, sì nel ’43 erano gli alleati, certo certo. Ehm, che erano i nostri liberatori [laughs] per cui forse per questo non si protestava tanto.
ST: Quindi lei come bambina pensava a un bombardamento tedesco o non si dava spiegazioni?
AV: Da bambina, non c’era nemmeno il concetto di tedesco o di italiano, a cinque anni hai la famiglia, hai, non hai questo, forse in un’altra casa avrei potuto sentire le differenze, ma non, assolutamente no. Non, sono tutte, queste delle differenze, delle nazioni, sono tutte cose che ho sentito, ma che ho capito, non sentito, ho capito soltanto da adolescente, poi da adulta, prima assolutamente no.
ST: Si ricorda per caso durante i bombardamenti ad esempio, le sirene o comunque cosa succedeva?
AV: Ecco, quello che sapevo benissimo, giusto me l’ha fatto ricordare. Certo, le sirene le sentivo benissimo. E non solo, che andando in giro per la città, perché io andavo lì intorno, c’era, c’erano gli scantinati delle case, che avevano di fianco dei segni, grandi segni bianchi con delle grandi freccie bianche, che indicavano il rifugio, cioè in caso di bombardamento indicavano. Io anche allora sapevo che in caso di bombardamento era lì che si andava e questi segni sono rimasti poi per decenni sulle case, poi pian piano sono spariti, poi via via sono stati cancellati e al posto delle, di quelle finestrine basse che davano nelle cantine che c’erano nelle vecchie case, nelle nuove case non ci sono più, erano, son state messe poi le inferriate, poi tutto è stato dimenticato. Ma, certo le sirene me le ricordo bene io, certo.
ST: Ehm, lei si ricorda per caso, chi è che le aveva spiegato cosa bisognasse fare in caso di bombardamento, se…
AV: A me nessuno ha spiegato nulla perché ero piccola, ero protetta, ero molto protetta io. Ero la più piccola e quindi mi gestivano in caso di problemi. Non, io nulla sapevo, nessuno mi diceva niente, no, no.
ST: E si ricorda cosa facevate lei e le sue sorelle durante le ore che si passavano nel rifugio?
AV: Ho dei ricordi vaghi. Ricordo tante persone che si conoscevano tra di loro e non era neanche tanto buio, c’era un semibuio, forse una lampadina. Un po’ si chiacchierava, un po’ si taceva. Non ricordo di mio, poi ho saputo da altri racconti ma di mio non, non ricordo altre cose,se, cosa facessero, se qualcuno dormiva per esempio ma, sono cose che non ho, di cui non ho ricordo proprio. Ero piccola, cioè cinque anni. Di solito, beh oggi forse i bambini sono diversi perché cominciano prima ma allora i bambini erano molto, come dire, molto protetti dall’esterno, gli si raccontava molto poco, non aveva importanza di spiegargli le cose, dovevano fare quel che dicevano i genitori e basta, ecco, per cui. Poi le nozioni quindi non se ne hanno, si hanno solo delle impressioni, dei sentimenti, non molto altro.
ST: Quando, relativamente a quell’evento che raccontava di suo padre che venne mitragliato, che subì un mitragliamento al treno su cui stava viaggiando, anche di quello in famiglia come, rimase soltanto la paura di sua madre oppure ci fu anche un discorso attorno a quel fatto? Ci fu della rabbia, magari legata ai bombardamenti?
AV: No, non ricordo. Mia madre è rimasta molto spaventata ma non ricordo rabbia, ricordo molta paura. Mi ricordo quando la mamma a Ospedaletto Lodigiano era uscita, era andata a prendere il papà, ma era solo paura, non c’era rabbia. Devo dire che di rabbia nei confronti dei bombardamenti a casa mia non ne ho mai sentiti. Probabilmente proprio perché, ma è una mia ipotesi, venivano proprio percepiti da, come bombardamenti di qualcuno che ci veniva a liberare dai tedeschi. È possibile, però è una mia idea. Comunque sicuramente io non ricordo rabbia nei confronti dei bombardamenti, no.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Adriana Ventriglia
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Sara Troglio
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-05-07
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:15:50 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AVentrigliaA170507
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Po River Valley
Italy--Milan
Italy--Lodi
Italy
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1943
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Description
An account of the resource
Adriana Ventriglia remembers the bombings of Milan. She provides details about her evacuee life in the Lodi countryside and describes how her father was injured in a train strafing. Mentions her early life in a mixed family, the impact on anti-Semitic laws, and how her grandmother was deported, never to return. Recalls life under the bombs, civil defence precautions and the atmosphere inside a shelter. Stresses how her parents tried to spare her as much hardship as possible and describes war as a relatively care-free period. Mentions Pippo and describes how her sister tried to cope with its menacing presence.
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
African heritage
bombing
childhood in wartime
civil defence
evacuation
faith
fear
Holocaust
home front
perception of bombing war
Pippo
strafing
-
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2417eec6737fadb7ac8ec0e05a1fc4ad
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/68/715/AVentrigliaV170725.2.mp3
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Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Ventriglia, Sarah
Ventriglia, Vincenzina
S Ventriglia
V Ventriglia
Description
An account of the resource
One oral history interview with Sarah Ventriglia who recollects her wartime experiences in the Milan and Lodi areas.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-07-25
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Ventriglia, V
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
L’intervista è condotta per l’International Bomber Command Centre. L’intervistatore è Sara Buda. L’intervistata è Vincenzina Ventriglia. Nella stanza sono presenti Sara Troglio e Greta Fedele dell’Associazione Lapsus. L’intervista ha luogo in [omitted] a Milano presso l’abitazione della sorella della signora Ventriglia. Oggi è il 25 luglio 2017.
VV: Oh, no!
SB: E’ presente anche un gatto che non riusciamo a contenere.
VV: Stai giu’, allora stai qui buono.
SB: Allora, cominciamo da prima della guerra. Cerchiamo di capire un pochino quale fosse…
VV: Ecco, il mio primo ricordo di quello che poi è successo della guerra è che ero ai giardinetti, abitavamo in Viale della Argonne e davanti c’erano i giardini…
SB: A Milano?
VV: A Milano. Avevamo una signora. E in quel momento, mentre eravamo seduti lì abbiamo sentito la voce del duce ,molto forte, che stava facendo la dichiarazione di guerra. Quello è stata la prima cosa che… mi pare che era il dieci giugno qualcosa, eh questo. Poi tutto il resto è venuto dopo, e ho sopportato tutto, ma tante cose, non so i rifugi, i rifugi alla sera andavamo nel rifugio ma non nel nostro perché non era abbastanza forte, e andavamo in una casa vicina, nella cantina di una casa vicina che aveva il rifugio fortificato [laughs], mentre noi avevamo un rifugio molto debole. E mi ricordo che alla sera la mamma appena c’era l’allarme ci faceva vestire a tutte, eravamo tre, Adriana era ancora…, e ci vestivamo in fretta e correvamo a questo rifugio che era, diciamo a poco, venti trenta metri da noi, così, basta. Io poi avevo il vizio che quando mia madre mi vestiva dopo pensavo che era ora di andare a letto e mi rispogliavo [laughs]. La mettevo sempre in crisi. Poi stando nel rifugio non è che mi preoccupava molto, ecco, stavo lì e non pensavo che poteva succedere qualcosa di terribile o, però dopo quando poi siamo partiti per Ospedaletto Lodigiano, siamo sfollati, ma è stato dopo il bombardamento che c’è stato forte nel ’43 perche’ io dal fondo della via ero fuori, correvo a casa perché c’era l’allarme ho visto una casa grande in fondo alla strada che bruciava, cioè era stata bombardata e quello mi è rimasto proprio nella mente sempre, per sempre. Dopo altre cose dopo siamo partiti, siamo andati a Ospedaletto Lodigiano, eravamo nascosti, anche perché la mamma si nascondeva non solo per i bombardamenti ma perché essendo ebrea aveva molta paura. Il papà essendo cattolico aveva degli amici, perché lui lavorava in Prefettura a Milano, aveva amici che quando sapevano che i Carabinieri arrivavano vicino a noi, a Orio Litta da quelle parti, c’era la mamma che prendeva Adriana che era piccolissima, la metteva sul sellino della bicicletta e scappava nella campagna. Noi restavamo a casa, però insomma, poteva succedere anche a noi, però no. Poi oltre a noi avevamo a casa lì a Ospedaletto una zia di papà che era scappata, una sorella di papà che era scappata dal meridione, che era venuta per salvarsi su al nord e con una zia sua, quindi eravamo in casa con questa persone, inoltre in un altro appartamento c’era un mio prozio da parte della mia mamma, veronese, che era un fratello della mia nonna. La mia nonna poi è stata presa in Svizzera, cioè non in Svizzera, beh questo dopo. E quindi anche questo zio abitava lì, lui da Verona era scappato, come sua moglie era cattolica e aveva una figlia, erano andati a Verona per prendere la zia, però lei ha detto ’ma io sono cattolica, poi sono una ragazza madre‘ come se non avesse il marito, mentre lo zio era a Ospedaletto. E dopo allora lo zio era difeso, era protetto dal parroco del paese che stava sempre nelle zone del parroco e insomma si era fatto un piccolo centro per lui, è stato lì sempre e si è salvato. Mentre la mia nonna, la mamma di mia mamma, che era anche lì in quel paese sfollata per un po', era in una cascina vicino. Noi eravamo ospiti, era come un ristorante albergo che però ormai dava gli appartamenti così agli sfollati. Allora, era in una cascina vicino a noi e stava lì insieme a mia zia, cioè la sorella di mia madre che non era sposata, era fidanzata con un cattolico che stava a Milano e la zia, purtroppo a un certo punto veniva corteggiata e seguita da un gerarca fascista che abitava proprio lì in un altro appartamento della cascina, quindi non ha più potuto vivere lì, ha dovuto ripartire, è venuta a Milano ed era ospitata da una cognata del suo fidanzato e abitava in via Archimede, eh io mi ricordo tutto questo. Poi era nascosta lì e mi ricordo che la mia mamma quando siamo tornati da Ospedaletto, che non siamo stati lì molto, siamo ripartiti da Ospedaletto a gennaio, febbraio del ’44, perché mio papà venendo a Ospedaletto era stato mitragliato sul treno, quindi non volevamo più, mia mamma non voleva più che corresse questo rischio, siamo tornati a Milano. E siamo andati a vivere a casa della nonna che la nonna non c’era più, era stata presa. Allora la nonna è partita il 5 dicembre, il 5 dicembre del ’43 è stata arrestata. Mio zio che poi aveva perso il lavoro nel ’38, io me lo ricordo quando lui parlava di questo, mio zio non poteva più lavorare, me lo ricordo ancora adesso che parlava con mia mamma ‘non so cosa farò’, poi ha fatto il maestro di sci, è diventato un grande maestro di sci, ha fatto un lavoro indipendente. Ecco, volevo dire che lui e la mia zia sono partiti con la nonna per accompagnarla in Svizzera, e io me la ricordo la nonna quando è partita da Ospedaletto, mi ricordo ancora la corriera che ha preso, perché sono scesa per salutarla, la corriera me la ricordo come se la vedessi adesso, con la pelliccia nera sulla porta della corriera mi salutava. [weeps] E così dopo di allora non abbiamo più saputo niente di lei. La mia sorella più piccola di me, però più grande di Adriana, in mezzo, che vive in America, lei ha dei ricordi vivissimi. Lei invece si ricorda che quando la nonna è partita, lei stava salendo la scala per tornare a casa e la nonna scendeva e si è fermata e gli ha detto ‘Ciao, io vado via‘, lei gli ha detto ’Ma perché vai via?’, così è rimasto il ricordo della nonna. Dopo quando è arrivata in Svizzera con lo zio e la zia che l’hanno accompagnata, non è stata ricevuta, cioè l’hanno scacciata insieme ad altre quindici persone, dicevano perché non aveva ancora sessant’anni, però non lo so per quale motivo. E poi sono scappati tutti insieme, sono arrivati fino a Pino, a Varese e l’hanno arrestata a Pino, poi è passata alla prigione di Varese, dopo è passata a San Vittore, mi sembra quinto raggio, e la mamma mia quando ha saputo che era lì voleva andarla a trovare. È andata al comanda dei tedeschi qui a Milano, e ha detto che voleva parlare con loro, allora una persona che era lì di guardia ’Ma signora lei è sicura che vuole parlare? Guardi vada a casa, non si fermi qua, non insista‘ e così la mamma è tornata a casa, perché se avesse parlato con loro. Così non ha potuto neanche vederla quando era in prigione. Però lei ha mandato una cartolina a una vicina di casa, la nonna, dicendo che, credo che ce l’abbiamo ancora che sia nell’archivio, dicendo che era lì e che così e basta. È stato così. Dopo di allora, insomma tutte cose che, non si trovava la ragione di tutto questo. Io poi non capivo tanto, perché dieci anni, soltanto che mia sorella quella dell’America che ha un anno meno di me, aveva una memoria diversa, aveva, era una osservatrice di tutte le cose che succedevano e si voleva rendere conto, era e ancora adesso ha questi ricordi. Purtroppo è lontana e la sua testa comincia a non lavorare tanto bene. Ecco i miei ricordi sono questi. Quelli della nonna. Poi quelli degli zii che venivano, perché io ho tre cugini che loro hanno proprio vissuto, si sono salvati perché sono stati salvati, ci sono stati delle persone, quelli che li hanno salvati hanno avuto anche il riconoscimento. Loro sono tre, una cugina vive, una vive a Verona, l’altra vive a Haifa, la più grande, e il gemello di quella che vive a Verona sta in Inghilterra. E quindi loro hanno passato tutto il tempo scappando, passando da un posto all’altro, stavano al Sacro Monte di Varallo, e lo zio aveva documenti falsi, nonostante tutto andava a lavorare, incontrava i fascisti sul treno che arriva dal Sacro Monte di Varallo andava a Novara a lavorare e quindi anche questo era, poi la moglie, la zia era russa, non russa, lituana molto religiosa, di famiglia molto religiosa, a parte che ha avuto tutta la famiglia massacrata, tutta la sua famiglia, dove abitava a Kaunas, ma lei essendo bionda e sapeva il tedesco perché si era salvata [cat meows loudly]
VV: Buono! Buono!
SB: Diceva appunto che essendo bionda, sapendo il tedesco probabilmente…
VV: Sì, sapeva il tedesco. Lei, quando lo zio arrivava a Sacro Monte dove abitavano la zia per dirgli che poteva arrivare, che non c’erano guai sulla strada, che non c’erano controlli metteva fuori un panno, come una vecchia divisa di soldato tagliata e quindi lo zio capiva che poteva arrivare a casa. Una volta è successo che sono andati proprio a casa i tedeschi da lei, perché hanno visto questo panno, hanno detto ‘Che cos’è questa cosa?’ ‘Eh questo li uso per fare i vestiti per i miei figli’ gli aveva detto in tedesco, poi è stata molto calma, ha parlato piano piano con loro, loro non hanno neanche pensato che fosse ebrea. Anche quella era una vita stranissima, poi con documenti falsi, i bambini andavano a scuola da lì con i documenti falsi che gli erano stati dati dal comune. Poi so che il sindaco di quel paese è stato fucilato, perché aiutava, forse a Borgo Sesia, è stato fucilato a Borgo Sesia che era vicino a Varallo Sesia. Eh è questo. Io vedevo questi zii che abitavano a Trieste loro, mio zio fratello della mamma con i figli e la moglie russa, che era arrivata in Italia perché doveva studiare, per quello si è salvata e non è stata trucidata come tutti i suoi fratelli che erano a Kaunas. E quindi lei era sempre sempre attenta, avevano i documenti falsi e non insomma vivevano sul filo del rasoio, alla fine si sono salvati, e poi nel ’49 sono andati in Israele, poi la figlia, una della figlie è tornata qua, si è sposata, adesso vive a Verona. Beh loro avrebbero tanto da raccontare, molto più di me. Certe volte penso chissà la nonna che cosa ha fatto quando, non si sa niente, dicono che è stata uccisa subito, ma… e anche una sua sorella, per esempio a Verona c’era la sorella della nonna. Erano diversi fratelli e la sorella della nonna si era rifugiata, viveva a casa insieme alla zia, con la figlia che era ragazza madre, però si è salvata andando a casa di un cugino, Tullio Basevi, che è stato anche lui deportato. Era lì e un giorno sono andati a prendere Tullio Basevi che era la sua casa e dopo due giorni hanno preso anche la zia e è andata a Bolzano, poi Ravensbruck e non abbiamo saputo più niente. Aveva mandato una cartolina chiedendo biancheria e cambi perché quando era a Bolzano, ma dopo… è stata una portiera o chi le portava da mangiare che li ha denunciati, per cinquemila lire li ha denunciati. Ecco così.
SB: Quindi scusi, giusto per capire la mamma era Basevi, quindi era la mamma ebrea?
VV: Sì, sì, la mamma.
SB: Nonostante ciò era il papà che si nascondeva, giusto? Ho capito bene?
VV: Il papà la difendeva.
SB: No, suo papà.
VV: Il papà mio?
SB: Sì, sì suo papà
VV: Era cattolico
SB: Si nascondeva quando eravate sfollati?
VV: Mio papà doveva stare attento perché era proibito sposare una donna ebrea. Mia mamma era ebrea, la legge era già da prima. Loro si sono sposati nel ’31. Devo dire che mio padre è stato molto coraggioso. Ma mio padre però si doveva un po', non si facevano mai vedere insieme perché, se andavano da qualche parte uno da una parte uno dall’altra. Ma io questo non lo sapevo, l’ho saputo dopo. E poi mio padre lavorava in Prefettura, aveva un bellissimo ufficio al primo piano. Questo me l’ha raccontato mia sorella dell’America, perché io, e aveva un bell’ufficio, lavorava per la censura, poi quando hanno capito che lì andavano i tedeschi a controllare i registri anche del personale l’hanno spostato al pian terreno qui alla Prefettura di Milano, perché la stanza dava su un giardino e lui già una volta era scappato uscendo dalla finestra del giardino. Insomma l’hanno aiutato perché, si anche lui doveva stare attento. Poi quando è stato mitragliato, l’abbiamo saputo eravamo a Ospedaletto, lui arrivava con il treno la sera, invece l’abbiamo visto arrivare su una carrozzella, si una carrozzella con il cavallo che era ferito e la mia mamma quando l’ha visto è svenuta. Ecco. Dopo siamo tornati a Milano e abbiamo ricominciato a studiare, abbiamo cercato di riprendere non so l’anno, quando. Stavamo a casa della nonna finché abbiamo potuto poi siamo andati in un’altra casa. Adriana era nata nel ’40 perciò era, non so, tutto questo è dentro di me non è che, è come se avessi una fotografia dentro di me, a parte tutto il resto, ma non so.
SB: Io ho delle domande.
VV: Sì.
SB: Vorrei fare un passo indietro.
VV: Sì.
SB: Intanto le chiedo se ci può far capire un po' come era costituita la sua famiglia, quanti anni avevate voi sorelle e che cosa facevate prima della guerra, che cosa facevano i suoi genitori.
VV: La mia mamma era casalinga, era molto brava a cucire, ci faceva dei bei vestiti, ma per il resto non lavorava, non ha mai lavorato. Il papà era sempre della Prefettura. Io andavo, ho cominciato ad andare a scuola, perché avevo dieci anni, mia sorella aveva un anno di meno, mia sorella Antonietta, Tata, che sta in America, e l’Iginia purtroppo non c’è più, la terza sorella, noi eravamo quattro, è morta nel duemila e due, ha avuto una malattia brutta, improvvisa, ha avuto una leucemia, stava a Roma e poi Adriana era piccola, nata nel ’40. Quello che mi ricordo molto quando la mamma prendeva la bicicletta, metteva Adriana sul sellino e scappava nelle stradine di campagna per non farsi trovare dai tedeschi eventualmente se dovessero venire a casa, se dovevano venire a casa. Perché loro andavano a vedere i registri di tutti, degli sfollati di tutti. Vedevo anche dei ragazzi che quando sapevano che arrivavano i tedeschi o i fascisti si nascondevano da tutte le parti, andavano sotto i letti a casa della persone anche che non conoscevano per non farsi trovare. E poi una volta, quando dalla mia nonna, adesso questo mi ero dimenticato però non è molto importante. Una sera quando stava ancora nella cascina dovevano tornare a casa, era da noi e doveva tornare a casa. Io l’ho accompagnata, ho detto ’Nonna, io ti accompagno’. Sono andata con lei, a un certo punto la nonna aveva in mano c’era una piccola lampadina da tenere che si chiamava mi pare no chiocciola, un altro nome, un nome così aveva, che faceva anche un rumore, che si accendeva e si spegneva toccandola. Allora si è avvicinato un gendarme, c’era già la repubblica no, tutto vestito di nero e ha gridato a mia nonna ’Cosa fa lei con quella luce, lo sa che c’è il coprifuoco’?” E la nonna l’ho sentita proprio gelare e io non ho detto niente, e niente ci ha lasciato andare per fortuna così l’ho accompagnata. Si chiamava forse aspetta, chiocciola. Era un tipo di lampadina che avevano tutti.
SB: A cosa serviva? Come mai ce l’avevano tutti?
VV: Non so perché, era quella che si usava quando c’era buio. Era molto comune come tipo, ma nel coprifuoco certo non si poteva usare, ma la nonna l’aveva usata. Per un tratto di strada non pensava che arrivasse un così, un gendarme. E così è andata.
SB: Senta quindi lei era piccola comunque…
VV: Sì, sì
SB: E quando è scoppiata la guerra lei come lo ha saputo. Qualcuno gliene ha parlato, qualcuno in qualche modo le ha spiegato cosa stava succedendo o lo ha capito lei da sola in un altro modo.
VV: No, no, no, non abbiamo avuto grandi spiegazioni. Abbiamo visto che tutto era cambiato, tutto diverso, le persone molto tese, molto preoccupate, e poi io l’ho sentito annunciare così me lo ricordo. No, no, diciamo non siamo stati preparati ad affrontare la guerra, ad affrontare la situazione, no. Arrivava di giorno in giorno e…
SB: Per esempio la prima volta che siete scesi in un rifugio, la mamma vi ha spiegato, il papà vi ha spiegato che cosa bisognava fare?
VV: E beh ci dicevano di stare buoni, tranquilli e di non muoverci, di non, niente di particolare. Eravamo forse troppo piccole per essere informate. E poi c’era sempre questa tendenza di mia madre di tenerci sempre, come dire, protette, di non darci troppe informazioni. Penso che questo, sempre l’aveva avuto questa. Mia mamma è morta nel 2004, dopo mia sorella, mia sorella nel 2002, mia mamma nel 2004, aveva novantaquattro anni.
SB: Wow.
VV: Ma di queste cose non ne voleva mai parlare. E perché il fatto della nonna è stato una tragedia. Non solo la nonna, anche la sorella, anche il cugino, anche… Per fortuna uno dei fratelli, dico fortuna, il fratello più grande, erano cinque fratelli, la mamma, la sorella e tre fratelli e uno, il più grande, Gino, era morto nel ’38 per un mal di cuore, quindi lui non ha vissuto niente di questo, ma non lo so, forse è stato meglio così. Erano cinque fratelli che si divertivano a Verona, abitavano nel ghetto di Verona, c’era allora ogni tanto mia mamma mi raccontava delle cose, di quello che facevano per divertirsi, andavano sull’Adige con le carriole, insomma cose così, ma questo era proprio prima.
SB: Quindi da Verona la sua mamma è venuta a Milano quando si è sposata.
VV: Quando si è sposata. Ha conosciuto mio papà a Verona, perché lui stava lì alla Prefettura. Si sono conosciuti e dopo è venuta a Milano. Però anche la mia nonna era venuta a Milano a Verona dopo che è stata vedova, che il suo marito è morto nella prima guerra, nella guerra ’15-’18, però è morto nel ’19, nel febbraio del ’19 perché aveva preso una malattia, la spagnola. La guerra era già finita, ma lui era ancora, diciamo, nel campo, allora da allora la nonna è partita da Verona e è venuta a Milano. Poi la nonna ha vissuto sempre a Milano, faceva la sarta, era molto brava, maestra di sartoria, e così. E non so se, prima della guerra era così, non sapevo molto di quello che succedeva, no.
SB: Veniva fuori per caso, prego…
VV: Una volta la mamma quando la zia, quando siamo tornati a Milano nel ’44 e la zia era nascosta in via Archimede, una sera la mamma ha deciso che voleva andarla a vedere, andarla a salutare, allora, c’era il coprifuoco anche a Milano e con noi ha voluto andare fino lì di sera, in fretta, però insomma anche lì è stata un po', e quindi mi ricordo che mio papà ha dato i biglietti per andare al cinema, eravamo andati al cinema, non lontano, in corso Ventidue Marzo c’era un cinema, e dopo del cinema la mamma ha voluto andare a trovare la zia. Comunque ha preso un rischio molto grosso, perché c’era il coprifuoco.
SB: E voi eravate con lei?
VV: Sì. Certe volte non si considera bene il rischio. Forse la mia mamma si sentiva protetta perché diceva ‘Io ho sposato un cattolico, quindi c’è un matrimonio misto quindi a me non mi toccheranno‘ e invece non è stato così. Vorrei raccontarvi di più, ma purtroppo.
SB: Beh io ho sempre delle domande. [laughs]
VV: Sì, sì [laughs]
SB: Posso procedere con le domande.
VV: Ah sì è messo calmo. Allora ha salvato qualche cosa?
SB: Sì, sì, sì.
VV: Il gatto?
SB: Sta ancora registrando, sì, sì.
VV: Ah sì?
SB: Sì, sì, assolutamente. Io volevo chiederle. Ha accennato a un registro degli sfollati. Siccome non ne so nulla, volevo sapere se per caso si ricorda quando siete arrivati a Ospedaletto se vi siete registrati.
VV: No, il registro era di tutti i residenti, ma anche degli sfollati ed era un paese vicino, Orio Litta. A Orio Litta avevano i registri, quindi quando arrivavano i tedeschi così, mio padre veniva avvisato e avvisava la mamma di nascondersi insomma. E no, non so veramente, sarà negli archivi, perché o registri li avranno..
SB: Però comunque voi comparivate in questo registro?
VV: Eh sì, sì.
SB: Ho capito. E senta e mentre eravate sfollati avete avuto delle difficoltà di qualche sorta a vivere in questo posto? Le condizioni com’erano?
VV: Beh, c’erano tanti sfollati, però non credo che considerassero o che pensassero che la mia mamma fosse ebrea, no. Però stava molto attenta, sì, stava molto attenta. Anzi le devo dire che c’era una sorella di mia padre venuta dal sud e la famiglia non era molto d’accordo che mio padre avesse sposato un’ebrea, questo è ovvio no, e allora lei con la mia mamma non andava proprio d’accordo e una volta quando era lì giù nel cortile della casa, il cortile interno, ha detto ‘Senti, smettila di parlarmi così eh’ la zia da giù, da giù a su dal balcone ’Smettila di parlami così perché io guarda che ti denuncio‘ e una zia io questa cosa l’avevo sentita, poi la mamma è rimasta proprio scandalizzata da questo. Del resto c’erano queste cose. Doveva stare attenta, doveva...
SB: Voi avevate contatti con questi altri sfollati?
VV: No. No, avevamo contatti solamente con chi ci ospitava che era il padrone di questo posto, di questo ristorante, credo che ci sia ancora nella strada principale di Ospedaletto Lodigiano. E solo con loro, poi basta. Poi sì, con altri sfollati sì, con delle persone che avevano dei figli nascosti, due figli maschi grandi in età di fare il soldato che erano nascosti e quindi si parlava così tra di loro, si sapeva di questo ma nessuno diceva niente. E poi avevo contatti con un’altra signora, sì una signora, una professoressa di piano che si chiamava Salomone di cognome, ma non abbiamo mai saputo se fosse ebrea o no, ed era molto brava, molto gentile, molto, sì, mi ricordo questo. Però con poche persone.
SB: Non c’era una comunità?
VV: No, no.
SB: E senta in questo posto, Ospedaletto.
VV: Sì.
SB: C’erano anche lì dei rifugi per qualche motivo oppure non c’era nulla di legato, che legasse quella esperienza al contesto più ampio.
VV: No, di rifugi no. No, no. Non c’erano i rifugi, non mi ricordo. Ogni tanto passava un aereo che non so come si chiamava, Pippo mi sembra, che faceva dei sorvoli ma non sapevamo neanche se fosse tedesco, se fosse, beh sarà stato senz’altro italiano o tedesco perché… No non era una vita di collettività, era una vita molto riservata.
SB: E di questo Pippo gliene ha parlato qualcuno o…
VV: No, no lo sentivo, si sentiva quando arrivava, era un aereo che faceva un sorvolo poi andava via.
SB: Quindi non vi, non vi…
VV: No, no.
SB: Non lo temevate.
VV: No. Lì i bombardamenti non ce ne erano, non ne abbiamo mai vissuti i bombardamenti, tranne il mitragliamento del treno. Probabilmente avran bombardato qualche treno, ma non lo sapevo.
SB: E di sirene invece ne avete sentite quando eravate sfollati?
VV: Oh tante, sì, sì eccome.
SB: Lì a Ospedaletto no.
VV: No, no.
SB: A Milano invece?
VV: Sì, sì, tante.
SB: Tante?
VV: Sì, sì, tante. Era molto impressionante. Adesso quando le rifanno sentire qualche volta si torna indietro subito.
SB: C’era una frequenza assidua durante il giorno?
VV: Una frequenza di sirene?
SB: Sì.
VV: Sì, anche due o tre, sì. Quelle di notte erano più brutte, perché bisognava uscire e andare al rifugio fuori con il freddo. Io mi ricordo ancora le persone che stavano magari di fronte a noi così di notte, perché nessuno doveva, a noi ci dicevano di non parlare, di non fare amicizie nel rifugio, così. Poi gli altri non lo so come facevano.
SB: Ma senta, quindi le persone che c’erano nel rifugio voi non le conoscevate?
VV: Eh no.
SB: Erano persone che arrivavano…
VV: Noi eravamo come dire dei fuoriusciti, dei raccomandati. Eravamo dei raccomandati perché andavamo all’altro rifugio. Non so come ha fatto mio padre, ma ci ha fatto andare in quel rifugio.
SB: Perché non si poteva andare in un rifugio a caso?
VV: No erano tutti dei palazzi, dei condomini, dei, si poteva essere ospitati se qualcuno ti ospitava, però ogni casa aveva il suo. Diciamo che eravamo raccomandati.
SB: E senta per tramite di suo padre o come?
VV: Eh non lo so se tramite mio padre o tramite mia madre o forse qualcuno. Mi ricordo ancora là sulla via tra Via Pietro da Cortona, doveva essere verso Piazzale Susa, prima, prima, mi ricordo ancora il numero della casa, cinque, era il numero cinque, ma è possibile che ci si debba ricordare le cose in questo modo? Non lo so. E la mamma diceva dobbiamo andare lì, perché lì siamo più sicuri.
SB: E vi convinceva? Eravate convinti di questa cosa?
VV: Sì, sì.
SB: Quindi lei si autogestiva, anzi no la mamma la vestiva.
VV:Sì, sì la mamma mi vestiva, diceva ‘Bisogna andare’, perché aveva tre da vestire, io più le mie sorelle. E lei mi vestiva e nel frattempo che vestiva le mia sorelle io mi spogliavo, perché pensavo che era l’ora di andare a dormire. Così insomma si vede che non mi rendevo conto neanche del pericolo che c’era.Sì, sì, questa è rimasto come un ricordo. Insomma non sono tanti i ricordi, però sono… Ormai non c’e quasi più, non c’è nessuno, ci sono i miei cugini, la mamma loro, la zia Golda, quella lituana non c’è più, è morta nel 2010, stava ad Haifa, aveva più di novantaquattro anni, lo zio ha avuto un incidente, il marito, il fratello di mia madre, cioè il marito, era in Israele e lui lavorava alle miniere di Timna, lavorava come chimico e niente un giorno è andato lì, un giorno mi pare che era quasi di festa e la macchina, pioveva e la macchina, le ruote non hanno resistito e ha avuto un incidente e nel ’72. Lui ormai era lì già dal ’49.
SB: Quindi dopo la guerra la famiglia si divide, giusto?
VV:Sì, sì.
SB: Voi rimanete a Milano?
VV: Noi sì. Fino a quando abbiamo studiato, poi dopo insomma negli anni ’60 mia sorella che è in America ha conosciuto un ragazzo di Tripoli che era scappato da Tripoli perché, l’ha conosciuto e si sono sposati, allora lei è partita ed è andata in America. Io sono andata a lavorare a Roma e Adriana è rimasta qui a Milano. L’altra mia sorella purtroppo è morta nel 2002 e lei viaggiava anche, alla fine lavorava all’Alitalia, ma aveva fatto anche, aveva fatto la cantante, aveva fatto anche un concorso a Sanremo negli anni Sessanta, poi alla fine lavorava all’Alitalia quindi.
SB: Senta, le è mai capitato di ripensare a questo periodo a cui appunto avete vissuto sotto minaccia?
VV:, sì, molto spesso.
SB: E ripensa, per esempio appunto per quanto riguarda i bombardamenti, le è mai capitato di pensare a chi guidava appunto gli aerei?
VV: A chi guidava l’aereo? Beh più che altro pensavo a chi sganciava le bombe, più che a chi guidava l’aereo. E quello sì. Lo pensavo sempre. Lo penso anche adesso, perché questo palazzo che ho visto tutto con il fuoco in cima, proprio era come un tizzone, un palazzo molto grande, si vede che avevano buttato più di una bomba e quello proprio mi è rimasto nella mente sempre. Non ho molti ricordi come..
SB: Beh non mi sembra. [laughs]
VV: Quello del gendarme quando camminavo con la nonna che si è avvicinato, quello quando ci penso mi vengono ancora i brividi. È stato proprio, dico ’Ma come è possibile sono pochi metri e spunta questo!’. Poi non parlava la nonna, la nonna mi ricordo che si è come raggelata e io non parlavo, per lo meno io non parlavo, perché se avessi parlato non so. Fortunamente se ne è andato. Tanto poi le cose sono andate male lo stesso. Sono un po' diversi i miei ricordi da quelli di mia sorella, no?
SB:, sì, sono di bambine di età diverse.
VV: Eh sì, sì. Beh però è un bel lavoro quello che stanno facendo.
SB: Ci stiamo impegnando. Allora…
VV: Se ha altre domande io sono qui
SB: Io sono soddisfatta. Se, OK interromperei l’intervista se non ha altro da aggiungere.
VV: No, per il momento no. Può darsi che poi mi viene qualche cosa.
SB: Certo. Allora la ringrazio.
VV: Io ringrazio voi.
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Title
A name given to the resource
Interview with Sara Ventriglia
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Sara Buda
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-07-25
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Greta Fedele
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:50:12 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AVentrigliaV170725
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Switzerland
Italy--Po River Valley
Italy--Lodi
Italy--Milan
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1943
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Description
An account of the resource
Sara Ventriglia, the daughter of a Jewish mother and a Catholic father, recalls her early life in wartime Milan. She describes the alarm being sounded, she and her family getting quickly dressed to reach a nearby shelter. She recollects moments inside the shelter emphasising how unpleasant it was on winter nights and mentions the terrifying sight of a building engulfed in flames. She narrates the trials and tribulations of her Jewish grandmother who was arrested in 1943 when trying to escape to Switzerland, likely to be a Holocaust victim. Speaks with an affection for her grandmother and emphasises how the grief is still alive and present. She describes the trials and tribulations of her Jewish relatives forced to live under false identities, one of them deported to Ravensbruck and the subsequent lives of those who escaped the Holocaust. She recounts how she was questioned by a Fascist militiaman for contravening blackout regulations during curfew. Several different wartime anecdotes: how her father was injured when the train he was travelling on was strafed, draft-dodgers hidden in concealed rooms, and the constant presence of Pippo.
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
bombing
childhood in wartime
faith
fear
grief
Holocaust
home front
Pippo
shelter
strafing
-
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Title
A name given to the resource
Buffadossi, Marialuigia
M Buffadossi
Description
An account of the resource
One oral history interview with Marialuigia Buffadossi (b. 1925) who recollects her wartime experiences in Milan and in the Lake Como area.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Buffadossi, M
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-05-28
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
ZG: È partito.
SB: Ok. Allora, l’intervista è condotta per l’International Bomber Command Centre. L’intervistatore è Sara Buda. L’intervistata è la signora Marialuigia Buffadossi. Nella stanza sono presenti la sorella Annunciata Buffadossi, la signora Nava Spizzichino, amica, e Zeno Gaiaschi dell’Associazione Lapsus. L’intervista ha luogo in [omitted] presso la parrocchia omonima. Oggi è il 28 maggio 2017. Siamo a Milano. Dunque, cominciamo da prima della guerra, giusto per capire un attimo qual’era il suo mondo. Ci racconta un pochino, appunto, come era composta la sua famiglia, che cosa facevano i suoi genitori, e poi appunto ci dice anche quando è nata lei.
MB: Io sono nata il 19 ottobre del ’25. Mio padre lavorava come muratore presso una ditta, una ditta milanese, eravamo poveri e mia madre era casalinga, faceva, cuciva camicette, allora si usava cucire per certe ditte camicette, così e lei guadagnava qualche cosa in questo senso. Io lavoravo, no io lavoravo, io ho fatto le scuole elementari presso la, abitavo, allora abitavo in via Confalonieri 11.
SB: A Milano.
MB: A Milano. Purtroppo era una casa, la chiamavano la casa di sass, perché era una casa storica. L’ambiente era l’ambiente di operai. Poi avevamo nel cortile due persone che passavano per ladri abituali, però io andavo tanto tranquilla, mi trovavo, andavo spesso perché ero, non dico non molto religiosa ma frequentavo l’ambiente religioso. La mia parrocchia era Santa Maria alla Fontana, molto distante da Via Confalonieri perché molto distante. Ma io la mattina mi ricordo che andavo alle sette meno un quarto in parrocchia e non avevo paura assolutamente, andavo tranquilla. Io ho fatto le elementari e poi quando avevo, dopo cinque anni delle elementari bisognava fare l’esame di ammissione e sono stata ammessa alle scuole magistrali inferiori perché il mio desiderio è sempre stato di fare la maestra, ma purtroppo i miei non potevano mantenermi a studi così pesanti perché allora l’ordinamento era quattro inferiori e tre superiori. Hanno potuto fare, farmi fsare il corso magistrali inferiori che io ho finito, dunque ho finito nel 1940, nel 1940, ecco. Poi ho trovato un posto da un avvocato che aveva quasi promesso ai miei che mi avrebbe fatto studiare. Ma insomma anche lui era un avvocato civilista e anche lui non era tanto un avvocato di grido. Questo avvvocato però aveva la moglie che era figlia dei, adesso non ricordo più come si chiamano, era di San Marino la moglie, e quindi lei spesso andava a San Marino e lui faceva le pratiche perché allora di divorzio non se ne parlava neanche, faceva le pratiche perché a San Marino potevano avere il divorzio insomma. Il mio avvocato era bravo perché diceva:’se lei’, io facevo la stenografa, la stenografa un po’ così, ‘se lei non capisce una parola, me lo chieda che io non guardo il suo vocabolario, gliela spiego io’, insomma. E la moglie poi mi voleva un bene immenso, immenso [emphais]. Ecco, questo è tutto. Io quando ero impiegata dall’avvocato ero in Via Podgora che era vicino al tribunale. Loro d’estate andavano via e io rimanevo lì da sola. Avevo una paura santissima perché a quindici anni stare da sola, però insomma stavo ecco, perché avevo la fortuna di aver trovato il posto. Inizlamente non mi aveva messo a posto con le marche, ma poi mi ha messo a posto con le marche, le marche con l’INPS, perché. E siamo arrivati nel ’43. Nel ’43 una mia amica mi ha proposto di entrare in banca perché era all’ufficio del personale e allora nel febbraio del ’43 mi ha fatto fare la domanda e mi hanno preso al Credito Italiano dove io ero all’ufficio del personale quindi in una posizione di privilegio diciamo.
ZG: [unclear]
MB: Nel ’43 siamo stati un po’, qualche tempo, mi hanno assunto, mi ricordo, alla fine del mese di febbraio quindi non hanno neanche aspettato neanche un momento insomma, neanche il primo di marzo, sono stata assunta il 22 di febbraio mi ricordo e poi la banca, siccome c’erano i bombardamenti molto pesanti qui a Milano, la banca ha fatto sfollare il suo personale a Cernobbio vicino nella, in una, si chiama, no filanda, in un, alla Bernasconi insomma che era una, praticamente, uno stabilimento tessile e io sono rimasta lì, non mi ricordo bene, ma insomma sono rimasta lì parecchio. Sono sicura che sono, avevo diciassette anni quando sono entrata in banca ma sono rimasta lì fino almeno un anno, un anno e rotti. E mi ricordo che, quando ho compiuto diciotto anni, andavamo a mangiare in un albergo, prendavamo mi pare 32 Lire di trasferta perciò era una vita meravigliosa, guadagnavo più di mio padre perché insomma prendevo la trasferta. E siamo andati a mangiare e mi ricordo che il mio, il capo ufficio mi ha offerto lo spumante. Quindi noi, effettivamente io stavo bene, stavo bene perché l’unica cosa era il pensiero che i miei fossero a Milano coi bombardamenti. Quando ero dall’avvocato mi ricordo che c’era la, c’era uno, lo chiamavano Pippo, quando io tornavo, bombardava Milano, quando io tornavo alla sera insomma ero spaventata perché Pippo avrebbe agito in modo, io mi ricordo che il Pippo ha agito, non sono certa se era il Pippo ma ha agito un giorno, era il 28 di ottobre, mi pare che sia San Fortunato, ha agito nella mia parrocchia di allora. E mi ricordo che la sera abbiamo sentito il bombardamento, siamo andati a vedere, c’era tutta la porta che fiammeggiava perché era stata colpita. Ecco, poi non mi ricordo bene quando siamo tornati, tornati a Milano. Ad ogni modo è stato un periodo per me che, insomma ero una ragazzina, guadagnavo bene e non è stato un periodo di sofferenza, ecco diciamo. Questo, poi nel ’45, quando c’è stata la liberazione, noi eravamo, sì, io ero ritornata a Milano e mi ricordo quando Mussolini è stato dall’arcivescovo di Milano e, perché praticamente la resa è stata fatta nell’arcivescovado e poi mi ricordo che, quando Mussolini è stato, io non l’ho visto eh, dico la verità perché non sono andata in Piazzale Loreto, invece una mia amica è andata in Piazzale Loreto, ha visto quel, insomma, quello sfacelo, in cui si è verificato la resa del, la resa dei fascisti il giorno della liberazione, insomma, e quando Mussolini è stato attaccato per le gambe eh, in Piazzale Loreto. Ecco, questo è. Io non ho avuto un periodo di sofferenza. Ah, mio padre tra l’altro era capo fabbricato del nostro condominio e la notte quando i primi tempi prima di andare in banca, di notte suonava l’allarme mia mamma non era una che si spaventava e spesso stavamo lì sopra. Noi abitavamo al quarto piano, però quando scendavamo, andavamo in cantina, allora non, era una cantina normale, eh sì insomma, non subivo tante pressioni perché mia mamma non era eh una che ci spaventava. Questi sono i ricordi che ho. Ah poi, quando ero in banca, scendavamo in, nel caveau diciamo e io non ero mai contenta perché avevo il tempo, perché poi mi sono messa a fare privatamente la preparazione alle magistrali superiori, non ero mai contenta perché avevo la possibilità di studiare durante la giornata ecco. Questo, sarà anche una colpa ma insomma io sono riuscita nel 40, poi ho finito nel ’47, nel ’47 mi sono diplomata perché una mia amica che, una mia compagna di scuola delle magistrali, delle magistrali inferiori, era molto intelligente e lei è riuscita a fare l’ordine di studi e mi preparava in matematica dove io ero proprio malandata, matematica e latino. Insomma nel ’47 è vero che ho fatto un periodo dove la guerra era già finita ma insomma sono riuscita a diplomarmi. Questo mi è stato di vantaggio per. Ah, andavo, mi ricordo che andavo da questa migliore amica che mi aveva fatto andare in banca, andavamo alla sera studiare gli ultimi tempi, insomma siamo riusciti aiutandoci a vicenda, siao diventate maestre tutte e due. Però poi abbiamo fatto i concorsi ma naturalmente ai concorsi non abbiamo concluso niente perché io nel concorso ero arrivata a 31 e, insomma, ero, mi mancava uno 0,10 per poter avere la media del sette e quindi non potevo lasciare un posto in banca dove guadagnavo bene per andare a fare la maestra e così sono rimasta in banca 35 anni e, guadagnando bene ma non realizzando i miei sogni perché io sognavo solo di fare la maestra. Quando sono uscita dalla banca, allora mi sono iscritta all’università e ho finito all’università per vent’anni, magnificamente bene. Ecco, questo è la storia della, non ho avuto una vita difficile, devo dire la verità, però insomma, questo è tutto.
SB: Beh allora inizio a parlare io e le faccio delle domande [laughs]. Ecco, allora, io vorrei ripercorrere un attimo insomma dall’inizio, no.
MB: Sì.
SB: Vorrei capire quindi. Quando è scoppiata la guerra, lei aveva quindici anni, giusto?
MB: Sì.
SB: Ehm, e lavorava digià.
MB: Lavoravo digià perché sono, eh sì, nel ’40 mi ha preso l’avvocato.
AB: Sì mah.
MB: Sì, sì.
SB: Lei si ricorda, nel senso, il suo primo ricordo di guerra, appunto, che fosse effettivamente avere visto qualche cosa, oppure aver sentito parlare qualcuno, risale, lei si ricorda se appunto era ancora una studentessa oppure lavorava? Chi gliene ha parlato per primo? Lei come ha scoperto che stava iniziando la guerra?
MB: Eh, si sentiva, lo dicevano per radio. Lo dicevano per radio quando Mussolini ha dichiarato l’entrata in guerra, doveva essere in giugno mi pare. Doveva essere in giugno e si è sentito per radio, per radio s’è sentito. Sì, quello non mi ricordo, non mi ricordo bene ma l’ho sentito per radio.
SB: E dopo di quell’appunto cosa è successo? Qualcuno le ha spiegato, i suoi genitori le hanno spiegato che cosa sarebbe successo?
MB: No, mi ricordo che mio padre, quando avevo sei, sei, sette anni, mi ricordo di questo: ’scrivi bene il nome di Duce, scrivi bene il nome di Duce!’ [emphasises], ecco quello mi ricordo bene. Della guerra non mi ricordo come mi hanno spiegato, non mi ricordo.
SB: Ma qualcuno le ha spiegato qualcosa, come ci si doveva comportare, che cosa sarebbe cambiato?
MB: No.
SB: No.
MB: No, no, non mi ricordo.
AB: Sono cominciate le tessere oltre tutto, le tessere per prendere il mangiare.
MB: Non mi ricordo. Sapevo, insomma, sapevo che cosa sarebbe successo nel senso, ero preoccupata per i bombardamenti appunto, per questo Pippo che, dicevano che avrebbe bombardato Milano e mi ricordo che, quando uscivo la sera dalla, perché l’orario era pesantuccio, quando uscivo dall’avvocato, dalla casa dell’avvocato, insomma avevo paura che durante la notte ci fosse un bombardamento, ecco. Quello. Ma non mi ricordo.
SB: E quindi nel ’40 però lei, insomma quando è iniziata la guerra lei ha continuato a lavorare.
MB: Sì sì sì, ho continuato a lavorare.
SB: E diceva che rimaneva da sola in questo ufficio.
MB: Sì sì, rimanevo da sola, sì sì, rimanevo da sola. Da sola nel periodo estivo perché i datori di lavoro andavano, andavano in vacanza, specialmente in agosto. Lui andava, andava sempre, io ero presente, insomma stavo nello studio ecco, nello studio.
SB: E ha mai pensato appunto alla sua condizione, lì da sola, che cosa avrebbe fatto se fosse successo qualche cosa? Ha mai pensato che potesse avvenire un bombardamento mentre lei era lì?
MB: No, non mi ricordo. Non mi ricordo. Avevo paura a stare lì da sola insomma ma, però non mi ricordo.
SB: E quindi poi, ehm, è andata in banca nel ’43.
MB: Sì.
SB: Prima del ’43 non si ricorda qualcosa di particolare rispetto eh
MB: Prima del ’43 mi ricordo quando hanno bruciato la chiesa e poi...
AB: Le tessere che ti aveva dato la tua...
MB: Ah, la mia, la mia, la moglie del mio ehm avvocato mi dava le tessere annonarie, perché lei andando giù aveva possibilità, andando giù a San Marino e lei non consumava le tessere, per me era manna, le tessere annonarie allora erano considerate sì, mi ricordo che mi dava le tessere annonarie, al suo posto. Non mi ricordo altro. Non mi ricordo altro. Le dico, no, non mi ricordo.
SB: Quindi in quel periodo però viveva ancora con i suoi genitori, in via Confalonieri.
MB: Sì, sì, ma io sono sempre vissuta con i miei genitori. Sì vivevo, io sono sempre vissuta con i miei genitori. E ho anche un fratello e una sorella, che ha sette anni meno di me e mi ricordo che mia sorella era venuta a trovarmi a Cernobbio e mi ricordo che abbiamo fatto il lungolago e io le spiegavo che da Cernobbio, da Cernobbio eravamo preoccupati, eravamo preoccupati,
I: Dell’ora,
MB: Poi
I: Ti ricordi l’ora, quando c’era un’ora differente perché
MB: Ah sì. C’era l’ora
I: In avanti, erano [unclear]
MB: C’era l’ora legale, adesso la storia dell’ora, c’era sempre la differenza di un’ora.
I: Perché la Svizzera aveva un’ora, aveva l’ora legale, noi invece avevamo l’ora solare. E io mi ricordo, e glielo avevo fatto presente a lei, che non, forse non aveva realizzato, e mi aveva fatto fare il tema, ti ricordi?
MB: Ecco, lei aveva fatto un tema su questa storia dell’ora, del cambiamento dell’ora
I: Sul viaggio che e avevo notato la differenza tra, tra noi e loro che erano sulla riva del lago erano nelle vicinanze della, della Svizzera.
MB: Poi Un’altra cosa mi ricordo. Che quando studiavo, che quando studiavo, preparavo alle magistrali superiori, per guadagnare tempo, io, io avevo soldi perché guadagnavo e le davo una lira ogni pagina di appunti che lei mi copiava.
I: Sì.
MB: Sì, ecco, quello me lo ricordo. Perché insomma, io stavo, come soldi stavo bene nel periodo di guerra.
SB: E senta, quindi ehm, poi nel ’43 lei è andata via. No, scusi, nel ’43 è entrata in banca.
MB: No, in banca e poi sono stata sfollata con la banca.
SB: E come, come hanno gestito questa cosa? Come ve l’hanno comunicata?
MB: Ah, ce l’hanno comunicata che saremmo andati, saremmo sfollati con la banca e ci davano le 32 Lire come sulla trasferta. No, noi in quel periodo lì, c’erano le mie colleghe che addirittura a mezzogiorno andavano in barca a fare il pranzo e ce n’era una poi che è diventata la mia capa, che lei andava, no. Per noi in tempo di guerra, sfollati con la banca è stato un periodo che insomma andavamo bene, ecco.
SB: E siccome appunto non, non è certo che tutti sappiano, questa trasferta, ci può spiegare esattamente che cos’era? Come funzionava?
MB: E la trasferte
SB: Voi partivate al mattino?
MB: No, noi
SB: O stavate?
MB: Stavo là.
SB: Quindi avevate un alloggio lì?
MB: Avevamo un alloggio e mi ricordo anche che inizialmente eravamo, eravamo dalle suore a Como, dalle suore di Como e poi ci siamo trasferite, io mi sono trasferita con, sì, con questa mia amica a Cernobbio e siamo andati nella casa di uno chef dell’Hotel, della Villa, dell’Hotel, orpo
I: La Villa d’Este. La Villa d’Este.
MB: della Villa.
I: D’Este.
MB: della Villa D’este. E mi ricordo che avevamo addirittura appese alle pareti le cose egiziane.
I: Gli arazzi.
MB: le cose egiziane, era una cosa, cose egiziane e lì stavamo, andavamo a mangiare nell’Hotel della banca, nella banca, in un albergo segnalatoci dalla banca e a dormire da questi, da questi, da questi che avevano la famiglia e lui era lo chef della Villa D’Este e avevamo tutte le, pareti tappezzate dai, ecco. Quindi io non posso dire che in tempo di guerra sono stata male, stavo, stavo anche bene, però insomma. Poi cosa gliene devo dire. Niente.
SB: Ma quindi senta, questa trasferta che lei chiama così, ehm, fondamentalmente era un sussidio.
MB: Sì era un sussidio che la banca dava perché avevamo lo svantaggio di essere, di essere sfollati. Quindi, siccome il posto in banca era, era un posto bello, diciamo poi era l’ufficio del personale e quindi insomma era un sussidio. Era un sussidio, era la trasferta perché noi non stavamo, mi ricordo che erano 32 euro [sic], era l’America. Per me è stato un periodo non pesante, non pesante, guarda.
SB: E se posso permettermi, siccome appunto per noi tutte queste cose richiamano neanche delle memorie. Noi la lira ancora abbiamo difficoltà. Rispetto a una paga diciamo base, queste 32 lire come pesavano?
MB: Eh, oh, dunque, io prendevo 500, ehm, 500 lire al mese. Anzi quando l’avvocato, quando ho avuto il posto in banca ho detto all’avvocato che mi avrebbero dato 500 lire al mese e lui mi ha detto: ‘gliele do anch’io’ e io ho detto: ‘eh no, però, anche se lei mi da le 500 lire, io preferisco il posto in banca che poi aumenteranno’ e lui invece mi poteva, con sforzo perché son convinta con sforzo dare le 500 lire. Dopo, 500 lire come stipendio e poi 32 lire di trasferta, insomma noi andavamo bene.
SB: E quindi, voi però pagavate un affitto a Cernobbio.
MB: Eh sì, a Cernobbio pagavamo l’affitto e c’è stata una questione perché non ci volevano dare, dare l’appartamento quindi ci siamo trovate in un certo momento che eravamo in difficoltà perché le suore ci avrebbero tenuto ma però a Cernobbio eravamo molto più comode eh perché non avevamo la strada come a Cernobbio. Sì, sì. Insomma. Sa, a diciotto anni avere una libertà così, avere i soldi a disposizione, eh insomma, non era male eh, non era. Son stata una di quelle fortunate perché insomma a diciotto anni. Mi ricordo che ho fatto il compleanno e il mio capo mi ha, mi ha offerto lo champagne, che sarà stato Moscato, così, ma insomma era importante.
SB: E senta, c’erano molti sfollati dove stava lei?
MB: Dove stavo io a...
SB: Si a quando appunto stava dalle suore che poi...
MB: Quando stavo dalle suore, sì, ah tra l’altro dalle suore c’erano, c’era anche le figlie dei funzionari, di qualche funzionario di banca perché erano vicine, più vicine alla famiglia. Sì c’erano, c’era gente sfollata, sì sì. C’era gente sfollata, sì. Sì, c’era gente sfollata ma io ero una di quelle sfollate d’oro perché insomma stavo bene ecco. Non ho avuto problemi, io la guerra nella realtà non l’ho sentita come, non l’ho sentita tanto perché insomma era un periodo d’oro. Abituata a essere figlia, figlia di, mio padre faceva il muratore quindi guadagnava, poi è passato al comune di Milano ma guadagnava poco perché al comune di Milano allora pagava poco. Mi ricordo che, pagava poco, ha preso di più quando è andato in pensione che, quando è andato in pensione prendeva una pensione da non dire, vero?
I: Sì, prendeva di più di quando lavorava.
MG: Eh allora insomma. Eravamo gente povera.
SB: Ma quindi senta lei è stata per un periodo importante lontana dalla famiglia.
MG: Sì.
SB: E questa cosa come, come l’ha vissuta la sua famiglia?
MG: No direi che mi ha fortificato. Mi ha fortificato e il vantaggio ce l’ho adesso. Ce l’ho adesso che sono vecchia che riesco a cavarmela, a cavarmela, malata come sono, riesco a cavarmela e ancora a dirigermi da sola perché sono
I: Indipendente
MG: Ecco. No, a dirigermi da sola. Quindi il vantaggio di quel periodo mi ritorna, mi ritorna adesso ecco perché non so convincermi di dover andare [unclear], per esempio sono allergico alle badanti eh. Diciamo la verità.
SB: Molto indipendente.
MG: Sì, sono, sì, sono
SB: Da sempre.
MG: Ho il senso dell’indipendenza oggi come oggi è sbagliato perché insomma ci si deve convincere che..
SB: Ancora tornando un attimino indietro perché ci sono delle cose che mi hanno interessato molto del suo racconto. Intanto, lei ha detto appunto che lavorava in questo ufficio dell’avvocato e stava lì da sola. Ed era già il ’40. E lei diceva oltrettutto che faceva degli orari che andavano in là la sera.
MG: Eh sì, mi pare che finivamo la sera, finivamo alle sette, mi pare.
SB: Come faceva poi a tornare a casa? C’era il coprifuoco, non c’era il coprifuoco?
MB: No, non, il coprifuoco
I: Dalle nove eh, non alle sei.
MB: Come?
I: Il coprifuoco cominciava alle nove, non, non alle sei.
SB: Quindi non le è mai capitato di trovarsi in giro?
MB: No, non mi è mai capitato di trovarmi in giro in periodo del coprifuoco e già c’era il coprifuoco. No, non avevo problemi, temevo solo il Pippo la sera ma non.
AB: E ma tu sei stata poco con i bombardamenti. Io [emphasises] li ho provati i bombardamenti.
SB: E adesso infatti poi faremo un’altra intervista apposita. E senta di questo Pippo chi gliene aveva parlato?
MB: Ah ma c’era sul giornale, c’era sul giornale Pippo arriva, c’era sul giornale. Tutti lo sapevano che girava il Pippo. Che girava il Pippo e che bombardava. E poi io mi sono, no io, noi ci siamo accorti quando ha colpito la mia chiesa che era la giornata di San Fortunato, che deve essere non so se il 28 di settembre o il 28 di ottobre.
SB: Ci può raccontare di più di questo episodio? Si ricorda qualcosa?
MB: Eh mi ricordo che noi siamo, noi eravamo lontani dalla parrocchia, ma siamo andati in parrocchia e abbiamo visto questo gran spettacolo che sembrava uno spettacolo pirotecnico ma invece era, era stato un bombardamento, che aveva colpito la parrocchia. E poi, no, mi ricordo così, guardi.
SB: Si ricorda dei rumori o dei, degli odori, o di qualcosa appunto che? Nel senso appunto questa chiesa era lontana, no?
MB: Sì.
SB: Però appunto una bomba che cade, però io m’immagino, non so.
MB: Non mi ricordo, non mi ricordo che
SB: Si ricorda se ha sentito la sirena?
MB: Mi ricordo della, della sorpresa. Ecco, mi ricordo quando suonava la sirena, quando suonava la sirena perché erano previsti i bombardamenti. Quello della sirena sì, mi ricordo. E che, quando suonava di sera, ci trovavamo nella condizione di andare, di andare giù in cantina. Eh ma mia mamma non era una paurosa e perdere la notte, certe volte non andavamo neanche. Invece mio padre...
AB: Io [emphasises] non andavo. Tu, tu andavi, scappavi con mio papà e con il Peppino.
MB: Invece mio padre era un pauroso, era il capofabbricato ma era un pauroso, mio padre. Mia madre invece no.
AB: Era il primo che andava
SB: E questo scantinato, in questo scantinato, era predisposto per?
MB: Erano le cantine di adesso, no
AB: No.
MB: No, erano le cantine di adesso, le cantine nostre, erano cantine nostre, c’erano anche le panche mi pare che
AB: Avevano messo delle panche, ma scorrazzavano i topi.
MB: Avevano messo le panche ma erano le cantine nostre, che poi abbiamo utilizzato come cantine, perché si scendeva così, mi ricordo che scendevamo così. Non mi ricordo altro.
SB: E questo momento che eravate nelle cantine durava tanto, durava poco?
MB: Eh no, durava molto
AB: Durava un tre ore, eh sì.
MB: Certe volte anche un due, tre ore, che poi suonava la sirena, che era finito.
AB: Che finiva.
SB: Si ricorda cosa facevate mentre aspettavate che risuonasse la sirena?
MB: Quando ero nella cantina della banca, mi ricordo che facevo letteratura latina [laughs], quello me lo ricordo. Così non perdevo tempo poi. Mentre invece lì non, sì eravamo tutti amici, insomma, eravamo ventenni e, sì, parlavamo, parlavamo, dispiaciute di aver perso una parte della notte. E poi, ognuno aveva da lavorare. Ecco.
SB: E vi intrattenevate? Vi è mai capitato di intrattenervi con delle canzoni o con dei giochi o con?
MB: No, no.
AB: Si chiacchierava e basta e si sonnecchiava.
MB: No, no, chiacchierare e sonnecchiare, e no no, perché eravamo in una zona di gente operaia che insomma, perdere la notte poi spostava, eh, ti spostava di fatica. Sì, sì, non, non eravamo in case, in case raffinate. È che eravamo già fortunati che avevamo, ah, noi avevamo il gabinetto fuori. No no, noi avevamo il gabinetto dentro, ma la nostra è una casa di ringhiera e tutti i nostri vicini erano tre o quattro appartamenti che avevano il gabinetto in comune, no? Non avevano il gabinetto in comune?
AB: Non avevano il gabinetto in comune quelli della ringhiera.
MB: Noi invece eravamo dei privilegiati perché avevamo il gabinetto in casa. Che poi, mio padre faceva il muratore e c’aveva messo la doccia ne, c’aveva messo la doccia.
AB: C’aveva messo la doccia, sì.
MB: Quindi. Sì, io mi ricordo che ci lavavamo nel bagnino, no,
AB: Sì, [laughs], di zinco.
MB: Non avevamo bagno, era un bagnino di zinco e ci lavavamo così.
SB: Un’ultima domanda.
MB: Sì.
SB: Lei ha detto che suo papà era capofabbricato.
MB: Capofabbricato perché allora a ogni, a ogni stabile stabilivano un capofabbricato che voleva dire, quando c’era d’andare in cantina, era un po’ responsabile della casa.
SB: Quindi era un, diciamo un ruolo che era venuto fuori...
MB: Per la storia della guerra. Sì, capofabbricati.
AB: Perché mio padre era del ’92 dell’Ottocento e nel ’40 aveva 48 anni.
MB: L’avevano richiamato.
AB: Doveva essere richiamato e siccome aveva tre figli, insomma, richiamato sarebbe stata proprio la fine della famiglia. Allora gli avevano fatto la proposta, capofabbricato doveva impegnarsi in un certo senso, accompagnare giù la gente anziana, perché noi stavamo, c’erano quattro, cinque piani, cinque piani la nostra casa, accompagnare giù,
MB: Fare a piedi.
AB: Sì, sì, fare le scale, e guardare, ordinare la coda della gente che entrava in cantina. Ma mio padre era più pauroso dei [laughs], dei cosi e scappava con la valigia che avevamo, una valigia con dentro i tesori, cioè l’oro, l’oro insomma per modo di dire, una stoffa, c’era un panno di stoffa, neh, e se si andava giù mi padre scappava via con la sua valigia e ci piantava lì noi.
SB: Questi però sono i suoi ricordi [laughs]
AB: Questi sono i miei ricordi.
SB: Adesso io.
AB: Vede che mia sorella non si ricorda bene.
SB: No certo, no certo. Per questo vogliamo dedicarci anche a lei.
AB: Mi spiace che interrompo ma siccome io ho questi ricordi e i miei sono più verdi dei suoi.
SB: No, no, no, è importante, certo. Solo che adesso vogliamo approfondire ma dobbiamo concludere questa intervista qui e...
AB: Sì, sì, no, no, giusto. Lei ha i ricordi.
SB: Certo.
AB: Ricordi di persone che a Milano non c’è stata tanto. Perché in tempo di guerra lei era via, era sfollata.
SB: E senta, allora io avrei un sacco di domande [laughs], avrei molte domande.
MB: Eh, dica, dica.
SB: Vado [laughs]?
MB: Sì, sì, vada, vada.
SB: Allora intanto volevo chiederle ancora sul Pippo. Chi era? Cos’era?
MB: Era [unclear]
AB: Dicevano che era italiano.
SB: Aspetti, se no, se no ci mischiamo purtroppo [laughs].
MB: Era uno che guidava l’aereo, era un, uno che guidava l’aereo e che bombardava.
SB: Quindi era una persona?
MB: Sì, sì, senz’altro era una persona. Lo chiamavano Pippo.
SB: E senta, e si ricorda di chi, dicevano, di quale nazione facesse parte? Se avesse uno schieramento, se? Perché faceva questa cosa?
MB: No, non mi ricordo, non mi ricordo.
SB: Non c’erano, non c’erano spiegazioni riguardo a questo?
MB: No, non. Mi ricordo, sta notte ze la notte del Pippo ma non mi ricordo.
SB: Ma era una frase che dicevano prima, perché si sapeva già che sarebbe passato a bombardare o?
MB: Sì, sì, dicevano prima. Quando venivo a casa dal lavoro, dall’ufficio dell’avvocato, si diceva: ’vedrai che stasera arriva il Pippo’.
SB: Ah sì?
MB: Eh, Dicevano così. Facevo perdere le notti, ma non mi ricordo se, se lo credevano, lo ritenevano italiano o lo ritenevano inglese, non mi ricordo.
SB: Ho capito. E senta, invece il rifugio del caveau, che diceva?
MB: Ah del caveau. Era il caveau della banca quindi si stava abbastanza bene. Mi ricordo che stavamo seduti. Io avevo questa mia collega che faceva, aveva, era già maestra lei. Così, perché eravamo state assunte, erano state assunte in sostituzione dei richiamati. Io sono stata assunta in sostituzione dei richiamati e poteva darsi che finita la guerra ci mandassero via e questo era il nostro, eh. E invece ci hanno trattenuto, ci hanno trattenuto tutte e nel ’47 la banca ha cominciato ad assumere anche i nuovi o quelli che ritornavano, perché mi pare che i richiamati avevano la possibilità di tenere il posto. Erano richiamati ma quando avrebbero ripreso, avrebbero avuto il posto. E noi eravamo, noi eravamo in sostituzione dei richiamati, per quello che si entrava con una facilità abbastanza. Tra le mie colleghe ce n’erano poche che erano diplomate. Ragioniere no, erano quasi tutte maestre, avevano compiuto i diciotto anni e c’erano tutte ragazze che avevano finito il professionale. Allora c’era professionale, commerciale e magistrale.
SB: E senta, questo caveau, era allestito per ospitare, diciamo, durante i bombardamenti? Si ricorda?
MB: Ma io so, so che c’erano delle panche.
SB: C’erano delle panche.
MB: C’erano delle panche. Non si stava in piedi. Sì, sì, si stava nelle panche. E noi, io le dico personalmente, sarà stato sbagliato ma mi pareva la manna perché avevo la possibilità di preparare, di preparare qualche cosa di, di esame, insomma. Perché io ho cominciato poi nel ‘47 ad andare a lezione dalla mia compagna di scuola, la quale mi ha preparato in matematica e in latino, preparava.
SB: E senta, si ricorda, sempre su questo caveau, qualcuno vi avrà detto, ‘quando suona l’allarme si va di qua’. Si ricorda se qualcuno gliel’ha mai detto?
MB: Non mi ricordo, non mi ricordo.
SB: OK. Ma eravate tante persone o? Cioè questo caveau era, perché m’immagino era un posto solo per tutti gli impiegati.
MB: Ah no, credo che fosse la banca dove adesso tengono i tesori, dove tengono le cassette di sicurezza, credo che fosse così. Io mi ricordo che ero seduta, avevo il posto, ero seduta e la banca appunto ci lasciava andare perché era suo dovere quando suonava l’allarme.
SB: Va bene. Io magari un’ultima domanda riguardo a quando è finita la guerra. Dopo la guerra, ha mai ripensato, le è mai capitato di ripensare, in particolare ai bombardamenti, ehm?
MB: No.
SB: O magari a chi appunto bombardava?
MB: Perché per me è stato un periodo in cui avevo il benessere economico. Non dico che non ero più povera ma insomma avevo uno stipendio, stipendio di bancari anche allora contava eh. E poi insomma nel ’47 io avevo 22, 25, 35, 40, io avevo 30 anni e insomma avevo il mio posto, avevo, guadagnavo. Guadagnavo insomma, ero tra i lavoratori, allora erano i migliori, erano i miglior pagati. Facevamo gli scioperi, ma eravamo i migliori sulla piazza.
SB: Quindi insomma, al bombardamento lei non associa ricordi o sentimenti di qualche tipo.
MB: No, no. Non sono stata. Ah ecco, c’era stato una mia collega che era stata sotto i bombardamenti. Quella ne aveva risentito sotto i bombardamenti militari di Via Disciplini, l’hanno trovata, ecco, quella era stata colpita, sì. C’era gente che aveva subito i bombardamenti ed era rimasta incastrata in cantina. Ecco, quelli ne avevano risentiti ma io no, io non ho risentito, psicologicamente non ho risentito. Ecco.
SB: Va bene, allora, io la ringrazio.
MB: Niente. Adesso deve dire qualcosa lei, no?
SB: No, no, no. Eravamo io e lei. La ringrazio e.
MB. Niente.
SB: A posto.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Marialuigia Buffadossi
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Marialuigia Buffadossi remembers her wartime life in the Lombardy region. Born in a low-class neighbourhood with poor-quality housing, she first worked as shorthand clerk for a solicitor, and then was employed by a major bank. Remembers her employer’s wife, who had San Marino citizenship and was, therefore, able to obtain un-rationed supplies. Describes her evacuee life in Cernobbio, stressing her handsome salary and enjoyable social life in various resorts on the shores of Lake Como. Remembers how she was troubled by not knowing the fate of her relatives still in Milan. Describes taking shelter inside the bank vault, where she passed the time studying for a teaching qualification. Recalls Pippo and maintains that it was the name of the pilot. Describes the bombing of a church and the subsequent fire. Mentions different attitudes toward bombing: her father, a warden, was fearful and timid; her mother took a resolute and fearless approach, to the point of avoiding the shelter in the basement. Affirms that having been an evacuee greatly increased her resilience, and also strengthen her desire to lead an independent life.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Sara Buda
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-05-28
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:52:56 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ABuffadossiM170528
PBuffadossiM1701
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Po River Valley
Italy--Cernobbio
Italy--Milan
Italy
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1943-09-08
civil defence
evacuation
fear
home front
perception of bombing war
Pippo
shelter
-
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Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Messali, Teresa
T Messali
Description
An account of the resource
One oral history interview with Teresa Messali who recollects wartime experiences in the Milan and Bergamo area.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Messali, T
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
SB: Possiamo cominciare, allora, Teresa.
TM: Sentiamo.
SB: Dunque, iniziamo con.
TM: A quei tempi lì ero, ero molto più giovane, non ero vecchia così.
SB: Dove si trovava, che cosa faceva prima della guerra, ci interessa saperlo.
TM: Mi trovavo al Duomo di Brescia, non duomo proprio, è un paesino, non proprio in città, in mezzo a una cascina, eh cascina ma eravamo in tante famiglie, non una eh, e lì eravamo delle famiglie ma con sette otto dieci figli, eh non uno. E dovevamo scappare perché se arrivava lì, questi apparecchi che non volevano la luce, bisognava scapà, e anche se eri in casa dovevi piantare lì e andare, c’è ti trovavi il posto posto libero, perché poteva succedere anche che avevamo su la polenta, bisognava lasciarla lì e andare, e mica da ridere, senza la paura! Perché io avevo mio papà, mio papà non aveva paura, andava alla stazione quando sentiva questi aeroplani e mi diceva ‘Vai a destra o a sinistra, dimmi dove vai’ e io avevo una sorella anche, una sorella che mi diceva ‘Io vado col papà e te arrangiati, vai nel fosso più vicino che trovi’. E non era mica facile perché quel fosso magari dove mi diceva di andare era pieno d’acqua, e andavo dove trovavo, per le campagne anche, al freddo anche, eh no mica è stata facile la mia vita da piccolina, da ragazzina proprio. E capitava magari che avevo qualche fratellino dietro, perché io sono la prima di otto, nove per cui ero la prima. E non faccia, anche a ricordarmelo mi tremano un po’ le, sì sì, non sono tanto sul mio ecco, adesso lo dico bene però io non ho paura adesso, ma quel momento là che suonava l’allarme e dover scappare a andar cercare i fratelli per andare e poi mio papà che mi diceva dove andare e invece lui andava là alla stazione, dove c’erano i treni andava a vedere se poteva rubare qualcosa. E mia sorella più giovane lo seguiva, per portare a casa qualcosa, e invece il più delle volte venivano a casa con poco o niente eh. Eh era mica facile, sì sì, e tanto tempo è stato così, quel tempo lì che ero a Brescia in questo Duomo, paese che si chiamava così. E non era mica facile sì sì. Io non riesco neanche andare avanti dalla paura, mi tremano le gambe adesso [laughs]. Passa sì è vero, man mano gli anni passano, però il ricordo non passa mica tanto alla svelta eh, perché io ho sempre lavorato tanto anche, da ragazzina [?], altro che andare a scuola come fate voi adesso, io l’ho vista fino alla terza alla quarta che non mi ricordo qual è che ho, basta, e ho sempre lavorato.
SB: Quindi prima della guerra, ancora quando non si sapeva nulla, lei cosa faceva?
TM: E niente, aiutavo a mia mamma, ma ero sempre in qualche famiglia io, non ero quasi mai a casa, qualche signora che stava meglio di me aveva bisogno di una ragazzina e io andavo, son stata via di casa anche qualche mese, qualche anno anche e guardavo i bambini che questa signora aveva e così è stata la mia vita, sempre così, venivo via da una famiglia andavo in un’altra, che anche una sorella, nei paesi usavano, quelle mamme, quelle donne anziane danno qualche lavoro alle ragazze che non hanno la possibilità di andare avanti, a me hanno messo una sorella da una signora per andare a fare la bambinaia, e invece non era vero che è andata a fare la bambinaia, è andata a, in un centro dove c’erano le ragazza ricoverate, quando io l’ho saputo allora abbiam fatto un po’, di qualche situazione per poter andare a prenderla perché se era da qualche signora che lavorava avrebbe preso lo stipendio, ma andando così lo stipendio non c’era non si poteva, almeno mio papà non l’ha lasciata là, mio papà si è presentato su, sul collegio che c’era e fin che l’han data non è uscito via di là.
SB: Come ha scoperto.
TM: E questa sorella ha attraversato la strada, la la sariola si dice al paese no? Quando che c’è un fosso troppo grosso la chiamano la sariola, ha attraversato la sariola per scappare a casa ma non è riuscita, una signora di questo collegio l’ha vista e l’è andata a prenderla, e l’ha riportata dentro. Così è andata avanti un po’ anche qualche anno ancora, ma mio papà quando era fissato che lì non doveva stare perché insomma non si poteva, non si poteva andare avanti perché i soldi non ci sono, e i bambini erano tanti e bisognava darle da mangiare, e allora è venuta a casa. E però la stessa cosa, quando che lei, io non avevo la sorella, avevo qualche amica della casa, te scappavi dove trovavi la strada libera anche, qualche volta se riuscivo la mamma o il papà ti dicevano dove andare, ma tante volte succedeva che era, partivano prima loro e dove ti trovavi eri lì. Sì, no io una cosa ah beh, tante cose non me le ricordava anche se piangevo però non potevi far diversamente, non potevi. Ma vita è stata dura, la nostra vita sì, tutti noi, siamo una famiglia grande di dieci forse figli, però tutti abbiamo tribolato, tutti. E qualcuno è stato anche via, tornava dopo un po’, quando riusciva a dare qualche soldo tornava a casa, ma a poterlo fare, a poterlo fare, no no è dura è dura, al pensiero guarda mi viene proprio, voi pregate Dio che siete a posto, ma io quei ricordi lì non, non mi passano tanto alla svelta eh, adesso va bene perché oramai son vecchia e non posso più a fare niente, come fai adesso? Non riesco neanche a fare i miei, come faccio ad andare a fare quelli degli altri? Ma io ho lavorato tanto, da tutte le parti, ortolani mica ortolani, da tutte le parti ho fatto io, la bambinaia mica la bambinaia, ho fatto di tutto io, eeh sì, mi viene proprio. Raccontate qualcosa anche di vostro, non solo di mio.
SB: Eh, ma è lei la cosa interessante qua scusi [laughs].
TM: Raccontate anche voi.
SB: Noi vogliamo scoprire come ci si sentiva quando insomma.
TM: Male.
SB: Quando ha scoperto.
TM: Male, male, malissimo.
SB: Chi, chi, come ha scoperto che iniziava la guerra? Come ne parlavano gli altri.
TM: Passava quell’aeroplano lì, che dicevano Pippo, quello lì avvisava persona quando dovevamo scappare no, quando arrivava Pippo lo sapeva tutto il cortile, scappa [emphasis] sacappa a destra, scappa a sinistra, non stare lì a guardare dove vai, qualsiasi posto che trovi, vai. Eh e maga sì c’era il mangiare su ma non si poteva stare lì ad aspettare, no no che poi bombardavano e c’era da d’aver paura perché potevi anche essere sotto, eh no non si fa bello a dirlo, no no, certo che io le date non le ricordo di sicuro, non mi ricordo i miei i miei anni, non mi ricordo.
SB: E quella, quindi il bombardamento è stato il modo in cui ha conosciuto la guerra? Prima non lo sapeva?
TM: Sì sì perché sapevo che c’era la guerra quando suonava questa, poi suonava lo stesso, ma anche tante volte lo dicevano le persone che vivevi insieme ‘Scappa! Sta arrivando qualcosa adesso che non piace’. E allora scappavamo. Poi secondo i posti, c’è dei posti, c’è stato dei posti belli che stavi lì magari ti trovavi una giornata che non succedeva niente, ma erano poche le volte. A me mi è capitato sempre quando ero a casa, quando ero a casa, quando ero in giro, o da una mamma o da un’altra per guardare i bambini, mi andava bene perché là forse non c’era questa possibilità. Anche l’aereo magari non poteva passare di là, perché ero anche a dieci, venti chilometri lontana da casa eh, non è che ero proprio lì vicino. Quello che capitava, capitava. E io anche qualche volta anche da queste signori che io servivo ho sofferto la fame, perché non è che ho trovato le signore che stavano bene, ho trovato anche delle signore che anche loro erano nella mia stessa condizione, e quado sei dentro cosa fai? Almeno prendevo lo stipendio. Ma sì qualche volta cosa facevano invece di darmi lo stipendio? Mi davano le cose che scartavano ai suoi bambini e mi dicevan ‘Pari, siamo pari’. E io come facevo? Avevo mica la mamma di dire ‘Va bene eh’ questa sistema, questa roba qua. Andava bene, perché a me servivano anche quelle cose, e però non era così da fare qualche volta, volevo i soldi io volevo, non quelle robe lì, sì mi servivano però era meglio che mi davano i soldi, come facevo portare a casa alla mia mamma robe cose lì, me lo avrebbe detto subito ‘Potevi lasciarli là quelli lì, i soldi voglio’. Eh però quando che non ci sono, eran buoni anche quelli, portavo a casa tutto io. Eh si, troppo bello, eh insomma, ma la vita, la mia vita è stata così eh, tanti anni. Anche quando trovavo queste signore avevo il mio da fare eh, perché trovavi anche el marito magari che mi faceva tribulare hai capito? È bello quando sei via e hai la rua persona personale, quando sei grande, son diventata grande anche io, avevo anche io qualche volta qualche ragazzino che mi piaceva, sì dovevo o tenermelo come era o se no cambiare, o cercare di fare le cose più meglio possibile. Ho provato anche quelle streghe lì io eh, che magari il marito, il marito e la moglie andavano a lavorare però mi è capitato anche, di vedere la moglie andava a lavorare, il marito voleva venire a letto con me, eh, e te stavi lì, ho fatto una di quelle lite io una volta. Per quello che glielo dico a lei tante volte, stai attenta te, perché non c’è mica da ridere eh, anch’io ho provato quelle streghe lì, oltre alla guerra, anche qualche marito che c’era mica tanto da fidarsi. Eh queste sorprese qui, una volta uno l’ho buttato dalla sariola, lo sai qual è eh? Lo sai? Lo sa? Beh vai dentro lì. Una volta mi è capitato micca, quando è nata lei ce l’avevo sul seggiolino che la portavo all’asilo, forse non, aveva due o tre anni, forse era una stradina che passavo per andare a portarla all’asilo, c’era il fosso di qua e di là, non mi lasciava passare, io l’ho buttato dentro da una parte, ma l’ho salvata lei però, eh sì, eh sì carini. No no, da giovane, io non tornerei indietro, certo con la gioventù del giorno oggi sì, adesso è bello, bello anche troppo adesso, perché tutti contenti li avete adesso, bello vivere così senza pensiero, a casa la mamma il papà che combina fanno tutte le cose belle, invece anche la mamma e il papà c’è qualche volta magari ti brontolano anche loro eh, perché li ho visti anche io, eh quando vedi papà che andava prendeva la ciucca veniva a casa e dopo botte alla mamma, e quelle robe lì non mi piacevano, non mi piacevano, allora gli saltavo al collo, e dopo era da fare a scendere perché dopo lui mi avrebbe picchiato di più, dovevo stare attenta a un fratello che mi poteva salvare.
SB: Insomma un periodo.
TM: Eh si, un periodo proprio, no no, meglio che si vive così anche se fuma, che a lei, che lei non mi piace che fuma eh, eh però fa niente, non ha ascoltato quello che le ha detto la nonna, la nonna non voleva. Lei però mi ha giurato, mi ha giurato che non fumava più e ha sbagliato, no, io la volevo ragazza giovane bella così com’è, senza fumare, però c’ha una, poi adesso fosse una sigaretta lì che proprio una miseria, quelle sigarette io per adesso, forse adesso avrei dieci euro da comprarle sì, una volta no, adesso ce l’avrei da darti, forse mi piacerebbe fossi di più, te lì a fumare quella roba lì, mah non lo so, speriam che vaga bene come te dise a ti, io non ci credo tanto però.
SB: C’era qualcuno che fumava nella sua famiglia durante la guerra?
TM: No i miei, né papà, nessuno dei miei fuma, no, invece mio genero troppo, ma mamma mia, non fuma lui che è un uomo, la fuma lè, ecco questa non riesco a digerirla, chissà forse adesso dica a mia nonna ‘Non fumo più’.
SB: Insomma le donne, le donne non usavano fumare quando era piccola.
TM: No, sì qualcuna ma non come adesso, adesso è una cosa impossibile, adesso fumano manco, addirittura il sigaro qualcuna, ma no dai ma non si può. Fumano e bevano, perché ce n’è anche, e bevono i liquori anche, no non si può, non si può. Io neanche li guardo, sì li assaggio ma non, di farne uso di sicuro, ma neanche il vino pochino quello dolce forse, ma non, ecco lei anche lei però invece le piacciono quelle robine lì, un pochino le assaggia, vero?
SB: Senta, la riporto ancora un attimino indietro, che a noi ci interessa quel periodo lì.
TM: E quale indietro.
SB: Senta come ha scoperta che era finita la guerra?
TM: Eh, quando è ste’ che hanno fatto la festa, nel posto, allora sì eravamo felici, allora è stato bello, quando è finta, ci siamo trovati tutti nella cascina, uno andava a destra, uno andava a sinistra, una felicità, e poi passavano anche i aeroplani, che erano contenti e arrivavano questi aro, europlani insomma [laughs], belli che mettono gli avvisi no? Come mettono le stelline adesso fanno girare queste belle robine, era bello, quando è finita sì. Eh era un pochino più tranquilla anche io, ciusca! Allora potevo andare si va a lavorare, si va a lavorare ma tranquilla eh, io ho fatto anche tanti chilometri ad andare a lavorare in bicicletta, anche a Milano, io son, son venuta a Milano che avevo vent’anni, vent’anni, e lavoravo qua a Milano, ma in tutte le vie, qua quasi in tutte le vie sono andata a lavorare, c’è ancora gente adesso che conosco.
SB: È venuta qua a lavorare.
TM: Però è più bello, quando che non hai questa paura della guerra e sì che stai via, stai via tranquilla, non c’è più questa, andare a mettere, ma quando c’è la guerra oh, è stato brutto, eh e io la gioventù l’ho fatta tutta così, con la paura di lasciar andar perso qualche fratello anche, poi quando ci sono i genitori che un po’ andavan bene, qualche volta eh mio papà era un po’ uno che beveva e diventava cattivo anche eh, e allora lo seguivo io, ero la prima, però c’era mia sorella l’ultima, la seconda era più forte lei a farlo smettere ma io sono un pochino più buona, non volevo trattarlo male, non volevo, volevo che capisse da solo no, certe cose? Non di obbligarlo a non, e quello che dovrebbe, se era ieri che venivate qua c’era ieri mia sorella, tremenda, sì sì ancora adesso tribulo con lei eh, perché lei vuole sempre l’ultima.
SB: E c’era anche lei quando eravate piccole.
TM: Sì, sì, ooh mamma mia, ma lei non ha paura, no.
SB: Si comportava diversamente?
TM: Non aveva paura di niente lei, anzi voleva andare nel pericolo più, più forte che c’era, andava con mio papà lei, andava alla stazione come se niente fosse, invece no no. O se no stava a casa a curare i più piccoli magari, li metteva in un locale in modo che non si poteva scappare, in modo di non farli spaventare anche, perché eravamo le prime insomma, le prime noi, io mi attaccavo a lei, lei si attaccava a me però insomma quando hai una compagnia allora è bello, ma anche adesso noi andiamo d’accordo proprio, sempre, andavo, in questi periodo qua son stata con lei, lei aveva ‘na casa in Sardegna, sempre son stata, sono andata con lei tanti anni, solo che è rimasta vedova adesso e allora non siamo più andate. È vedova lei, vedova anch’io, io prima di lei, lei mica tanto però, però io prima di lei, lei mica tanto, però però io non ho guardato più nessun uomo, ero giovane perché ne avevo 57, potevo fare un compagno ancora eh, ma non mi interessava più nessuno, lei adesso, è cinque anni adesso che è mancato il suo ma il io è trent’anni, per cui ero giovane. Basta, pazienza, Dio ha volturo così, è stato così, pace, la vita s’è fermata lì per, per lui e per me mi fa arrivare qui, io spero che vado avanti ancora ma mica tanto, qualche annetto perché ho un compito io con Dio, se mi succede, sai com’è.
SB: Lei, lei è credente?
TM: Son presente?
SB: Credente, crede in Dio?
TM: Io sì, sì sì.
SB: E com’era il suo rapporto con la religione?
TM: A me piace.
SB: Cosa, pensava a Dio quando?
TM: Io da ragazzina son sempre andata dalle suore, andavo a dire il rosario, ma anche adesso quando posso io, e se non posso lo dico il rosario a casa da sola, sì.
SB: Quando c’erano i bombardamenti.
TM: Eh anche quel periodo là, sempre li dicevo.
SB: Si rivolgeva?
TM: Più o meno tutti noi fratelli, meno un po’ gli ultimi due maschi, però ci aiutavamo ecco, anche nelle faccende, ci aiutavamo, chi faceva quel, il lavoro più grosso e chi faceva il lavoro più piccolo o se no si guardava anche, l’uomo fa un certo lavoro, la donna fa un altro lavoro. Io per il cucito, cucito, ferri o uncinetto, a me piace. Però anche la pulizia mi piace, mi piace che la casa sia in ordine a me, solo che la mia casa è troppo piccola, poi siamo qua, sono qua da sola però c’è roba mia, roba sua, roba della figlia, roba della mamma, tutto ecco, c’è tutto qua. Poi c’è tanta roba che io reciclo e gliela do ancora adesso ai fratelli e se è rotta la aggiusto, non non butto via niente io, lo butto via proprio se è brutto, non si può più usare, se no una maniera o un’altra io li cucio, non butto via niente tanto, fin anche troppo qualche volta, perché lei mi sgrida qualche volta ‘Buttalo via nonna!’ [laughs]. Anche lui, lui poi me li dà rotti anche, eh? Eh va beh dai.
SB: Senta, ma quindi.
TM: Andare avanti.
SB: Esatto, dopo.
TM: Così son sempre cose brutte, cose belle ci sono adesso. Ecco dovrei dire un po’ di cose belle, non cose brutte eh quelle lì non mi piacciono, eh.
SB: Sono ricordi che fanno, che fanno ancora male immagino.
TM: Sì, sì. Di non poter andare proprio, far niente, nella casa dovevi scappare, tira su quello che è necessario e andare, e vivere magari delle ore in un fosso, o in un pezzo di terreno, che poi andavamo anche a far la legna per per far da mangiare perché non c’era né stufa, sì qualche volta la stufa, la stufa ma dovevi andare a raccogliere la legna e eh sì non è mica facile a dirlo e bello, adesso a raccontarla sì, tanto non c’è nessuno più che mi fa del male, almeno quella almeno quella bestia di quella guerra lì è proprio brutta, io la mia vita [phone ringing].
SB: Riprendiamo, ci siam fatti, ci siam fatti interrompere.
TM: E adesso capita le cose brutte anche adesso, per esempio guarda lì la suocera, non pensavo mai che le veniva quella brutta malattia lì, mamma mia, no io credo, per quello che dico io, son vecchia, devo stare attenta perché anche la memoria va via adesso, qualche volta c’è, qualche volta la scappo, non mi ricordo dove li ho messi, e bisogna svegliarsi, non diventare così proprio rimbambiti proprio, fare almeno, stare attenti almeno, lo stretto necessario ecco se no, mamma mia, è un bel. Mah insomma.
SB: Posso chiederle un’altra cosa riguardo ai posti in cui vi rifugiavate? Ha detto che erano dei fossi.
TM: Sì nei fossi, sì a al Duomo, al Duomo di Brescia.
SB: Ed erano dei fossi.
TM: Un paesino, sono paesini dove c’è mia sorella, perché c’ho una sorella ancora io a Brescia, Castrezzato, in via Rovato eravamo, però c’è, è un paese che c’era il mercato il lunedì e andavamo noi lì al lunedì, perché sulla montagna andavamo anche a portar, a far le feste no, quando avevamo tempo, non sempre le cose brutte, c’era state anche le cose belle, finita la guerra, se c’era un compleanno come adesso voi fate la festa, la fate grande perché così io non le ho mai fatte quelle feste lì, anche con la torta mai, la torta chi l’ha vista, i ricchi, i signori, ma io non l’ho mai vista la torta. Me la fanno adesso la torta, me la fanno. Però quei momenti là si tirava su le, le uova, le facevi alla coque, con queste uova si andava sulla montagna, è stato bello anche quel periodo, mio papà lavorava lassù, qualche giorno, che i bambini erano piccoli qualche volta si andava fino là, ma non è che è stato sempre brutto, è stato un po’ e un po’, però quei momenti belli erano belli anche per noi, erano belli. Però c’era sempre quel pensiero che uno o l’altra o l’altra, doveva pensare anche a mandarla avanti la casa, non potevi sempre aspettare che la mamma o il papà ti portano i solti, se andava in un qualche parte che li prendevo di più andavo di volata, almeno avevo anche del mangiare, ma più delle volte non, non avevi neanche quello, altre robe da metterti su, dovevi pensare, perché se andavi a dormire prima o dopo magari trovavi il tuo che l’aveva su uno, e te dovevi arrangiarti ad andare a prenderlo da qualche parte. Adesso invece la vita è bella adesso, averla sempre così.
SB: E questo periodo.
TM: Anche troppo adesso, anche troppo, perché c’è tanto spreco adesso, tanto, vedo anche io qua nella mia casa, tanto spreco, qui buttano via tutto, buttano via, il più delle volte vado a prenderli, la cosa non è mica giusto, non è mica giusto e però è bello perché è variabile, eh eh teniamo, lo dico, glielo dico anche a loro io qualche volta, eh beati loro che lo possono fare. E però con più si va avanti con più, certo adesso dovrei stare qua, gli anni brutti che non dovrei ricordarli più e ricordare, ricordare questi anni che farò andando avanti, allora si, ma non quelli là, quelli là son troppo, io tante volte io non dormo io di notte, ancora ci penso, tutto un po’, grazie [water being purred] grazie. [pause] Eeeeh, mah insomma, ci voleva qui mio papà, anche il nonno, magari e invece è morto prima.
SB: Riparlavate ogni tanto di quel.
TM: Eh?
SB: Riparlavate in famiglia ogni tanto del periodo della guerra, dei bombardamenti?
TM: Eh ogni tanto, sì con mio papà si ogni tanto, è morto con quel pensiero lì anche lui poverin ma lui era a casa però non, si però m’è capitata una roba con mio papà per esempio: un tedesco era venuto, no, no uno erano in tre, eran nel paese lì dov’ero io, è venuto a cercare mio papà. Ascolta ma io, era lì, gliel’ho detto quale era mio papà e lui voleva, voleva che andava insieme a lui no, questo tedesco, e lui gli ha detto ‘Aspetta un momen però, non posso mica venire via così non c’ho la giacca, vado su a prenderla’. È andato su ma non è mica più sceso, è scappato dalla finestra eeeh è andato per per le campagne. Che ne so io che cosa voleva questo qua, e lui invece dopo me l’hanno detto, la gente che c’era lì ‘E certo volevano portarlo via’. Non so dove lo avrebbero portato, non lo so, quello lì non l’ho mai saputo. Ma l’abbiamo trovato perché mia mamma è andata a cercarlo dopo. È saltato giù dalla finestra, wrooo primo piano però ha fatto questo scherzo lui, ha detto ‘Vado a prendere la giacca perché mica vengo via così’ e invece è scappato, mia mamma mi ha detto ‘Adesso sarà scappato’ dice ‘Nella campagna di una famiglia o dell’altra famiglia, perché quelli là’ dice ‘sono i tedeschi’. Eh eh allora ha fatto bene a scappare, se era, che ne so io, eh, eh, ‘na parola, dopo l’ho saputo sì, s’è salvato intanto quel periodo lì almeno l’avevamo a casa, ma era mica tanto forse che era finita la guerra, perché se era in giro ancora queste persone, ma erano tante persone sempre, sì sì, queste ragazzi carini anche, ma vestiti da questa polizia qua, io quando vedevo la, la veste ero già fuori posto io. C’è d’aver paura sì, come si sono arrabbiati quando non hanno visto scendere, eh però io non non lo sapevo che lui avrebbe fatto una cosa così, l’ho saputo dopo però, allora se è vero che loro lo avrebbero portato via ha fatto bene a scappare eh perché non so dove lo avrebbero portato, non lo so. Eh anche lì è mica tanto, no no, quando mi vengono in mente queste cose qua, guarda, ci sen saranno così ma da ragazza, eh pensavo ad andare a lavorare io eh eh perché dovevi lavorare per forza per poter mandare avanti la famiglia, se no. Anche la mia mamma poverina, pelava le cipolle tutti i giorni, aveva una, un ortolano, vicino a noi, aveva queste cipolle che bisognava sbucciarle no, ogni, un tot al chilo ti davano i soldi, allora un po’ lei un po’ io, e facevamo questi lavori qua, quando non trovavamo niente da fare, si pulivano le cipolle, pulivi tanti chili facevi, tanti soldi ti davano, eh si, eh era mica facile, tanto dura la mia vita da ragazza, sì qualche volta sarò andata anche al cinema, ultimamente andavo anche al cinema ma contarlo perché se non avevo i soldi rinunciavo io, non mi interessava proprio. Adesso c’è bello, c’è anche la televisione, una volta io la televisione mica l’avevo, neanche per sogno neanche, ma neanche la lavatrice, non la televisione, la televisione è per sport adesso e la lavatrice la stessa cosa, perché io ho sempre lavato tutto a mano. Eh, adesso la vita è bella, sì andate a casa trovate pronto, il più delle volte e il più delle volte c’è da brontolare anche con gli orari del dormire, gli orari di stare svegli, una volta dovevamo guardare anche se andavo a dormire, io andavo a dormire con un fratello ma sul solaio, tutti e due, solaio la brandina da una parte, la brandina dall’altra, un fratello di là, uno di qua, sul solaio. E però era bello quel periodo là, bastava, anche se era un solaio era bello, perché avevamo posto di dormire.
SB: Questo era dopo la guerra?
TM: Eh si, dopo finita, sì meno male, mamma mia [emphasis], eh insomma [pause].
SB: Bene.
TM: Io sono bloccata qua [laughs].
SB: Ok, possiamo concludere l’intervista. Un’ultimissima domanda se lei è ancora disposta a rispondere, un’ultima domanda. Gli aerei che bombardavano, voi avevate idea di quale nazione fossero?
TM: Brescia, penso, Brescia perché eravamo lì a Rovato e Brescia.
SB: Ma chi pensavate che fossero quelli che vi bombardavano?
TM: Eh.
SB: Chi erano?
TM: Sì, anch’io, quelli che son su sull’aereo io dicevo, non tedeschi ma quasi, eh chi sono quelli che vanno su, sono i piloti lì, cosa facevano i piloti? Sono come queste persone qua che venivano a cercare qualsiasi uomo da portare, dove lo volevano portare questo uomo?
SB: Quindi in paese.
TM: Quei tedeschi lì [emphasis], dov’è andato questo signore che è andato su, poverini, e io glielo dicevo, anche se è andato giù di là io non l’ho mica detto, e no no, non avrei voluto io che lo avrebbero portato via e siamo sicuri che lo avrebbero lasciato andare? Ha fatto bene a scappare eh, almeno secondo me.
SB: Quindi in paese si diceva che quelli che bombardavano erano tedeschi?
TM: beh, così dicevano, sì tutti, bah tutti più o meno tutti si diceva quello che si sentiva parlare dai grandi, quando eravamo con qualche uomo, qualche signore dicevano più o meno ‘Eh madonna cul’ là l’ha miga fini de bumbardà, uh signur l’ha miga bumbardà a se’ basta adesso, tira su e va fora delle storie’ e ‘na parola na ga tra [?] eh come fai. Poi anziché i tedeschi c’è stato un momento mio papà che me lo ha detto ‘Gh’è minga tant da scherzà coi tedeschi, si fissano che sono cattivi ti portano via non sai dove vai’ e la pensavano così qualche volta. Poi gli uomini erano i primi a voler scappare eh se scappano è perché c’è qualcosa che non va eh.
SB: E degli americani avete mai parlato?
TM: Eh anche degli americani, ma tutti i posti extra di dove sei più o meno lì anche malamente ma non lo sai se fai bene o se fai male, non lo so, e noi dicevamo anche noi quello che dicevano gli altri, per andare via alla svelta di quel posto, però noi più delle volte, ecco quando che era, eh non si sentiva questo aereo che bombardava eravamo tranquilli, dove ero, dove mi trovavo, se non c’era questi bombardamenti era anche carino, ma quando cominciano queste persone qua che dopo comincia, poi si spaventa la gente, diventa un disastro perché cerchi di salvarti da qualsiasi posto, non devi andare in mezzo a questa tribù che trovi magari, eh perché è anche gente che diventa cattiva anche se deve essere cattivo qualche volta diventa cattivo, eh perché secondo, le liti che si forma in giro, è brutto! [pause] Eh insomma, dobbiamo fare, dobbiamo fare niente [pause].
SB: Ancora una domanda. Cosa pensa adesso dei bombardamenti, di chi bombardava allora?
TM: Mo adesso, adesso non ci penso più, anche se capita, qualche volta perché succede, anche per strada eh, che arriva magari questi, tutte queste macchine che gira adesso, più delle volte fanno un bombardamento che c’è d’aver paura che tante volte mi alzo a andare a vedere che cosa succede, però non ho più quella paura che avevo una volta, eh una volta avevo paura proprio, e come fa, adesso fa paura la luce, la corrente a me fa paura. Fammi fare qualcosa, io della corrente non, non mi fido tanto, non mi fido tanto, faccio qualsiasi cosa ma quello che trovo facile, me dover tribulà con quel microonde là che non riesco a farlo andare [laughs] mamma mia, no no. Adesso non c’è niente che mi fa paura, adesso va tutto bene, sì, qualche incidente che sento, qualche disastro ho paura, quello sì eh, però non di andare, di aver paura come un tempo, no, adesso se son qui, vivo qui da sola eh non ho paura io, invece ho una sorella che invece lei non sta da sola, invece a me non mi fa niente, io non ho paura, io quando ho chiuso la porta basta sono tranquilla, anche se qualche volta è venuto anche qualche ladro qua eh, che mi ha buttato per aria la casa, fa niente, e però pace, rimettiamo a posto, certo non è tanto facile quando entri dentro che la casa è tutta sottosopra, non è mica bella però che quando è tutta in disastro è proprio un spavento eh, trovare tutto fuori posto e però mando giù, pazienza, ritornerà ‘na roba, una cosa più facile ritornerà, faremo qualcosa, eh quando capita capita, eh anche se son chi, sono la prima porta, per forza, dopo io ho pensato quello, prima porta prima che è arrivata è arrivata qua, però pazienza, mi hanno portato via solo i pennarelli della Erica, niente, e avevo qualche soldino nascosto eh, ma non l’hanno trovato, credevano loro i furbi ma il avevo messi nascosti bene [laughs] hanno portato via tre, tre scatole però, tre scatole di pennarelli, eh pazienza, i pennarelli li abbiamo comprati, eh vede ma una volta non potevo, eh visto, eh si eh pazienza dai, uh signor, adesso passerà dai oramai son vecchia, è arrivato il periodo, io non voglio morire, ho fatto un patto con Dio io, di farmi morire nel sonno, non così viva così no, nel sonno, quando son dentro dormire, trovarmi morta, eh mica bello, spero almeno,
SB: Va bene.
TM: Io prego tanto, qualche volta tanto anche, anche forse di più di quello che dovrei, eh.
SB: Va bene.
TM: Però la vita mi ha fatto vivere, ecco la vecchiaia avrei voluto farla in un altro modo, non così, di essere così mezza rimbambita, perché sono mezza mezza morta, riesco a farlo ma devo stare attenta a muovermi, invece una volta scherzi, io quell’armadio lì lo spostavo una volta, e anche questo spostavo una volta. Adesso, ma neanche quasi riesco a chiuderlo, una volta lo spostavo, eh dici niente, pulivo anche dietro io una volta, adesso non poter far niente è dura, è dura, è dura, dura. Faccio il segno della croce però per quello, per la forza che ho, ecco pace, oggi lo faccio un po’ bene e domani lo fo meglio e però riesco riesco, a fatica però riesco ecco, non come, certo però quando penso alla mia gioventù, che ho buttato via tanto tempo proprio in giro con gli altri, invece quando c’è la famiglia si sta bene anche a casa, e però quando non si può devi rinunciare a tante cose, bah insomma.
SB: Bene, io la interrompo intanto la registrazione e la ringrazio, è stato molto molto molto utile.
TM: Questa che nome ha?
Erica Picco: Sara.
TM: Masa?
Erica Picco: Sara.
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Title
A name given to the resource
Interview with Teresa Messali
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Sara Buda
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-10-20
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Francesca Campani
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:46:02 audio recording
Language
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ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AMessaliT161020
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Italy--Po River Valley
Italy--Brescia
Italy--Milan
Italy
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An account of the resource
Teresa Messali gives a brief account of her pre-war life with her large family in a farmhouse near Bergamo. She mentions Pippo; describes the pressing need to find shelter during the bombings and stresses how she frequently resorted to ditches. Teresa explains how her father and her younger sister used to dash to the train station during a bombing, looking frantically for something to steal. She recollects the fear of the Germans, how her father narrowly managed to escape roundups and how bomber crews were regarded as enemies as the Germans. Gives a detailed account of the hardship she endured in Milan, particularly her job as nursemaid during which she was often subjected to sexual harassment. Mentions her father getting drunk and beating her mother. Gives a brief account of the happiness after the end of the war and expectations for more serene moments. Compares and contrasts her wartime trials and tribulations with the lifestyle of younger generations.
Coverage
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Civilian
bombing
childhood in wartime
civil defence
fear
home front
Pippo
-
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Title
A name given to the resource
Vischi, Stefania
Description
An account of the resource
One oral history interview with Stefania Vischi who recollects wartime experiences in the Monfalcone area.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-08-06
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Vischi, S
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
PC: Sono Pietro Comisso e sto per intervistare Vischi Silvana, per l’archivio digitale dell’International Bomber Command Center. Siamo a Monfalcone, è il 6 agosto 2016. Grazie Silvana per aver permesso questa intervista. Sono presenti all’intervista Pietro Comisso e Andrea Ferlettich. Prima di cominciare vorrei farle alcune domande per essere sicuro che questa intervista venga registrata come desidera. È d’accordo che la sua intervista venga conservata presso dall’Università di Lincoln, esclusivamente per scopi non commerciali, che l’Università di Lincoln ne abbia il copyright e infine essere liberamente accessibile in qualsiasi formato per mostre, attività di ricerca, istruzione e come risorsa online?
SV: Sì.
PC: È d’accordo che il suo nome venga pubblicamente associato all’intervista?
SV: No me ricordo più, no.
PC: No, sì, sì, sì.
SV: Sì.
PC: È d’accordo ad essere fotografato per l’Archivio Digitale dell’International Bomber Command Center?
SV: No.
PC: Bene. Grazie, possiamo cominciare.
SV: Il ricordo che più sento dentro di me è quando passava Pippo: era un aereo piccolo ma quando arrivava faceva un frastuono che tremavano i vetri, le porte, e lì veramente era una paura tremenda, sia mia che dei miei genitori. Poi quando ripartiva, che se lo sentiva passare, era tutto silenzio. È questo proprio che mie è rimasto dentro, questo terrore addirittura, perché era veramente tremendo. Poi, passando i giorni, passando il tempo, continuavano a bombardare e io andavo al rifugio, i, mio padre mi accompagnava al rifugio e per portarmi lì mi preparavano una pentola con qualcosa dentro e io rimanevo tutto il giorno lì al rifugio, da bambina perché avevo sette, otto anni più o meno, e alla sera mio padre veniva a prendermi. Comunque è stata una vita di, di paura, di tremore, non si poteva uscire, e mi ricordo che alla sera, quando ci si chiudeva dentro, bisognava spegner tutte le luci e con una piccola candela avere questa, questo era tutto, il centro di tutto, no. Ti dirò che qualche volta si mangiava qualche volta no, questo non è importante, però mi ricordo di sentire fuori dei passi pesanti, come camminasse, non so, una squadra di persone, quella volta non sapevo cos’erano, dopo l’ho saputo, comunque continuando questo sistema, questo, ho capito che erano, che li chiamavano fascisti. Poi , andando ‘vanti col tempo le cose si sono un po’ calmate, però c’era sempre quest’ansia: non potevi uscire, non potevi, stare attento a tutto, dovei stare attento. Mi ricordo che quando, vicino a casa mia c’era una specie di canale, sai, la fame è una cosa chi l’ha provata che da bambina non è facile, e io attraversavo questo canale coi piedi nell’acqua e di là della rete c’erano dei militari: io penso inglesi, però. Comunque c’era uno, due che mi chiamavano, no, ‘Vieni, vieni bambina’ mi dicevano; io mi ricordo che mi davano la cioccolata e con questa si andava avanti anche due giorni come, come mangiare, no, però mi mandavano a casa, dice ‘Via, via’, ‘Casa, casa’ dicevano, e io ritornavo a casa; sia io, mia mamma e mio papà si può dire che avevamo qualcosa da mangiare, no, anche con due cioccolate: questo non lo dimenticherò mai. Perché vedi, ci sono delle persone che fanno del male ma nel stesso gruppo ci sono anche persone che fanno del bene, e questi erano le persone che mi hanno aiutato. Poi andando avanti nel tempo si erano, eravamo tutti quanti come sottoposti a una pressione di paura e ti dico che veramente queste bombe, [mimics explosions], in continuazione, più di notte, quasi di giorno qualche volta, e questo era veramente tremendo. Quello che ricordo, il mio ricordo sono le persone, le paure, i pianti di bambini, non si può dimenticar queste cose, non è una cosa facile; poi potevi uscire pochissimo. Mi ricordo che per prendere un chilo di polenta andavo a piedi fino a Turriaco, da bambina, mandavano i bambini perché gli adulti se no. Io devo dire grazie al Signore perché non mi è mai successo niente da bambina, camminavo co’ sta roba e si mangiava quei otto, dieci giorni che c’era: non è stato facile. Ci sono tante cose che in questo momento non riesco a ricordare, blocca.
PC: Lei prima mi parlava di Pippo.
SV: Sì, hai bloccato?
PC: Mmmh.
SV: Io parlo, poi ti arrangi. Allora, cosa. Sì, questo aeroplano era, veniva come un, lo sentivi già da lontano perché era forte, era potente, non so spiegarti bene, però quando arrivava lì [mimics loud aircraft noise], sentivi proprio una cosa pazzesca, però sinceramente non ricordo bene chi era, cioè, a parte che quella volta, sette, otto anni non è che vai a leggere l’aereo che cos’è, no, però veramente spaventava tutti; ma era così potente, come te l’ho già detto, che tremavano i vetri della casa veramente forte, e questo portava veramente tanto spavento nelle persone. Però una cosa posso dirla: tra noi c’era tanta comprensione, parlo di noi di gente che incontravi al rifugio, incontravi per strada quando si poteva, c’era più unione. Eh, quello che forse adesso manca.
PC: Lei mi parlava appunto nel, del rifugio…
SV: Sì.
PC: Cosa, cosa succedeva nel rifugio?
SV: Allora, si entrava da un piccolo buco, sai già, e lì eravamo giovani, vecchi, anziani, donne, donne incinte, anzi una mi, ha partorito nel rifugio con l’aiuto di tutti; c’era tanta unità, dividevi le cose anche, no, quello che portavo io, quello che portava l’altro [background noise], però stavamo lì tutto il giorno fino a notte inoltrata, veramente. No no era, c’è il male perché la guerra è male, ma c’era anche quell’unione di bene , di volersi bene, di aiutarsi, di stare assieme; ‘l spavento più grande, te lo dico, è stato veramente i, come si chiamano, i fascisti: quanta paura c’hanno messo addosso, quanta paura! Bussavano le porte, le finestre, non si sa il perché, tiravano fuori gente da casa, io come ti dico, gli urli sentivo, non ho visto personalmente, però gli urli, quelli non li dimentico mai, difatti come sto parlando mi viene un magone, perché piccola ma ricordo queste cose, e poi. Fermiamoci un momento. E così insomma, questa è la storia. Ci sono anche altre cose che forse adesso mi, non mi riaffiorano, debbo vedere qualche foto, qualcosa, non, che non ricordo bene, ma.
PC: Faccio ancora un’ultimissima domanda.
SV: Sì, fame.
PC: Riguarda questi ricordi qua: su quegli anni lì, poi con il passare degli anni, la sua, cos’è rimasto nella sua, nella sua memoria come, quello che è più legato a quegli anni lì proprio?
SV: Sinceramente, proprio sincero: quando mi ma, mi davano la cioccolata e mi mandavano a casa, [background noise] che dovevo correre subito a casa perché non succedesse qualcosa, diciamo, so che, perché se parliamo del male te l’ho già detto sono i fascisti, quello è stato proprio veramente brutto, come bene mi ricordo quello lì e soprattutto le persone, l’amore che c’era tra uno e l’altro, non lo dimenticherò mai: giovani, vecchi, bambini, grandi e piccoli, c’era un’unione perfetta, proprio cercavi il bene, no, cercavi il bene, sì.
PC: Quindi c’era una so, un senso di solidarietà all’interno.
SV: Molto forte, molto forte, sì sì. Specialmente nel rifugio perché stavi lì tutto il giorno, con tanti problemi che c’erano perché sai, un’intera giornata fino a sera nascosta lì sentivi il tremolio anche, sai quanto buttano le bombe [mimics explosions], tremava un po’ il rifugio però reggeva bene perché è stato fatto molto bene, sì. E così, questo per il momento, non mi viene. Poi ti dirò un’altra cosa che forse non, quando verso, no alla fine del, l’ultimo giorno della guera, l’ultimissimo, io avevo, lui lo sa, Geo Gastone, il fratello di mia mamma, era un, era nel, come si dice, quello d’avan, d’assalto, che andavano avanti, come si chiama, o Signore!
PC: Battaglione d’assalto.
SV: Bravo! Grazie. Battaglione d’assalto, lui era sempre in prima fila, sia per la sua caratteristica che era sempre tutto veloce nelle sue cose, finalmente si ritorna a casa , no, come tutti, e stava attraversando la piazza, da un campanile gli hanno sparato in testa, ‘na pallottola dum dum, sai cos’è no?, e lì è morto, ventotto anni. E anche quello mi ha fatto soffrire perché vedevi i miei nonni disperati, piangere. Ehhh, così la vita, no, combatti tanto poi torni a casa e l’ultimo giorno, l’ultimo momento, era questo cecchino che l’ha, sì che forse non c’entra poi vedrai tu come aggiustare, sono affari tuoi. Per il momento è così, non saprei cosa dirti.
PC: Signora io la ringrazio, è stata un’intervista bellissima.
SV: Comunque sincera eh!
PC: La ringrazio.
SV: Tutto quello che ti ho detto è verità pura.
PC: Grazie infinitamente.
SV: Sì.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Stefania Vischi
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Stefania Vischi recalls her wartime life in the Monfalcone area. Stresses how she spent long hours alone inside a shelter, frightened by explosions and tremors. Contrasts the horror of being at the receiving end of the bombing war and the strong community spirit among the population. Mentions food shortages, the threatening presence of "Pippo" and the shock of fascists round-ups. Recalls a relative who was killed the last day of war and speaks with gratitude of Allied troops who gave her chocolate, which she shared with her malnourished family.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Pietro Commisso
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Marco Dalla Bona
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:12:48 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AvischiS160806
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Turriaco
Italy--Monfalcone
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-08-06
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
bombing
childhood in wartime
fear
home front
perception of bombing war
Pippo
round-up
shelter
-
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Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Di Blas, Guido and Bolletti, Ilario
Description
An account of the resource
This collection consists of a dual oral history interview with Guido Di Blas and Ilario Bolletti who recollects their wartime experiences in Monfalcone and surrounding areas.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Bolletti, I
diBlas, G
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-08-26
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
PC: Sono Pietro Comisso e sto per intervistare Di Blas Guido e Bolletti Ilario, per l’archivio digitale dell’International Bomber Command Center. Siamo a Monfalcone, è il 26 8 2016. Grazie Ilario e Guido per aver permesso questa intervista. Prima di cominciare vorrei farle alcune domande per essere sicuro che questa intervista venga registrata come desidera. Ilario, è d’accordo che la sua intervista venga conservata presso dall’Università di Lincoln, esclusivamente per scopi non commerciali, che l’Università di Lincoln ne abbia il copyright e infine essere liberamente accessibile in qualsiasi formato per mostre, attività di ricerca, istruzione e come risorsa online?
IB: Va bene.
PC: È d’accordo che il suo nome venga pubblicamente associato all’intervista?
IB: Va bene.
PC: È d’accordo ad essere fotografato per l’Archivio Digitale dell’International Bomber Command Center?
IB: Va bene.
PC: E Guido: è d’accordo che la sua intervista venga conservata presso dall’Università di Lincoln?
GDB: Sì, sì.
PC: È d’accordo che il suo nome venga pubblicamente associato all’intervista?
GDB: Sì, sì, sì.
PC: È d’accordo ad essere fotografato?
GDB: Sì, sì.
PC: Bene, possiamo cominciare. Raccontatemi il vostro più vecchio ricordo riguardante i bombardamenti aerei su Monfalcone? Comincia chi vuole, chi preferisce.
IB: Posso parlare?
PC: Prego, prego.
IB: Io ero a vedere di Delfo, non c’ho la data, si era a, ci hanno preso con una, detti di andare a questa festa invece doveva essere un, i fascisti facevano un, sì che era Delfo ma non era solo Delfo, dovevano fare.
GDB: Manifestazione.
IB: Una manifestazione sua, e in quell’epoca è venuto un bombardamento e spessonamento, dove eravamo lì e si scappava dove si poteva e io ho preso un, un legno in testa che sono corso fin a Monfalcone da una zia che aveva una cantina e fin a lì, fin a poi passato il bombardamento, e ho saputo dopo che erano più morti, basta.
PC: Mi diceva di una bambina, mi raccontava.
IB: Sì. Ero con, su un bunker chiuso che non, non era aperto, eravamo lì e era anche un tedesco, e una bambina ferita alla testa con, che dopo ho saputo che è morta [pause] questo tedesco l’ha, è andata a prendere e portarla sotto lì, dopo no ho saputo più niente perché siamo scappati via e così è finita questa cosa qua. Cosa vuoi sapere altro?
PC: Parli pur liberamente di quello che si ricorda, qualsiasi cosa.
IB: Eh. E della guerra che, una volta per esempio i pescatori, mia nonna vendeva pesse in piassa per pre, quando era la mafia del pesse, non poteva venderlo come lo vendi oggi, e veniva spartito mezzo chilo di sardine facendo la fila in mercato, non era come oggi che puoi andar comprare la, il pane con la tessera, tutte quelle cose lì. Ecco, basta. Guido, parla ti!
GDB: Allora, mi ricordo el bombardamento di San Giuseppe nel ’44, quando abitavamo sempre lì su per Borgo San Michele, questa casa popolare con cinquantasei famiglie, io avevo nove anni e mio fratello ne aveva due anni più di me, due anni e mezzo più di me, Mario che adesso è morto, con una gamba poliomelitica, e quando abbiamo sentito tutt’un momento di scoppi tremendi e siamo usciti da casa scappando via, il cielo era illuminato coi bengala come a giorno, un spettacolo che mi è rimasto impresso che no mai dimenticherò, ma una scena apocalittica: le fiamme e i scoppi delle bombe del cantiere, una cosa, una cosa, un bambino di nove anni vede così, mio fratello; allora mia mamma, siamo scappati lungo il canale, l’argine e ‘ndavamo verso il monte verso, verso
IB: ‘Ndo che iera le grotte.
GDB: Dove c’erano le queste nostre grotte, ‘vevamo scavato un paio di grotte lì, per nascondersi; e ‘lora mio fratello e mia madre ‘Forsa Mario corri, corri’, lui non poteva, lui rimaneva dietro e noi, mia mama, ‘na cosa, ‘na cosa tremenda, lui faceva fatica a correre, no, lui aveva undici anni, e insomma siamo arrivati a lì, ma, ma questa scena apocalittica che ho visto io mi rimarà sempre nel, nel mie occhi. Ecco ‘l bombardamento, e poi mi ricordo che era venuto anche mio nono del Friuli di Terzo d’Aquileia, era venuto vedere dopo, l’indomani, anche cos’è succeso, quanti morti, e mi ricordo che siamo ‘ndati in cantiere e nel vecchio teatrino della Marcelliana, io ho sbirciato, mio nonno è andato dentro, era ancora tutte le, i morti messi lungo per terra là erano così, una scena anche da non vedere, ma ho visto dalla porta così, no, e mio nonno è andato a vedere. Ecco, questo è un ricordo brutto. Un altro ricordo è lo scoppio, lo scoppio della galleria, anche quella volta mi sembra fosse stata l’alba, perché abbiamo sentito questo tremendo scoppio, noi abitavamo, ‘vevamo la camera dietro verso la ferrovia, de questo grande caseggiato, case popolare, e io mi sono affacciato alla finestra e ho visto queste fiamme di fuoco che uscivano dalla galleria, no, ma anche di quella scena mi è rimasta una scena tremenda. Un altro [sic] immagine tremenda che mi è rimasta scolpita come, come ragazzo, non a Monfalcone, ma a Terzo d’Aquileia, ‘na stazione dove abitavano i miei nonni materni. A Terzo d’Aquileia io e mio fratello sempre andavamo là per motivi anche di, per mangiare roba non, un po’ di terra così, e avevano lungo la ferrovia da Cervignano a Belvedere, i tedeschi da Cervignano portavano dei vagoni anche, deposito di benzina qualche volta, facevano queste piccole stazioni fuori, no, da Cervignano, ecco, e mi è capitato che io e mio fratello ecco, anche in estate, l’estate del ’44, anche questo fatto qui, sono una squadriglia di caccia inglesi Spitfire, quelli che, veloci.
IB: Mitragliaven, cacciabombardieri.
GDB: Ecco e son capitati io, io, sulla ferrovia che raccoglieva, c’era un piccolo fosso dall’altra lato, tre binari, e io ero in mezzo lì, e un operaio che lavorava nella ferrovia, e son capitati questi caccia in picchiata, e io ho visto il pilota con gli occhiali, no, che venivano giù in picchiata e mitragliava e lanciava queste bombe, 500 libbre mi sembra che erano, o 1000 libbre, e una è rimasta anche inesplosa che l’ho vista, e son cadute nel campo di mio nonno, vicino lì, che ha fatto queste buche. Ecco io mi domando perché, vedere noi, due bambini lì, questi piloti inglesi accanirsi a mitragliare. Ma cosa mitragliavano? Io ho visto il pilota sa’, gli Spitfire e [makes a wooshing sound]
IB: Eh ma la guerra era guerra.
GDB: Tremendo, tremendo! [emphasis] Sono quelle scene che adesso io immagino chi va coi bambini che vedono la guerra, oggigiorno, capisco cosa vuol dire. E prima di questo era successo sempre lì, ‘na notte, il famoso Pippo, ha sentito parlare di Pippo?
IB: Sì, sì.
GDB: Il bimotore che girava.
IB: Iera qua.
GDB: Io dormivo nella camera e ha lanciato sempre sulla stazione un paio, due bombe che sono esplose, che la camera, i vetri son saltati, [emphasis] ma un spavento, un spavento impressionante, ecco. Son quelle cose che non vanno via, che son, colpiscono e ti rendono la vita, capisci ‘desso cosa vuol dire quanta fatica questi bambini per arrivare adulti quante prove che la vita ci provoca, no.
IB: Quel del treno blindato.
GDB: E poi anche a casa mia, non era a casa mia mama.
IB: Sì.
GDB: Subito verso, verso la fine de la guera.
IB: [unclear] La fine de la guera, no, i giorni prima.
GDB: No, è passato un treno blindato, sempre una ferrovia lì, dalla rotta.
IB: I gà sparà verso de noi.
GDB: Ecco, e ha mitragliato anche la nostra casa lì.
IB: Sì, sì!
GDB: Hanno forato il muro.
IB: Mi, mi un scuro caduto giù e lui ha cacciato tutto dentro e ha preso il contatore de l’acqua.
GDB: De l’acqua.
IB: E l’è esploso nell’attacco fuori [unclear].
GDB: Il treno blindato che è passato è andato via fuori da lì, no. Poi altri ricordi, dei flash, le dico solo dei flash della mia, siccome che lì dov’è l’ospedale adesso c’erano sei, otto, batterie antiaeree tedesche erano lì.
IB: Sì, lì che sé l’ospedal.
GDB: E lì, ecco, lì.
IB: Sì. I gà tirà lì quei li, lui iera via, ier ‘ndati i sfolati lori.
GDB: In Friuli, ma ogni tanto venivo giù.
IB: E invece noi siamo stati lì noi, no gavemo né parenti né niente.
GDB: E quegli anni là, quando passavano ma centinaia di aerei, i B-29, formazione che ‘ndavano a bombardare in Germania, erano alti.
IB: I gà tirà giorno e notte.
GDB: E lori tiravano queste nuvolette, [mimics anti-aircraf fire].
IB: I ultimi tempi proprio.
GDB: Cadevano giù le schegge anche là da noi lì.
IB: Iera proprio i [unclear].
GDB: Ma ecco, anche quei lì, quante fortezze volanti che son passate là, e una volta una è stata colpita.
IB: Sì, e i paracadutisti i sé cascadi qua, no i sé ‘rivadi [unclear].
GDB: Un aereo tentava di atterrare là dei partigiani.
IB: [unclear] L’ha cercà ‘ndar là dei partigiani. Invece no i ga arivai, li gà ciapadi i tedeschi e i fassisti.
GDB: I mitragliava, mitragliava.
IB: I fassisti che iera coi tedeschi, no, parché dopo.
GDB: I repubblichini.
IB: Sì, i repu, i repubblicani. E iera un prete che ga ciapà, iera anche un nero, che noi no lo gavemo mai visto un nero, no.
GDB: Ecco quei ricordi, quei ricordi, sì, de, che dopo altre c, altre cose lì, era un misto, sempre [unclear], al paese di mio nonno, sempre verso la fine dela guera, che i tedeschi prima di fuggire son passati di San Martino, no, ‘l paese di San Martino, dopo Terzo lì, e lì son stati attaccati, hanno ‘vuto un attacco, lì qualcosa, gli hanno sparato, e loro per rappresaglia hanno tirato su un, anche ragazzi de sedici anni.
IB: Era un treno blindato lì?
GDB: No no, lì li hanno presi per queste, e li hanno fatto rappresaglia e li hanno portati sul fiume, l’argine, andando a Terzo si vede ancora la lapide, e li hanno uccisi lì, ecco. E io ho visto passare, dopo, l’indomani, su un carro coperto col fieno, e li portavano verso il cimitero queste salme mon, sul carro, ecco. Vedi, quelle scene così.
IB: Sì.
GDB: Ecco. Tutto questo da bambino, da bambino, ecco. Altre cose Ilario?
IB: Ehh no so.
PC: Ho la domanda per Ilario: si ricorda un po’ com’è stato questo spettacolo del mago Delfo? Che ne ho sentito parlare, mi interessa saperlo questo.
IB: Sì, sì sì, semo ‘ndai là ma no go mio rivudo a vedere gnente, parché sé vignuo subito, semo scampadi via mi con me fradel, g’avevo un fradel più piccolo che sé morto [background noise], e semo scampadi via subito parché bombe, roba, de tut no sé stae niente.
GDB: In mezo al bombardamento.
IB: Ierimo ‘ndadi là con quela de veder, e ierimo tutti muli l’è, za dodici, tredici anni, quattordici anni, credemo che sia chissà cossa.
PC: Guido, prima me parlava de, dela galleria-rigufio; la me racconti quello che succedeva dentro la galleria-rifugio.
GDB: Ehh, tutti, tutti quei che abitavamo non la galleria grande, quelle piccole che ‘vemo noi, quelli de l’accasamento cinquantasei famiglie, che ‘raamo lì e ‘ndavamo su queste piccole.
IB: Quando che iera la guera e sonava l’allarme se scappava, sì.
GDB: E allora lì, una aveva vicina, perché un vecchio, un signore che ‘veva fatto la guerra del ’15-’18.
IB: Sì la g’emo scavada noi sotto.
GDB: Ha detto ‘Qui dev’esser una’, e c’era una grande busata sotto lì, e abbiamo, era pulita e ‘nsomma era la più vicina che era lì ‘nsomma, no, era abbastanza lunga come da qua a là, no Ilario, così lunga iera.
IB: Ehhla iera bela e granda, iera due entrate, cussì, no.
GDB: Perché sotto l’Austria, fatte sotto l’Austria quelle lì.
IB: Sì, iera dela guera del ’15-’18, lu ‘l se ga ricordà che iera sotto lì e g’amo scavà, parché lì vicin iera anche la cusìna, se ricorde che iera quel calabusata là, quando che sogaimo lì che iera.
GDB: Sì, sì, sì.
IB: Parché iera in tera.
GDB: E dopo ‘l nostro, dighe come che te faseimo risolver ‘l problema della fame, ‘ndaimo in cerca de pani.
IB: ‘Ndaimo a balini, ‘ndaimo.
GDB: Schegge, balini, su per i monti, purtroppo la nostra infanzia è vissuta in mezzo a tanti pericoli, ecco.
IB: Tanta miseria.
PC: Te me parlavi de questa foto qua che, recuperavisi le muizioni epoi ‘ndavisi a vender.
IB: Sì, sì.
PC: Conteme de questa.
IB: Ah ecco, poi, ‘pena finì la guera qua metevimo, una sotto cussì e meteimo la, la granata di là, qua [unclear] cussì, e qua la vigniva zo coi ditti neri [laugh], parché la granata che iera davanti, no, [unclear].
GDB: [unclear].
IB: Iera da drìo, no, meteva tal canon e i la tirava, no, e meteimo una cussì e la, e la ve dopo andavimo a scola e vendeimo la balistite, ghe disemo ‘Pol impisar al fogo’, invesse i feva.
GDB: Sa cosa facevo lui a Checco, coi vasi del Sidol, c’erano gli spaghetti, i famosi spaghetti là, li metteva dentro e dopo gli dava fuoco co’ la miccia e li lanciava, abbiamo inventato i missili, vai là, li lanciavo [makes whoosing sound], spettacolo, ai ai ai, sempre in pericolo lui, lui scop, dighe co’ te scoppiavi.
IB: No ma quan, no iero mi, poi ga fat lori ma mi no saveo niente, i g’aveva mes un, un tubo, carico de balistite, ma i ga sbaglià, i ga mes fulminante, no, e invece de scoppiar pian.
GDB: Metter la miccia?
IB: L’è soppià subito.
GDB: Ecco.
IB: Mi come che ‘ndavo fora ‘vevo giusto la man fora.
GDB: Ecco.
IB: Un mese de ospedal ho fatto, ma i te tignìa.
GDB: E poi cosa si faceva anche, Iaio ? Quando io ‘ndavo a pescar el pesse sul canal.
IB: Cu l’eletrico, butaimo su che sé l’alta tension, e gaveimo i fili che i tedeschi gaveva lassà.
GDB: Dei rodoli.
IB: Dei telefoni, no, telefonici, e mettemo ‘na ncorretta e tiraimo su oltre, e dopo tiraimo il filo e restava ciapà.
GDB: Sull’alta tension tra l’altro.
IB: Sì ma alta tension, e tal canal cu la voliga.
GDB: Una voliga, poi i pessi.
IB: Poi i pessi, vigniva, poi insomma, l’è restà morteggià, e ne trovo su.
GDB: E lù che ‘l me fa [unclear] [laughs].
IB: No [laughs], che mona, al sé ‘nda par cior el pesse, no, fortuna che ghe go tirà.
GDB: Ciapà ‘na scarica eletrica.
IB: No, ghe go tirà via el filo, al se ga distacà, i la gà risparmiada perché, bagnada e quela corente là, no iera a ven, a duecento.
GDB: Lungo il canale dell’ospedale lì, no, fino a Ponte Bianco, là così, tutta ‘na percorso di fili, alta tensione, e loro, un gruppo di giovani nuotavano su in alto [unclear].
IB: E una volta i tedeschi i se ha ribaltà, parché lì i muli, sa, i ‘ndav co’ sti gommoni no
[background noise]
PC: Tornando sempre al discorso della galleria-rifugio, che me disessi, voi me g’avè dito che sé stadi dentro due o tre volte durante la guerra proprio.
IB: Sì.
GDB: Quando l’era l’allarme, l’allarme.
IB: Sì.
PC: Ve ricordé cosa faseva le persone che iera dentro, proprio fisicamente dentro nella galleria?
IB: Eh i stava lì, i spettava, perché tante volte vigniva il bombardamento, tante volte no, ma l’allarme sonava e dopo sonava el cessato allarme.
GDB: L’alarme e il cessato alarme, sì sonava.
PC: Perché la domanda che mi me fasso, un momento de grande tension comunque perché no te sa se la casa.
IB: No te sa come che sé, cossa che l’è sta fora, o, quando che te sé dentro là, là te spetave.
GDB: Eh l’era un brusio de rumori, così, certa gente che fiadava, e iera eh, immagini del flash della galleria, sì mi quele quatro volte che ‘ndava, che me trovavo vissin Monfalcon ‘ndavo lì, ma se no ‘ndaimo sempre sul nostro, su le nostre piccole grotte che veimo qua, no, verso lì, ecco.
IB: Sì, se se trovave là te dove corer dove che iera, siccome che mi g’avevo la nonna che vendeva pesse in piassa sercavo de ‘ndar a ciapar un do pessi; i sé restadi anca schisadi un due.
PC: Te me racconti de questo fatto?
IB: Parché iera dei, i meteva dele trave, perciò che no posse un andar davanti dei altri, no, e la fila iera cussi’, pien de gente, no, pa’ ‘ndar a cior al pesse, e quel pesse che iera fin a col iera dava un po’ par’omo, e i ne dava fora cussì, iera l’ammasso per il pesse, no, i doveva portarlo tutti là, e dopo i ghe dava quel che ghe lo pagò, come che i ghe lo pagava, ma la gente ‘lmeno magnava.
PC: Perché lei la me ga contado anche che nella galleria-rifugio sé stada gente che se ga schisado durante un’allarme.
IB: Sì, sì, ma no iero là eh, noi staimo qua ma, dopo il gorno, quando che te sa subito, no, che i sé stai morti, par scampar dentro, iera ‘l bombardamento, parché se sé l’allarme ti va dentro pian, ma se sé bombardamento chi pol più, pianse meno, no i se, e par ‘ndar dentro sull’imbocco i se ga copà, che dev’esse’ ‘na brutta roba.
PC: Sì, sì, sì g’avemo trovado.
IB: Ma no so quanti, no me ricordo.
GDB: Dighe, dighe quando che i vigniva i tedeschi a far rastrellamento in casa mia, anche lì.
IB: I vigniva spesso perché iera tanti giovani che.
GDB: Partigiani.
IB: Tutti ‘ndadi coi partigiani, di fatti coi dovea sal, far saltar al ponte là, iera stadi i nostri de qua, del casamento lì, parché iera Renso, Santo; e una volta i sé vignui far rastrellamento e lu ‘l sé corso a casa San, Renso Bevilacqua, dopo i sé.
GDB: Tanti i ‘ndava sotto, sotto sui casamenti, sotto, te ricorditu?
IB: Sì, sotto de un casamento g’avemo,.
GDB: Fondamenta.
IB: Quando che iera rastrellamenti, quei che i era a casa, parché se no i li portava in Germania, i scampava sotto in cantina, ma iera la cantina bassa cussì.
GDB: Iera una portisela.
IB: Iera una portela e i ‘ndava dentro, e i ‘ndava in fondo là, e g’avea fat par fin a, serà che i ‘ndava anca de sora da sotto; per esempio Lino,.
GDB: Sì, sì.
IB: Lino proprio quel che sé morto lo, alla.
PC: A Ornella.
IB: Sì a Ornella, al g’avea fat sotto.
GDB: Una botola, sì.
IB: Sotto, sotto.
GDB: La casa.
IB: La casa, quando iera i rastrellamenti i ‘ndava sotto, gavav ‘l cappello.
GDB: Ecco, tutte robe.
IB: Ehh.
PC: E quindi per finire il discorso della galleria-rifugio, dopo sé stada questa famosa esplosion.
IB: Sì.
PC: Racconteme cosa che sé successo, se conosseve.
IB: Ehh i ‘ndava dentro par cior sti bossoli de otton, e i sé ‘ndadi dentro, i era dentro cu’ le candele, cun roba cussì e sé sta, sfilse, iera batterie, roba cussì, no sarìa sta quel che l’è vignù.
GDB: So che i ‘ndava, i sé’ndai più de ‘na volta dentro là.
IB: Sì.
GDB: Che i ghe ‘ndava [unclear].
IB: Ehh i g’aveva ferai, de nume, de roba, o che se ga rot qualcossa, parché nissun no sa, parché no sé sta, quei che i iera fora no ga rivà.
GDB: Perché ‘l cugin de tuo papà doveva esser responsabile.
IB: Sì, parché ‘l cugin de mio papà iera una guardia comunale, e lu no’l doveva lassa ‘ndar dentro ma, par la pecunia.
GDB: Ecco.
IB: Sé sta cussì, quei anni iera altri anni, de miserie, i g’veva fioi.
PC: E che voi ricordé anca alcuni nomi de queste persone, magari.
GDB: Due mi conossevo: quel lì de Ornella, Lino.
IB: Sì.
GDB: Che abitavimo assieme lì.
IB: E mi quel puntignì (?).
GDB: E quel Bolletti lì, che sé, sé la fìa ancora qua, che l’è infermiera [unclear].
IB: Sì, do casa qua, proprio qua da drìo.
GDB: Ecco.
IB: Una, una sorella sé morta, una sé viva, le iera tre, e quella muta.
GDB: Ecco, però, però, sì, mi no, mi no me lo ricordo quel Bolletti lì, nome lo ricordo.
IB: Ma anca mi.
GDB: [unclear] i ga lassà tutto.
IB: Sì, so moglie, sì che somo sempre, ierimo insieme. Anca quei iera vignui qua, no zera stai caquella volta?
GDB: Dopo, dopo, sì; mi, mi son de origine proprio monfalconesi, e noi, che noi staimo al baracche (?) de [unclear].
IB: Mi go i miei bisnonni tutti morti qua.
GDB: Dopo sé baracche(?) de [unclear], che iera vissin l’ospedal vecio, dove poi.
IB: ‘Pena finia la guera, ussio da me mama (?).
GDB: Dopo che sé tornadi indrìo tutti i profughi, i ha delle baracche fatte, no.
IB: Sì le baracche [unclear] staimo tutti e due.
PC: De là del canal iera?
GDB: Verso Via Buonarrotti.
PC: Mmmm.
IB: La Via Buonarrotti, là che iera l’ospedal vecio, vicin.
GDB: L’Ostaria del Placido, i carboneri iera.
IB: Sì.
GDB: Ecco, e dopo de lì, noi del ’38 semo ‘ndai a abitar.
IB: Lì.
GDB: Su sto palazzo grande ‘ga fatto in memoria del Duce. Mi no go conossuo mio nonno paterno, mio nonno paterno iera Capo della Finanza sotto l’Austria, Giuseppe se ciamava.
IB: E invesse.
GDB:... e iera, i ga dito, i ‘veva le caserme [unclear], però i zera pochi finanzieri, pochi finanzieri, e chi [unclear].
IB: E invece mi.
GDB: La giurisdizione le stada fin a Pieris di Turiacco.
IB: Me bisnonno Facchinetti, no, al iera a caccia con Francesco Giuseppe.
GDB: Ecco.
IB: Parché lori i stava a in Sdobba.
GDB: Ah ecco.
IB: I stava a Grado, i Facchinetti i è de Grado, me nonna iera Facchinetti, e la me contava de so papà mia nonna.
GDB: E mi,e so bepi sul, ‘l beche pescador là ‘l me contava de mio nono, che mi no l’ho conssuo mio nonno, iera in Afghanistan, no.
IB: Sì, sì, ma anca mi quel.
GDB: Alora ‘l passava.
IB: To nono me contava me papà.
GDB: Lungo el canal Valentinis, che era gente che la ‘ndava a pescar o tognar là, e lui ghe diseva ‘No, no se pol star qua, dové ‘ndar lavorar’, perché iera tante fabbrichette a Monfalcon, e i ‘ndava là, ‘ndava a lavo, lavorar, i li mandava a lavorar sotto l’Austria.
IB: So nono ‘l iera de Grado, fin a Duin ‘l g’era.
GDB: Sì, sì, ‘veva un bel.
IB: Tocco de, de vardar insomma.
GDB: E dopo se.
IB: In quei anni, ma era prima dela guera.
GDB: E dopo mi g’vevo dei zii, che no go cono, qualchidun zia no go conossù, e l’era anca [unclear]
IB: Sì, ma to bisnona la iera lì cun ti.
GDB: Le cose che mi ricordo di mia nona, che mi con mia nona, nel ’42, quei anni lì, andaimo, ela no la podeva caminar, ‘ndaimo co’ la carrozza ongi mese a cior la pension de l’Austria in Banca d’Italia, se ‘ndava, quei anni lì; e perché poi mandava ben l’Austria, pagava ben i suoi ex, no.
PC: Mi g’avesse ancora una domanda per lei, Guido, [background noise] come la se sente a esser stado bersaglio de qualchidun?
GDB: Scioccante, sé un trauma che l’è dificile cancelar, perché sé, sé robe, par impossibile che certa gente ga de accanirse magari anche contro dei putei giovani cussì, perché iera una, una stazion così de, de, che fossì sta in piena guera, ma mitragliar, i te vedi sti piloti che i te mitraglia co’ sti, sti.
IB: Ehh iera guera.
GDB: Ma, ma, ma, chi, chi chi.
IB: Lori no i saveva cos’ che iera.
GDB: Eh va ben, ma veder sti piloti co’ sti ociai cussì, che i vignìa zo in picchiata, e queste bocche ‘ tututututu’, e sganciava le bombe lì. Mio nono, che ha fatto un otto, dieci buse perché confinava con la ferrovia, no.
IB: Ma te vedi anche ‘desso.
GDB: Mio nono, co’ la carriola, da solo, i le ga stropade, sa?, mio nono, pian pian, pian pian, pian pian, col badil, sa?, cola pala, ecco, la grande costanza.
IB: Sì ma anca quel sarà [inclear] stropà tut.
GDB: No, no iera le ruspe quel’anno, col tut va a ciapr su che iera, ste bombe, buse de, mi me ricordo, go vue ‘nche, ecco. E i miei nonni quando che s’era in fin i ga dito che, semo rivai casa, che semo toradi de ritorno.
IB: Te sa cos’ che iera.
GDB: I pensava che ierimo tut morti, completamente morti, perché tut quel disastro che iera.
IB: Noi qua a Monfalcon anca semo vissudi un poco rubando il sal alla Solvay, o sui cari, o sui treni, che se saltava sui treni a cior carbon quando che i se fermava qua al semafero, se butava zo carbon o, se iera quei de sal, se ‘ndava su coi sacchetti, se impiniva de sal e dopo te lo vendevi, te ‘ndavi a ciapar pa’ roba, par ciò che i te dai la farina, ai contadini, qua a Monfalcon no iera niente, alora se ‘ndava in Friul, là, cul sal e te vivevi cussì, no.
GDB: Vigniva le navi de sal al porto, e rimaneva sula banchina tanto sal, e i ‘ndeva.
IB: Sì, ma anche, ma noi ‘ndeimo anca de note, de note cu’ me nono, te ghe davi ai fassisti, te ghe davi un do lire,i te lassava ‘ndar dentro, te ‘ndavi in scogliera, te impinivi un sac e te portava un, do, tre sacchi e dopo te li mettea, noi g’eimo i casoni, no, al porto qua, a Porto Rosegai.
GDB: In Friuli ifa bisogno del sal, per copar i maiali.
IB: Sì eh, lori par copar i porchi, una roba o l’altra voleva ‘l sal, iera come l’oro ‘l sal, e lori no i dava roba de magnar.
GDB: Ecco, ora contando ste robe qua, attualmente, anche mi go i nipoti, ne go un de unidici anni, un de sei, ma no ghe interessa niente, no sé più una volta ‘lora disea ‘Fin che quando i noni non raccontano, no, e i giovani non ascoltano.
IB: Cossa seo [unclear].
GDB: Termina tutta la storia, no’, per questo son triste mi anche, vedo mi ormai go quela età che go, no go nessuna ambission de viver, sa? Dopo go anche un fìo disabile che, povero, che ‘l ga cinquantaquatro anni, sa, tanti anni ad accudirlo e a farghe tutto.
IB: Finimo?
GDB: Sì, ‘peta ‘desso che te concludo ‘l mio percorso, Dio, son rivà a questa età qua, che no go nissuna più prospettiva, neanche speranza in un futuro migliore perché vedo che ‘l mondo va, sta andando a rotoli, sa, no sé nissun, nissun, sé ingestibile ‘l mondo ormai, per questo, ecco. E mi ringrazio ‘l signor Pietro Comisso.
PC: Mi ve ringrazio a voi.
GDB: Sì.
PC: Che sé stada una intervista meravigliosa.
GDB: No.
PC: Mi ve ringrazio per la testimonianza e per le tante robe che me g’avé.
GDB: Dei piccoli aneddoti flash, ecco, della vita nostra.
PC: Ve ringrazio infinitamente.
IB: Ti tira fora quel, quel che te par ben.
GDB: Ecco.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Guido Di Blas and Ilario Bolletti
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Projectiles, Aerial
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Pietro Commisso
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-08-26
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Marco Dalla Bona
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:29:08 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Monfalcone
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ABollettiI-diBlasG160826
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Description
An account of the resource
Guido Di Blas and Ilario Bolletti recount wartime memories associated with the town of Monfalcone and the surrounding area. Describes a severe night of bombing stressing the ominous sight of target indicators and loud explosions; recalls the massive loss of life when local children who were gathered to watch a magician's show, found themselves under attack. Recounts the appalling sight of many corpses placed in improvised morgues. Describes local shelters, some being modified First World War structures. Recollects a bomber being shot down and the stir caused by the sight of a black airman; remembers the strafing of a railway station when the aircraft was so close he could clearly see the pilot. Mentions various wartime stories: conscription dodgers trying to escape roundups, reprisals, the ominous presence of "Pippo", and a German armoured train opening fire. Recollects how people tried to get by and circumvent rationing: electrical supply by tapping overhead power lines, pilfering supplies from goods trains, bribing Fascist officers to make them turn a blind eye, trading stolen salt for flour. Describes post-war hardships when they salvaged shell cases and metal splinters for their scrap value, and mentions improvised pyrotechnic devices made with explosives taken from live ammunition. Recalls people injured or killed by improper handling of live shells. Reflects on the legitimacy of attacking non-military targets and the feeling of hopelessness this created. In the photograph, Guido Di Blas is on the left and Ilario Bolletti is on the right.
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
bombing
childhood in wartime
fear
home front
perception of bombing war
Pippo
Resistance
round-up
shelter
strafing
target indicator
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/55/452/ACosoloGS160826.1.jpg
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https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/55/452/ACosoloGS160826.3.mp3
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Title
A name given to the resource
Cosolo, Gualtiero Silvio
Gualtiero Silvio Cosolo
G S Cosolo
Description
An account of the resource
One oral history interview with Gualtiero Silvio Cosolo who recollects his wartime experiences in Monfalcone and in the surrounding areas.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Cosolo, GS
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
PC: Sono Pietro Comisso e sto per intervistare Gualtiero Silvio Cosolo per l’archivio dell’International Bomber Command Centre. Siamo a Turriaco, Gorizia, è il 26 08 2016. Grazie Silvio per aver permesso questa intervista. Prima di cominciare, vorrei farle alcune domande per essere sicuro che questa intervista venga registrata come desidera. È d’accordo che la sua intervista venga conservata presso l’Università di Lincoln, esclusivamente per scopi non commerciali, che l’università di Lincoln ne abbia il copyright e infine essere liberamente accessibile in qualsiasi formato per mostra, attività di ricerca, istruzione, come risorsa online?
GSC: Sì, vi do il consenso, molto volentieri.
PC: È d’accordo che il suo nome venga pubblicamente associato all’intervista?
GSC: Non ho nessuna contrarietà.
PC: È d’accordo di essere fotografato per l’archivio digitale dell’International Bomber Command Centre?
GSC: Sì, anche se non vengo bene perché ho le rughe ma a ottantaquattro anni non posso pretendere di più. E vorrei, se possibile, che mi faccia una bella fotografia.
PC: Grazie Silvio, possiamo cominciare. Allora, Silvio, mi dica qual’è il suo più vecchio ricordo a riguardo dei bombardamenti aerei della Seconda Guerra Mondiale.
GSC: Eh, questo qua è veramente un fatto singolare perché la prima esperienza che ho avuto, adesso io ho letto in qua e in là so che il bombardamento è stato effettuato il 17 marzo o giù di lì insomma del 1944 tra, il primo. Io mi son trovato proprio al centro di questo fatto perché frequentavo la scuola Ceriani, l’avviamento Ceriani di Monfalcone e quando è cominciato il, i bombardamenti naturalmente veniva suonata la sirena d’allarme e noi scappavamo tutti quanti perché ogni mattina succedeva questo, che passavano gli aerei che andavano a bombardare e suonava la sirena e noi scappavamo via con tutti i mezzi che avevamo. E non conoscendo la città di Monfalcone io distrattamente ho, credevo di far bene scappare verso la chiesa, verso il cantiere, così.
PC: Chiesa di Sant’Ambrogio?
GSC: No. Oh, perbacco. Verso l’Hannibal per esempio. La chiesa che finisce…
PC: Marcelliana.
GSC: Marcelliana, che era una chiesa dove si andava a fare le rogazioni cioè andavamo in processione da Turriaco a piedi naturalmente per le stradine per ogni anno si faceva questo voto. Io con la mia bicicletta mi trovai proprio nel momento che bombardavano il cantiere. E, o lo spostamento d’aria o la mia volontà di sopravvivenza, sono caduto nel fosso che era attorno il cimitero di Monfalcone ormai dismesso adesso e addirittura quando hanno cominciato mi cascava qualche pezzo di terra, qualcosa e sono stato testimone, mio malgrado, dei primi morti che hanno portato lì alla Marcelliana. Che l’impressione mi è durata per tantissimi anni, a veder questa carneficina, questi operai che venivano a brandelli, insomma è stato una, credo sia stato il più tremendo dei bombardamenti che aveva subìto e vedere tutto questo sangue, tutto questo, questi pezzi di, mi ha fatto almeno per dieci, quindici anni, ho avuto sempre questa impressione. E io mi son trovato proprio in questo frangente. Fortunatamente mi sono limitato a darmi una spolverata però ho visto quello che un ragazzo di dodici anni non avrebbe mai dovuto assistere. Ecco questa qua è stata la mia prima esperienza dopodichè non mi ricordo quanti altre volte hanno bombardato il cantiere, ma insomma a me era sufficiente aver assistito la prima volta. Questo è quanto. Le interessava di sapere qualcosa altro?
PC: Riguardo ai bombardamenti, quando avvenivano lei andava in rifugio antiaereo? Aveva un luogo preciso dove andava a rifugiarsi?
GSC: Allora questo qua anche che qualche tempo fa ho cercato di andare sul posto dov’era l’entrata della galleria, cioè l’uscita nella galleria che partiva dalla Piazza della Repubblica o come si chiama di fianco alla farmacia. C’era questo buco, questo bucone che non ho mai saputo per quale motivo era stata costruita, se durante la prima guerra mondiale o per la seconda. So che dopo questo bombardamento noi, specialmente delle scuole, correvamo sempre a rifugiarci dentro con biciclette tutto quanto dentro a questo. E mi ricordo questo posto che le prime volte mi faceva impressione perche c’era una farmacia dentro o qualche pronto soccorso poi c’era qualcosa che per dissetare quelli che avevano, no, niente di speciale. Ma adesso che rivivo in pratica questi momenti avrei piacere di visitarla a fondo perché mi è stato promesso. Quando ho fatto la mostra lì alla mutuo soccorso, c’era un responsabile, tra l’altro sarà anche suo amico perche s’interessava anche di reperti raccolti nella galleria, no, e mi aveva promesso che quando sarà mi inviterà a vedere e mi farebbe molto, molto piacere. Comunque eh quello che mi viene in mente quando mi prendevo questi appunti, potrei dare un suggerimento, se fosse necessario, a sollecitare chi di dovere cioè le autorità. Perché non valorizzare questo reperto storico per creare una galleria vera e propria. Potrebbe essere una galleria d’arte, si potrebbe trasformare in altre attività perché il posto anche sicuramente, anche se non è tanto accogliente però si può fare. Io, nel mio libro se posso parlare di questo, addirittura sfrutto le gallerie del Klondike, dell’Alaska e Siberia per, perché stanno realizzando un progetto della costruzione di una città che puo’ ospitare novecentomila, un milione di persone per sopravvivere alla futura e prossima fine del mondo. E se lo fanno loro e lo spiego anche perché usufruendo di qualche condotto che proviene del nucleo della Terra che ha seimila metri, un ingegnere italiano ha scoperto la maniera di usufruire di questa energia per creare l’acqua, l’aria e tutto ciò che occorre per fare, per dare la sopravvivenza a questo popolo. È un progetto futuribile naturalmente e naturalmente come tutte le novità, come tutte le cose anormali, sarà messo in forte discussione, sarà contraddetto magari, che non si può così non si può colà. Io nel, in questo libro spiego tutte queste cose e può darsi che mi diano anche del pazzo.
PC: Una domanda mi veniva in mente. Lei praticamente era un ragazzino esposto a questa esperienza drammatica dei bombardamenti aerei. Nel tunnel, visto che mi raccontava che c’andavate con tutti gli altri ragazzini della scuola, cosa facevate mentre eravate lì dentro?
GSC: Eh, sicuramente quella volta non si diceva casino, perché era una parola troppo grossa, però cagnara sì. Facevamo cagnara perché per noi dato che… Forse sono stato l’unico a avere un’esperienza diretta del primo bombardamento, li altri ridevano, la raccontavano, spintoni. Noi, specialmente i bisiacchi, che provenivano dai paesi della Bisiacaria, Turriaco, Pieris, San Canzian, non eravamo ben accolti dai monfalconesi, che erano, i monfalconesi erano sempre ben vestiti, fighetti, e quando che arrivava i bisiacchi, noi eravamo [background noise] o le papuze o i socui se posso dirlo e come vivavamo a casa così portavamo avanti il dialetto che avevamo imparato dai nostri anziani, dai nonni. E quando arrivavamo in classe, ‘oh, xe rivà, ga dit, ga ciot, ga fat,’ come che parlavasi quella volta. E c’era questo contrasto e i ne cioleva un pochetin pel fioco proprio perché parlavisi il bisiacco. Adesso magari tutti quanti vorrebbero essere bisiacchi, tutti quanti vogliono avere la radice bisiacca come fosse un marchio di fabbrica. E invece io sono testimone del contrario, che invece c’era un certo disprezzo come una razza inferiore ecco i bisiacchi. Non parlo di più perche’ ho tantissimi amici di Monfalcone, eh, con cui ho avuto e ho rapporti amichevoli e così, non voglio tradire questa mia amicizia, questa ammirazione che ho per loro.
PC: Dunque lei mi parla della gente di Monfalcone. Le persone di Monfalcone invece? Voi eravate ragazzini ma gli abitanti civili, le donne, gli uomini che erano rifugiati lì dentro invece cosa facevano nelle ore di attesa?
GSC: Diciamo che tutti quanti erano preoccupati, contrariamente a come si comportavano i ragazzi. Perché avevano della gente forse esposta, paura dei bombardamenti, specialmente quelli che lavoravano, era il 90% che lavorava in cantiere e naturalmente i genitori, i vecchi genitori erano preoccupati di altri bombardamenti, altre cose, perché anche la via romana, mi sembra è stato bombardato e mi ricordo la salita, della salita per andare alla stazione, sempre mi ricordo di un palazzo che è stato bombardato e c’erano stati anche dei morti. Eh, si volevo aggiungere una cosa, mi son dimenticato prima che noi ragazzi per frequentare la scuola dovevamo, se c’erano i bombardamenti o le, scappavamo via quando erano le sirene d’allarme dovevamo frequentare per recuperare le ore che perdevamo alla mattina, dovevamo tornare e il pomeriggio. Allora in questi casi qua dovevamo preparare il vasetto della pasta, della minestra da casa, e dove si fa sulla strada, no. Allora attraversavamo la galleria, andavamo su per il colle della Rocca, su due tre pietre facevamo un po’ di fuoco e mettevamo il vasetto della minestra per scaldare e approfittando di quella oretta che ci rimaneva al riparo delle pietre, di qualche pietra, di qualche coso, si ripassava le lezioni. Faccio per non è per un vanto però per far sapere ai nostri ragazzi che si lamentano sempre, e perche la, e la corriera e l’autobus e tutte queste cose qua, invece noi dovevamo adattarci a questo, a questo genere di cose per la sopravvivenza naturalmente e la scuola ne soffriva perché quello che io ho imparato è forse zero rispetto a quello che ho imparato dopo da solo con la mia volontà, leggere e frequentare corsi e tutto quanto, beh per recuperare quello che non avevo imparato a scuola. Naturalmente erano i tempi che erano. Perché quando ci portavamo a Monfalcone con il carro bestiame, coi operai andavamo fino al cantiere, dal cantiere a piedi fino a scuola. E dopo si finiva a mezzogiorno e dovevamo tornare a casa nei vari paesi a piedi e dov’era eh lungo la ferrovia, lungo la ferrovia e per venire a casa da Monfalcone ci volevano due ore almeno. E figurarsi in strada noi giocavamo anche perché i ragazzi malgrado tutte le condizioni avverse, rimangono sempre ragazzi con voglia di divertirsi e di scherzare.
PC: Quindi lei mi diceva, ma mi faccia capire bene, com’era effettivamente viaggiare con il pericolo di, che ci possa essere sempre un attacco aereo, lo spostarsi in quegli anni lì? C’era tensione, c’era paura? C’erano degli ovvi disagi?
GSC: Il disagio era proprio costituito dal fatto che bisognava tornare a casa a piedi e non era sempre tanto piacevole, specialmente d’inverno o con la pioggia, con tutti i tempi. Una cosa che invece era faticoso perché anche viaggiare sa, anche un treno anche se era merci ma in dieci minuti, un quarto d’ora arrivavamo a Monfalcone e non erano grandi viaggi, dove che, sì, poteva, poteva esserci questi fatti di bombardamenti. Ci si sbrigava subito. Quello che era invece più faticoso era andare con la bicicletta che siccome che mancavano le gomme, i copertoni delle biciclette, avevamo delle, dei tubi del vino, le canne da vino a mo’ di copertoni. Per cui era come le biciclette di Enrico Toti, non so se ha idea di, e la fatica era tantissima, specialmente in febbraio quando c’era il vento che durava un mese anche e noi andavamo sul crocevia di Begliano a aspettare la fila degli operai che si recavano al cantiere, e per attaccarsi alla coda perché davanti c’era sempre il più muscoloso che portava avanti la fila, come si vede adesso anche nelle gare ciclistiche c’è sempre uno che si alterna, che tira la coda. Noi facevamo lo stesso là però tutto ciò la fatica era enorme perché per ragazzi di undici, dodici anni, sa, maneggiare queste biciclette era un po’ difficile. Ma pericoli, pericoli, no, però s’incontravano delle scene naturalmente crude, nel senso che una volta proprio sul crocevia di Begliano c’era un rallentamento anche nella fila degli operai perché sulla strada erano quattro morti, quattro partigiani morti, che li avevano uccisi a mitraglia, a mitragliate, i repubblichini e li avevano lasciati lì. Mi ricordo tutti questi cadaveri, tutto l’asfalto pieno di sangue e anche quello è stato un fatto doloroso. Questi qua erano partigiani che li avevano imprigionati prima alle prigioni di Pieris e poi durante la notte li hanno liberati però c’era qualcuno che li aspettava per fucilarli. Questo qua è stato forse la cosa più brutta che mi è successo. E poi si vedevano delle camionette bruciate perché i partigiani quella volta erano molto attivi e non è che attaccavano le caserme però facevano azione di disturbo, come mettere qualche, far saltare obiettivi che erano importanti per i tedeschi e infatti sono delle cose che succedevano molto di frequente fino alla grande battaglia di Gorizia che è stato così, se posso raccontare?
PC: Mammamia!
GSC: L’8 settembre del ’43 mio padre che era in cantiere è stato avvertito insieme a altri compagni, sono riusciti a scappare dal retro del cantiere perché li hanno avvertiti che fuori c’erano dei camion che caricavano tutti gli operai che uscivano dal cantiere per portarli in Germania, così com’erano, in tuta o con abiti da lavoro e mio padre con altri sette, otto, sono riusciti a scappare e sono arrivati fino a Selz con la bicicletta e poi sono andati su in montagna, sono andati verso i paesi della Slovenia, della Yugoslavia quella volta, però Opacchiasella, mi raccontava questi particolari mio padre. Sai, tutti quei paesini lì e lì hanno combattuto ma non battaglie di grosse perché loro facevano azione di disturbo, nelle stazioni disturbavano i telefoni e le linee, azione più che altro di disturbo. E quando si preannunciava la grande offensiva dei tedeschi, tutta la gente dei nostri paesi era preoccupata perché si sentivano i rumori dei carri armati, di tutte le armi, cannoni, tutti quanti, si sentiva per tutta la notte che andavano sù. Risultato che seimila tedeschi armati fino ai denti si portavano verso le montagne per scatenare l’offensiva contro questi partigiani, che non erano tanti ma però davano disturbo. E c’è stato un fatto che mi ha addolorato e cioè mia madre che piangeva tutto il giorno perché si rendeva conto della gravità della situazione. Fortunatamente i capi dei partigiani, quella volta di buon senso, hanno avvertito tutti i capi famiglia, gli uomini che avevano famiglie e figli, li mandavano a casa, e difatti una sera e cioè la vigilia proprio della grande battaglia mio padre è venuto a casa e starei qua delle ore per raccontare quello che era successo ma naturalmente si può immaginare in che stato si trovava quest’uomo, in quali condizioni, magro, con la barba lunga, pieno di pidocchi, vestiti alla meglio come si poteva, con scarpe piene di paglia per poterli indossare. E dopo naturalmente viveva in, da clandestino e a casa mia avevano trovato saltuariamente un posto dove riunire il gruppo di partigiani cioè quelli che operavano per reperire viveri, armi e tutto quanto per mandare su. Per cui erano cinque o sei persone che si riunivano a volte in una casa una volta in un’altra e la mia casa che si trovava su questa strada, la via principale, e mi mandavano a stare dentro e avvertire se venivano, se passavano camion di tedeschi perché quasi ogni giorno c’era il rastrellamento, arrivavano due o tre camion in piazza, saltavano giù i tedeschi e i repubblichini coi mitra spianati e facevano ognuno una via e prendevano sempre qualcuno perché qua erano quasi tutti i ragazzi partigiani. E io facevo da vendetta. Non sapevo l’importanza però oggi mi rendo conto che anch’io ho contribuito in qualche maniera perché mi davano dei bigliettini da portare a Tizio, Caio, Sempronio, che erano partigiani che facenti parte del Comitato di Liberazione e mi rendo conto che anch’io ho portato il mio granellino sul mucchio della libertà e sono fiero di aver partecipato. Quello che si fa è naturalmente a fin di bene.
PC: Volevo farle ancora una domanda per ritornare alla guerra aerea. Lei mi ha raccontato di questa esperienza terribile di vedere queste scene dei, gli operai del cantiere smembrati, portati. Cosa pensa, adesso dopo tutti questi anni, dei bombardamenti aerei? Cosa le è rimasto? Prova un senso di rabbia o di, per chi li provocava o magari ha capito quello che poteva essere lo scopo di quegli atti anche così violenti e brutali come potevano essere i bombardamenti aerei?
GSC: [sigh] Naturalmente la guerra è una cosa che non porta sicuramente dei benefici. Cioè forse sbaglio. I benefici ce li hanno chi costruisce le bombe, chi costruisce le armi, è un business, e quando le guerre non ci sono, le inventano, perché proprio è un business. In fatto di paura naturalmente nel nostro paese qua esistevano, esistono ancora ma sono inglobate nelle case che sono state costruite dopo, delle trincee, delle grandi trincee che erano state costruite durante la guerra del ’15-’18 e avevano degli stanzoni grandi dove qualcuno s’era [pause] aveva creduto opportuno per salvare i bambini dai bombardamenti, di farli dormire in queste trincee e noi avevamo qua vicino al campo sportivo una trincea che si prestava benissimo per cui stavano 25, 30 bambini, in qualche maniera, e noi bambini e i vecchi andavamo ogni sera lì a dormire in questa, in questi stanzoni. Proprio la preoccupazione era di Pippo si chiamava, noi l’avevamo battezzato Pippo, che era un aereo da bombardamento che passava su tutti i paesi, ma girava proprio tutta la notte e dove vedeva delle luci buttava giù i spezzoni, naturalmente qua a Begliano nelle casette avevano buttato e era morta una ragazza di diciotto anni e quello ci ha fatto tanta impressione. Proprio da lì era scaturita questa idea di farci dormire nelle trincee, perché anche durante la notte era pericolo, gli operai che andavano o che venivano a casa avevano i fanali coperti da un pezzo di carta di giornale con un buchino giusto che passava un lumicino di luce per poter, e anche queste qua, questi fatti naturalmente comportava dei pericoli, perché io non so come riuscivano a individuare delle piccole luci da mille metri non so appunto, viaggiava questo apparecchio, questo Pippo. E però faceva paura, guai aprire la finestra, guai aprire la porta, guai fuori perché c’era sempre questo star sul chi va là delle bombe. Altri fatti, non so, da menzionare, così come, non so, l’uccisione per esempio, ma quello forse è un’altra cosa. Avevano ucciso per vendette perché non lo voglio dire perché potrebbe essere interpretato nella maniera sbagliata, però succedeva anche nei paesi. Per esempio, questo lo posso dire, un certo Walter, che era una spia dei nazisti, dei repubblichini che erano quelli dell’esercito del duce dopo l’8 settembre. Quello è stato ucciso in ospedale, cioè gli hanno sparato in ospedale e visto che non era ancora morto l’hanno ucciso, sono andati là i partigiani e l’hanno ucciso e mi sembra di ricordare che hanno ucciso anche sua madre che lo assisteva. Walter, Walter si chiamava. È una cosa che ti faceva non piacere ma era come un senso di giustizia dato che questo Walter, questo famigerato Walter era uno spione e tutti quanti applaudirono a questo fatto perché era come Zorro che difendeva i più deboli e per noi era stato un fatto molto grave.
PC: D’accordo. Silvio, la ringrazio infinitamente, se ha qualche altro.
GSC: Forse ho chiacchierato più del.
PC: No, ma va molto bene. Io la ringrazio della, dell’intervista e grazie di nuovo, anche a nome della Lincoln.
GSC: Non è facile naturalmente, parlare, descrivere con, perché se uno legge qualcosa di preparato è difficile io ritengo.
PC: Andava benissimo.
GSP: Ritengo.
PC: Andava benissimo.
GSC: Io ho questo, ma forse non interessa. Io ho cominciato avere i ricordi della mia vita quando avevo due anni e mezzo. Qua ho cominciato con i primi ricordi, e sono andato avanti descrivendo un po’ quello che succedeva nei paesi, quello che succedeva nella mia famiglia, sono anche storie personali, ma posso tranquillamente vantarmi perché non c’è qualcosa di offensivo per nessuno. Sono arrivato fino al, non è la conclusione perché qua ho messo continua però sono arrivato fino al ’45, concludendo che la guerra aveva provocato 40 milioni di morti. Se lei ha.
PC: Con molto piacere, con molto piacere.
GSC: Un quarto d’ora, venti minuti.
PC: Sicuramente.
GSC: Da leggere.
PC: La ringrazio infinitamente.
GSC: Puo darsi che trovi qualche spunto per continuare il suo lavoro.
PC: Grazie mille.
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Interview with Gualtiero Silvio Cosolo
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The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
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Gualtiero Silvio Cosolo recalls attending the Ceriani vocational school in Monfalcone, at this time the air raid siren went off every day and the children would run to the nearest shelter. Describes the 7 March 1944 bombing and the gruesome sight of dead shipyard workers, an event which scared him for years to come. Remembers the sense of oppression when he first went to a public shelter. Contrasted the behaviour of boys laughing out loudly and messing around, and the composure of adults who looked worried and thoughtful. Recalls the rivalries among boys from different towns and neighbourhoods and describes the blackout precautions of the dockyard workers. Recounts memories of his dad and friends who evaded roundup and managed to escape to Slovenia and later took part in the Battle of Gorizia, a series of actions between Germans and partisans. Recounted acting as a lookout when partisans used his home as a meeting place.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Pietro Commisso
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-08-26
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:34:54 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ACosoloGS160826
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Monfalcone
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1944-03-07
1943-09-08
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
bombing
childhood in wartime
civil defence
home front
Pippo
Resistance
round-up
shelter
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/51/403/ARapozziF-MG161019.1.mp3
7e45776083afba080a859f7ab3d5e18c
Dublin Core
The Dublin Core metadata element set is common to all Omeka records, including items, files, and collections. For more information see, http://dublincore.org/documents/dces/.
Title
A name given to the resource
Rapozzi, Francesco and Maria Gigliola
Francesco and Maria Gigliola Rapozzi
F and M G Rapozzi
Description
An account of the resource
One oral history interview with Francesco and Maria Gigliola Rapozzi who recollects their wartime experiences in Monfalcone and surrounding areas.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Rapozzi, F-MG
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-10-19
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
PC: Sono Pietro Commisso e sto per intervistare Rapozzi Francesco e Rapozzi Maria Gigliola. Siamo a Monfalcone, è il 19 ottobre 2016. Grazie Francesco e Maria Gigliola per aver permesso questa intervista. Sono inoltre presenti all’intervista Gianmaria Bugato. La sua intervista registrata diventerà parte dell’archivio digitale dell’International Bomber Command Centre, gestito dall’Università di Lincoln e finanziato dall’Heritage Lottery Fund. Prima di cominciare, la prego di rispondere alle seguenti domande, in modo da essere certi che questa intervista venga registrata secondo i suoi desideri nonché in accordo con le condizioni poste dai nostri finanziatori. È d’accordo che la sua intervista sia conservata in perpetuo come documento liberamente accessibile al pubblico da usarsi per mostre, attività di ricerca, istruzione, nonché come risorsa online?
FR: D’accordo.
MGR: D’accordo.
PC: Sia resa possibile, sia resa disponibile al pubblico mediante una licenza Creative Commons attribuzione non commerciale, indicata come CC-BY-NC il che significa che non potrà essere usata a scopi commerciali?
FR: Sempre d’accordo.
MGR: Sì.
PC: Sia attribuita a lei?
FR: Sì.
MGR: Sì.
PC: Acconsente a concedere all’università il copyright del suo contributo per l’impiego sotto qualsiasi forma ed è consapevole che ciò non preclude il suo diritto morale ad essere identificato come esecutore ai sensi del copyright, design and patents act del 1988?
FR: Non coscrisco la domanda ma sono d’accordo.
MGR: [laughs] Anch’io.
PC: Acconsente di essere fotografato per il Bomber Command Digital Archive?
FR: Grazie, no.
MGR: No, no, che no I se spaventi [laughs].
PC: Grazie possiamo cominciare. Allora, se vi parlo dei bombardamenti aerei di Monfalcone, qual è il ricordo che vi suscita questa domanda?
FR: La fotografia più importante?
PC: Il primo, il primo ricordo.
FR: Mmh. Dunque, noi abitavamo dentro l’attuale recinto del cantiere, mio padre era medico di fabbrica eccetera, ci siamo spostati prima dei bombardamenti, e la casa in cui abitavamo, una gran, c’erano tre palazzi praticamente, il secondo era il nostro, in frazione del palazzo, è saltato, quindi noi non abbiamo perso assolutamente niente, ci siamo trasferiti più distanti, vicino all’albergo impiegati. Una delle fotografie de tre che mi restano e che è il primo bombardamento, [pause] noi abitavamo a cento metri dal, dall’anticrollo dell’albergo praticamente: sentito l’allarme, alzati, rappezzati eccetera, siamo andati nel, nell’anticrollo; le due femmine, mia madre e la Lilli sono passate, io e mio padre eravamo più indietro e siamo passati attraverso la vetrata dell’albergo che saltava. Quindi l’unico ricordo importante, diciamo, è questo. Quindi, poi, niente, dopo successi, non c’erano rifugi ancora praticamente, dopo avevano fatto quei rifugi a cupola, no, quello in cui andavamo noi era davanti al vecchio cimitero, e in un bombardamento x poi sono arrivati tanti feriti dentro, ecco, e io ero ragazzino, queste cose le ricordi. Questo, terza fotografia, dopo un bombardamento, siamo andati in valle, viale San Marco a vedere [laughs], curiosi, e c’era, avevano colpito il cantiere ovvi, era quello lo scopo chiaramente, e c’erano delle fiamme enormi coi gabbiani che vol, che giravano, no, sono quelle cose che ti restano fotografate, e qui finisce praticamente [laughs].
MGR: A proposito delle fiamme.
FR: [unclear], no.
MGR: No, no, decisamente no.
FR: Mi e mio padre sicuramente sì.
MGR: Sì, ma, mio ricordo che i tedeschi prima di andar via avevano bruciato tutte le o navi, o che avevano in porto.
FR: Motozattere.
MGR: E siamo andati su in terrazza, su, a vedere, e le fiamme che ricordo io sono.
FR: Ecco, Via Bolo, Via Bologna dove abitavamo dopo, sì, vicino all’albergo impiegati, aveva una terrazza in alto, ecco, sì ma non c’entrano i bombardamenti, e io da su ho visto nel, penso sia stato il 1° maggio, comunque il 30 aprile, un treno che andava verso Gorizia e che veniva bombardato dai mortai probabilmente, no, e si è fermato, quindi i tedeschi che andavano via si sono fermati, basta.
MGR: Noi poi siamo.
FR: Ma non c’entra niente coi bombardamenti questo chiaramente.
MGR: No no, ma noi siamo ‘ndati sfollati all’Isola Morosini fino.
FR: [unclear].
MGR: Fino al 1943. L’8 settembre, guerra finita [laughs], torniamo a casa; torniamo a casa e sul ponte di Pieri c’è stato quell’episodio che eravamo noi col carro che faceva un rumore terribile perché c’eran quei san pietrini, soli, è venuto questo aereo così, l’han colpito, io ho visto, lui non ha visto, e i paracadutisti che si son buttati e l’aereo che è cascato nell’Isonzo, che era quasi asciutto; quando siamo arrivati in fondo i tedeschi hanno preso me [ghigno], ‘l carro, e c’hanno messo nella casetta da dove bomb, tiravano, come si chiama? Contraerea, della contraerea, ecco. E quindi dopo siamo arrivati a casa e ci siamo fatti tutti i bombardamenti che han fatto, là non c’era niente [laughs] da Isola Morosini, no, eh.
PC: Francesco, tu, quando abbiamo parlato assieme prima, mi raccontavi del, dei giochi che facevate, del fatto che quasi ti eri divertito durante i.
FR: Sì, sì beh avevo tredici anni, quindi è un’età, ho visto morire un tedesco, faceva la curva davanti l’albergo impiegati in moto, è andato contro il recinto, sì stupidaggini, ecco, no, che non c’entrano niente coi. Ah, un’altra cosa forse, così, che c’entra coi, relativamente coi bombardamenti, da Isola Morosini venivo in bicicletta a Monfalcone, tredici anni, e c’erano quei buchi, quei anti, gli antischegge dei tedeschi, no, due metri circa, profondo uno, largo cinquanta centimetri, passava un aeroplano, mi son messo lì, ed è caduto giù il serbatoio ausiliario, no, che quando cade non sai cosa succe, è caduto a pochi centinaio di metri, ecco, ma quando vedi sta roba che vien giù, sì [laughs].
MGR: [laughs] Si è divertito un poco meno [laughs].
FR: Ho apprezzato il fatto ecco, diciamo così.
MGR: E tu, e lui si ricorda del, del, come si si, sotto così, era sotto una cantina, sotto all’albergo mio.
FR: ‘ndati in cantina, un anticrollo, no.
MGR: Un anticrollo.
FR: [unclear].
PC: Com’era, com’era allestito dentro? Cosa c’era nel rifugio anticrollo?
FR: Niente: una stanza con un, con degli, con dei sostegni per il tetto, qualche panca.
MGR: Ma papà gaveva fat anche a casa, in cantina.
FR: No.
MGR: Aveva messo pali, qualcosa.
FR: No.
MGR: No?
FR: In Via Roman no, sicuram.
MGR: No, no in Via Roman.
FR: Ma dall’altra parte forse, ma in Via Roman no, certamente no, proprio perché avevamo sto, possibilità vicina.
MGR: Sì, sì, vicino.
PC: Ma comunque vi portavate dietro dei.
MGR: Mah.
PC: La coperta, qualcosa?
MGR e FR: No, no.
MGR: E però il papà che non aveva le, le chiavi, c’aveva le chiavi del portone, ma la prima notte, prima notte che l’allarme era sul bar impiegati quindi era come averlo in casa, non trovava, e c’erano i, quelle, come si.
FR: Bengala.
MGR: Bengala, ecco, che venivano giù [laughs] e ti sembrava di essere proprio sotto ai [laughs], co’ ste luci, co’ la pila.
FR: No, ecco, per dire che erano molto attenti , no, perché prima di bombardare illuminavano tutto, quindi, sì, facevano le cose.
MGR: E noi eravamo lì che ci si, almeno io.
FR: Seriamente, seriamente mi sembrava.
MGR: Mi sentivo proprio presa di mezzo perché papà co’ la pila [divertita], che cercava la chiave del portone, e questi ‘ti ti ti ti’, sembrava.
FR: Un po’, un po’ d’emozione nel mezzo sicuramente.
MGR: Sì, sì, ecco.
FR: Chiaro.
MGR: Perché non trovava ‘l, e dopo andavamo dove c’era l’alber, proprio di fronte al cimitero, dove ci son le scuole medie adesso, c’era questo bunker e io ho vissuto parte [laughs] della mia vita lì dentro, perché suonava qualche volta suonava l’allarme, poi c’era il cessato allarme e venivi a casa eccetera, ma comunque d’estate [unclear]
FR: Ah ecco, grato, grato ai tedeschi, eheh tedeschi, agli inglesi, io facevo, dunque nel ’44, facevo le scuole medie non so se, no, sì le medie, no so se la terza o la seconda, è stato un lungo periodo tutta l’estate, sì primavera, in cui andavamo a scuola un giorno a settimana e alle nove di mattina di solito suonava l’allarme.
FR e MGR: [laughs]
FR: Meraviglioso! Ecco, uno dei ricordi felici. [laughs]
MGR: No, io ero in terza elementare e si andava a scuola così, anche a giorni alterni quando capitava, però sì, non ero [laughs] tanto che andavo volentieri, ecco, non facevo, lui era il più grande [laughs].
FR: No, guarda, mi la scuola la sé sempre stada contraria.
MGR: Sì ecco, mi son diventada maestra però [laughs].
FR: Mi go comincià ad odiar le monighe del asilo, quindi te ga voia.
MGR: Sé morta.
FR: Ben fatta! [laughs].
MGR: [laughs] L’Alma Fides sé morta.
PC: Una domanda per Maria, mi raccontava del, del bombardamento di, del mago Delfo.
MGR: Sì, ecco, c’è di domenica, era proprio per i bambini, naturalmente ‘vevo sette anni io, accompagnati, a me aveva accompagnato la ragazza che avevamo, e a un dato momento si è sentito ‘Vuoo vuoo’, che era un rumore che quando ancora passavano quelli aerei che andavano a bombardare in Jugoslavia, [laughs] ti ricorda sto rumore, e son sal, son ‘ndata fuori, son passata tra le gambe e ho cominciato a guardare sti aerei, e loro ‘Uh, caccia, caccia! Uh non c’è pericolo’, e son partita: son arrivata prima in un bunker che era quasi vuoto, dove c’eran due feriti con schegge, tutti sporchi di sangue e non so la, la gravità ma comunque da vedere per me è stata.
FR: Beh ma se i sé arrivai fin in rifugio.
MGR: No ma iera seduti su, distesi su le panchette che iera lì. E dopo ho tagliato da, vicino, perché ‘l , per arrivare verso ‘l pol, ‘l campo sportivo son arrivata nel bunker dove c’era la mamma, papà era dentro in cantiere, e noi andavamo sem, perché c’era una parte sopra e una parte sotto, sopra non c’era più posto e son ‘ndata sotto, sicché mia mama non sapeva che io ero lì, era un po’ in pensiero e ‘l papà anche, ecco. E questo è un ricordo, e l’altro, quello del primo bombardamento, che è caduto proprio di fronte, dove ci sono le scuole “Sauro” adesso, in un campo di patate, e siccome l’entrata del bunker, un corridoio così, poi c’era, andava da fuori a dentro, poi c’era una porta che entravi proprio, venivan tutto lì.
FR: I sé vicini, no, no i sé entrate con.
MGR: Questo faceva ‘l giro d’aria, e dopo veniva dentro, quando siamo usciti nel corridoio, e c’eran tutte patate [emphasis and laugh], perché è cascata la bomba in un campo, tutto patate e terra, mi ricordo. E poi, il papà, uscendo proprio non so in che occasione, e gli è arrivata davanti, così era, che ‘l gaveva sul caminetto, una specie di, pff, mezza bomba, no so.
FR: ‘Na spoletta.
MGR: ‘Na spoletta forsi, che gli è caduta proprio davanti e che l’ha messa [laughs], mi ricordo, lì per dire quel.
FR: Se sé l’ogiva [unclear] la spoletta.
MGR: Sì, ‘se mi cascava in testa’.
FR: No, non sapevo questa.
MGR: No? Ah sì.
FR: Non apprezata.
MGR: La iera, la iera sul cainetto verde, ‘n entrata là.
FR: Quella iera tedesca allora che ‘l tirava su?
MGR: Eh sì, probabile, sì. E poi ‘n’altra cosa che ricordo, che Capodanno bisognava, perché come i tedeschi tiravano verso le finestre, e noi camminavamo sotto così, piccolini, con le luci, sempre con le finestre con la carta blu, e dopo quando sono arrivati gli americani noi ci siamo trovati.
FR: Neozelandesi.
MGR: Neozelandesi primi, sì, e anche indiani.
FR: Sì.
MGR: Perché avevano la cucina da una parte di casa nostra e nel campetto di fronte, dove c’è una scuola, un asilo, la mattina si ci siam svegliati e c’eran tutti questi coi carri. E anche la liberazione dei gli ugo[unclear].
FR: Sì, beh.
MGR: Coi carretti.
FR: Nel campo davanti appunto c’erano tre o quattro quadricanne, no, quelli da venti millimetri tedesche, tiravano da bassi.
MGR: Sì, sì.
FR: Perché non andavano da alti, ‘ndavano da bassi, relativamente bassi.
MGR: Sì, sì.
PC: Avrei ancora una domanda per Maria, sempre riguardo il bombardamento di Delfo: mi parlavi dei tuoi compagni di classe.
MGR: Sì, sono morti due, ecco, e una era proprio amica, abitava di fronte alle case nostre, è morta lei e la mamma, perché la mamma l’aveva accompagnata; dopo siamo andati a scuola un paio di giorni dopo, e abbiamo messo i fioretti sul banco, e sono i primi due morti che ho visto io; sta bambina era vestita col vestito da comunione, presumo, perché , e la mamma aveva un abito lungo celeste che, sono ‘ndata dentro e sono venuti fuori, perché non era proprio uno spettacolo [laughs]. Ma tanti [emphasis] bambini sono morti, sì, arrivavano proprio perché. Questo era nella sede dell’albergo operai, sotto nel salone dell’albergo operai, quindi papà era vicino, eh sì.
PC: Ancora una domanda per Francesco, riguardo, sempre riguardo al rifugio: mi parlavi di giochi che facevate dentro, che scherzavate, ridevate, che, che?
FR: Solite stupidaggini dei bambini, ecco, niente di, la pallina tirarsi addosso, cose del genere, niente di particolare.
PC: Ho capito. D’accordo, avete qualche altra, qualche altro ricordo che.
FR e MGR: No.
FR: Ecco, no. Notizia: che a un certo momento verso l’ultimo, penultimo bombardamento, tanti cantierini sono andati verso la pista, c’era la pista davanti alla vela praticamente, no, e ne sono morti parecchi, ma non visti, sentito dire, ecco.
MGR: Sì, sì perché prima [unclear].
FR: Sbagliata la direzione diciamo.
PC: Ancora una domanda per Maria: mi parlavi dell’aereo caduto nell’Isonzo.
MGR: [together] Quello di. Sì, sì. Io no, l’ho visto ma ci è passato proprio sopra eh, perché sarà cadu, è caduto tra, tra ‘l ponte della strada a quello della ferrovia, quindi in uno spazio relativamente.
FR: Ah fra i due ponti?
MGR: Sì. Relativamente bre. Fatto ‘boom’, il suo solito tiro, e dopo di qua son venuti dalla parte verso il paese, son venuti giù questi due.
FR: [unclear].
MGR: Però no, io non li ho visto, e non so che gli avessero sparato addosso o robe del genere, no. Perché poi quando siamo arrivati in fondo lui è saltato per conto suo, a me mi ha preso, [laughs] ficcato dentro la, non mi ricordo altro. Però lo era, eravamo e c’han detto se siamo matti, perché questo signore, la mamma ha detto ‘Ma cosa fa? Si fermi!’ ‘Ehhh se mi fermo è ancora peggio perché siamo sul ponte, via avanti’ [laughs].
FR: Sì fermarsi in mezzo no iera una bona idea.
MGR: No.
FR: [laughs].
MGR: Sì, perché faceva un rumore, iera, c’eran quei san pietrini e poi avevamo le, io e la mamma eravamo davanti.
FR: Iera probabilmente i carri co’ le rode de ferro.
MGR: Co’ le rode de ferro, sì.
FR: E io co, col.
MGR: Col cerchio, sì, e conigli. Tutti immobili però, perché avevamo masserizie varie [laughs], e siamo arrivati a casa tutti contenti che eravamo ‘rivati a casa [laughs]. E poi mi ricordo un’altra cosa, quando eravamo nella casa dentro al cantiere, che loro sono andati al rifugio, perché iera qualche rifugio vicin el teatro. Sì ecco.
FR: Sì, no me ricordo.
MGR: L’ubicazione, perché eravam piccoli. E io, papà e l’infermier Battilana, che era col papà, siamo andati nella garitta, che c’era proprio attaccata nell’infermeria, e là eravamo in tre [laughs]; loro eran tranquilli.
FR: Dio bon, iera quattro posti nella garitta, non di più.
MGR: Sì, sì, ecco. Coper, con le coperte perché avevo la febbre.
FR: Vista, vista [unclear]co’ ‘e garitte, sé ancora che gira, no?
PC: Una è ancora.
FR: Sì.
PC: In via Bonavia proprio.
MGR: Sì, sì. La, quela di notte, naturalmente di notte perché [laughs].
FR: No, gli inglesi iera sempre vegnui de notte.
MGR: E Pippo poi, e Pippo che c’era, c’era questa ragazza che avevamo, che era friulana, e non sapeva né leggere né scrivere, e dormiva sulla cameretta su, e questo Pippo lo sentiva da su [laughs], che passava, [laughs] correva giù come una matta, perché era sempre presagio brutto quello di vedere, perché venivano, non so se uno ‘veva idee che non so qualcuno ha detto quel signore che c’eran tre, quattro Pippi, non so, ma venivano sempre a dare uno sguardo prima di bombardare, no, e quindi il giorno dopo, due giorni dopo, ci si poteva aspettare le bombe, sì. E proprio lei era qua quando ha fatto quello, quello delle patate, e non sapeva leggere e c’era scritto ‘Gesù mio, Misericordia’ e lei ha detto ‘Oddio’, ha imparato a leggere [laughs], non potevo capire come avesse detto sta roba che era scritta là.
PC: Signori Rapozzi io vi ringrazio per l’intervista, grazie mille.
FR: Bon finito perché i ricordi erano proprio.
PC: No no erano interessantissimi.
FR: Minimi.
PC: Interessantissimi, grazie mille.
MGR: Posso offrirte un caffè? Qualcosa?
PC: Va ben d’accordo.
MGR: Ecco. E ti te bevi caffè?
FR: No, no, non m’interessa grazie.
MGR: Ti te bevi caffè?
Dublin Core
The Dublin Core metadata element set is common to all Omeka records, including items, files, and collections. For more information see, http://dublincore.org/documents/dces/.
Title
A name given to the resource
Interview with Francesco and Maria Gigliola Rapozzi
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Francesco and Maria Gigliola Rapozzi remember wartime life in Monfalcone. They recollect the day the shipyard was engulfed in flames after a severe bombing raid and mentions the high number of casualties among civilians. They remember various stories: their life as evacuees, an aircraft hit by anti-aircraft fire, an aircraft falling into the Isonzo river after the crew had bailed out, and the frightening presence of "Pippo". They recall the day when, just as a magician's show was about to commence, a bombing raid started and people dashed to the shelter,Two of the victims of this event were acquaintances. They recall a bombing raid when they couldn’t find the house keys and saw target indicators falling on the town. They remember the Germans retreating at the end of the war, having completely destroyed the shipyard.
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-10-19
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Marco Dalla Bona
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:18:57 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Monfalcone
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ARapozziF-MG161019
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Pietro Commisso
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1943-09-08
anti-aircraft fire
bale out
bombing
childhood in wartime
civil defence
evacuation
fear
Pippo
shelter
shot down
target indicator
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/46/400/ACommissoM161028.2.mp3
0fd58164789c1667fe2ee2f1c970a722
Dublin Core
The Dublin Core metadata element set is common to all Omeka records, including items, files, and collections. For more information see, http://dublincore.org/documents/dces/.
Title
A name given to the resource
Commisso, Mario
Mario Commisso
M Commisso
Description
An account of the resource
One oral history interview with Mario Commisso who recollects his wartime experiences in the Codroipo area.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Commisso, M
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
PC: Sono Pietro Comisso e sto per intervistare Mario Comisso. Siamo a Monfalcone, è il 28 ottobre 2016. Grazie Mario per aver permesso questa intervista. La sua intervista registrata diventerà parte dell’archivio digitale dell’International Bomber Command Centre, gestito dall’Università di Lincoln e finanziato dall’Heritage Lottery Fund. Prima di cominciare, la prego di rispondere alle seguenti domande, in modo da essere certi che questa intervista venga registrata secondo i suoi desideri nonché in accordo con le condizioni poste dai nostri finanziatori. È d’accordo che la sua intervista sia conservata in perpetuo come documento liberamente accessibile al pubblico da usarsi per mostre, attività di ricerca, istruzione, nonché come risorsa online?
MC: Sì.
PC: Sia resa possibile, sia resa disponibile al pubblico mediante una licenza Creative Commons attribuzione non commerciale, indicata come CC-BY-NC il che significa che non potrà essere usata a scopi commerciali?
MC: Sì.
PC: Sia attribuita a lei?
MC: Sì.
PC: Acconsente a concedere all’università il copyright del suo contributo per l’impiego sotto qualsiasi forma ed è consapevole che ciò non preclude il suo diritto morale ad essere identificato come esecutrice ai sensi del copyright, design and patents act del 1988?
MC: Va, va bene.
PC: Acconsente di essere fotografata per il Bomber Command Digital Archive?
MC: No.
PC: Bene, possiamo cominciare. Mario, se ti parlo dei bombardamenti aerei della seconda guerra mondiale, qual è il primo ricordo che ti viene in mente?
MC: Il primo ricordo è quello della notte del 28 febbraio 1900 e 41, la notte in cui mio fratello è nato e il gran bombardamento alleato; l’antiaerea tedesca si batteva contro, contro gli aerei, sì, loro passavano, passavano andando forse in Germania e no, noi eravamo lì e la contraerea tedesca stavo, stava difendendosi come poteva; poi, poi altre, altri bombardamenti erano sempre quelli, che gli aerei alleati passavano sopra di noi e che andavano sempre in Germania, ed era i grandi combattimenti della Luftwaffe di Messerschmitt contro gli aerei da bombardamento alleati. Ricordo che piovevano schegge, pezzi di ferro, bossoli, robe, eccetera eccetera; poi la notte venivano bombardare la ferrovia di Codroipo, la stazione di Codroipo, la ferrovia da Codroipo a Udine; durante la notte, poi, gli operai andavano a riparare tutte queste robe; poi la notte era il famoso “Pippo”, che veniva per ricognizioni o qualche volta sganciava qualche bomba; la resistenza italiana li segnalava con i razzi: qualche volta sbagliavano il tiro e Pippo lasciava qualche bomba sul campanile o sulla chiesa della Madonna di Rivolto; poi altri bombardamenti sulla pista creata dalla Lu, dalla, dalla i tedeschi, dove ora ha sede la pattuglia acrobatica italiana. Su tutta la pista, circonvallazione della pista centrale, avevano, ‘vevano costruito i box per nascondere gli aerei, dunque: i bombardamenti a tappeto con spezzoni, attaccati a due tubi, che si trovavano poi, eccetera eccetera; durante tutto il resto della guerra son stati bombardamenti nel vicinato, aerei che non potevano, sì, aerei caccia, i caccia Spit, Spitfire, che qualche volta non potevano sganciar la bomba sulla stazione, allora cercavon da fare il loro possibile per non sganciarla sulla popolazione, ma nei campi, onde facevano buchi tremendi. Poi, gli alleati arrivarono e i tedeschi se ne sono ‘ndati, e hanno lasciato molte munizioni sulle piste, nei, nei canali, eccetera, eccetera; son stati da, noi si andava a recuperare questi, queste munizioni di, di ferro e di ottone, e poi si vendeva, era’amo bambini, gente, gente che al dopoguerra avevamo un po’ bisogno, poi, poi gli allea, gli inglesi specialmente facevan scoppiare tutte questi resti di bombe, poi pallottole mitragliatrici, pallo, pallottole da cannone, e dopo noi si andava ancora a recuperare per venderle per guadagnare qualche soldo, no. Durante tutto questo periodo noi ragazzini si dis, si doveva disimpegnare per, per raccattare un po’ di soldi per vivere insomma. Questi periodi della guerra piuttosto duri e tristi stanno rivivendo in noi ancora, se questo può fare del bene alla società e alla storia siam ben felici.
PC: Una domanda Mario.
MC: Sì.
PC: Tu praticamente vivevi.
MC: Eh.
PC: Eri un ragazzino, avevi.
PC: Undici, dodici anni.
MC: Io allora, allora avevo da, avevo dieci, undici e dodici anni, dieci, undici e dodici anni.
PC: E vivevi vicino a un grande aeroporto militare.
MC: Gran, grande aeroporto, come già detto, ora siede la Pattuglia Acrobatica Italiana, la PAM [PAN], e dunque lì i bombardamenti e le battaglie, sia alleate sia della resistenza partigiana, eccetera eccetera erano quotidiane, no, si viveva quei giorni lì così anche senza tanta paura perché eravamo troppo giovani per aver paura, no.
PC: Ma gli allarmi erano frequenti?
MC: Ehh [emphasis] gli allarmi erano specialmente la notte, sì, e poi il giorno si vedeva passare le pattuglie di, di aerei da bombardamento ‘lleati, che andavano sempre in Germania, ma insommanon bombardavano da noi, solo passavano per andare verso la Germania , no; ‘peta, sì, tutto lì, a parte i bombardamenti qualche aereo, qualche aereo, ma poca roba, che cadeva, no, sotto i colpi delle mitragliatrici dei Messerschmitt tedeschi. Dopo, poi, è stato il momento dell’armistizio, ché l’Italia ha chiesto l’armistizio. Gli alleati, allora la, i tedeschi ci hanno reso un po’ la vita difficile, lì dopo la disfatta dell’esercito italiano si trovamo munizioni dappertutto, come ripeto, e poi sono state anche casi di feriti e morti, ragazzi di dieci dodici anni, perché andavano a prendere queste munizione e poi le trattavano poco bene, insomma cercavano di smontarle, e succedevano che sono stati morti insomma, tre [emphasis], che io conosca. Altri bombardamenti: sì, hanno bombardato la stazione di Codroipo quella volta che erano, qualche, qualche ca, qualche vagone munizione, polvere eccetera, eccetera ed è stata dura, ed ha molt, ha molt, ci ha fatto molto paura perché l’esplosione erano molto dure, molto alte, molto fuoco, eccetera; e pezzi di, pezzi di ferro della stazione cadevano anche a un chilometro lontano della stazione, no, tutto questo, tutto questo ehhh, questa storia [emphasis] insomma ci rendeva un po’ la vita difficile. Poi liberazione, il mese di settembre, gli alleati sono arrivati e abbiamo avuto un po’ di pace; si cercava di disimpegnarsi guadagnando un po’ la vita col resto delle armi che avevan lasciato i tedeschi.
PC: Tu mi hai parlato della nascita di tuo fratello il giorno di un bombardamento.
MC: La notte di un grande bombardamento, sì!
PC: Cosa ricordi di quella sera?
MC: Molte, molti tuoni, molto fuoco, molt, molta paura perché era il primo, e insomma rimane come ricordo quello della nascita di mio fratello, quello dei primi bombardamenti e della contraerea tedesca, che non era distante poi, era a cinquecento metri dalla nostra abitazione, no, dunque in famiglia la paura era abbastanza grossa, ehm.
PC: Faccio ancora una domanda: sempre parlando di tutti questo grande quantitativo di materiale che si trovavano in giro, questi spezzoni che cadevano, questi.
MC: Sì, eh. Poi, poi anche munizioni che avevano lasciato l’esercito italiano, quando è stato chiesto l’armistizio tutti i soldati lasciavano le armi eccetera, no, nei campi, nelle robe, nei corsi d’acqua e anche sulla famosa pista, non la pista di lancio ma la pista di circonvallazione dove erano stati costruiti i box de, per i rifugi degli aerei tedeschi, dunque poi alla disfatta hanno lasciato tutto; anzi, avevan anche cominciato, la pista di lancio era stata minata, avevan fatto dei buchi e messo delle mine dentro, che hanno cominciato a far saltare il momento della Liberazione, quando i partigiani poi avevan preso quei quattro tedeschi che rimanevano per evitare insomma disagi alla gente, poi, abbiam anche trovato dei carri, dei carri che avevano abbandonato verso Passariano, Sede dei Do, dei Dogi, che anche lì i carristi della caserma di Codroipo li avevan lasciati e noi si andava a smontare pezzi, robe, eccetera, le bie, le sfere per giocare, eccetera eccetera, no, e poi le ruote e poi i grandi, invece loro, smontavano pezzi più grandi, più grossi, no; noi eravamo lì per prendere qualche coperta, magari qualche cappotto militare per i giovani eccetera. Si sbarcava il lunario in questa maniera, no. Tutti i ricordi della nostra gioventù.
PC: Bene Mario, io ti ringrazio moltissimo per l’intervista! Questo qui è un pezzo di storia che verrà conservato.
MC:E io, mi ha fatto molto piacere. Pietro Comisso è un caro ragazzo che merita gli elogi.
PC: Grazie.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Mario Commisso
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Mario Commisso remembers his early years when he lived in the Codroipo area, close to the Rivolto air base. Describes his brother being born on 28 February 1941 during a severe bombing raid during which the bombers were attacked by anti-aircraft fire and German fighters. Describes how "Pippo" was guided with the help of ground signals lit by the partisans, sometimes with tragic results. Describes how civilians salvaged scrap metal and mentions acquaintances who died when mishandling live ammunition. Recalls a big explosion at the Codroipo railway station and Spitfires dropping bombs on open fields, trying not to hit civilian buildings. Recalls stories about the end of the war: how the Rivolto air base had been prepared for demolition and abandoned tanks at Passariano being disassembled by adults while youngsters were salvaging clothing, blankets and ball bearings.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Pietro Commisso
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-10-28
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:12:59 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Codroipo
Italy
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1941-02-28
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Marco Dalla Bona
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ACommissoM161028
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
anti-aircraft fire
bombing
childhood in wartime
home front
Pippo
Resistance
Spitfire
-
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Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Ponte, Livio
Description
An account of the resource
One oral history interview with Livio Ponte who recollects his wartime experiences in Monfalcone.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
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Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Ponte, L
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-09-01
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
PC: Livio mi racconti eeeh quello che è il suo primo ricordo, la prima cosa che le viene in mente se le parlo dei bombardamenti aerei.
LP: Allora la prima cosa mi ricordo il rifugio di Monfalcone che era diciamo dov’è la piazza adesso e finiva attraverso la Monte circa mezzo chilometro, non è vero? Era come dire, una grande, come una galleria che era, che era tutta in cemento armato e lì durante gli allarmi delle, delle sirene quando c’è venivano gli apparecchi o anche passavano che comunque avvisavano, no? E si andava tutti in rifugio. Oppure ero ragazzino e anche che correvo bene, e andavo sulla Monte, sulla Monte, nella Monte che poi l’avevo già esplorata prima ancora, no? Perché la conoscevo come le mie tasche, si aveva trovato lavoro [?], una caverna, bella e l’abbiamo addobbata, se così si può dire, come rifugio, e ogni volta che veniva questi allarmi io andavo con mio fratello o qualcun altro in queste grotte, no? e magari i miei genitori andavano nel rifugio, no? Che poi era vicino ma in genere si passava per il sottopassaggio che c’è ancora però dopo c’era, mi ricordo, avevano scavato una grande fossa, non è vero? E poi avevano fatto una strada che portava appunto all’uscita o all’entrata come che si vuole, di questo rifugio, che si congiungeva con questa parte qui. E praticamente io mi ricordo che ero a San Michele che giocavo e quando venivano gli allarmi anche di giorno, con la paura si andava veloci come gazzelle, non è vero? In questi rifugi, no? Già d’accordo con i miei genitori che loro pensavano a loro e io pensavo a me, non è vero? E così diverse volte, anche d’inverno, anche di notte alle volte ho voluto portare anche i miei genitori perché avevamo messo a posto la caverna, era bella anche e siccome alle volte durava, durava parecchio tempo l’allarme, si portava via qualcosa chi di leggere, se c’era una torcia oppure si parlava, si discuteva così. E poi quando era terminato freddo caldo che sia la stagione, si tornava a casa, ricordo che c’erano momenti di grande trepidazione, di grande paura perché io sono per natura sensibile e, e sono pigro e dormo molto, dormo molto, succede che suonava l’allarme in piena notte, mia moglie, mia mamma mi chiamava e io nella confusione non sapevo neanche quello, e correvo come una gazzella, la, perché mi diceva mia madre ‘Vai avanti intanto tu’ perché mia madre aveva anche una bambina piccola che doveva accudire no? E così si passava il tempo, quando andavo nella galleria guardavo, la galleria era bella eh, anche illuminata, grande, capiente e aveva dei, stanze, noi dicevamo come dei bunker no? Che vedevamo militari specie tedeschi e noi si, si stava attenti come si doveva parlare che con quelli là non si scherzava tanto, no? E lì si era accucciati alle pareti, no chi aveva qualche scanietto, secondo il momento l’ora così, e così tutti in questi anni abbiamo fatto appunto queste, queste, queste cose, no? Io ho visto alle volte ci son stati dei bombardamenti a ore abbastanza chiare e, e correvo su per il monte e dall’alto vedevo le fortezze volanti che buttavano giù delle bombe no? Però in genere qualche bomba, non so se per fatalità è caduta proprio sulla bocca, dov’è la piazza adesso no? E meno male perché il rifugio era fatto anche con intelligenza, aveva cemento armato, grande così poi spesso, non è vero? E, ed era lungo un quattro metri più o meno o cinque cioè con tutta la bocca, la bocca del rifugio, però poi aveva un secondo, secondo come dire muro di cemento armato che quello era importante perché attenuava il colpo d’aria no, e insomma eeeh o se si sentiva i, le bombe i colpi [coughs] e quand’era finito, e quand’era finito non è vero? Si venivan le sirene e si lasciava andare. Io ricordo che quando è stato quel bombardamento, il peggiore loro tendeva, tendevano a bombardare cantiere, perché in cantiere costruivano cose anche di guerra, no insomma guerra, guerra è guerra, grazie.
LP: Ecco, e dunque io ero come chierichetto non è vero? E mi chiamavano, io e anche altri ragazzini, a portare la croce la parola, non è vero? E se ci hanno portato all’albergo degli operai ed erano distrutti, quello che ha colpito che poi un po’ si rideva anche, c’era un uomo particolare che lo chiamavano adesso non so un nome un po’ spregiativo no? Eeeh che lui ubriaco fradicio non aveva bevuto niente mente i suoi compagni che erano là vicino sono quasi morti tutti perché sono stati mi pare un ventitré ventiquattro o ventinove decessi, morti, no? E dopo ci sono stati ancora non tanti bombardamenti no, però venivano spesso a, probabilmente a fotografare erano, e lo chiamavano il Pippo, Pippo non è vero? E e quando che veniva, veniva lo stesso messo l’allarme e tutti nel rifugio e io secondo i tempi, andavo sulla rocca, anche di sera perché con mio fratello, perché eravamo, conoscevamo la rocca come le nostre mani, tasche, no? Eeeh cosa devo dire molto? Poi quando quando ne [?] veniva il ricordo, c’erano i soldati che si stava attenti di evitarli possibilmente perché si aveva paura praticamente, perché c’erano i tedeschi praticamente e, e tutti e le, e questi erano severi e ricordo che quando, quando marciavano o erano in fila o erano in diverse squadre si aveva proprio un po’ di paura almeno noi ragazzini in particolare ma so che tutta la gente cercava di evitare. Praticamente si viveva un po’ con la paura e si viveva come si poteva a quei tempi. Nel frattempo anche in certi periodo specie d’estate quando avevamo le vacanze della scuola, della scuola andavo dai miei nonni perché in Friuli per essere più tranquillo ma anche là le cose non erano tanto esatte perché a Udine avevano, anche là, era un punto di osservazione, no? E, e mi ricordo che mia madre aveva affittato un appartamentino in un paesetto accanto, siccome i miei nonni erano, avevano, erano pieni di generi, cioè il figlio si sposava e portavano in casa la moglie, nascevano i figli insomma erano in tanti, erano in venti, venticinque, no? E non c’era spazio e allora aveva affittato un appartamentino e là veniva, veniva ogni tanto, non so mia madre aveva fatto conoscenza, no? Paesetto piccolo, no? Con un soldato tedesco, no? Che gentilmente ci portava qualche aiuto economico, no? Perché il mangiare era piuttosto, un po’ ridotto, no? E, e ricordo che mentre a volte parlavano mia madre si faceva delle domande a questo a questo tedesco e lui le diceva ‘Che resti fra di noi signora perché se va fuori vengo fucilato, ma Hitler non è vero? Eeeh sta rovinando la Germania’ insomma era contrario, no? Mi ricordo di questi casi qua, e poi anche là ci sono state, arrivati i tedeschi erano un po’ dappertutto erano, erano, erano anche molto attenti così, poi anche sono stato sfollato anche qui vicino a.
CB: A Muraro.
LP: Dove?
CB: Muraro.
LP: A Muraro sì. Che è vicino Gradisca, Sagrado, no Gradisca, no? E lì mi ricordo che c’erano anche lì gli allarmi e una volta hanno abbattuto l’antiaerea un apparecchio e tutti andavano a vedere dove, son andato anche io che ero ragazzino, no? E l’apparecchio, è morto il pilota, e l’apparecchio che aveva divelto dei dei dei fili dell’alta tensione, e un uomo mi ha dato un colpo in testa che mi fa ancora male e mi ha detto ‘Va via di qua, no te vedi che se te lo tocchi te resti fulminà!’. Mi ricordo, era, l’ho ringraziato e dopo via dritto, non è vero? E così man mano che dopo si avvicinava il tempo di di tornare a scuola, si tornava a scuola però in questo frattempo, no? Se eravamo a scuola o non a scuola si doveva andare il sabato fascista a fare la ginnastica, era un po’ seccante però penso che abbia fatto del bene, ecco l’unica roba. Poi si faceva gli esami della ginnastica tutti insieme in certe giornate, tutte le classi nella nella, dove si gioca a calcio, no?
PC: Ho una domanda a farle, prima mi parlava eeeh del bombardamento quello che c’è stato a Panzano che ha colpito l’albergo operai e mi parlava della croce e della processione.
LP: Si.
PC: Cosa è successo quel giorno se posso chiederle?
LP: Sì, beh piano [?], era una confusione, perché era un sacco di gente, un sacco di personalità, no? E ricordo che erano dei camion e mettevano le bare sul camion e dopo le portavano al cimitero e e qui, lì erano un andare e vieni delle autorità che guardavano il fabbricato e parlavano eh ma più di tanto, di questo, eravamo un po’ a, a, io portavo la croce, no? Mi dicevano ‘Stai fermo qua’ e io dovevo eeeh sì e poi quando c’era il funerale e allora si andava, no? E così, mi ricordo che era una valanga di gente e, ed era tutta sì un trambusto, una confusione, mi ricorda un po’ il terremoto, il terremoto, non è vero? Perché c’erano feriti, c’erano come dicevo morti, no? E anche c’era tutti questi operai anche scioccati e insomma non è che sia poco. Poi sono stati altri bombardamenti per buttare giù le gru anche, perché insomma per evitare, ci sono stati mi pare un tre, tre bombardamenti, no? Però quello che ha fatto più disastro è stato quello là, no? Dopo il resto hanno qualche bomba è caduta in periferia e come dicevo una bomba se loro dicono per sbaglio, no? È caduta lì vicino che ha fatto un un bel tiro però ha retto il muro di di difesa, no? Perché lì erano tutte villette fra cui c’era Bratina, Bratina che è morto mi ricordo da non molto, Franco, i miei amici, Valentino, no? E dopo i suoi genitori aveva una sorella e avevano una oreficeria che ce l’hanno ancora, mi pare che la gestisca la figlia, no’
PC: Avrei ancora un’ultimissima domanda proprio, eeeh sempre proprio riguardante la galleria rifugio, perché lei mi ha raccontato quando andavate nella galleria che avevate scavato voi, avevate trovato il rifugio sul Carso.
LP: Era a gomito, a gomito.
PC: Quando andavate.
LP: Io vedevo dentro portavano anche bombe, e bombe, cioè bombe, le accatastavano là, insomma si era anche un po’ preoccupati, si diceva, no? Almeno, allora dopo in seguito si vede che hanno fatto lamentela, hanno fatto, l’hanno messo in una specie di stanza così perché insomma, bombe fuori, bombe dentro, no? Non è che sia l’ideale, ecco e c’erano i tedeschi c’erano le, anche le nostre guardie però di chi sia aveva più paura e oppure si era molto attenti era per tenersi perché noi eravamo ben visti, sì, e so che puntavano a buttar giù le le quelle navi che stavano costruendo ma anche costruivano sommergibili e anche apparecchi per guerra, eeeh, eeeh.
PC: D’accordo.
LP: Eeeh altro no perché il resto si svolgeva la vita, si stava più alla larga possibile da queste cose no? Però quando capitava dovevi eri dentro, in particolare eravamo spesso disturbati dagli allarmi magari passavano, passavano sopra se li vedeva erano alti dico dicevano dieci mila metri le fortezze volanti e allora si diceva ‘Beh meno male che vanno oltre’ no? Perché e questi di giorno no? Però quando suonava l’allarme tutti si correva noi, io andavo spesso sulla rocca perché dall’alto vedevo vedevo anche il cantiere.
PC: D’accordo io la ringrazio per l’intervista.
LP: Prego, eh di cosa.
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Description
An account of the resource
Livio Ponte remembers his wartime life in Monfalcone. He describes the frightening moments when the alarm sounded, usually at night and people rushed to the shelters for safety. He mentions different attitudes: his parents going to a shelter whereas he and his brother preferred to go to the castle, where a natural cave had been adapted. He mentions pastimes and daily life under the bombs, how "Pippo" used to fly over Monfalcone and recollects people in constant fear of the Germans. He mentions a German soldier who said Hitler was a national disgrace for Germany. He describes how he used to spend school holidays at his grandparents place at Aris, a village in rural Friuli, because it was supposed to be a safer place. He describes a shot-down aircraft.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Pietro Commisso
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-09-01
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Francesca Campani
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:24:34 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
APonteL160901
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Rivignano
Italy--Monfalcone
Title
A name given to the resource
Interview with Livio Ponte
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
bombing
childhood in wartime
civil defence
evacuation
fear
home front
Pippo
shelter
shot down
-
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Dublin Core
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Title
A name given to the resource
De Manzano Vici, Annamaria
Annamaria De Manzano Vici
A De Manzano Vici
Description
An account of the resource
One oral history interview with Annamaria De Manzano Vici who recollects her wartime experiences in Trieste and surrounding areas.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2018-01-13
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Vici, AdM
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
PS: Signora Annamaria Vici mi può raccontare un po’ del suo nucleo familiare e del, dove innanzitutto dov’è nata, quando è nata e un po’ del suo nucleo familiare.
AV: Allora, sono nata a Trieste il 31 dicembre 1939, quindi in coincidenza perfettamente con l’inizio dela seconda guerra mondiale, l’ho vissuta tutta. Naturalmente dei primi anni eh non ho ricordi se, partiamo dal 1943 quando io avevo tre anni. Allora abitavo con la, con la mia mamma, la nonna, due zie, il mio fratellino più piccolo e una cugina di qualche anno più grande. Eravamo un bel numero di persone che vivevano tranquillamente assieme. Tutta questa tranquillità sparì, sempre di più, e creando un un’ombra che gravava su di noi e noi anche se bambini percepivamo benissimo. E i miei ricordi forse anche alcuni molto nitidi e precisi, con un’immagine chiara di quello che avevo vissuto ormai quasi tre quarti di secolo fa. Erano ricordi legati tutti a una situazione che era diventata pesante, pesante per la mancanza di cibo, pesante per le paure che provavamo ehm in per vari motivi, noi bambini in particolare al tempo del, del coprifuoco. Avevamo vissuto quelle sere con grande paura e timore perché addormentarsi da soli in una stanza buia non era certo cosa piacevole e facile da superare. C’era poi una costante atmosfera pesante di lunghe attese. Bisognava attendere per vari motivi, noi bimbi piccoli avevamo fame e ci lamentavamo più di una volta, e alle nostre domande di mangiare qualcosa ci veniva immancabile la risposta: ‘Dovete aspettare’ ‘Aspettare cosa?’. Aspettare l’ora di cena o l’ora di pranzo per mangiare una minestrina insipida che certamente non ci saziava del tutto. Bisognava spettare, aspettare con la mamma o con la zia nei negozi dove si andava con una tessera annonaria a prendere quel poco di cibo che si trovava. Dal ’43 in poi infatti i generi alimentari nei negozi eh anche se di prima necessità avevano, erano pochi, erano spariti e si faceva difficoltà enorme a trovare qualche cosa, anche avendo magari un po’ di soldi per comprarla, ma la roba non c’era. Fu così che, a poco più di tre anni feci la mia prima gita in Carso, una gita motivata proprio da questo, cioè dalla ricerca del cibo. Noi, come tante altre famiglie triestine, avevamo da prima della guerra e poi nei primi anni, il latte le uova fresche portate dalle contadine. Le carsoline scendevano dal Carso, venivano in città e passavano da una casa all’altra con i loro pesanti bidoni del latte e versando quello, con i contenitori che avevano, di alluminio di stagno e ci davano il litro, il mezzo litro quanto serviva: tutto era abbastanza facile e anche le uova fresche arrivavano buone da mangiare. Dopo i primi anni di guerra le contadine cessarono di venire in città, era troppo pericoloso e non rendeva e quindi eh e quindi mia zia un giorno pensò una mattina di prenderci per mano e di portarci fino a casa di questa contadina. Una salita faticosa più di un’ora per noi che eravamo piccoli, una, una strada che ci impegnava e ci costava molta, molta fatica. Finalmente insomma si raggiunse la casa di questa contadina, allora capii dall’insistenza e dalle preghiere di mia zia che forse ci aveva portato per impietosire questa contadina. Infatti dopo tante preghiere ci, tirò fuori insomma una bottiglia di latte, quattro uova, un pezzetto di burro. Eh beh e con quel prezioso fardello, dopo i ringraziamenti, dopo aver pagato noi ci incamminammo verso casa, la discesa era un po’ più facile e più, e anche un po’ più lieta, al pensiero del cibo che avevamo guadagnato in qualche modo. Ehm altri discorsi di attesa e di, sì, erano collegate ma più che altro di paure vissute al tempo del coprifuoco. Capitò che una un pomeriggio eeeh la mamma accompagnò una parente venuta in visita fino alla stazione e e poi con noi bambini eh ci ci riportava a casa. Lungo la strada evidentemente avevamo fatto qualche lagna, qualche lamentela qualche, che aveva fatto perdere un po’ di tempo a mia mamma. Quando ritornammo insomma era, quasi giunti a casa, mancavano poche decine di metri, un soldato tedesco che era all’angolo della strada ci bloccò e con il fucile puntato ci fece addossare al muro della, della casa e sentivo la mano di mia mamma che mi teneva, farsi tremante poi darmi una stretta che quasi mi faceva, mi faceva male. Io ero immobile come tante altre volte in una situazione di paura ‘Perché quel fucile puntato?’ Non capivo. La mamma cominciò a parlare in tedesco perché aveva fatto le prime, i primi otto anni di scuola, essendo nata nel 1908 le aveva fatte nelle scuole tedesche, quindi ricordava, sapeva insomma bene parlare il tedesco o per lo meno farsi capire. E il soldato ebbe la spiegazione del del nostro ritardo che poi non era che di qualche minuto per arrivare a casa. Mia madre gli indicò col dito la, il portone a poca distanza e di nuovo, girato il fucile ci fece cenno di andarcene. A casa sia io che mio fratello scoppiammo in pianto e chiedemmo perché quel fucile era puntato contro di noi, e la mamma ci spiegò che avevamo sbagliato a, ad andare oltre quello che era il nostro, la legge che imponeva di non trovarsi in strada se non con un permesso dopo il coprifuoco. Ci furono altri momenti di di paura. Un momento strano di paura e anche brevemente per qualche istante piacevole fu quando una sera, mia madre, io mi ritrovai dal letto, avvolta in una coperta tra le braccia di mia madre che correva per portarci nei rifugi. Era cominciato il periodo dei bombardamenti e c’era stato evidentemente l’allarme. Io mi ritrovai in strada nel buio e molto, molto perplessa guardai, guardai in alto e vidi per la prima volta un cielo stellato. Furono pochi istanti meravigliosi, poi, il respiro ansante di mia madre per la corsa, ehm il freddo del, della strada buia, tutto questo mi riportò la solita troppo frequente sensazione di paura. Le sirene dell’allarme suonavano sempre più spesso in realtà e noi avevamo ormai fatto abitudine a quelle corse verso il rifugio di via Irenio della Croce. Là in una galleria grande lunga umida scura terribile, piena di gente, di chi c’era qualche bimbo che piangeva, qualche persona che si lamentava, qualche gruppi di adulti che parlavano tra di loro, però il tempo era interminabile. Forse questo rimanere nei rifugi a volte era solo una una decina di minuti o una mezz’ora, a noi insomma sembrava un tempo infinito, non si. Ogni volta poi c’era la paura di non riuscire a tornar fuori da quella, da quel tunnel, da quella galleria e riprendere la via di casa. E fu così che proprio un giorno, e questa è una data che è diventata cosa molto dolorosa per la mia famiglia. Era il 10 giugno del ’44, i bombardamenti, il bombardamento che probabilmente eeh doveva colpire il tribunale dove erano ancora asserragliati i tedeschi e arrivò a colpire una casa di via Rismondo e la nostra che crollò con le pareti che davano sul cortile che ehm furono infrante e e anche i vetri delle finestre, erano fatti, la bomba li aveva fatti esplodere e quindi tutte queste schegge di vetro si erano conficcate nelle nei muri, nei mobili, molti dei quali erano stati scaraventati a terra. Questa fu la sorpresa dolorosa al ritorno di una di quelle corse al rifugio. La, fu fu un momento anche per noi bambini, per me in particolare che ricordavo di essere stata proprio lì in quella, in quella stanza solo pochi poche ore poche ore, e quindi avrei potuto, se non fossimo andati al al rifugio in tempo avrei potuto essere lì, colpita da queste schegge, finire veramente in maniera terribile, quasi come un San Sebastiano trafitto e forse per questo che qualche volta quando vedo il quadro di San Sebastiano sento un brivido particolare. Eeeh non bastò questa visione della della casa distrutta, si arrivò subito dopo un altro dolore più grande: la nonna che era sofferente di cuore ebbe un infarto e il medico e la croce rossa che era stata chiamata non arrivarono in tempo, mia nonna, noi fummo spettatori di questa, di questa ora in cui la nonna agonizzava sul letto e le figlie stavano vicine a, con, piangendo e anche loro in maniera inconsolabile. Noi bambini sì fummo spettatori di questa, di questa scena che ovviamente non, portiamo dentro di noi ancora con grandissimo dolore. E posso dire solo questo che la la distruzione della casa, la morte di mia nonna concluse definitivamente la mia infanzia, non, non ci sono, non sono riuscita forse più a risollevarmi da questo trauma che ho subito da bambina perché se io penso alla mia vita e alle cose anche piene di di gioia e di felicità che poi avrei avuto, tutto questo non mi è bastato a far sì che la mia, la mia weltanschauung, la mia visione del mondo non sia proprio pessimistica, ma di un pessimismo nero che spesso mi porta a delle, a delle crisi di depressione dalle quali esco con, con una certa fatica e e anche quello che sono io oggi, una pacifista forse anche in maniera estrema, io sono arrivata al ripudio della guerra, ma non solo della guerra di conquista, della guerra per la revanche, anche di ogni forma di guerra, anche la guerra di difesa, non la ammetto, non la capisco, non, e direi anche nella vita quotidiana, quando io vivo una sensazione di, di tensione, di forte tensione, di contrasto la vivo in maniera molto molto in una maniera che mi porta un grado di sofferenza notevole, non sopporto i conflitti, le polemiche e quando queste si fanno più dure io cerco sempre una via di fuga, un angolino, il mio silenzio, e da questo poi, con fatica esco fuori a riprendere la mia normalità tra virgolette.
PS: E ha forse dei, dei ricordi o dei vaghi ricordi di come quel periodo veniva vissuto a casa, se i suoi genitori ne parlavano, non ne parlavano?
AV: Guardi, dunque io vivevo solo, in questa specie di matriarcato, nonna, mamma, due zie e a noi bambini cercavano di farci apparire sempre tutto abbastanza abbastanza sereno, abbastanza buono, ci confortavano rinviando a un altro momento il la, la compagnia per i giochi, certo non avevano tempo per giocare con noi. La mamma lavorava, anche la zia, l’altra zia più giovane aveva l’impegno di accudire la nonna e a noi bambini e alle cose di casa, quindi io penso che nonostante tutte queste difficoltà e queste gravi situazioni che due due donne che lavoravano e dei bambini che chiedevano sempre qualcosa o comunque un aiuto o la presenza dei, del della mamma, la presenza e questo, e tutto questo mancava. Certo che gli adulti erano costretti a trovare la forza per loro, per risolvere i problemi e in più a fare un tentativo di aiutare anche noi bambini a vivere almeno in qualche momento una situazione di maggiore serenità, però questa era piuttosto rara.
PS: Che lavori facevano sua mamma e sua nonna?
AV: Ehm la nonna ormai era in casa e l’unico, l’unica sua occupazione era quella di badare qualche volta a noi, ehm mentre l’altra zia giovane faceva i lavori di casa, la mia mamma era impiegata e la sera spesso si portava a casa ancora il lavoro, del lavoro da fare, appunto sempre in questa necessità di danaro per comperare quelle cose che diventavano sempre più difficili da trovare. L’altra zia ehm lavorava alla SAMPT che era una società mineraria tedesca situata sulle rive a Trieste, e aveva anche uno stipendio piuttosto buono. Era lei che ogni tanto, non si sa come, riusciva a tornare a casa con una scatoletta di marmellata o con qualche biscotto per noi bambini: era una festa tutte le volte che arrivava, per noi sembrava molto più che San Nicolò, il Natale erano sorprese ci, ci davano qualche momento di di felicità e di insperata contentezza.
PS: Riguardo ai rifugi, andavate sempre nello stesso rifugio? Andavate in rifugi diversi?
AV: Eh dunque io abitavo in via Marconi proprio di fronte alla statua di Domenico Rossetti. La, nel giardino pubblico c’era una piccola casetta che poteva, così offrire, soprattutto nei momenti in cui il suono della sirena era diventato, insomma non si era riusciti ad uscire in tempo perché bisognava vestirsi, bisogna mettere le scarpe ai bambini e allora alle volte ci fermavamo in questa casetta ma non, del giardino pubblico, però non ci dava troppo affidamento quindi la corsa era quasi sempre fino al rifugio di via Ireneo della Croce.
PS: Le è mai capitato di vedere qualcosa, degli aerei o erano solo una presenza?
AV: No, eh mi mi è capitato di sentire qualche volta appunto in queste, in queste corse ai rifugi di sentire questo rombo degli aerei in lontananza e di e ovviamente, al in concomitanza con questo rombo le mamme, zie ci costringevano ad affrettare il passo oppure ci prendevano addirittura in braccio per far prima, e correre in questo posto in cui ci sentivamo relativamente sicuri. Mi avevi chiesto? Aveva chiesto? Degli aerei, se? Posso dire solo questo che, finita la guerra, quando ci fu primo, una prima serata a Trieste con i fuochi d’artificio, io che avevo allora cinque anni ormai eeeh, invece di sentire una festa sentii una cosa, una cosa orribile e cominciai a tirare la mamma per ritornare a casa come, come dovessimo proprio cercare in fretta qualche, qualche posto dove nasconderci in tempo. Non volevo vedere i fuochi d’artificio soprattutto non volevo sentire quel, quegli scoppi.
PS: Certo.
AV: Sempre periodo della, fine della guerra Trieste c’è stato, dopo per gli altri città d’Italia il, la fine della guerra era arrivata alla fine di aprile, noi invece avevamo avuto il periodo del, dell’arrivo dell’esercito cosiddetto dei ‘Titini’. Io questi soldati molto, molto male vestiti con divise che erano abbastanza, si vede, consunte strappate, venivano, li ho visti venire, scendere giù per via Cesare Battisti, e cantare e cantare urlando oppure urlando ‘Trst je nas!’ o cantare ‘[unclear]’. Io anche quella volta era forse tra le prime, sentire queste strane, queste strane parole avevo chiesto subito ‘Ma cosa dicono? Cosa cosa stanno urlando?’ ‘Eeeh’ e mia mamma ha detto ‘Eh dicono che Trieste è loro’ ‘Ma è loro?’ ‘Eeeh’ non, mia mamma non mi diede più nessuna risposta e, e come al solito si cercò solo di arrivare più velocemente possibile a casa. Furono, quei trenta giorni furono giorni duri per la città. Noi naturalmente da bambini eh per fortuna non non capivamo tutto non eravamo consapevoli dei pericoli o dei rischi in più che si potevano ancora correre una volta finita la guerra.
PS: E adesso e come, come vede quel periodo della guerra, come vede i bombardamenti? Cosa?
AV: Eh. Sono, sono purtroppo sentiti come causa di tante, di tante distruzione, causa di sofferenze, di macerie, che non sono solo quelle macerie materiali ma sono anche cicatrici indelebili, proprio queste ferite probabilmente, così dure da rimarginarsi diventano per alcuni motivo di desiderare un’altra guerra per far giustizia, le guerre non portano giustizia e i bombardamenti portano solo rovine.
PS: Che cosa pensa di chi li conduceva quei bombardamenti, quindi degli americani e degli inglesi.
AV: Purtroppo non vi viene di far differenza tra chi pilotava l’aereo del paese che sarebbe poi stato vincitore o di chi era invece il pilota di di aerei che sarebbero stati abbattuti o avrebbero fatto soltanto eeeh così un, una portata enorme di distruzione ma senza senza raggiungere un possibile fine. Non, penso che, che se son riusciti a fare questo sono riusciti a essere convinti che lo facevano per il bene del proprio paese. Io questo non posso, non posso pensarlo e quindi vedo questi uomini come, forse dei robot che sono stati loro stessi pilotati da altri, da altre forze e per portare in fondo qualche cosa che è servito solo a lasciare disperazione, dolore e ricordi brutti alla gente. [pause] Penso che molti di questi piloti si saranno sentiti degli eroi ma io penso in realtà che le bombe non possono far altro che creare una, una dolorosa situazione per, più che materiale, come dicevo anche poco fa è una distruzione spirituale. Questa finirà soltanto quando forse, nel mio pessimismo non mi è dato di pensare, qualcuno diventerà l’eroe della pace e non sarà più, non si penserà più come potatore di beni, di bene, di salvezza attraverso un periodo più o meno lungo di guerra.
PS: Va bene mi scusi se faccio ancora un salto indietro. Lei ha mai sentito parlare di Pippo?
AV: Si con questo nome era designato un, un pilota di un aereo che spesso era venuto, aveva sorvolato il cielo di Trieste e molte delle macerie, e anche di, di luoghi vicinissimi alla mia casa, per esempio via Rismondo, per esempio via Rossetti dove venne abbattuta una chiesa credo sia stata proprio opera di questo Pippo, che un po’, ben noto e ancora più temuto.
PS: Non si ricorda se di questo se ne era parlato anche a casa?
AV: Eh no, per la verità davanti a noi bambini, ecco questa attenzione forse delle, della mamma delle zie era quella di tenerci fuori da questo. Solo quando eravamo noi a porre le domande cercavano una qualche risposta che fosse possibile per un bambino e che fosse una risposta che acquietasse il bambino. Quindi abbiamo, insomma ho sentito molto poco parlare di guerra e poi anche con le non, con le zie con la mamma non, quando siamo diventati ragazzi o anche durante il periodo della giovinezza noi non abbiamo voluto ricordare queste cose, era, è stato tutto quanto sepolto per lungo tempo nel, in famiglia, si è, forse come anche io ho detto che tendo a chiudermi nel mio silenzio forse la stessa cosa è finita con l’essere quella che sembrava la soluzione più, più giusta, non pensare più a quelle, a quelle orribili cose che comunque venivano fuori da sole in certe circostanze, o per rivedere certi luoghi o per sentire di altra gente che pativa la fame allora sì, si tornava col pensiero alla guerra, ma come così tendenza a commentare quegli anni a commentare quei fatti, fu, non ci fu, in realtà forse proprio perché eravamo un gruppo di di donne e non di uomini, e anche gli uomini ritornati dalla guerra, mio zio più, più giovane che aveva conosciuto il campo di concentramento sì tendeva a ricordare delle cose però non ‘Vi risparmio’ diceva ‘di raccontare tutto quello che ho patito’. Solo un giorno quando difese un un altro che era nel campo di concentramento, chi lo, chi controllava quell’ambiente lo diffidò dal, dall’aiutarlo, dal sottrarlo alla punizione che gli stavano dando e gli dissero ‘Per questa volta, visto che ti chiami Fisher finiamo così ma stai bene attento che uguale sorte sarebbe per te la prossima volta’. Ecco, sì. Mi si è richiamato alla mente il fatto che di vicende di guerra vissute dagli uomini furono solo queste insomma, non non poco gravi perché credo che i due anni di campo di concentramento che avevano fatto ritornare questo zio neanche trentenne a casa più simile a uno spettro che non a un uomo, eh beh sono appunto ricordi, ricordi pesanti e giustamente anche lui non voleva riviverle. E poi raccontare alle donne dei fatti di guerra non si, non si ottiene troppa, troppo applauso, non si tengono applausi, si ottengono solo inviti a tacere ‘Basta! Basta!’ per la donna è anche troppo quello che ha dovuto, ha dovuto soffrire, la lontananza di chi avrebbe potuto proteggerle il marito, il padre, il fratello e quindi anche in questo senso la guerra certo non fa un buon lavoro né per chi la vive direttamente né per chi la subisce.
PS: Ehm solo ancora una o due domande dopo concludiamo, si ricorda dove era internato suo zio?
AV: Eh non ricordo esattamente. So che erano, faceva parte di un gruppo di soldati che erano stati bloccati dopo il ’43, dopo naturalmente l’armistizio per quello che fu l’armistizio dell’8 settembre, ehm furono bloccati in Croazia e dalla Croazia furono portati credo in Germania ma no ricordo esattamente il nome del di quel luogo. Certo non fu uno di quei luoghi come i centri di importanti noti no storicamente come tipo Dachau e simili. Era probabilmente una località vicina al luogo dove dove erano stati bloccati e fatti prigionieri.
PS: Va bene guardi io la ringrazio tanto del suo tempo anche a nome del Bomber Command, del progetto, e posso spegnere il registratore.
AV: Va bene.
PS: Grazie.
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Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AViciAdM170905
PViciAdM1701
Title
A name given to the resource
Interview with Annamaria De Manzano Vici
Description
An account of the resource
Annamaria De Manzano Vici recalls her wartime childhood in Trieste. Describes the struggle of her women-only family, coping with fear, hunger, and difficulties in finding food supplies. Remembers the run to the public shelter and the terror felt after a bombing that destroyed her house and caused her grandmother’s death by heart attack. Gives a brief account of few war episodes: a soldier met after the beginning of the curfew, the return of an uncle after a period of imprisonment in a work camp, and Tito’s men invading the city after the end of the war. Highlights her deep commitment to pacifism as the only way to deal with human conflicts. Describes Allied pilots as ‘robots’ driven by someone else’s will.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Peter Schulze
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-09-05
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Francesca Campani
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:34:23 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Trieste
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1944-06-10
1945
1943-09-08
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
bombing
bombing of Trieste (10 June 1944)
childhood in wartime
civil defence
fear
home front
perception of bombing war
Pippo
shelter
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/22/7955/AAn00807-161126.1.mp3
929401797faba31a11e8b12a8b8bff83
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Title
A name given to the resource
A survivor of the Cordenons bombings (informant A)
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
An00807
Description
An account of the resource
One oral history interview with an informant from Cordenons who recollects her wartime experiences.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Rights
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This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-11-26
Dublin Core
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Description
An account of the resource
The interviewee recalls her wartime years at Cordenons, starting from the day the outbreak of the war was announced on the radio. She describes how she anticipated the air raid siren with a mixture of elation and fear, being somewhat eager to skip school. Recounts how aircraft dropped fuel tanks, followed by explosions and fires. Reminisces over "Pippo" and its menacing droning sound, with her grandmother yelling 'that pig!' at it. How she learned to discriminate between aircraft at different altitudes and to tell the difference between flyovers and bombings. Describes improvised shelters consisting of shallow holes dug in cornfields and then covered with reeds. Recollects how women used to recite Hail Mary and the Lord's Prayer, exclaiming 'Oh Lord, help us'. Mentions evacuees from Pordenone billeted in town, German rounding-up of civilians and her husband deported to Dachau. Recounts wartime hardships such as the cold, fear and hunger. Remembers the sight of black American troops and post war acts of revenge.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Marco Dalla Bona
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AAn00807-161126
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Cordenons
Title
A name given to the resource
Interview with a survivor of the Cordenons bombings (informant A)
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-11-26
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:14:23 audio recording
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This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Language
A language of the resource
ita
bombing
evacuation
faith
fear
home front
perception of bombing war
Pippo
round-up
shelter
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f9b30a813106be7cb07604ec90224c46
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
A survivor of the Cordenons bombings (informant B)
Description
An account of the resource
One oral history interview with an informant who recollects her wartime experiences in Cordenons.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-11-26
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
An00799
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
MDB: Sono Marco Dalla Bona e sto per intervistare [omitted]. Siamo a Cordenons, è il 26 Novembre 2016. Grazie a [omitted] per aver permesso questa intervista. È inoltre presente all’intervista suo nipote Mario De Piero. La sua intervista registrata diventerà parte dell’archivio digitale dell’International Bomber Command Centre, gestito dall’Università di Lincoln e finanziato dall’Heritage Lottery Fund. Prima di cominciare, la prego di rispondere alle seguenti domande, in modo da essere certi che questa intervista venga registrata secondo i suoi desideri nonchè in accordo con le condizioni poste dai nostri finanziatori. È d’accordo che la sua intervista sia conservata in perpetuo come documento liberamente accessibile al pubblico da usarsi per mostre, attività di ricerca, istruzione, nonché come risorsa online?
SML: Eh sì ah, go ditto sì. Sì, bon.
MDB: Sia resa possibile, sia resa disponibile al pubblico mediante una licenza Creative Commons attribuzione non commerciale, indicata come CC-Y-NC il che significa che non potrà essere usata a scopi commerciali?
SML: Sì, bon, aiutame.
MDB: Sia attribuita a lei?
SML: No.
MDB: Eh, ovviamente questo comporta che la sua intervista sarà resa anonima da.
SML: Eh sì.
MDB: Acconsente a concedere all’università il copyright del suo contributo per l’impiego sotto qualsiasi forma ed è consapevole che ciò non preclude il suo diritto morale ad essere identificata come esecutrice ai sensi del copyright, design and patents act del 1988?
SML: Eh sì, anca lì gavemo dito, bon.
MDB: Acconsente di essere fotografata per il Bomber Command Digital Archive?
SML: No, no.
SML: Grazie. Possiamo cominciare. Allora mi racconti se, partiamo da cosa faceva prima della guerra? Da quando è nata?
SML: Prima della guerra, beh, son nata là zò de la zona industriale. La via della zona industriale era solo una casa lunga, come quella là, e due famiglie. La Via Chiavornicco nessun i la conosseva, nessun i la conosseva. I la conossu ades, dopo dela zona industriale. Facevo la contadina, andavo sui campi, sì, a terminare la scuola, la quinta elementare a undici anni e dopo cominciare ad andar sui campi. Anche dopo sposada, sono sposada e vegnuda qua, ho lavorà un do, tre anni e dopo sono andata in cotonificio, qua al Makò a lavorar. E gò lavorà per trent’anni lì finche son andada in pension.
MDB: Dei bombardamenti cosa si ricorda durante la guerra? Il ricordo più, più antico che ha riguardo ai bombardamenti.
SML: Me ricordo dai primi, allora le case non so se conosce le case Gardonio verso la Miduna [Meduna] la sentìu parlar?
MDB: Um hum.
SML: Ben, quelle ultime cinque case là a sinistra, iera tuti fradei del nonno perché la mamma la vegniva da quella famiglia là e la era na xia e la gaveva tanto radicio no pei campi. Mia mama la iutava a cior su un ses de radicio e chi lo porta in piaza a vender, son andada. I capita i altri che se ghe diseva i picchiatelli i caccia, ma i caccia chei andava a bombardar sul Meduna no se li vedeva arivar, te li vedevi, perché iera alti, i vegniva zò così, quando i fazeva questo scherso te sentivi che indava via e mitragliava. Mi iera sul camp, arriva de Via Solde de un ruscel de acqua che l’è ancora là e l’era tanti cespugli de acace però i aveva i sopi veci soto. Cossa io fat? Dai camp che re alt vai drio la riva a sconderme drio de un, ma allora go fà come le rane che le scolta, le pianta la testa e le lassa fuori il corpo. Alora mia, le pallottole per sora, varda, e l’era tutto e i mitragliava con la venti millimetri che le era cussì che mi fasevo i vaseti dei, da meter i fiori dopo. Ma go ciapà tanto de quela paura, ma tanta che no ve digo. La prima che go avù, dopo xè rivà i bombardamenti. Alora speti ades che me concentre qua, i vegniva su per sora dei noialtri là, i vegniva su a gruppi, sette, sette, sette il primo, sette, sette, sette gruppi formava quarantanove eh, sì quarantanove cosi. Allora ge n’era quarantanove qua che i ndava su, i se distacava de zinque minuti, iera queialtri quarantanove che i andava su. E quarantanove, i cominciava anca la mattina alle otto e mezza, i finiva a mezzogiorno che i ndava in Austria. Che se sentiva el terremoto anca qua, quel de l’Africa, quel de l’Austria. E dopo i tornava zò verso Casarsa. Casarsa, dopo un po’ de tempi, i ha mes la contraerea. E coi passava i zentrava da, i na’ ofeso un persona se ha vista fumar che sà brusar e dopo non lo so dove cl’è ndà, perché non è come ades, la television ch’i da tuti i particolari, se saveva per via de voci che l’era cascà. Bon anca lì. Alora i vien su e i va a bombardar a Casarsa una notte, el vardi qua, i balconi i faseva cussì dal lo spostamento de l’aria perché l’era la contraerea là. Bon, dopo i la cambiava, da un posto i l’ha messa quell’altra e avanti. Un giorno me trovo in latteria a aiutar a far formaio e vien su un de quei che andava su ma l’era passà le montagne, la girar e l’aveva il rumor dei motori perché l’era bimotori e il rumor dei motori non l’era quel sano, l’era un rumor malà, alora fora coi der mi e il casaro e quei de la latteria, e su, drio la linda se lo vedeva vegnir zo piano ma pian e se spostava e gà molà le bombe che era qua de sora ve digo che [unclear], le cascave qua avanti, lì del brun. Alora l’era le bombe che doveva portar lì in Germania e l’era quelle, se ge diseva dirompenti perché non le ndava soto, le, quando le tocca tera le scoppiava. E se ne cascade sul cortile de la famiglia qua che la gà copado un ragasso che l’aveva diciannove anni, l’era nome, eh, bon. E dopo lui aveva far su le case il disastro che la famiglia de dove che l’è cascade, l’è vegnuda a dormir qua dopo perché non era possibile andare lì. Anca lì gò ciapava paura de trovar e sgravons. Un’altra volta ie tornado in drio lo stes un ferito e me. Alora a la matina l’era sta tanta piova e se andava la xò de la zona industriale l’era un, tute quelle praterie là, l’era una buona parte della mia famiglia la xò e parenti, ma l’era tanta acqua perché il canale spandeva e veniva su le ninfe, su i busi dopo co vegniva piova l’era un canal. All’une, quasi sempre vegniva su i bombardieri l’una, quasi tuti i lunedì i rivava. Alora avevo da resentar la roba mi che c’avevo quatordesi, quindesi ani, quatordesi ani avevo, a resentar la roba, ho dito:’ ma vai in Miduna’ che la Miduna l’era più lontan, vai lì, vegno su col careto e el cesto dela biancheria che devo lavar, gnanca rivada sul cancel el, [clears throat] el torna indrio un aereo, ferio anche quel e l’ha mollà sette bombe sul crocevia Mario, lì della casa dei miei, cascade tute sul crocevia, tute, el vardi, su un tre metri quadri, tute le sette spolette, e le sette spolette le era cussì e le’veva una vide, le aveva una elica e una vite, tute sette lì l’è cascade. L’è passade per sora la casa, el vardi, i portoni de una stalla che non se aveva ben, chei faseva cussì, il demonio, passate ste sette bombe qua sora. La domenega iera sta piova e se gaveva i pantaloni de mio fradel che quel l’è encora al mondo, mi tuti cussì sula finestra, i ciappa il sol perché se andava via quella volta, se se bagnava, e alora i meteva, sera el balcon che se sugi le gambe de le, le aveva quattordici busi le gambe dale schegge, perché l’è cascade quante sarà, dosento e cinquanta metri, tresento da casa arrivar quà so dove che l’è, adesso presso po’ [unclear].
MDP: Sì, sì, sarà, quattrocento metri.
SML: Alora l’è cascà sette bombe, sei l’è scoppiade, e una no. Facio, quele scoppiade non era dirompenti de qua, l’era quelle che l’è andava soto, e che i veva, da bombardar non so dove mi per l’Austria, la Germania, non se sa dove. I resta una de scopiar, alora ciò andavi, finio, finio l’alarme perché i cessava l’alarme quando che l’era finio, il buso che l’endava soto quella che l’è scoppiada alle undese de sera. L’era fatto, gnance un buso, el segno che soto l’era qualcosa. L’è scopiada alle undese de note, quella bomba lì. L’ha fato un buso che l’era andada soto e tanto, che stava dentro sta casa quà. Ge digo un lavoron de sta bestia, de sta bomba. Anca lì go ciapà paura e dopo non son più andada a lava là perché me pareva sempre che li beve sule spalle da...
MDP: Sta qua non scoppiata era caduta nella, su quelli che andavano a lavare alla roggia
MDB: Sì, perché se andava in Miduna a lavar e dopo in continuo i caccia sul ponte della Meduna coi fioi cussì se capiva se no. Dopo go ciapà paura un’altra volta. L’era sempre un sabato, iera sta piova, i nostri omini, mio papà, me xio, Federico, Giorgio, ti non li ha conosè, sì, Federico, i andava dai xii Gardonio l’ultima casa della Miduna, era che l’era là il trasferimento co pioveva, co l’era la neve, noialtre femine sem a casa che a sabato se puliva i seci de rame, se puliva i cuciari che quela volta ieri i cuciari de oton non iera quei de aciaio de adesso, i quei dei oton i vegniva lustri come. Sentin su la strada un toc-toc drio la casa che la vien avanti che la portava al ponte del Meduna che l’è quella de adesso, un toc-toc de cavai, i feri dei cavai, l’era un caro fat a scalera con quattro cosacchi e quattro cavai. I cosacchi, qua non ghe iera tanti, ma verso, coso, Tolmezzo, i iera tanti cosacchi perché quela volta i ghe aveva promesso che se vinseva la Germania, il Friuli ge lo dava ai cosacchi, a quela gente lì. Era tre ansiani col colbacco, quella non me ricordo e un giovane, non l’aveva niente in testa, un bel fiol zovane. Alora i vien dentro, ciò xè tute femine lì, e se iera quattro, cinque, io non so quante femmine, iera e i domanda fien per i cavai. Allora mia cugina zovine, che l’aveva il marìo soto i inglesi e dopo de Roma, la fa per andar su per la scala, ma: ’no, no,’ el ga dito, ‘faccio io’, e andò su i russi. Adeso te toca darghe quel che i vol e no dir basta e invece i se accontentà de poca roba. Alora el zovane, prima che cominciar a portar fora el fien sul carro, el me fa a mi, me par ancora de veder sto dio qua, sto: ’tu, sposata?’, ‘no’ go dito, el se gira col fien per andar fora sula strada gaveva de andar fora che iera sconto o ciapà de corsa, son ndada là che iera i omini: ’vigni che è i cosacchi, vigni che è i cosacchi’, non podevo nianca respirar co son rivada, per i campi per andar là dai miei xii. I vien a casa de corsa, cosacchi non iè più, i iè dito i è andadi so verso e la zò se vedeva verso il ponte del Meduna allora me xio che era un cazador [unclear] e ghe fa la tira per dove che i va. Cari miei, dopo un po’ che iera andadi zò sentin mitraglia par quà, mitraglia par de là, non se sà se li ha avertidi, sia rivadi per combinazion i picchiatelli, i li ha copadi i cavai e anca omini, tuti sul guado che non ‘ndava il ponte quela volta perché l’era disagià, caminava su l’acqua chi’veva fato il cimento soto aposta, camion tuto, il meso che ‘ndava su verso Udine, i li ha copai tuti quattro, militari e anca i cavai. E alora noi altri mi xio sò par là, chissà se, xio Bebi, ti non te lo gà conosù, no, a l’era un cugin de mio papà, [unclear] assieme, bon, ciapà paura [unclear] non se sà sì sì perché l’era poca distanza in linea d’aria eh, anca lì gà ciapà tanta paura, mi gò ciapà paura anche par i cosacchi, perché i fioi non [unclear] con le femmine, sì quella volta. E dopo coi bombardamenti in continuo, in continuo, che il lunedì iera infallibili, quarantanove, un po’ piu grandi, un po’ piu’ picoli coi quarantanove, lontan, i luccicava co l’era el sol, in quarantanove fin che te li vedeva, e dopo i vegniva zò per Casarsa, e bombardà Casarsa, dopo, dove anca, quà a Pordenon, quà a Pordenon i ha bombardà, sì, verso la stazion, che l’era, e suo pare l’era Romanin amico de mio suocero qua, el diseva, vegniva su le nuvole bianche, guardà feminis quanta lana da filare che l’è lì a Pordenon, se vedeva, eh se vedeva le, le, quelle de picchiatelli anca co iera sette bombe e dopo l’era quel de note che non ne lassava dormir. Eh cossa ghe dixeva lì, el, [sighs] el meteva zò manifestini, el vegniva basso, el passava per sora le case che el feva quel rumor, meteva zò fasci de bigliettini, na volta la metto zò, ‘io sono Pippo, aviatore, no, Pippo, cose, di notte, di giorno lavoro e di notte faccio l’aviatore’, l’era, tute robe in rima chel’meteva zò, anca quel el faseva dano e se l’vedeva un lustro, lì che vedeva il lustro, l’meteva zò e noi eran qua a passar le grave [unclear] gà ciapà tanta paura. Dopo queli de notte anca non le andava veder, se andava sulla stalla perché quella volta là era là el posto. Una notte i vien, i bombarda el Ponte della Meduna e i meti zò i bengai prima, bengai iera dei tubi cussì de acciaio che’i feva il foco e i aveva el paracadute di pura seta che mi andava a veder per ciorli su e l’aveva zà ciorl su il moroso de na mia cugina, bon. E vara, l’era sul nostro cortile te podeva infilar un ago dal lustro, te vedeva le pallottole che le se incrociava ch’i bombardava come, perché il ponte del Meduna l’era su una casa lì dove che l’è el sotopassaggio, ades xè soto prima l’era da sora, appena del sotopassaggio l’è una casa non so cossa che l’era una volta che, e la stava una cugina nostra, e i aveva lì, su quel caseggiato lì, quaranta carabinieri e i faseva tre turni de guardia al Ponte del Meduna perché che’l non andassi i partigiani a farlo scopiar. I si è accort e li è andadi a bombardar là il ponte ma per fortuna non i ha fa danno per i militari. Ben, noialtri con quei altri il suo da far. De not l’era stà la piova sentin un caval che veniva su dal Ponte del Meduna e iei i partisani che col fusil i ciama me xio. Mi e me cugina, andavo a dormir con mia cugina mi, quela che gaveva il mario soto i inglesi. [unclear] ‘chiudete quella finestra altrimenti vi sparo’ mi ho riconoscu la vose des to individuo l’era un ciarlatan. Veniva zò me xio: ‘chi è quel lazaron che me clama per mi nom, el me punta el fusil in mies, fra le sfese del cancel’ ‘aprite’, i verzi, l’è un caro de roba, no i vestiti di carabinieri, ma tutta la, tutto quel che i veva, coverte, i aveva quaranta coverte da casermaggio pesanti, de lana, bele, nove, aveva quaranta de [unclear], alora i porta sù la stala, me papà e me xio, ‘va, va, faghe la tira’, paura, fatege dir cossà i fà, tira fora sula stala invece iera, par furlani e va aiutadi portassi il basco che queglialtri e uno lo butti, te me capisi che parlo cussì? sui pedai di Murans che si andar zò dove che io doveva de andar, aveva dei murari grossi cussì, e barba el dis, ‘so io de sentinella’, l’era un furlan, e arrestadi in quattro ore. Passo la roba, i vestiti, le biancherie, tutto, e i aveva una velocità [unclear] de cursa e una trovà un orologio el saveva che la iera in qualche parte ‘mi ho ves che’ e me a fa, sito, mi o dit niente, e dopo i continua a portar, i metter sui sacchi ste coverte, i le porta zò sul bosco, mi e me cugina a portarghe merenda, mezogiorno e cena per una settimana. Allora un giorno vai zò, go dito adesso [unclear] e dito, giovani, ho dito me de un do siole de quelle lì da farle, i aveva un tascapan de siole decorà ma de quele ma le iera cussì striche non ritagliade che o dito a un mio parente che me fa far un par de sandali. Sì sì, ga dito, ciapa, me le ha date, ho fato i sandali che ho portato anche quando son sposada coi sandali lì. Bon, e dopo i passav, i me ha dato una siarpa, di seta blu, che, e l’aveva delle mezelune sormontade, una meza bianca e una gialla, di seta, a mi che me piaseva cusir, far ste robe qua, me mete per far, el papà: ’scondighe la siarpa che i non si vie qualchedun dei carabinieri che la conossi’ e scondi la siarpa eh, non te pol tirarla fora. Al giorno dopo voio de andar a Pordenon, son andada pel ponte della Meduna e l’è el comandante al braso de una signorina sulla strada che il feva tutte le smorfie. Poi fai i lavori che non so cossa xè de far, torno a casa e ghe dighe, ‘savè che gò trovà el comandante con la signorina là, non li rivedo lì sul cancell!’ Ho dito, l’ho vista, ho dita, a spasso, ho dita, dalla parte là dei carabinieri, Eldis, non è mica mia moglie, neanche la mia fidanzata, Eldis è una partigiana come noi, e allora siamo andati a spasso per far vedere che lori iera do innamoradi, si andava a veder le voci. Perché sa tu dove che iera, [unclear]la vizin de dove xe deso il centro del Meduna che l’é quella casa vecia de contadini?
MDB: Um hum.
SML: Lì da quella casa lì una mattina ia trovà un carabinier in mutandine [emphasises] che i gaveva portà via tutto! Tutto i gaveva portà via! E insomma, gavea portado a magnar, dopo ghe domandar la siarpa e me l’ha data e ho portato a casa quella. Dopo cossà avevi che, ah, i veva un tascapan de prugne secche, ho dito, ‘cos fe’ voi de quella roba lì, dame a mi anche un po’’, i ge domanava a mia cugina, la me diseva: ’a ti te da e a mi non me da nui’ ma dopo quando sem a casa magnassi assieme. Ma anca lì gavemo avudo el nostro da far e dopo i è vegnudi a ciorli, a ciorl la roba. Un qua da Cordenons, pueret, el aveva el papà e do xii, no ansiani, iera i genitori, mandar un toset a disdoto anni col caval a ciorl la roba e menarghe su la roba in montagna che mio papà dopo il ghe ha dito suo padre :’ara che te ha gavudo un buon coraio mandar Toni Fantin’ quel era venuto a ciorl la roba per portarla in montagna e invece le armi chi aveva i carabinieri li aveva sui sa che portava la roba lì de noialtri e i andava su in montagna coi sacchi e le armi chi doveva portar via. Dopo anca tanta paura non solo di aerei di partigiani perché là sò i partigiani li ha fat, mi lo dighi a tuti, i partisiani sò per là i varà fat a po’ no. Allora, [sighs], me par de sofegarme quando che parle dei partigiani,
MDP: [unclear]
SML: I è scampadi, petta come se, non so, prima de rivar al ponte, a destra che l’è quel capannon iera accampadi lì e a sinistra che l’era i terreni de e una volta le iera la fornace lì e i aveva dove ch’i giocava sulla creda e dopo i aveva dei cumuli cussì che noialtri fensi le legne e, i va a accamparse lì, i vien a dormir sula nostra stalla, de note passava la pattuglia tedesca perché se la sentiva parlar, e noi altri si viveva lì. Lì aveva il deposito de, ‘eh doman andar a Pordenon a sequestrar tizio, caio’, allora me papà la mattina buon ora via de corsa a Pordenon, va là de quelli: ’ste attenti che i partigiani’. [sighs] Dopo el vien la disfatta, i ha le armi, i le sconde, ti non te sa là che stava la Maria Egidio, dentro la, l’era in autunno chi aveva taglià il sorgo da far le scove, era mietu cussì li sotte, ala domenica per i fioi, i trova le armi cominsia a sparar. L’ultima casa de Gardonio aveva una pompa artesiana che nissùn sa da dove che la vegniva, la buttava cussì, bassa, e l’era lì mi sia e una sfolata che suo fradel lavorava, l’era impiegato in cartiera, sbassarse perché le pallottole ghe passava per sora. Allora quei de Gardonio là iera andadi via ga dito portè via quelle armi ma non se sa dove che i le gha portade. I le ha portade lassù i diseva de Giovanni Pez del casell che vien zò l’acqua di sera, del Meduna che vien zò l’acqua del canal, vien el 18 di gennaio del ’45, sì, una cugina mia che la ga avù una fia, i me a dit, se andai, i me ga dito, ‘varda che la [unclear] a avù una bambina’, alora bon vegno sò a casa contenta a dirghe col sac de la farina sulla cosa. Co son sulla sponda del canal lì della cartiera, l’è il camion dei cosi, delle camice nere e mi, el comandante de Pordenon el se ciamava, bon, le me pensi, e lo conosù, e vai zò, man man che andava zò trovava sempre camice nere, arriva sul crocevia lì, che vien sò per la nostra strada quei altri che andava zò per, i miei parenti per andar in Meduna e l’è un me zio dalla parte de mio papà, li gà [unclear] iera cussì e ghe, l’era la neve intera, i ghe sparava una volta da una parte, una volta dall’altra le camice nere, che ha da dirne dove che iera i partigiani, dove che l’ha le armi quello el aveva tanta paura, nol saveva nè dei partigiani nè delle armi, ‘non so, mi non so’, il ghe diseva, ma i continuava. Allora mi mollo i carell drio la strada e via de corsa là dei miei, iera de Gardanio perché giera sta la piova e la neve, via de corsa. làla è la sfolata che la iera la morosa del dottor, ginecologo de Pordenon, che l’era quel rinomato, ’Anna, ah lei è il tenente Colombo’, Colombo se ciamava, tenente Colombo lassù del, che l’fa, cossa? Me ciapa la bicicletta che iera sol che le rode quel del moroso che vegniva a trovarla. La va sù e la ghe disi cossa fa tuti qua? Vergognite, va via de qua! Che per sta gente qua, son responsabile mi, le armi le iera, varda là che l’era, dove che l’era le armi. Adessi le portava via e non savessi dove. El fila e va via. Va là su de Giovanni Pes che disevo noialtri che l’era un cugino de mio suocero qua, l’era lui e suo fiol, che suo fiol l’era un partigian de quei che. Ma go ciapà tanta paura, col camion i andadi sù, le pale i veva, i saveva tutti, le camice nere, i ga dito, ades vegni qua, vedè de tirar su quei tre morti che ve sotterrà qua, l’era un tedesco e do italiani ma de quei, no de qua, no iera, i ha fatto tirar su i morti che iera soto e fati caricar, el dis, el fiol, el gaveva paura, [unclear], il giorno prima se vignudo me papà perché mio papà l’era el padrin de cresima, ah santa quanta paura che go ciapà ieri, pensè che mi meti sul camion con mi con lori, e xè andadi via coi tre morti le camice nere e dopo i rivadi qua che i vegnudi su i americani e stada tutta un’altra roba.
MDB: E durante gli allarmi come si sentiva quando suonavano le sirene?
SML: Ah, vara, non te saveva. Intanto se te iera per i campi te doveva vegnir a casa. Una volta se men trovà con una fila de bestie in mezzo ai campi, fortuna che l’era un fosso per scolar l’acqua perché la sò iera argilla e ghe voleva da scolar l’acqua. Andar sotto le piante, sotto le vide tutte ste bestie ma lori le vedeva lo stesso, ma li aveva altri obiettivi, per loro, i ndava sui obiettivi mirati dove che i saveva, diove che iera. Quando ge sonava l’allarme? Te prego che non. A me sorela, quella che l’è morta pel par che l’è do anni i ha fa perder un anno de scola perché non era possibile mandarla a scuola e de note sonava l’allarme e iera da menarla sull’ultima casa là dei nonni che l’era sto foss che lè ancora là, un fos cussì, allora i l’era midù, tutti travi unidi, e i aveva coverto un tocco de fosso, e sovra i aveva midù sacchi dei sabbia in modo che se cascava anche bombe piccole no, non le vegniva sempre sul fossal, ha portarla, sempre, la zò. Sul fienil vigniva tre, quattro de lori, il dottor Moro, quel, quel che l’è
[phone rings]
SML: Allora de note l’ha portà in fossal allora il vegniva il dottor Moro che l’era sul fienil che el vegniva zò a dormir tute le sere qua zò perché l’era sta rastrellamento anca, ai 23 de luglio, petta, i 8 settembre l’è sta la division che il re l’è partì lu e so fiole, ma iera a Napule e dopo l’è vegnù, el fronte l’è vegnu a Roma e dopo de Roma, Cassino. A Cassino l’è stat otto mesi che mi scoltava el bollettino de guerra, dovevo andare ogni sera a comprare el giornal della sera per me e papà. El leseva el bolletino de guerra metevimo tutti da parte tanti, dopo xè rivà mia sorella, ella ga buttà via tutto e la mia cognada. Mi scoltavo sempre el bollettino di guerra. El fronte l’era a Cassino che l’ia buttà zò el coso de Cassino, de San Benedetto, perché i pensava che dentro fossi stà tanti tedeschi inveze ge n’era pochi, iera un pochi de polacchi e basta, non l’era tanti militari, otto mesi l’è stati avanti indrio, finché dopo l’è vegnu che la Germania, el se gà ritirà i tedeschi, iera vegnudi su queglialtri. Dopo cosa gavevo de dire ancora?
MDP: Come ge sonava gli alarmi? Te stavi disendo?
MDB: Sì, quando suonavano, quando suonava gli alarmi, che vi nascondevate nei fossi.
SML: Ah, lì sì nei fossi finché non cessava. Perché i dava il cesso allarme anche de notte. Ma quella volta i n’era qualche gruppo che l’andava sempre su, sempre su. Il a bombardà anche il ponte del Meduna, sì, anca de note, anche a Pordenon i gà metù qualchedun quà de note, verso la stasion perché i tentava, ehm, i posti dove ch’i fermava le fugite, sì, e lì tante volte mi e me sorelle e far perder scola perché non era possibile mandare a scola, ella con la paura che l’aveva.
MDB: E i vostri genitori che cosa vi dicevano per, quando c’erano i bombardamenti?
SML: Cossa? Ste dentro, non ste andar fora. Eh, i bombardamenti, l’era, ma più de tuto non l’era, qual’è stato il danno de quei due offesi aerei, ma il resto l’era il passaggio che i ndava sù, de qua e tornava zò verso Casarsa.
MDB: E i picchiatelli, come mai li chiamavate così?
SML: Perché i picchiava. E i picchiatelli iera bianchi, contro il sole l’era una freccia che la brillava che iera tre, quattro alla volta, se vedeva quattro bombe coi picchiatelli, coi feva cussì mollava le bombe, se li vedeva a corona, le iera picade una drio l’altra.
MDB: Bene, io la ringrazio per questa intervista.
SML: De quel che go potuto dir, mi no. Date ho poche date.
MDB: Ah ben, le date non, diciamo che non solo quelle che importano, importano le sue impressioni.
SML: Vara, tanta paura, tanta. Son stato anche de quei che i è stadi offesi più de quei che dopo, dopo se gà ciapà l’abitudine chin dava su, l’era anca na abitudine vegnuda, noi faseva danno qua ma quei chi iera offesi, eh sì.
MDB: Bene.
SML: Iera offesi. Posso offrirghe?
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Title
A name given to the resource
Interview with a survivor of the Cordenons bombings (informant B)
Description
An account of the resource
The informant remembers wartime episodes in Cordenons and the Pordenone area. Mentions aircraft en route to Austrian targets contrasted by anti-aircraft fire, while she was taking shelter in a ditch. Reminisces the bombing of Casarsa and the Meduna bridge. Recollects wartime episodes: bombs falling in a courtyard and killing a young boy; four Cossacks on a horse-driven cart asking for hay to feed the horses and her worries about the men harassing women; Pippo flying at night and dropping leaflets; hiding men in the barn house during roundups; her uncle being questioned by fascist militia on partisan whereabouts and weapons depots; Carabinieri guarding the Meduna bridge; collecting the silk parachute of the flares.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Marco Dalla Bona
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-11-26
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:37:08 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AAn00799-161126
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Cordenons
Rights
Information about rights held in and over the resource
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Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1943-09-08
anti-aircraft fire
bombing
fear
home front
Pippo
round-up
shelter
strafing
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/72/719/ARaffinE161210.2.mp3
7bd5f6ab34fcdd7a3037a24972643f55
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Raffin, Ettore
E Raffin
Ettore Raffin
Description
An account of the resource
This collection consists of one oral history interview with Ettore Raffin who recollects his wartime experiences in Cordenons.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-12-10
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Raffin, E
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
MDB: Allora, buongiorno Ettore.
ER: ‘giorno.
MDB: Cominciamo oggi l’intervista per l’International Bomber Command.
ER: Adesso si parla, adesso si parla degli aerei inglesi.
MDB: Sì. Eh, cominciamo l’intervista per
ER: Io ti faccio presente adesso eh, ti spiego.
MDB: Sì, cominciamo l’intervista per l’International Bomber Command.
ER: La linea di ferroviaria
MDB: Sì.
ER: Che va da Mestre da Trieste era tutta così, un coso, e gli inglesi, di notte viaggiavano inglesi e stavano a, come si dice, a guardare, sì a guardare, a mitragliare e a mettere giù bombe sopra la ferrovia perché passavano i mezzi tedeschi, e di quello che mi ricordo così e si chiamava Pippo [emphasises] l’aereo. Era inglese. Viaggiava di notte. Era uno solo. E si davano il turno, si vede faceva certe ore poi e di nuovo un altro tutta la notte era così, protetta, no protetta, era, era, come si dice, quando, quando succedeva, quando vedevo una un coso, la ferrovia, treni correre pieno di militari o pieno di armamenti, loro venivano giù, ma solo, ma solo, e tutte le notti era questa cosa eh. Si chiamava Pippo questo aereo. Già si vede che aveva proprio il suo turno. Uno faceva non so quante ore poi un altro. Poi io te ne dico un’altra. Qui sopra il mio, nostro tetto qua, per giornate intere abbiamo visto gli aerei americani a squadriglie a sei per sei, eh. Succedeva che quando, succedeva che quando, succedeva che quando, uno si guastava allora non proseguiva perché questi aerei andavano tutti in Germania a bombardare. Qui non succedeva niente, qui viaggiavano a sei per sei e venivano, insomma portati dei caccia americani, no, le squadriglie, tutti, tutte si chiamavano fortezze volanti, ecco. E poi succedeva che qui non c’era niente, non c’era contraerea, però, neanche i tedeschi non avevano più tanti, tanto caccia da, portarci, portarsi dietro però era successo, succedeva invece che quando, con il viaggio lungo, perché questi venivano, adesso ti dico dove, di quello che si è saputo. Venivano da, aspetta, aspetta, aspetta un momento che, deve venirmi sai, dunque sì, sì, dall’Oceano Indiano, eh, sai dov’è l’Oceano Indiano? Ecco, sulle isole là, su quell’isola partivano da, tutti questi aerei, sai, ma per una giornata intera sai, eh, e sei per sei, poi succedeva però che col viaggio qualcuno si guastava, sì, o il motore o non so neanche, tornavano indietro e scaricavano le bombe. Però non hanno mai scaricato le bombe sui posti dove c’era abitazione, cercavano di sganciarle sui posti non si può dire che noi non ci ha fatto niente queste cose qua anzi noi dicevamo e ora che cominciamo a vedere gli americani, inglesi, eh? E come la stessa cosa ti dico e qua la scuola nostra avevamo e inglesi e quelli non possiamo dire niente noi, tutta brava gente. Ce n’erano di tutte le razze, sudafricane, neo, aspetta, indiane, Sudafrica, poi, sta’ attento, tutte intorno avevano le colonie, avevano, erano, poi c’avevano insieme i polacchi [cosacchi] anche e qui io ti posso una cosa dei polacchi questa che è stato un periodo che sono venuti i polacchi [cosacchi] qua, e avevano coi cavalli tutti i suoi mezzi e si sono fermati qua e poi sono andati su per San Quirino, forse sono stati mitragliati dai inglesi perché qua gli inglesi aveva più potere degli americani. Poi ti dico della base americana qua. Quando son stata liberata, prima sono venuti gli inglesi a liberarla, poi sono, poco tempo dopo sono arrivati gli americani. Gli americani hanno messo la base, la base aerea di Aviano. E noi possiamo, mai nessun contrasto con loro, sono stati smistati a fare il suo mestiere a noi ah sì anzi avevamo il piacere di vederli. Poi spiegavano questa cosa. Io vado avanti, così capiscono cosa vuol dire, quando abbiamo visto gli Americani inglesi siamo stati molto contenti.
MDB: E quando scattava l’allarme, cosa, cosa succedeva?
ER: Cosa?
MDB: Quando suonava l’allarme, la sirena d’allarme.
ER: Oh, non suonava l’allarme, guardi, niente.
MDB: No?
ER: No, perché qua non bombardavano. Venivano su dall’Adriatico, prima su dall’Oceano Indiano e andavano su, attraversavano l’Africa là, penso là, e poi venivano su la, imboccavano l’Adriatico e su diretti per l’Adriatico, sopra l’Adriatico, non c’era contraerea, non c’era niente e venivano su, e passavano e andavano su diritti su in Germania. Poi il ritorno non veniva giù di qua, andavano in Inghilterra, tornavano a caricarli di nuovo per bombardare, tornare indietro e bombardare. Perché la Germania era rimasta tutta a pezzi, eh!
MDB: Ehm, e prima della guerra, si ricorda cosa faceva, aveva fratelli, sorelle? I suoi genitori cosa facevano prima della guerra?
ER: Oh i miei genitori. Mio papà era in America, mia mamma era qua, abitava qua con le mie sorelle e mio fratello. Però mio fratello non è stato in guerra perché mio fratello, un anno prima che cominci la guerra è stato richiesto in Germania, perché faceva il falegname. Era a Friedrichshaven e là, è sempre stato là fino alla guerra. Ha sempre lavorato in Germania per i tedeschi. Poi quando è venuto indietro, è venuto indietro per la Francia, mio fratello. Però, come ti dico, altre cose. Io ho visto sai cosa anche. Che quando a Trieste, Trieste cercavano di lasciarlo agli slavi, agli iugoslavi. Ed è intervenuto perché il signor Churchill aveva proprio, come si dice, Trieste perché vada in mano agli iugoslavi. Invece sono, poi sono arrivati gli americani. Io ero a Pordenone che avevano messo i treni che venivano arrivavano e gli americani, gli americani hanno bloccato tutto e Trieste è rimasta italiana. Hai capito?
MDB: Ehm.
ER: Dimmi.
MDB: Cantavate qualche canzone, qualche, facevate qualche preghiera durante?
ER: No, no, non si usava qua.
MDB: Ehm, non so, ha qualche altra, si ricorda qualcos’altra, qualcos’altra da raccontarmi riguardo a?
ER: Io posso dire, quello che mi è successo a me.
MDB: Racconti pure.
ER: Dunque un giorno, eravamo quattro di noi, tre erano del ’25, io ero del ’26, era settembre, siamo andati su per la campagna, andavo a prender uva sai, su, dove c’era qualche vigneto. Sul ritorno, sull’incrocio della via maestra, quell’incrocio che è qua su sai, quando vai su verso Via Cervell, quell’incrocio, quando c’è quell’incrocio lì, poi vai su, vai su verso la campagna ma vai dai su vabbè, là succede torniamo indietro a piedi era di domenica [pause] siamo sulla strada, sull’incrocio, vediamo che la via maestra viene una camionetta col mitra, si col mitra, col mitra, colla mitragliatrice sopra coi tedeschi poi c’hann visto [Mimics orders shouted in German] la lingua non si capiva. Si sono fermati lì faceva adesso c’è un giardino lì, faceva angolo così, si sono messi là, sopra eran due quelli lì, uno l’han impiccato in piazza, il giorno dietro, e l’altro è stato ucciso su per Bicon, sai Bicon, sicché fermati solo ti giuro due di loro col mitra ci hann toccato armi non ce ne avevamo e hann detto ‘andate, andate pure’. Sicchè veniamo giù per la Via el Zervell quando siamo con quell’osteria là erano tutti che giocavano a carte. Siamo andati dentro scappate che sono i tedeschi che vanno a rastrellare e io sono andato, lasciato la borsa e sono andato a casa mia. Quando ero a casa mia io ho sentito [makes a machine gun noise] in piazza, adesso ho detto ‘ammazzano qualcheduno!’. Succede che quando, gli altri sono andati, sono i miei amici che eravamo assieme, sono andati ognuno per conto suo, io sono venuto a casa. Ho sentito [unclear] e la figlia, e succede perché dopo quella cosa che è successo dopo l’ho saputa da uno che era in Argentina con me, un mio paesano, che è scappato per poco, per poco. Perché è successo questo: hanno bloccato il cinema, una volta dal cinema in piazza c’era una mula davanti, era una folla, i cancelli erano tutti aperti e il cinema, erano dentro al cinema solo che arrivano i tedeschi e questa, sempre questa camionetta. E tutti cercano di scappare di qua, di là.
MDB: Ci fermiamo un attimo. Allora riprendiamo. Stava raccontando.
ER: Allora succede che questo. Che quando siamo, sì, io sono a casa mia e sento una mitragliata.
Unknown speaker: porta chiusa.
ER: Bene.
Unknown speaker: devo far el giro de qua, porta chiusa.
ER: Uno era, erano diversi partigiani dentro. Sicchè lui, questo qua che ti dico io, era scappato, e l’hanno preso, l’hanno messo sulla camionetta, assieme con quei due che avevano lì uccisi e anche lui dovevano ucciderlo perché avevano trovato la pistola. Questa me la raccontata lui. Sono rimasto quando me l’ha detto ‘lei non porta’. Arrivato lo hanno detto sicchè uno dei partigiani va di dietro per la via Nazzario Sauro con la bicicletta per andare ad avvertire altri partigiani che erano giu’ per cortina o giù di là. Questo quà prende la bicicletta, prende la strada per andare giù in cortina dentro il municipio. Quando in piazza erano lì con la camionetta han visto uno di corso in bicicletta, han cercato di sparargli, ma poi non han potuto perché c’era il municipio però di là era l’altro lato aperto. Quando lui è arrivato ha imboccato la strada per andare giù han cominciato [makes a machine gun noise] hann ucciso. Quello era un Raffin come mi chiamo io. E’ caduto nella canale, c’era la canaletta d’acqua, è caduto là. E così è successo. Hai capito, l’errore?
MDB: E se dovesse descrivere diciamo il periodo con qualche emozione, che cosa, che emozioni userebbe?
ER: Di che, di cosa, non ho capito, non capiso.
MDB: Se dovesse descrivere quel periodo con qualche emozione, tipo paura, tristezza, cosa userebbe?
ER: Sempre paura, caro, sempre paura.
Angela Piccin: Tanta paura, sempre.
ER: Sempre paura.
MDB: [unclear] Un giorno succede che le voci dicevano che sta avvenendo un rastrellamento, e la gioventù sai. Sicché bene mi dice la mia cugina che abitava di là ‘Ettore, ti dico io se c’è qualcuno la mattina presto’. Sai perche’ quando sei giovane, dorme di più la domenica, boh, niente. La domenica dietro, no, l’altra domenica, abbiamo detto, eravamo d’accordo col prete è siamo andati a dormire sopra la chiesa, abbiamo passato la notte là e poi torno indietro, niente.. Va bene, sai, la domenica dopo è successo che erano, son venute sicché mia cugina mi ha avvertito e io sono scappato. Sono andato da mia sorella che c’aveva, sopra il granaio aveva un, come una cameretta col, proprio col balcone e là, son rimasto là. Ma gli altri venivano non so, se c’era a casa mio padre, portavano via mio padre perché se non mi trovavano a me perché c’avevano una lista. E allora è andata liscia. E ho saputo della cosa qua, del, dei tedeschi in quella volta che è stato al cinema uno che mi ha detto, mi ha spiegato, mio paesano, che qua lui, lui era stato preso, sei stato fortunato ho detto perché ‘vara, perche’ era la pelle sicura eh!’ [unclear] Non era, non bisognava avere avvocati, non c’era niente da fare. Ah no.
MDB: Ha qualcos’altro da aggiungere, non so, vuole raccontare qualche altro aneddoto, che si ricorda?
ER: Eh sono quelle che cose, perché sì io non sono mai stato tanto, non andavo tanto in giro io. Perché meno che andavo in giro, eh! Perché dico anche una cosa. Quando sei giovane ti viene neanche la voglia di vedere quelle cose là, perché la prima cosa che mi ha, la prima, la principante è stato che io non andavo fuori di casa però ho sentito che è stato impiccato in piazza questo, ho detto a mia mamma ‘adesso io vado a vedere’ e sono andato di lì piano piano sul difuori e sulla curva la via si vedeva il municipio, si vedeva quello là appeso. E son venuto via perché ero, una roba, perché qua erano i fascisti. Però altra, ti dico un’altra cosa. Però anche i tedeschi, quelli che erano qua, quelli che erano qua alle scuole, per questi portavano rifornimenti sul fronte. Perché giù in Italia c’era il fronte, e quando, e questi loro non facevano niente a noi. E loro avevano un rifornimento del coso, del materiale doveva succedere in guerra. Però ti dico un’altra. Che sono rimasto male anche sai perché? Perché dove c’è il bar dietro al campanile, una volta c’era il consorzio agrario. Lo gestiva mio cognato. Senonché mio cognato un giorno mi dice ’Ettore, vien a darmi una mano’. Che là prendevano su, il girasole sai, io per girarlo, punto in bianco i balconi erano aperti e le scuole, tutto là, fuori da scuola erano due di guardia, due tedeschi, [unclear], viene giù di una piazza vestito da partigiano col mitra e con la bicicletta. Erano gli ultimi giorni della guerra, erano, sì, era per finire. Senonche’ questo qua viene giù, ti chiamano fuori tre di loro, sai, loro perché noi avevamo i balconi al piano terra perché eravamo lì davanti dalla scuola, l’hanno fatto prima gli hanno levato le armi che aveva e poi, sui locali che son di qua, l’han incantonato [?] e poi gli hanno sparato, tre di loro [makes a machine gun noise] è stata paura, caro, quello che mi ricordo. Non posso ricordarmi tutto, sai? Tante cose eh, tanti anni. L’ho detto: di queste qua non mi sono mai dimenticato. Anche degli aerei tutto. Io non ho mai visto tanti aerei come, mi davvero, ma facevano rumore assai, tutta la mattina. [pause] Ciò, andavano sei per sei sai, e tutti carichi eh. E gerano, le fortezze volanti, sono e sarebbero quelli che hanno messo la bomba atomica là in coso, in Giappone, sì, questi era, quel tipo qua, quel tipo qua, di quello che ho sentito. All’inizio era un po’ più grossi di queste. [unclear] Eh, dai caro mio!
AP: Gera una paura, paura per tutto!
ER: Le squadriglie, Madonna! E gera tuti quei aerei la! E sai, son tanti anni, non mi ricordo più tanto, tanti , io non, non mi son mai messo fuori di casa, mai! Io sono sempre stato chiuso qua, o da mia sorella che abitava in Via Nazario Sauro, sono sempre stato, hai capito? Di quello che so io, che perche loro.
AP: Perche quando c’e’ la guerra bisogna esser contenti.
ER: Noi si sapeva le cose, sai perché? Mio cognato aveva una, la radio. Era un portare [?] abbastanza buono. Mettiamo le onde corte e si prendeva London. Faceva tutto [hums the the first notes of Beethoven's 5th Symphony] era, loro ci spiegavano in italiano e se no Radio Mosca prendevamo. E sapevamo certe cose, anche del fronte, tutte ste cose. Quelle erano le cose che non si potevano sapere qua.
MDB: Bene, se non ha altro da aggiungere, io spengo il registratore. Non so, ha qualcos’altro ancora? Si ricorda ancora qualcosa?
ER: Se mi viene in mente, ti chiamo.
MDB: Va bene. Allora io spengo qui, la ringrazio per l’intervista.
ER: Sì.
MDB: E grazie di tutto.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Ettore Raffin
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Ettore Raffin describes his early life in wartime Cordenons, his father being in America and his brother at Friedrichshafen. Remembers watching masses of aircraft heading north en route to targets in Germany. Maintains that bombers took off from bases in the Indian Ocean. Mentions the frightening presence of "Pippo" which bombed and strafed the nearby railway line. Stresses constant fear and recalls public executions, roundups and anti-partisan repression. Mentions occupation by Cossacks and remembers clandestine short wave radio listening to London and Moscow. Recalls the end of the war and highlights the multinational character of Allied occupation forces.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Marco Dalla Bona
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-12-10
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:23:07 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ARaffinE161210
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Cordenons
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
bombing
childhood in wartime
fear
home front
Pippo
round-up
strafing
-
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https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/64/570/APasettiAMS161201.1.mp3
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Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Serafini, Anna Maria
Anna Maria Serafini
A M Serafini
Description
An account of the resource
One oral history interview with Anna Maria Serafini (b. 1922) who recollects her wartime experiences in Bologn and Imola.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Rights
Information about rights held in and over the resource
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Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Pasetti, AM
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
GF: Buongiorno signora Maria.
AMS: Buongiorno.
GF: Le chiedo se può raccontarmi cosa faceva, com’era la sua famiglia, dove abitava prima che scoppiasse la guerra.
AMS: Dunque io abitavo in via Pascoli 7, i miei genitori, mio papà ingegner Filippo Serafini [pause] era presidente dell’Aeroclub di Bologna [pause] devo andare avanti?
GF: Sì, sì, prego, mi racconti pure.
AMS: Ah, allora io ero giovane perché sono nata del ’22, il 16 luglio del ’22, perciò sono stata prima a scuola, alle scuole Pascoli poi sono passata al liceo Galvani che era un liceo molto importante a Bologna, ed era gli studi classici. Io facevo il liceo, quando è stata la seconda liceo, mi sono fidanzata con Luigi Pasetti che allora era uno studente. Lui era appassionato di volo, mio padre era il presidente dell’Aeroclub di Bologna, il mio, allora il mio fidanzato prese il brevetto di pilota civile, con questo lui sarebbe stato richiamato in aeronautica qualora lo avessero richiamato. E così noi eravamo fidanzati e scoppiò la guerra, eravamo ancora fidanzati. Mio marito fu subito richiamato, fece ehm il servizio militare come aviatore eh, e io continuai gli studi fino avere la licenza del liceo classico. Siccome mio marito, insomma il mio fidanzato, era lontano io mi, avevo preso il diploma del liceo classico, mio papà, benché io fossi molto giovane - avevo 19 anni - ci lasciò sposare e noi ci siamo sposati il 9 aprile del ’42 in piena guerra. Fu un matrimonio proprio bello, di guerra mio marito era in divisa da tenente, sottotenente dell’aviazione, e lì c’è la fotografia. E poi mio testimone fu il generale Ranza, Ferruccio Ranza un eroe della guerra mondiale, della seconda guerra mondiale, anche lui generale d’aviazione. E testimone di mio marito fu un suo collega anche lui sottotenente d’aviazione. Mio papà era in divisa da colonnello d’aeronautica perché lui aveva fatto la prima guerra mondiale come pioniere dell’aria infatti lui era vice presidente dei Pionieri d’Italia, ero stato uno dei primi aviatori italiani nella prima guerra mondiale. E allora in certe occasioni poteva vestire la divisa perciò fu tutto un matrimonio in divisa. Noi ci siamo sposati il 9 di aprile del ’42, finita la licenza che mio marito aveva avuto per un mese io lo seguii perché lui era allo stormo di bombardamento all’aeroporto di Aviano, a Pordenone, io vivevo in albergo a Pordenone e lui faceva il suo servizio militare. Siccome ero rimasta incinta sono rimasta lì vari mesi poi quando fu il momento di, che dovesse nascere questa bambina io sono venuta a Bologna, in Strada Maggiore 26. Siccome allora c’erano i bombardamenti sulla città di Bologna però noi si sperava che essendo una casa così in centro, quasi vicino alle due torri lì si potesse stare abbastanza tranquilli. E allora i vari inquilini, erano quattro, quattro o cinque, costruirono un rifugio nelle cantine della casa Rossini, c’erano delle belle cantine grandi. Io non sono mai stata in una cantina, in un rifugio di quelli pubblici, quando c’erano gli allarmi, io avevo la bambina piccola, io correvo giù in questo rifugio che era stato costruito per nostro, per nostra necessità, avevano, con dei pali, avevano sostenuto i muri, avevano messo tanti sacchetti di sabbia e poi delle panche contro il muro. E così quando suonava l’allarme, io correvo giù, e sempre con la bambina in braccio, con questa bambina stretta in braccio, e li sentivamo, sentivamo le fortezze volanti che arrivavano e naturalmente si stava con un po’ di agitazione. Io poi soprattutto avevo paura che la bambina si spaventasse, la piccolina aveva circa un anno, un anno e mezzo e allora magari giocherellavo con la bambina. E poi dicevano ‘Oh è caduta una bomba, dev’essere alla Corticella’ oppure ‘Dev’essere da qualche altra parte’ ma stavamo lì buoni, poi finiva l’allarme, venivamo su, riprendevamo la vita più normale possibile. Una volta mi sembra che fu nel 25 settembre, noi eravamo giù e cominciammo a sentire delle ondate [emphasis] di aeroplani, ondate! Venivano, e poi ne arrivavano degli altri, degli altri: un bombardamento terribile, la terra tremava e allora eravamo, io, io ero molto molto preoccupata, soprattutto sempre per la bambina, e mi stringevo la bambina. C’era qualcuno che pregava e si stava così. E quello fu il terribile bombardamento che cominciò dal Sant’Orsola, caddero le prime bombe sull’ospedale Sant’Orsola, e poi vennero avanti e fu un bombardamento terribile alla stazione e poi continuò dopo la stazione verso la Corticella giù. E si sentivano sempre questi aeroplani, erano le fortezze volanti che arrivavano di continuo, di continuo, fu un bombardamento lunghissimo, durò per tanto tempo e quello fu per me il bombardamento più terribile. Mio marito infatti, che allora era stato portato da Aviano a Gorizia, all’aeroporto di Gorizia, chiese una licenza per venire a vedere come stava la sua famiglia dopo questo bombardamento ed ebbe alcuni giorni di licenza. Ci trovò tutti bene, il tragico fu quando uscimmo dal nostro rifugio e ci dissero tutto quello che era successo, per fortuna lì in centro delle bombe non erano cadute e noi ci siamo salvati. Dopo quell’avvenimento, la mia famiglia pensò che era bene lasciare la città e come tanti essere sfollati e allora andammo nella villa dei Pasetti, vicino a Imola in via Piratello dove la villa era un po’ isolata, nascosta fra gli alberi e si pensava lì di stare più tranquilli. Per me, e lì anche c’erano, ogni tanto passavano gli aeroplani e lasciavano cadere delle bombe, o su Imola o sulla ferrovia che era a 300 metri dalla nostra villa, perché la villa era tra la via Emilia da una parte, 800 metri e dall’altra 300 metri la linea ferroviaria quella l’adriatica, quella che da Bologna va verso Ancona, allora cosa volevo dire. Ecco allora sì anche lì c’eravamo fatti una specie di rifugio in campagna, un buco per terra e quando sentivamo gli aeroplani corravamo lì ma non era una cosa molto sicura. Per me l’emozione più grossa l’ho avuta per un mitragliamento e questo è l’episodio che io vorrei raccontare. Posso parlare?
GF: Ovviamente sì, prego.
AMS: Nell’estate del ’44, estate del ’44, mio marito, siccome era caduto, insomma l’Italia aveva chiesto, aveva chiesto, come posso dire, l’Italia era divisa in due, è vero? Mio marito non si era più presentato tra i militari e faceva il partigiano eh, e allora siccome la nostra villa lì era stata requisita quasi tutta dai militari tedeschi noi c’eravamo ridotti tutti in due stanze a pianterreno, la cucina e un’altra stanza e poi, al primo piano e c’eravamo tutti ridotti lì, perché anche la mia famiglia il mio papà, la mia mamma, la mia nonna e le mie sorelle ancora ragazze erano venute tutte lì sfollate. Allora siccome io insomma eravamo messi un po’ molto male con i tedeschi che entravano uscivano, mio marito doveva stare nascosto perché lui era partigiano. Allora un nostro amico che si chiamava Luigi Baruzzi ci disse che avrebbe potuto ospitarci in una casa che aveva su in collina a Monteloro si chiamava, Monteloro sopra il paese di Borgo Tossignano, circa a una ventina di chilometri da Imola, dice, era una casa molto isolata là in montagna, abbastanza sicura. E allora noi, mio marito, io e la bambina avremmo potuto avere un po’ di ospitalità lì da loro per stare un po’ più tranquilli per un certo periodo e così accettammo. Mio marito, in segreto, di nascosto, trovò un cavallo, un calesse, caricò me, la bambina, alcuna qualche cosa di vestiario, qualche cosa di viveri, dei viveri e poi attraverso delle stradine secondarie, arrivammo alla via montanara che era la strada che collegava Imola con Borgo Tossignano e poi andava su verso la Toscana. Lì a un certo punto avremmo dovuto voltare a sinistra e andare su per la collina per arrivare a Monteloro. Mentre noi eravamo sul calesse in questa strada bianca perché non era neanche asfaltata, mio marito che era aviatore sentì da lontano un rombo allora lui capì subito il pericolo, fermò il calesse, fu velocissimo, scese dal calesse, mi tirò giù proprio dal calesse, io avevo sempre la bambina stretta in braccio. Di fianco alla strada, c’era un campo con del granoturco, con le piante di granoturco abbastanza alte. Allora lui in gran velocità mi fece saltare il fosso che c’era tra la strada e il campo, io siccome era d’estate avevo i sandali e i piedi nudi, lì c’erano tutti i rovi, mi sarei potuta ferire, allora lui aveva gli stivali allora pestò un po’ per terra ma in gran velocità, mi fece mettere i piedi lì dove lui aveva pestato, e poi mi buttò giù per terra in mezzo alle piante di mais. Io avevo la bambina sotto di me, lui aveva una sahariana verde e si buttò su di noi e mi metteva la testa mi teneva la testa giù con le mani così. Insomma l’aeroplano passò, vide naturalmente il calesse il cavallo sulla strada, ma a noi non ci vide nel campo e cominciò a mitragliare, a mitragliare il calesse e io sentivo i colpi della mitragliatrice cadere tutti intorno a me, fu uno spavento terribile però avevo mio marito che ci copriva con il suo corpo e allora eh eh, ma quella fu l’amozione più grande [gets emotional] perché sentii proprio i colpi vicini eh. Poi l’aeroplano passò dopo aver mitragliato, colpì il calesse ma il cavallo non lo colpì, allora mio marito disse ‘Stiamo ancora qui nascosti perché c’è il caso che torni indietro’ invece poi l’aeroplano non ritornò allora salimmo di nuovo nel calesse e in fretta raggiungemmo questo posto che si chiamava Monteloro. Io finirei così eh? Poi non so se vuol sospendere eh?
AMS: Posso chiederle Anna Maria se in quel momento si ricorda o aveva coscienza di chi la stava mitragliando, di chi era?
GF: No veramente io personalmente non capivo, so che era un aeroplano, non sapevo se era o tedesco o inglese non sapevo, o americano non sapevo, no.
GF: E passato quel momento poi l’ha scoperto?
AMS: Non ho capito.
GF: L’ha scoperto poi chi erano?
AMS: Sa che non mi ricordo? Non mi ricordo, ma, non mi ricordo, no.
GF: Suo marito cosa diceva?
AMS: Non lo so, non mi ricordo, no.
GF: Non si preoccupi, non si preoccupi. Allora se, se è d’accordo tornerei un attimo al ’42 quando è andata a Pordenone con suo marito.
AMS: Sì.
GF: Ok, mi ha detto che suo marito era un pilota dello stormo bombardieri.
AMS: Sì, sì.
GF: Mi può raccontare che cosa faceva? Se lo ricorda?
AMS: [pause] Dunque azioni di guerra no, da lì non ne ha mai fatte, dopo quando è passato a Gorizia, eeeh aspetti che anno? Subito l’anno dopo passò a Gorizia lui passò nei aerei siluranti, allora sì che partecipò a un’azione. Partivano da Gorizia con le, come si chiamano, non le bombe, sotto l’aeroplano e poi andavano a cercare nel mare, nell’Adriatico se c’era qualche nave inglese da silurare, ecco il siluro. Avevano due siluri sotto all’aeroplano, sotto l’apparecchio e da Gorizia partivano per fare questi siluramenti e mio marito partecipò a uno. Però non fece niente di, insomma non colpirono, non furono, tornarono eeeh senza, ma fu un’azione di guerra. Invece un suo collega, colpì proprio una nave, silurò una nave inglese, sempre partendo da Gorizia. [pause] Invece da Pordenone, da Aviano, facevano dei voli di addestramento, dei voli notturni ma non erano azioni di guerra. [pause] Poi cosa mi vuol chiedere?
GF: E parlava suo marito con lei si queste cose? Della guerra parlavate?
AMS: Mah di giorno in giorno diceva anche qualche cosa, mah. Però non è che mi desse dei particolari no.
GF: Allora torniamo adesso a quando lei torna a Bologna, con sua figlia piccola.
AMS: Sì.
GF: Eh mi ha raccontato che ehm avevate questo rifugio.
AMS: Sì.
GF: Ecco da quando, posso chiederle se mi racconta, da quando suonava l’allarme, a quando andavate, cosa facevate, cosa facevate durante il periodo?
AMS: L’allarme?
GF: Sì.
AMS: Ah ah, cosa vuole che facessimo? Eravamo lì, c’erano due panche, lo spazio poi era diventato ristretto perché coi sacchetti coi pali, la cantina si era ristretta e si stava lì, si cercava di sentire, se si sentiva qualche rombo, qualche colpo, ma si stava lì abbastanza tranquilli, io non ho assistito a delle scene di panico, no? Più che altro magari mia nonna sgranava il rosario ecco qualche d’uno pregava, io cercavo sempre di stare con la bambina a fare dei giochetti tanto tranquillizzarla, e poi insomma, non è che l’allarme durasse poi tantissimo, una mezz’oretta una cosa così. E invece poi fu il bombardamento che durò molto, molto eh.
GF: E quali emozioni provava? Se le ricorda che emozioni provava in quei momenti?
AMS: Mah emozioni, eh sì un po’ di preoccupazione, non è che fossi proprio molto molto agitata, no.
GF: C’erano anche i suoi genitori?
AMS: No, no, perché io stavo in Strada Maggiore e loro stavano in via Pascoli, loro avevano poi un altro rifugio.
GF: Invece poi l’anno dopo siete sfollati.
AMS: Sì siamo sfollati, siamo sfollati nella villa in campanga, allora anche i miei genitori, mia nonna, le mie sorelle, sono tutti venuti lì e lì avevamo questo buco nella terra perché su Imola anche ogni tanto sganciavano ma lì da noi no, però si aveva paura dei bombardamenti, dei mitragliamenti più che altro. Perché quasi tutte le sere, un apparecchio, noi dicevamo inglese ma non so se fosse americano eeeh, lo chiamavamo Pippo, lo chiamavamo Pippo ‘Ecco adesso arriva Pippo’ perché si abbassava e mitragliava, mitragliava le case, ecco quello faceva un po’ ‘Oooh, attenti attenti che adesso arriva Pippo!’ e allora ci mettevamo contro il muro, io avevo messo la culla della bambina in una zona contro il muro, una zona che non guardasse la finestra, in modo che il muro riparasse da queste mitragliate, passava e mitragliava quasi tutte le sere. Poi lì il brutto erano i tedeschi che occupavano la casa, capisce? Che sa questi militari così, e allora si stava stretti. Ma si viveva poi così di giorno in giorno, non è che si provasse sempre tutta questa gran paura, capisce? Eh, anche durante i bombardamenti qui a Bologna, noi pensavamo che lì a casa fosse abbastanza tranquillo, mia mamma solo diceva ‘Qui facciamo la fine dei topi, qui sotto!’ ma doveva proprio caderci una bomba in testa eh! Non è che fossi proprio agitatissima, no. Sa, quando poi si è anche molto giovani, si è anche un po’ spericolati, eh io poi pensavo a mio marito che era militare, che era via no, non è che mi agitassi molto. Correvo giù in rifugio, sì quello sì perché mi dicevano che bisognava andare in rifugio, è meglio andare in rifugio ma ero abbastanza tranquilla eh. Sì io poi ho vissuto, quello può essere ancora interessante, quando la liberazione di Bologna, quello è stato interessante. Dunque Bologna è stata liberata da truppe polacche che naturalmente erano con gli americani eh, ma erano truppe polacche. E ci fu, noi eravamo tornati a Bologna perché in campagna non si poteva più vivere, la casa era stata tutta requisita allora noi a un certo momento tornammo in città e anche i miei genitori, che siccome i tedeschi avevano fatto la Sperzone che si chiamava, cioè la zona centrale della città e entro la Sperzone che erano i viali in circonvallazione, mio padre e mia madre stavano in questa villa proprio al limite della Sperzone perché era sui viali Gozzadini, allora vennero nella nostra casa di Strada Maggiore 26. Quando ci fu, diciamo, come la liberazione di Bologna, ci fu prima una grossa battaglia la Battaglia della Gaiana che è un paese, un posto tra Castel San Pietro, cioè Imola, Castel San Pietro e Bologna. Lì ci fu una battaglia tenuta dalle truppe dalle truppe polacche, polacche contro i tedeschi e i tedeschi si ritirarono. Dopo la battaglia della Gaiana le truppe polacche entrarono a Bologna ed entrarono una parte per porta Santo Stefano e una parte per porta Mazzini, perciò lì a Strada Maggiore. Io con la bambina in braccio sempre, e i miei genitori, eravamo tutti sul balcone di casa Rossini, avevamo messo fuori una bandiera e applaudivamo le truppe polacche che arrivavano proprio lì sotto di noi, anzi, siccome era poi veniva l’ora del pranzo invitammo un soldato polacco a venire a mangiare con noi, e mangiò con noi a tavola. Noi, io poi personalmente, conobbi il comandante polacco che era un giovane tenente, il cappellano polacco e il dottore polacco dell’armata. Io c’ho lì un libro che mi ha regalato il dottore polacco con tanto di dedica perché eravamo diventati amici di questo gruppo polacco che aveva salvato Bologna. Questo è molto interessante, se vuol vedere le faccio vedere anche il libro con la firma.
GF: Sì, dopo volentieri. Quindi avete festeggiato alla liberazione?
AMS: Sì, noi abbiamo, perché dopo la vera liberazione che fu a Milano fu tre giorni dopo, ma a Bologna fu prima, tre giorni prima e furono i polacchi. Ah poi le dico un altro particolare che siccome in cima alla torre Asinelli avevano messo, i partigiani, avevano messo una bandiera rossa, appena i polacchi entrarono e videro quella bandiera rossa corsero su e via strapparono la bandiera rossa e misero la bandiera americana in cima alla torre Asinelli. Io dalla finestra, da una finestra del mio appartamento, vedevo la torre vedevo la cima della torre! E così vedevo questa scena di aver tolto la bandiera e aver messo quella americana, ha capito? Quello è stato anche un bell’episodio. Dopo siccome i polacchi vollero festeggiare il loro comandante, questo sottotenente, questo tenente, fecero una festa alla Gaiana, in un fienile di un contadino che era poi la proprietà dei principi Ruffo e a questa festa di militari polacchi invitarono anche me, mio marito e le mie due sorelle che erano ragazze. E così vedemmo il comandante polacco che si alzò in piedi durante il pranzo con la spada sguainata e poi tutti che lo festeggiavano, i suoi militari, ha capito? E poi io era diventata molto molto buona amica del cappellano che poi è saltato su una bomba, su una mina è saltato su una, ed è sepolto nel cimitero polacco di San Lazzaro, ma non mi ricordo il cognome, lo chiamavamo, lo chiamavamo cappellanie che in polacco il vocativo finisce in –ie, allora lo chiamavamo ‘Il cappellanie! Arriva il cappellanie!’. E veniva veniva a trovarci era molto carino. E poi c’era il dottore, il ‘dottorje’, il ‘dottorje’. Il dottore si chiamava Stanislav Krusceche e c’ho lì il libro che mi ha regalato che era ‘Tristano e Isolde’ in inglese e ha scritto come dedica ‘A great roman for a little lady’ e poi la sua firma, e quello ce l’ho lì. E quello è stato un bel periodo eh. Dopo, dopo tre giorni hanno liberato Milano, hanno liberato l’Italia e poi il governatore americano che era diventato governatore di Bologna, io lo avevo conosciuto molto bene ma non mi ricordo il cognome, questo questo governatore, che poi diventò da Bologna diventò governatore di Trieste, era un governatore americano, e davano delle feste da ballo e io ero sempre invitata a queste feste da ballo e ho ballato molto col governatore perché diceva che io ballavo molto bene. Quando io entravo in sala che generalmente le feste le facevano nel salone del palazzo Montanari in via Galiera, quando io entravo arrivava l’attendente del governatore e mi diceva ‘Il governatore vuole poi ballare con lei’ e io dicevo ‘Molto volentieri’ e così ho ballato col governatore americano. Però non è che noi che io ho legato poi molto con le truppe americane, no! Andavamo sì a qualche festa che loro davano ma così insomma, io stavo sempre in Strada Maggiore, al 26. Questo è stato subito dopo la guerra, perché poi la nostra villa in campagna, dopo i tedeschi quando arrivarono le truppe ci andarono prima i polacchi, fu sempre requisita da dei militari, allora ci andarono prima i polacchi e poi delle truppe americane, poi finalmente quando tutto si tranquillizzò e noi potemmo ritornare nella nostra villa in campagna era un disastro: la villa era rovinatissima, il giardino tutto buttato per aria e abbiamo dovuto ricominciare a ricostruire. Mio marito ha passato tutto il dopoguerra a ricostruire, ricostruire la nostra casa in campagna e le case dei contadini perché mio marito aveva quattro case coloniche e allora a ricostruire le case, a riprendere gli animali, le mucche così perché non c’era rimasto più niente, eh! E anche nel nostro giardino, a piantare gli alberi andavamo io e mio marito andavamo da Ansaloni a San Lazzaro che era un vivaio molto bello e compravamo gli alberi già abbastanza grandi e li facevamo piantare in giardino per rifare un po’ il giardino.
GF: Le va di raccontarmi di quando i tedeschi erano nella sua villa, della convivenza con loro, com’era?
AMS: Aaah, era era cercavamo di stare più separati possibile, aver meno contatti possibili ma al principio, lì nella nostra villa, siccome era vicina al cimitero del, del Piratello eh, lì nel cimitero di Imola cominciarono a seppellire i soldati tedeschi che cadevano mano a mano o in una schermaglia o in una piccola battaglia e li portavano lì e li portavano a seppellire lì. Allora nella nostra villa fecero l’ufficio del cimitero, venne un maresciallo tedesco che era un maestro di scuola mi ricordo che lui ci disse e noi lo chiamavamo il ‘grebelino’ perché ‘grebel’ in tedesco vuol dire tomba, eh? E allora quella era la sede dei ‘grebel’ cioè dei di quelli dei tedeschi che venivano sepolti, gli venivano dati i documenti lui poi questo ufficiale, questo militare questo maresciallo tedesco mandava le notizie alle famiglie, capito? Allora finché abbiamo avuto quei militari lì che erano un ufficio diremo, noi siamo andati abbastanza bene, insomma eravamo abbastanza tranquilli, quando spostarono questo ufficio perché il, l’armata tedesca mano a mano si ritirava, allora anche loro si ritirarono, andarono più avanti e allora vennero proprio le truppe quelle da combattimento con i carri armati e quelli sa, quelli facevano una gran paura, quelli facevano una gran paura sì, perché sa venivano, e giravano per casa, volevano i bagni, erano un po’ prepotenti, eh! Dopo noi abbiamo lasciato la villa e allora dopo hanno fatto quello che hanno voluto ma andati via i tedeschi dopo lì sono venuti i polacchi hanno occupato la villa i polacchi ma noi eravamo poi a Bologna. Eh, coi tedeschi in casa sa, eh era piuttosto preoccupante, eh! Anche perché una volta vennero giù in cantina da noi nella villa e presero tutto il vino che c’era. Noi mio marito, insomma la famiglia di mio marito, aveva delle antiche bottiglie ancora s’immagini del tempo della rivoluzione francese, con sopra il cartellino scritto ancora con la vecchia calligrafia, ma non era più vino, era un rimasuglio, ha capito perché era una cosa vecchia, e lo tenevano come ricordo. Quando vennero certe truppe tedesche portarono via tutto il vino che c’era e portarono via anche quelle bottiglie. Noi lo dicevamo ‘Ma quelle non sono da prendere, non son da bere’. Dopo tornarono cattivi! Arrabbiati perché dice che gli avevamo dato del vino cattivo: avevano aperto le bottiglie del ‘700! Quello non era più vino, erano delle vecchie bottiglie tenute come ricordo, noi l’avevamo detto ma loro non hanno voluto capire o sentire e dopo vennero arrabbiatissimi, erano arrabbiati dicendo ‘Ci avete dato del vino cattivo!’. Noi eh, ce lo avevano portati via, eh! [pause]
GF: Prima, prima mi ha detto che suo marito dopo il ’43 era diventato partigiano, le va di raccontarmi questa storia?
AMS: Sì, sì dunque, gli uomini, in quel periodo, dovevano stare nascosti perché avevamo i tedeschi dappertutto e se li avessero trovati li avrebbero mandati in un campo di concentramento e allora mio marito andava su in collina e si trovava con degli altri, eh! Era così. Poi veniva a casa, di nascosto sempre e poi stava con gli altri ma non è che ha fatto delle azioni da partigiano, lui stava così nascosto assieme a degli altri per non essere presi dai tedeschi.
GF: E dopo la liberazione invece? Ha ripreso il suo lavoro?
AMS: Ha ripreso?
GF: È tornato nell’aviazione?
AMS: No, ascolti, quello fu un mio grande dispiacere perché io avrei voluto che lui tornasse in aviazione come militare ma siccome intanto era morto mio suocero, lui aveva la campagna e la terra da seguire, tutte queste cose da ricostruire, lui disse ‘No, io lascio l’arma’ ma lui fu, è rimasto sempre attaccato all’aviazione tanto è vero che vede lì le fotografie. Lui poi da morto ha voluto che gli mettessimo la divisa da capitano d’aviazione, perché intanto era diventato capitano, perché lui era rimasto attaccatissimo all’aviazione ma non aveva più voluto fare il servizio militare. Perché aveva quel po’ di terra da seguire, intanto poi ci erano nati degli altri figli e allora insomma non ha più fatto il militare no. E io ebbi un gran dispiacere perché io gli dissi ‘Alla terra posso tenerci dietro e tu fare il tuo servizio militare perché è quella la tua strada!’ Perché lui poi aveva la passione della meteorologia e allora sa, avrebbe potuto per dire andare alla televisione a fare sa quelle spiegazioni del tempo così, perché lui come militare seguiva molto la metereologia [emphasis], ma lui non ha più voluto. Anche perché poi mio marito purtroppo si ammalò molto molto presto di cuore e aveva il cuore che non era più buono, continuò a volare come aviatore civile su apparecchi civili ma così con dei voletti. Fece anche il volo a vela, fece anche il volo a vela partendo dall’aeroporto di Bologna, veniva lanciato, lui era in un carrello c’era un aeroplano che lo trainava con una corda e lo lanciava e quando era per aria lo staccava e lui con questa navicella stava così un po’ in aria e poi cercava di ridiscendere. Io lo vidi, sa una paura terribile! E dissi ‘Guarda io non vengo più a vedere quando fai il volo a vela!’. Perché lui era rimasto sempre molto attaccato all’aviazione, però non volle più fare il servizio militare.
GF: Signora Anna Maria torno ancora una volta, per l’ultima volta sui bombardamenti.
AMS: Sì.
GF: Le volevo chiedere, quando era a Bologna e bombardavano.
AMS: Sì.
GF: Sapevate chi vi stava bombardando, cosa pensavate di chi vi bombardava?
AMS: Ah lo sapevamo che erano gli americani! Lo sapevamo sì, erano le fortezze volanti, le fortezze volanti erano solo americane.
GF: E ne parlavate? Cosa pensavate?
AMS: Eh pensavamo che era la guerra eh eh così, era la guerra. Noi poi pensavamo che i tedeschi se ne andassero che arrivassero questi americani a liberarci perché avevano liberato una parte dell’Italia e poi si fermarono l’ultimo inverno, si fermarono a un fiumicello che si chiamava il Pisciatello, Pisciatello, era un piccolo fiume e lì si fermarono gli americani tutto l’inverno e noi non vedevamo l’ora che arrivassero gli americani, per finire di liberare tutta l’Italia. E sapevamo che erano loro che ci bombardavano e dicevamo ‘Eh è la guerra, eh speriamo che finisca presto eh!’. Ma lo sapevamo benissimo chi era che ci bombardava, sì. I mitragliamenti no, perché quando veniva un apparecchio isolato non si, non si capiva bene se era tedesco, inglese, americano quello non si capiva ma i bombardamenti e quando arrivavano i, le granate su Imola e quello si sapeva che erano americane.
GF: E Pippo?
AMS: Eh Pippo, Pippo dicevamo ‘Arriva Pippo!’ ma io credo che fosse, non so, non sapevamo di preciso chi fosse, c’era sempre questo aeroplano che arrivava e lo chiamavamo Pippo ‘Arriva Pippo, arriva Pippo’.
GF: E avevate paura di Pippo?
AMS: Sì molto, i mitragliamenti facevano molta paura. Io poi che avevo avuto quel grosso mitragliamento ero rimasta impressionata. [pause] Perché non si capiva l’aeroplano che cosa facesse, dove andava, capito? I bombardamenti si sentivano arrivare, queste grandi fortezze volanti che facevano un rombo, un rombo enorme, e poi si sentiva lo sgancio poi si sentivano [makes a hissing sound] boom, si sentiva il fischio, il fischio delle bombe che venivano giù. Eran dei momenti tremendi, si vivevano così, giorno per giorno. [pause]
GF: Mi ha parlato dei tedeschi, e invece dei fascisti?
AMS: Dei?
GF: Dei fascisti?
AMS: Mah i fascisti non so, in che modo dei fascisti?
GF: Cosa pensava, avevano occupato la sua casa i tedeschi, c’erano anche delle truppe fasciste insieme?
AMS: No no.
GF: No.
AMS: Non c’erano truppe fasciste, no no no non c’erano truppe fasciste. Mio padre non è mai stato fascista, gli avevano dato insomma gli avevano dato onoris causa, l’avevano fatto diventare, gli avevano dato il termine fascista, ma lui non era fascista, infatti non ha avuto nessuna nessuna grana, nessuna, niente niente dopo la guerra niente niente, perché lui era, lui era militare della prima guerra mondiale. Vede là ci sono le medaglie che mio padre ha avuto nella prima guerra mondiale, è stato un eroe della prima guerra mondiale, io ti lascio delle fotografie bellissime di mio padre nella prima guerra mondiale, e lui era rimasto sempre, sempre attaccato all’aviazione, sempre come militare come, ma non era fascista, no. E lui essendo anche vice presidente dei Pionieri d’Italia lo volevano fare presidente ma lui disse ‘No, perché per essere il presidente bisogna stare a Roma, io sto a Bologna per me è scomodo, ormai son vecchio’ e lui era vice presidente dei Pionieri d’Italia ma non c’entrava niente col fascismo, no, lui non era fascista, noi non eravamo una famiglia di fascisti, no, non c’eravamo mai dati alla politica, anche mio marito, no mai, mio suocero, no, non, mio padre che era importante perché era presidente dell’aeroclub di Bologna non aveva cariche fasciste, no. Le dirò un particolare da ridere perché quelli che erano poi i capi fascisti avevano la tesserina per andare al cinema gratis, a mia madre piaceva tanto il cinematografo e diceva ‘Uh papà, non ha neanche la tessera, a lui non gliela danno!’ perché lui non era abbastanza, non era fascista capito, non avevamo neanche la tessera no no. E mia madre dice ‘Uh a me piace tanto il cinema ma io devo pagare il biglietto, eh!’ questo per ridere, ha capito? Per dire che non eravamo fascisti no, però eravamo italiani con gran sentimenti patriottici, mio padre sempre la prima guerra mondiale, tutte le cose della prima guerra, tutti i racconti, eh così. Certo noi a scuola dovevamo per forza essere Piccole Italiane, Giovani Italiane per forza, eh a scuola eravamo così eh, però non è che fossimo proprio fascisti no?
GF: Dopo il ’43 ha conosciuto lei personalmente dei partigiani?
AMS: Cosa?
GF: Se ha conosciuto dei partigiani.
AMS: Sì, eh! Io ho conosciuto uno poverino che è stato ucciso, si chiamava, aspetti sa, che era di San, aveva la casa a San Lazzaro ed era uno dei capi partigiani che hanno combattuto e poi è stato ucciso, quello era anche proprio nostro amico sì. E ne ho conosciuti parecchi di quelli che erano i nostri amici da ragazzi anche compagni di scuola che poi erano andati nei partigiani, quindi proprio avevano combattuto, su verso Castel San Pietro, hanno combattuto parecchio i partigiani bolognesi, romagnoli, adesso non mi ricordo più il nome, che eravamo tanto amici, lui aveva una bella villa a San Lazzaro, come si chiamava? Eh non mi ricordo più [pause] e come si chiamava? Eh non mi ricordo.
GF: Non si preoccupi se non ri ricorda il nome non importa.
AMS: Non mi ricordo il nome no.
GF: E a volte scendevano dalle colline e venivano nella vostra villa?
AMS: Come?
GF: A volte scendevano dalle colline e venivano nella vostra villa?
AMS: No, fin da noi no perché eravamo in una brutta zona ha capito? Eravamo oltre la via Emilia, la via Emilia poi noi e poi la ferrovia. I partigiani rimanevano sulla collina, noi eravamo in pianura, no da noi non venivano. Infatti mio marito doveva andare in su per andar da loro, andare in collina [pause].
GF: E li aiutava? Li aiutava? Portava dei rifornimenti, del cibo?
AMS: Ah sì! Sì, sì, dei prosciutti mi ricordo, eh, dei prosciutti e poi del vino, sì, e mi ricordo i prosciutti, mi ricordo i prosciutti.
GF: Volevo chiederle un’altra cosa.
AMS: Sì.
GF: Dopo la liberazione.
AMS: Sì.
GF: Quando c’è stato il referendum.
AMS: Sì.
GF: Lei ha votato, anche lei giusto?
AMS: Sì!
GF: Si ricorda com’era il clima, cosa avete votato?
AMS: Io in quel momento ero monarchica, io dopo la liberazione, siccome si poteva votare o monarchia o repubblica io votai monarchia, anche mio marito. Lo sapevamo che non avremmo vinto, però noi preferivamo la monarchia e invece vinse la repubblica eh, ma io ho votato monarchia, dico la verità. Io allora ero incinta della mia seconda bambina, mi ricordo benissimo, avevo un gran pancione. Andai a votare ma io votai monarchico, perché c’era il referendum, vero, era monarchia o repubblica e io votai monarchia.
GF: Cosa pensava del re?
AMS: Del re pensavo che si era tirato da parte per far posto a Mussolini, che non era stato abbastanza energico però la famiglia Savoia, sa, era una tradizione famigliare. Vede là quella fotografia, quello era un colonnello di cavalleria, era mio nonno materno che era di Torino e lui era aiutante del duca d’Aosta, vede lì che c’è la fotografia del duca d’Aosta con la dedica a mio padre, perché eravamo tutti attaccati alla famiglia Savoia eh! Insomma nella mia famiglia c’erano stati proprio dei rapporti con i Savoia, perché mio nonno era aiutante del duca d’Aosta padre, questo è il duca d’Aosta figlio, che era aviatore e veniva sempre a Bologna. E io l’ho conosciuto gli ho dato una mano ero una bambinetta, gli detti la mano io mi ricordo con l’inchino lui mi strinse la mano perché veniva sempre a Bologna, io ero la figlia del presidente dell’aeroclub, e lui veniva come pilota civile il duca d’Aosta giovane. Poi mi zio, cioè il fratello di mia mamma che è diventato generale di cavalleria, generale di cavalleria nella repubblica è vero? Eh, però lui era stato aiutante anche lui del duca d’Aosta figlio, il nonno del padre e lo zio del figlio del duca d’Aosta, perciò era molte legate ai Savoia capito, eh? E così, a me non è che il re Vittorio Emanuele piacesse molto però era sempre un Savoia, si sperava nella discendenza Savoia, in Umberto II, si sperava, ma. Perché nella tradizione di famiglia, sia di mia madre che erano dei Blanchetti di Torino, sia che anche dei Serafini c’erano un mucchio di generali c’era il generale Serafini, Giuseppe Serafini, Bernardino Serafini era colonnello erano tutti tutti militari, naturalmente allora era l’armata eeeh savoiarda, l’armata monarchica eh? Adesso le faccio vedere.
GF: Sì aspetti perché allora metto in pausa.
AMS: Ha capito perché ho votato monarchia?
GF: Sì. E invece però quando vinse la repubblica, come avete reagito?
AMS: Ah va bene così eh, ah non abbiamo fatto nessuna reazione, hanno scelto la repubblica, evviva la repubblica eh, sì sì non ne abbiamo fatto. Comunque di politica noi non ci siamo mai interessati, anche mio marito mai mai di politica, non si è mai interessato di politica, non era iscritto a nessun partito, no no no, lui aveva solo in mente l’aviazione e basta. Ah quando ci fu la repubblica evviva la repubblica e basta eh.
GF: Va bene signora Anna Maria, io la ringrazio veramente tantissimo per la sua disponibilità.
AMS: Non so se sono stata abbastanza interessante.
GF: È stata bravissima e la sua storia è stata davvero interessantissima, grazie.
AMS: Ma si immagini.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Anna Maria Serafini
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Po River Valley
Italy--Aviano
Italy--Bologna
Italy--Gorizia
Italy--Imola
Italy--Pordenone
Italy
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Greta Fedele
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-12-01
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Francesca Campani
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
01:04:22 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Regia Aereonautica
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1943-09-25
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
PPasettiAMS1601, APasettiAMS161201
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An account of the resource
Anna Maria Serafini recalls her teenage life in Bologna as the fiancée of Luigi Pasetti, a civilian pilot later enlisted as torpedo bomber pilot. Describes how she got married and mentions Italian First World War pilot, Ferruccio Ranza, who acted as best man. Describes what life was like in a small private shelter with a propped ceiling, sandbagged windows and rudimentary furniture. Recalls life under the bombs: trying to keep calm her young daughter; people guessing points of impacts; prayers, games and pastimes. Describes her evacuee life in Imola and the trials and tribulations after the collapse of the fascist regime, when her husband joined the Resistance. Recollects being strafed when travelling on a byway. Describes Germans on admin duties as friendly and well-mannered, whereas those serving in combat units were arrogant and feared. Recollects the Gaiana battle and the occupation of Bologna by allied forces, stressing her connections with Pole officers. Gives an account of family life in the subsequent decades, emphasising loyalty to the monarchy. Judges bombing war from a fatalistic stance, stressing how strafing by isolated aircraft was more feared.
civil defence
evacuation
fear
home front
love and romance
perception of bombing war
Pippo
Resistance
strafing