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-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/20/80/Memoro 4420.2.mp3
6e728ac606011bc9eec02142acfb5eb8
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A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
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CG: Sono Carlo Gasparini, sono nato a Milano il 17 agosto 1930. Tra i ricordi di guerra sicuramente ci sono i ricordi peggiori, cioè quelli dei bombardamenti. Me ne ricordo uno del 1943, un bombardamento notturno. Quando suonò l’allarme ci precipitammo per la strada correndo verso il rifugio e uscendo dal portone c’erano dei grappoli di razzi illuminanti che illuminarono la città a giorno. Sembravano i fuochi d’artificio solo che scendendo molto lentamente si vedeva praticamente tutto. E mi presi una gran paura perché in effetti tra le bombe che cadevano e queste luminarie lo spettacolo non era certamente simpatico, e ritornai dentro e mi infilai in cantina dove rimasi fino a quando non cessò l’allarme, questo me lo ricordo abbastanza bene. Però il peggio venne l’hanno dopo quando, essendo le scuole praticamente chiuse, infatti la scuola San Domenico era diventata un ospedale, mia madre insisté per mandarmi a prendere i compiti dal mio compagno di classe che abitava in via di Barbiano, mi feci un tratto di via San Mamolo lì per la panoramica e, voltando per via di Barbiano, arrivai a casa di questo mio amico il quale mi diede i compiti, cominciammo a parlare un attimo quando improvvisamente suonò l’allarme. Tutti si precipitarono in un rifugio, che le famiglie che abitavano in quella casa avevano fatto scavare nel terreno circostante, ed era costituito da un tunnel vestito di mattoni che però non aveva sfondo, cioè praticamente questo tunnel si fermava contro una parete e non era stato terminato. Io che correvo come una lepre arrivai per primo e chiaramente mi ritrovai contro la parete, solo che arrivò tanta gente che cominciò a premere quindi a un certo momento ero praticamente schiacciato contro la parete. Mentre eravamo dentro cominciarono a cadere le bombe, ma molto molto vicino. Le donne erano quelle che urlavano più forte, mi ricordo gli urli ‘Questa bomba è per noi! Oddio ci siamo! Quindi rimasi molto impressionato e sentii lo scoppio delle bombe molto vicine. Quando finalmente, dopo alcuni minuti la caduta delle bombe terminò, uscimmo e ci rendemmo conto che in effetti erano cadute a poche decine di metri. Mi ricordo perfettamente un prato con degli alberi, dove dei cavalli impazziti correvano al galoppo nitrendo e praticamente fuggendo dal recinto, dalla stalla dove si trovavano. Fortunatamente la casa non fu colpita, e anche se poi ci furono parecchi danni perché caddero degli alberi eccetera, e vi furono anche dei feriti e dei morti. Però l’allarme non era ancora terminato ragione per cui appena io uscii all’aperto, con la mamma del mio amico dissi ‘Guardi signora io avrei piacere di tornare a casa mia’ e lei mi sconsigliava e io dissi ‘Ma guarda io faccio tutta la parte alta cioè proseguo per via di Barbiano, scendo da via San Vittore e arrivo facilmente a casa mia’. Però quando uscii mi resi conto che la strada di via di Barbiano era stata bombardata, ragione per cui ritornai sui miei passi, rifeci via panoramica e la parte alta di via san Mamolo però quando arrivai davanti a Villa Verde c’era una casa che era stata completamente distrutta. Mi fermai perché chiaramente la strada era ostruita, c’erano i pompieri e c’era anche tanta gente che guardava che cosa stava succedendo e qualcuno disse: ‘Ah, da qui in avanti tutta la parte sinistra è stata colpita’ dove c’era la mia casa. Quindi mi precipitai [emphasis] a casa pensando al peggio. Invece quando arrivai davanti a casa la casa era completamente salva, non era vero che la strada era stata bombardata oltre Villa Verde e quindi per fortuna andò tutto bene, e questo certamente fu, è un ricordo abbastanza pesante perché per cinque minuti mi preoccupai moltissimo per i miei e per la mia casa.
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Title
A name given to the resource
Interview with Carlo Gasparini
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Carlo Gasparini (b. 1930) talks about his memories of the bombing raids on Milan. He provides an account of a night bombing with many flares that illuminated the sky as if it were day. He also describes the rush to safety during another bombing, and how inside the shelter he was forced against the wall. Carlo also recounts his memory of frightened horses escaping from their fenced enclosure, and his fear for his relatives lives because his home had been bombed.
Format
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00:04:51 audio recording
Identifier
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Memoro#4420
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Milan
Italy--Po River Valley
Italy
Language
A language of the resource
ita
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This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Francesca Campani
Publisher
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IBCC Digital Archive
Memoro. La banca della memoria
Type
The nature or genre of the resource
Sound
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bombing
childhood in wartime
civil defence
fear
target indicator
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/20/81/Memoro 5523.2.mp3
90f33533fd9ffacc5e279e81543ea85f
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A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
DC: Non è stato molto bello anche perché io a sei anni ero saggia e orfana di padre e madre.
[part missing in the original file]
DC: E allora son stata in collegio [unclear] io sono nata che mia madre aveva già sette figli però aveva quarantacinque anni lei e poi è morta a cinquanta, per, non so se era una appendicite adesso non so bene. Perché io poi non sono stata molto vicina ai miei fratelli per il fatto che eh son stata in collegio e poi uscita dal collegio avevo qui una mia sorella maggiore che aveva casa qui a Milano e mi ha portato qui a Milano. E qui ho finito un po’ le scuole insomma.
[part missing in the original file]
Other: Com’è il fascismo?
DC: Ah è terribile guardi, ho visto delle scene terribili. Portar via degli uomini che, gli davano l’olio, il bicchiere di olio di ricino. Proprio uscendo dal, eravamo sul marciapiede.
[part missing in the original file]
DC: Vedere questi uomini braccati, da questi altri uomini con questo bicchierino che gli davano, non so guardi, una cosa pietosa è sempre stata.
[part missing in the original file]
DC: Beh in collegio non tanto, è stato quando io sono venuta a Milano che avevo otto o nove anni.
[part missing in the original file]
DC: Noi abitavamo in via Napo Toriani e una notte, come sempre tutte le notti c’era i bombardamenti e poi finito il bombardamento dopo una mezz’ora arrivava il famoso Pippo che avrà sentito nominare forse, no? E però non sentivamo perché l’allarme era cessato. Fatto si è che noi eravamo, eravamo ragazzi, insomma quindici sedici anni, sa a quell’ora lì non si è, a quella età non si è nemmeno tanto molto.
[part missing in the original file]
DC: Esperti non nel senso esperti, nel fatto che eravamo incoscienti insomma. Ci siamo messi a correre perché abbiamo visto le fiamme credevamo fosse la Stazione Centrale e invece era la Bicocca, era la Pirelli. Insomma c’erano le mitraglia [sic], questo qui dell’aeroplano Pippo con la mitraglia, si vede insomma, eravamo tutti pieni di schegge, eravamo in tre o quattro, eravamo tutti pieni di, è stata una notte terribile, terribile è stata.
[part missing in the original file]
DC: Eh si correvamo verso la stazione incoscienti e ci è capitato così insomma. Chi si andava, perché poi i portoni erano chiusi, perché c’erano i capi scala che chiudevano perché andavano nelle cantine a rifugiarsi. Quella notte lì non avevamo nemmeno, non trovavamo nemmeno una porta da andare, da entrare per essere fuori dal marciapiede insomma. Una cosa tremenda. Quella è stata proprio, una scena che non si può dimenticare insomma.
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Title
A name given to the resource
Interview with Delia Cardini
Description
An account of the resource
Delia Cardini recalls her childhood as an orphan in a boarding school and how, at the age of 10, she moved to Milan. She remembers how the Fascists used castor oil to humiliate their opponents. Delia also describes how, after a night bombing, she was running to the train station, when suddenly 'Pippo' arrived and started shelling the area, she remembers it as a terrible night.
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:03:49 audio recording
Identifier
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Memoro#5523
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Milan
Italy--Po River Valley
Italy
Language
A language of the resource
ita
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Memoro. La banca della memoria
Type
The nature or genre of the resource
Sound
License
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bombing
childhood in wartime
home front
Pippo
strafing
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/20/82/Memoro 6229.2.mp3
aeef6a2a8c650a9aa03d501ba0df44cd
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Transcription
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MM: Io quando ero nella fabbrica, che ero giovane, avevo giusto quattordici, quindici anni, avevano iniziato in quel periodo lì nel ’41 a fare i bombardamenti, io ero stato assunto nel ‘41 han cominciato i bombardamenti, e noi, era il nostro ufficio localizzato nella parte opposta, dagl’impiegati, da dove erano tutti gli impiegati, noi eravamo dalla parte opposta dalla fabbrica, avevamo il nostro fabbricato. E un bel sabato che noi facevamo gli straordinari è arrivato l’allarme. E com’è suonato l’allarme han cominciato a buttar giù bombe a non finire, quindi noi eravamo li che sentivamo, eravamo in due, sentivamo questi fischi delle bombe che arrivavano e abbiamo tentato di uscire per andare nei rifugi, ma nei rifugi erano troppo lontani, vedevamo tutte le, gli apparecchi che venivano, gli spezzoni che cadevano, e ci siamo accovacciati sotto una scala, no? Una scala di un altro fabbricato, proteggendosi [sic] da questa roba qui. E siamo stati lì tutto il periodo in cui ha fatto, che è avvenuto il bombardamento. Poi abbiamo visto gli incendi, perché proprio lì vicino a noi c’era CGE c’era una fabbrica di vernici che le hanno colpita, la nostra in quel giorno lì non è stata colpita e ha cominciato a formare incendi, non le dico che spettacolo che c’era. Quando finalmente ha finito di bombardare, perché c’erano altri impiegati giù nei rifugi, abbiamo fatto una volata in mezzo al cortile, siamo andati dalla parte opposta, siamo entrati in un rifugio ma ormai era finita la cosa. Poi all’uscita, non le dico perché, vedere una città dopo un bombardamento è una cosa tremenda, tremenda, perché vedeva, abbiamo visto delle strade, a via Vigevano, che era, si buttavano le bombe incendiarie, quasi tutte le case, una si e una no, che erano in fiamme. Dove c’è la stazione di Porta Genova, quella strada lì, una strada di case vecchie, bruciava tutta. Mentre si camminava, lei vedeva, siccome erano al fosforo quelle bombe lì, mentre camminava, lei vedeva tutte le scintille che, insomma. Vedevo gente che buttava giù, questa mi è rimasta impressa, buttava giù, erano vicino all’incendio e buttavano giù tutta la casa, buttavano giù i materassi buttavano giù tutto, no? E poi abbiam saputo che questi poveri cristi che buttavano giù, che c’erano quelli che li portavano via [laughs]. C’era anche quello. E poi s’è visto poi tutte queste case demolite, scentrate, sventrate. Ho avuto anche dei parenti che avevano subito, sono rimasti, erano in una tromba di una scala, stavano scappando giù nella scala per andare nel rifugio, e destino vuole che proprio una bomba, una bombetta da niente, perché non eran bombe, una bombetta ha centrato la tromba della scala e tutti quelli che stavano scappando sono rimasti lì. E poi diciamo, poi i bombardamenti sono seguiti. Dopo noi, dopo questo bombardamento siamo sfollati, siamo sfollati e i più forti bombardamenti che son durati nell’agosto del ’43, noi dividevamo, eravamo a 35 chilometri in linea, 30, 35 chilometri in linea d’aria, li facevano la notte e abbiamo visto Milano che bruciava tutto, sta fiamma, tutta, la zona dove c’era Milano era tutta una fiamma sola, era una cosa spettacolare da vedere, che ci impressionava, che ci ha lasciato l’impronta. Poi al giorno dopo simo andati giù, le fabbriche eran tutte chiuse, s’erano fermate, poi piano piano si sono riprese, la nostra non è stata colpita subito lì, è stata colpita dopo, colpita dopo, io non ero ancora capo reparto, è stato colpito proprio uno dei miei reparti, è bruciato tutto, poi l’hanno ricostruito, l’hanno ristrutturato, avevano tutte macchine grosse, pesanti, che non avevano subìto e hanno ripreso a lavorare. Questo diciamo, di a bombardamenti penso che ne siano stati un cinque sei. Ah poi c’era la tragedia dei rifugi, perché quando si era nei rifugi, questa, la prima che mi è capitata era giù lì, poi ogni abitazione aveva i suoi rifugi, e si andava giù quando suonava l’allarme si andava giù e poi patapim, patapum, patapim, patapum, si sentiva bombardare e come dico, fortunatamente la mia casa e la mia zona non era mai stata colpita, però la paura era tanta eh, avevano puntellato tutte le. Ah poi mi è successo che io nel ’43 per una causa che non sto qui a raccontare ero in un ospedale, l’Ospedale Maggiore di Francesco Sforza, e ho subito un bombardamento lì, Madonna lì è stata una tragedia perché sia gli ammalati, sia gli infermieri, i dottori che c’erano lì, li han portati giù nel rifugio. E le infermiere, mentre noi milanesi quando sentivamo le bombe, facevano paura ma insomma, eravamo quasi abituati diciamo a questo fattore, non ci terrorizzava, in questo ospedale, per me è stato uno shock, perché queste infermiere si sono messe a urlare tutti, perché ha bombardato l’ospedale, avevano proprio colpito il padiglione che eravamo sopra noi, bombe piccoline che non son arrivate giù, ma avevano colpito. Quindi non le dico questi rumori che si sentivano, erano tutte terrorizzate, volevano scappare, la maggior parte delle infermiere anche di allora era tutta gente che veniva fuori Milano, e dovendo subire questa situazione era una tragedia, è stata una tragedia, si sono messe ad urlare, chi piangeva, chi vuol scappare. E il giorno dopo mi mamma è venuta a prendermi, guarito si guarito no, è venuta a prendermi, e siamo sfollati, siamo scappati subito al paese. Ma questa del bombardamento, questa immagine mi è rimasta impressa perché ero lì anche io, chi pregava, chi urlava, è stata proprio una scena scioccante che da noi quando bombardavano, queste cose non succedevano anche perché non erano bombardamenti violenti. I bombardamenti violenti sono cominciati quando ero in ospedale nel ‘43 e ne han fatti tre o quattro che han cercato di radere un po’ Milano e l’hanno schiacciato mica male.
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Title
A name given to the resource
Interview with Mirco Marelli
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Mirco Marelli describes a bombing raid on the factory where he used to work in 1941: when the alarm sounded, bombs started falling but he was too far from any of the shelters so he took cover under a staircase with a friend. He highlights how shocking it was to see streets full of collapsed and burning buildings, and describes the sight of Milan burning. He also, remembers that some of his relatives were killed by a bomb, whilst they were running to the air-raid shelter. Mirco also recalls when during hospitalisation, he experienced the bombing of the Ospedale Maggiore, in which his overriding impressions were the fear of patients and nurses and how they reacted to the raid.
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:06:32 audio recording
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Memoro#6229
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Milan
Italy--Po River Valley
Italy
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1941
1943
Language
A language of the resource
ita
Rights
Information about rights held in and over the resource
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Francesca Campani
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IBCC Digital Archive
Memoro. La banca della memoria
Type
The nature or genre of the resource
Sound
License
A legal document giving official permission to do something with the resource.
Royalty-free permission to publish
bombing
civil defence
fear
incendiary device
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/20/226/591.2.mp3
6d2bbd6a840e3c8def43e132e9049dca
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
LG: C’erano le persone che si chiamavano dell’UNPA.
[part missing in the original file]
LG: Ecco c’era un corpo di volontari chiamato UNPA, che avevano una fascia così con su questa sigla, adesso non ricordo cosa volesse dire, ad ogni modo facevano come la protezione civile, se per esempio la casa era crollata e c’era bisogno di andare sotto per tirare fuori delle persone, di scavare, di fare delle cose, loro intervenivano. E ogni caseggiato aveva il capofabbricato. Il capofabbricato che aveva il compito, il dovere di far uscire tutti dall’appartamento, no? Certi invece non volevano ‘Io muoio qua nella mia casa, non voglio andarmene, piuttosto che fare la morte del topo voglio morire nel mio appartamento’. Però loro avevano proprio, anche litigando dovevano farli andare fuori, farli andare al rifugio ecco.
[part missing in the original file]
LG: Le porte erano, beh, quando si doveva andare ovviamente si entrava, no? Però di giorno, a me personalmente era capitato, avevano una capacità di tante persone.
Unknown interviewer: Eh quello signora [?].
LG: Più di quel numero non potevano ospitare, per sicurezza, per tante cose, e una volta io e con le mie amiche eravamo, bigiavamo scuola [laughs] eravamo in una fiera sui bastioni di Porta Venezia, e quando è successo, come si chiama, l’allarme, siamo scesi sulla Vittorio Veneto, lei conosce magari, insomma Vittorio Veneto, lì c’era la capienza di quarantatré persone e a noi non c’han fatto entrare, allora abbiamo dovuto attraversare tutta piazza della Repubblica che è una delle poche piazze di Milano grandi, no? Per arrivare dall’altra parte perché noi stavamo a Porta Nuova in quel momento, ormai io ero già via da qua, e dopo poco è successo che hanno mitragliato un uomo che era col cavallo, e hanno ammazzato anche il cavallo, che era col carro che passava dalla piazza, perché l’aereo era venuto giù e, questo era di pomeriggio che è successo. Perché non potevano ospitare tutti quelli che passavano, se c’era un rifugio piccolo limitato, più di quello non poteva.
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Title
A name given to the resource
Interview with Luciana Cella Guffanti
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Luciana Cella Guffanti (b. 1932) describes the role played by officers of the Unione Nazionale Protezione Antiaerea during the bombings of Milan, especially when they had to persuade reluctant people to go to the shelters. She describes an occasion when the alarm sounded, and she and her friend were prevented from entering an already overcrowded shelter and had to cross the vast Piazza della Repubblica which was being strafed.
Contributor
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Francesca Campani
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:02:30 audio recording
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Memoro#591.html
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Milan
Italy--Po River Valley
Italy
Language
A language of the resource
ita
Rights
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This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
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Memoro. La banca della memoria
Type
The nature or genre of the resource
Sound
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Royalty-free permission to publish
bombing
childhood in wartime
civil defence
home front
strafing
Unione Nazionale Protezione Antiaerea
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/31/249/ABottaniP1601.1.jpg
370b5e924083c290f03135227fd331c4
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/31/249/ABottaniP161202.1.mp3
85ca9ca58ae587f9b1096e8123c0f9e2
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Title
A name given to the resource
Bottani, Paolo
Description
An account of the resource
One oral history interview with Paolo Bottani who recollects wartime experiences in Milan.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Rights
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Identifier
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Bottani, P
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-12-02
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A resource consisting primarily of recorded human voice.
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EP: Come prima domanda le chiedo di cominciare da prima della guerra, prima che cominci il conflitto, eeh mi racconti un po’ della sua famiglia, eeh dove eravate e di che cosa si occupavano i suoi familiari.
PB: Sì eh prima della guerra naturalmente ero piccolino quindi la memoria un po’ un po’ un po’, un po’ annebbiata diciamo così. Però mi ricordo bene che la mia famiglia era una famiglia di operai, eeh immigrati, mio papà proveniva dalla provincia di di Piacenza e mia mamma dal cremasco, eeeh erano operai purtroppo mio papà viveva un momento difficile per le sue idee politiche, non voleva iscriversi al partito fascista che era per la maggiore a quei tempi e non gli davano il lavoro perché lui non era iscritto al partito, quindi questo m’è rimasto impresso benché piccolino, perché la famiglia di conseguenza ne ne soffriva. Mia mamma invece era volgitrice di motori elettrici alla Ercole Marelli di Sesto San Giovanni. Avevo una sorella che era impiegata presso una ditta di cosmetici, la Beiersdorf. Ecco questo è quello che mi ricordo del periodo anteguerra. Nel 1940 poi, mi hanno iscritto alla prima elementare come tutti i bambini ed ho frequentato qui a Precotto la prima classe, elementare. Mi ricordo che eravamo tanti bambini, oggi si lamentano delle classi affollate, noi eravamo in quaranta, quindi la maestra della quale mi ricordo il nome, Angela Arpiani, era una brava signora torinese e ci aiutava parecchio perché eravamo abbastanza discoli eh: che i genitori al lavoro, noi eravamo a casa da soli, non c’erano le badanti o le babysitter o, eravamo in giro per le strade, qui a Precotto era una zona rurale, c’erano campi, e noi ci ci divertivamo ad andare per i campi. Quindi la prima e la seconda elementare direi che, essendo pure in guerra, perché la guerra è cominciata nel ’40, non abbiamo subito parecchie eh diciamo difficoltà, a parte la faccenda di mio papà che non lavorando era costretto a fare dei lavoretti così un po’ in nero, si dice oggi, per poter portare a casa qualcosa, e poi aveva l’orto che lo lavorava e ci dava la possibilità di, di vivere ecco. Il brutto comincia verso la fine del ’42 l’inizio del ’43, cominciarono i bombardamenti, cominciarono le difficoltà della vita. Ecco lì ho cominciato a mettere nella mia mente le difficoltà proprio, di vivere, molti disagi come per esempio il freddo, la paura, il freddo la paura, e la fame, e la fame, cominciava a scarseggiare il cibo. Il freddo era terribile perché difficilmente avevamo la legna per bruciare, andavamo in giro a raccogliere qualche pezzettino di albero, di di ramo rotto degli alberi, portarlo a casa noi bambini per poter scaldarci, però era la fiammata del momento e quindi il calore era molto, molto scarso. Poi eeeh i geloni: col freddo la conseguenza logica per noi bambini erano i geloni sulle mani sui piedi, eeeh oggi non vedo più i bambini con i geloni, ma io mi ricordo facevano male, molto male questi geloni. Specialmente quando la mamma ci lavava, ci faceva il bucato come si dice nel mastello in casa, eeeh i geloni venivano fuori, col calore, un dolore immenso proprio. Poi c’era la paura del, dei bombardamenti delle sirene: ecco io una cosa che ancora ho in mente adesso quando sento una sirena, scatta dentro di me come una una un uno stato psicologico che mi richiama quei momenti là che dovevo scappare, è rimasto in me. Perché la sirena era sinonimo di bombardamento ‘Scappa, scappa!!’ perché arrischi la vita. E quindi questo qui è continuato per alcuni anni fino al ’45 e devo dire però, nel ’42 finita la seconda classe, mia mamma e mio papà decisero, visto che cominciavano a bombardare Milano, di spedirmi, di mandarmi a casa di mia zia a Crema, come sfollato. Quindi non non, vi immaginate anche lo stato di disagio trapiantato in un’altra località, nuovi nuovi bambini da conoscere, un modo di vivere che era differente dal mio purché simile, per carità, però molto differente. E così sono stato a Crema per, per un paio d’anni, però a Crema bombardavano, quindi la situazione era pressoché identica Milano Crema, non sapevi più dove andare, ecco. E mi ricordo che una volta mi hanno portato a casa, per vedere la mamma, mio zio, e nel ritorno, quando siamo ritornati a Crema, la difficoltà è che il treno arrivava fino a Cassano poi c’era il ponte sull’Adda, naturalmente bombardato, e quindi noi dovevamo traversare su una passerella larga poco più di di, circa un metro, sopra il fiume con un corrimano da un lato solo e dovevamo attraversare questo fiume di sera, al buio, e mi ricordo ancora il vortice delle acque che correvano sotto e m’ha creato uno stato di paura veramente notevole, però era l’unico mezzo per poter andare a prendere il treno dall’altra parte per poi proseguire per per Crema. Quindi anche quello lì uno stato di disagio. Dicevo prima, Crema veniva bombardata come Milano più o meno perché c’era il ponte sul fiume Serio e ogni due per tre erano lì gli aeroplani, e lì ho provato una sensazione durante il bombardamento. Dunque Crema non era attrezzata coi rifugi come Milano, a Milano quasi tutte le case avevano i rifugi sotterranei negli scantinati, Crema invece non c’era questa, non credevano che venissero a bombardare, erano meno preparati. E quindi si rimaneva in casa, si rimaneva in casa, rimanendo in casa lo spostamento d’aria, io mi aggrappavo a mia zia in un angolo della casa perché sentivi la casa che ‘Ooooooh cade cade cade!’ ci aggrappavo a mia zia perché avevo la sensazione che la casa, la casa cadesse, veramente una sensazione terribile. A crema poi invece ho subito un mitragliamento, e lì l’ho scampata proprio per poco: venivano i caccia, lì passavano le colonne tedesche che da Cremona andavano a Milano e una volta noi eravamo bambini, giocavamo per strada eeeeh è arrivato un paio di caccia, ma così all’improvviso senza neanche suonate le sirene, che se suona le sirene noi scappavamo. Arrivano sti caccia ‘Aaaaaaaaaa papapapam’ cominciarono a sparare, noi non sapevamo più dove andare, le pallottole ci battevano ai fianchi del del, sulla strada, e io un bel momento mi sono buttato dentro ad una porta che ho trovato e poi il caccia è passato, via andato con la sua bella scaricata di pallottole, e fortunamente [sic] non ha colpito nessuno ecco. Poi dopo, quando sparano le mitragliatrici, diciamo rifiutano i bossoli delle delle delle pallottole, noi bambini andavano a raccoglierli, andavamo a raccoglierli perché dopo li vendavamo, perché era ottone e quindi l’ottone aveva un significato anche saltar fuori la mancetta per per comperarci qualche caramellina, quando c’erano eh. Quindi l’esperienza di crema è stato un po’, un po’ pari a quella di Milano ecco, l’unica cosa che che che, la difficoltà scolastica perché da una scuola all’altra quindi ho avuto delle difficoltà. Poi, come dire, ecco una cosa che ho imparato, ho imparato il dialetto cremasco cose che invece qui parlavo in milanese ecco e quindi mi è servito anche quello. Quindi i miei genitori vedendo che bombardavano Crema e bombardavano a Milano allora tanto vale che tu ritorni a Milano. Ecco e allora mi han riportato, terminata la la quarta classe, mi riportano a Milano e mi iscrivono alla scuola qui di Precotto. Ironia della sorte, io dovevo andare, perché a Precotto non c’era più posto, alla scuola di Gorla dove c’è stato quell’eccidio di duecento morti. Fortuna, destino, mia mamma è andata a brontolare col col provveditore, il direttore, un certo Peroni (mi ricordo anche il nome) certo Peroni, è riuscita a farmi tornare a Precotto, perché noi venivamo dalla parte opposta della scuola, quindi era molto distante, andando a Gorla raddoppiavamo la strada, allora il il direttore là si è un po’ convinto e ci ha concesso di ritornare a Precotto eh ecco e quindi questo qui mi è andata anche bene. Ecco la vita a Precotto durante la guerra: era terribile, la paura era tanta, la paura era tanta, come dicevo prima le sirene poi a Milano suonavano alla gran più bella, però noi ormai bambini eravamo abituati a a questo genere di vita, perché nonostante tutto noi bambini giocavamo, perché c’era pericolo, c’era la fame, c’era il freddo però si giocava, con quello che c’era, coi giochini lì di poco conto che si potevano racimolare allora, e giocavamo. Poi eeeeh è venuto quel triste giorno del del bombardamento della scuola: ci siam recati a scuola eeeh va beh è venuto non so se devo raccontare il fatto ma penso che sia ormai risaputo, beh comunque mi han tirato fuori dalla scuola eeeh sano e salvo, tutto imbiancato, tutto impolverato. Ecco l’unica cosa che posso dire che è anche un qualche cosa che fa un po’ ridere, mia mamma era al lavoro a Sesto, io sul viale Monza che stavo andando a casa, non c’era in giro nessuno, ecco una cosa che mi ha messo anche paura, ero solo per strada, non c’era nessuno neanche un’anima proprio, tutti richiusi per per il timore del bombardamento, ed ecco che appare un un un signore in bicicletta, non so neanche chi fosse, io l’ho considerato un angelo custode dopo, che mi fa, io non so mi esprimo in dialetto ‘Uè tì nani in doe te vè?!’ cioè ‘Tu bambino dove vai? ‘Eh sun drè andà a ca’’ ‘ Cià ven chi che te careg in mi su la cana della bicicletta e te porti a cà’. Perché io ero a quasi, quasi un chilometro la mia casa da quella zona lì. E così mi ha portato a casa, arrivo a casa, mia mamma non c’era, mio papà neppure, tra l’altro non erano neanche al corrente che era bombardata la scuola. Arrivano, no arrivo io veramente, arrivo io e mio zio ‘Oh vin chi poverino vieni qua che ti met tuto sporco, bagnato’. Io avevo una sete terribile perché il bombardamento ti lascia la polvere in bocca e il sapore di zolfo. ‘Vieni qui che ti do un bicchierino di Fernet’ [laughs] io quella volta lì m’han dato da bere il Fernet, una porcheria solenne, non ho bevuto più il Fernet in vita mia. Ecco, dopo questa esperienza che grazie al cielo ne sono uscito, ecco i miei genitori mi rimandano a Crema [laughs] perché qui le scuole non c’erano più eh, tanto è vero tanti miei amici qui a scuola uno andava presso una mensa, quell’altro presso uno stabilimento, quell’altro presso l’oratorio della chiesa, cioè le varie classi le hanno smistate. Io invece mi hanno mandato a Crema e ho completato gli studi elementari lì a Crema, ecco. Questo qui è a grandi linee la la mia esperienza di guerra, però quello che mi ha segnato maggiormente è stata la lontananza dalla, dalla mia famiglia per un certo periodo, il freddo la paura, la paura, la paura anche del del Pippo che di notte veniva a sorvolare la città e tutti avevamo timore le finestre, chiudevamo tutto, spegnevamo la luce che temevamo che questo Pippo qui sganciasse qualche, qualche bomba ecco, quindi questo qui è a grandi linee eh, il dopoguerra. Il dopoguerra è stata, è stato bellissimo, cioè siamo rientrati, però mi sono rimasti i segni tanto è vero che quando suonavano le sirene degli stabilimenti, io abitavo vicino a Sesto e a Sesto c’erano tanti stabilimenti, io scattavo come una molla e e partivo per cercare rifugio però dopo sapevi che oramai è finito, però è rimasta dentro ancora quella quella quella sensazione lì di scappare, fuggire, fuggire la paura era terribile, il bombardamento è brutto eh, i bombardamenti son brutti. Quando andavamo in rifugio in braccio a mia mamma che bombardavano qui a Milano, tremavo come una foglia, era il mese di agosto eh ero lì che tremavo ‘Eh ma tu sta fermo Paolo sta fermo, sta qui tranquillo’ e io tremavo tremavo tremavo, probabilmente l’effetto della paura, col senno di dopo eh non lo so, e così, e comunque la guerra l’è l’è, è una brutta roba dai diciamo così. Poi nel dopoguerra invece non è che le cose andassero meglio eh, grazie al cielo mio ha trovato da lavoro, da lavorare come autista e quindi qualche cosettina si muoveva, però il freddo c’era, perché ancora il riscaldamento non non era avviato, non c’era ancora la legna per bruciare, il carbone cominciava ad arrivare pian pianino, quindi nel ’46 è stato un anno piuttosto pesante ancora che ha risentito dell’essere stato in guerra. Io a scuola mi hanno iscritto ad una scuola di avviamento al lavoro, a Sesto, e andavo a piedi eran quasi tre chilometri, tutti i giorni a piedi andata e ritorno, a piedi andavamo perché mezzi c’erano ma costavano, c’era il tram di Monza che portava là. E quindi andavamo a scuola ma più delle volte d’inverno ci lasciavano a casa perché non avevano la legna per riscaldare le le classi, per cui per noi era una, era una pacchia nel senso che i bambini basta dire di non andare a scuola e tutti contenti ecco. Se devo dire un particolare che del bombardamento eh, quando è suonato l’allarme che i maestri ci hanno indicato la via del rifugio in maniera anche veloce ‘Su su bambini muovetevi che che il pericolo è incombente’ ecco in quel momento lì è scoppiata, e mi ricordo bene, una gioia infinita tra noi ragazzi ma non perché suonasse l’allarme, era era in procinto un bombardamento, no no perché noi smettevamo di fare lezione e quindi eravamo felici beati e contenti, come tutti i bambini del resto eh, vivono la guerra ma anche sanno giocare ecco e questo qui, ho sempre giocato, ho sempre giocato ecco, studiato poco perché va beh, ero a casa sempre da solo nessuno mi mi spingeva a studiare per cui ecco io penso che che.
EP: Vorrei farle qualche domanda sul, su proprio quando è scoppiata la guerra: lei si ricorda che cosa si diceva, che, quali erano i discorsi un po’?
PB: Sì sì mi ricordo che c’era dell’euforia, eran tutti contenti, mi ricordo di questo, sì sì, mi ricordo, vedevo le persone anche i genitori, a scuola, parlavano dell’entrata in guerra dell’Italia, però lo dicevano con una forma ‘Tanto si vince, porteremo a casa la ricchezza, staremo meglio’ e quindi c’era una euforia, c’era euforia, c’era euforia. Fino al ’42 eh, poi ha cominciato a spegnersi e poi dopo è successo quello che sappiamo un po’ tutti immagino.
EP: Ehm riguardo invece appunto l’esperienza del bombardamento, lei si ricorda che cosa succedeva dentro il rifugio, quali erano un po’ le cose che si facevano?
PB: Ah sì sì guardi, siamo rimasti in rifugio, da quando è suonato l’allarme, è scattato l’allarme, saran passati due o tre minuti, perché la scuola di Precotto era su un piano terra no e quindi entrare in rifugio, a parte qualche fatto un po’ unico che non è riuscito ad arrivare in rifugio ed è morto, però noi bambini siamo riusciti a scendere abbastanza velocemente. E dicevo prima, in forma anche abbastanza gioiosa, cioè non pensavamo certamente che venivamo bombardati, eravamo contenti perché, dicevo, abbiamo smesso di far lezione e via era felicità no, e quindi eravamo gioiosi, quindi nel rifugio giocavamo, ah i soliti spintoni ‘Ti ohe, aaah bim bum’ le solite cose dei bambini. Poi a un certo punto, dopo pochi minuti eh, perché è successo quasi subito, si spegne la luce, oibò, si spegne la luce poi cominciano, un boato enorme, tremato tutto cominciato a cadere i calcinacci, polvere, odore di zolfo, bambini che piangevano, altri che che si lamentavano, uno era sporco tutto di sangue, e allora lì è cominciato a essere un po’ una faccenda più più seria ecco. Io come dico però, nonostante tutto, non ho perso la calma, sinceramente, dico la verità, ero abbastanza tranquillo, paura sì, ma tranquillo, e poi dopo pian piano dopo dieci minuti circa, la sapete immagino la storia di quel sacerdote che che, don Carlo Porro, il quale ha intuito che han bombardato la scuola, è corso subito, e assieme a tre o quattro volontari, ha aperto un pertugio perché ha capito che eravamo ancora sotto, ha aperto un pertugio e lì ha cominciato a sfilarci. Io sono stato il penultimo a uscire, ci mettevamo in coda, i maestri, devo dire i maestri abbastanza coraggiosi, devo dire, sì perché sono stati capaci di mantenere la calma e soprattutto di creare un po’ di ordine, quindi ci hanno incolonnati e si è creato una specie di scivolo con le macerie, siamo arrivati al soffitto del dello scantinato e lì c’era questo pertugio, ci prendevano le braccia e ci tiravano fuori come tanti salami no. E lì, poi dopo non succedeva nulla, io mi ricordo che il signore che che c’era lì vicino ‘Ecco ades te sè fora’ parlo in dialetto scusatemi eh ‘Te sè fora, va cur cur a ca’’. E io mi dicevo ‘Mah cur a ca’?! Cur a ca?! Ma dove vado?’ era tutto bombardato, non sapevo più dove fossi. Quindi vai di qui, vai di là, dove sono? Dove vado? Non c’era nessuno, ma in un bel momento mi sono ritrovato in una via che conoscevo, via Bressan, e di lì sono entrato su viale Monza e poi ho incontrato quel signore in bicicletta che mi ha portato a casa, però primo momento, sono rimasto veramente scioccato perché, mi hanno detto ‘Vai a casa, vai a casa corri vai a casa che c’è ancora pericolo’ [coughs] però vai a casa, era era difficile perché non si capiva più nulla, poi sul viale c’erano il tram, che era stato divelto dalla dalla, dai binari del tram, era lì mezzo su mezzo giù, un cavallo poveretto con uno zoccolo tagliato via, perdeva sangue, si lamentava, tutte scene di questi tipo, no? Terribili, però persone nessuna, ecco ripeto, una delle cose che mi ha colpito, la solitudine che mi son trovato quando mi han tirato fuori dal dal rifugio, ero proprio solo, c’era nessuno, no ‘E adesso cosa faccio io?’, dopo ho trovato quel signore lì che mi ha portato a casa ecco.
EP: Ehm tra, tra i bambini della classe, lì nei giorni, nei momenti successivi al bombardamento, ne avete riparlato, è stato un argomento anche?
PB: No. Come dico, io non ne ho riparlato coi miei amici perché m’han portato a Crema. Ecco a Crema, lì la direzione, i maestri, la propaganda fascista, diciamolo così, eeeh mi hanno accolto come, non dico come un eroe ma come uno che che, che che ha compiuto un atto bello, doveroso no, perché ‘Eh bombardato, eh qui, gli americani assassini!’, cioè la solita propaganda del regime, e quindi mi han fatto ergere a eroe, detto così in parole, e quindi non ho potuto parlare con, con i miei amici, dopo nel ’46 li ho rincontrati però oramai era finita la la, e quindi non ne ho parlato perché mi hanno portato via subito, per cui, e ho avuto quella esperienza qui del, di Crema.
EP: E appunto anche dopo la guerra c’è stata occasione di rincontrare le persone che avevano avuto quella esperienza?
PB: Sì ma non ne parlavamo, no, non ne parlavamo. Probabilmente c’era un silenzio, un silenzio anche timoroso di dover rievocare situazioni tristi, di paura, di di sofferenza, probabilmente questo, no non ne abbiamo mai parlato, no, no.
EP: E riguardo eeh la fine della guerra proprio, lei si ricorda i giorni finali, che, se se ne parlava, che cosa si diceva.
PB: Sì sì sì. Io mi ricordo, dunque ero a Crema, purtroppo, purtroppo, ero lì sfollato, mi ricordo che il 25 aprile una, un gruppo di partigiani, tra l’altro mi hanno colpito anche veramente, armati fino ai denti, con, sembravano dei dei banditi del del, messicani con le con le con le strisce di cartuccere, i mitra, i mitraglieri, e portavano delle donne, ex collaboratrici fasciste che le avevano rapate e pitturate di rosso la testa, ecco passavano per la via lì, così, ecco questo qui mi ha colpito, mi ha lasciato un po’ un po’ come dire, non mi è piaciuta la cosa ecco, non mi è piaciuta, proprio una brutta, un brutto ricordo di quella lì, che poi mi han detto poi che queste donne qui le portavano al campo sportivo e lì le hanno uccise tutte ammazzate, fucilate ecco. Quindi mi ricordo ero lì a Crema ho vissuto questo momento brutte del dopoguerra, della presenza di questi partigiani che erano accaniti, proprio veramente, forse perché sono un tipo tranquillo non non mi, non mi ha sfagiolato tanto ecco quella presa di posizione lì verso quelle donne, anche se colpevoli per carità, io non non voglio giudicare, però quel trattamento lì, così meschino no, non mi è piaciuto ecco dico la verità questo. Poi dopo nel periodo della fine della guerra c’è stata la la la come dire, la restituzione delle armi, mio zio aveva lì tre moschetti che aveva nascosto quando l’8 settembre molti militari hanno lasciato il reggimento per ritornare a casa, quando è stato l’armistizio dell’8 settembre, e mi zio aveva accolto tre militari, di Vigevano erano, eeh li han cambiati, gli han dato i vestiti da borghese e lui ha tenuto lì tre fucili e la la divisa, quindi sono andato con mio zio a restituire al comando partigiano, perché c’era l’obbligo di restituzione delle armi occultate durante la guerra, ecco, così mi ricordo questo. Qui a Milano non c’era quindi non non non ho presente, perché la situazione di Crema per per quanto fosse abbastanza indicativa però in dimensioni più ridotte, ecco sì, essendo una cittadina piccolina. Però ecco, un’altra cosa che mi ha colpito, eeeh i tedeschi che prima erano arroganti eh, perché io ho sempre avuto paura dei dei militari tedeschi, anche questa qui è una cosa che, quel modo di parlare loro che per noi era era incomprensibile, duro, forse magari a loro insaputa, però creavano in noi bambini uno stato di timore, di paura, e quando vedevamo i tedeschi, sempre armati di tutto punto eh, io parlo di Milano, vedevamo i tedeschi eeeh scappavamo perché avevamo paura, erano duri proprio, al contrario di quando sono arrivati gli americani, che gli abbiamo incontrati e ci davano qualche cioccolatino la ciuinga, cevingam [chewing gum] lì quello che è, quindi era un altri tipo di rapporto, ma ecco un’altra cosa ho avuto paura dei soldati tedeschi, poveretti come dico magari non non ne avevano intenzione di farci paura, però il loro modo di vestire, di essere armati, il loro modo di parlare così secco duro e ci ci condizionava ecco. E poi ho visto questi tedeschi sempre lì a Crema su una camionetta con questi partigiani qui che li insultavano, li picchiavano, li li, li li come dico si sfogavano un po’ verso questi tedeschi qui, giustamente, ingiustamente lasciamo domineddio a, a giudicare.
EP: Ehm riguardo a chi ha compiuto il bombardamento vero e proprio, che cosa pensava lei da bambino di questi bombardamenti
PB: Guardi a onor del vero noi non pensavamo, non sapevamo neanche chi fossero, certo eravamo come dire spinti dalla propaganda a pensare che chi veniva a bombardare erano degli assassini, ecco questo ce lo avevano inculcato bene eh, perché se voi morite, se voi soffrite, è per causa di quelli là, non di noi che vi abbiamo portato in guerra, ecco questo qui è, è quello che noi eeeh provavamo. Ecco però non sapevo, sapevamo che erano inglesi [emphasis]. Sì, e allora tante volte passavano le formazioni di aerei sopra Milano e andavano, che andavano in Germania a bombardare, noi eravamo lì a contarli ‘Uno, due, tre, quattro, cinque’ era bel tempo, il sole bello, e ci divertivamo a contare gli aerei che andavano, però quei giorni che sono venuti a bombardare eeeh la scuola di Precotto eravamo a scuola non abbiamo potuto contarli [laughs] li abbiamo contati dopo.
EP: Ehm successivamente, cioè una volta adulto, ripensando a quei fatti, che opinione le è rimasta?
PB: Beh l’opinione rimasta è che io odio la guerra, ecco qualsiasi forma di guerra proprio, non riesco a capire la necessità di fare una guerra proprio, io da piccolino ho capito che è stata una guerra inutile, proprio inutile! Quanti miei amici che sono morti ancora piccoli, quanti papà che son morti in guerra, al fronte, quanti, quante mamme nella sofferenza nella fame, quindi cosa ha lasciato? Cos’ha lasciato? Valeva la pena? Cioè è questo che mi pongo. Da adulto ho detto, ma vale la pena? Perché le guerre si differenziano, si differenzieranno dal modo in cui uno la fa ,però è sempre, la finalità è sempre quella, inutile inutile, crea solo dolore, morte, basta non crea niente la guerra non crea niente, non crea proprio niente, questo qui mi è rimasto molto impresso, tanto è vero che io son contrario eh son pacifista a oltranza.
EP: Va bene, io sono.
PB: A posto.
EP: A posto, la ringrazio moltissimo
PB: Ma di nulla.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Paolo Bottani
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Erica Picco
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-12-02
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Francesca Campani
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:33:25 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ABottaniP161202
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Po River Valley
Italy--Milan
Italy
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1944-10-20
1943-09-08
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Description
An account of the resource
Paolo Bottani recalls wartime memories of a working-class family in Milan. Describes the widespread enthusiasm for the declaration of war, followed by a relatively calm period. Mentions alarms as greeted initially with joy because classes stopped and the care-free attitude of children who used to salvage shell casings for their scrap value. Recounts the first bombing he witnessed when in Crema and gives a detailed account of the Precotto primary school bombing, where he was trapped underground and brought to safety by the effort a rescue party. Describes the aftermath of the bombing on the surrounding areas and explains how the authorities presented him as evidence of the Allies’ brutality. Recalls his life as evacuee: fear, hunger, cold and painful frostbites; disrupted communication; destroyed bridges replaced by precarious footbridges, strafing. Recollects events at end of the war and describes head-shaved female collaborators paraded in shame. Mentions a life-long distress reaction to sirens and connects his strong pacifist stance to the experience of being bombed.
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
animal
bombing
bombing of Milan (20 October 1944)
childhood in wartime
civil defence
fear
home front
perception of bombing war
strafing
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/173/253/PMaggioniF1601.1.jpg
2b52b164110174e56095172219eb4eff
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/173/253/AMaggioniF161203.2.mp3
eeba9f9b823772e0bada221f9193f25f
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Maggioni, Fausta
Description
An account of the resource
F Maggioni
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
One oral history interview with Fausta Maggioni who recollects wartime experiences in Milan.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Maggioni, F
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
ST: Volevo chiederle signora Fausta se ci può parlare della sua famiglia, della sua vita negli anni ‘30.
FM: Sì, sì, dunque niente io sono nata nel ‘31 e la guerra l’ho vissuta un po’ da ragazzina, da bimba, da bimba, ragazzina. Mi ricordo che quando c’erano i bombardamenti eeh avevano fatto sotto nel nostro casolario ehm un rifugio, così. E mi ricordo che mio papà era capo, per per correre sempre avanti e indietro sui solai perché allora avevamo i solai pieni di di di legna, carbone, e per vedere se cadeva qualche, adesso io non mi ricordo come si chiamavano quando bombardavano in città. Siccome che io abitavo in, un po’ in fuori, perché siamo abitavo a Trenno ma è sempre Milano, e si vedevano cadere delle, non so come come spiegarmi, che cosa si diceva, allora c’era mio papà che era a capo, capo di lì con un altro ragazzo che giravano tutti il condominio su in solaio per vedere se cadeva qualche, ma guarda che non riesco a, va beh insomma lasciamo perdere lì andiamo avanti. E niente, però nel frattempo, nel giro di due anni o che, la cosa è cambiata anche perché io ormai ero già grande e, e c’erano i partigiani e i, partigiani, c’erano i partigiani e i tedeschi, ma più che i tedeschi erano i, come si dice, aiutatemi, i fascisti, fascisti contro i ragazzi che non andavano a militare. Io avevo mio fratello con due o tre suoi amici e allora ci incaricavano noi ragazzi, se eravamo sulla strada così fuori, se vedevamo qualcuno che arrivava col mitra in spalla di chiamare subito. E allora i ragazzi avevano fatto una buca all’esterno del cortile e si nascondevano lì con delle foglie, avevano fatto. Ecco quello lì era la, il nostro lavoro da fare, i primi i primi anni eh della guerra così che io mi ricordo da bambina che andavo a scuola, siccome che mio papà non era fascista, non mi davano neanche la possibilità di andare in vacanza con gli altri bambini perché mio papà era fascista, e mio papà non voleva che mettessi la gonna e la camicetta quando c’erano, c’eran dei giochi da fare, ed io ero esclusa perché chi non aveva la tessera di, del partito fascista non avevano diritto a niente. Vabbeh, e io però ero una bambina, non mi pesava più di tanto, poi col passar degli anni ho cominciato anche ad andare anche a scuola e io son rimasta sotto bombardamento, la mia scuola è crollata un pezzetto, e allora la mamma per, per paura mi ha mandato dai parenti fuori Milano, che poi quel lato lì la scuola non era identica a quella che facevo io, insomma sono andata a terminare la scuola con, con nessun voto e dovevo ripetere e non sono andata più a scuola, vabbeh poi dopo ho passato degli anni così. Ecco il ricordo più brutto che ho, dopo quello lì che hanno ucciso e c’è la lapide anche sulla strada, hanno ucciso due persone perché si scontravano fascisti e tedeschi, c’erano i tedeschi che non so, perché io ho visto perché essendo anche ragazzini però avevi la curiosità, eravamo anche scemi o proprio non capivamo niente, eh di andare tutti in bicicletta facendo la strada un po’ nascosta nei nei prati per vedere come erano i tedeschi che passavano sulla strada, così eravamo già alla ritirata. Perché io faccio un po’ da dall’inizio alla fine eh, perché qui adesso un po’. È un ricordo che ho, una mattina, siccome che mio nonno lavorava in una cascina, proprio qua vicino, e tutte le mattine le davano il latte e allora io col mio calderino col coperchio sopra andavo sempre a prendere il latte, dovevo attraversare, te ti ricordi dove c’è la pista dei cavalli? Ecco lì avevano fatto un buco nella siepe per, per arrivare prima lì e non fare tutto il giro della strada, io mi ricordo, sono andata, ho preso il mio latte, sto ritornando esco dal buco della, mi trovo lì tre ragazzi col fucile in mano, io non so cosa mama, ‘Ma cosa fai?’ che si mettono a gridare ‘Ma cosa fai in giro?! Vai via che ci sono i fascisti di là! Corri a casa!’. Io correvo correvo col mio calderino del latte, sono arrivata a casa senza latte, arrivo a casa il portone, il mio portone del, del palazzo era chiuso perché nel frattempo era arrivato il carro che trasportava il latte, per portarlo in centrale, c’era il carro col cavallo e l’han portato dentro in cortile senza lasciarlo fuori e io avevo una paura, ero lì fuori e non c’era nessuno, ho cominciato a picchiare la porticina dove si poteva entrare, finché a un certo punto qualcuno mi ha aperto ecco lì poi son crollata, son scoppiata a piangere mi ricordo ancora e senza il latte, il latte era andato per terra non c’era più neanche il coperchio ‘Vabbeh il coperchio lo andrai a cercare, lo troverai’ e niente tutto qua. E anche la storia che se andava, mio fratello quando poteva se sapeva che c’era e non c’erano tante persone in giro a cercarli, perché allora c’erano anche i partigiani, i partigiani li cercavano per avere qualcuno che li aiutasse, mentre i fascisti li cercavano perché mio fratello era del ‘24 era un periodo che loro dovevano essere, essere i militari, e lì piuttosto di andare coi fascisti beh ha rinunciato, se poi andava bene bene. Poi un’altra cosa, io mi ricordo che nel frattempo avevo mio zio, era stato trasportato con quei treni dell’accidente lì in Germania nel campo di concentramento e, e m’era arrivato a casa mia, perché lui viveva con mia mamma e con noi, era era da solo, era arrivato un cartellino, un biglietto della croce rossa in cui si diceva ‘Un familiare della sua famiglia è stato ricoverato, è stato trasportato, è stato mandato in Germania come come prigioniero’ e allora con quel biglietto lì mia mamma me lo ha messo sulla, sul buffet, me lo ha appiccicato su, e mi diceva sempre ‘Ti ricordo che lì c’è quel biglietto, se per caso arrivano i fascisti a bussare alla porta e cercano il Mario gli dici che Mario non c’è perché l’han portato in Germania, perché c’è qua il biglietto della Croce Rossa’. E allora con quella storia di quel biglietto lì mio fratello ne approfittava un po’, perché mio zio si chiamava Bele però non c’era il nome, c’era solo ‘Un vostro familiare’, e allora per mio fratello insomma gli andava un pochino alla grande diciamo, che non doveva sempre scappare e così niente. Poi altre cose, che dovevi andare a cercare da mangiare perché noi avevamo gli orticelli che, però mancava, mancava tutto, mancava sale, mancava qua, le patate e allora mio fratello quando, quando c’era il periodo un po’ che andava bene, assieme ad altre persone alla notte, alla sera uscivano e andavano nei paesi a cercare, cercare qualcosa da mangiare, basta, tutto tutto qua. E io quando quando sono rimasta sotto il bombardamento meno male che non è successo niente, lì in corso Magenta c’era una scuola, delle superiori e niente poi, eh ce ne sarebbero di cose da raccontare però ecco il ricordo più più brutto è stato quando ho incontrato quei tre ragazzi lì e quando come cretini siamo andati sulla via Novara a vedere i tedeschi che andavano e lì c’erano i partigiani, dove c’è adesso la, il cimitero degli inglesi, perché su via Novara hanno fatto il cimitero degli inglesi e proprio lì c’erano lì i partigiani, non lo so perché adesso spiegare bene non mi ricordo proprio, io so che c’era tedeschi sulla via, la via Novara, quella là, quella là grande che passavano coi carrarmati, ne ho visti due, la curiosità di andare a vedere i carrarmati, avevo, avevo quindici anni ok? Quattordici quindici anni, eravamo dei stupidi proprio, eravamo in cinque o sei la compagnia solita, però camminavamo a un certo punto abbiamo lasciato la bicicletta nella, nei campi e corravamo, correvamo, per andare a vedere, nel frattempo invece c’erano i partigiani dall’altra parte che seguivano quattro o cinque s’chaman, fascisti e lì c’è stato uno scontro perché anche un signore di quelli lì che hanno ucciso era un fascista e c’è andato di mezzo anche un altro signore che quello là non c’entrava niente e però sono stati uccisi tutti e due lì. Ah un ricordo brutto che adesso mi mi viene in mente: la domenica, domenica pomeriggio, allora questo eravamo bambini ancora, i primi anni della guerra cioè, i priami anni che è iniziato esistere, i come si chiama, i, dunque i fascisti, eeh gli altri, aiutatemi a dire la parola.
ST: I nazisti? I tedeschi?
FM: Quelli che combattevano contro i fascisti.
ST: Ah i partigiani?
FM: I partigiani ecco, scusate eh ma io vado anche, dunque la domenica pomeriggio, andavamo all’oratorio, ai tempi nostri si andava all’oratorio e con le suore così, allora c’erano le suore che ci portavano al cimitero di Musocco, perché allora quando c’era qualche morto sulle strade portavano al cimitero, e quel giorno lì c’era un signore che mi ha detto ‘Cià dai venite vi porto io sul carro’ invece di andare a piedi perché noi andavamo a piedi, era come se andavamo a fare una passeggiata per andare al cimitero. Oh mamma, lì abbiamo iniziato a vedere morti sulle strade, siamo arrivati al cimitero, l’entrata principale, il signore l’avevamo lasciato giù era col carro col cavallo, immaginatevi voi. Siamo scesi, morti dappertutto c’era all’entrata del cimitero, dico ‘Suora ma io non entro’ ‘Ma no, ma poi avanti non ce ne sono più di morti, sono tutti qui’. Insomma siamo entrati, meno male che poi l’uscita abbiamo fatto la, il retro e siamo tornati a piedi, ma quel ricordo lì, una cosa pazzesca. Ricordo quando mio papà mi ha detto che è andato in piazza Loreto a vedere la, l’impiccagione del, che avevano appeso il Duce. Io non sono andata, l’ho visto solo in fotografia, ma mio papà è andato con una soddisfazione, contento come una Pasqua. Ho dì ‘Papà però, potevano fargli scontare la pena e non ucciderli così’ e va beh, niente, penso di aver detto tutto di quello che mi ricordo, ricordi ce ne sarebbero, prima di tutto faccio fatica a parlare, anche quello, poi i ricordi si. C’ho un bel ricordo ma questo c’entra c’entra si e no con la guerra, perché prima di tutto quello che ho raccontato, io e mia sorella, la nonna di Greta, eravamo due bambine e con la storia della guerra le nostre mamme ci han mandato a Prabiago [Parabiago] in una famiglia, erano gli zii dei nostri, delle nostre mamme, perché qua, c’era poco da mangiare e là si pensava che si poteva mangiare di più. E invece, noi due, dunque io avevo forse sette otto, otto anni non so, e mia, la nonna di lei ne aveva due in meno di me, pensavamo di andare dalla zia su là e trovare qualcosa da mangiare, no cosa abbiamo trovato? Un, due vasi di vetro grandi così anche di più, uno pieno di cipolline, uno pieno di cetrioli, questa qui vien da ridere. Solo che noi due mangiavamo poco, ci davano poco da mangiare, o, o se riuscivamo ad andare in un campo vicino dove c’erano delle angurie, andavamo a rubare le angurie per mangiarla, però non sempre, e se no dovevamo mangiare quello che ci dava la zia ma era poco, allora a un certo punto, mia, mia Silvana mi dice ‘Eh telefoniamo, scriviamo a casa di venire a prenderci’ e le era ancora più piccola di me ‘Eh ma come facciamo? Dai andiamo, tanto che non c’è la zia tiriamo fuori un cetriolo’. E allora quando non c’era nessuno, perché avevano come una specie di bar, quando vedevano che non c’era nessuno ero io quella che doveva mettere la mano e tirare fuori il cetriolo, poi dare un cetriolo a lei, un cetriolo a me, una cipollina, e mangiavamo un po’ così, guarda un po’, certo punto dice ‘Senti proviamo a scrivere’ ‘E dove andiamo a prendere la cartolina?’. Soldi non ne avevamo perché eravamo là dagli zii che son lì, e allora c’era lì una signora ‘E madonna maria non ha un bigliettino un, dovremmo scrivere alla mamma e al papà e far sapere dove siamo?’ ‘Sì sì ti do io un biglietto’ era un biglietto postale, allora c’erano quelli lì. E allora di nascosto abbiamo messo insieme quattro parole ‘Venite a prenderci perché abbiamo fame, abbiamo fame’ tutto quello che abbiamo scritto. E sua mamma, lo stavo dicendo un giorno, mi ha detto ‘Ma a chi l’ha indirizzata?’. Oddio io non mi ricordo a chi la abbiamo indirizzata, io so che dopo tre o quattro giorni sono venute tutte e due a portarci a casa, eh, abbiam finito di mangiare i cetrioli. Questo qui vien da ridere però, a vedere i tempi di quegli anni là, niente non so se è sufficiente quello che ho detto.
ST: Volevo, volevo chiederle una cosa sulla sua scuola, lei ha detto che la sua scuola in corso Magenta venne bombardata.
FM: Ma non ha, non ha avuto tanti danni, però noi siamo riusciti tutti a uscire sani e salvi, non c’è stato niente, solo che poi io non ho potuto più andare perché mi han mandato dagli zii, io facevo la la scuola, di là c’era solo la, quella per imparare un mestiere e invece qui facevo la, come si chiamava, quella che ha fatto la nonna, eh chi si ricorda come si chiamava, comunque era una scuola che poi potevi andare all’università, e invece là no, non c’era, perciò non avevo nessuno che mi seguiva, che poi più che giocare non si faceva e finito l’anno mia mamma mi ha detto ‘Senti hai perso un anno, adesso ti metti e impari un mestiere’. Mi ha mandato dalla sarta a imparare a cucire poi da lei non mi piaceva perché lei mi faceva fare solo l’imbastitura e a me non andava, allora sono andata da un signore che era parrucchiere, sarto e parrucchiere e ho cominciato a fare i pantaloni, da allora in poi ho vissuto coi pantaloni in mano. Poi ho trovato una ditta, ditta Fraizzoli che all’epoca era il presidente dell’Inter così, e ho lavorato un po’, poi mia mamma quando siamo venuti in questa casa ha avuto un ictus, dovevo seguire mia mamma o chiamare la badante, o curarla io e allora anziché andare alla ditta a lavorare andavo a prendere il lavoro, venivo a casa col borsone pieno di pantaloni tagliati, facevo e tornavo là a portare i pantaloni fatti, fin che a quando a 56 anni sono andata in pensione. Finito la, andata in pensione, finito di fare i pantaloni ho iniziato a fare, come si chiama, aiuto, aiutatemi, come adesso che si va dai cinesi a fare riparazioni, ho cominciato a lavorare, fare riparazioni, lavoravo di più di quando facevo i pantaloni. E così curavo mia mamma e ho lavorato fino a che la nonna è arrivata a 91 anni e ha chiuso gli occhi ecco. Poi di punto in bianco mi è venuta una maculopatia che sono vent’anni che non ci vedo, adesso poi non ci vedo proprio più, vedo solo le cose, i vostri visi non li vedo, e poi, eh ancora ancora un po’, la Greta perché è qua un pochino più vicino, ma vedo solo, non tutto il viso, vedo una parte e basta, scrivere non riesco più, leggere mi avevano dato il video lettore, ho letto per qualche anno e adesso piano piano sul video vedo solo tre lettere dell’alfabeto e basta, e non riesco andare avanti, e sono qua tutto il giorno, non posso leggere non posso, non faccio un cavolo di niente, eh tutto qua.
ST: Volevo fare qualche domanda ancora se se la sente, volevo chiederle, quando lei andava a scuola o quando andava all’oratorio, le suore o le maestre, vi avevano spiegato a voi bambini dei bombardamenti, cosa bisognava fare, come scappare.
FM: No quando ero a scuola, beh a scuola io ormai ero già grandicella, avevamo imparato noi cosa fare, perché quando suonava l’allarme, se eravamo fuori a giocare per strada correvamo in cortile e che poi si sentiva bombardare perché cacchio, ci sono state delle serate o dei giorni che vedevi proprio che cadevano le bombe in città o fuori, anche quando eravamo fuori che eravamo a Prabiago [Parabiago], alla sera quando sentivamo i bombardamenti andavamo su al secondo piano per vedere i bombardamenti e capivamo dove le bombe cadevano, se era Milano o era più spostato, a momenti era, una cretinata lì a momenti sembrava un divertimento per noi, per noi ragazzi. No no ma quando suonava l’allarme scappava subito dentro il cortile, poi si vedeva subito se bombardavano vicino, un pochino più lontano, se era proprio vicino che vedevi proprio quei razzi lì che che madonna, sembrava che bruciavano dappertutto, e allora si, correvamo giù in rifugio, e andavamo avanti così. Io mi ricordo che avevo una, quando la mamma andava a lavorare, aveva là una borsettina, fa ‘Guarda che quando suona l’allarme che vai in cantina tira su quella borsettina qui che c’è dentro tutte le cose che abbiamo’. C’erano le cose d’oro che una catenina poche cose perché, mi hanno messo la catenina d’oro quando ho fatto la prima comunione, poi finita la cerimonia me l’hanno tolta, eh ho fatto la fotografia con la catenina d’oro ma non era mia, me l’ha, me l’ha messa la mia madrina, quando è finito che sono andata a casa mi hanno tolto la catenina d’oro, potevi fare a meno di metterla, no? Cosa me ne fregava a me della catenina d’oro. Ecco qua.
ST: E un’altra cosa, mi ha detto che suo papà e altri uomini della casa andavano a controllare se il solaio e tutto erano.
FM: Sul solaio cadevano i i razzi, perché se ti cadeva solo un razzo sul sul tetto che riusciva a bucarlo, sotto noi avevamo, come vi dicevo prima, il solaio, era solaio per tutto [?] ogni famiglia aveva il suo pezzo di solaio, che non avevamo il riscaldamento, non avevamo neanche l’acqua a momenti, perché dovevamo andare giù in cortile a tirare la tromba per portar su l’acqua. Io mi sono sposata non avevo il bagno perché io ho abitato sempre là in cooperativa, adesso abito qua ma questo è il terzo, è il terzo appartamento che cambio in 74 anni della mia vita sempre qua. Ma là quando mi sono sposata io nel ’54 non avevamo l’acqua in casa, l’acqua era sulla ringhiera, sulla ringhiera c’erano i tre gabinetti per quattro famiglie, e l’acqua dovevi andar giù a prenderla in cortile che poi dopo pochi, pochi mesi che mi ero sposata hanno messo l’acqua sulla sulla sulla ringhiera in fondo almeno avevamo l’aqua ghei [?] ma non avevamo i bangi, se avevi bisogno dovevi andare lì sulla sulla ringhiera che c’erano tre, tre gabinetti, e avevi la tua tua catena, c’era sempre quella che puliva più degli altri perché, e niente poi han fabbricato lì in piazza Scolari, son venuta via di lì, son andata di qua, lì almeno c’era tutto, il bagno e il riscaldamento.
ST: E il rifugio invece come era fatto, il rifugio dove vi nascondevate?
FM: Alto tutto coi pali sotto, legno per terra, coi pali infilati dentro e tutte le panchine lì di legno, e non lo so però se se cadeva una bomba lì, non lo so. Però una volta mia mamma con mio fratello quello più piccolo, che avevo un altro fratello, eeh m’ha portato la cascina, la cascinella che adesso non si chiama più neanche cascinella perché adesso han costruito, ma lì c’erano degli ortolani, dei, e avevano fatto un rifugio nel prato, nel campo, hanno scavato un po’ e poi ha fatto, messo lì tutto un mucchio di terra, non so come come l’han fatta perché ci stava una ventina di persone, han fatto lì sto, e allora una notte mia mamma m’ha detto ‘Dai, dai che andiamo lì alla cascinella, dai siamo più sicuri’. Mamma abbiam fatto la strada da lì alla cascinella, quanti razzi che venivan giù, mama io andavo con gli occhi chiusi, piangevo, avevo paura, c’era mio fratello che mi prendeva sotto braccio ‘Dai dai chiudi gli occhi che ti tengo io’ tutto di corsa per arrivare là in sto rifugio. Ma però era bruttissimo vedere tutti sti razzi che venivano giù, sembrava che ti colpissero, tutti sti rossi, cosi rossi, madonna dì ma di ma chi, madonna gente scusate ma, vedete se ho un bicchiere qualcosa, no ma fu quello lì [unclear].
ST: Volevo chiederle, lei e i suoi fratelli quando eravate nel rifugio durante i bombardamenti, come passavate le ore lì nel rifugio.
FM: Guarda dipende da come era anche sopra. Perché se era una cosa grande che sentivi proprio le bombe cadere allora ti, noi bambini, cominciavi a piangere e va beh, o se no c’era quella che cominciava a dire il rosario, poi c’era quell’altro che diceva altre, altri rosari, e niente si stava lì poi quando si calmava un po’ che arrivava giù mio papà o quell’altro ragazzo, perché bisognava fare tutto il giro, veniva giù, l’impressione di vedere la la maschera antigas sempre al collo e poi aveva la, qualcosa per spegnerlo, per spegnere se c’era un piccolo, un piccolo incendio, e insomma, tante volte era anche un, non un divertimento per colpa, però insomma quando sei bambini con qualsiasi cretinata ti diverti. Ma bello quando quando si sapeva, quando, perché qui a Trenno è stato ucciso uno, che era uno di qui ma era un fascistone proprio, lo uccisero lì avanti della cascina, come gl’era [?], è stato ucciso lì, immaginarsi tutti che andavano a vedere, mia mamma ‘Non penserai di andare a vedere, te stai qui’ e non son andata, però il via vai che c’era, mamma, è stato ucciso dai partigiani, e lì uno contro l’altro, eravamo fratelli ma eravamo uno contro l’altro. E quando sentivamo la sirena, però c’era dei ragazzi, c’era il Franco Curzani, quello là ha la mia età, dopo, non tonto perché non posso dire che era tonto, ma lui voleva farsi farsi vedere che lui era bravo e usciva sulla strada e stava là con le braccia ‘Sparate! Sparate, io sono qua’ ‘Ma sei cretino veh?!’ a gu dit ‘Ma se ti attiva davvero un, un?’ ‘Ma no, ma non mi prendono’ e allora gu dì ‘Entra vieni dento, non fare il cretino, lì te, stai lì ad aspettare che cade davvero qualcosa’. Comunque, comunque è stato davvero un periodo da cane proprio, mah.
ST: Quando.
FM: Sì sì, me papà, ha fatto la sua bella, bella, ne avevamo anche là noi in cooperativa di persone, c’erano i Gripa [?] che faceva la, il bidello a, ai Boschetti. Ah ma quello lì ce c’aveva su con mio papà, meno male che non si è mai permesso di picchiare mi papà perché se si permetteva glielo faceva vedere mio fratello chi era.
ST: Quando è iniziata la guerra, quando sono iniziati i bombardamenti, suo papà le ha spiegato cosa stava succedendo, con chi era in guerra l’Italia?
FM: No, ai tempi i genitori non si mettevano, no i genitori erano presi a lavorare a fare qualcosa, mio papà andava via la mattina, faceva il puntatore, nella quando voi non lo sapete perché i puntatori di adesso, adesso fanno tutto coi tubi, invece mio papà mi ricordo quando hanno fatto l’albergo in piazza [pause], quel, il primo grattacelo che han fatto a Milano, adesso non dirmi dove perché non mi ricordo più, e mio papà faceva il puntatore, vuol dire che andavano su coi pali, come i pali della luce di legno e dovevano inchiodarli tutto uno uno. Di fatti mio papà aveva i pantaloni che mia mamma gli aveva fatto una una tasca qua grande di rinforzo per avere i chiodi a portata di mano, e mano a mano andava su e si chiamava puntatore. E io mi ricordo di quel, di quel lavoro lì, com’era com’era fatto perché non riuscivo a capire quando mio papà mi diceva ‘Ma io devo salire, devo salire’ e non sapevo fino a dove poteva andare. E allora mi ricordo che una volta, allora non era ancora cominciata la guerra non so se può interessare, e mi ha portato a fare una visita e m’ha detto ‘Dai siamo qui, andiamo in centro, andiamo a vedere, ti faccio vedere dove lavora papà’. E allora siamo venuti, madonna il, quel, che piassa l’è, non mi ricordi più, beh insomma siamo arrivati lì, mia mamma è andata a parlare con quel capo lì noi e allora sento che mi dice ‘Cià vieni vieni che chiamiamo tuo papà’ e allora si mette col megafono a gridare e chiamare il Maggioni ‘Maggiun!’ in milanese ‘Maggiun! Maggiun!’ e mio papà che rispons ‘Ste gh’è!’ ‘Vin giò! Vin giò che gh’è chi la tua miè con la tua tosa, vin giò!’ ‘Arrivo’. Ho visto mio papà che scendeva da questi pali attaccato come il tarzan e scendeva attaccato al palo è arrivato giù, eh. È stata una soddisfazione enorme vedere mio papà e così ho capito cosa voleva dire puntatore, ecco. Son tante cose ma non è che avessero il tempo di spiegarci, sì dopo quando ho cominciato ad andare a scuola, però non è che ti spiegavano tante cose come adesso.
ST: Quindi quando.
FM: Dai dai partigiani ai fascisti così, ormai ne sapevi perché tramite, perché la radio non ce l’avevo, io la radio l’ho avuta nel, dunque mi son sposata nel ’54, nel ’50 o ’51 il primo anno che c’è stato la la, chi ha vinto la la, che ha vinto la, come se chama, aspetta eh, sì, aveva la, prima, il primo, aiutami, quello che incomincerà la settimana prossima o è già incominciato, quello dei cantanti, delle canzoni.
ST: San Remo?
FM: San Remo, ecco la radio me l’hanno comperata quell’anno, il primo anno di San Remo che mi ricordo che ero là appoggiata alla radio, c’era mio papà e mia mamma a letto e io in cucina appoggiata per tenerla bassa bassa che c’era la la, quella che spiegava gli abiti che avevano su le ragazze e i ragazzi mama ecco guarda, è stata una una gioia immensa avere la radio. Perciò l’è no che i noster genitour, beh ci saranno stati anche quelli che avevano più possibilità, ma il papà e la mamma quando era sera andavano a dormire. E io anche quando avevo otto o nove anni che la mamma, mia mamma faceva la magliaia con la macchina però quando aveva poco che c’era lavoro in campagna andava in campagna. E prima di andare in campagna io sapevo già che quando tornavo avevo il mio centrino sul tavolo pronto per lavorare, per ricamare, perché avevo imparato dalle suore, ero piccola però prima, primo andavo giù a giocare perché in cortile avevamo il gioco delle bocce perché il nostro cortile là era grande, era bello, e ci divertivamo lì a giocare, un po’ con le bocce un po’ senza bocce, poi quando mancava, sapevo che mancava circa mezz’ora o un pochino di più, andavo di sopra mi sedevo sul mio seggiolino col mio centrino in mano, facevo vedere alla nonna che ho lavorato tanto, e quel centrino lì ce l’ho dentro ancora nel cassetto, tutto rotto, tutto mezzo rotto, e non lo butterò via fino a quando sarò morta che me li butten [sic] via gli altri, fa vedere quanti anni è durato quel centrino lì. Però quando la mamma entrava in casa ‘T’ho detto di fare questo!’ ‘Eh vabbeh mamma son stata giù un momento’. Erano sberloni che si prendevano eh, e tante volte che io mi rendevo conto che le avrei dovute prendere, cosa facevo, io andavo in gabinetto, in gabinetto mi chiudevo dentro e aspettavo che arrivava mio papà. Perché quando sentivo la pedana che faceva le scale mio papà, perché ormai riconoscevo le pedane di tutti, i passi di tutti. Quando mio papà arrivava io uscivo e andavo in casa. ‘Nana fa la brava’ ‘Sì sì papà’. Se la mia mamma faceva finta di, le ciapava lè non mì, ecco perciò la sera si arrivava, e arrivavano e quando aveva mangiato mio papà scendeva in cortile e portava su due secchi, prima andava in cooperativa a bere il suo bicchierino, poi usciva, riempiva due secchi d’acqua e se li portava su, e poi andava a letto, la giornata era finita e il mattino si ricominciava.
ST: E lei si era fatta una idea di, durante la guerra di chi fossero i soldati che vi bombardavano?
FM: Ah beh lo sapevamo che erano inglesi, perché tedeschi li avevamo qui, [unclear] chissà perché anche adesso coi tedeschi non mi vanno né davanti né dietro.
ST: E di quei, di quei soldati che vi bombardavano lei cosa pensava all’epoca?
FM: Eh no, noi quei momenti lì noi eravamo bambini, bambini, ragazzine, eh cosa vuoi pensare, io avevo paura ‘Adesso se mi bombardano poi la mia casa non ce l’ho più’. Ecco si pensava, tante volte si pensava questo, magari c’era l’altro che diceva ‘Ma no, con tutti i giocattoli che ho in casa’ eh oddio ‘E invece io non ho niente, non mi rompono niente perché c’ho solo la bambola di pezza che mi ha fatto la nonna’. Perché quel giorno, guarda, questo qui della bambola di pezza è un altro dicordo di quella sera, di quella sera che siamo andati nel rifugio là alla cascinella, che avevo mio fratello che aveva, poi era del ’27 perciò era già più grande di me, e e io piangevo ‘Eh ma dopo arriva, se arriva però quando, quando poi dopo arriva Gesù Bambino che mi porta la bambola (perché allora era Gesù Bambino che portava i giochi, i doni non era Babbo Natale, Babbo Natale è arrivato dopo) e Babbo Natale mi porta Gesù, mi porta il dono, mi porta la bambola, e lui cretino mi dice ‘Stai tranquilla che non è Babbo Natale, che non è Gesù Bambino che ti porta i doni, è la mamma, e la mamma non c’ha i soldi per prenderti la bambola’. A voi sembra una cosa normale che in una notte così, una sera così, piangevo già per la paura, lui mi disse che era la mamma. E allora la mamma cos’ha fatto, piano piano mi ha fatto m’ha fatto lei una bambola di pezza, è durata una vita, e poi non so più dove è andata a finire, e non, non me lo ricordo, basta. Comunque quell’anno lì ho avuto la mia bambola di pezza ed era anche bella, mia mamma poi era brava con la. Niente non so ancora cosa vi posso dire.
ST: Per noi è stata, va benissimo così è stata davvero interessante.
FM: Ah si.
ST: Ci ha detto cose davvero davvero interessanti per noi.
FM: Dovevamo lavorare, voi invece avete trovato tutto piano, tutto pianato eh, gradini già pronti da salire, eh.
ST: Aggiungo che durante l’intervista nella stanza è presenti anche Erica, Greta Fedele, nipote della signora, e Zeno Gaiaschi dell’associazione Lapsus.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Fausta Maggioni
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Sara Troglio
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-12-03
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Francesca Campani
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:43:27 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AMaggioniF161203
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Po River Valley
Italy--Milan
Italy
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Description
An account of the resource
Fausta Maggioni recalls memories of her wartime life in Milan. She describes a sizeable shelter reinforced with wooden props, a little bag with the few valuables she had always to bring along, as well as the many duties of her father as warden, who checked the attic for incendiaries and bombs with a gas mask and small fire extinguisher. Emphasises how air raid precautions were informally learned and how sometimes children remain at home watching the bombing, guessing the points of impact. Describes emotions swinging from excitement to fear, people reciting the rosary or other prayers and stresses the fear of losing her treasured toys. Recollects a bombing at school, the dash to the shelter among incendiaries, target indicators, and how she stumbled upon three armed boys and the subsequent runoff to home. Recollects the gruesome sight of corpses at the entrance of the Mosucco cemetery and a fire exchange between fascists and partisans in which two men were killed. She describes the war as a fratricidal struggle between young men who had no other choice than being called up or join the partisans. Recalls an example of a young man’s bravado who remained in the middle of the street yelling 'Fire! I’m here'. Remembers German troops retreating, as well as the elation of her father, a man of the socialist persuasion, on hearing of Mussolini’s hanging. Gives an account of her post-war life: his father toiling as a construction worker, her job as a seamstress, the first radio set she had, her first home with a bathroom, and a doll handcrafted by her mother.
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
animal
bombing
childhood in wartime
civil defence
faith
fear
home front
Mussolini, Benito (1883-1945)
Resistance
shelter
-
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Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Messali, Teresa
T Messali
Description
An account of the resource
One oral history interview with Teresa Messali who recollects wartime experiences in the Milan and Bergamo area.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Messali, T
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
SB: Possiamo cominciare, allora, Teresa.
TM: Sentiamo.
SB: Dunque, iniziamo con.
TM: A quei tempi lì ero, ero molto più giovane, non ero vecchia così.
SB: Dove si trovava, che cosa faceva prima della guerra, ci interessa saperlo.
TM: Mi trovavo al Duomo di Brescia, non duomo proprio, è un paesino, non proprio in città, in mezzo a una cascina, eh cascina ma eravamo in tante famiglie, non una eh, e lì eravamo delle famiglie ma con sette otto dieci figli, eh non uno. E dovevamo scappare perché se arrivava lì, questi apparecchi che non volevano la luce, bisognava scapà, e anche se eri in casa dovevi piantare lì e andare, c’è ti trovavi il posto posto libero, perché poteva succedere anche che avevamo su la polenta, bisognava lasciarla lì e andare, e mica da ridere, senza la paura! Perché io avevo mio papà, mio papà non aveva paura, andava alla stazione quando sentiva questi aeroplani e mi diceva ‘Vai a destra o a sinistra, dimmi dove vai’ e io avevo una sorella anche, una sorella che mi diceva ‘Io vado col papà e te arrangiati, vai nel fosso più vicino che trovi’. E non era mica facile perché quel fosso magari dove mi diceva di andare era pieno d’acqua, e andavo dove trovavo, per le campagne anche, al freddo anche, eh no mica è stata facile la mia vita da piccolina, da ragazzina proprio. E capitava magari che avevo qualche fratellino dietro, perché io sono la prima di otto, nove per cui ero la prima. E non faccia, anche a ricordarmelo mi tremano un po’ le, sì sì, non sono tanto sul mio ecco, adesso lo dico bene però io non ho paura adesso, ma quel momento là che suonava l’allarme e dover scappare a andar cercare i fratelli per andare e poi mio papà che mi diceva dove andare e invece lui andava là alla stazione, dove c’erano i treni andava a vedere se poteva rubare qualcosa. E mia sorella più giovane lo seguiva, per portare a casa qualcosa, e invece il più delle volte venivano a casa con poco o niente eh. Eh era mica facile, sì sì, e tanto tempo è stato così, quel tempo lì che ero a Brescia in questo Duomo, paese che si chiamava così. E non era mica facile sì sì. Io non riesco neanche andare avanti dalla paura, mi tremano le gambe adesso [laughs]. Passa sì è vero, man mano gli anni passano, però il ricordo non passa mica tanto alla svelta eh, perché io ho sempre lavorato tanto anche, da ragazzina [?], altro che andare a scuola come fate voi adesso, io l’ho vista fino alla terza alla quarta che non mi ricordo qual è che ho, basta, e ho sempre lavorato.
SB: Quindi prima della guerra, ancora quando non si sapeva nulla, lei cosa faceva?
TM: E niente, aiutavo a mia mamma, ma ero sempre in qualche famiglia io, non ero quasi mai a casa, qualche signora che stava meglio di me aveva bisogno di una ragazzina e io andavo, son stata via di casa anche qualche mese, qualche anno anche e guardavo i bambini che questa signora aveva e così è stata la mia vita, sempre così, venivo via da una famiglia andavo in un’altra, che anche una sorella, nei paesi usavano, quelle mamme, quelle donne anziane danno qualche lavoro alle ragazze che non hanno la possibilità di andare avanti, a me hanno messo una sorella da una signora per andare a fare la bambinaia, e invece non era vero che è andata a fare la bambinaia, è andata a, in un centro dove c’erano le ragazza ricoverate, quando io l’ho saputo allora abbiam fatto un po’, di qualche situazione per poter andare a prenderla perché se era da qualche signora che lavorava avrebbe preso lo stipendio, ma andando così lo stipendio non c’era non si poteva, almeno mio papà non l’ha lasciata là, mio papà si è presentato su, sul collegio che c’era e fin che l’han data non è uscito via di là.
SB: Come ha scoperto.
TM: E questa sorella ha attraversato la strada, la la sariola si dice al paese no? Quando che c’è un fosso troppo grosso la chiamano la sariola, ha attraversato la sariola per scappare a casa ma non è riuscita, una signora di questo collegio l’ha vista e l’è andata a prenderla, e l’ha riportata dentro. Così è andata avanti un po’ anche qualche anno ancora, ma mio papà quando era fissato che lì non doveva stare perché insomma non si poteva, non si poteva andare avanti perché i soldi non ci sono, e i bambini erano tanti e bisognava darle da mangiare, e allora è venuta a casa. E però la stessa cosa, quando che lei, io non avevo la sorella, avevo qualche amica della casa, te scappavi dove trovavi la strada libera anche, qualche volta se riuscivo la mamma o il papà ti dicevano dove andare, ma tante volte succedeva che era, partivano prima loro e dove ti trovavi eri lì. Sì, no io una cosa ah beh, tante cose non me le ricordava anche se piangevo però non potevi far diversamente, non potevi. Ma vita è stata dura, la nostra vita sì, tutti noi, siamo una famiglia grande di dieci forse figli, però tutti abbiamo tribolato, tutti. E qualcuno è stato anche via, tornava dopo un po’, quando riusciva a dare qualche soldo tornava a casa, ma a poterlo fare, a poterlo fare, no no è dura è dura, al pensiero guarda mi viene proprio, voi pregate Dio che siete a posto, ma io quei ricordi lì non, non mi passano tanto alla svelta eh, adesso va bene perché oramai son vecchia e non posso più a fare niente, come fai adesso? Non riesco neanche a fare i miei, come faccio ad andare a fare quelli degli altri? Ma io ho lavorato tanto, da tutte le parti, ortolani mica ortolani, da tutte le parti ho fatto io, la bambinaia mica la bambinaia, ho fatto di tutto io, eeh sì, mi viene proprio. Raccontate qualcosa anche di vostro, non solo di mio.
SB: Eh, ma è lei la cosa interessante qua scusi [laughs].
TM: Raccontate anche voi.
SB: Noi vogliamo scoprire come ci si sentiva quando insomma.
TM: Male.
SB: Quando ha scoperto.
TM: Male, male, malissimo.
SB: Chi, chi, come ha scoperto che iniziava la guerra? Come ne parlavano gli altri.
TM: Passava quell’aeroplano lì, che dicevano Pippo, quello lì avvisava persona quando dovevamo scappare no, quando arrivava Pippo lo sapeva tutto il cortile, scappa [emphasis] sacappa a destra, scappa a sinistra, non stare lì a guardare dove vai, qualsiasi posto che trovi, vai. Eh e maga sì c’era il mangiare su ma non si poteva stare lì ad aspettare, no no che poi bombardavano e c’era da d’aver paura perché potevi anche essere sotto, eh no non si fa bello a dirlo, no no, certo che io le date non le ricordo di sicuro, non mi ricordo i miei i miei anni, non mi ricordo.
SB: E quella, quindi il bombardamento è stato il modo in cui ha conosciuto la guerra? Prima non lo sapeva?
TM: Sì sì perché sapevo che c’era la guerra quando suonava questa, poi suonava lo stesso, ma anche tante volte lo dicevano le persone che vivevi insieme ‘Scappa! Sta arrivando qualcosa adesso che non piace’. E allora scappavamo. Poi secondo i posti, c’è dei posti, c’è stato dei posti belli che stavi lì magari ti trovavi una giornata che non succedeva niente, ma erano poche le volte. A me mi è capitato sempre quando ero a casa, quando ero a casa, quando ero in giro, o da una mamma o da un’altra per guardare i bambini, mi andava bene perché là forse non c’era questa possibilità. Anche l’aereo magari non poteva passare di là, perché ero anche a dieci, venti chilometri lontana da casa eh, non è che ero proprio lì vicino. Quello che capitava, capitava. E io anche qualche volta anche da queste signori che io servivo ho sofferto la fame, perché non è che ho trovato le signore che stavano bene, ho trovato anche delle signore che anche loro erano nella mia stessa condizione, e quado sei dentro cosa fai? Almeno prendevo lo stipendio. Ma sì qualche volta cosa facevano invece di darmi lo stipendio? Mi davano le cose che scartavano ai suoi bambini e mi dicevan ‘Pari, siamo pari’. E io come facevo? Avevo mica la mamma di dire ‘Va bene eh’ questa sistema, questa roba qua. Andava bene, perché a me servivano anche quelle cose, e però non era così da fare qualche volta, volevo i soldi io volevo, non quelle robe lì, sì mi servivano però era meglio che mi davano i soldi, come facevo portare a casa alla mia mamma robe cose lì, me lo avrebbe detto subito ‘Potevi lasciarli là quelli lì, i soldi voglio’. Eh però quando che non ci sono, eran buoni anche quelli, portavo a casa tutto io. Eh si, troppo bello, eh insomma, ma la vita, la mia vita è stata così eh, tanti anni. Anche quando trovavo queste signore avevo il mio da fare eh, perché trovavi anche el marito magari che mi faceva tribulare hai capito? È bello quando sei via e hai la rua persona personale, quando sei grande, son diventata grande anche io, avevo anche io qualche volta qualche ragazzino che mi piaceva, sì dovevo o tenermelo come era o se no cambiare, o cercare di fare le cose più meglio possibile. Ho provato anche quelle streghe lì io eh, che magari il marito, il marito e la moglie andavano a lavorare però mi è capitato anche, di vedere la moglie andava a lavorare, il marito voleva venire a letto con me, eh, e te stavi lì, ho fatto una di quelle lite io una volta. Per quello che glielo dico a lei tante volte, stai attenta te, perché non c’è mica da ridere eh, anch’io ho provato quelle streghe lì, oltre alla guerra, anche qualche marito che c’era mica tanto da fidarsi. Eh queste sorprese qui, una volta uno l’ho buttato dalla sariola, lo sai qual è eh? Lo sai? Lo sa? Beh vai dentro lì. Una volta mi è capitato micca, quando è nata lei ce l’avevo sul seggiolino che la portavo all’asilo, forse non, aveva due o tre anni, forse era una stradina che passavo per andare a portarla all’asilo, c’era il fosso di qua e di là, non mi lasciava passare, io l’ho buttato dentro da una parte, ma l’ho salvata lei però, eh sì, eh sì carini. No no, da giovane, io non tornerei indietro, certo con la gioventù del giorno oggi sì, adesso è bello, bello anche troppo adesso, perché tutti contenti li avete adesso, bello vivere così senza pensiero, a casa la mamma il papà che combina fanno tutte le cose belle, invece anche la mamma e il papà c’è qualche volta magari ti brontolano anche loro eh, perché li ho visti anche io, eh quando vedi papà che andava prendeva la ciucca veniva a casa e dopo botte alla mamma, e quelle robe lì non mi piacevano, non mi piacevano, allora gli saltavo al collo, e dopo era da fare a scendere perché dopo lui mi avrebbe picchiato di più, dovevo stare attenta a un fratello che mi poteva salvare.
SB: Insomma un periodo.
TM: Eh si, un periodo proprio, no no, meglio che si vive così anche se fuma, che a lei, che lei non mi piace che fuma eh, eh però fa niente, non ha ascoltato quello che le ha detto la nonna, la nonna non voleva. Lei però mi ha giurato, mi ha giurato che non fumava più e ha sbagliato, no, io la volevo ragazza giovane bella così com’è, senza fumare, però c’ha una, poi adesso fosse una sigaretta lì che proprio una miseria, quelle sigarette io per adesso, forse adesso avrei dieci euro da comprarle sì, una volta no, adesso ce l’avrei da darti, forse mi piacerebbe fossi di più, te lì a fumare quella roba lì, mah non lo so, speriam che vaga bene come te dise a ti, io non ci credo tanto però.
SB: C’era qualcuno che fumava nella sua famiglia durante la guerra?
TM: No i miei, né papà, nessuno dei miei fuma, no, invece mio genero troppo, ma mamma mia, non fuma lui che è un uomo, la fuma lè, ecco questa non riesco a digerirla, chissà forse adesso dica a mia nonna ‘Non fumo più’.
SB: Insomma le donne, le donne non usavano fumare quando era piccola.
TM: No, sì qualcuna ma non come adesso, adesso è una cosa impossibile, adesso fumano manco, addirittura il sigaro qualcuna, ma no dai ma non si può. Fumano e bevano, perché ce n’è anche, e bevono i liquori anche, no non si può, non si può. Io neanche li guardo, sì li assaggio ma non, di farne uso di sicuro, ma neanche il vino pochino quello dolce forse, ma non, ecco lei anche lei però invece le piacciono quelle robine lì, un pochino le assaggia, vero?
SB: Senta, la riporto ancora un attimino indietro, che a noi ci interessa quel periodo lì.
TM: E quale indietro.
SB: Senta come ha scoperta che era finita la guerra?
TM: Eh, quando è ste’ che hanno fatto la festa, nel posto, allora sì eravamo felici, allora è stato bello, quando è finta, ci siamo trovati tutti nella cascina, uno andava a destra, uno andava a sinistra, una felicità, e poi passavano anche i aeroplani, che erano contenti e arrivavano questi aro, europlani insomma [laughs], belli che mettono gli avvisi no? Come mettono le stelline adesso fanno girare queste belle robine, era bello, quando è finita sì. Eh era un pochino più tranquilla anche io, ciusca! Allora potevo andare si va a lavorare, si va a lavorare ma tranquilla eh, io ho fatto anche tanti chilometri ad andare a lavorare in bicicletta, anche a Milano, io son, son venuta a Milano che avevo vent’anni, vent’anni, e lavoravo qua a Milano, ma in tutte le vie, qua quasi in tutte le vie sono andata a lavorare, c’è ancora gente adesso che conosco.
SB: È venuta qua a lavorare.
TM: Però è più bello, quando che non hai questa paura della guerra e sì che stai via, stai via tranquilla, non c’è più questa, andare a mettere, ma quando c’è la guerra oh, è stato brutto, eh e io la gioventù l’ho fatta tutta così, con la paura di lasciar andar perso qualche fratello anche, poi quando ci sono i genitori che un po’ andavan bene, qualche volta eh mio papà era un po’ uno che beveva e diventava cattivo anche eh, e allora lo seguivo io, ero la prima, però c’era mia sorella l’ultima, la seconda era più forte lei a farlo smettere ma io sono un pochino più buona, non volevo trattarlo male, non volevo, volevo che capisse da solo no, certe cose? Non di obbligarlo a non, e quello che dovrebbe, se era ieri che venivate qua c’era ieri mia sorella, tremenda, sì sì ancora adesso tribulo con lei eh, perché lei vuole sempre l’ultima.
SB: E c’era anche lei quando eravate piccole.
TM: Sì, sì, ooh mamma mia, ma lei non ha paura, no.
SB: Si comportava diversamente?
TM: Non aveva paura di niente lei, anzi voleva andare nel pericolo più, più forte che c’era, andava con mio papà lei, andava alla stazione come se niente fosse, invece no no. O se no stava a casa a curare i più piccoli magari, li metteva in un locale in modo che non si poteva scappare, in modo di non farli spaventare anche, perché eravamo le prime insomma, le prime noi, io mi attaccavo a lei, lei si attaccava a me però insomma quando hai una compagnia allora è bello, ma anche adesso noi andiamo d’accordo proprio, sempre, andavo, in questi periodo qua son stata con lei, lei aveva ‘na casa in Sardegna, sempre son stata, sono andata con lei tanti anni, solo che è rimasta vedova adesso e allora non siamo più andate. È vedova lei, vedova anch’io, io prima di lei, lei mica tanto però, però io prima di lei, lei mica tanto, però però io non ho guardato più nessun uomo, ero giovane perché ne avevo 57, potevo fare un compagno ancora eh, ma non mi interessava più nessuno, lei adesso, è cinque anni adesso che è mancato il suo ma il io è trent’anni, per cui ero giovane. Basta, pazienza, Dio ha volturo così, è stato così, pace, la vita s’è fermata lì per, per lui e per me mi fa arrivare qui, io spero che vado avanti ancora ma mica tanto, qualche annetto perché ho un compito io con Dio, se mi succede, sai com’è.
SB: Lei, lei è credente?
TM: Son presente?
SB: Credente, crede in Dio?
TM: Io sì, sì sì.
SB: E com’era il suo rapporto con la religione?
TM: A me piace.
SB: Cosa, pensava a Dio quando?
TM: Io da ragazzina son sempre andata dalle suore, andavo a dire il rosario, ma anche adesso quando posso io, e se non posso lo dico il rosario a casa da sola, sì.
SB: Quando c’erano i bombardamenti.
TM: Eh anche quel periodo là, sempre li dicevo.
SB: Si rivolgeva?
TM: Più o meno tutti noi fratelli, meno un po’ gli ultimi due maschi, però ci aiutavamo ecco, anche nelle faccende, ci aiutavamo, chi faceva quel, il lavoro più grosso e chi faceva il lavoro più piccolo o se no si guardava anche, l’uomo fa un certo lavoro, la donna fa un altro lavoro. Io per il cucito, cucito, ferri o uncinetto, a me piace. Però anche la pulizia mi piace, mi piace che la casa sia in ordine a me, solo che la mia casa è troppo piccola, poi siamo qua, sono qua da sola però c’è roba mia, roba sua, roba della figlia, roba della mamma, tutto ecco, c’è tutto qua. Poi c’è tanta roba che io reciclo e gliela do ancora adesso ai fratelli e se è rotta la aggiusto, non non butto via niente io, lo butto via proprio se è brutto, non si può più usare, se no una maniera o un’altra io li cucio, non butto via niente tanto, fin anche troppo qualche volta, perché lei mi sgrida qualche volta ‘Buttalo via nonna!’ [laughs]. Anche lui, lui poi me li dà rotti anche, eh? Eh va beh dai.
SB: Senta, ma quindi.
TM: Andare avanti.
SB: Esatto, dopo.
TM: Così son sempre cose brutte, cose belle ci sono adesso. Ecco dovrei dire un po’ di cose belle, non cose brutte eh quelle lì non mi piacciono, eh.
SB: Sono ricordi che fanno, che fanno ancora male immagino.
TM: Sì, sì. Di non poter andare proprio, far niente, nella casa dovevi scappare, tira su quello che è necessario e andare, e vivere magari delle ore in un fosso, o in un pezzo di terreno, che poi andavamo anche a far la legna per per far da mangiare perché non c’era né stufa, sì qualche volta la stufa, la stufa ma dovevi andare a raccogliere la legna e eh sì non è mica facile a dirlo e bello, adesso a raccontarla sì, tanto non c’è nessuno più che mi fa del male, almeno quella almeno quella bestia di quella guerra lì è proprio brutta, io la mia vita [phone ringing].
SB: Riprendiamo, ci siam fatti, ci siam fatti interrompere.
TM: E adesso capita le cose brutte anche adesso, per esempio guarda lì la suocera, non pensavo mai che le veniva quella brutta malattia lì, mamma mia, no io credo, per quello che dico io, son vecchia, devo stare attenta perché anche la memoria va via adesso, qualche volta c’è, qualche volta la scappo, non mi ricordo dove li ho messi, e bisogna svegliarsi, non diventare così proprio rimbambiti proprio, fare almeno, stare attenti almeno, lo stretto necessario ecco se no, mamma mia, è un bel. Mah insomma.
SB: Posso chiederle un’altra cosa riguardo ai posti in cui vi rifugiavate? Ha detto che erano dei fossi.
TM: Sì nei fossi, sì a al Duomo, al Duomo di Brescia.
SB: Ed erano dei fossi.
TM: Un paesino, sono paesini dove c’è mia sorella, perché c’ho una sorella ancora io a Brescia, Castrezzato, in via Rovato eravamo, però c’è, è un paese che c’era il mercato il lunedì e andavamo noi lì al lunedì, perché sulla montagna andavamo anche a portar, a far le feste no, quando avevamo tempo, non sempre le cose brutte, c’era state anche le cose belle, finita la guerra, se c’era un compleanno come adesso voi fate la festa, la fate grande perché così io non le ho mai fatte quelle feste lì, anche con la torta mai, la torta chi l’ha vista, i ricchi, i signori, ma io non l’ho mai vista la torta. Me la fanno adesso la torta, me la fanno. Però quei momenti là si tirava su le, le uova, le facevi alla coque, con queste uova si andava sulla montagna, è stato bello anche quel periodo, mio papà lavorava lassù, qualche giorno, che i bambini erano piccoli qualche volta si andava fino là, ma non è che è stato sempre brutto, è stato un po’ e un po’, però quei momenti belli erano belli anche per noi, erano belli. Però c’era sempre quel pensiero che uno o l’altra o l’altra, doveva pensare anche a mandarla avanti la casa, non potevi sempre aspettare che la mamma o il papà ti portano i solti, se andava in un qualche parte che li prendevo di più andavo di volata, almeno avevo anche del mangiare, ma più delle volte non, non avevi neanche quello, altre robe da metterti su, dovevi pensare, perché se andavi a dormire prima o dopo magari trovavi il tuo che l’aveva su uno, e te dovevi arrangiarti ad andare a prenderlo da qualche parte. Adesso invece la vita è bella adesso, averla sempre così.
SB: E questo periodo.
TM: Anche troppo adesso, anche troppo, perché c’è tanto spreco adesso, tanto, vedo anche io qua nella mia casa, tanto spreco, qui buttano via tutto, buttano via, il più delle volte vado a prenderli, la cosa non è mica giusto, non è mica giusto e però è bello perché è variabile, eh eh teniamo, lo dico, glielo dico anche a loro io qualche volta, eh beati loro che lo possono fare. E però con più si va avanti con più, certo adesso dovrei stare qua, gli anni brutti che non dovrei ricordarli più e ricordare, ricordare questi anni che farò andando avanti, allora si, ma non quelli là, quelli là son troppo, io tante volte io non dormo io di notte, ancora ci penso, tutto un po’, grazie [water being purred] grazie. [pause] Eeeeh, mah insomma, ci voleva qui mio papà, anche il nonno, magari e invece è morto prima.
SB: Riparlavate ogni tanto di quel.
TM: Eh?
SB: Riparlavate in famiglia ogni tanto del periodo della guerra, dei bombardamenti?
TM: Eh ogni tanto, sì con mio papà si ogni tanto, è morto con quel pensiero lì anche lui poverin ma lui era a casa però non, si però m’è capitata una roba con mio papà per esempio: un tedesco era venuto, no, no uno erano in tre, eran nel paese lì dov’ero io, è venuto a cercare mio papà. Ascolta ma io, era lì, gliel’ho detto quale era mio papà e lui voleva, voleva che andava insieme a lui no, questo tedesco, e lui gli ha detto ‘Aspetta un momen però, non posso mica venire via così non c’ho la giacca, vado su a prenderla’. È andato su ma non è mica più sceso, è scappato dalla finestra eeeh è andato per per le campagne. Che ne so io che cosa voleva questo qua, e lui invece dopo me l’hanno detto, la gente che c’era lì ‘E certo volevano portarlo via’. Non so dove lo avrebbero portato, non lo so, quello lì non l’ho mai saputo. Ma l’abbiamo trovato perché mia mamma è andata a cercarlo dopo. È saltato giù dalla finestra, wrooo primo piano però ha fatto questo scherzo lui, ha detto ‘Vado a prendere la giacca perché mica vengo via così’ e invece è scappato, mia mamma mi ha detto ‘Adesso sarà scappato’ dice ‘Nella campagna di una famiglia o dell’altra famiglia, perché quelli là’ dice ‘sono i tedeschi’. Eh eh allora ha fatto bene a scappare, se era, che ne so io, eh, eh, ‘na parola, dopo l’ho saputo sì, s’è salvato intanto quel periodo lì almeno l’avevamo a casa, ma era mica tanto forse che era finita la guerra, perché se era in giro ancora queste persone, ma erano tante persone sempre, sì sì, queste ragazzi carini anche, ma vestiti da questa polizia qua, io quando vedevo la, la veste ero già fuori posto io. C’è d’aver paura sì, come si sono arrabbiati quando non hanno visto scendere, eh però io non non lo sapevo che lui avrebbe fatto una cosa così, l’ho saputo dopo però, allora se è vero che loro lo avrebbero portato via ha fatto bene a scappare eh perché non so dove lo avrebbero portato, non lo so. Eh anche lì è mica tanto, no no, quando mi vengono in mente queste cose qua, guarda, ci sen saranno così ma da ragazza, eh pensavo ad andare a lavorare io eh eh perché dovevi lavorare per forza per poter mandare avanti la famiglia, se no. Anche la mia mamma poverina, pelava le cipolle tutti i giorni, aveva una, un ortolano, vicino a noi, aveva queste cipolle che bisognava sbucciarle no, ogni, un tot al chilo ti davano i soldi, allora un po’ lei un po’ io, e facevamo questi lavori qua, quando non trovavamo niente da fare, si pulivano le cipolle, pulivi tanti chili facevi, tanti soldi ti davano, eh si, eh era mica facile, tanto dura la mia vita da ragazza, sì qualche volta sarò andata anche al cinema, ultimamente andavo anche al cinema ma contarlo perché se non avevo i soldi rinunciavo io, non mi interessava proprio. Adesso c’è bello, c’è anche la televisione, una volta io la televisione mica l’avevo, neanche per sogno neanche, ma neanche la lavatrice, non la televisione, la televisione è per sport adesso e la lavatrice la stessa cosa, perché io ho sempre lavato tutto a mano. Eh, adesso la vita è bella, sì andate a casa trovate pronto, il più delle volte e il più delle volte c’è da brontolare anche con gli orari del dormire, gli orari di stare svegli, una volta dovevamo guardare anche se andavo a dormire, io andavo a dormire con un fratello ma sul solaio, tutti e due, solaio la brandina da una parte, la brandina dall’altra, un fratello di là, uno di qua, sul solaio. E però era bello quel periodo là, bastava, anche se era un solaio era bello, perché avevamo posto di dormire.
SB: Questo era dopo la guerra?
TM: Eh si, dopo finita, sì meno male, mamma mia [emphasis], eh insomma [pause].
SB: Bene.
TM: Io sono bloccata qua [laughs].
SB: Ok, possiamo concludere l’intervista. Un’ultimissima domanda se lei è ancora disposta a rispondere, un’ultima domanda. Gli aerei che bombardavano, voi avevate idea di quale nazione fossero?
TM: Brescia, penso, Brescia perché eravamo lì a Rovato e Brescia.
SB: Ma chi pensavate che fossero quelli che vi bombardavano?
TM: Eh.
SB: Chi erano?
TM: Sì, anch’io, quelli che son su sull’aereo io dicevo, non tedeschi ma quasi, eh chi sono quelli che vanno su, sono i piloti lì, cosa facevano i piloti? Sono come queste persone qua che venivano a cercare qualsiasi uomo da portare, dove lo volevano portare questo uomo?
SB: Quindi in paese.
TM: Quei tedeschi lì [emphasis], dov’è andato questo signore che è andato su, poverini, e io glielo dicevo, anche se è andato giù di là io non l’ho mica detto, e no no, non avrei voluto io che lo avrebbero portato via e siamo sicuri che lo avrebbero lasciato andare? Ha fatto bene a scappare eh, almeno secondo me.
SB: Quindi in paese si diceva che quelli che bombardavano erano tedeschi?
TM: beh, così dicevano, sì tutti, bah tutti più o meno tutti si diceva quello che si sentiva parlare dai grandi, quando eravamo con qualche uomo, qualche signore dicevano più o meno ‘Eh madonna cul’ là l’ha miga fini de bumbardà, uh signur l’ha miga bumbardà a se’ basta adesso, tira su e va fora delle storie’ e ‘na parola na ga tra [?] eh come fai. Poi anziché i tedeschi c’è stato un momento mio papà che me lo ha detto ‘Gh’è minga tant da scherzà coi tedeschi, si fissano che sono cattivi ti portano via non sai dove vai’ e la pensavano così qualche volta. Poi gli uomini erano i primi a voler scappare eh se scappano è perché c’è qualcosa che non va eh.
SB: E degli americani avete mai parlato?
TM: Eh anche degli americani, ma tutti i posti extra di dove sei più o meno lì anche malamente ma non lo sai se fai bene o se fai male, non lo so, e noi dicevamo anche noi quello che dicevano gli altri, per andare via alla svelta di quel posto, però noi più delle volte, ecco quando che era, eh non si sentiva questo aereo che bombardava eravamo tranquilli, dove ero, dove mi trovavo, se non c’era questi bombardamenti era anche carino, ma quando cominciano queste persone qua che dopo comincia, poi si spaventa la gente, diventa un disastro perché cerchi di salvarti da qualsiasi posto, non devi andare in mezzo a questa tribù che trovi magari, eh perché è anche gente che diventa cattiva anche se deve essere cattivo qualche volta diventa cattivo, eh perché secondo, le liti che si forma in giro, è brutto! [pause] Eh insomma, dobbiamo fare, dobbiamo fare niente [pause].
SB: Ancora una domanda. Cosa pensa adesso dei bombardamenti, di chi bombardava allora?
TM: Mo adesso, adesso non ci penso più, anche se capita, qualche volta perché succede, anche per strada eh, che arriva magari questi, tutte queste macchine che gira adesso, più delle volte fanno un bombardamento che c’è d’aver paura che tante volte mi alzo a andare a vedere che cosa succede, però non ho più quella paura che avevo una volta, eh una volta avevo paura proprio, e come fa, adesso fa paura la luce, la corrente a me fa paura. Fammi fare qualcosa, io della corrente non, non mi fido tanto, non mi fido tanto, faccio qualsiasi cosa ma quello che trovo facile, me dover tribulà con quel microonde là che non riesco a farlo andare [laughs] mamma mia, no no. Adesso non c’è niente che mi fa paura, adesso va tutto bene, sì, qualche incidente che sento, qualche disastro ho paura, quello sì eh, però non di andare, di aver paura come un tempo, no, adesso se son qui, vivo qui da sola eh non ho paura io, invece ho una sorella che invece lei non sta da sola, invece a me non mi fa niente, io non ho paura, io quando ho chiuso la porta basta sono tranquilla, anche se qualche volta è venuto anche qualche ladro qua eh, che mi ha buttato per aria la casa, fa niente, e però pace, rimettiamo a posto, certo non è tanto facile quando entri dentro che la casa è tutta sottosopra, non è mica bella però che quando è tutta in disastro è proprio un spavento eh, trovare tutto fuori posto e però mando giù, pazienza, ritornerà ‘na roba, una cosa più facile ritornerà, faremo qualcosa, eh quando capita capita, eh anche se son chi, sono la prima porta, per forza, dopo io ho pensato quello, prima porta prima che è arrivata è arrivata qua, però pazienza, mi hanno portato via solo i pennarelli della Erica, niente, e avevo qualche soldino nascosto eh, ma non l’hanno trovato, credevano loro i furbi ma il avevo messi nascosti bene [laughs] hanno portato via tre, tre scatole però, tre scatole di pennarelli, eh pazienza, i pennarelli li abbiamo comprati, eh vede ma una volta non potevo, eh visto, eh si eh pazienza dai, uh signor, adesso passerà dai oramai son vecchia, è arrivato il periodo, io non voglio morire, ho fatto un patto con Dio io, di farmi morire nel sonno, non così viva così no, nel sonno, quando son dentro dormire, trovarmi morta, eh mica bello, spero almeno,
SB: Va bene.
TM: Io prego tanto, qualche volta tanto anche, anche forse di più di quello che dovrei, eh.
SB: Va bene.
TM: Però la vita mi ha fatto vivere, ecco la vecchiaia avrei voluto farla in un altro modo, non così, di essere così mezza rimbambita, perché sono mezza mezza morta, riesco a farlo ma devo stare attenta a muovermi, invece una volta scherzi, io quell’armadio lì lo spostavo una volta, e anche questo spostavo una volta. Adesso, ma neanche quasi riesco a chiuderlo, una volta lo spostavo, eh dici niente, pulivo anche dietro io una volta, adesso non poter far niente è dura, è dura, è dura, dura. Faccio il segno della croce però per quello, per la forza che ho, ecco pace, oggi lo faccio un po’ bene e domani lo fo meglio e però riesco riesco, a fatica però riesco ecco, non come, certo però quando penso alla mia gioventù, che ho buttato via tanto tempo proprio in giro con gli altri, invece quando c’è la famiglia si sta bene anche a casa, e però quando non si può devi rinunciare a tante cose, bah insomma.
SB: Bene, io la interrompo intanto la registrazione e la ringrazio, è stato molto molto molto utile.
TM: Questa che nome ha?
Erica Picco: Sara.
TM: Masa?
Erica Picco: Sara.
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Title
A name given to the resource
Interview with Teresa Messali
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The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
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Sara Buda
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Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
Date
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2016-10-20
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Francesca Campani
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:46:02 audio recording
Language
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ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AMessaliT161020
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Po River Valley
Italy--Brescia
Italy--Milan
Italy
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This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
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The nature or genre of the resource
Sound
Description
An account of the resource
Teresa Messali gives a brief account of her pre-war life with her large family in a farmhouse near Bergamo. She mentions Pippo; describes the pressing need to find shelter during the bombings and stresses how she frequently resorted to ditches. Teresa explains how her father and her younger sister used to dash to the train station during a bombing, looking frantically for something to steal. She recollects the fear of the Germans, how her father narrowly managed to escape roundups and how bomber crews were regarded as enemies as the Germans. Gives a detailed account of the hardship she endured in Milan, particularly her job as nursemaid during which she was often subjected to sexual harassment. Mentions her father getting drunk and beating her mother. Gives a brief account of the happiness after the end of the war and expectations for more serene moments. Compares and contrasts her wartime trials and tribulations with the lifestyle of younger generations.
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
bombing
childhood in wartime
civil defence
fear
home front
Pippo
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/20/258/Memoro 5827.2.mp3
06e3bfd756d2fed42b7aba048c5fa266
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
LG: E un giorno noi ragazzi siamo andati dove c’erano le contraeree, no, i cannoni e i tedeschi non c’erano, cominciavano a scappare, però c’era tutto in ancora in, ancora funzione diciamo dentro queste tende, e noi ragazzi siamo andati lì per curiosare eccetera, un ragazzo ha schiacciato qualcosa e ha messo in contatto con la centrale, dopo un po’ sono arrivati i tedeschi col camion hanno caricato quasi tutti compreso mio padre. A questo punto io ho implorato quel tedesco, piangendo insomma ‘È il mio papà’. Morale, l’ha tirato giù.
Unknown interviewer: È riuscita a convincerli.
LG: E mi è andata bene, capisce? Poi c’è stato i ragazzi che scappavano, loro che sparavano, insomma è stata, anche quello lì è un segnale che mi è rimasto nella mente no.
[part missing in the original file]
LG: Eran pesanti, io mi ricordo quando capitava in casa che bombardavano lì in via Ragusa eccetera, si andava nei rifugi, però ero ragazza, eravamo giovani, ancora un po’ spensierati guardi.
UI: Sì, riuscivate a mantenere.
LG: I vecchi i parenti i genitori erano tutti in cantina che pregavano eccetera e noi ragazzi sulla scala della cantina a cantare, a cantare ‘Maramao perché sei morto’ [laughs].
[part missing in the original file]
LG: Perché pregavano queste persone in cantina, no gli anziani, e qualcuno metteva le immaginette dei santi, no?
UI: Dei santi.
LG: Capisce? Quando c’erano, buttavano le bombe, che ne han buttate parecchie no? Anche incendiarie eccetera, quando c’era uno spostamento d’aria queste immaginette giravano e noi ci divertivamo [laughs].
UI: E voi ci scherzavate, anche nonostante, riuscivate.
LG: Si guarda, poi finito il bombardamento si andava a fare l’ispezione noi ragazzi, no?
UI: E cos’è che cercavate?
LG: A vedere quello che era successo, quindi un odore di brucio, di, sa quella, quell’odore nell’aria, impregnata d’incendio, di.
[part missing in the original file]
LG: Ecco si sfollava a Gorgonzola quando c’erano i bombardamenti e andammo con un carro trainato dai cavalli, si partiva dalla zona della Gobba.
UI: Cioè lì?
LG: Di Milano, la periferia di Milano chiamata la Gobba, no?
UI: La Gobba.
LG: Dove passa il naviglio e con con sto carretto col cavallo si partiva si andava a Gorgonzola, no? Perché, per evitare i bombardamenti notturni, no?
UI: Sì, quanto ci mettevate?
LG: Eh parecchio [laughs] non glielo so dire.
UI: Eh immagino.
LG: Io so che poi su questa cascina la notte si andava sul tetto di questa cascina e vedavamo [sic] Milano incendiata, è stata una cosa veramente tremenda, era tremendo vedere, pensare che casa nostra.
UI: La vostra città.
LG: La nostra città era, stava per essere distrutta, e al mattino alle 6 si rientrava in città. Qualche volta andavamo ai rifugi della stazione centrale.
UI: Ecco com’erano questi, ah sotto.
LG: Sotto i rifugi in stazione centrale, si andava qualche volta lì, eh la guerra è passata.
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Title
A name given to the resource
Interview with Luigia Colussi
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:03:18 audio recording
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Memoro#5827
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Milan
Italy--Po River Valley
Italy
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Francesca Campani
Language
A language of the resource
ita
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IBCC Digital Archive
Memoro. La banca della memoria
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Description
An account of the resource
Luigia Colussi (b. 1925) gives a short account of her wartime life and describes how she persuaded German troops to release her father. Stresses the contrast between the attitude of adults (who prayed and were generally worried by the situation) and the care-free defiance of the youngsters, laughing and singing. Remembers the acrid smell of explosives after a bombing raid. Describes the sight of Milan burning, as seen from the roof of a farmhouse in Gorgonzola where she lived as evacuee.
License
A legal document giving official permission to do something with the resource.
Royalty-free permission to publish
bombing
civil defence
home front
incendiary device
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/20/301/Memoro 14960.1.mp3
48a9c9f0b654a515b827b4346650f7c7
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
IC: Quando poi venivano i bombardamenti eh sai.
Unknown Interviewer: Una passeggiata di salute?
IC: Insomma chi era in città andava nei rifugi, chiamiamoli rifugi, perché erano tutte cantine dove c’erano, si sa insomma cosa si mette nelle cantine, vino o, o altro. Ma erano state rinforzate tutte le cantine di, di tutti i, di tutte le case, con dei grossi legni, rompevano quelli quelli che c’erano sui viali.
UI: Gli alberi dei viali?
IC: Gli alberi dei viali e rinforzavano, c’era poi chi se li portava a casa a riscaldare la casa insomma.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Ivonne Cerasoli
Description
An account of the resource
Ivonne Cerasoli (b. 1925) describes Milan shelters, consisting largely of basements reinforced with wooden props, and tells how people cut down trees for firewood.
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:00:59 audio recording
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Memoro#14960
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Milan
Italy--Po River Valley
Italy
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Francesca Campani
Language
A language of the resource
ita
Publisher
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IBCC Digital Archive
Memoro. La banca della memoria
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
License
A legal document giving official permission to do something with the resource.
Royalty-free permission to publish
bombing
civil defence
home front
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/20/302/Memoro 542.2.mp3
a0a1b1464a445638d29f1585297e686e
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
MM: Io sono nata il 2 agosto 1921 a Pradazzo, Villa Pradazzo che ora la Villa non c’è, non è più Villa Pradazzo, non so come la chiamano, però aveva un altro nome che non me lo ricordo, basta, così. Poi va beh lì sono nata e poi all’età della scuola lì in Pradazzo c’era la scuola e ho fatto fino alla terza elementare lì. Poi siamo andati via, siamo andati a, si chiamava Pellegra ma noi eravamo un po’ spostati, comunque era lì, va beh. Lì c’era anche la scuola, ho fatto lì fino alla quarta poi la quinta sono andata a Castelleone, che era il paese grande e però c’era solo fino a lì, poi c’era la sesta che io ho fatto ma mio padre a Cremona o a Crema col treno che era tempo di guerra non ci ha voluto lasciare andare, né io nessuno di noi sorelle, capito?
[part missing in the original file]
MM: Vabbeh ero fidanzata con un pilota, che è stato richiamato e il, al 23 settembre era in cognizione su Brindisi, è stato, non si sa da chi, è bombardato ed è caduto, è morto, ecco. Allora naturalmente io, eravamo innamorati, ero molto disperata, e dicevo ‘Vabbeh non voglio neanche più saperne degli uomini’.
[part missing in the original file]
MM: Dopo l’8 settembre son venuti i, le camicie, io dico le camicie nere, perché io mi ricordo che erano le camicie nere da mio padre a portar, e ci han portato via il grano. Allora mio padre si è ribellato e dice ‘Ma questo sacco di di grano l’ho messo da parte per la famiglia’ e uno di questi brigate, brigatisti, ci ha dato un colpo, giovane eh, ci ha dato un colpo a mio marito che, a mio papà che lo faceva cadere, e allora io mi sono arrabbiata e mi sono avvicinata per picchiare questo, questo fascistone diciamo così, ma mia mamma mi ricordo che mi ha preso e mi ha portato dentro e la roba è finita lì.
[part missing in the original file]
MM: Mio padre di notte si alzava e col fagotto o di vestiti o di mangiare è andato a portare, due però ne aveva che sapeva li conosceva, e andava nei campi che sapeva dov’erano nascosti a portargli da mangiare. Poi c’è stato uno spione che non hanno mai saputo chi, l’han detto, e sono andate le brigate nere, li han presi e li han portati via, uno è finito in Inghilterra, un prigioniero fino la fine della guerra, e gli altri li hanno presi, così.
[part missing in the original file]
MM: Dopo l’8 settembre che c’erano i bombardamenti mia mamma mi mandava a Milano perché mia sorella era qua sola, era sposata era qua sola ‘Vai lì e falle compagnia’. Io andavo brontolando perché dico ‘Ma allora anche a me, se ammazzano lei ammazzano anche me’. Va beh, un giorno mi sono stancata e ho detto ‘Guarda io vado a casa’ ho preso il treno pomeriggio, verso sera e quando siamo stati a un certo punto è passato il famoso Pippo, un aereo che di notte mitragliava, dove si trovava mitragliava, ha ammazzato anche tanta gente. Allora il treno si è fermato e il capotreno dice ‘Andate tutti giù perché il treno si ferma e non può più andare perché c’è Pippo. Allora io mi sono, io insieme agli altri mi sono fatta dieci, diciotto chilometri a piedi, a piedi di notte [emphasis] per tornare a casa. Allora ho una mia amica che era con me e dice ‘Ma dai non stare lì ad andare a casa devi fare altri tre chilometri a piedi, dormi con me’ a Castelleone dove lei abitava. E di fatti mi son fermata lì e il mattino dopo sono andata a casa insomma ecco.
[part missing in the original file]
MM: Tutte le notti passava il Pippo noi avevamo eeeh gli scuri sulle finestre c’eran tutte le cose blu perché quello bombardava, dove passava mitragliava o bombardava, questo, non si sa se era americano o inglese, l’aereo, non si sa.
[part missing in the original file]
MM: Una notte nel ’42 c’erano su a Milano i bombardamenti e noi stando alle finestre su in alto vedevamo tutto i bombardamenti, tutto il fuoco, vedevamo, e una notte sentivamo chiamare giù, era mia zia con quattro o cinque bambini, ne aveva nove eh! è scappata, son venuti da Milano a piedi, eh, di notte perché piangevano, avevano paura. Allora mio padre aveva, dall’altra parte della strada due, due locali, vuoti, dice ‘Dai stanotte state qua con noi, dormite come si può dormiamo, e domani’ e ci ha dato quel posto lì, e poi non so, ha comprato lei, non so che cosa han fatto, perché io poi ero una ragazza e son stati lì fino alla fine della guerra.
[part missing in the original file]
MM: Quando c’erano che non c’era ancora la guerra e i prigionieri li davano a lavorare nei paesi, e mio papà ne aveva quattro o cinque. Uno che si chiamava Ramo, era greco, mi pare, sì, è ancora, non so adesso, adesso sarà morto, però si è sposato lì, è stato sempre lì, e lui, e uno che è scappato era serbo. Poi l’hanno preso i tedeschi per la strada e l’hanno ammazzato, tutti.
[part missing in the original file]
MM: E un mio cugino, che era sul treno, i tedeschi lo stavano portando in Germania. Lui vicino lì al paese, è saltato dal treno, tutto massacrato, di notte, è venuto da noi e allora ci hanno dato una stanza sotto il tetto, che è stato lì fino alla fine della guerra, era un militare che è scappato insomma.
[part missing in the original file]
MM: Quando c’è stato la fine della guerra ci avevano al radio che diceva ‘Milano liberata’ eeeh ha parlato un po’ che erano liberi e che era finita la guerra e poi hanno tolto tutto perché allora era così, non si riusciva. E allora mio cugino, Dario si chiamava, è, è sceso, è sceso dal di sopra dov’era e attraverso i campi correva correva, voleva andare a Castelleone a piedi che era lontano da dove abitavamo noi. E allora l’hanno fermato, mio papà che dice ‘Ma stai qui vedrai che poi ti portiamo noi a casa’ perché lui era felice, dice ‘Meno male sono libero, adesso non sono più nella stanzina di sopra‘ che poverino, c’è stato perché doveva.
[part missing in the original file]
MM: Poi è finite, al ’45 è finita la guerra e in paese e tutte le donne fasciste erano tutte tosate a zero e le facevano camminare per il paese.
[part missing in the original file]
MM: C’era la figlia di Sorini, e tutte le ricche, c’era la Iole Doneda che abitava, ma erano tutte ricche eh, figli di ricchi, erano tutte in fila, tosate, così per il paese.
[part missing in the original file]
MM: Sapevo anche il nome ma non me lo ricordo, che lui andava in giro quando c’era il mercato, perché lì al mercoledì c’era il mercato, lui andava in giro, se c’era qualcuno che parlava in qualche modo li prendeva a calci, era cattivo e quando è finita la guerra, l’hanno preso l’hanno attaccato dietro a un carretto, a un carro e col cavallo via correvano e lo trascinavano, questo veterinario, basta, quello me lo ricordo, poi tante altre cose.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Maria Malagni
Description
An account of the resource
Maria Malagni (b. 1921) recalls her difficult childhood and chequered schooling history. Mentions wartime anecdotes: the death of her fiancé, an airman shot down over Brindisi; fascists seizing supplies; the capture of two partisans that her father helped; the constant fear of Pippo. She remembers the bombing of Milan and how her aunt fled from the city with five of her nine children. She recollects her father having two prisoners of war working as farmhands, one of them killed by German soldiers and recalls a cousin hiding in the attic until the end of the war. Mentions head-shaved female collaborators paraded in shame at the end of hostilities.
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:08:25 audio recording
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Memoro#542
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Cremona
Italy--Milan
Italy--Po River Valley
Italy
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Francesca Campani
Language
A language of the resource
ita
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Memoro. La banca della memoria
Rights
Information about rights held in and over the resource
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Type
The nature or genre of the resource
Sound
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1943-09-08
License
A legal document giving official permission to do something with the resource.
Royalty-free permission to publish
animal
bombing
fear
home front
love and romance
Pippo
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/20/313/Memoro 6587.2.mp3
61931b51070e4e9138ce7cca8b2233ea
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
LP: Noi siam stati fortunati, a Bruzzano sa perché? Che di là c’è la Comasina, che va a Como, la provinciale e di lì c’è quella che va a Erba: noi eravamo in mezzo. Qui che dava paura era la polveriera dove c’è la Masmeir [Max Meyer] il, lì che fanno colori, lì la Masmer, è una, uno stabilimento di vernici, ha preso anche tutta la, lì, verso Novate, anzi mi pare che la polveriera era sotto Novate non a Milano però non son sicura. E lì che faceva paura era la polveriera però era, era fuori, era in aperta campagna. E qui a dir la verità, c’è venuto qualche spezzone incendiario, dopo la guerra si è saputo che lì, andando di lì c’è la ferrovia nord, e dopo la stazione c’è una bella villa, sempre del Lampertico [?] non dove abitava lui, quella lì l’aveva ceduta al figlio, lui abitava verso il comasino, e lì c’era ospite un generale inglese, e Pippo, non so se lei ne ha sentito parlare, era un ricognitore, che non suonava l’allarme da scappare, perché era un ricognitore ‘Ma fa niente Pippo!’, tutti scappavano perché sentiven l’apparecchio, però. Poi abbiam saputo che lì Pippo dietro alla villa c’era un pezzo di giardino, buttava giù dei plichi, Pippo s’abbassava, che non era un apparecchio bombardiere, e c’era. E noi vedevamo questo signore in bicicletta, vestito male ‘Ma chi è chel lì? Te cugnosen?’ ‘No’ ‘ Ma tu non sai chi è?’ tutti ci chedavamo chi era, nessuno lo conosceva. Lui andava in bicicletta, mi sembra ancora di vederlo passare per andare in paese, anche solo, in chiesa non andava lui era anglicano, ma girava in bicicletta eeeh ‘Chi è quello lì? Chi è? Lo conosci?’ ‘No’ ‘E allora chi è? Da dove viene? Da dove va?’. Ed era, dopo dopo abbiam saputo ‘Ah l’era chel là in bicicletta!’ e così quel particolare lì, l’ho saputo proprio.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Laura Perego
Description
An account of the resource
Laura Perego (b. 1919) narrates how her village in the outskirts of Milan went through the war almost unscathed, in spite of being close to an ammunition dump and other potential targets. Remembers a mysterious badly dressed man who lived in a nearby villa and who used to go around by bicycle, only after the war they discovered he was an English general. 'Pippo', instead of bombing, flew at low altitude and dropped messages for him into his house garden.
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Milan
Italy--Po River Valley
Italy
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:03:02 audio recording
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Memoro#6587
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Francesca Campani
Language
A language of the resource
ita
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Memoro. La banca della memoria
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
License
A legal document giving official permission to do something with the resource.
Royalty-free permission to publish
bombing
home front
incendiary device
Pippo
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/20/334/Memoro 6170.2.mp3
67a6537d3487276a4cc6a3db74c2f7ca
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
AM: Dopo i bombardamenti del 1943, agosto 1943, proprio sulla città, lì son stati tre giorni di, i primi giorni di agosto che sono stati una cosa allucinante. La nostra casa, dove abitavamo in via Archimede, non è stata colpita direttamente dalle bombe ma lo spostamento d’aria delle bombe cadute intorno hanno sfondato i muri divisori, le finestre, i vetri tutti rotti, le finestre squarciate, una cosa orribile. Poi, oltre le bombe buttavano anche le bombe incendiarie o le piastrine incendiarie che erano quadratini di materiale vario che adesso non lo so, il quale col contatto con l’aria venendo giù dall’aereoplano, prendevano fuoco c’hanno fosforo dentro, e cadevano sulle macerie delle case colpite e prendevano fuoco, e le case prendevano fuoco insomma. Perché dove abitavamo insomma un paio di volte siamo corsi sul tetto appena finito l’allarme del bombardamento a cercare di spegnere ‘ste cose perché con niente si spegnevano, bastava un pochetin di sabbia e quelli soffocava il fuoco. Ma se attaccava sotto il tetto che è tutto, stato fatto di travi di legno allora ogni tanto capita che le case andavano incendiate ma molte, moltissime case. Si diceva che il 70% delle case di Milano dei tempi è stato bombardato o incendiato o lesionato. Questo si è detto. La città non era così grande come adesso. Io mi riferisco qui alla mia zona. Già in via Lomellina che è in fondo di via Archimede già era campagna. Non c’erano case c’era solo qualche casa qui e là, qualche casa popolare ma poi c’eran campagne là già. [part missing in the original file] Però insomma i bombardamenti dopo lì di Agosto sulla città proprio non ne abbiam più visti. Ne abbiam visti in periferia, sullo smistamento di Lambrate, sullo smistamento di Greco, che poi ha sbaglià mira e han preso la scuola
UI: Gorla.
AM: di Gorla, completa e là è stato un massacro da non dire. Sì intorno alla stazione ferroviaria e così però insomma.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Aldo Magnaghi
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Aldo Magnaghi (b. 1927) remembers the bombings of Milan and explains how his house was not directly hit but rather heavily damaged by blast waves. He describes phosphorus loaded incendiaries, their effects on wooden structures, and how civilians easily put them out by using sand. He emphasises how 70% of all the houses in Milan were damaged and remembers how his neighbourhood was surrounded by countryside at that time. He mentions the August 1943 bombings of Lambrate and Greco marshalling yards and alludes to the bombing of the primary school at Gorla, the latter resulting in a heavy death toll.
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:03:05 audio recording
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Memoro#6170
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Milan
Italy--Po River Valley
Italy
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1943-08
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Language
A language of the resource
ita
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Memoro. La banca della memoria
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
License
A legal document giving official permission to do something with the resource.
Royalty-free permission to publish
bombing
bombing of Milan (20 October 1944)
civil defence
incendiary device
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/45/398/PColombiE1701.1.jpg
4acae98ec41c841d30c02b3bbc4a0fca
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/45/398/AColombiE170228.1.mp3
82a281051325fb3e9e52db023d8e3d43
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Colombi, Efrem
E Colombi
Description
An account of the resource
One oral history interview with Efrem Colombi (b. 1933) who recollects wartime experiences in Milan.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
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Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-02-28
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Colombi, E
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
ZG: E' partito?
EP: Aspetta.
ZG: L’intervista è condotta per l’ International Bomber Command Centre. L’intervistatore è Zeno Gaiaschi, l’intervistato è Efrem Colombi, e nella stanza è presente Erica Picco come assistente di Zeno Gaiaschi. L’intervista è in [omitted] a Milano ed è il 28 febbraio 2017. Va bene possiamo cominciare. Allora innanzitutto le faccio, qual è il ricordo più più remoto che ha?
EC: Il più remoto ricordo che ho della guerra è l’unica volta che ho visto mio padre in divisa eeeh dell’esercito italiano in Africa, con il cappello rigido e il capello rigido che mi portava sulle spalle in giro per Gorla no? A fare, perché erano stati mandati in licenza, no? E quello è il ricordo più, più vecchio che ho, della guerra intendiamoci. Eeeh da lì poi dopo mio padre praticamente è scomparso dalla mia vita, perché ha fatto tutto il periodo di guerra, dall’ dall’, è iniziata nel ’29 no la guerra no? ’29 è rientrato che era il ’48, ’48 – ’49, non me lo ricordo perfettamente, eeeh ed è deceduto nel ’53, quello son sicuro perché. Quello è il ricordo più vecchio che ho del periodo di guerra.
ZG: E invece il ricordo più vecchio che ha prima della guerra?
EC: Ah prima della guerra i ricordi più belli sono quando mi trasferivo eeeh a Caravaggio, paese d’origine di mia madre, no? E vivevo in campagna con gli altri bambini, no? E non so, andavo con mio zio a raccogliere il fieno, a raccogliere il grano quando tagliavano il grano perché era una grande cascina no? Eeeh mi ricordo che la mattina la prima cosa che facevo mettevo la testa nel bidone del latte, bevevo il latte fresco appena munto, e cose del genere, queste cose che fanno i bambini piccoli no? Poi c’era una piccola roggia vicino alla cascina dove abitavamo, andavamo sempre d’estate a fare il bagno e via discorrendo. Mentre un’altra cosa che ricordo perfettamente, questo invece a Milano no? In piazza, eeeh si chiamava piazza della Repubblica, la piazza dei piccoli alberi, eeeh dei Piccoli Martiri no? E c’era una fontanella, una vedova, noi la chiamavamo vedova, no? Che d’inverno faceva ghiaccio perché acqua usciva l’acqua no? E noi ci divertivamo prima di andare a scuola a far la scarnighetta diseven, dicevano a Milano no? A fare la scivolatina e qualche volta andavamo in classe col col, col sedere bagnato [laughs] cose del genere, insomma le uniche cose che che si potevano fare. Poi il nostro gioco preferito era, io lo posso dire in milanese ‘el giug de la rela’ cioè c’era un, un pezzo di legno fatto a oliva smussata, no? E con un bastone la dovevi battere, una specie di di, lo sport americano, il baseball, no? Solo che non era una palla che veniva lanciata, eravamo noi che la facevamo saltare, e la colpivi, colpivi il legno, legno con legno e volate, gli altri dovevano stare attenti perché se lo beccavano in faccia erano, beh giochi fatti da noi no? E quindi quelli lì son ricordi che non puoi non, non puoi dimenticare insomma perché la la l’infanzia è stato il più bel periodo della mia vita sino a, alla quarta elementare, quando mia mamma dalla storia dei bombardamenti così mi ha mandato in collegio, e lì è stata la mia rovina. Perché erano collegi clericali e io son tutt’altra parte adesso [laughs], son di tutt’altra parte, ma tutt’altra, tutt’altra proprio perché ho vissuto, io c’ho un carattere molto forte, so sono un ribelle, sono in quei casi lì molto ribelle no? E ho fatto tre fughe dal collegio, collegio era a Treviglio e venivo a Milano a piedi, da Treviglio a Milano un bambino di quarta, quinta elementare ve lo immaginate voi a fare quaranta chilometri a piedi poi venire a casa, mia mamma mi menava e mi riportava indietro no? Mi picchiava e mi portava indietro. E quindi sono proprio eeeh storie di vita che non te le puoi dimenticare, perché sono cose che veramente mi hanno segnato la vita. Io ritengo di essere una persona molto fortunata perché mi sono salvato dal bombardamento di Milano di via, di via Curtatone al numero 11, l’unica casa che han colpito era la casa dove abitavamo noi. Che noi, i bambini, io e mio fratello maggiore che è morto purtroppo, no? Eravamo a Lignano Sabbiadoro perché mia mamma ci aveva mandato via col suo secondo marito no? Eravamo a Lignano Sabbiadoro e indovina dov’è caduta la bomba? Nella nostra camera da letto, è scesa come quella della scuola fino in fondo e ha bruciato il negozio di mia madre, quindi se eravamo poveri in canna proprio, non avevamo più niente. E siamo ritornati a vivere a, in via Luigi Bertelli dove viveva mia nonna e mio zio e quindi per tutta la casa siamo andati lì poi mia madre ha fatto tutte le sue cose e ci siamo trasferiti in via Livraghi che è qua la vedete qui di fronte, ed è da lì che io ho visto il, i cento e rotti aerei che passavano per andare a bombardare, e la prima bomba è caduta a centocinquanta metri da noi, tanto è vero che io ho urlato a mio padre ‘Spostati!’ perché il, lo spostamento d’aria aveva gonfiato la cler del negozio di mia madre no? Sembrava una un palazzo incinta, no la glag [?], per lo spostamento d’aria no? E mio fratello minore che purtroppo anche lui è morto, era in fasce in quel periodo no? E si è salvato perché mio padre spostandosi così ha gonfiato la cler ma lui no invece lui si è salvato. Perché noi eravamo tutti sdraiati per terra in un fossetto che c’era lì, lì c’erano tutte campagne no? C’era la Brera di là, la Pirelli di là, qui c’era la ferrovia che venivano a mitragliare le locomotive ma poi in giro c’erano tutti prati. L’unico prato un po’ usato era lì all’angolo di via Fortezza che c’erano due mitragliere tedesche antiaeree, qui passavano a diecimila metri, e una mitragliera eeeh o due italiane no che comunque non han mai, non han mai fatto disastri, non han mai colpito nessuno perché quelli passavano se ne andavano, bombardavano e andavano, questo è.
ZG: Eeeh faccio un passo indietro e torniamo un attimo ancora prima della guerra, allora innanzitutto una precisazione: piazza dei Piccoli Martiri prima si chiamava piazza della Repubblica?
EC: Della Repubblica, sì.
ZG: Ah non lo sapevo, eh i suoi genitori quindi che lavoro facevano? Suo padre che cosa faceva prima di partire per il fronte?
EC: Allora mio padre, quando ho saputo io, penso che abbia, faceva il muratore almeno lui si è dichiarato muratore, perché dopo le racconto anche perché so che si è dichiarato muratore. Mia madre lavorava alla Pirelli, nel reparto, so anche il reparto: reparto impermeabili.
ZG: Ehm però ha detto che poi sua madre aveva un negozio giusto?
EC: Sì poi mia madre eeeh si è licenziata, si è liquidata, no? E ha aperto un negozio di, di una posteria in via Livraghi al numero 6. Poi eeeh questa dopo il bombardamento del ’43, perché prima avevano un negozio in via Curtatone al numero 11. Dopo da lì la guerra ha bombardato, mia madre è riuscita a ristabilire la sua finanza credo perché una volta con cento euro, centomila lire compravi una casa, intendiamoci. Quindi lei era molto brava nel suo lavoro, poi qui c’era vede dove qui, tutto qua era tutto distrutto. Qui c’era una fabbrica, la Mezzena e quella là era la famosa Jucker non so se avete sentito parlare di Jucker, no eh? Eeeh questa qua l’han demolita per fare una abitazione e poi son falliti. Eeeh tutti gli operai alla mattina non c’erano le mense, passavano da mia madre a prendere il panino, la il gorgonzola, la e la bologna e mangiavano quello no? Magari si portavano la mezza bottiglietta di vino roba del genere e durante l’intervallo, ecco perché mia madre ha sempre lavorato molto, perché qua c’erano un sacco di attività, c’erano i, stabilimenti questi qua che lavoravano l’acciaio era già un’azienda molto importante no? La Jucker era una un’azienda di elettrotermica non so eeeh, poi c’era la, c’era anche l’Antoni che costruiva frigoriferi che adesso diventata una potenza a livello mondiale in fatto di refrigerazione industriale no? Eeeh ed erano ragazzi che giocavano con me in via Livraghi, i figli no? Quindi eeeh era un periodo molto attivo, poi dopo io mi sono perso tante, tanti passaggi, perché appunto alla la quarta elementare mi, ero a Bisuschio Viggiù da lì non potevo fuggire perché ero praticamente in montagna in, non voglio dire in fondo al mondo, io dicevo un’altra parola no? Eeeh e da lì sono riuscito a venire via perché un fratello di mia madre che è quello che vede là, in quella fotografia là, che era un uomo di due metri, una persona d’oro, no? È venuto su a trovarmi eeeh qua stava a visita eeeh domenicale era vicino Varese no? Arrivavano col treno no? E mi ha visto molto amareggiato mi ha detto ‘Ma cosa c’hai nini?’ ‘Eh io guarda qua non sto bene poi quel prete lì, quel quel prete lì mi ha picchiato’. Non glielo avessi mai detto, non glielo avessi mai detto. Dice ‘Ma perché ti ha picchiato?’ gli ho detto ‘Guarda eravamo fuori a fare la passeggiata con gli altri bambini no?’ perché ogni tanto si esce dal, e dovevi stare in fila, non potevi uscire dalla fila no? Era estate, era caldo, io avevo una sete de, boia, ho visto una fontanella, un bambino cosa fa? Vede una fontanella e va là a bere no? No, io non potevo uscire dalla fila, mi han dato una pedata nel sedere che se non mi ha spaccato a metà era proprio. Beh mio zio l’ha preso e l’ha attaccato al muro, gli ha detto ‘Mio figlio, mio nipote viene via da qua ma io a te’ non so cosa gli avrebbe fatto perché l’aveva attaccato al muro così eh, era un uomo di una forza terrificante, veniva da una famiglia contadina, non ce n’è di balle. E quindi siamo venuti a Milano, mia madre disperata mi ha portato a Treviglio dai Salesiani. Salesiani, un’altra categoria, dal padre Beccaro dov’ero, no? Era un’altra categoria ma lì era anche lì, con un carattere come il mio non puoi adattarti a fare quello che dicono loro, cioè io cantavo e praticamente eeeh ero sempre impegnato ai canti di Chiesa, no? Quindi io so tutte le litanie, so tutte, mia moglie ogni tanto si incazza perché magari ti vengono i ritornelli no? E maga alla mattina sono allegro in doccia eeh, mi metto a cantare e mi dice ‘Ma no!’ [laughs]. Insomma sono cose, sono cose che succedono a noi a noi, a noi esseri umani noi cristiani, a noi esseri umani. Eh va beh e da lì eeeh non stiamo parlando della guerra, stiamo parlando della mia vita, allora lì io praticamente andavo sempre a giocare con i liceali. Ero in, in quinta elementare, dovevo fare l’esame d’ammissione per la prima media, no? Eeeh io con gli altri bambini non riuscivo a giocare perché erano tutti dei bigotti e fai, perché quello lì era non un collegio normale, era un, aspetta mi deve venire il nome, non quello che dico io, dove formano i preti, io lo chiamo pretificio lo chiamavo [laughs] eh non so come si chiama, sì so il nome ma adesso non mi viene spontaneo dirlo no? E quindi io non non riuscivo a parlare, a giocare con i miei coetanei no? E giocavo con quelli leggermente più grandi o di terza media o di liceo, addirittura liceo no? E mi ricordo che si giocava a ‘Palla a avvelenata’ no? Una palla, una specie di palla da tennis e tu devi scegliere uno e colpirlo da lontano no? E quindi erano botte tremende perché quelli là erano più grandi ma io ero più svelto da scappare no? Ed ero io che fregavo loro, no per dire no? E quindi mi divertivo da morire no? Eeeh però in classe eeeh praticamente io sono uscito dai collegi non voglio dire semi analfabeta ma quasi, perché io ero solo e sempre in, in sala cante, eeeh cantorum a cantare appunto, ho cantato in duomo, anche mio fratello minore, cantato, cantavamo in duomo, abbiamo cantato in tutte le chiese di Milano quando ero in collegio qua a Milano e quindi vi lascio immaginare, no? Poi un carattere come il mio che appena gli dai un po’ di libertà cominciava ad andare dove, dove poteva andare, dove voleva andare, ho finito le scuole alla sera a Milano, quando sono andato in, in libertà definitiva, eeeh e da lì, no? Sono scappato tre volte, due volte mi han tenuto, la terza volta a mia madre gli han detto ‘No guardi suo figlio non va bene per noi, se lo porti da un’altra parte’ no? E mi ricordo, lo sai cosa gli ho detto? Non so se si può dire. Siccome questo qua era è monsignor, no non era monsignor Bicchierai era un altro. Beh era un prete di quelli che contavano no? Perché i salesiani sono sempre che contavano no? E gli ho detto ‘Perché suo figlio diventerà una persona molto cattiva e un bestemmiatore’ un bestemmiatore mi ha detto. Allora io l’ho guardato in faccia e ci ho detto, eeeh non chiamavo i preti ‘padre’ io, massimo ‘reverendo’ no? ‘Reverendo si ricordi che i primi a essere presi a pedate, a pedate nel culo (perché a me mi davano le pedate nel culo) quando andrete su sarete voi, non noi, voi!’. Poi dopo io non credevo però mia madre, mia madre se poteva si sarebbe dileguata no? Allora eeeh questi qua mi han dato l’immaginetta no? E mi han portato via. Mi han portato via e sono andato nel, al san Gaetano di via Mac Mahon, c’è ancora, anche quello lì, va beh lasciamo perdere. Eeeh però li ho finito le commerciali perché dalle medie mi hanno portato, che ho perso l’anno, mi hanno portato da un altro collegio, che non c’erano le medie, c’erano le commerciali no? E quindi ho finito lì i tre anni di commerciali pur avendo perso un anno.
ZG: Eeeh senta invece, lei si ricorda di quando è scoppiata la guerra?
EC: Io ho sentito il discorso di Mussolini ‘Italiani! L’ora delle’ le parole non me le ricordo perché io non sono fascista, sono di tutt’altro stampo. Però hai visto che ero vestito da figlio della lupa no? Quello era un, un obbligo che avevi, poi avevo il padre che era militare, era le, le uniche cose che facevano il partito fascista, era quello di tirare i giovani verso di loro no? E quindi ti facevano fare le marce, ti portavano a fare le gite, no? Io non ho fatto in tempo a fare tutte quelle cose lì però alcune cose all’inizio, tipo premilitare, no? Ti dicevano come era il moschetto, com’era il fucile eeeh ma più di tanto non potevi, insomma sette anni, sei anni sei sette anni, otto anni, dopo invece quando cominci a essere più grande lì già la famiglia di mia madre, di mia nonna erano tutti socialisti tanto è vero che son dovuti eeeh andare via dal paese perché avevano avuto problemi con, con i fascisti dell’epoca no? E siccome questi qua erano uomini belli robusti, no? Questi menavano non c’è niente da fare no, e allora ha dovuto andare via se no magari, non dico che facevano la fine dei fratelli Cervi però erano dunque, nove, sette maschi e due femmine, sette maschi due metri lui è stato campione d’Italia di sci, era era un vero atleta no mio zio, no? Poi facevano canottaggio, ecco lì c’è il mio secondo padre anche no, poi c’è stato mio zio paterno che è stato addirittura campione europeo di canottaggio. Quindi lì c’era gente che faceva ginnastica perché c’era questa famosa Canottieri no, questa, e dove veniva, era un dopolavoro della Magneti Marelli adesso qua è in disarmo qui era il dopolavoro della Magneti Marelli, questi qui erano pieni di barche e se tu vedi le fotografie no? Vedi che vanno in barca no, eeeh quindi ripeto, la vita finché l’ho fatta in questo borgo, è stata la più bella cosa che potevo fare io, per il resto.
ZG: Il discorso di Mussolini come lo aveva sentito, via radio?
EC: No l’ho sentito, credo di averlo sentito in piazza del duomo, forse eh non son sicuro, però noi noi la radio, sì l’avevamo, l’avevamo già noi la radio no? Perché dopo mi ricordo sentivo radio Londra, su perché io abitavo in via Livraghi al 6 era al secondo piano su in alto no lì? Era una strada in terra battuta non è che passasse molta gente, no? Passavano i i fascisti, a quelli lì tipo metronotte loro, no? A far spegnere le luci per i bombardamenti e quindi non me lo ricordo perfettamente, ma poi l’ho visto tante volte sul computer, ti dirò, so quello no? Sulle scene che faceva lui lo sapevo eeeh, ‘Libro e moschetto’ me lo ricordo che l’ho visto, ma il discorso poi sai alla nostra età di bambino, me ne fregava di quello che diceva lui. Però le raccolte oceaniche c’erano eh, io le ho viste perché oltretutto facevano uscire gli operai dagli stabilimenti quando potevano, dopo quando gli operai han capito com’era l’antifona non andavano più, ma mio ricordo che il mio secondo padre Vascon [?] diceva che alla Pirelli, il capo eh li mandavano a chiamare e li mettevano e andavano con la tuta, l’abito da lavoro.
ZG: E quando era scoppiata la guerra suo papà era già, era già partito?
EC: Sì, sì, sì, sì.
ZG: Sua madre, quindi lei è rimasto solo con sua madre.
EC: Sì io mia madre, la nonna, noi abitavamo in questa, in questa casa che ti ho fatto vedere, no? In fondo, era l’ultima casa in via Lugi Bertelli al 12, no? Quindi noi avevamo l’orto, il grande orto, la pianta di noci, l’uva, l’uva americana, quella eeeh, quindi, avevamo la pompa, non l’acqua corrente, avevamo la pompa no? Sai cosa facevo io la mattina quando andavo a scuola no? Allora eh quando ero piccolo fino alla terza elementare così, uscivo e mia nonna piantava i cipollotti, io prendevo una cipolla, di quelle lì bianche no? Andavo alla pompa la lavavo e andavo a scuola mangiando la cipolla [laughs].
ZG: E fratelli o sorelle ne aveva?
EC: Eh sì. Adesso mi è rimasta solo una sorella minore però un fratello, avevo un fratello maggiore Colombi anche lui, Domenico del ’29, nato nel ’29, poi sono venuto io nel ’33 poi è venuto mio fratello Giorgio, undici anni dopo dal secondo padre Vascon e poi una sorella minore, Milena a quattro anni in meno, quindici anni di diversità da me e vive e vegeta, vive in Brianza nella sua villetta.
ZG: Quando lei abitava in via Luigi Bertelli la guerra era già scoppiata? Si ricorda?
EC: Eh sì, nel ’39, io sono, questa fotografia qua è del ’39, quella lì, vestito da da ‘figlio della lupa’, no? Qui il ‘figlio della lupa’ quanti anni avevo, quello che è ’33, sì sei sette anni, ’39. Questa è del ’39 sia questa che questa di mia nonna. Le mie donne, le donne della mia vita, una.
ZG: Però dopo via Bertelli si è trasferito, giusto?
EC: Allora da via Luigi Bertelli siamo andati in via ehm, Curtatone. È durato poco perché nel ’43 ce l’han tirata via. Poi io ero in collegio, mia mamma ha cominciato a fare i suoi movimenti quando sono venuto a Milano lì in fuga no? Sono andato da mio zio che abitava a Gorla ancora, no? Anzi anzi Villanuova si chiamava, fra Precotto e Gorla c’era una frazione che si chiamava Villanuova. E andavo da lui poi lui mi accompagnava a casa così mia mamma non mi menava no? [laughs] Eeeh e quindi da lì siamo andati, siamo venuti in via Livraghi numero 6. Poi lì la guerra è finita e ci siamo trasferiti in un’altra casa, perché io son stato sempre un po’ un nomade, no? Eeeh, vuoi sapere anche quella via lì? No, beh abbiamo cambiato lì siamo andati, eeeh poi da lì siamo andati in via Amadeo al 46 poi da via Amadeo al 46 a viale Forlanini 50/4 eeeh poi fortunatamente mi sono sposato, mi sono fermato [laughs]. Abbiam cambiato due volte noi, da via Casoretto siamo andati in via Vipacco e poi fortunatamente siamo riusciti a comprare casa, dopo una vita di lavoro.
ZG: L’episodio del ’43 è stato il primo bombardamento che lei ha vissuto?
EC: No, perché ero a Lignano Sabbiadoro io. Io il primo bombardamento che ho vissuto vero [emphasis] è stato quello del ’44 perché ero in via Livraghi che stavo giocando con i miei amici no? A mattina presto noi giocavamo no? Perché io ero in transito dovevo entrare in un altro collegio, questo qua a Milano, il Don Guanella no? E allora cosa succede, quella mattina lì erano le undici, undici meno cinque, undici e dieci non lo so: le undici no? A un certo punto fai 103 aerei li senti no? Senti il wrooom perché li senti da lontano no? Io alzo la testa e vedo il cielo coperto, una giornata di sole, di una, di una pulizia a Milano che vedevi la Grigna eeeh da da qua eh? La vedevi da via Livraghi vedevi la Grigna, perché non c’erano tutte le case che ci sono adesso no? Eeeh e da qua vedevi il monte Rosa, guardando di là perché non c’è, c’era solo la ferrovia no? E non c’erano i palazzi che ci sono adesso, c’era la Pirelli ma la Pirelli era bassa no? E quindi vedevi sino al monte Rosa, quando era, quella era una giornata che io non lo so com’è venuta fuori a ottobre no? A Milano era sempre bello comunque non c’era come adesso la, lo smog, l’aria circolava, no? Io alzo la testa e vedo questa roba qua e mentre sto guardando [pause] hanno sganciato le prime bombe e sai dove sono cadute? La prima bomba è caduta in via Pelitti, la casa è stata diroccata sino a un sette, otto anni fa dopo l’hanno l’hanno riattata no? Ma è ancora lì eh? È iniziato lì, li bombardamento no che io ha detto a mio padre ‘Spostati’ eeeh e mi ricordo la scena della trave di quella casa di campagna lì no? Perché era un cortile da contadini, qua c’era il frumento eh? Io a maggio quando andavo ad aspettare le ragazzine che uscivano dalla chiesa, che dovevano attraversavano da Precotto per venire in via Livraghi, no? C’erano i covoni a maggio, c’erano i covoni tagliati del del frumento ci nascondevamo per per saltargli addosso, giocare, eravamo bambini no? Ecco per dirti no? E quindi mi ricordo questa trave, hai presente il rallentatore no? C’era questa trave che saliva così in alto, mentre bruciava no? Saliva eh poi a un certo punto wrrrrom è andata giù. Non so, ci sono stati fra qua e Gorla quasi 600 morti compresi i bambini naturalmente. Allora cosa succede? Che le donne tutte spaventatissime no? qua e là, mia madre che non sapeva più dove andare eeeh ‘I bambini dove sono?’ no? Poi noi c’eravamo tutti no? E gli altri anche, questi qua non hanno colpito eeeh Villa San Giovanni, hanno colpito Precotto, è partito da Precotto no? Allora noi la cosa bella che abbiamo fatto noi bambini quei tre o quattro squilibrati come me no? Ci siamo messi a correre, ci siamo messi a correre verso il bombardamento, perché il bombardamento andando di là, ma poi gli aerei sono andati via e si è fermato tutto no? E allora io ho visto tutta la scena. Allora ho visto la scuola, l’asilo di Precotto bombardato e c’erano già due o tre operai fra i quali mio zio Cesare, fratello maggiore di quello lì che era il, non il capomastro me era quello che curava la manutenzione del del Paolo Pini no? Eh perché Paolo Pini era per per per non per le, i traumi, era per i malati di polmoni così, era una specie di sanatorio eh una specie no? E lì eeeh siccome le bombe hanno iniziato lì no? Hanno colpito la Fibra, che era uno stabilimento che lavorava la fibra no? La terra, la la fibra, lo l’asilo, poi ha attraversato ha preso il viale Monza che c’era il tram praticamente rovesciato in mezzo al prato perché di là c’era prato no? E anche lì ci sono stati un sacco di morti poi mi ricordo arriviamo davanti al Finzi, al, al Finzi c’era un cavallo, morto, indovina come era trafitto? Da un palo della luce, una morte deve a ver fatto quel cavallo lì no? E noi incoscienti sempre avanti no? Perché dopo mentre corravamo no? Le mamme, le nonne ti fermavano le donne ti dicevano ‘Dove andate, aaah!’ E una uno qualcuno deve aver detto che avevano colpito la scuola di Gorla, la mia scuola, allora sono andato là, e sono andato là e ho visto che praticamente c’era rimasto in piedi solo la parte eh dunque sud-est, la parte sud-est è rimasta in piedi perché ha colpito, colpendo la scala, ha portato via tutta la parte sud – ovest no? Ed è rimasta esposta e in alto c’era la classe dove io andavo, andavo a scuola e lì si vede nelle fotografie no? E poi c’erano già arrivati i, i pompieri perché c’è i pompieri erano in via no Benedetto Marcello, sì, c’avevano da fare mezzo, mezzo corso Buenos Aires, non c’era neanche una macchina in giro a quell’epoca lì, c’erano i pompieri poi c’erano quelli della UNPA lì, i militari che che non erano militari eran eeeh, che stavano scavando, poi non ti dico cosa c’era lì, mamme che urlavano eeeh perché cominciavano a tirare fuori i primi, i primi cadaveri no? Quindi ti lascio immaginare. Voi le avete mai viste quelle scene lì? Ah le avete viste: le cartelle appoggiate al comune, ah, eh.
ZG: E lei diede una mano a scavare?
EC: Eh?
ZG: Lei diede una mano a scavare?
EC: Eh io ero lì che scavavo con, perché dopo è arrivato mio zio Pino, lo zio Cesare che da lì è venuto lì, c’erano tanti, tante, tante persone che poi dopo i bambini li han cacciati, mio zio poi mi ha mandato via perché quando cominciavano a vedersi gli altri bambini morti ci hanno mandati via. Io devo averne visti uno o due, i primi uno o due non di più. Poi [coughs] la moglie di mio marito, io mio zio eh mi ha portato via, sono andato [coughs] in via Luigi Bertelli, e la casa è rimasta intatta, chi è stato danneggiato è questa qua [coughs] questa, è la Canottieri della parte di là, [coughs] di qui invece non aveva fatto nessun danno, perché era una bomba uno due bombe sole lì no [coughs], sono state sfortunati.
ZG: Vuole prendere un bicchiere d’acqua?
EC: Sì no fermati un attimo che vado a bere.
ZG: Riprendiamo l’intervista dopo la pausa.
EC: Eh. Allora, eeeh per rammentare che cosa succedeva in Italia a Milano no? L’8 settembre del ’43, mia madre viene a prendermi in collegio e mi porta a casa, e mi ricordo la scena guarda ‘na roba incredibile. In collegio avevo la divisa, no? Mio fratello maggiore era nello stesso collegio però a Varese e lui faceva il tamburino, quindi tu figurati un bambino con la divisa, era era, era la gioia più immensa che potevano avere i bambini in quell’epoca lì, no? il fascismo dava quello no? E io mi ricordo che mia madre no? Arriva in collegio, prende la mia, questo la la, questo vestitino lì da da Balilla, ‘figlio della lupa’ lo avvolge e dove lo mette? Nella buca della spazzatura. Guardi, non è una storiella: vedo mia madre che butta quella cosa e io sono sempre uno che ragionava no? Non dico niente, vengo a casa, l’8 settembre, mia madre comincia a dirmi ‘Tuo padre non c’è più, eeeh abbiamo ricevuto un telegramma no? Che è disperso e non si trova’ e io dentro di me dicevo ‘Eh mio padre, io non l’ho mai visto’ in casa mia girava sempre un sacco di giovani uomini no? Che erano amici di mio zio Pino che tremavano quelli, tipo quelli della Moto Guzzi, quattro senza, e quindi questa gente qua mi mi compensava della mancanza di mio padre no? Va beh comunque eeeh a ottobre, non so se ottobre non mi ricordo, va in secca il naviglio Martesana no? E noi ragazzini no? Furbi, andavamo dentro con la forchetta a prendere le anguille, no? Mentre invece in quel periodo lì non andavamo ad anguille, andavamo a raccogliere quello che i militari avevano buttato via no? Quindi ti trovavi il moschetto, ti trovavi la baionetta, trovavi le le, perché i soldati scappavano si facevano dare dalle donne i vestiti borghesi no? E buttavano via tutto no? Allora io davanti a questa qua, no qua non si vede, c’è un leone, dopo ve la farò vedere com’è no? C’è un leone, nell’acqua che c’è ancora, che adesso io vogli a tutti i costi andare a rompere i maroni a, al sindaco perché voglio che lo rimettano dov’era, no? Eeeh cosa succede che mio fratello maggiore che era più grande era in acqua sotto, tanto così d’acqua, tiravano su i cosi e li buttavano non so, trovavano eeeh un moschetto lo buttavano su noi poi andavamo dallo straccere, straccivendolo a darlo no? E ci dava qualche, qualche soldo no? [coughs] La mia fortuna è che avevamo fatto un corso premilitare tedesco, eeeh, mio mio fratello maggiore che era un po’ un tontolone, no? Bravissimo ma un tontolone raccoglie una bomba a mano una SRCM dopo io so come si chiama perché ho fatto il il militare. Questa bomba qua io la conoscevo perché si chiamava ‘Balilla’ però era una SRCM no? E questa bomba a mano tutta d’alluminio era rossa con un guscio di alluminio che serviva da sicura no? Quando tu staccavi questo, la lanciavi, questo si staccava e innescava la miccia no? Io sapevo che durava la, l’innesto durava non lo so quanti secondi, tre o quattro secondi, roba del genere, come mi è arrivata nelle mani, io l’ho lanciata dall’altra parte del naviglio ed è scoppiata pensa te. La Canottieri era occupata dalla Decima Mas. Cosa succede, che vengono fuori due vestiti da militare no? Che saranno stati alti uno e cinquanta con i pantaloni che toccavano terra, ragazzini proprio no? Io avevo fatto un attentato, mi prendono e mi portano dai carabinieri, mi portano dai carabinieri e i carabinieri mi conoscevano perché eran di lì, sai i carabinieri non è che sta un giorno in un posto sai ‘Cosa t’è fat nini?’ ‘Mah io niente’ e loro disen ‘No questo ha fatto un attentato alla Decima Mas’ e gli han detto ‘Ma voi siete matti!’. Purtroppo dopo l’8 settembre in, con i carabinieri c’erano anche due della SS. Cercate di immaginare cosa può essere successo in quella stanza lì. Allora io ero uno che aveva tirato una bomba a mano contro il muro che c’è qua no? Poi vi faccio vedere dove, proprio davanti alla porta di casa mia no? Scoppia la bomba questi escono mi prendono mi portano là dicendo che ho fatto un attentato. Era palese che noi non stavamo facendo così. Eeeh questi qua fanno dei eeeeh, ti fanno dire nome e cognome e io mi chiamo Efrem ed Efrem è un nome ebreo. Il tedesco che parlava italiano ha detto ‘Ma tu ebreo?’ ‘Come ebreo? Io non sono ebreo’ ‘ Tu ebreo, no ebreo’ questo qua, gli ha detto ‘No, questo lo tenete qua, fermo no?’ Arriva a casa mio zio quello che dicevo prima che mi ha salvato la vita due volte no? Che lavorava, deportato in Germania perché lui lavorava alla Caproni, al reparto aerei, l’avevano deportato in Germania a lavorare no? Ed era una persona che si faceva volere bene, soprattutto dalle donne no? Perché era un bellissimo uomo no? Eeeh questa è una storia che è venuta fuori poi non so se era tutta vera no? Sembra che lui sia riuscito a venire in licenza perché si era el la la la figlia del padrone di questo, di questa ditta, azienda s’era innamorata di lui no? E allora gli ha chiesto questo eh gli ha fatto venire, mio zio arrivava col tram a Gorla, scende, mette giù la valigia di cartone, no? Davanti c’è il tabaccaio dove loro andavano a giocare a carte così no e dicono ‘Peppino, Peppoun guarda che il tu neut el nini a l’è andè dai carabiner’ ‘ Cus’è?’ ‘E l’han purtà via’. Allora mio zio cosa fa, prende, va dai carabinieri, i carabinieri lo conoscono ‘Uei Cerrotti cosa c’è?’ ‘Dov’è il me neut?’ e io lì seduto dentro ‘Eh ma perché l’è lì? Perché va no a ca, sa l’ha fat’. Allora lui gli spiega cosa ha fatto no? Ma non aveva visto lui i tedeschi dietro, mio zio no? Eeeh a un certo punto ha detto ‘Eeeh maresciallo!’ non so se era maresciallo o ‘No no il me neut al port via’ [unclear] no perché i tedesch, quali tedesch?’ Si gira e vede questi due qua. Allora gli ha detto due o tre parole in tedesco perché lui lavorando in Germania ha detto no? ‘Io adesso porto via mio nipote’ e glieli traduce no ‘E voi state zitti perché mio nipote non è un ebreo’ ‘Voi siete tedeschi, noi siamo italiani ma lui non è ebreo, volete vedere che non è ebreo?’ mi tira giù le braghette, gli fa vedere il pistolino ‘Vedete che non è circonciso?’ Poi questi qua han detto ‘Se questo qua mi mette una mano addosso mi ammazza no?’ allora mi ha preso e mi ha portato via. Questa è una scena che io non dimenticherò mai per tutta la mia vita. Quindi tenete presente cosa cosa cosa vuol dire la famiglia. Io oggi come oggi no? Sto bene solo quando vedo i miei figli vedo, i miei nipoti e poi vedo anche tutto il resto della famiglia, a me manca non dico il patriarcato, il matriarcato, mi manca il il, la società che c’era in via Luigi Bertelli all’8, al 6, perché tu entravi nel cortile, no? Io non andavo mai a casa subito, perché mia madre non c’era perché andava a lavorare, entravo l’8, all’8 era una casa di ringhiera con il balcone lungo tutta la strada che vedi lì no? La strada che vedi non è di qui, di qui c’era solo finestre e di là c’era tutta una balconata, e c’erano tutte le mamme e io avevo dieci zie, venti nonne perché tu alla sera mia madre veniva a casa, andava dentro sapeva tutto quello che avevo fatto no? Quindi era proprio un nucleo che a Milano uno dice ‘Boh strano’ e invece lì era proprio un paese legato a una grande città, perché noi per arrivare in città dovevamo andare a Loreto per dire no? Eh ma era una cosa che, ecco perché a me mancava tanto quando ero in, collegio per me era come essere in riformatorio una roba del genere perché è una prigione non puoi muoverti, non puoi andare di qui non puoi fare. Qui uscivi da casa e andavi dove volevi, saltavi dentro nel naviglio a nuotare, andavi alla bocciofila a vedere i nonni che giocavano bocce, tutte quelle cose lì no? Te le godi, te le vivi no? Io mi ricordo mia nonna, non c’era tanti soldi no? Mi diceva ‘Nini, va da la sciura Pina a tor el rosoli’ andavo col bicchierino, sai quei bicchierini piccoli no? E mi dava il coso da portare a mia nonna perché non è che c’era la bottiglia in casa dovevi andare all’osteria, l’osteria era nell’angolo di via eeeh di via lì via Bertelli con via Dolomiti, proprio lì, c’era l’osteria poi iniziava l’8, il 10 e il 12, tre tre numeri c’erano lì no? Guarda una roba, eh insomma cosa fare, peccato non poter tornare indietro.
ZG: Senta invece eeeh se le va torniamo un attimo al discorso del.
EC: Non ho capito.
ZG: Se le va torniamo un attimo al discorso dei bombardamenti.
EC: Sì, allora eeeh i bombardamenti, finito quel bombardamento lì no giusto, eeeh mia madre ha preso, mi ha impacchettato un’altra volta e mia ha mandato a Treviglio e lì è iniziata la mia seconda vita tribolata no? Eeeh quindi io di bombardamenti sentivo i bombardamenti intorno a Treviglio, che c’erano i campi di aviazione eeeh come si chiama quel paese lì, si han bombardato anche fuori fuori Milano, no? Sentivamo i caccia, roba del genere ma lì figurati c’erano colonne di marmo grandi così. E va beh niente lì ho fatto dunque, quando son venuto via io? Era, l’ultimo bombardamento che ho sentito io era quello lì del ’44, poi del ’45 ce ne sono stati ancora ma noi eravamo sfollati, eravamo [uclear] eravamo a Caravaggio [counghs].
ZG: Quindi, a lei quindi non è mai capitato di dover correre in un rifugio?
EC: No, mai.
ZG: Ehm, senta invece, eeeh tornando alla sua famiglia, sua madre quindi nel ’43, è convinta, si è convinta che suo marito, suo padre fosse morto.
EC: Sì, sì.
ZG: Anche se invece poi è tornato a casa.
EC: Sì.
ZG: Eeeh quando è che poi si è risposata?
EC: Ah non lo so, so che si è sposata che io ero ancora piccolo. Penso si sarà sposata nel ’44 roba del genere no? So che io mi sono rifiutato di entrare in comune al matrimonio di mia madre perché io non lo condividevo e mi ricordo, ero seduto fuori sul marciapiede e mio zio Luigi ‘Dai nini vieni dentro è la tua mamma’. ‘No no, io di papà ne ho uno solo’ sai i bambini, e non non ho né assistito né ho voluto assistere. E di fatti non, non è che io abbia avuto un buon rapporto con questo uomo ma mai avuto problemi però non, non so forse dentro di me sentivo che mio padre c’era ancora, per dire no eh, non ho avuto un buon rapporto anzi poi mia madre ha avuto altri due figli di questo qua no? E mio padre è arrivato dopo che mia madre ha avuto altri due figli, per dire no? Ma mi ricordo che comunque eh la, il mio cruccio era che io sui documenti mi chiamavo Colombi ma ero figlio di N. N.. Io mi dicevo, quando io ho cominciato a capire qualcosa ‘Come faccio a essere figlio di N. N. se mi chiamo Colombi no?’ Sai all’epoca, a proposito, mia mamma è riuscita a sposarsi sai perché? Perché lei risultava nubile, perché lei si è sposata a Caravaggio, quando eeeh Mussolini ha fatto l’accordo con la chiesa il, il come si chiama lì, non il concordato una roba del genere no? Con la chiesa i preti dovevano mandare al comune di residenza le la notizia che questa qua si era, mia madre si era sposata regolarmente in chiesa a Caravaggio, questi non hanno trasferito niente a Milano, mia madre non è che si è sposata perché aveva voglia di sposarsi no? Risultava nubile no? Perché quelli non avevano trasferito allora non gli hanno negato si sposarla in comune no? Si è sposata in comune basta tutto lì. Poi è venuto fuori il papier che sul giornale siamo finiti che ‘Reduce torna trova la moglie con altri dei figli’ beh era una, era una stupidaggine perché mia madre non ne aveva di responsabilità no? Mia madre le han dato il marito disperso, il marito non ritorna non c’è e quindi non c’è no? Quanta gente è data per dispersa e invece è morta in Africa, è morta in Russia, e via discorrendo, no? Queste cose qua succedevano in tempo di guerra no? Mia made da buona ex-contadina anche lei con, non so se è arrivata alla quinta elementare o roba del genere no? Eh eh si è risposata e ha avuto altri due figli ha fatto una vita pseudo normale anche lei perché sai noi abbiamo avuto dei problemi quindi, tutto lì.
ZG: Senta invece il suo rapporto con la religione invece è cambiato con le spedizioni ai collegi?
EC: Sì, io non sono un credente perché sono stato battezzato cresimato, tutto quello che vuole no? Ma io mi chiedo dio in cielo in ogni luogo non so ti racconto eeeh, e dico ma e quando cade una bomba con la sfiga che hanno avuto quei duecento lì perché io vorrei vedere io Gesù Cristo dietro un a duecento bare di legno bianco fare il cavalcavia di Greco per andare al cimitero di Greco, io c’ero li ho viste eh? E quei bambini del Vietnam che bruciavano con con il napalm quelli lì cosa fanno quelli lì? Quelli che muoiono adesso i, non dico i cristiani giù perché adesso fra tra di loro, ma i musulmani che van dentro tagliano le gole di qui di là, se c’è questo dio così potente perché permette queste cose qua? Eh me lo devono spiegare loro. Di fatti quando io parlo con, parlavo con un prete vincevo sempre io, vincevo sempre io. Perché quando uno ti dice ‘Io so come sono nato, va bene? tu mi devi spiegare come la Madonna può essere vergine se ha avuto un bambino, spiegamelo [emphasis]!’ ‘Eh ma lì è stato lo spirito santo’. A Milano cosa dicono? Ma va a cagà! Capito? Eh ma questi sono i segreti della, il no, come li chiamano no i segreti, i, non i vengono neanche le parole, i dogmi, quelle robe, va beh i misteri della chiesa. Si va bene è sceso dal cielo e io gli ho detto ‘Va bene allora siccome io sono cattivo se è così potente che io lo insulto, che non lo insulto io, se vuole mi può fulminare anche adesso qua davanti a voi se vuole così, dio in cielo e in terra in ogni luogo faccia pure, no? Mi dia uno schiaffo vediamo. Quindi io la religione so che c’è rispetto tutti, allora, sa chi è il mio dio? Tu che sei davanti a me, lei è la mia madonna perché è davanti a me perché io rispetto gli altri e voglio essere rispettato io sono una carogna, non toccarmi la famiglia perché io l’ho dichiarato che se qualcuno tocca qualcuno della mia famiglia o gli fa del male io lo accoppo, tranquillo eh? Perché ho la capacità di fare anche quello, però siccome sono un essere umano, non faccio del male a nessuno, non ho mai fatto del male a nessuno, nessuno si è azzardato a fare del male alla mia famiglia perché io rispetto tutti, perché non dovrebbero rispettarmi no? Questo, ecco perché ti dico no? Che non sono religioso, non ho un credo, mia moglie c’ha il Budda, fa yoga siamo, ma io rispetto anche loro, e rispetto tutti gli altri, non rispetto i mussulmani che ammazzano. Io c’ho un amico qua che è pachistano e ha due figli, questo qua è venuto qua a fare, è maestro e qui fa il facchino andare ai mercatini quella roba lì no? Qua è venuto libero un appartamento, e lui aveva bisogno di un appartamento. Io ho convinto le due proprietarie perché erano le figlie di un professore, di un maestro che c’era qua no? Eeeh a dargli la casa a questo qua, un giardino più in là di lì, la scala di mezzo no? Questo qua i musulmani i figli, a un certo, a la moglie a una certa ora devono guardare la televisione loro no? E fanno i loro riti religiosi no? E io li rispetto, per l’amor di dio, però io gli ho fatto avere la casa, hai capito? E questo non lo devi scrivere però, ti faccio vedere una cosa. Ti dico come ho conosciuto mia moglie e vedrai che ti metti a ridere.
ZG: Riprendiamo di nuovo allora. Senta allora io le faccio le ultime due domande, allora, lei sapeva chi è che le aveva bombardato la casa nel ’43 – ’44?
EC: Io credo che siano bombardieri americani guidati da inglesi, che non si sono mai pentiti e io li odio perché erano dei ragazzini, hanno messo dei ragazzini sugli aerei. Io avevo dei documenti poi non so che fine hanno fatto no? Questi sono ventiquattro venticinque anni no? [coughs] che quelli gli han detto ‘Guardate che avete sbagliato avete fatto la vostra bella scemata no?’ Stavo dicendo un’altra parola no? Questi qua no no come se avessero non so tirato giù un pollaio di galline, non so, una roba del genere no? Ma io sono sicuro perché non, è difficile che io prenda prenda eeeh, se se non sono convinto, sono convinto che son stati i piloti inglesi, eeeh dei giovani, molto giovani no? Che gli danno in mano il B-24 che non sanno neanche manovrare [unclear] lì sotto un circuito, no lì han sbagliato, a schiciar al butun, ve lo dico io. Quindi eeeh poi è venuto l’americano lì alla, alla piazza Piccoli Martiri, all’anniversario del, di quando c’era Pisapia, che anche lì io non vado mai, sai perché? Vado dopo, perché io vado solo a trovare, o a salutare la mia maestra e i bambini, praticamente io li conoscevo tutti meno quelli della prima elementare. Tutti. Quindi io su 184 ne conoscevo più di 150 diciamo, le maestre le conoscevo tutte, una era addirittura la sorella dell’architetto eeeh aspetta eh, che è quello che mi ha fatto lo svolgimento di questa casa che abitava in via Dolomiti e l’è morta niente anca lì. Ma, quindi vi lascio immaginare, io tutti gli anni, quando c’è il, eh mia mamma è morta il 25 dicembre, a Natale, quindi io Natale figurati se festeggio il Natale, è morta mia madre no? Il 20 ottobre c’ho questi qui, il 2 di agosto han bombardato eeeh Bologna e io mi sono sposato il 2 di agosto. Quindi la mia, le mie, le mie, i miei riferimenti sono tutti falsati da, da guerre, manifestazioni. Veramente è terribile se tu ci pensi bene, no? Io quando andavo a Bologna che mio figlio studiava a Bologna no? Andavo a Bologna, arrivavo all’università, alla stazione, dicevo pensa che potevo esserci anch’io qua dentro no? Perché non è possibile far morire 60, 70 persone così perché tu sei, sei un fascista, ma dai! E poi son fuori tutti, non so, almeno non dico di impiccarli in piazza ma mettili pignin [?] la, la cella e butta via la chiave e gli dai da mangiare se vuoi, mi sono spiegato? Non puoi, non può succedere che un mondo va avanti così, adesso c’è gente in galera che dovrebbe stare fuori perché magari ha fumato uno spinello o magari vendeva la la maria fra di loro perché poveretti questi qua non sanno cosa fare no? Noi non possiamo, io e mia moglie non possiamo più andare in piazza del Duomo in giro così no? Perché non siamo capaci di non dare niente, no? E però vieni aggredito addirittura adesso, perché questi qua cosa deve fare? Andate a vedere che cosa fanno in Argentina o in, sì, in Brasile, i ragazzini 13, 14 anni aggrediscono in pieno giorno la gente per strada. Noi vogliamo arrivare a quel livello lì?
ZG: Ehm, si ricorda invece di quando la guerra è finita?
EC: Sì, c’ho c’ho un ricordo molto particolare, quando è finita la guerra io ho fatto l’ultimo tratto di, della Padana seduto sulla sovra cingolo di un carrarmato, perché ero scappato dal collegio. Allora io scappo dal collegio, arrivo alla, all’uscita del, di Treviglio no? E c’erano le pattuglie già dei partigiani. ‘Oh dove vuoi andare?’ ‘ Vado a casa’ ‘No, non puoi andare perché c’è ancora la guerra di là’. E vai e non vai e vai e non vai io riesco a sgattaiolare boh fuori dal posto di blocco, erano quattro scalmanati no? E c’era un furgone fermo un Citroen, mi ricordo perfettamente, pieno di coperte, questo qua dev’essere andato in qualche caserma o ha comprato o ha fregato. E allora gli dico ‘Dove va?’ ‘Eh vado a Milano’ ‘Mi dà un passaggio?’ ‘Eh oh non c’è posto’ ‘Eh ma io vado anche sopra’ e sono andato sopra. Arriviamo a Cernusco sul Naviglio vengono giù due caccia a mitragliare, il camioncino sbanda dentro, una volta sulla padana una volta non c’era come adesso il guardrail, no, c’era il fossetto no? Vado dentro nel fossetto, per fortuna ero nelle, sopra le coperte e sono andato giù colle coperte. Da lì io non potevo fare niente questo qua si è messo a, incazzato parolacce così, no? Contro gli americani gli sparavano e sono, sono arrivato a Vimodrone, sì Vimodrone, e passano dei cingolati americani che stavano venendo qui a Milano, no? Stavano venendo a Milano e io sai noi i bambini, no? Vanno lì mi hanno dato, mi ricordo, un pezzetto di cioccolato o una stecchetta di cioccolata, poi io gli ho fatto segno, volevo venir su no? Allora questo qua mi ha preso e mi ha tirato su, io son piccolino poi ero bambino no mi ha fatto salire su lì sono arrivato alla Gobba e son saltato giù, sono andato a prendere il naviglio e son venuto a casa, no? Perché le strade io le conosco, io da Treviglio venivo a Milano lungo il Naviglio a piedi, è sempre stata la la, quindi io non mi perdevo mai quando venivo anche da da Caravaggio, Treviglio così no?
ZG: Ehm senta, perché si è convinto che nel bombardamento del ‘44 a pilotare fossero gli inglesi?
EC: Perché io ho letto delle [coughs], letti al computer adesso non ce l’ho più [coughs], ho visto tutte le fotografie aeree fatte dalla, dalla RAF no? Che spiegavano, questa è la Breda, questa è la Pirelli. Allora io dico, eeeh lì per me è stato uno dei tanti, dei molti bombardamenti di rappresaglia ordinati dal Churchill, perché Churchill voleva mettere in condizioni eeeh la popolazione di reagire nei confronti dei tedeschi, no? Perché ormai l’esercito italiano non c’erano, e quindi questo qua ha fatto lo stesso sistema che ha usato al suo paese in Inghilterra, per non far colpire la parte importante, lì castello della regina qua e là metteva sotto sotto V2 la periferia di Londra, questo l’han detto anche loro, no? Quindi questo qua non gliene fregava niente dei civili, questo qua voleva che questi qui eeeh, e comunque per me, per me, erano inglesi, perché io ho letto che questi qua non hanno mai, eeeh non si sono mai dichiarati pentiti perché era era una azione di guerra e loro la dovevano fare.
ZG: Senta e adesso invece il suo giudizio è cambiato, adesso il suo giudizio è cambiato su, su chi ha fatto quei bombardamenti?
EC: Beh giudizio, eeeh un ragazzo di 25 anni che va a bombardare una città, non sa neanche lui quello che sta facendo, secondo me. A meno che uno non sia un estremista come quelli lì che hanno infilato i grattaceli di di New York, no? Ma cosa gli vuoi dire a quelli lì? I manicomi non ci sono più, questi qua son gente malata, questi qua invece erano ragazzini che dovevano, dovevano eeeh esprimere tutto il loro, il loro potenziale fisico e mentale, per combattere la guerra che per loro giustamente era giusta perché chi ha sbagliato, per fortuna che è andata così, noi ci abbiamo, i russi quanto ci hanno lasciato? 60 milioni di morti? Oh, no ma ti rendi conto, mi sono spiegato? Quello là, quello sì che era matto no? Hitler, e quindi cosa vuoi combattere contro questa gente qua, poi gli americani gli facevano un aereo al giorno, cosa vuoi, cosa vai contro a questa gente qua, che ha, questo qua adesso vuole, il matto qua di adesso, vuole mettere 54 miliardi di, in più di dollari per l’armamento, perché deve espandere l’armamento atomico. Oggi ho sentito che la Cina gli ha subito risposto 150 milioni, la Cina, in più, l’esercito più potente del modo la Cina eh, gli americani devono stare attenti perché quelli lì li tagliano a fettine eh. Perché beh, non so, ma vi rendete conto di cosa è un cinese militare o un giapponese? Han trovato uno dopo cinquant’anni nella giungla che era convinto ancora di essere in guerra ohi questo qua, eh non so, non so se mi sono spiegato. E quello lì vive male ancora adesso eh perché lo so, io l’ho visto quando l’hanno trovato [laughs] poveretto, e lui l’imperatore, l’imperatore ma l’imperatore. Noi per fortuna avevamo un imperatore, un po’ più, meno alto di me, eh la mia, la mia maestra era alta come la regina, la la moglie del del, era una persona veramente, guarda io non riesco mai a dimenticarlo, è troppo importante, sì io lo so dove abita, e non, dove abitava no? Ma non, non riesco a capacitarmi come mai certa gente deve morire in quella maniera lì, questa qua era una donna che, che poteva, va beh mia nonna è morta perché aveva preso una brutta malattia, no? Mia madre anche mia moglie purtroppo siamo tutti e due in cura in via Veneziani, lei per un melanoma e io per la mia gamba, però io sono arrivato a 84 anni grazie alla, a mia madre, a mia moglie che è una donna, io augurerei a tutti di trovare una moglie come mia mia moglie, eccezionale. Eeeh quelle lì sono scelte, per esempio lì la scelta l’ho fatta io perché mia moglie era minorenne quando io l’ho conosciuta, no? Allora una sera sono al bar e io non sono, non andavo mai al bar volentieri perché però gli amici la sera andavano al bar, e allora vado al bar e c’era lì questo mio carissimo amico che si chiama Serio eeeh Toni no? Eeeh il telefono del giro femminile era al bar no? Allora la Giovanna mi chiama mi dice ‘Ehi Efrem c’è una telefonata per te’ ‘Va bene’ vado lì ‘Ciao sono Mirella, dai vieni i miei genitori sono andati in montagna, vieni’ dice, ‘Eh guarda’ e il mio amico mi dice ‘Dai digli se c’ha un’amica che andiamo insieme no?’ Gli dico ‘Dai non posso venire perché sono qua con gli amici qui e là’ ‘No ma io, c’ho una mia vicina di casa, glielo dico, aspetta un attimo’ va di là, questa qua ‘Sì sì vengo’, solo io potevo fare quei bidoni lì. Allora va beh a piedi, filobus, dovevamo andare in piazzale Lodi, piazzale Lodi eh in via al, come si chiama credo al, va beh alla, un quartiere che adesso è abbastanza decaduto, no? Dopo piazzale Cuoco c’è quel cavalcavia scendi vai dalla parte di là, come si chiama quel, maledetta l’età, non c’è niente da fare. Va beh allora prendiamo il filobus e andiamo, il filobus una volta passava sotto, adesso invece l’hanno rimesso sopra no? Avevano fatto un cavalcavia, un sottopasso che si riempiva sempre d’acqua si capisce che un bel giorno han detto, mettiamolo a posto, no? Eh va beh andiamo e nel passare faceva la via del palazzo del ghiaccio, che non mi, non mi ricordo il nome, via via mah, e vedo i Platters a Milano io ero appassionato dei Platters e dico ‘Eh Toni, io non vado, andiamo giù a vedere i Platters’. No, sì, no, sì, no, sì, no insomma totale lo convinco e andiamo, scendiamo, e io vado dentro nel palazzo proprio dove fanno il ghiaccio, non dove facevano gli spettacoli e pattinaggio no? Perché lì dentro anche lì avevo, alla mia età avevo 25 anni avevo una ragazzina che mi, mi vede ‘Oh ciao Efrem cosa fai’ ‘Guarda, son venuto eeeh a chiedere se tuo padre mi fa passare perché voglio andare a vedere i Platters’ ‘Sì, sì’ fa ‘Ti porto io’. Insomma eravamo in prima fila, io e questo qua seduti a vedere questo spettacolo. A un certo punto fanno l’intermezzo no? E cosa fanno i ragazzini, specialmente quelli balordi come me, no? Si guardano in giro, no? E io vedo una ragazzina che per me era un sogno, no? Ed era con un cappottino rosso, perché faceva freddo tra l’altro lì dentro, no? L’ 11 di [pause] 11 maggio, so che lei, lei lo segna, va beh. La vedo e dico ‘Ah che bella, tusa lì’ ‘Ah ma io quella lì la conosco’ ‘Come la conosci?’ ‘È L’ex fidanzata di un mio amico, e così, così, se vuoi te la presento’. ‘Va bene’ andiamo là me la presenta ‘Adriana’ ‘Efrem’. Lei sentendo il mio nome ha ricollegato a una storia che avevo io a Lecco dove abitava una sua collega di lavoro che questa qua gli raccontava no? Che alla domenica noi andavamo su con la macchina in quattro o cinque facevamo un giro a Lecco e io filavo con la figlia del pasticcere lì di Lecco così no. ‘Eh ma Efrem Efrem lo conosco’ Quando ha sentito Efrem, lei un cervello della madonna c’ha quella lì, è la memoria storica, no? Eeeh ha collegato immediatamente il discorso di Lecco, no? Allora i ragazzini, perché eran tutti ragazzini, no? Io 25 anni, lei ne aveva, eeeh c’abbiamo nove anni di differenza fai conto no? Gli altri ragazzini come han visto che ero interessato e mi guardavo in giro, erano tutti del cortile di casa loro no, in via Casali, in via Canaletto no? Tutti ragazzi del della stessa casa diciamo no? Si dileguano, vanno il, la accompagno e le ho detto ‘Andiamo a mangiare una pizza’ Quella no, niente, l’accompagno davanti a casa e le ho detto, mi son fatto dare l’appuntamento per il giorno dopo no? Il giorno dopo va bene qua e là, eeeh io sono uno che non molla mai l’osso, no? Insomma in totale dopo dopo cinque o sei giorni le ho detto ‘Io a te ti sposo, vuoi diventare, voglio che tu diventi mia moglie no?’ e lei mi ha detto di sì. Aspetta non è finita. Io a quell’epoca venendo da una famiglia di panettieri così, no? Lavoravo alla Motta, ai, ed ero ai forni, quelli grandi dove si facevano i panettoni, quelli grossi no? E facevo 12 ore di notte di lavoro, dico 12 ore di notte con un quarto d’ora di intervallo, e alla sera c’era una ragazza che mi veniva a portare il caffè perché noi a un certo punto facevamo un quarto d’ora di riposo per mangiare, ma poi durante il lavoro nei forni quando il forno sta cuocendo sai il tempo di calcolo e allora andavamo dietro, potevamo prendere il caffè, quella roba lì col capo reparto, no? Questa veniva a portarci il caffè, la Carlina, eh va beh [uncleiar] questa qua e aveva qualche anno lei più di me, io ne avevo 26, 25 e lei ne aveva 35, però mi faceva un filo spietato, no? Va beh ‘E allora dai perché non ci sposiamo’ e io le ho detto ‘Carla la prima persona che saprà quando io mi sposo sarai tu e ti presenterò la mia sposa’. Sai cosa ho fatto io un giorno? Gli dico all’Adriana ‘Mi vieni accompagnare eh in al lavoro’, che veniva sempre ad accompagnarmi, no? Ci fermiamo un attimo al bar che ti presento una persona. Seduta al bar c’era la carlina che mi aspettava no? Adriana è arrivata lì chiediglielo se non è vero, e gli dico ‘Carla vedi questa signorina qua? Questa diventerà mia moglie’. Vedi che te, e quindi quindi mia moglie ha fatto il diciassettesimo anno, siamo andati in ferie per la prima volta quell’anno lì, no? E sono andato al paese di suo padre che io adoravo suo padre e mi ha preso subito a ben volere, e lui era chef sul Settebello, il treno che faceva il servizio dei ministri no? Era un fenomeno il Fornara, e mentre invece mia suocera dopo un po’ non mi poteva più vedere, e io invece l’ho affrontata in casa con suoi figli maggiori che l’Adriana aveva due figli maschi maggiori e una figlia femmina maggiore di lei no eravamo eeeh. E io mi sono portato come testimone, guarda che ci vuol tutta eh, mio fratello minore, Giorgio no? Sono entrato in casa e gli ho detto, lei può fare, che non c’era il padre no, perché il padre era in viaggio no, lui lo sapeva no andavo a prenderlo no in ufficio, al, in stazione, così no, ‘Lei può fare tutto quello che vuole ma io e sua figlia ci sposiamo, chiaro? E qui c’è anche un testimone, mio fratello’. Quegli altri due no? Che erano il fratello maggiore di mia sorella di, mia moglie e il il marito della sorella maggiore di mia moglie che poi è sparito dalla circolazione, ha piantato lì tutta a famiglia, no? Eh ve beh eeeh non si sono azzardati nemmeno a dire beh, mi sono alzato, l’Adriana è venuta fuori, ci siamo baciati e dal giorno, io dal maggio 2000 e quello che è del 2000 ’68, sì, ’68, io ho mancato di vedere mia moglie la settimana che sono andato in barca e quando andavo in, a Bologna in servizio per la compagnia di assicurazione dove lavoravo no? Io ho finito gli studi, sono andato a lavorare per una compagnia di assicurazione e andavo in trasferta perché ero di, ero il collegamento di tutti i periti di assicurazione quelli delle automobili no, perché eeeh, se no noi siamo sempre stati insieme, andiamo sempre fuori insieme, non ho mai mancato, tutti gli altri sono, tutti quelli del giro che conosciamo noi, solo suo fratello in mezzo è ancora sposato, gli altri tutti divisi, tutti [emphasis], e non è che noi stiamo insieme perché c’abbiamo voglia, stiamo insieme perché stiamo bene insieme, perché noi, io, l’ho sempre detto, io non ho avuto una famiglia praticamente, sono stato in mezzo ai preti quella roba lì, no? Guai guai a chi tocca la mia famiglia, perché io per me la famiglia è la mia Chiesa il mio, quello che vuoi, le cose belle son queste, no? Tu devi vedere adesso forse tra un po’ arriverà mia nipote, devi vedere mia nipote quando vede me, la gente del cortile si meraviglia perché lei passa sotto con la carrozzina sotto mi vede alla cosa, fa dei numeri dice ‘Nonno’ non parla ancora con due mani, poi mi manda, è una roba, l’altra invece che è più grande la prima nipote che ho che adesso è su in montagna a fare lezione di snowboard, no perché loro vivono a Bressanone no? Eeeh quindi lì le montagne ci sono, e oggi mia mia nuora è su con le le due i due, il il primo maschio di sua sorella e sua figlia a lezione di snowboard no? Eeeh tu la devi vedere questa qua, è una signorina già fatta perché oramai ha dieci, undici anni ma però questa qua eh ragazzi eh insomma se tu pensi che come compagni ha tutti i i, gli studenti di mio figlio, no? Le studentesse di mio figlio, no? Una le insegna pattinaggio, l’altra la porta in bicicletta, stravedono, ah dovreste conoscerlo mio figlio voi.
ZG: Sì, io la ringrazio e l’intervista la concluderei qui.
EC: Sì, sì guarda io.
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Title
A name given to the resource
Interview with Efrem Colombi
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
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Efrem Colombi recalls his care-free childhood, initially in the Bergamo countryside and then in Milan. Emphasises his life-long radical anti-Clericalism and recounts how he ran away several times from Catholic boarding schools because of his rebellious attitude. Mentions some bombings from which he escaped unharmed and recalls the 20 October 1944 Milan bombing, describing its effects on the Gorla and Precotto neighbourhoods. Recollects aircraft suddenly appearing on a surprisingly crisp day; his primary school was destroyed; he and his friends arriving out of curiosity among scenes of devastation, the appalling sight of a body being pulled out from debris, and hundreds of white coffins at the funeral. Recalls anecdotes of the Milan working class in the 1940s and describes wartime episodes: a hand grenade found in the Martesana canal that exploded close to barracks; his Jewish name prompting anti-Semitism; life at a holiday summer camp and as an evacuee; his mother throwing away his junior fascist uniform after the collapse of the regime; daily life in a ‘Casa di ringhiera’ (tenement with communal balconies); coming back home on an American tank at the end the war. Stresses the importance of family; gives an account of how his mother remarried when his father was declared missing in action, only to reappear after the end of the war; recounts anecdotes about friends and relatives. Curses allied air forces because they never apologised, but sympathises with aircrew, being too young to be aware of the consequences of their action. Links his strong atheist stance with the sight of young, innocent victims.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Zeno Gaiaschi
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-02-28
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Francesca Campani
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
01:17:45 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AColombiE170228
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Po River Valley
Italy--Milan
Italy
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1944-10-20
1943-09-08
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
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This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
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Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
animal
anti-Semitism
bombing
bombing of Milan (20 October 1944)
childhood in wartime
civil defence
evacuation
faith
fear
home front
love and romance
perception of bombing war
Unione Nazionale Protezione Antiaerea
Waffen-SS
-
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Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Colombo, Santina
S Colombo
Description
An account of the resource
One oral history interview with Santina Colombo who recollects wartime experiences in Milan.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-12-03
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This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Colombo, S
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
ZG: L’intervista è condotta per l’international Bomber Command Centre. L’intervistatore è Zeno Gaiaschi, dell’Associazione Lapsus. L’intervistata è Santina Colombo e nella stanza è presente Greta Fedele, come parente, e sara Troglio dell’associazione Lapsus. È il 3 dicembre 2016, e siamo in via [omitted] a Milano. Iniziamo. Prima della guerra, che lavoro facevano i suoi genitori?
SC: Contadini. Ma la mamma era a casa perché aveva, avevo il fratellino che aveva quattro anni, mia sorella ne aveva sette e io ne avevo undici prima della guerra.
ZG: Qual è il ricordo più lontano nel tempo che ha?
SC: Il ricordo più lontano è quando sono morti i nonni, diciamo, e poi quando c’era mio zio lì nel cortile dove abitavo io, io abitavo al primo piano, lui al pianterreno, facevano i contadini però avevano la radio e quando hanno comunicato che il Duce ha fatto la, si è messo con Hitler, tutti contenti all’inizio ma c’era anche chi non era contento, come mio papà, è sempre stato un comunista, no, socialista, socialista, e non era contento. E poi, il pensiero della guerra, perché iniziava la guerra dopo. Quello lì è il ricordo più brutto che ho, quando ero una bambina ecco.
ZG: Mi racconti un pochino della sua famiglia.
SC: Sì.
ZG: Come viveva la sua famiglia prima della guerra.
SC: Prima della guerra, dunque… Papà è nato nel ’91 e la mamma nel ’99, 1999 [sic]. E si sono sposati nel ’27 o ’28, io sono nata nel ’29 eh. Papà era contadino, sempre stato contadino e la mamma pure, che non è mai andata al lavoro negli stabilimenti, faceva la contadina. Quando sono nata io la mamma è stata a casa. Dopo, avevo quattro anni, avevo quattro anni, è nata mia sorella, è nata mia sorella e la mamma non è più andata al lavoro finché nel ’36 è nato mio fratello, è andata al lavoro, ha cominciato nel 1940 andare al lavoro ancora. Io ero la più grande e dovevo curare sorella e fratello, anche se ero ancora piccolina io [laughs]. Però, però non c’era niente da mangiare, è quello perché… la carne si mangiava a Natale, a Pasqua e alla festa del paese, la carne. E se no c’era il risotto col lardo, o risotto coi fagioli, minestra e taleggio e una mela in cinque. Che papà la sbucciava, io ero la più grandina, ero qua vicina, una fettina perché si può immaginare una mela in cinque, la dava prima a me, poi la dava a mia sorella di là intanto che lei guardava la mela io le davo una pedata sotto il tavolo, e la mela gliela mangiavo io [laughs], perché insomma ero la più grande e insomma non bastava quello che mi dava perché anche la minestra e il risotto era abbastanza poco. Lavorava solo il papà, eravamo in cinque. Non è che avevamo l’appartamento perché c’era un locale un po’ più grande di questo, il papà l’aveva diviso a metà con delle perline di legno, c’era la camera con il letto matrimoniale del papà e la mamma e i tre lettini per noi e la cucina ci stavamo appena appena dentro a mangiare. Poi il papà aveva preso un pezzettino, il cortile era grande e gliel’ha chiesto lì al proprietario, le ha dato un pezzettino di terreno, ha fatto l’orto. Fatto l’orto con un bel sgabuzzino di legno e lì coltivava la verdura, lui è sempre stato coltivatore di verdure e quando avevamo i soldi, perché i soldi li portava a casa solo lui, avevamo i soldi, ho detto ‘io prendo due oche, prendo due oche, li metto là nel giardino e la sera, la sera le portiamo di sopra perché se no ce le portano via’. In più alla sera in casa aveva fatto come un, non diciamo stabiello per il maiale, però ha fatto un recintino piccolino con della paglia sotto per le due oche che metteva lì alla sera andava giù a prenderle e portava di sopra. Il mattino le portava giù prima di andare al lavoro, erano giù. E noi andavamo là, noi bambini portavamo un pezzettino di pane ma poco perché mancava a noi e le davamo da mangiare. Però prima di Natale, quando era buona per ucciderla, la uccidevano e la mettevano dentro nella, adesso non ricordo più come si chiama, si chiama giara o cosa, che la facevano andare con il lardo e un po’ di olio poco, burro, perché l’olio costava di più del burro e la mettevano dentro a pezzi, dentro ne quella giara lì, sotto la finestra in camera, che prendeva un po’ di freddo, e ogni tanto, ogni tanto, ogni quindici o venti giorni tiravano fuori un pezzettino, la facevano andare con le verze, una specie di verzata. Piuttosto del maiale si metteva l’oca e si mangiava, però andava benone. Quello che mi ricordo prima della guerra, dopo [laughs].
ZG: È stata fantastica. Ehm, si ricorda di quando è scoppiata la guerra?
SC: Sì. Quando è scoppiata la guerra dove abitavamo noi, in via Lampugnano al 175, e lì erano tutte case a pianterreno, primo piano e pianterreno, cantine non ce n’erano. Quando suonava l’allarme per i bombardamenti dovevamo fare la via Lampugnano, andare in via Beolchi, dove c’era la casa lì, che era una casa fatta su cantine e lì era il rifugio, ma era una cantina diciamo e però ci trovavamo là tutti assieme. Di notte quando suonava l’allarme, dovevamo saltare fuori dal letto, coprirsi con la coperta che avevamo su sul letto e scappare via con gli zoccoli, e via e andare. Stavamo là finchè suonava il cessate allarme e poi si tornava a casa. Poi una volta, mi ricordo che avevo dodici anni, e sono andata con mia mamma in via Novara, che lì aveva degli amici, dei parenti, degli amici più che parenti, che abitavano qui, si erano sposati e l’hanno invitata ad andare là a vedere la sua casa. E siamo andati, mi ha detto vieni anche te, vieni anche te. Eravamo lì che stavamo per partire, venivi a casa a piedi eh, da via Novara che dopo comincia via Rubens, e suona l’allarme, abbiamo dovuto fermarci lì e siamo andati giù nel rifugio lì suo dove abitavano loro. Suonato il cessate allarme, abbiam preso e siamo venuti a casa. Sulla via Novara sui marciapiedi abbiamo visto tre morti che sembravano, non dico lo spavento che ho preso quella volta lì perché c’erano fuori gli han sparato proprio nella testa che è andata giù una bomba in Via Novara dove ci sono tutte quelle case lì adesso, ecco. Comunque niente, siamo venuti a casa e tutta spaventata io perché, eh, era la prima volta che vedevo i morti così. Sì avevamo paura che quando suonava l’allarme perché si diceva se viene giù una bomba qui altro che andare giù con la casa qui. Però. Così.
ZG: Invece proprio, si ricorda del giorno in cui è scoppiata la guerra? Di come gliene avevano parlato gli adulti, di come gli è arrivata la notizia?
SC: Sì, come l’ha detto mio zio lì che aveva la radio lui che avevano fatto il patto con Hitler e, però il giorno preciso non mi ricordo, perché ero una bambina, eh. Mi ricordo quel giorno qui, quando hanno ammazzato quei partigiani lì.
ZG: Mi racconti pure.
SC: Ecco. Quel giorno qui era il 26 aprile del 1945. Il 25 aprile la radio aveva detto che la guerra era finita. Il 26 aprile del 1945, mentre sorgeva l’alba della liberazione, cadevano al loro posto di combattimento Casiraghi Eugenio di anni 37, Del Vecchio Luigi di anni 42 e Grassi Erminio di anni 22. Erano partigiani della 44esima Brigata Matteotti. E sono stati i fascisti di questo rione, di Trenno, perché prima si chiamava Trenno, e sono stati i fascisti a dirli, ‘andate lì in via Novara che arrivano i partigiani, vi danno dei sacchetti di roba da mangiare’. Loro c’hann creduto e quando sono stati lì all’altezza lì dove c’è l’Harbour in via Cascina Bellaria e lì li hanno ammazzati dentro in un fossettino. Li hanno fatti buttare dentro, li hanno detto di andare dentro nel fossettino, li hanno uccisi loro, i fascisti di Trenno. E meno mal che el mi mari non è andato perché doveva andare anche lui, assieme al Grassi Erminio che era suo amico.
ZG: Si ricorda perché li uccisero?
SC: Eh perché erano partigiani e non erano fascisti. Perché qui ce n’erano diversi eh di fascisti a Trenno.
ZG: Dei fascisti, cosa è successo dopo, insomma a queste persone che?
SC: Dei fascisti, c’erano dei fascisti che abitavano a Trenno e erano lì in via Novara dove adesso c’è la Rete, l’albergo, il ristorante La rete che adesso è chiusa. Erano lì in via Novara e siccome, come le ripeto mio papà era un socialista e non aveva la tessera dei fascisti, mio papà e dieci altre persone assieme a mio papà li hann portati lì in via Novara e li han dato giù una bottiglia di olio di ricino da bere di mezzo litro a tutti e dieci, che son stati male dopo per cinque o sei giorni, ecco. Erano gente, amici qui di Trenno, proprio che si conoscevano.
ZG: E dopo la guerra, a questi fascisti qua cosa è successo?
SC: E dopo la guerra meno mal chi mort, pace all’anima sua che son morti senza ammazzarli noi, perché l’odio c’era eh solo che beh io ero una bambina, però mio papà e gli altri suoi amici che sono andati là a bere l’olio di ricino avevano voglia di ucciderli loro. Invece son morti. Dopo la guerra a uno a uno sono andati tutti e cinque, che abitavano lì in via Rizzardi avanti.
ZG: Tornando, diciamo, alla guerra, ai bombardamenti, lei cosa faceva durante la guerra, lavorava ha detto, e dove lavorava?
SC: No, ho lavorato due anni all’ippodromo San Siro a tirar su i sassi, però per tre o quattro mesi. Poi ho incominciato a imparare a fare la rammendatrice, a quindici anni ho imparato a fare la rammendatrice, poi sono andata a diciassette in una ditta in via Lario che andavo in bicicletta da qui fino là in via Lario che è vicino al Niguarda in bicicletta anche se pioveva in mano la bicicletta con mano l’ombrello e andavo là a lavorare, fare la rammendatrice. Che lavoravamo i tessuti che venivano da Biella per il Galtrucco di Milano.
ZG: E Le è mai capitato che suonasse un allarme antiaereo quando era sul posto di lavoro?
SC: No, no, perché lì ho cominciato a diciassette anni.
ZG: Quando… quindi l’allarme antiaereo le è capitato che suonasse solo quando lei era ancora a casa.
SC: Quando ero a casa che stavo imparando a rammendare in via Belfiore, allora lì sì anche lì che ero lì imparare a rammendare è suonato l’allarme e mi ricordo che la proprietaria del negozio lì dove stavo imparando aveva la casa dove c’è adesso il, prima c’era il Zenith in Corso Vercelli all’inizio e adesso invece mi sembra che c’è una libreria, prima c’era il Zenith, e lei abitava lì e una bomba è andata giù e ha buttato giù tutto e lei è rimasta senza casa né niente. Meno male che era lì nel negozio e che ero da sola, è stata lì e mi ricordo che eravamo lì quando è suonato l’allarme siamo andati in un’altra casa che avevano anche lì la cantina e siamo andati lì. Però eravamo in via Belfiore e la bomba è andata giù in Corso Vercelli. Anche lì un bello spavento perché dopo avevo paura a venire a casa perché venivo a casa a piedi da lì eh. Dopo non passavano più né tram né autobus perché andando giù la casa avevano ostruiti anche il passaggio dei tram che arrivavano fino a qui in Perrucchetti.
ZG: Quando eravate nei rifugi, nelle cantine, come passavate il tempo?
SC: Pregando. Pregando tutti, anche gli uomini, che rispondevano [pauses] Nella paura, eh.
ZG: Si ricorda che preghiere facevate?
SC: L’Ave Maria e il Padre Nostro. C’erano le donne più anziane che dicevano “oh Signur, oh Signur, e tont i, e tont i” e poi “Padre Nostro, che sei nei cieli”, poi si ripeteva tutti. E l’Ave Maria.
ZG: Ehm, quando poi finiva l’allarme, come lo sapevate che era finito l’allarme?
SC: Perché suonava, suonava il cessate allarme. Suonava e allora ci guardavamo tutti in faccia, ci abbracciavamo noi bambini e i più grandi e poi ‘ciao ciao’ e si tornava a casa, perché magari durava un’ora, un’ora e mezza, e anche due. Di giorno era un conto ma di notte era un altro.
ZG: Lei si ricorda cosa è che la sconvolgeva di più quando eravate in cantina? Qual’era il ricordo più forte che ha?
SC: Il pensiero che andasse giù una bomba dove c’era la mia casa. Come quei terremotati che sono là adesso là, che hanno sempre il pensiero di dire ‘la casa non c’è più, cosa facciamo‘. Lì è proprio una guerra anche lì eh.
ZG: E invece sulla strada per casa come tornava? Lei era sempre con i suoi genitori?
SC: Sì sì tutti e cinque si andava là quando suonava l’allarme. Di giorno no perché il papà era all’ippodromo. E se capitava di giorno andavo io con i miei fratelli e la mamma. Ma la maggior parte era di notte.
ZG: Lei per caso aveva parenti che combattevano al fronte?
SC: Nella seconda, non nella terza. Che sono morti, che c’è qui la scuola di Trenno ci sono due aule con il nome dei fratelli del papà, Colombo e Colombo, che sono morti nella seconda guerra mondiale.
ZG: E dove sono morti, lei lo sa?
SC: Non lo so, non lo so perché io è già un dispiacere il papà quando gli hanno dato il nome alle due aule io andavo a scuola lì dopo. Però lui non mi ha mai detto niente e io non chiedevo niente.
ZG: Invece ha, per caso aveva parenti che invece lavoravano nell’industria bellica?
SC: No, avevo parenti che sono andati coi tedeschi. Una zia e una cugina.
ZG: Le va di…
SC: Mamma e figlia. Con due tedeschi.
ZG: Ma che sono andati a vivere proprio in Germania?
SC: No, che sono andati lì in casa sua, in via Lampugnano al 170 la sera. Andavano lì e la figlia è rimasta gravida, il figlio che è nato era proprio un tedesco, non era figlio di un mio cugino marito di lei.
ZG: Come, che ricordo ha dei tedeschi durante l’occupazione?
SC: Paura. Loro quando erano venuti qui alla scuola, venuti qui alla scuola che passavano allora alla via Lampugnano c’erano giù i sassi e con i due, le beole che dicevano i trottatori, ecco. Prima di tutto non c’erano luci perché c’era un lampione qui in, la piazza dicevano la piazza dove c’è adesso il semaforo. C’era un lampione lì, poi ce n’era uno là vicino alla scuola, può immaginarsela la strada tutta buia. Ma quando passavano i tedeschi con quelli scarponi lì. Io avevo la finestra proprio sulla, la camera sulla via Lampugnano e facevano rimbombare anche i vetri, perché allora i doppi vetri non c’erano. Che passavano e cantavano e con quelli stivaloni lì facevano una paura enorme guardi. Io li guardavo dalla finestra, guardavo giù ma avevo una paura, avevo quattordic’anni, quindici eh.
ZG: Lei non ha avuto nessun episodio in cui le è capitato di avere a che fare con i tedeschi?
SC: No no.
ZG: Quando la guerra è finita, si ricorda il giorno della liberazione?
SC: 25 aprile, il 26 hanno ammazzato questi qui.
ZG: Ma si ricorda di come le è arrivata la notizia che la guerra è finite?
SC: Sempre lì dallo zio, che aveva la radio perché in casa mia fino a diciott’anni non c’era né radio né giornale. Leggevo il giornale perché me lo passava mio zio che lo comperava lui, se no... Ecco dopo mi ricordo che eravamo in quattro cinque amiche e in via Novara, adesso non ricordo quella via lì, dove c’è la posta che va giù, quella via lì non mi ricordo, che si va giù in fondo c’è la caserma, c’è la caserma e lì c’erano gli americani. Allora quelli più grandi sono venuti a casa e l’hann detto che noi eravamo là all’oratorio, era domenica si andava all’oratorio, si andava in chiesa il pomeriggio poi si andava all’oratorio dalle suore, e son venuti a casa e c’hann detto ’andate lì, andate lì che gli Americani sono là alla finestra, se vedono le bambine’. Allora io avevo quindic’anni, sedic’anni, ’se vedono le bambine o le ragazze, buttano giù le tavolette di cioccolata’. Allora si andava a piedi fino a là e c’hann buttato giù le belle tavolette di cioccolata ma bisognava tagliarlo col coltello talmente era alto era buonissimo. Ecco il ricordo degli americani al confronto con i tedeschi.
ZG: Prima ha detto che suo marito da ragazzo era stato partigiano.
SC: Sì, era partigiano, era amico con questi. Dopo quando i fascisti, lui non so se l’ha sentito tramite qualcun’altro, i fascisti gli hann detto ’andate in via Novara perché arriva una colonna di partigiani vi danno qualche sacco di roba da mangiare’. Sono stati i fascisti a dirglielo. Loro sono andati ma quando sono stati lì in via Bellaria all’altezza qui dove c’è la lapide che l’ho fotografata ieri mia figlia quando m’ha portato a casa, e dopo io ho scritto tutto quello che c’era scritto e c’era la lapide lì e lì c’era un fossettino perché erano tutti campi prima, c’era un fossettino che passava l’acqua, li hann fatti sdraiare lì e li hanno uccisi loro, fascisti di Trenno. Ma mio marito non è andato e si era nascosto in un solaio ed un altro suo amico in via Luigi Ratti, s’era nascosto lì nel solaio, è rimasto lì per due giorni che li portava su da mangiare il suo amico perché aveva paura che i fascisti magari lo vedessero in giro e …
ZG: E si ricorda che cosa faceva come partigiano suo marito prima della, durante la guerra?
SC: No, no, perché [unclear].
ZG: È un argomento di cui non avete mai parlato?
SC: No, no, perché poi lui è andato a studiare in seminario perché il papà aveva un tumore alla faccia, aveva un tumore alla faccia e la mamma faceva la magliaia e sua so, le è morto un fratello a diciotto anni del tifo ma quello non c’entra niente e lui voleva andare avanti a fare il liceo ma la mamma gli ha detto io non posso, non posso perché … allora lui per poter avere il diploma lì del liceo è andato in seminario a studiare. Ha parlato, la mamma ha parlato coi missionari, è andato là è Madonna non ricordo il nome, è vicino a Monza, è venuto a casa che aveva il liceo ecco però non eravamo ancora fidanzati e sapevo solo quello.
ZG: Le ragazze di cui ci parlava prima, che erano andate coi tedeschi, dopo la liberazione cosa le è successo, lo sa?
SC: No. È successo che l’ha saputo tutto il paese. Una era mia zia eh, che non era una ragazza, e l’altra era mia cugina sua figlia, che si era appena sposata è rimasta incinta ma quando è nato il figlio, per non dire che non è stato il marito perché non era giusto, che mancavano più di, quasi tre mesi, hanno detto che era un settimino, per non dire di sei mesi. Che poi il figlio era proprio un tedesco. Tedesco di nome no, ma di fatti. Ma di fatti.
ZG: In generale, qual’è il ricordo più forte che ha della guerra, quello che le è rimasto più impresso?
SC: Quando ho fatto la via Novara che ho visto quelle tre persone con tutte le, le cose fuori dalla testa. Le cervella, che sembrava la cervella che si prende dal macellaio per impanare e mangiarla. Ecco, l’impressione più brutta era quella [pauses] che mi è rimasta, perché qui in pratica qui a Trenno non è successo niente all’infuori di questo che dopo siamo venuti a conoscenza e odiavamo quei ragazzi lì. Che fra l’altro il fascista di questi adesso c’è l’Ambrogio Giroli era suo zio.
ZG: Torniamo di nuovo ai bombardamenti. Cosa, cosa le dicevano di chi bombardava?
SC: Eh, che erano i tedeschi. Dopo a volte dicevano che erano gli americani, invece erano i tedeschi. E poi mi ricordo, mi spiace che non la trovo più perché quando hanno ucciso il Duce in Piazzale Loreto con la Petacci, io avevo la fotografia che è andato mio marito a fargliela. E avevo una cartolina. Non la trovo più, non la trovo più, non la trovo più, l’ho cercata apposta per farvela vedere a voi.
ZG: È una foto che le ha fatto…
SC: Che le fatto mio marito in Piazzale Loreto col Duce appeso in Piazzale Loreto e la Petacci e altri due.
ZG: Cosa pensava di chi la bombardava, lei?
SC: Cosa pensavo. Che erano dei disgraziati. Ma disgraziato più è stato il Duce che ha fatto il patto con Hitler, eh. Però essendo una bambina non avevo radio, non leggevo giornali.
ZG: Degli inglesi invece cosa pensava?
SC: Io non so perché, io ho pensato solo agli americani. Degli inglesi non pensavo niente.
ZG: E degli americani?
SC: E degli americani pensavo bene, perché sono venuti a liberarci, eh. Che quando sono arrivati gli americani la prima volta che gli abbiamo visti sono arrivati lì con quelle jeep, non so io cos’erano, in fondo a via Lampugnano che adesso c’è il Palatrussardi ecco, siamo andati fino a là per vederli. Perché si erano fermati là e noi da qui a Trenno, noi ragazze, che avevamo quindici anni, sedici, siamo andati, chi diciassette, chi diciotto.
ZG: Ci hanno raccontato di un episodio di un bombardamento alla Cascina Bellaria.
SC: Bravo.
ZG: Lei se lo ricorda?
SC: Bravo, sì, bravo.
ZG: Si ricorda l’episodio?
SC: Sì non mi ricordo ma so che è andata giù una bomba lì alla Cascina Bellaria, ma allora era tutto prato lì. Il parco lì proprio c’era solo la cascina e basta.
ZG: Per caso si ricorda l’anno?
SC: No.
ZG: Invece ha mai sentito parlare del Pippo?
SC: Pippo? Cos’è il Pippo?
ZG: Un modo di dire in alcune parti di Milano in cui si parlava di un aereo che volava, un solo aereo che volava di giorno e di notte sopra la città.
SC: Mai sentito.
ZG: Senta, invece adesso che cosa pensa di chi la bombardava?
SC: Eh, cosa penso. Che erano dei maledetti, che cosa si pensa? Che cosa si può pensare? Io devo dirmi fortunata perché dei miei parenti nessuno è stato, è stato preso, diciamo, nei bombardamenti o, però la paura che c’era…
ZG: Invece, finita la guerra, la vita com’è cambiata lei e la sua famiglia?
SC: Eh un po’ diversa perché ho cominciato a lavorare, facevo rammendi, mi ricordo che il primo rammendo che ho fatto qui a Trenno, un buco di sigaretta in una giacca e ho preso cento euro [sic]. Un buco di sigaretta e ho preso cento euro [sic]. Allora, perché allora facevano anche rivoltare le giacche. Chi faceva l’impiegato consumava tutta la, il bordo qui della giacca e allora me lo portavano qui e io lo rammendavo. C’era il trucco. Si faceva così, ecco, e mi ricordo che ho cominciato a star bene lì. E mi ricordo che avevo diciotto anni e ho preso le prime calze di nylon, se no c’erano i calzettoni di cotone fino al ginocchio. Le prime scarpe che ho preso avevo il 35, mio papà mi ha preso il 38 perché ha detto che dovevano durare tre o quattro anni, che il piede si allungava. Quando non ci è stato più dentro il piede, li ha portati da un calzolaio qui a Trenno che era anche un cugino, Colzani, m’ha tagliato il tallone e ha lasciato il cinturino per fare i sandali, però metà tallone era giù fuori dal tacco delle scarpe. E dopo ho dovuto metterle via, pulirle bene per mia sorella. E al tempo di guerra, a Natale, ci si alzava sul tavolo là in cucina c’era per me e mia sorella perché allora mio fratello era ancora piccolino, un mandarino, un torroncino Sperlari nella scatoletta di cartone che era più bella la scatoletta che il torrone che c’era dentro, cinque spagnolette, torroncino, cinque spagnolette, il mandarino e una bambolina di pezza che ha fatto mia mamma, che dovevo tenerla in mano a Natale, Santo Stefano, poi metterla via per mia sorella. Quello era il Natale, in tempo di guerra. E il panettone, tagliava il panettone di mezzo chilo perché quello da un chilo non si poteva prendere, mezzo chilo lo tagliava, lo tagliava tre quarti, un quarto lo metteva via per febbraio, San Biagio come tradizione.
ZG: Bene. Per noi siamo a posto così
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Interview with Santina Colombo
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The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
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Zeno Gaiaschi
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A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-12-03
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An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
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00:35:13 audio recording
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A language of the resource
ita
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Spatial characteristics of the resource.
Italy--Po River Valley
Italy--Milan
Italy
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1945-04-26
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Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
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Description
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Santina Colombo describes her early life in a family of farmers, her father a fervent socialist. She mentions the start of the war announced on the radio and gives a detailed account of civilian life in wartime Milan: scarce food, growing vegetables on small plots, home rearing of geese, and the constant fear for the fate of enlisted relatives. Describes bombings and the rush for safety in a nearby basement, men and women praying together during the alarm, and hugging each other after the all-clear signal. Recalls the constant fear that her home would be destroyed and the trauma of seeing corpses on the road. Mentions the Cascina Bellaria killing and describes how her husband, a partisan, narrowly escaped death. Describes fascist violence, leading to acts of revenge after the war. Mentions her aunt and cousin living with the Germans, the latter to become pregnant. Speaks of aircrew as odious and detestable, and scorns on Mussolini and Hitler.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AColomboS161203, PColomboS1602
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
bombing
childhood in wartime
civil defence
faith
fear
home front
Mussolini, Benito (1883-1945)
perception of bombing war
Resistance
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/20/411/Memoro 5496.1.mp3
48baf0c47502332d0d0e581bc149c3f5
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Transcription
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AB: È arrivato il momento del periodo in cui bisognava fare il premilitare. Il premilitare era un obbligo di legge per i ragazzi di diciotto anni di frequentare la Casa del Fascio per essere addestrati a eventuale impiego militare. A me non piaceva andare per natura mia, mio padre faceva di tutto perché [laughs] non c’andassi, alle volte mi capitava di lavorare, ragion per cui io il militare non sono quasi mai andato. Però il Fascismo non si accontentava, il padrone della Casa del Fascio di questa mia giustificazione o della giustificazione mie di mia madre che andava a giustificarmi come a scuola perché io non andavo a fare il premilitare, ma addirittura loro hanno tentato di sequestrarmi perché il premilitare si faceva il sabato, di condurmi nelle cantine della Casa del Fascio per castigo perché non frequentavo la scuola del premilitare. Mia madre doveva andare a piangere dai capi affinché lasciassero perdere, dicendo che avevamo bisogno per mangiare, che io dovevo lavorare il che non era vero, però mia madre ha dovuto umiliarsi di fronte ai capi del fascismo perché io non ho frequentato il premilitare. E così è arrivata piano piano la guerra. Siamo ormai nel ’40 [part missing in the original file] nel periodo del conflitto come mi chiedi tu è successo una cosa strana. Io lavoravo come operaio, facevo il meccanico e sono capitato in un’azienda che faceva i servizi d’approvvigionamento per gli aerei da bombardamento. I capi della mia officina dove lavoravo hanno dovuto subire l’invasione dei tedeschi perchè hanno sequestrato la ditta in cui lavoravo. Questo cos’è voluto dire? Che io sono stato esentato dal fare il militare proprio perchè lavoravo per l’industria bellica in mano ai tedeschi. Quindi io si può dire che tutto il periodo bellico dal ’40 al ’45 sono sempre stato a Milano. Anzi addirittura i tedeschi ci avevano fornito di un passepartout, di un documento che, facendo i turni di notte, ci permetteva di andare fuori di sera, quando la popolazione normale per il coprifuoco non poteva uscire per le strade o fare altre cose. Noi, io avevo questa opportunità, per cui il periodo di guerra l’ho subìto. Tutti i bombardamenti avvenuti sulla città di Milano, dal ’40 al ’45, dal primo all’ultimo, li ho subiti tutti, anche quelli tremendi del ’43. Per fortuna che la mia casa non è mai stata colpita e quindi almeno da quel punto di vista ho potuto, ho potuto, come dire, sopravvivere. Però ho vissuto dei momenti terribili, nel senso che ho assistito di persona, e posso testimoniare, di aver assistito di persona al bombardamento della scuola di Gorla. È un fatto storico che mi pare, che su certi libri di scuola vi è menzionato, io sono stato testimone di questo macello, bombardamento tipico di rappresaglie che hanno fatto gli Alleati contro i tedeschi, i fascisti qui a Milano, abbattendo di proposito una scuola, dove ci sono stati più di trecento morti tra bambini, insegnanti, gente che era lì. Per cui diciamo che parecchi avvenimenti, io ho avuto la disgrazia, se vogliamo, di avere due amici che sono morti per l’attentato che i partigiani hanno fatto in Piazzale Loreto, dopodichè c’è stata quella famosa fucilazione dei quindici partigiani. Quando è scoppiata la bomba davanti all’albergo Titanus stavano passando due miei amici che andavano a lavorare in bicicletta. Quindi ho perso due amici proprio per un fatto bellico, per non parlare di altri. Fortunatamente in casa mia, i miei fratelli erano tutti più piccoli di me, perché io ero il primo, nessuno era stato colpito, obbligato ad andare a militare. Soltanto la mamma e gli altri miei fratelli hanno dovuto sfollare perché non si poteva più mangiare in quanto a lavorare finalmente mio padre era riuscito, facendo il muratore, a trovare la possibilità di sopravvivere. Mio padre era riuscito a lavorare, lavoravo anch’io [part missing in the original file] a Milano per cui siamo riusciti a far sfollare mia madre, i miei fratelli, mie sorelle in quel di Crema.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Antonio Bozzetti
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Antonio Bozzetti (b. 1924) remembers the efforts to dodge fascist paramilitary service. Describes how he avoided being enlisted because he had a reserved occupation in a factory working for the Germans. Points out he witnessed all Milan bombings and mentions the high death toll of the 20 October 1944 Gorla bombing. Maintains that the latter was a ‘standard retaliatory attack’ and remembers the loss of two friends.
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:06:11 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Memoro#5496
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Milan
Italy--Po River Valley
Italy
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1944-10-20
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Memoro. La banca della memoria
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
License
A legal document giving official permission to do something with the resource.
Royalty-free permission to publish
bombing
bombing of Milan (20 October 1944)
civil defence
evacuation
home front
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/20/413/Memoro 5868.1.mp3
616ec99063f19b912697a760eea47a2c
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
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PC: Quella per esempio di Piazzale Loreto e dei partigiani ce l’ho impressa proprio come una cosa che prio che. Ma mi ricordo proprio i particolari dietro la finestra con le serrande un po’ perché se ti sparano dentro e ti vedono non so. Io ho sentito tutto, ho sentito ma non ho visto niente. [part missing in the original file] c’erano dei conoscenti che avevano la casa in via Della Doria e sull’angolo di via Palestrina secondo piano e lì ho visto, ho visto, ho sentito il camion quando portavano i partigiani in Piazzale Loreto perché da lì dove ero io erano sì e no cento metri. [part missing in the original file] le dirò una cosa che si era fermato proprio questo, non lo so cos’era un camion, non lo so, c’erano dentro questi [part missing in the original file] partigiani che poi hanno fucilato. E si vede che uno è scappato, si è fermato lì [part missing in the original file] so che è stato fucilato uno di questi, è stato fucilato proprio lì davanti alla porta dove abitava [part missing in the original file] eccetera, noi eravamo dietro alla finestra, ma io ragazzino insomma non è che [part missing in the original file] il camion si è fermato e [part missing in the original file] abbiamo sentito delle mitragliatrici ma la cosa è finita lì. La mattina tutta la gente che correva, c’erano questi partigiani. Invece quando [part missing in the original file] è stato portato Mussolini, sempre lì nello stesso posto io non c’ero. Ero ritornato nella casa dove ero prima, in via San Martini al 23, che era abbastanza vicino anche questo [part missing in the original file] scene ho visto solamente il duce per terra. Tra l’altro li ho schiacciato anche una mano perchè all’inizio c’era gente che si accalcava ed era uno proprio lì davanti e era, il corpo era davanti e praticamente la gente ti buttava addosso perchè tutti volevano vedere [part missing in the original file] ho rischiato di morire sotto i bombardamenti perchè mi trovavo in Piazza Loreto [part missing in the original file] andato per prendere dei colori perchè allora mi era venuta la mania della pittura [part missing in the original file] sentivo delle mitragliate a mezzo metro ma una cosa strana perchè non capivo cos’era, cioè al momento non si capiva poi è suonato l’allarme sono andato in corso Buenos Aires e volevo entrare in una cantina [part missing in the original file] in un rifugio [part missing in the original file] ma lì di rifugio non ce n’era, finiva [part missing in the original file] allora ho detto qui [part missing in the original file] se viene giù una casa e ho attraversato, sono andato dall’altra parte [part missing in the original file] come ho attraversato la strada dall’altra parte quella casa che ero stato prima era andata giù [part missing in the original file] a vivere a Milano non era tanto facile. Il bombardamento dell’agosto del ’43, ogni bombardamento [part missing in the original file] mille morti ogni bombardamento a Milano, eh. Non c’è mai la commemorazione. Ci sono la commemorazione delle Fosse Ardeatine, ci sono le commemorazioni, per esempio di Gorla, dei bambini di Gorla che sono morti tutti nella scuola e c’erano allora delle persone che difendevano perchè gli antifascisti difendevano gli Alleati, i liberatori che se loro facevano queste cose purtroppo la guerra l’abbiamo voluta noi [part missing in the original file] io non ero, non ero d’accordo [part missing in the original file] vede in quel periodo ero [part missing in the original file] dicevo qualcosa del genere passavi per fascista, fascista alla mia età non lo potevo essere [part missing in the original file] sul libretto di lavoro c’era [part missing in the original file] cioè sei iscritto al Partito Nazionale Fascista? No. Sei iscritto al Sindacato Fascista? No. Hai fatto la Marcia su Roma? Sui libretti di lavoro naturalmente sono tutti stampati alla stessa maniera. [part missing in the original file] da Geloso sono entrato lo stesso, cioè voglio dire, non mi hanno richiesto nessuna tessera [part missing in the original file] ecco una cosa che mi ha segnato molto [part missing in the original file] quando lavoravo da Geloso, io ero amico con tutti, ero ragazzino, e c’era uno che reparto verniciatura che era fascista eh ma si parlava di tutto meno che non, mi interessava, data l’età. Quando è finita la guerra questo faceva parte non so di quelli che vanno in giro ma è una bravissima persona cioè vista così non … se abbia combinato cose. Allora volevano sapere da me, mi hanno fatto l’interrogatorio, i miei amici, amici, quelli che si lavorava assieme mi hanno puntato il mignolo [part missing in the original file] e niente, mi hanno fatto un interrogatorio per sapere se io sapevo qui, sapevo là, ma cosa, se quello faceva delle cose le veniva a dire a me, mai più, e anche lì ho avuto dei problemi. Sono passato per fascista. Poi data la faccenda che sono stato per andare a vedere ero perseguitato antifascista, mi hanno mandato dei regali e compagnia bella. Da una parte io, ecco la situazione ed erano momenti brutti, io se non era per mia mamma che era anziana, mia mamma, mia zia che praticamente col poco stipendio che prendevo sarei venuto via appunto per l’umiliazione per le cose che ho avuto dentro lì. Era stato un periodo brutto [part missing in the original file] in tempo di guerra siamo venuti a Milano per comprare del materiale, portando olio perchè l’olio era una cosa, è come, era come un lingotto d’oro eh portare l’olio era, potevi ottenere qualsiasi cosa [part missing in the original file] e vedo il piazzale della stazione a un certo tratto vedo un signore con un soprabito e mi domanda cosa ho nella borsa, avevo appunto l’olio e a momenti mi arresta e lì veramente e mi ha detto di non farlo più, ha visto come ero spaventato, ha visto che praticamente ero ragazzino e mi ha lasciato perdere perchè erano quelli che controllavano appunto chi faceva la borsa nera. [part missing in the original file] Poi sono ritornato a Milano come le dicevo proprio per i bombardamenti [part missing in the original file] si parlava dello sbarco. Incominciavano a dire se poi arrivano gli americani, arriva la cosa, a Milano non ci ritorniamo più e allora visto che lì era peggio che stare a Milano in tempo di guerra praticamente siamo ritornati là, e siamo arrivati giusti giusti per i bombardamenti [part missing in the original file] ho perso tanti amici sotto i bombardamenti [part missing in the original file] era molto facile alla mia età lasciarsi convincere a fare delle cose che poi erano i grandi sa che ti mandavano a fare delle cose che non dovevano fare questi ragazzi [part missing in the original file] io abitavo in una via dove, praticamente alla stazione centrale, dove ce n’erano di cotte e di crude. Io ho visto i fascisti, ho visto i partigiani, e se devo essere sincero ho visto più cattiverie fatte dagli anti che da questi. Purtroppo quelli hanno perso la guerra, sono state delle carognate perchè come dico io ero un candidato ad andare in Germania come ostaggio dunque se è uno che deve parlare male sarei io però c’erano delle bravissime persone sia da una parte che dall’altra. Io ho conosciuto degli amici che poi sono stati capi, dato la mia età, sono stati capi partigiani però delle persone veramente degne, sono persone veramente, insomma che hanno tutto, intelligenti, oneste. Poi c’erano i delinquenti, i delinquenti c’erano da tutte le parti. Io ho conosciuto delle persone che sono andate in Germania perché hanno rubato, tempo di guerra sono ritornati indietro come eroi, come martiri e compagnia bella. Insomma purtroppo la guerra non ci dovrebbe mai essere perchè più che una guerra quella è stata una guerra civile. [part missing in the original file] una volta mi ricordo si era fermato un camion dei partigiani, era pieno di partigiani. Tra l’altro persone che conoscevo che sono andati a fare i partigiani il giorno prima. Però avevano la voglia di fare i liberatori, non so. E niente, scendevano, tutti armati di cosa quello mi ha fatto impressione, pistole, bombe a mano, tra l’altro ne hanno dato un paio anche a me [part missing in the original file] alla portinaia, la signora Maria perché le portinaie tutte Marie, se c’era qualcuno da sistemare, cioè da [part missing in the original file] c’era veramente paura da andare in giro perché una mirtagliata, una sparata [part missing in the original file] durante queste cose l’hanno ammazzato, si vedeva, era una persona, poi era vecchio coi capelli bianchi, solamente perchè il figlio era non so alla Decima Mas e allora non ha detto dov’era il figlio hanno ammazzato lui una roba così insomma [part missing in the original file] senza casa, senza coso, si andava a mangiare nelle scuole poi la scuola il giorno dopo non c’era più perché andava giù delle bombe allora se ne cercava un’altra. Ho dormito tre giorni in, due o tre giorni adesso non mi ricordo, sui marciapiedi della Via San Martini, quelli lì proprio alla Stazione Centrale perché con le case che bruciavano e compagnia bella non c’era mezzo e stavamo lì. Mangiare qualche maniera, insomma anche quelli che erano al fronte hanno fatto una vita ma anche noi in città specialmente i ragazzini ne hanno sofferto tantissimo. E quelli che hanno avuto i ricordi come i miei. Magari quelli che erano in campagna che hanno vissuto cose per cui non c’erano queste cose sono venuti a Milano dopo ma io che proprio in quel periodo ero a Milano e ho sofferto veramente la guerra, la fame. Sa quante volte sono andato a letto con la fame e ti svegliavi con la fame. Con la casa mezza bombardata, che il tetto veniva giù acqua dappertutto. Ogni tanto mi svegliavo di notte che mi cadeva l’acqua in faccia perché era un’altro. Avevamo messo tutti pentolini sembrava una sinfonia che suonava. Poi quando sentivi la nota stonata era perché non c’era il pentolino e andava sul pavimento o se no mi veniva in faccia. Purtroppo si viveva in questa maniera qui [part missing in the original file] è stata una brutta avventura veramente, dei brutti ricordi, ecco. Adesso è tutto bello. Vede, i giovani al giorno d’oggi, quando io parlo dico ai miei figli ma avanzi la roba tu non sai in tempo di guerra ‘eh, papa’ e mia moglie ‘ma sì sempre le stesse cose che dici hai detto mille volte’ ho detto. Vorrei far capire ai giovani cos’era ma bisogna, queste cose devono essere fatte sulla propria pelle.
Unknown inteviewer: Vissute!
PC: L’esperienza personale, l’esperienza degli altri non insegnano niente.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Pietro Cosma
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Pietro Cosma (b. 1927) remembers the bombings of Milan and recollects two wartime anecdotes: the execution of a man in front of his home and Benito Mussolini’s corpse on public display in Piazzale Loreto. Describes wartime hardships: losses; food shortages; sleeping in a roofless house under the rain. Comments on the difference between the received narrative on the resistance and what he eye-witnessed, stresses the number of eleventh-hour partisans, describes the shift in perception after the end of the conflict, and mentions the ambiguous attitude towards war remembrance. Recalls being accused by his fellow workers of being a fascist.
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:10:24 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Memoro#5868
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Milan
Italy--Po River Valley
Italy
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1945-04-28
1943-08
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Memoro. La banca della memoria
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
License
A legal document giving official permission to do something with the resource.
Royalty-free permission to publish
bombing
bombing of Milan (20 October 1944)
childhood in wartime
civil defence
home front
Mussolini, Benito (1883-1945)
Resistance
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/58/512/PVentrigliaA1701.1.jpg
bfff8346a07aca0c83b92ff630dc8c18
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/58/512/AVentrigliaA170507.1.mp3
484620c5029924c93333b11fe966a33b
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Ventriglia, Adriana
A Ventriglia
Description
An account of the resource
One oral history interview with Adriana Ventriglia (b. 1940) who recollects wartime experiences in Milan.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-05-07
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Ventriglia, A
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A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
ST: L’intervista è condotta per l’International Bomber Command Centre. L’intervistatrice è Sara Troglio. L’intervistata è Adriana Ventriglia. Nella stanza è presente Sara Buda e il marito della signora, Maurizio Ghiretti. Ha luogo in [omitted] a Milano. Oggi è il 7 maggio del 2017 alle ore 11. Signora Ventriglia, per iniziare io le chiederei un po’ com’era la sua famiglia, dove vivevate all’inizio della guerra.
AV: Certo. Beh, all’inizio della guerra eravamo, cosiddetti sfollati. Quando ci sono stati i primi bombardamenti, siamo sfollati nel Lodigiano, nella campagna del Lodigiano. Nel ’43, di quello non ricordo nulla. Io sono nata nel 1940, nell’ottobre, per cui sì, ricordo la campagna, ricordo un pochino la casa, ho dei flash, ma di bombardamenti non ricordo assolutamente niente. Ricordo invece quando poi siamo tornati a Milano dopo il ’43 e quando c’erano i bombardamenti noi eravamo in Via Bronzetti al 33. Eravamo mia madre, mio padre e le mie tre sorelle, io ero la piu piccola, quindi ero molto piccola, diciamo che avevo un massimo di cinque anni, che quando era finita la guerra avevo cinque anni. E non ho un ricordo di angoscia, di paura, forse perché ero molto piccola, forse perché i miei genitori hanno fatto di tutto per non trasmettermi la paura che sicuramente loro avevano, ma ho dei ricordi molto tranquilli di quel periodo. E quando, per esempio ricordo il Pippo, che era il famoso aereo da ricognizione che girava sopra Milano, e so che il Pippo, io non avevo ovviamente paura, ma so che il Pippo veniva guardato con preoccupazione. Per esempio, la mia sorella maggiore, Licinia, quando c’era il Pippo che sorvolava, andava nervosamente in balcone a mangiare, mamma diceva, pane e formaggio per la paura e per l’ansia. Io invece dei bombardamenti ho un ricordo quasi, non dico allegro, ma molto sereno, perché quando succedeva che dovevamo andare in cantina nel rifugio, mamma faceva vestire tutte quante e poi mi ha raccontato che vestiva mia sorella Cicci e Cicci, di notte, e Cicci si rispogliava un’altra volta e si metteva a letto e lei la doveva rivestire di nuovo. E mi prendeva sotto il braccio, non in braccio ma sotto proprio il braccio e mi portava giù per le scale, tutti quanti giù per le scale insieme ai vari abitanti della casa, tutti giù in cantina e giù in cantina si stava buoni e zitti. Della cantina ricordo molto bene l’odore di umidità e devo dire, tra, sa quel momento per me l’odore di umidità, non so come mai ma io l’ho sempre associato a qualcosa di simpatico. A me la cantina piaceva, forse perché era un diversivo, chissà mai no. Comunque, senso di angoscia mai, senso di pericolo mai. Io ho capito cos’era la guerra dopo, quando sono diventata più grande. Quando poi ho sentito che mia madre cercava dappertutto mia nonna, che era stata deportata e lei sperava ancora che tornasse. Sono cominciate le mie prime domande quando avevo sei anni. Prima assolutamente la guerra non, non mi hanno trasmesso i miei, sono stati capaci di non trasmettermi nessuna paura. Questi sono i ricordi che ho dei bombardamenti e direi che si chiude lì non ho, non ho altro.
ST: Se posso, come mai siete rientrati a Milano nel ’43?
AV: Era successo che mio padre, che noi eravamo a Ospedaletto Lodigiano, tutta la famiglia allargata perche noi famiglia eravamo, avevamo, mia madre aveva preso in affitto una, sopra una, piccolo appartamento sopra una trattoria ricordo bene il cortile c’era l’orto e invece mia nonna e anche mia zia erano andate vicinissime, cinquecento metri, ospiti in una cascina, avevano preso in affitto una stanza in una cascina. Mio padre, una volta la settimana, mio padre, che faceva l’archivista della Prefettura, una volta la settimana prendeva il treno e veniva a trovarci. Una volta c’è stato un mitragliamento dagli aerei e hanno mitragliato il treno, mio padre è rimasto ferito, mia madre gli è andata incontro con, lui l’avevano portato su un carretto perché allora c’era poco altro con la gamba ferita e da quel momento mia madre ha deciso che saremmo tornati tutti a. Siamo andati in Via Bronzetti 33 perché mia nonna nel frattempo era stata portata, perché eravamo venuti via tutti, mia nonna era stata portata da mio zio in, alla frontiera svizzera e l’avevano presa, lui quindi era tornato indietro tranquillo, tutti noi credevamo, pensavamo che la nonna fosse in Svizzera e quindi la mamma, poi in realtà la nonna il giorno dopo era stata rimandata fuori, poi è stata arrestata in treno e deportata ma. Quindi noi siamo andati nella casa della nonna, in Via Bronzetti 33 e, non so se questo c’entri tanto con il discorso dei bombardamenti ma io l’ho saputo vent’anni, trent’anni dopo che eravamo tornati indietro che la data era dopo il luglio, dopo la caduta del Fascismo e dopo la formazione della RSI, ma noi avremmo potuto essere stati tutti deportati, ma mia madre, siccome aveva fatto un matrimonio misto, senza conoscere la storia perché poi i particolari si sanno sempre dieci anni, vent’anni dopo, credeva di poter stare tranquilla perché lei aveva fatto matrimonio misto. In realtà [laughs] eravamo nella casa della nonna che è stata deportata e avremmo potuto essere stati tutti tranquillamente deportati, magari un po’ dopo perché matrimonio misto nelle leggi prevedeva intanto un atto successivo a quello del prendere anche le persone che avevano fatto matrimonio misto ma vabbè è stato un atto di pura incoscienza da parte di mia madre ma così è stato, è andata bene.
ST: Posso chiederle quindi la sua famiglia era composta, sua madre era quindi di origine ebraica?
AV: Mia madre era ebrea e mio padre era cattolico, era un buon cattolico napoletano e noi eravamo stati tutti battezzati, non subito, la mia prima sorella è stata battezzata dopo sei mesi ma poi via via siamo stati tutti battezzati. Quindi eravamo figli di matrimonio misto, battezzati. Quindi per la legge italiana c’era un certo tipo di legge, quindi saremmo stati non tanto noi figli non tanto sotto la legge perché eravamo stati battezzati alla nascita. Per le leggi tedesche il discorso era un po’ diverso.
ST: Posso chiederle se successivamente quando lei ha iniziato a crescere in famiglia si è riparlato della guerra, dei bombardamenti?
AV: Sì, altroché. Ci sono tutti i racconti della mia mamma, mio padre è morto nel ’54 e non ricordo racconti da parte sua. Però la mia mamma appunto raccontava, raccontava di come reagivano le mie sorelle. Il racconto della sorella maggiore che andava in balcone me l’ha fatto la mamma. Il racconto della prima sorella che si svestiva insonnolita perché non capiva perché dovesse vestirsi in piena notte, anche quello me l’ha raccontato mia madre. Ma direi che, il discorso dei bombardamenti forse era un discorso corale e non sento, non ricordo grande angoscia per quanto a proposito la nostra prima casa quella dove abitavamo nel ’40 quando siamo venuti via era stata bombardata, eravamo in via, vicino a Piazzale Susa, e infatti non non, quella casa non c’era più per quello che siamo andati poi nella casa della nonna. Ma, non, anche nei racconti di mia madre c’era qualcosa di superato, ma probabilmente perché il tutto è stato poi sovrastato invece, per molti anni, dall’angoscia della perdita della nonna, della mamma di mia mamma. La ricerca nei primi anni, sperando che tornasse, l'andare per le varie organizzazioni, scrivere, si parlava soprattutto di quello. Direi che io sono stata segnata più da questo che non dai bombardamenti. I bombardamenti erano una casa che avevamo vissuto tutti a Milano, per cui erano una specie di grande tempesta che era arrivata, l’avevamo passata tutti, qualcuno c’era rimasto sotto ma insomma non, ripeto non c’era angoscia in casa nostra per i bombardamenti. Tra l’altro allora, soltanto dopo ho percepito, ho fatto un po’ i calcoli, erano i bombardamenti degli alleati, non erano i bombardamenti dei tedeschi prima. E, anzi no nel ’43, sì nel ’43 erano gli alleati, certo certo. Ehm, che erano i nostri liberatori [laughs] per cui forse per questo non si protestava tanto.
ST: Quindi lei come bambina pensava a un bombardamento tedesco o non si dava spiegazioni?
AV: Da bambina, non c’era nemmeno il concetto di tedesco o di italiano, a cinque anni hai la famiglia, hai, non hai questo, forse in un’altra casa avrei potuto sentire le differenze, ma non, assolutamente no. Non, sono tutte, queste delle differenze, delle nazioni, sono tutte cose che ho sentito, ma che ho capito, non sentito, ho capito soltanto da adolescente, poi da adulta, prima assolutamente no.
ST: Si ricorda per caso durante i bombardamenti ad esempio, le sirene o comunque cosa succedeva?
AV: Ecco, quello che sapevo benissimo, giusto me l’ha fatto ricordare. Certo, le sirene le sentivo benissimo. E non solo, che andando in giro per la città, perché io andavo lì intorno, c’era, c’erano gli scantinati delle case, che avevano di fianco dei segni, grandi segni bianchi con delle grandi freccie bianche, che indicavano il rifugio, cioè in caso di bombardamento indicavano. Io anche allora sapevo che in caso di bombardamento era lì che si andava e questi segni sono rimasti poi per decenni sulle case, poi pian piano sono spariti, poi via via sono stati cancellati e al posto delle, di quelle finestrine basse che davano nelle cantine che c’erano nelle vecchie case, nelle nuove case non ci sono più, erano, son state messe poi le inferriate, poi tutto è stato dimenticato. Ma, certo le sirene me le ricordo bene io, certo.
ST: Ehm, lei si ricorda per caso, chi è che le aveva spiegato cosa bisognasse fare in caso di bombardamento, se…
AV: A me nessuno ha spiegato nulla perché ero piccola, ero protetta, ero molto protetta io. Ero la più piccola e quindi mi gestivano in caso di problemi. Non, io nulla sapevo, nessuno mi diceva niente, no, no.
ST: E si ricorda cosa facevate lei e le sue sorelle durante le ore che si passavano nel rifugio?
AV: Ho dei ricordi vaghi. Ricordo tante persone che si conoscevano tra di loro e non era neanche tanto buio, c’era un semibuio, forse una lampadina. Un po’ si chiacchierava, un po’ si taceva. Non ricordo di mio, poi ho saputo da altri racconti ma di mio non, non ricordo altre cose,se, cosa facessero, se qualcuno dormiva per esempio ma, sono cose che non ho, di cui non ho ricordo proprio. Ero piccola, cioè cinque anni. Di solito, beh oggi forse i bambini sono diversi perché cominciano prima ma allora i bambini erano molto, come dire, molto protetti dall’esterno, gli si raccontava molto poco, non aveva importanza di spiegargli le cose, dovevano fare quel che dicevano i genitori e basta, ecco, per cui. Poi le nozioni quindi non se ne hanno, si hanno solo delle impressioni, dei sentimenti, non molto altro.
ST: Quando, relativamente a quell’evento che raccontava di suo padre che venne mitragliato, che subì un mitragliamento al treno su cui stava viaggiando, anche di quello in famiglia come, rimase soltanto la paura di sua madre oppure ci fu anche un discorso attorno a quel fatto? Ci fu della rabbia, magari legata ai bombardamenti?
AV: No, non ricordo. Mia madre è rimasta molto spaventata ma non ricordo rabbia, ricordo molta paura. Mi ricordo quando la mamma a Ospedaletto Lodigiano era uscita, era andata a prendere il papà, ma era solo paura, non c’era rabbia. Devo dire che di rabbia nei confronti dei bombardamenti a casa mia non ne ho mai sentiti. Probabilmente proprio perché, ma è una mia ipotesi, venivano proprio percepiti da, come bombardamenti di qualcuno che ci veniva a liberare dai tedeschi. È possibile, però è una mia idea. Comunque sicuramente io non ricordo rabbia nei confronti dei bombardamenti, no.
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Title
A name given to the resource
Interview with Adriana Ventriglia
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Sara Troglio
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-05-07
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:15:50 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AVentrigliaA170507
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Po River Valley
Italy--Milan
Italy--Lodi
Italy
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1943
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Description
An account of the resource
Adriana Ventriglia remembers the bombings of Milan. She provides details about her evacuee life in the Lodi countryside and describes how her father was injured in a train strafing. Mentions her early life in a mixed family, the impact on anti-Semitic laws, and how her grandmother was deported, never to return. Recalls life under the bombs, civil defence precautions and the atmosphere inside a shelter. Stresses how her parents tried to spare her as much hardship as possible and describes war as a relatively care-free period. Mentions Pippo and describes how her sister tried to cope with its menacing presence.
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
African heritage
bombing
childhood in wartime
civil defence
evacuation
faith
fear
Holocaust
home front
perception of bombing war
Pippo
strafing
-
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Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
EP: Ok. L’intervista è condotta per l’International Bomber Command Centre. L’intervistatrice è Erica Picco. L’intervistato è il Signor Guido Dell’Era. Nella stanza è presente Sara Troglio. L’intervista ha luogo in [omitted] a Milano e oggi è il 25 febbraio e sono le undici del mattino. Possiamo cominciare. La prima domanda che le faccio, come si è detto, partiamo da prima della guerra.
GD: Si’
E le chiedo, cosa faceva lei prima della guerra? Studiava? Quanti anni aveva? Come organizzava la sua quotidianità? Quali erano le sue impressioni riguardo a quel periodo?
GD: Prima della guerra, io ero studente. Sono stato studente fino a diciott’anni. Diciott’anni fino quando ho preso il diploma di geometra conseguito presso l’istituto, dunque, Carlo Cattaneo di Piazza Vetra a Milano. Per raggiungere l’istituto dovevo prendere il tram su Viale Monza, la linea Milano-Monza, scendevo a Porta Venezia, da lì prendevo un altro tram per portarmi verso il centro di Milano. Questo è il percorso che facevo, e l’ho fatto per parecchi anni, finché avevo finito la scuola. Il periodo significativo, cioè che ricordo bene è stato il 25 aprile del 1943, quando è stato defenestrato Mussolini e anche lì bisognava vedere le reazioni del popolo. Ricordo la stazione centrale, c’erano due fasci enormi di bronzo, sono stati proprio abbattuti [emphasis] completamente, e si sentiva proprio l’odio verso Mussolini perché indubbiamente, tutti quanti nel giugno del ’40 sembrava che fossero osannanti Mussolini, ah meno male perché, ci sembrava che fosse un motivo logico perché i tedeschi stavano invadendo tutta l’Europa, ‘come mai Mussolini non entra? ah deve entrare’. Sapevamo tutti quanti, lo sapevamo noi che eravamo giovani, che parecchie armi erano finte. C’erano i carri armati di legno per scrivere agli atti. Quando Mussolini ha invitato Hitler in Italia e ha fatto vedere che erano carri carmati di legno, i cannoni di legno, cosa incredibile. Siamo, per cui siamo entrati in guerra nel modo peggiore, tutto perché c’è questa fretta di voler agganciare, agganciarsi ai tedeschi perché, se per caso i tedeschi avessero vinto, noi saremmo rimasti fuori, invece partecipando è stata poi la nostra rovina. E adesso, diceva, scusi?
EP: Le chiedevo appunto, prima della guerra.
GD: Ah, prima della guerra, sì, sì.
EP: Prima proprio dello scoppio.
GD: Appunto, facevo questo dopo scuola. Poi c’è stata l’interruzione nel giugno del ’44 quando mi avevano chiamato per andare a fare lavori agricoli leggeri in Germania. Per cui sono rimasto da quel momento senza tessera, senza niente, ero un isolato, un disertore praticamente perché non mi ero presentato alle armi. E c’era il pericolo effettivamente che se per caso avessero beccato un qualche volantino contro il Fascismo c’era la galera, tant’è vero che un mio compagno di scuola, delle elementari questo di Sesto San Giovanni, Renzo Del Riccio è stato fucilato nell’agosto del 1943, fucilato in Piazzale Loreto, perché Loreto è diventato così famoso in seguito prima di questo omicidio, di questo fatto eh [pause]. Dunque della Svizzera ho già raccontato mi sembra, no.
EP: Ci racconti ancora, ci racconti meglio.
GD: Ho tentato di entrare, ah sì, ero entrato già in Svizzera attraverso il valico ferrovie dello stato sceso a Bienzone un paesino che c’è in Valtellina ho valicato questo pezzo di non dico di Alpi, di montagne, sono arrivato nel, in Svizzera e mi ha colpito molto avendo qui abituati agli oscuramenti a vedere questa vallata tutta illuminata proprio mi ha colpito in un modo terribile perché di la non c’era la guerra di conseguenza bisognava tutto. Dopo due giorni ci hanno rimandato indietro perché non potevamo. Comunque con noi c’era una famiglia, una piccola famiglia costituita da padre, madre e questo bimbetto, si sono fatti cura gli svizzeri di telefonare a Zurigo dove viveva questa nonna, l’hann chiamata e hanno preso il bambino praticamente è rimasta la bambina. Di cinque persone, beh tre sono rimaste, due prigionieri russi che erano con noi, il bambino e noi due invece, noi tre siamo venuti indietro. Io ho potuto riprendere la scuola, mi ero rivolto al presidente, al preside della scuola, ho detto, guardi che io sono nato a febbraio però se lei mi fa un documento come risulta dalla carta da me falsificata, è stato molto gentile tra l’altro, è stato molto comprensivo, e ho potuto finire la scuola. In quel periodo mi ricordo che erano venuti anche a fare propaganda, addirittura c’era uno, me lo ricordo come se fosse ieri, piccoletto, grassoccio con i baffettini, che faceva propaganda per le SS italiane, pensate un po’ che roba. Perché purtroppo in Italia in quel momento lì c’erano quelli che andavano alle SS, quelli che andavano alla Muti, quelli che andavano alla Resiga, insomma [pause] e in questo frangente mi ricordo che.
Unknown person: Scusi, io vado signor Guido, ci vediamo dopo. La chiave è lì al solito posto.
GD: Va bene, grazie ciao. Scusate che mi fermo ogni tanto perché devo fare un po’ mente locale.
EP: Ci mancherebbe altro.
GD: Sono passati troppi anni. E poi, dunque, un momentino, quando ho detto che ho lavorato per due o tre anni in un impresa di costruzioni a Sesto San Giovanni poi mi sono fatto la domanda all’ENI. Combinazione stavano facendo un pezzo di gasdotto e io ho spostato dei materiali di che [unclear] da parte voi ma esistono su alla SNAM, la SNAM non si sapeva cos’era di preciso e allora cosa ho fatto ho presentato domanda in Corso Venezia 16 e mi hanno assunto. Andavano a vedere però se una persona era a posto, se era idee politiche o altro, questo lo guardavano eh, il servizio del personale della SNAM. Poi, non so, l’ho già detto, sono stato all’AGIP mineraria in via Gabba, poi via Gabba siamo, tornati, andati tutti a San Donato Milanese quando San Donato Milanese è diventato grosso quartiere non solamente residenziale ma anche di uffici, hanno fatto il primo palazzo uffici, secondo palazzo uffici, vabbè insomma sono arrivato là. Io sono andato in pensione nel milenovecento, cento, sai che non lo ricordo, beh trentacinque anni dopo, dal ’50 all’86.
EP: Vorrei riportarla al periodo appunto dello scoppio della guerra.
GD: Sì.
EP: Innanzitutto volevo capire meglio la sua famiglia, se era figlio unico, se ha altri fratelli.
GD: Sì, figlio unico.
EP: E in famiglia, l’avvento della guerra com’è stato vissuto, ne avete parlato a casa, come, come è stato vissuto?
GD: Mah, cosa vuole, allora non si poteva parlarne a casa, perché eravamo un po’ inquadrati tutti quanti, no. Beh, io sono stato Balilla, sono stato Avanguardista, tutte queste, marinaretto anche a Milano va bene comunque [laughs] e abbiamo seguito questo però Mussolini era un grande uomo finché è venuto fuori tutte le magagne che sono venute fuori. No, io ricordo per esempio che il primo, nel giugno, non so esattamente se il trenta quando, il primo allarme d’aereo ecco, il primo allarme è stato una cosa scioccante mi ricordo dormivo e c’era mia mamma che veniva a scrollarmi ero in sonno profondo, ero giovane e dice ‘Guido guarda che c’è il bombardamento, c’era l’allarme allora abbiamo incominciato ad assuefarci agli allarmi aerei c’era la prima sirena, la seconda sirena, il pericolo grave, il pericolo non grave, c’era tutto un sistema. Milano, ecco questo, era circondata da batterie di contraerea. Erano cannoni che ci hanno forniti i tedeschi perché anche noi [unclear] andavamo a prendere le inferriate delle case, come a casa mia per fonderli e fare l’acciaio, figurati un po’ che l’autarchia . E quando venivano gli aerei entravano in funzione le batterie e sparavano, sparavano non si sa. Sembrerà che ci fossero anche i tedeschi a aiutarci a usare le batterie. Ho saputo poi che gli aerei, i cannoni arrivavano fino a ottomila metri d’altezza e gli aerei cosa facevano, stavano su una quota superiore per cui non si prendevano mai. Infatti in tutto il periodo di guerra mi sembra che Milano abbia abbattuto tre aerei, tre aerei, pensate un po’. Quando, quando è arrivato, quando sono arrivati dal, sempre dal sud arrivavano, a bombardare Precotto, eh quello me lo ricordo bene, i bombardamenti di Precotto, eravamo io e mio padre sul terrazzo di casa, un po’ incoscienti vediamo cosa c’è, abbiamo visto in cielo un gruppo di aerei ma erano parecchi eh sembrava che, da sotto sparavano ma, mah, dico chissà cosa sono poi abbiamo sentito come il sibilo delle bombe che scendevano e le esplosioni perché per la prima bomba che noi abbiamo scoperto qui da noi era a chilometri di distanza davanti alla chiesa di Precotto era scoppiata la prima bomba. Eh niente c’era un tram, mi ricordo, un convoglio tramviario che era stato bloccato perché c’era l’allarme ma non solo ma perché era stata bombardata la strada. Allora cosa ho fatto io, come mia madre era andata non so per quale motivi in comune, allora io parto alla ricerca di mia madre, speriamo che non sia su questo tram che è stato colpito. E sono arrivato fino a Porta Venezia. A Porta Venezia c’erano ancora le, i baracconi delle fiere lì, tiro a segno, altre giostre, ed era lì che c’erano tutti, guardate cosa è successo, a due chilometri di distanza è stato un bombardamento orca miseria lo sapevo io portavano adesso con i telefonini si sa tutto quanto ma allora e dico guardate che è successo sta roba ma no e dico purtroppo è così allora a piedi torno poi mia madre era riuscita a venire a casa da sola, siamo venuti con dei miei amici siamo venuti a piedi. Ecco un’altra cosa per esempio quando c’era l’allarme a scuola maggior parte cercava di fuggire, di non andare nei rifugi [unclear] per venire a casa, perche’ insomma e facevamo a piedi dal Carlo Cattaneo, Piazza Vetra fino qui a casa. Quando si arrivava a casa arrivava, finiva l’allarme e arrivava il tram, questo è un particolare. Serviva a noi per fare un po’ di ginnastica. Ecco. Vabbè
PD: Permesso, buongiorno
EP: Buongiorno.
GD: Patrizia, Ciao, Patrizia. Mia figlia.
PD: Buongiorno.
EP: Piacere. Possiamo riprendere?
GD: Sì, se volete possiamo parlare anche semplicemente di fatti politici. Perché prima abbiamo parlato, no del momento la caduta di Mussolini è stata il 25 aprile del ’43 e anche lì sfogo della gente perché insomma. E mi ricordo a Porta Venezia c’era ancora uno con i fascetti lì [laughs] ma scusi ma cosa sta facendo lei e gli dico guardi che non c’è più Mussolini dovrebbe averli al contrario [laughs] quello si è preso, è scappato via di volata, vabbè. Ecco invece nel bombardamento di Precotto cosa visto una cosa gravissima, sembra che sia stato un errore logistico cioè anziché prendere le ferrovie dello stato hanno preso il Viale Monza e purtroppo ci sono stati duecento e rotti morti al Gorla. A Precotto invece è stata colpita anche lì la scuola di Precotto infatti c’è ancora la foto, l’ho fatta fare io quella targa ‘scuola bombardata il 20 ottobre del 1944’. I bambini che mi dispiace perché avrei detto a un mio amico se vuoi venire lì per l’intervista era un bambino d’allora [unclear] però insomma fatto sta che grazie alla partecipazione di questo Don Carlo Porro si chiama questo, è intervenuto e altri cittadini che erano li, avevano aiutato hanno passato l’inferriata della cantina e hanno fatto uscire tutti i bambini. Come sono usciti i bambini, è crollato il rifugio antiaereo, che poi momento rifugio antiaereo per modo di dire perché cos’erano delle travi di legno con dei puntelli sotto, no, non c’era niente di particolare. E tant’è vero che Don Carlo Porro è stato insignito della medaglia d’oro al valore civile. Ecco poi andando avanti nel, in questo percorso che facevamo, mi ha colpito una ragazza giovane stesa sul marciapiede. Come pure anche un cavallo, pensate un po’ che roba, quel cavallo ce lo siamo ripresi, ripresi io e un altro mio amico che combinazione era di guardia alla stazione di Greco e dice ma ti ricordi eh? Mi ricordo quel cavallo, poveretto, era squarciato, tant’è vero che l’hanno accoppato subito, per non farlo soffrire [pause]. Ecco, il Viale Monza era, era come, vediamo, può girare la pagina c’era in fondo, ecco Viale Monza era così, ecco linea tramviaria, il percorso andata e ritorno e gli alberi. Era uno spettacolo, in estate sembrava di entrare quasi in una cosa, nell’aria condizionata perché questi rami che si riunivano in cima perché erano alberi molto alti quelli che poi fra l’altro gli alberi sono stati rubati [emphasis] in tempo di guerra perché non c’era niente. Non c’era carbone, non c’era niente. Ogni tanto si prendevano la fune, sotto con l’accetta, rompevano e facevano cadere l’albero e poi saltavano addosso come tanti topi a rosicchiare [laughs]. Insomma allora non c’era proprio più niente.
EP: Mi racconti un po’ meglio com’era il quartiere, com’era organizzato, come conducevate la vostra vita di ragazzi a quell’epoca.
GD: Allora questa zona qui di Milano, da Precotto arrivava fino a Sesto, era tutti terreni agricoli. I terreni agricoli venivano coltivati da dei contadini che risiedevano a Precotto [unclear] perché c’erano delle famiglie intere che venivano qui al mattino, i cascinotti , venivano a lasciare gli animali, facevano i loro lavori e poi alla sera ripartivano questo su con il cavallo, con le cariole perché c’è sempre un chilometro di percorso eh da qui a Precotto. I terreni erano coltivati dunque innanzitutto c’erano i bachi da seta perché ciascuna famiglia aveva un po’ il reparto apposta per i bachi da seta che rendevano qualche cosa, li portavano a Monza dove c’era il, come si chiama lì, il ricupero dei bachi da seta perché il baco da seta era un insetto un po’ schifosetto ma però eh era produttivo eh difatti in Cina per esempio la seta che ha uno sviluppo mica da ridere. Poi l’altra parte dei terreni erano coltivati a verdure. Infatti mi ricordo che c’erano gli asparagi, addirittura, insalate varie e il venerdì sera venivano raccolte questa frutta nei cesti, venivano lavati nei fossi che erano abbastanza fornito bene perché era l’acqua del Villoresi, sai, il Villoresi che usciva da Sesto e veniva qui da noi, si dischiudeva fino a Precotto. Venivano lavate le verdure e venivano portati il sabato mattina al mercato di via Benedetto Marcello, Via Benedetto Marcelo è abbastanza vicino a noi, e allora col carro portavano e vendevano i loro ortaggi e poi rientravano la sera, era una giornata abbastanza. Poi, momentino, poi molta gente invece lavorava negli stabilimenti che sono qua nei dintorni, tant’è vero che la fermata che c’era qui da noi in fondo alla nostra via la chiamavano l’agraria perche la Breda faceva macchine agricole ai tempi, poi si è messa a fare i cannoni, le macchine per, immagina l’agraria. Per cui tra le varie fermate c’era Sesto San Giovanni, agraria, Villanuova, che era a metà strada, e Precotto. Poi nel, quando hanno cominciato i lavori della metropolitana, ecco questo è un altro particolare, quando hanno iniziato i lavori della metropolitana, che qui in fondo c’era la rimessa della metropolitana, hanno scoperto ancora un paio di bombe che erano inesplose e c’era un maresciallo Bizzarri che si chiamava del genio militare, che era comandato qui a Milano, io l’ho visto personalmente proprio, veniva con una sua camionetta di carabinieri, scendeva con la sua chiave inglese, col petrolio perché lubrificava la parte filacciata, si metteva a cavallo e con la chiave inglese girava, un lavoro pericolosissimo. Non so quante bombe ha disinnescato, probabilmente lo troverete da qualche parte questo maresciallo Bizzarri perché è un personaggio troppo importante. E finiva il suo lavoro e senza prendere nessuna precauzione. Noi eravamo ragazzotti ancora e quella volta lì che era venuto eravamo tutti in giro a vedere. Imprudenza, eh, perchè successivamente i lavori che hanno fatto successivamente di disinnesco, adesso chilometri e chilometri li lasciavano completamente liberi eh. Era pericolo.
EP: E il gruppo di voi ragazzi, eravate compagni di scuola dell’istituto geometri e ragionieri?
GD: Beh qualcuno sì. Sì ma erano gli operai figli di contadini no. A parte che noi eravamo in quattro gatti erano pochi bambini qua, a Percotto c’erano, qui da noi. Le palazzine erano state costruite nel ’28, ’29, ’30 per cui non c’erano grandi famiglie. Ecco stavo dicendo che hanno sviluppato, dai terreni agricoli sono diventati, io ho una cartolina tanto che tu lo scriva, hanno lottizzato e fatto dei terreni fabbricabili tant’è vero che su una cartolina c’è scritto ‘acqua, luce, gas e il tram ogni mezz’ora’. [laughs] Questa, la pubblicità di questa cartolina probabilmente c’è anche sul. Ecco, non, altro non. Ah momento, ecco si’.I ragazzi cosa facevano, andavano al naviglio a fare il bagno ecco, il naviglio era diventato una piscina . Oppure peggio ancora e pericoloso le cave, la cava di Precotto, la cava di Crescenzago venivano utilizzate dai ragazzi, da me in particolare, a fare il bagno ed era pericolo perché l’acqua fredda poteva anche creare qualche malessere, ah. Oppure si andava al Villoresi, ma il Villoresi era molto pericoloso perché aveva una velocità d’acqua abbastanza veloce, il Villoresi. Vediamo se c’è ancora qualcos’altro che, ah ecco. Più che i bombardamenti erano i mitragliamenti. Quasi tutti i giorni dalla fine del ’44 all’inizio del ’45 arrivavano due o tre cacciabombardieri da sud, io li vedevo da casa mia, viravano all’altezza dei campi qui di Precotto e si dirigevano verso le Ferrovie dello Stato e mitragliavano, probabilmente su segnalazione del controspionaggio che c’era. E si direbbe i due piloti, guardi era una cosa incredibile, li vedevi che scendevano d’altra parte non c’era più contraerea, quelli venivano giù tranquillamente e mitragliavano ed ogni tanto si sentivano sbuffare il vapore perche’ le caldaie perforate fatti per dire [unclear], ma guarda un po’, tant’è vero che poi sono stati, della resistenza sono stati fucilati tre ferrovieri che facevano parte dei comitati antifascisti.
EP: E durante i mitragliamenti, voi ragazzi cercavate di stare a guardare o vi mettevate al riparo?
GD: No, ma io e mio padre eravamo un po’ incoscienti restavamo sul terrazzo del, perché li vedevamo [unclear] e poi giravano, perché era un percorso fisso non c’era ecco un momentino il Viale Monza tra l’altro era sbarrato, era chiuso da due muraglioni, uno sulla destra, uno sulla sinistra in modo che i metri che dovevano fare, a parte che c’erano pochi metri, dovevano fare questa esse, questo percorso forzato e lì era di sentinella, c’erano dei militari prevalentemente fascisti erano questi e mi ricordo che una volta mi sembra che su quel, su questo qui c’è scritto, era il due o tre gennaio del ’45, credo, si son messi hann visto che arrivavano questi aerei così bassi, si sono messi di sotto a sparargli sopra quelli cosa hanno fatto? Hanno virato ancora e hanno cominciato a mitragliare Viale Monza, la guerra italiana, ah povero. E il 25 aprile poi è stato l’esplosione finale che è la caccia. Ma io ricordo per esempio che i tedeschi avevano tentato, non si sono arresi ai partigiani e hanno tentato di sfondare verso la Svizzera e infatti su Viale Monza vedevo [unclear] un sacco di mezzi dei tedeschi che andavano poi a un certo momentino hanno fatto marcia indietro e son tornati e sono andati in Piazzale Fiume dove c’era la sede principale della Wehrmacht. Ecco un altro particolare per esempio. In tempo di guerra tutte le filovie di Milano erano sparite, erano state depositate al parco di Monza su dei mattoni, su dei supporti perché le gomme le hanno portate via i tedeschi. Pensate un po’ la guerra cosa faceva. Andavamo a rubare, andavano a rubare le ruote delle filovie di Milano per usarle su. Ah rubavano anche le biciclette i tedeschi, eh, intendiamoci. Ultimamente erano abbastanza accaniti contro di noi. Forse avevano anche ragione perché noi li abbiamo traditi eh, i Tedeschi, proprio uguale..
EP: Io vorrei tornare un momento alla, a quando eravate a scuola. Prima accennava al fatto che arrivavano a fare propaganda a scuola.
GD: Sì, sì sì.
EP:Con che modalità cercavano di, insomma ?
GD: Ma io mi ricordo nell’atrio dove ci sono la tromba delle scale no, e c’era lì questo tizio qui vestito da SS. ‘Eh ma dovete se volete partecipare, ah no, volontari vi trattiamo bene’ ci lusingavano un po’ sul mangiare perché c’era poco da mangiare allora e mi ricordo che a un certo momentino nel pieno di questa propaganda qualcuno dall’ultimo piano ha buttato giù volantini antifascisti oh [laughs] lo spaghetto, lo spavento generale e quello si è trovato completamente spiazzato eh, stava facendo propaganda per andare eh, e hanno buttato giù i manifesti. C’è stato indubbiamente qualche testa calda perché il capo era pericoloso eh. Ah poi gli americani dicevano ‘noi bombardiamo perché voi italiani vi dovete ribellare ai tedeschi’ ma come si faceva a ribellare. Chi si faceva. Non avevamo nessuna arma. Mah! E poi quando c’è stato il 25 aprile c’erano, andavano a cercare di prendere beh hanno fermato anche i grossi gerarchi sul ponte di Orla adesso non mi ricordo i nomi quali erano che poi la maggior parte sono stati poi fucilati, eh. Beh, sul Lago Maggiore per esempio, la, credo che sia la famiglia Petacci mi sembra che li abbiano fucilati si buttavano nel lago e venivano presi di mira. E insomma, cose tremende. Eh, insomma. Comunque per carità la guerra.
EP: Quando è scoppiata la guerra, qual’è stato il più grande cambiamento che lei ha potuto vedere, cioè dal momento in cui appunto si discuteva di intervento, non intervento, cosa fare, c’era dibattito all’interno, tra di voi ragazzi magari?
GD: No, non c’era nessun dibattito il 10 giugno del ’40. Non c’era, eravamo tutti inquadrati. Successivamente, allora, sentivamo Radio Londra, sentivamo la Svizzera, quelli si sentiva. Io avevo una piccolo radio a galena che allora e sentivo appunto questi giornali radio che arrivavano dall’estero. Faceva anche piacere sentirli, perché speriamo che finisca [pause]. Mah!
EP: E nel ’44, quando c’è stata appunto la chiamata che c’accennava prima,
GD: Sì.
EP: cosa è successo alla classe, ai compagni di classe?
GD: Eh non lo so perché io poi ho ripreso andare a scuola nel, alla fine di ottobre, ho saltato qualche mese o due mesi. Quando sono andato dal preside che mi sono presentato il quale così così poi mi ha lasciato questa carta bollata e sono riuscito ad entrare. E niente, ci siamo visti, eh allora come va. Come quando per esempio adesso non ricordo esattamente l’anno, c’è stata la campagna contro gli ebrei, ecco. Diceva, ‘allora quest’anno, guardate che il compagno Finzi, il compagno Coen’, nomi tutti ebrei, ‘non saranno più in classe con voi perche sono stati dirottati verso la scuola’. Era una scuola verso il centro di Milano e sapevamo che erano stati invece portati, non portati via ma comunque ma facevano parte di questo gruppo di persone che erano malviste dal fascismo. Anche lì. [pause] Ecco quello che mi ricordo che qualche anno dopo, magari una decina d’anni, sono andato a vedere i miei compagni di scuola quali proprio avevo perso di vista e ho visto che la maggior parte, laureati tra l’altro eh, professor Coen, la Finzi, erano diventate delle personalità perché indubbiamente la cultura di quei ragazzi lì era molto superiore alla nostra, noi eravamo più bambocci.
EP: E sulle leggi razziali, appunto, si diceva qualcosa tra compagni, vi chiedevate che cosa stesse succedendo?
GD: Appunto non sapevamo per casa, non sapevamo che Finzi era ebreo, che Coen era ebreo, non lo sapevamo. Poi dai registri segnati si sapeva che, ma indubbiamente influiva negativamente su di noi ma per quale motivo, se c’era un motivo, uno non si rendeva conto per quale motivo veniva ritirato dalla scuola e portato da un’altra parte. Non è che ti dicessero ‘guardate, li portiamo là perché adesso sono ebrei, sono di religione contraria dalla nostra’. Tant’è vero che bisognava essere, non mi ricordo, si, ariani credo, no, infatti sui nostri documenti ti scrivevano addirittura ‘razza ariana’ [pause]. Che brutte cose.
EP: Riguardo ai rifugi antiaerei
GD [laughs]
EP: [laughs] lei ha avuto esperienza di immagino?
GD: Io ho avuto l’esperienza di Precotto, quando è stata bombardata la scuola. Il rifugio era fatti di puntelli di legno, poi al massimo c’erano delle travi che venivano con dei cunei, rinforzati. Però si direttamente com era successo a Gorla, non servono a niente. C’era qualche rifugio in fondo Via Brera poi lo stavano costruendo, ma è finito la guerra e il rifugio è rimasto ancora lì. Tant’è vero che è stato riutilizzato il ricovero da un mio amico architetto, il quale anzi l’ha comprato e li vendevano gratis e quasi perchè a lungo andare un blocco di cemento non so, due, tre metri di spessore, allora cosa ha fatto quello ha costruito sopra, così maggiore sicurezza [laughs]. Tant’è vero che c’è stata dopo un esplosione in quella casa perché c’era un tizio che caricava gli accendini nel sottoscala, è stata un esplosione, e la casa è rimasta su, fortunatamente. Per esempio anche, al centro di Milano, in Piazza, rifugio di Piazza del Duomo di Milano è stato costruito dalle imprese Morganti, le imprese che ci sono qua dietro, ma probabilmente non è neanche riuscito ad entrare in funzione, credo, bisogna andare a verificare le date. Perché siamo entrati impreparati, inutile fare tante storie. Lo stabilimento c’è la fatto c’è un rifugio anche quello qua dietro in Via Adriano esiste una specie di siluro che scende dove è stata fatta la Esselunga, ecco quello lì è un rifugio antiaereo. Allora devo dire adesso, figuriamoci. Ah sì, il proprietario lì è morto qualche anno fa mi sembra, l’ha tenuto come emblema della sua vita. Per cui non eravamo assolutamente preparati. [pause] Poi la pericolosità dei rifugi antiaerei perché se non c’era lo sbarramento, lo spostamento d’aria fanno crepare tutti quanti che sono dentro, eh. I muri molto sostenuti erano quelli della stazione centrale, perche lì indubbiamente ci sono i muri che sono. [pause] Insomma.
EP: E dentro i rifugi cosa facevate?
GD: Ah niente, c’è chi pregava, chi stava seduto, si portava le candele perché il giorno che manca l’energia elettrica o come frequentemente succedeva [pause]. Non so se c’è qualche altro episodio da raccontare, mah.
EP: Avevate paura?
GD: Eh beh certo ah.
EP: Come facevate per cercare di scongiurare la paura?
GD: Ma io ricordo per esempio che c’erano tutti i campi, come ho detto prima. Gli stessi operai della Marelli quando succedeva l’allarme correvano tutti nei campi si rifugiavano dentro i fossi che asciutti, no. C’era proprio la. Insomma siamo entrati in guerra impreparati [emphasis]. Sì però non vuol dire niente, anche se fossimo stati preparati la guerra è sempre una cosa che [pause] Ha annotato qualcos’altro?
EP: Volevo chiederle se la sua famiglia è stata coinvolta in qualche modo nella guerra. Se ha avuto dei parenti che sono partiti per il fronte.
GD: Beh, Qualcuno sì.
EP: Com’era vissuto in famiglia questo distacco?
GD: Non era qui, perche io sono, mio madre e mio padre, mio padre era di Milano, mia mamma di Agnadello, un paesino vicino appena fuori ,già in provincia di Cremona comunque, dove tra l’altro era la nostra cappella quando saremo morti andremo tutti li. Ma lì avevo avuto, mia mamma aveva avuto innanzitutto un fratello a ventun’anni è morto il giorno dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, pensate un po’ che roba. È morto all’ospedale di Chioggia, per ferite riportate. Poi c’era un altro parente che in Russia è sparito, un altro in Libia, anche lì avuto, tra dispersi e morti ce ne sono un po’ da tutte le parti. E poi ci sono quelli che sono morti in Germania, i deportati in Germania. Io avevo una signora, non so se la conosce, la signora Murri, l’avete conosciuta, perché questa signora racconta molto volentieri per quanto perché ha avuto il papà che è stato deportato in Germania ed è morto, è morto là. Deve sentire raccontare quando hanno, sono riusciti ad individuare il treno, i vagoni, perché i vagoni erano piombati, li inseguivano con questi vagoni non so fino a dove sono arrivati, e parlavano attraverso le pareti chiuse di questa gente. Questa è una cosa molto molto interessante. Tra l’altro lo racconta molto volentieri alle scuole, il suo passato molto molto duro. Abita qui vicino tra l’altro.
EP: E riguardo appunto la fine della guerra.
GD: Sì.
EP: Lei si ricorda quando è stato dato l’annuncio che la guerra stava finendo, era finita, che cosa aveva fatto voi?
GD: Eh, beh certo.
EP: Cosa avete fatto voi? Quali emozioni c’erano? Che tipo di reazione c’è stata?
GD: È stata un emozione generale perché la prima volta quando sembrava che l’8 settembre del ’43 fosse finita la guerra perché lì, si era sentito il marescaglio Badoglio, ‘le nostre truppe reagiranno da qualsiasi parte provenga’, ma cosa vuol dire, tu invece di, ti metti li a sparare ai tedeschi, a parte che un è atto non giusto tra l’altro e tutta la gente in mezzo alla strada è finita la guerra, ah bene l’abbiam preso con un sollievo enorme perché. La stessa impressione che ho avuto io quando sono andato in Svizzera a vedere i viali illuminati e qui invece invece l’oscuramento. C’era addirittura un aereo che lo chiamavano Pippo che di notte veniva a mitragliare o a lanciare le bombette le case che erano illuminate, pensate un po’ che roba. Ma non abbiamo mai saputo se erano italiani oppure no, probabilmente erano italiani. Pippo l’avete sentito nominare anche voi? [laughs] E c’erano i fabbricati, i capi fabbricato, ogni zona aveva il proprio capo fabbricato, il quale veniva a dire se il rifugio era a posto, cosa veniva, i rifugi a posto. Sì i puntelli, vabbè. Certo che se la bomba ti arriva lì dentro non c’era niente da fare, non c’era niente.
EP: E cosa pensavate voi ragazzi di chi stava bombardando, all’epoca?
GD: Quello che si pensava. Se eravamo a scuola, cercavamo di uscire senza andare nel rifugio della scuola e incamminarci a piedi per arrivare a casa. Si sentiva proprio il desiderio di raggiungere la propria casa. Perché la casa sembrava che, raggiungendo la casa, basta siamo a posto. Il senso della casa era incredibile [pause].
EP: E ripensare oggi a quegli eventi, ripensare a chi bombardava, alle, diciamo, vicessitudini politiche della guerra, che opinione ne ha adesso, a distanza di tempo?
GD: Sui delitti politici, dice?
EP: Sulla situazione che proprio era del periodo di guerra, di chi bombardava, che opinione le è rimasta?
GD: Ah, beh, certo ricordo per esempio tutte le case che venivano bombardate, c’era scritto no, ‘casa distrutta dagli anglo-assassini’, anglo-assassini proprio, ma a caratteri cubitali. E però siamo noi che li abbiamo provocati, eh. [pause] Poi le informazioni non è che giravano come adesso, adesso l’informazione se succede un fatto, , non so, Porta Ticinese, si sa subito, allora si sapeva, mah sembra che abbia fatto, aveva bombardato, non so, una certa zona di Milano. Comunque abbiamo fatto cinque anni infiniti, noi abbiamo passato la nostra gioventù in tempo di guerra. Tra l’altro bisognava stare attenti a chi uscire di sera, non si poteva, c’era il coprifuoco. Ci si muoveva tutto così di nascosto, io avevo un amico qui al confine con Sesto e uscivamo di sera di nascosto, cercando di non farsi vedere da nessuno perché c’era sempre il pericolo di trovarsi o arrestato o pigliare qualche pallottata, qualche pallottola di arma da fuoco. [pause] Qualche, io ho sentito qualche, avevamo un inquilino che era reduce dalla Russia, anche lì è stata una cosa tremenda, a piedi, non so quanti chilometri, facevano tra i tutti, tutti quanti cercavano di arrivare in Italia. Un’altra sensazione quando sono arrivati i prigionieri dalla Germania per esempio. Sono arrivati i prigionieri, [pause] la gente che non si sapeva, allora c’era la corrsispondenza erano distribuiti ai militari dicevano ‘oh è arrivata posta oggi’, tutto, la, cartoline no. E io mi ricordo la corrispondenza con mio cugino che era in Iugoslavia, ecco anche lì, che poi ti sparavano, anche di là ti sparavano, mo’ [pause]
EP: Va bene, Signor Dell’Era, io la ringrazio moltissimo del contributo.
GD: Se c’è ancora qualcos’altro ma non, penso proprio di no. [pause] Certo che a pensare la guerra è la cosa peggiore che possa mettere al mondo un uomo, un politico, oh, per carità, lasciamo stare. Ma il fascismo si era comportato bene fino alla fine della guerra. Noi eravamo inquadrati, facevamo i Balilla, facevamo gli Avanguardisti, facevamo, c’era disciplina, ordine, c’era amor di patria , tutto quanto, in apparenza almeno. [pause] Nella nostra zona abitava, ha abitato, oh madonna come si chiama quello lì, Bertinotti, abitava nella via vicino a noi, come si chiama. Poi c’è stato fino alla guerra, c’era Vanoni che era venuto qui a fare una visita a Precotto, non so per quale motivo e giocava, e ha giocato a carte, a carte che non si poteva neanche, in una osteria di Precotto, e lì è stato, non so forse l’ha preso Scala nel suo, ci deve essere, non avevo Vanoni, che gioca a carte, che non si poteva. Invece, Io invece ero a scuola invece con Cossutta, ecco anche lì la [unclear] della gente. Cossutta era un fascistello eh. Quando andava a scuola allo Zucchi di Monza, teneva concerto, teneva il filo lui, ah che, aveva gli stivaletti scuri, perché faceva parte dei piccoli gerarchi fascisti. Poi cos’ha fatto, ribaltato, è diventato il più grande comunista d’italia, anche lì. E’ morto poco tempo fa. La metamorfosi della gente. I politici fanno presto a cambiare idea, eh, e’ difficile che siano coerenti tra di loro.
Allora di questo libro qui posso darglielo, va bene? Questo è importante. Qui c’è tutto eh, c’è scritto tutto di equipaggi, tipo di aereo, la formazione, la provenienza, per cui.
EP: Grazie mille.
GD: Niente.
EP: Grazie dei preziosi materiali e della sua testimonianza.
GD: Eh no, se posso essere utile, qualcosa.
EP: Lo sa. Grazie.
GD: Niente, di niente.
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Title
A name given to the resource
Interview with Guido Dell’Era
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Guido Dell’Era recollects daily life in wartime Milan, stressing inadequate war preparation. Describes a disciplined, regimented society which later turned to disillusionment. Recollects the declaration of war, the fall of the fascist regime and the end of the conflict. Contrasts with the situation in Switzerland, emphasising the lack of wartime black-out precautions there. Describes the 20 October 1944 bombing, its effects on the Gorla and Precotto primary schools, and his own role in the subsequent memorialisation of the event. Stresses the ineffectiveness of anti-aircraft fire, the different shelters and what life was like inside them. Mentions the impact of racial laws on his schoolmates. Recalls memories of Italian military internees in Germany. Describes wartime life: execution of partisans, pastimes of children, strafing of marshalling yards, antifascist propaganda, SS recruitment, graffiti on bombed buildings, bomb disposal units, Pippo, and curfew. Mentions fascists who changed camp after the war ended and became active public figures in other political parties. Describes briefly his post-war life working for oil and mining companies.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Erica Picco
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-02-25
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:50:44 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Po River Valley
Italy--Milan
Switzerland--Zurich
Italy
Switzerland
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1944-08-10
1943-09-08
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ADell'EraG170225
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
animal
anti-aircraft fire
anti-Semitism
bomb disposal
bombing
bombing of Milan (20 October 1944)
childhood in wartime
civil defence
home front
Pippo
propaganda
strafing
Waffen-SS
-
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Title
A name given to the resource
Buffadossi, Marialuigia
M Buffadossi
Description
An account of the resource
One oral history interview with Marialuigia Buffadossi (b. 1925) who recollects her wartime experiences in Milan and in the Lake Como area.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Buffadossi, M
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-05-28
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
ZG: È partito.
SB: Ok. Allora, l’intervista è condotta per l’International Bomber Command Centre. L’intervistatore è Sara Buda. L’intervistata è la signora Marialuigia Buffadossi. Nella stanza sono presenti la sorella Annunciata Buffadossi, la signora Nava Spizzichino, amica, e Zeno Gaiaschi dell’Associazione Lapsus. L’intervista ha luogo in [omitted] presso la parrocchia omonima. Oggi è il 28 maggio 2017. Siamo a Milano. Dunque, cominciamo da prima della guerra, giusto per capire un attimo qual’era il suo mondo. Ci racconta un pochino, appunto, come era composta la sua famiglia, che cosa facevano i suoi genitori, e poi appunto ci dice anche quando è nata lei.
MB: Io sono nata il 19 ottobre del ’25. Mio padre lavorava come muratore presso una ditta, una ditta milanese, eravamo poveri e mia madre era casalinga, faceva, cuciva camicette, allora si usava cucire per certe ditte camicette, così e lei guadagnava qualche cosa in questo senso. Io lavoravo, no io lavoravo, io ho fatto le scuole elementari presso la, abitavo, allora abitavo in via Confalonieri 11.
SB: A Milano.
MB: A Milano. Purtroppo era una casa, la chiamavano la casa di sass, perché era una casa storica. L’ambiente era l’ambiente di operai. Poi avevamo nel cortile due persone che passavano per ladri abituali, però io andavo tanto tranquilla, mi trovavo, andavo spesso perché ero, non dico non molto religiosa ma frequentavo l’ambiente religioso. La mia parrocchia era Santa Maria alla Fontana, molto distante da Via Confalonieri perché molto distante. Ma io la mattina mi ricordo che andavo alle sette meno un quarto in parrocchia e non avevo paura assolutamente, andavo tranquilla. Io ho fatto le elementari e poi quando avevo, dopo cinque anni delle elementari bisognava fare l’esame di ammissione e sono stata ammessa alle scuole magistrali inferiori perché il mio desiderio è sempre stato di fare la maestra, ma purtroppo i miei non potevano mantenermi a studi così pesanti perché allora l’ordinamento era quattro inferiori e tre superiori. Hanno potuto fare, farmi fsare il corso magistrali inferiori che io ho finito, dunque ho finito nel 1940, nel 1940, ecco. Poi ho trovato un posto da un avvocato che aveva quasi promesso ai miei che mi avrebbe fatto studiare. Ma insomma anche lui era un avvocato civilista e anche lui non era tanto un avvocato di grido. Questo avvvocato però aveva la moglie che era figlia dei, adesso non ricordo più come si chiamano, era di San Marino la moglie, e quindi lei spesso andava a San Marino e lui faceva le pratiche perché allora di divorzio non se ne parlava neanche, faceva le pratiche perché a San Marino potevano avere il divorzio insomma. Il mio avvocato era bravo perché diceva:’se lei’, io facevo la stenografa, la stenografa un po’ così, ‘se lei non capisce una parola, me lo chieda che io non guardo il suo vocabolario, gliela spiego io’, insomma. E la moglie poi mi voleva un bene immenso, immenso [emphais]. Ecco, questo è tutto. Io quando ero impiegata dall’avvocato ero in Via Podgora che era vicino al tribunale. Loro d’estate andavano via e io rimanevo lì da sola. Avevo una paura santissima perché a quindici anni stare da sola, però insomma stavo ecco, perché avevo la fortuna di aver trovato il posto. Inizlamente non mi aveva messo a posto con le marche, ma poi mi ha messo a posto con le marche, le marche con l’INPS, perché. E siamo arrivati nel ’43. Nel ’43 una mia amica mi ha proposto di entrare in banca perché era all’ufficio del personale e allora nel febbraio del ’43 mi ha fatto fare la domanda e mi hanno preso al Credito Italiano dove io ero all’ufficio del personale quindi in una posizione di privilegio diciamo.
ZG: [unclear]
MB: Nel ’43 siamo stati un po’, qualche tempo, mi hanno assunto, mi ricordo, alla fine del mese di febbraio quindi non hanno neanche aspettato neanche un momento insomma, neanche il primo di marzo, sono stata assunta il 22 di febbraio mi ricordo e poi la banca, siccome c’erano i bombardamenti molto pesanti qui a Milano, la banca ha fatto sfollare il suo personale a Cernobbio vicino nella, in una, si chiama, no filanda, in un, alla Bernasconi insomma che era una, praticamente, uno stabilimento tessile e io sono rimasta lì, non mi ricordo bene, ma insomma sono rimasta lì parecchio. Sono sicura che sono, avevo diciassette anni quando sono entrata in banca ma sono rimasta lì fino almeno un anno, un anno e rotti. E mi ricordo che, quando ho compiuto diciotto anni, andavamo a mangiare in un albergo, prendavamo mi pare 32 Lire di trasferta perciò era una vita meravigliosa, guadagnavo più di mio padre perché insomma prendevo la trasferta. E siamo andati a mangiare e mi ricordo che il mio, il capo ufficio mi ha offerto lo spumante. Quindi noi, effettivamente io stavo bene, stavo bene perché l’unica cosa era il pensiero che i miei fossero a Milano coi bombardamenti. Quando ero dall’avvocato mi ricordo che c’era la, c’era uno, lo chiamavano Pippo, quando io tornavo, bombardava Milano, quando io tornavo alla sera insomma ero spaventata perché Pippo avrebbe agito in modo, io mi ricordo che il Pippo ha agito, non sono certa se era il Pippo ma ha agito un giorno, era il 28 di ottobre, mi pare che sia San Fortunato, ha agito nella mia parrocchia di allora. E mi ricordo che la sera abbiamo sentito il bombardamento, siamo andati a vedere, c’era tutta la porta che fiammeggiava perché era stata colpita. Ecco, poi non mi ricordo bene quando siamo tornati, tornati a Milano. Ad ogni modo è stato un periodo per me che, insomma ero una ragazzina, guadagnavo bene e non è stato un periodo di sofferenza, ecco diciamo. Questo, poi nel ’45, quando c’è stata la liberazione, noi eravamo, sì, io ero ritornata a Milano e mi ricordo quando Mussolini è stato dall’arcivescovo di Milano e, perché praticamente la resa è stata fatta nell’arcivescovado e poi mi ricordo che, quando Mussolini è stato, io non l’ho visto eh, dico la verità perché non sono andata in Piazzale Loreto, invece una mia amica è andata in Piazzale Loreto, ha visto quel, insomma, quello sfacelo, in cui si è verificato la resa del, la resa dei fascisti il giorno della liberazione, insomma, e quando Mussolini è stato attaccato per le gambe eh, in Piazzale Loreto. Ecco, questo è. Io non ho avuto un periodo di sofferenza. Ah, mio padre tra l’altro era capo fabbricato del nostro condominio e la notte quando i primi tempi prima di andare in banca, di notte suonava l’allarme mia mamma non era una che si spaventava e spesso stavamo lì sopra. Noi abitavamo al quarto piano, però quando scendavamo, andavamo in cantina, allora non, era una cantina normale, eh sì insomma, non subivo tante pressioni perché mia mamma non era eh una che ci spaventava. Questi sono i ricordi che ho. Ah poi, quando ero in banca, scendavamo in, nel caveau diciamo e io non ero mai contenta perché avevo il tempo, perché poi mi sono messa a fare privatamente la preparazione alle magistrali superiori, non ero mai contenta perché avevo la possibilità di studiare durante la giornata ecco. Questo, sarà anche una colpa ma insomma io sono riuscita nel 40, poi ho finito nel ’47, nel ’47 mi sono diplomata perché una mia amica che, una mia compagna di scuola delle magistrali, delle magistrali inferiori, era molto intelligente e lei è riuscita a fare l’ordine di studi e mi preparava in matematica dove io ero proprio malandata, matematica e latino. Insomma nel ’47 è vero che ho fatto un periodo dove la guerra era già finita ma insomma sono riuscita a diplomarmi. Questo mi è stato di vantaggio per. Ah, andavo, mi ricordo che andavo da questa migliore amica che mi aveva fatto andare in banca, andavamo alla sera studiare gli ultimi tempi, insomma siamo riusciti aiutandoci a vicenda, siao diventate maestre tutte e due. Però poi abbiamo fatto i concorsi ma naturalmente ai concorsi non abbiamo concluso niente perché io nel concorso ero arrivata a 31 e, insomma, ero, mi mancava uno 0,10 per poter avere la media del sette e quindi non potevo lasciare un posto in banca dove guadagnavo bene per andare a fare la maestra e così sono rimasta in banca 35 anni e, guadagnando bene ma non realizzando i miei sogni perché io sognavo solo di fare la maestra. Quando sono uscita dalla banca, allora mi sono iscritta all’università e ho finito all’università per vent’anni, magnificamente bene. Ecco, questo è la storia della, non ho avuto una vita difficile, devo dire la verità, però insomma, questo è tutto.
SB: Beh allora inizio a parlare io e le faccio delle domande [laughs]. Ecco, allora, io vorrei ripercorrere un attimo insomma dall’inizio, no.
MB: Sì.
SB: Vorrei capire quindi. Quando è scoppiata la guerra, lei aveva quindici anni, giusto?
MB: Sì.
SB: Ehm, e lavorava digià.
MB: Lavoravo digià perché sono, eh sì, nel ’40 mi ha preso l’avvocato.
AB: Sì mah.
MB: Sì, sì.
SB: Lei si ricorda, nel senso, il suo primo ricordo di guerra, appunto, che fosse effettivamente avere visto qualche cosa, oppure aver sentito parlare qualcuno, risale, lei si ricorda se appunto era ancora una studentessa oppure lavorava? Chi gliene ha parlato per primo? Lei come ha scoperto che stava iniziando la guerra?
MB: Eh, si sentiva, lo dicevano per radio. Lo dicevano per radio quando Mussolini ha dichiarato l’entrata in guerra, doveva essere in giugno mi pare. Doveva essere in giugno e si è sentito per radio, per radio s’è sentito. Sì, quello non mi ricordo, non mi ricordo bene ma l’ho sentito per radio.
SB: E dopo di quell’appunto cosa è successo? Qualcuno le ha spiegato, i suoi genitori le hanno spiegato che cosa sarebbe successo?
MB: No, mi ricordo che mio padre, quando avevo sei, sei, sette anni, mi ricordo di questo: ’scrivi bene il nome di Duce, scrivi bene il nome di Duce!’ [emphasises], ecco quello mi ricordo bene. Della guerra non mi ricordo come mi hanno spiegato, non mi ricordo.
SB: Ma qualcuno le ha spiegato qualcosa, come ci si doveva comportare, che cosa sarebbe cambiato?
MB: No.
SB: No.
MB: No, no, non mi ricordo.
AB: Sono cominciate le tessere oltre tutto, le tessere per prendere il mangiare.
MB: Non mi ricordo. Sapevo, insomma, sapevo che cosa sarebbe successo nel senso, ero preoccupata per i bombardamenti appunto, per questo Pippo che, dicevano che avrebbe bombardato Milano e mi ricordo che, quando uscivo la sera dalla, perché l’orario era pesantuccio, quando uscivo dall’avvocato, dalla casa dell’avvocato, insomma avevo paura che durante la notte ci fosse un bombardamento, ecco. Quello. Ma non mi ricordo.
SB: E quindi nel ’40 però lei, insomma quando è iniziata la guerra lei ha continuato a lavorare.
MB: Sì sì sì, ho continuato a lavorare.
SB: E diceva che rimaneva da sola in questo ufficio.
MB: Sì sì, rimanevo da sola, sì sì, rimanevo da sola. Da sola nel periodo estivo perché i datori di lavoro andavano, andavano in vacanza, specialmente in agosto. Lui andava, andava sempre, io ero presente, insomma stavo nello studio ecco, nello studio.
SB: E ha mai pensato appunto alla sua condizione, lì da sola, che cosa avrebbe fatto se fosse successo qualche cosa? Ha mai pensato che potesse avvenire un bombardamento mentre lei era lì?
MB: No, non mi ricordo. Non mi ricordo. Avevo paura a stare lì da sola insomma ma, però non mi ricordo.
SB: E quindi poi, ehm, è andata in banca nel ’43.
MB: Sì.
SB: Prima del ’43 non si ricorda qualcosa di particolare rispetto eh
MB: Prima del ’43 mi ricordo quando hanno bruciato la chiesa e poi...
AB: Le tessere che ti aveva dato la tua...
MB: Ah, la mia, la mia, la moglie del mio ehm avvocato mi dava le tessere annonarie, perché lei andando giù aveva possibilità, andando giù a San Marino e lei non consumava le tessere, per me era manna, le tessere annonarie allora erano considerate sì, mi ricordo che mi dava le tessere annonarie, al suo posto. Non mi ricordo altro. Non mi ricordo altro. Le dico, no, non mi ricordo.
SB: Quindi in quel periodo però viveva ancora con i suoi genitori, in via Confalonieri.
MB: Sì, sì, ma io sono sempre vissuta con i miei genitori. Sì vivevo, io sono sempre vissuta con i miei genitori. E ho anche un fratello e una sorella, che ha sette anni meno di me e mi ricordo che mia sorella era venuta a trovarmi a Cernobbio e mi ricordo che abbiamo fatto il lungolago e io le spiegavo che da Cernobbio, da Cernobbio eravamo preoccupati, eravamo preoccupati,
I: Dell’ora,
MB: Poi
I: Ti ricordi l’ora, quando c’era un’ora differente perché
MB: Ah sì. C’era l’ora
I: In avanti, erano [unclear]
MB: C’era l’ora legale, adesso la storia dell’ora, c’era sempre la differenza di un’ora.
I: Perché la Svizzera aveva un’ora, aveva l’ora legale, noi invece avevamo l’ora solare. E io mi ricordo, e glielo avevo fatto presente a lei, che non, forse non aveva realizzato, e mi aveva fatto fare il tema, ti ricordi?
MB: Ecco, lei aveva fatto un tema su questa storia dell’ora, del cambiamento dell’ora
I: Sul viaggio che e avevo notato la differenza tra, tra noi e loro che erano sulla riva del lago erano nelle vicinanze della, della Svizzera.
MB: Poi Un’altra cosa mi ricordo. Che quando studiavo, che quando studiavo, preparavo alle magistrali superiori, per guadagnare tempo, io, io avevo soldi perché guadagnavo e le davo una lira ogni pagina di appunti che lei mi copiava.
I: Sì.
MB: Sì, ecco, quello me lo ricordo. Perché insomma, io stavo, come soldi stavo bene nel periodo di guerra.
SB: E senta, quindi ehm, poi nel ’43 lei è andata via. No, scusi, nel ’43 è entrata in banca.
MB: No, in banca e poi sono stata sfollata con la banca.
SB: E come, come hanno gestito questa cosa? Come ve l’hanno comunicata?
MB: Ah, ce l’hanno comunicata che saremmo andati, saremmo sfollati con la banca e ci davano le 32 Lire come sulla trasferta. No, noi in quel periodo lì, c’erano le mie colleghe che addirittura a mezzogiorno andavano in barca a fare il pranzo e ce n’era una poi che è diventata la mia capa, che lei andava, no. Per noi in tempo di guerra, sfollati con la banca è stato un periodo che insomma andavamo bene, ecco.
SB: E siccome appunto non, non è certo che tutti sappiano, questa trasferta, ci può spiegare esattamente che cos’era? Come funzionava?
MB: E la trasferte
SB: Voi partivate al mattino?
MB: No, noi
SB: O stavate?
MB: Stavo là.
SB: Quindi avevate un alloggio lì?
MB: Avevamo un alloggio e mi ricordo anche che inizialmente eravamo, eravamo dalle suore a Como, dalle suore di Como e poi ci siamo trasferite, io mi sono trasferita con, sì, con questa mia amica a Cernobbio e siamo andati nella casa di uno chef dell’Hotel, della Villa, dell’Hotel, orpo
I: La Villa d’Este. La Villa d’Este.
MB: della Villa.
I: D’Este.
MB: della Villa D’este. E mi ricordo che avevamo addirittura appese alle pareti le cose egiziane.
I: Gli arazzi.
MB: le cose egiziane, era una cosa, cose egiziane e lì stavamo, andavamo a mangiare nell’Hotel della banca, nella banca, in un albergo segnalatoci dalla banca e a dormire da questi, da questi, da questi che avevano la famiglia e lui era lo chef della Villa D’Este e avevamo tutte le, pareti tappezzate dai, ecco. Quindi io non posso dire che in tempo di guerra sono stata male, stavo, stavo anche bene, però insomma. Poi cosa gliene devo dire. Niente.
SB: Ma quindi senta, questa trasferta che lei chiama così, ehm, fondamentalmente era un sussidio.
MB: Sì era un sussidio che la banca dava perché avevamo lo svantaggio di essere, di essere sfollati. Quindi, siccome il posto in banca era, era un posto bello, diciamo poi era l’ufficio del personale e quindi insomma era un sussidio. Era un sussidio, era la trasferta perché noi non stavamo, mi ricordo che erano 32 euro [sic], era l’America. Per me è stato un periodo non pesante, non pesante, guarda.
SB: E se posso permettermi, siccome appunto per noi tutte queste cose richiamano neanche delle memorie. Noi la lira ancora abbiamo difficoltà. Rispetto a una paga diciamo base, queste 32 lire come pesavano?
MB: Eh, oh, dunque, io prendevo 500, ehm, 500 lire al mese. Anzi quando l’avvocato, quando ho avuto il posto in banca ho detto all’avvocato che mi avrebbero dato 500 lire al mese e lui mi ha detto: ‘gliele do anch’io’ e io ho detto: ‘eh no, però, anche se lei mi da le 500 lire, io preferisco il posto in banca che poi aumenteranno’ e lui invece mi poteva, con sforzo perché son convinta con sforzo dare le 500 lire. Dopo, 500 lire come stipendio e poi 32 lire di trasferta, insomma noi andavamo bene.
SB: E quindi, voi però pagavate un affitto a Cernobbio.
MB: Eh sì, a Cernobbio pagavamo l’affitto e c’è stata una questione perché non ci volevano dare, dare l’appartamento quindi ci siamo trovate in un certo momento che eravamo in difficoltà perché le suore ci avrebbero tenuto ma però a Cernobbio eravamo molto più comode eh perché non avevamo la strada come a Cernobbio. Sì, sì. Insomma. Sa, a diciotto anni avere una libertà così, avere i soldi a disposizione, eh insomma, non era male eh, non era. Son stata una di quelle fortunate perché insomma a diciotto anni. Mi ricordo che ho fatto il compleanno e il mio capo mi ha, mi ha offerto lo champagne, che sarà stato Moscato, così, ma insomma era importante.
SB: E senta, c’erano molti sfollati dove stava lei?
MB: Dove stavo io a...
SB: Si a quando appunto stava dalle suore che poi...
MB: Quando stavo dalle suore, sì, ah tra l’altro dalle suore c’erano, c’era anche le figlie dei funzionari, di qualche funzionario di banca perché erano vicine, più vicine alla famiglia. Sì c’erano, c’era gente sfollata, sì sì. C’era gente sfollata, sì. Sì, c’era gente sfollata ma io ero una di quelle sfollate d’oro perché insomma stavo bene ecco. Non ho avuto problemi, io la guerra nella realtà non l’ho sentita come, non l’ho sentita tanto perché insomma era un periodo d’oro. Abituata a essere figlia, figlia di, mio padre faceva il muratore quindi guadagnava, poi è passato al comune di Milano ma guadagnava poco perché al comune di Milano allora pagava poco. Mi ricordo che, pagava poco, ha preso di più quando è andato in pensione che, quando è andato in pensione prendeva una pensione da non dire, vero?
I: Sì, prendeva di più di quando lavorava.
MG: Eh allora insomma. Eravamo gente povera.
SB: Ma quindi senta lei è stata per un periodo importante lontana dalla famiglia.
MG: Sì.
SB: E questa cosa come, come l’ha vissuta la sua famiglia?
MG: No direi che mi ha fortificato. Mi ha fortificato e il vantaggio ce l’ho adesso. Ce l’ho adesso che sono vecchia che riesco a cavarmela, a cavarmela, malata come sono, riesco a cavarmela e ancora a dirigermi da sola perché sono
I: Indipendente
MG: Ecco. No, a dirigermi da sola. Quindi il vantaggio di quel periodo mi ritorna, mi ritorna adesso ecco perché non so convincermi di dover andare [unclear], per esempio sono allergico alle badanti eh. Diciamo la verità.
SB: Molto indipendente.
MG: Sì, sono, sì, sono
SB: Da sempre.
MG: Ho il senso dell’indipendenza oggi come oggi è sbagliato perché insomma ci si deve convincere che..
SB: Ancora tornando un attimino indietro perché ci sono delle cose che mi hanno interessato molto del suo racconto. Intanto, lei ha detto appunto che lavorava in questo ufficio dell’avvocato e stava lì da sola. Ed era già il ’40. E lei diceva oltrettutto che faceva degli orari che andavano in là la sera.
MG: Eh sì, mi pare che finivamo la sera, finivamo alle sette, mi pare.
SB: Come faceva poi a tornare a casa? C’era il coprifuoco, non c’era il coprifuoco?
MB: No, non, il coprifuoco
I: Dalle nove eh, non alle sei.
MB: Come?
I: Il coprifuoco cominciava alle nove, non, non alle sei.
SB: Quindi non le è mai capitato di trovarsi in giro?
MB: No, non mi è mai capitato di trovarmi in giro in periodo del coprifuoco e già c’era il coprifuoco. No, non avevo problemi, temevo solo il Pippo la sera ma non.
AB: E ma tu sei stata poco con i bombardamenti. Io [emphasises] li ho provati i bombardamenti.
SB: E adesso infatti poi faremo un’altra intervista apposita. E senta di questo Pippo chi gliene aveva parlato?
MB: Ah ma c’era sul giornale, c’era sul giornale Pippo arriva, c’era sul giornale. Tutti lo sapevano che girava il Pippo. Che girava il Pippo e che bombardava. E poi io mi sono, no io, noi ci siamo accorti quando ha colpito la mia chiesa che era la giornata di San Fortunato, che deve essere non so se il 28 di settembre o il 28 di ottobre.
SB: Ci può raccontare di più di questo episodio? Si ricorda qualcosa?
MB: Eh mi ricordo che noi siamo, noi eravamo lontani dalla parrocchia, ma siamo andati in parrocchia e abbiamo visto questo gran spettacolo che sembrava uno spettacolo pirotecnico ma invece era, era stato un bombardamento, che aveva colpito la parrocchia. E poi, no, mi ricordo così, guardi.
SB: Si ricorda dei rumori o dei, degli odori, o di qualcosa appunto che? Nel senso appunto questa chiesa era lontana, no?
MB: Sì.
SB: Però appunto una bomba che cade, però io m’immagino, non so.
MB: Non mi ricordo, non mi ricordo che
SB: Si ricorda se ha sentito la sirena?
MB: Mi ricordo della, della sorpresa. Ecco, mi ricordo quando suonava la sirena, quando suonava la sirena perché erano previsti i bombardamenti. Quello della sirena sì, mi ricordo. E che, quando suonava di sera, ci trovavamo nella condizione di andare, di andare giù in cantina. Eh ma mia mamma non era una paurosa e perdere la notte, certe volte non andavamo neanche. Invece mio padre...
AB: Io [emphasises] non andavo. Tu, tu andavi, scappavi con mio papà e con il Peppino.
MB: Invece mio padre era un pauroso, era il capofabbricato ma era un pauroso, mio padre. Mia madre invece no.
AB: Era il primo che andava
SB: E questo scantinato, in questo scantinato, era predisposto per?
MB: Erano le cantine di adesso, no
AB: No.
MB: No, erano le cantine di adesso, le cantine nostre, erano cantine nostre, c’erano anche le panche mi pare che
AB: Avevano messo delle panche, ma scorrazzavano i topi.
MB: Avevano messo le panche ma erano le cantine nostre, che poi abbiamo utilizzato come cantine, perché si scendeva così, mi ricordo che scendevamo così. Non mi ricordo altro.
SB: E questo momento che eravate nelle cantine durava tanto, durava poco?
MB: Eh no, durava molto
AB: Durava un tre ore, eh sì.
MB: Certe volte anche un due, tre ore, che poi suonava la sirena, che era finito.
AB: Che finiva.
SB: Si ricorda cosa facevate mentre aspettavate che risuonasse la sirena?
MB: Quando ero nella cantina della banca, mi ricordo che facevo letteratura latina [laughs], quello me lo ricordo. Così non perdevo tempo poi. Mentre invece lì non, sì eravamo tutti amici, insomma, eravamo ventenni e, sì, parlavamo, parlavamo, dispiaciute di aver perso una parte della notte. E poi, ognuno aveva da lavorare. Ecco.
SB: E vi intrattenevate? Vi è mai capitato di intrattenervi con delle canzoni o con dei giochi o con?
MB: No, no.
AB: Si chiacchierava e basta e si sonnecchiava.
MB: No, no, chiacchierare e sonnecchiare, e no no, perché eravamo in una zona di gente operaia che insomma, perdere la notte poi spostava, eh, ti spostava di fatica. Sì, sì, non, non eravamo in case, in case raffinate. È che eravamo già fortunati che avevamo, ah, noi avevamo il gabinetto fuori. No no, noi avevamo il gabinetto dentro, ma la nostra è una casa di ringhiera e tutti i nostri vicini erano tre o quattro appartamenti che avevano il gabinetto in comune, no? Non avevano il gabinetto in comune?
AB: Non avevano il gabinetto in comune quelli della ringhiera.
MB: Noi invece eravamo dei privilegiati perché avevamo il gabinetto in casa. Che poi, mio padre faceva il muratore e c’aveva messo la doccia ne, c’aveva messo la doccia.
AB: C’aveva messo la doccia, sì.
MB: Quindi. Sì, io mi ricordo che ci lavavamo nel bagnino, no,
AB: Sì, [laughs], di zinco.
MB: Non avevamo bagno, era un bagnino di zinco e ci lavavamo così.
SB: Un’ultima domanda.
MB: Sì.
SB: Lei ha detto che suo papà era capofabbricato.
MB: Capofabbricato perché allora a ogni, a ogni stabile stabilivano un capofabbricato che voleva dire, quando c’era d’andare in cantina, era un po’ responsabile della casa.
SB: Quindi era un, diciamo un ruolo che era venuto fuori...
MB: Per la storia della guerra. Sì, capofabbricati.
AB: Perché mio padre era del ’92 dell’Ottocento e nel ’40 aveva 48 anni.
MB: L’avevano richiamato.
AB: Doveva essere richiamato e siccome aveva tre figli, insomma, richiamato sarebbe stata proprio la fine della famiglia. Allora gli avevano fatto la proposta, capofabbricato doveva impegnarsi in un certo senso, accompagnare giù la gente anziana, perché noi stavamo, c’erano quattro, cinque piani, cinque piani la nostra casa, accompagnare giù,
MB: Fare a piedi.
AB: Sì, sì, fare le scale, e guardare, ordinare la coda della gente che entrava in cantina. Ma mio padre era più pauroso dei [laughs], dei cosi e scappava con la valigia che avevamo, una valigia con dentro i tesori, cioè l’oro, l’oro insomma per modo di dire, una stoffa, c’era un panno di stoffa, neh, e se si andava giù mi padre scappava via con la sua valigia e ci piantava lì noi.
SB: Questi però sono i suoi ricordi [laughs]
AB: Questi sono i miei ricordi.
SB: Adesso io.
AB: Vede che mia sorella non si ricorda bene.
SB: No certo, no certo. Per questo vogliamo dedicarci anche a lei.
AB: Mi spiace che interrompo ma siccome io ho questi ricordi e i miei sono più verdi dei suoi.
SB: No, no, no, è importante, certo. Solo che adesso vogliamo approfondire ma dobbiamo concludere questa intervista qui e...
AB: Sì, sì, no, no, giusto. Lei ha i ricordi.
SB: Certo.
AB: Ricordi di persone che a Milano non c’è stata tanto. Perché in tempo di guerra lei era via, era sfollata.
SB: E senta, allora io avrei un sacco di domande [laughs], avrei molte domande.
MB: Eh, dica, dica.
SB: Vado [laughs]?
MB: Sì, sì, vada, vada.
SB: Allora intanto volevo chiederle ancora sul Pippo. Chi era? Cos’era?
MB: Era [unclear]
AB: Dicevano che era italiano.
SB: Aspetti, se no, se no ci mischiamo purtroppo [laughs].
MB: Era uno che guidava l’aereo, era un, uno che guidava l’aereo e che bombardava.
SB: Quindi era una persona?
MB: Sì, sì, senz’altro era una persona. Lo chiamavano Pippo.
SB: E senta, e si ricorda di chi, dicevano, di quale nazione facesse parte? Se avesse uno schieramento, se? Perché faceva questa cosa?
MB: No, non mi ricordo, non mi ricordo.
SB: Non c’erano, non c’erano spiegazioni riguardo a questo?
MB: No, non. Mi ricordo, sta notte ze la notte del Pippo ma non mi ricordo.
SB: Ma era una frase che dicevano prima, perché si sapeva già che sarebbe passato a bombardare o?
MB: Sì, sì, dicevano prima. Quando venivo a casa dal lavoro, dall’ufficio dell’avvocato, si diceva: ’vedrai che stasera arriva il Pippo’.
SB: Ah sì?
MB: Eh, Dicevano così. Facevo perdere le notti, ma non mi ricordo se, se lo credevano, lo ritenevano italiano o lo ritenevano inglese, non mi ricordo.
SB: Ho capito. E senta, invece il rifugio del caveau, che diceva?
MB: Ah del caveau. Era il caveau della banca quindi si stava abbastanza bene. Mi ricordo che stavamo seduti. Io avevo questa mia collega che faceva, aveva, era già maestra lei. Così, perché eravamo state assunte, erano state assunte in sostituzione dei richiamati. Io sono stata assunta in sostituzione dei richiamati e poteva darsi che finita la guerra ci mandassero via e questo era il nostro, eh. E invece ci hanno trattenuto, ci hanno trattenuto tutte e nel ’47 la banca ha cominciato ad assumere anche i nuovi o quelli che ritornavano, perché mi pare che i richiamati avevano la possibilità di tenere il posto. Erano richiamati ma quando avrebbero ripreso, avrebbero avuto il posto. E noi eravamo, noi eravamo in sostituzione dei richiamati, per quello che si entrava con una facilità abbastanza. Tra le mie colleghe ce n’erano poche che erano diplomate. Ragioniere no, erano quasi tutte maestre, avevano compiuto i diciotto anni e c’erano tutte ragazze che avevano finito il professionale. Allora c’era professionale, commerciale e magistrale.
SB: E senta, questo caveau, era allestito per ospitare, diciamo, durante i bombardamenti? Si ricorda?
MB: Ma io so, so che c’erano delle panche.
SB: C’erano delle panche.
MB: C’erano delle panche. Non si stava in piedi. Sì, sì, si stava nelle panche. E noi, io le dico personalmente, sarà stato sbagliato ma mi pareva la manna perché avevo la possibilità di preparare, di preparare qualche cosa di, di esame, insomma. Perché io ho cominciato poi nel ‘47 ad andare a lezione dalla mia compagna di scuola, la quale mi ha preparato in matematica e in latino, preparava.
SB: E senta, si ricorda, sempre su questo caveau, qualcuno vi avrà detto, ‘quando suona l’allarme si va di qua’. Si ricorda se qualcuno gliel’ha mai detto?
MB: Non mi ricordo, non mi ricordo.
SB: OK. Ma eravate tante persone o? Cioè questo caveau era, perché m’immagino era un posto solo per tutti gli impiegati.
MB: Ah no, credo che fosse la banca dove adesso tengono i tesori, dove tengono le cassette di sicurezza, credo che fosse così. Io mi ricordo che ero seduta, avevo il posto, ero seduta e la banca appunto ci lasciava andare perché era suo dovere quando suonava l’allarme.
SB: Va bene. Io magari un’ultima domanda riguardo a quando è finita la guerra. Dopo la guerra, ha mai ripensato, le è mai capitato di ripensare, in particolare ai bombardamenti, ehm?
MB: No.
SB: O magari a chi appunto bombardava?
MB: Perché per me è stato un periodo in cui avevo il benessere economico. Non dico che non ero più povera ma insomma avevo uno stipendio, stipendio di bancari anche allora contava eh. E poi insomma nel ’47 io avevo 22, 25, 35, 40, io avevo 30 anni e insomma avevo il mio posto, avevo, guadagnavo. Guadagnavo insomma, ero tra i lavoratori, allora erano i migliori, erano i miglior pagati. Facevamo gli scioperi, ma eravamo i migliori sulla piazza.
SB: Quindi insomma, al bombardamento lei non associa ricordi o sentimenti di qualche tipo.
MB: No, no. Non sono stata. Ah ecco, c’era stato una mia collega che era stata sotto i bombardamenti. Quella ne aveva risentito sotto i bombardamenti militari di Via Disciplini, l’hanno trovata, ecco, quella era stata colpita, sì. C’era gente che aveva subito i bombardamenti ed era rimasta incastrata in cantina. Ecco, quelli ne avevano risentiti ma io no, io non ho risentito, psicologicamente non ho risentito. Ecco.
SB: Va bene, allora, io la ringrazio.
MB: Niente. Adesso deve dire qualcosa lei, no?
SB: No, no, no. Eravamo io e lei. La ringrazio e.
MB. Niente.
SB: A posto.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Marialuigia Buffadossi
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Marialuigia Buffadossi remembers her wartime life in the Lombardy region. Born in a low-class neighbourhood with poor-quality housing, she first worked as shorthand clerk for a solicitor, and then was employed by a major bank. Remembers her employer’s wife, who had San Marino citizenship and was, therefore, able to obtain un-rationed supplies. Describes her evacuee life in Cernobbio, stressing her handsome salary and enjoyable social life in various resorts on the shores of Lake Como. Remembers how she was troubled by not knowing the fate of her relatives still in Milan. Describes taking shelter inside the bank vault, where she passed the time studying for a teaching qualification. Recalls Pippo and maintains that it was the name of the pilot. Describes the bombing of a church and the subsequent fire. Mentions different attitudes toward bombing: her father, a warden, was fearful and timid; her mother took a resolute and fearless approach, to the point of avoiding the shelter in the basement. Affirms that having been an evacuee greatly increased her resilience, and also strengthen her desire to lead an independent life.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Sara Buda
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-05-28
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:52:56 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ABuffadossiM170528
PBuffadossiM1701
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Po River Valley
Italy--Cernobbio
Italy--Milan
Italy
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1943-09-08
civil defence
evacuation
fear
home front
perception of bombing war
Pippo
shelter
-
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de29f384fbe6b8a34624abaecadf669e
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Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Buffadossi, Annunciata
Description
An account of the resource
One oral history interview with Annunciata Buffadossi (b. 1932) who recollects her wartime experiences in Milan and in the Lake Maggiore area.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Buffadossi, A
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
ZG: Abbiamo iniziato? Sì.
AB: Il mio nome...
ZG: Allora, l’intervista è condotta per l’International Bomber Command Centre. L’intervistatore è Zeno Gaiaschi, l’intervistata è Annunciata Buffadossi. Nella stanza sono presenti Marialuigia Buffadossi, la sorella, Nava Spizzichino, l’amica delle due sorelle, e Sara Buda, come, dell’Associazione Lapsus. Siamo in [omitted] a Milano ed è il 28 maggio 2017. Nell’intervista saranno fatti dei cenni all’intervista fatta precedentemente da Sara Buda alla signora Marialuigia. Iniziamo. Si presenti pure.
AB: Io mi chiamo Buffadossi Annunciata. Sono nata l’11 ottobre 1932 a Milano, perciò sono proprio del tempo di guerra.
ZG: Ehm...
AB: Nel ’32, sono nata nel ’32, perciò è iniziata la guerra nel ’40, quando io avevo otto anni e facevo la terza elementare. Facevo la terza, siccome sono sempre, sono nata in Via Confalonieri 11,
MB: All’Isola.
AB: Eh, all’Isola, che adesso è diventata una zona di pregio, no, perché è la zona della movida e di però ai tempi, miei tempi era una zona molto degradata ed era ritenuta una zona proprio popolarissima, piena di ladri di galline proprio, non di grande, di grande [laughs] levatura. Però io abitavo in una casa che aveva, noi abitavamo nel, al quarto piano, una casa naturalmente senza né ascensore, né niente né, addirittura tanti appartamenti non avevano neanche il servizio in, all’interno. Siccome era una casa di ringhiera, tanti, tutti quelli che abitavano gli appartamenti che erano nella ringhiera, nella parte della ringhiera, avevano il servizio comune per tutti i quattro appartamenti che c’erano nella, sul piano. Perciò case proprio popolarissime. Però la veniva chiamata la casa di sass, perché era una casa molto antica ed era fatta di sasso proprio e dicevano che avesse duecento anni di età questa casa ed era di fronte alla Brown-Boveri , che era una, sì, la Brown-Boveri era una azienda che fabbricava le, forse le armi, era una, insomma una, ed era anche di fronte alle, alle linee varesine. Le linee varesine erano quelle che portavano a Varese, quella zona lì, che adesso invece hanno, sono state trasformate nella, come si chiama, la stazione di Porta Garibaldi, eh, quelle erano le varesine. Perciò potevano venire bombardate ed erano bombardate, era una zona bombardata perché c’era Brown-Boveri, che era proprio di fronte a casa nostra, noi eravamo all’undici, la Brown-Boveri aveva un numero pare, ma proprio di fronte, e di fronte c’erano pure le linee varesine che erano invitanti per i bombardamenti. Quando è arrivata, quando è venuta la guerra, che è stato nel 1940, noi l’abbiamo saputo dalla radio, che avevamo una radio regalata dalla mia nonna, l’unico regalo di mia nonna che, insomma, per quel poco che poteva fare, no, quella nonna lì poteva fare di più ma insomma ci aveva fatto solo il regalo della radio, avevamo saputo che era stata, scoppiata la guerra nel 1940. Da un discorso di Mussolini che diceva: ’Italiani, al di là del mare, al di là dei monti’, l’Italia insomma adesso mi ricordo che faceva dei discorsi roboanti proprio, che però prendeva tanta gente di, dalla parte proprio della passione così, comunque. Mio padre non era, né un fascista né niente, non aveva, perché aveva fatto sì la guerra del ’14-18, però siccome non era fra gli Arditi, era un alpino di artiglieria di montagna, che un tempo invece degli Alpini c’erano, c’era l’artiglieria di montagna. E’ che il papà amava molto sulla, cosa aveva fatto, sul, eh non mi ricordo più, comunque parlava sempre di avere fatto la guerra nell’artiglieria di montagna. Amava gli asini, che erano i compagni, i compagni degli artiglieri perché gli ha, ha salvato tante vite eh l’asino, il mulo anzi, più che l’asino il mulo perché portava, aveva.
ZG: Ma.
AB: Un capo, non so. Comunque mio padre quando raccontava le sue imprese, però non l’aveva finita, perché si era ammalato, aveva avuto la polmonite e l’avevano messo nelle retrovie. Perciò non aveva visto la fine della guerra ed era diventato l’attendente del colonnello, di un colonnello che stava a Torino ed era il capo della, dell’accademia degli artiglieri mi pare perciò mio padre, ecco. Però veniva da un paese della Lomellina, che erano contadini. Niente, questo per quanto riguarda la mia famiglia.
ZG: Eh
AB: Mio padre faceva il muratore, però veniva da un paese di contadini. E la mia mamma veniva sempre da un paese di contadini che era la Lomellina ed era, faceva la sarta. Io avevo una sorella maggiore, che era mia sorella Marialuisa che era della. Marialuisa, Io dico sempre Marialuisa ma il vero nome è Marialuigia perché così è. Rinnovava la nonna, sa che un tempo si rinnovava, io invece avevo rinnovato la nonna da parte materna, mia sorella invece da parte paterna ed era la preferita da, da quelle nonne lì, da quella nonna lì, mentre io ero la preferita della nonna Mussiada, insomma, è logico. Comunque quando è scoppiata la guerra, io facevo le elementari. Mi ricordo quando era scoppiato perché c’era stato il discorso del, di Mussolini. Il fratello di mia mamma, invece, siccome aveva fatto la guerra negli Arditi, era del 1800 eh perciò erano, avevano fatto la guerra del, era fra gli Arditi, era diventato un fascista, era piuttosto fascista perché gli Arditi, che erano del, del gruppo del, insomma erano tutti fascisti quando erano tornati dalla guerra, ti ricordi eh, lo zio Berto, ehm. Però era una bravissima persona, eh, una persona retta, che si interessava delle colonie per mandare, le colonie i bambini, che a quel tempo, se non andavano a fare la villeggiatura nelle colonie, i bambini non vedevano il mare neanche dopo vent’anni. Io ero stata mandata a Pietra Ligure per esempio, tant’è vero che avevo fatto la prima comunione a Pietra Ligure quando ero lì nella colonia, mandata da mio zio, che non avevo che da ringraziare perché ero una, avevo visto il mare per la prima volta [laughs] nel ’41 forse, ’41 o ’42, non so, perciò ero, avevo visto il mare per la prima volta, se no non conoscevo. Conoscevo la campagna della Lomellina quando andavo a trovare la mia nonna contadina e se no, non conoscevo altro. Comunque, vabbe’. Quando è scoppiata la guerra, io per i primi anni sono stata a Milano e ho finito la scuola, le elementari qui perciò devo averlo finito nel ’42, perché avevo dieci anni. Però mia mamma aveva cercato di mandarmi a, sfollata presso mia zia che abitava a Pallanza sul Lago Maggiore. E lì, purtroppo ecco lì non mi piaceva tanto perché mi trovavo bene con la mia zia, che era la mia zia preferita però tutte le sere, quasi tutte le notti si sentivano gli aerei che passavano sopra il Lago Maggiore. Venivano dalla Francia probabilmente, o dalla Svizzera, non lo so, e si sentivano i rumori e noi dicevamo tutti, sia mia zia sia le mie compagne di scuola che sentivo, che parlavo con le amichette, dicevo: ’Questi sono gli aerei che vanno a bombardare Milano’. Perché passavano sul Lago Maggiore, passavano Luino e venivano a Milano e questo mi faceva un bel dispiacere perchè io sapevo che a casa c’erano la mia mamma, il mio papà e mio fratello. Mia sorella no perché nel ’43 era andata, sapevo che era sfollata sul Lago di Como, perché era andata in banca e la banca aveva sfollato tutti i suoi dipendenti sul Lago Maggiore, eh sul Lago di Como. Perciò per lei ero tranquilla. Sapevo, sentivano dei bombardamenti. Nel ’43 è stato l’anno proprio brutto per i bombardamenti perché si sentiva parlare dei bombardamenti su Milano, massicci, proprio i più brutti, infatti c’erano stati tanti morti. Siccome noi abitavamo in una casa di fronte a un’azienda che faceva, che faceva proiettili, non so, era la Brown-Boveri , era una ditta che faceva forniture per la guerra, era pericolosa. E in più di fronte anche alle varesine, alle linee varesine era una casa, tant’è vero che avevano buttato delle bombe e avevano bruciato tutte le gelosie. Una volta le gelosie rientravano dentro nella, non so se voi, no, voi siete giovani non lo sapete, ma una volta rientravano nel muro e si chiamavano le gelosie. Erano di legno. Naturalmente hanno buttando tante bombe incendiarie hanno bruciato tutte le gelosie della nostra casa e lì mio padre che era il capofabbricato era, ha dovuto intervenire, fare venire non so i pompieri, quello che era, però ha annerito tutto il davanti della casa e abbiamo avuto delle, non era successo nient’altro però tanti rimanevano senza casa ad un certo momento. Noi abbiamo avuto solo quell’inconveniente lì delle gelosie, però, che erano bruciate e non so, adesso non mi ricordo più come. Ad un certo momento però io nel ’43, alla fine del ’43 dovevo fare l’esame di ammissione per la scuola media perché volevo fare la scuola media, che dopo forse avrei fatto magari le magistrali come mia sorella però i miei non potevano farmi studiare. Comunque c’era la mia sorella che lavorava, lavorava in banca, insomma avevamo qualche cosa di più da poter contare. E ho fatto la scuola, l’esame di ammissione alla scuola media lì a Pallanza e poi sarei tornata per fare la scuola media a Milano e sono ritornata nel ’43, ’44. Nel ’44 avevo quanti, dodici anni, avrei fatto la seconda media, ma ho fatto anche la prima media a Milano. E siccome non c’erano scuole, tutte le scuole medie erano un po’, sono andata a finire nella scuola che c’è in Via Giusti che è una scuola per capomastri. Infatti la mia scuola mi ricordo che aveva tutti i disegni, tutte le formine di architravi, cose del genere, però era diventata una scuola media perchè scuole per capomastri non venivano fatti in tempo di guerra, erano tutti ragazzotti che erano stati richiamati, avevano magari sedici, diciasette anni, erano richiamati. E allora andavo e tutti i giorni da, dall’Isola mi portavano nella zona dei cinesi, la Via,
MB: Paolo Sarpi
AB: Via Giusti, Via Paolo Sarpi, perchè la mia scuola era nella via che proseguiva la Via Giusti, la Via Giusti. Andavo però sempre accompagnata da un mio compagno di, un vicino che studiava nelle scuole che aveva un anno più di me e perciò non era richiamato perché, eh. E veniva, mi accompagnava, facevo tutta la strada insieme, dovevo passare dalla Via Guercino dove c’erano, dove c’era il comando dei, e dalla scuola Tenca, la scuola Tenca che adesso è la scuola magistrale che aveva frequentato mia sorella, che era la sede della Muti. La Muti era un’associazione di fascistotti, ragazzotti fascisti, che mettevano una paura solo con la loro divisa, non so lei no lei che non se ne ricorda ma io quando passavo davanti alla scuola Tenca, che era una scuola che mi piaceva perché era la scuola di mia sorella, mi faceva paura perché si vedevano questi ragazzotti che avevano sui diciotto, vent’anni, tutti vestiti di nero, con i baschi con il pennacchio rosso, era una cosa, con gli scarponi che facevano un rumore solo a sentir scandire queste, queste passi, erano una cosa che metteva, e io dovevo passare anche dalla Via Guercino dove c’era la sede dei tedeschi. Era terribile, la Via Guercino era sempre piena di questi tedescotti che mettevano paura perché marciavano in una maniera diversa da, anche dai nostri, che so io, dai nostri alpini, dai nostri bersaglieri che erano simpatici, così. Loro erano, facevano paura proprio, ecco. E io tutti i giorni dovevo fare e ogni tanto si sentiva suonare l’allarme perché di giorno, bombardavano anche di giorno, soprattutto di sera ma di giorno bombardavano e allora si sentiva. Noi eravamo a scuola e allora dovevamo scendere nelle cantine che io ero anche contenta eh di questa facenda perché mi impediva di essere interrogata, perché mi piaceva. Fra l’altro la mia professoressa di latino e di italiano e di latino così, era la professoressa Lighini che era la sorella del dottor Lighini, che, dell’ingegner Lighini che era il luogotenente del generale Cadorna e perciò lei non diceva mai, non parlava mai dei ribelli come erano chiamati i partigiani, erano chiamati ribelli no, non erano chiamati partigiani. I partigiani sono venuti dopo, quando dopo la fine della guerra che allora erano partigiani. Lei diceva sempre: ’ quei ragazzi’, i ragazzi che sono contro i fascisti logicamente, però sono partigiani, parteggiano per una certa parte. L’abbiamo saputo dopo che era la sorella di un, del luogotenente di, del generale Cadorna e infatti dopo era diventata la preside della Carlo Tenca perché era diventata, era la sorella di un cotanto personaggio, eh, perciò. E allora, questo per quanto riguarda i miei ricordi di. Invece di notte suonava sempre l’allarme, spesso l’allarme ma mia mamma non aveva paura e io pure non avevo paura, poi ero un po’ smemorata, non sentivo neanche l’allarme, non lo sentivo. Mia mamma se non mi svegliava io dormivo beatamente poi quando aveva l’allarme, il cessato allarme, mi risvegliavo ma andavo avanti a dormire. Invece mio padre scappava via come una lepre perchè era un pauroso, prendeva su la valigia dove c’erano tutti i tesori della famiglia e andava in cantina con mio fratello, mia sorella non c’era perché era sfollata e noi andavamo, andavamo avanti così. Alla fine della guerra quando c’è stata il 25 aprile, io mi ricordo che in Via Borseri che è una via dell’Isola era passato un convoglio di tedeschi con davanti l’ufficiale con, che imbraccava la rivoltella e faceva così con la mano per tener lontano perché tutta la gente lì che guardava i tedeschi che se ne andavano finalmente, perché mettevano paura, erano vestiti e si atteggiavano in una maniera che mettevano paura solo a vederli, mettevano paura. I fascisti vestiti, quelli della, delle brigate nere e i tedeschi mettevano proprio paura. Erano arrivati i partigiani. Ad un certo momento i partigiani però, insomma ne hanno fatte anche loro perché uccidevano i fascisti o quelli che ritenevano tali. Ci sono state tante vendette anche, insomma, fatte, fatte così ad arte che. Noi avevamo il nostro Don Eugenio Bussa che era il capo della Chiesa del Sacro Volto, che aveva salvato tanti ebrei, ma vicino al loro oratorio, c’era un muro dove venivano uccisi i partigiani che venivano presi o renitenti alla leva, perché c’erano tanti renitenti alla leva. Anche nella nostra casa c’erano due o tre amici di mia sorella che erano del ’24, ’25, che erano proprio giusto giusto per essere renitenti alla leva e loro cercavano di non andare, di non essere, perché se no andavano in Germania e non ritornavano più. E la guerra non la volevano fare, giustamente, perché poi, dopo il ’43 quando c’era stata l’armistizio, tanti erano scappati, magari erano anche militari ma erano scappati come un mio zio, quello zio lì del Lago Maggiore che era un carabiniere che era in Iugoslavia neh, si era levato le mostrine di carabiniere perché se no lo ammazzavano e si era presentato come un povero profugo, era riuscito però era stato preso dai tedeschi e mandato in Germania. Però è riuscito a sopravvivere perché mangiava, però quando ritornava, quando è ritornato ci ha raccontato che mangiava la pelle delle patate che buttavano via i tedeschi. Mio zio era molto furbo, eh furbetto anche lui ma, però insomma, che lavorava in banca anche lui, però all’istituto, dov’era, al, ehm, coso di Novara, ne. E lì a Pallanza c’era la, ma era furbo furbo mio zio e perché per riuscire a e quando è ritornato però, è ritornato nel ’46 o ’47 dopo perché, sa, prima che ritornassero indietro, ma insomma, comunque, è ritornato. Io poi mi ricordo altre cose. Che ogni tanto, con la mia mamma, andavamo al paese di mia nonna, che ci dava magari qualche gallina magari che riuscivo perché dovevano portare tutto all’ammasso ai tedeschi e invece lei riusciva a rubacchiare qualche chilo di farina, qualche uovo, qualche gallina, così andavamo lì, prendavamo il treno, andavamo lì a Sartirana, che mia mamma era di Sartirana, e riuscivamo a portare a casa qualche sacchetto di farina, qualche uova, così, che mia mamma sulla stufa faceva, faceva da mangiare. Faceva il pane bianco, che il pane bianco era un dolce addirittura, oppure metteva l’uovo, faceva qualche cosa di, insomma, una gallina che riusciva. Perché la tessera annonaria è continuata anche dopo la fine della guerra eh, perché è continuata mi pare fino al ’47, non, fino al ’47, perciò si è. Non è che si stesse tanto bene anche finita la guerra, no. Mio zio, mio zio, quello lì, il fratello di mia mamma che era un, ritenuto un fascista perché, ma siccome non aveva fatto male a nessuno, anzi, faceva solo piaceri appunto, faceva andare i bambini alle colonie, accompagnava alle colonie così, non ha avuto niente, è scappato dalla mia zia, quella lì di, che era la sua sorella insomma praticamente, lì sul Lago Maggiore, ma è stato via due o tre giorni e poi è ritornato che nessuno gli ha fatto niente, non, perché era una bravissima persona mio zio Berto. Niente, basta, questo per quanto riguarda il. Poi nel ’47 io trovato il lavoro presso un ragioniere, però avevo fatto giusto le tre medie e basta, non avevo né diploma né niente, avevo appunto fatto solo la terza media. E però mi piaceva di più ragioneria che fare le magistrali. Prendevo sempre da mia sorella che gli ricopiavo gli appunti, lei li faceva magari in stenografia, io invece li facevo in chiaro e allora lei mi dava magari una lira o dieci lire forse perché dopo mi pagava di più. E io guadagnavo la mancetta ma dopo prendevo anch’io lo stipendio, poco, perché i ragionieri non pagavano per niente ma insomma piuttosto di niente e poi imparavo. Dopo nel ’47, questo sono andato nel ’47 neh dal ragioniere, ecco. Nel ’47 mi sono iscritta alle scuole civiche, che erano le scuole civiche di Milano che facevano ragioneria al Parini. Al Parini facevano le serali, era la scuola civica di Milano che facevano ragioneria. E poi mi sono nel ’54, no, dopo ho cambiato, però sono andata in una scuola privata alla, al Volta neh, e poi ho fatto gli esami e mi sono diplomata nel ’54 ecco. E nel ’55 invece ho trovato posto a Selezione del Reader’s Digest, era un giornale, era il giornale di, Reader’s Digest era americano, era uno dei giornali più in voga, mensile, è un mensile. Ma faceva, vendeva anche tante e dischi e giradischi e libri e tutto, oltre la rivista, la rivista era, ecco. E sono stata lì 32 anni. 32 anni più 8 del ragioniere ho fatto 40 anni di iscrizione all’INPS, ecco. E nel ’50, nel ’87 invece sono andata in pensione, ecco, con quarant’anni di anzianità. E adesso sono qui, malata, malandata, sì, no, e perché purtroppo con quello che ho avuto non sono, non sto tanto bene, ma.
ZG: Sì. Io volevo fare.
AB: Dica.
ZG: Mi sono segnato un sacco di domande.
AB: Sì.
ZG: Se vuole, iniziamo. Allora. La prima era una curiosità mia. La sua era una famiglia contadina, giusto?
AB: Sì. La mia mamma viene da una famiglia contadina. Anche mio padre veniva da una famiglia contadina, però faceva il muratore. Dalla Lomellina venivano.
ZG: Però una sua nonna ha potuto regalarvi una radio, ha detto prima.
AB: Sì perché mia nonna, la nonna, la mamma di mio papà viveva con la figlia, la quale si era sposata molto bene e aveva, vero, aveva un albergo. Lei, cioè il marito aveva un albergo. Mia nonna era andata a aiutare, era furba, tremenda era mia nonna, era una donna molto in gamba ma un po’ tremenda. Era riuscita, era l’unico regalo che ci aveva fatto, eh, perchè lei naturalmente viveva con la figlia, il figlio lo teneva meno da conto ecco. E l’unica cosa, ma siccome mia sorella si chiamava come lei, quel regalo lì ce l’ha fatto, ecco. E c’aveva regalato la radio, che a quel tempo la radio, avere la radio era una cosa, una cosa che non si poteva, per noi era un lusso, ecco, era un lusso.
ZG: E senta invece, oltre a suo zio, avevate altri parenti che, insomma...
AB: Erano fascisti?
ZG: Sì.
AB: No, altri parenti no, c’era solo mio zio, che era il fratello della mia mamma, l’unico fratello della mia mamma. Perché loro erano in cinque in famiglia, un fratello e quattro sorelle erano. No, solo mio zio, quel mio zio lì.
ZG: E lui come mai non è tornato in guerra?
AB: Chi, mio zio?
ZG: Sì.
AB: Eh mio zio perché aveva fatto la guerra del ’15-’18, era più giovane di mio papà, non era stato richiamato, ma non so per quale ragione. Lavorava dove, lavorava in un’azienda farmaceutica perché aveva un po’ studiato, Perché, adesso le spiego. Sartirana era sotto la, c’era un duca che era il padrone del paese, ducato di Sartirana era ed era imparentato con i, gli Aosta. Tant’è vero che il ragazzino, quando era stato, nel ’42 o ’43 che era, era lì nel castello di Sartirana. Ma mio zio, ma questo duca di Sartirana era, aveva due figlie. Una non si era sposata perché era mezza inscemita. Invece una aveva sposato un principe di Hannover e quando il marito era morto lei, per non perdere il titolo di principessa, non si era più sposata. Però aveva fatto tante, era padrona, praticamente era padrona di tutto il paese, di tutti i terreni, così. Aveva fatto molto per la, per la gente del paese. Per le donne, aveva, ad Alessandria aveva messo su la scuola per sarte e mia mamma l’aveva potuta frequentare, tant’è vero che mia mamma faceva bene, era una brava sarta perché aveva studiato proprio nella scuola della principessa. E invece mio zio l’aveva, si vede forse perché era tornato lì dal, eh no, tu non lo sai perché tu non ti sei mai interessata, ma io le sapevo queste cose perché mia mamma le raccontava, raccontava. La principessa poi aveva preso mia mamma per fare i vestiti di, prima che lei si sposasse, per fare i vestiti, i vestiti di casa delle domestiche insomma e anche per lei, fare i vestiti di casa, così. E li voleva molto bene. Poi siccome si aggirava per i boschi una volta si era persa lì dei boschi de, perché mia mamma abitava in una cascina ma sperduta, vicino alla, Bisognosa si chiamava, si figuri che cascina poteva essere. Comunque era vicino al Po mort perché lì passa, passavano i bracci del Po ma che chiamavano il Po mort perché sono bracci un po’ di, da poco ecco, e che tagliava il Monferrato alla Lomellina. Perché qui c’è la Lomellina dalla parte della, nella parte della Lombardia e invece nella parte del Po ma piemontese c’è il Monferrato e mia mamma veniva dal Monferrato, i suoi del, contadini ma del Monferrato che insomma si sono trasferiti lì nella Lomellina. E una volta si era sperduta la principessa, mia mamma questa qui lo raccontava sempre, e mio nonno l’aveva tirata fuori dai pasticci, come la signora con mia sorella. E allora è diventato e poi l’aveva portata a casa e le aveva presentato la famiglia, era praticamente un suo dipendente perché lavorava le terre della principessa, del duca, del duca di Sartirana e gliele aveva presentate e siccome c’era mia, l’unica che non faceva la contadina era la mia mamma perché faceva la sarta ma se no le sue tre sorelle facevano tutte le contadine. E gliel’aveva, allora lei ogni tanto quando, e poi gli aveva dato da mangiare o da bere, non so, il latte, così, e si era affezionata, la principessa si era affezionata sia alla mia mamma che la, che. Poi aveva dei domestici che erano parenti della mia mamma e perciò era particolarmente, insomma, la conosceva bene. E perciò non. Invece per le donne aveva messo sù questo atelier dove imparavano a fare le sarte e invece per gli uomini li aveva mandati, mio zio veniva dalla guerra ed era un dipendente di, che sarebbe finito di fare il contadino, le aveva fatto studiare, aveva fatto qualche scuola tant’è vero che poi aveva trovato da impiegarsi in questo, in questa la Paganini Villani, che era una ditta farmaceutica. E allora non era andato a militare perché... Poi si era sposato.
ZG: Fantastico. Ehm, senta invece, della vita in Isola, quando eravate in Isola....
AB: Ah, si stava bene, guardi. Io venivo a casa di sera, alle undici di sera, con un nebbione che non, perché venivo a casa dalle, dalla scuola serale. Venivo a casa magari con dei miei compagni che abitavano. Ma io entravo all’Isola che era piena di nebbia da non finire, io mi sentivo sicura, guardi, non avevo nessunissima paura. L’isola era un, una zona bella. La Via Confalonieri, la Via Volturno, la Via Borsieri. Eh, e poi, che si doveva fare la Via Borsieri, Piazzale Tito Minniti, che cos’è, ah cantavi , sì è vero, io salivo dalle, siccome avevo paura invece fare le scale perché ero al quarto piano, allora cantavo, e la gente, però erano le undici, era. Mia mamma mi sentiva, veniva fuori che mi preparava da mangiare perché io mangiavo alle undici di sera, quando ritornavo da scuola. E cominciavo a cantare e allora mia mamma veniva fuori, mi veniva ‘Tina, Tina, Tina’ e io arrivavo a casa e sapevo di essere aspettata, insomma.
ZG: Ma lei faceva le serali quando faceva le medie?
AB: No, facevo le serali quando ero andata dal ragioniere. Quando nel, dopo il ’47. Perchè io le medie le ho finite nel ’45. In aprile del ’45 io ho finito, il 25 aprile io facevo la terza media. Nel ’45 avevo tredici anni, no.
ZG: Eh, senta.
AB: Tant’è vero che non le ho finite, non le ho finite ma mi avevano promosso lo stesso perché.
ZG: E senta, sempre lì in Isola, prima sua sorella faceva riferimento però al fatto che, anche lei le diceva prima che era un quartiere molto popolare, che c’era un po’ di delinquenza.
AB: Oh, sì, sì, era ritenuto un, era ritenuto ed era proprio popolare, popolare, popolare. Case vecchie, erano case vecchie, tutte, Via Borsieri, Via Confalonieri, Via
MB: Via Serio
AB: Viale, no Via Serio era già più avanti, era già più verso la, la fontana. Piazzale Tito Minniti, ecco lì, proprio là, Piazzale Tito Minniti. Quando noi andavamo a fare il mese di maggio nel ’45 si andava in chiesa a fare il mese di maggio, sa, che mese di maggio è mese della Madonna. E mi ricordo che quando siamo passati di lì era il 25 aprile, era appena passato e maggio siamo passati di lì. Io mi ricordo che c’era uno appeso perché era stato ucciso, era stato strangolato, non so, che era il fratello della pollivendola che abitava nella casa ed era stato ucciso dai e alcuni invece li avevano uccisi nel, nel muro dell’oratorio di, del Don Eugenio, che è il Sacro Volto, questa. Lì in Via Volturno c’è la chiesa del Sacro Volto che era la chiesa del Don, Don Bussa, che però dopo è stato fatto uno dei giusti del... Ti ricordi quando il Peppino è andato che l’hanno festeggiato e mio fratello è andato in Israele che avevano, che l’avevano festeggiato, l’avevano. Perciò una personalità, il Don Eugenio.
ZG: Ehm, senta, volevo. Arrivando al periodo della guerra,
AB: Sì.
ZG: Lei ci ha detto prima che ha scoperto tramite la radio che era scoppiata la guerra.
AB: Sì, sì.
ZG: In famiglia se ne era parlato?
AB: Ma, non mi pare. Forse se ne parlava che doveva scoppiare la guerra perché c’era, ma non mi ricordo, non mi ricordo, no.
ZG: E la sera del discorso alla radio di Mussolini, eravate tutti insieme in famiglia?
AB: Eh probabile, probabile, sì, senz’altro.
ZG: Ah ok. Quindi non si ricorda se suo padre o sua madre avevano fatto dei commenti, sul discorso?
AB: No, ma loro non s’interessavano nè di politica nè niente. E non erano neanche nè fascisti nè niente perché.
MB: [unclear]
AB: Eh, sì, c’era mio padre che solo che diceva: ’mi raccomando, scrivete Duce bene, eh, scrivetelo bene’ perché a quel tempo il fascista era ritenuto e anche con mio zio:’ mi raccomando eh, zio Berto’, che era, noi sapevamo che era fascista perché quando era ritornato e poi quando andava a accompagnare i bambini, mia zia, che era la moglie, andava a accompagnare con la moglie del federale, andava a accompagnare i bambini alle colonie, passeggiava avanti e indietro sulle panchine della stazione centrale, a noi sembrava che fosse la moglie del federale invece era la moglie di un povero diavolo, ma insomma. Poi noi eravamo vestiti da piccoli italiani, ti ricordi? Che avevamo le calze nere delle mamme, che a quel tempo portavano le calze nere. Li facevano sulla un bottone e si faceva la,
MB: Ah sì.
AB: Il cappello, si metteva su in testa la calza della mamma con il fondo, mettevano il bottone veniva il cappellino della piccola italiana. Mia mamma m’aveva fatto la divisa eh! Perché a quel tempo si usava così, eh. D’altra parte ancora tanta grazia che ogni tanto davano dei pacchi, ti ricordi, che la
MB: Noi, non ne avevamo mai usufruito.
AB: No, dai, ma non dir pacchi dai
MB: Io mi ricordo quando è andata a dare la.
AB: Io mi ricordo quando andavo a prendere
MB: Io mi ricordo quando è andata a prendere la vera, io mi ricordo quando è andata a prendere la vera.
AB: Ah sì, perché forse c’è stato un periodo, forse nel ’38-’39, chiedevano,
MB: Dalle tombole di San Marco [?]
AB: Sì, chiedevano. Il Duce ha chiesto la
MB: L’oro.
AB: L’oro alla patria e allora tutte le donne, anche per farsi vedere, per, davano la vera, la vera, gli ori. Ce n’erano pochi, c’era poco, l’unico oro che avevano erano delle verone perché usavano. Però mia mamma l’aveva portata e dopo se l’era fatta rifare.
[ ZG: laughs]
MB: Perché poverina.
MB: Non so se aveva portato la, quella di mio papà o aveva portato la sua ma so, mi ricordo che erano una, erano vere alte, più alte di quelle che si usano adesso.
ZG: Quindi ha fatto fare rifare la fede?
MB: E aveva fatto rifare la fede.
ZG: E in che materiale era?
MB: Eh materiale d’oro. Aveva…
ZG: Dopo averla donata?
MB: Eh sì, perché dovevano far vedere perché lì venivano scritti, eh. Buffadossi, eh, ha lasciato la vera.
AB: Ha fatto la strada quella sera lì.
ZG: Senta, invece, suo padre era capofabbricato.
AB: Sì.
ZB: Il suo lavoro che cos’era esattamente?
AB: Eh doveva curare che, quando suonava l’allarme, venisse diretto bene il flusso alla cantina perché le cantine erano cantinacce, non erano mica le cantine che ci sono adesso, che sono belle pulite. C’erano, io mi ricordo che passavano i topi, eh, perché erano case vecchie, erano umide così. E doveva guardare che ci fosse le panchine perché mettevano le panchine, la gente andava lì, si sedeva e stava lì ad aspettare, contarsela sù che...
ZG: Quindi lui faceva questo lavoro di insomma far affluire le persone in cantina.
AB: Sì.
ZG: La cantina spettava soltanto al vostro palazzo o c’erano anche altri palazzi che dovevano [unclear]?
AB: No, ogni palazzo aveva la sua cantina.
ZG: E come mai vostro padre non vi svegliava, quando suonava l’allarme?
AB: Eh perché era compito della mia mamma ma mia mamma, lui scappava via [laughs] e mia mamma stava lì. Lei non c’era, c’ero solo io e io non avevo paura come non aveva paura la mia mamma. Mio fratello seguiva mio padre e via, perché lavorava anche lui. Aveva cinque anni più di me, perciò nel ’43 così.
MB: Lavorava alla Grazioli.
AB: Lavorava alla Grazioli.
ZG: Ma, e non avevate paura neanche dopo che si era incendiato il tetto della casa?
AB: No, non si era incendiato il tetto, si erano incendiato le gelosie.
ZG: Ah, le gelosie, giusto. E neanche dopo quell’occasione?
AB: Io non, non avevo paura, tant’è vero che pochissime volte sono andata giù in cantina. Non mi piaceva perché bisognava andare su e giù dalle scale, mamma mia, e dormivo. No, non mi piaceva.
ZG: E invece quando eravate a scuola è capitato che suonasse l’allarme?
AB: Ah sì, di giorno e lì era di giorno, lì invece mi piaceva perché ero con i miei compagni. Stavamo lì e magari dovevamo essere interrogate perciò c’era andata bene. La professoressa Lighini era un po’ severotta, eh.
ZG: E alle elementari come passavate il tempo nel rifugio?
AB: E niente, chiacchierando, chiacchierando.
ZG: Le maestre non vi, non c’erano compagni spaventati, qualcuno che aveva paura?
AB: Ma era solo le medie, perché io nelle elementari no eh. Nelle elementari non mi è mai successo. Perché nelle elementari, le avevo già finite perchè nel, io sono andata a scuola nelle elementari fino al ’42 perché, ma nel ’42 non c’erano i bombardamenti, ecco, sono incominciati nel ’43 i bombardamenti feroci che erano, che erano, e dopo ’43, dopo che c’era stato l’armistizio, perché prima no. C’erano i tedeschi che erano nostri alleati e noi effettivamente, quando abbiamo fatto l’armistizio li abbiamo lasciati, li abbiamo traditi in un certo senso e adesso.
ZG: Senta invece, tornando invece alle cantine di, a casa vostra. Com’è che le persone scendevano in queste cantine, c’era tipo una gerarchia, scendevano prima alcune persone poi delle altre?
AB: No, no no, venivano giù. Il primo piano era il primo a sedersi e poi c’erano gli altri piani e noi eravamo al quarto piano, eravamo gli ultimi a scendere.
ZG: Ok. Ehm, invece un’altra domanda. Lei era andata sul Lago Maggiore?
AB: Sì, da mia zia, da questa mia zia che era la moglie di un carabinieri che era stato richiamato. Lui era più giovane di mia mamma perché aveva forse un dieci anni, mia zia aveva dieci anni meno, lui era del ’92, lei era del ’02 e lui, eh, sarà stato del ‘900. Perciò nel ’40 quando era stato richiamato aveva quarant’anni.
ZG: Ehm, lei era andata sul Lago Maggiore per sfuggire ai bombardamenti.
AB: Eh sì perché.
ZG: E come mai nel ’43 ha deciso di tornare?
AB: Eh perché mia mamma a un certo momento ha detto: ’ritorna, se moriamo, moriamo tutti insieme’, ecco.
ZG: Ehm, senta invece mi. Volevo farle una serie di domande sempre su, sempre sul quartiere Isola durante proprio il periodo dei bombardamenti. Avevate paura di rapine in casa o?
AB: No, rapine no, perché cosa vuole, si chiudeva la porta. A quel tempo non si chiudeva neanche la porta perché io a dir la verità, avevamo la porta e l’antiporte, erano case così. Ma spesso e volentieri noi andavamo a dormire senza, anche dopo appena finita la guerra non chiudavamo neanche la porta. Non sempre si chiudeva la porta.
MB: Eh dai.
AB: Sa, rapine, cosa vuole che rapinassero in casa nostra? Se portavano via noi [laughs], dovevano darci da mangiare, no no per carità. Non c’era niente da rubare. Giusto quando andavamo al paese della mia nonna, che portavamo a casa quel sacchetto di, e dopo per passare il Ticino perché noi dalla Lomellina bisogna passare il Ticino a Vigevano bisogna passare il Ticino e il treno si fermava prima del Ticino, noi lo facevamo a piedi il pezzo del Ticino perché se no c’era il pericolo che bombardassero e poi c’era un altro treno che dal Ticino, dal ponte del Ticino a Milano via San Cristoforo, e noi poi prendavamo l’8 perché qui girava l’8 in Piazzale Tirana. A quel tempo l’8 era il tram principe per arrivare alla, alla Isola. C’era il 4 e l’8, che girava l’Isola. Noi prendavamo lì da San Cristoforo o da Porta Genova, ma noi scendavamo a San Cristoforo con il nostro pacchettino e il chilo di farina, e due o tre uova, la gallina, così e andavamo a casa, io e la mamma.
ZG: E senta.
AB: Perché tu non sei mai andata a Sartirana quando, invece io andavo con la mia mamma.
ZG: Però suo padre durante i bombardamenti la valigia con i gioielli di famiglia [unclear] [laughs]
AB: Sì, i gioielli [laughs], cosa vuole,
ZG: Quelli lì li portava via però.
AB: Ah sì, li portava via. C’era, io mi ricordo che c’era un taglio di vestito, poi forse c’erano delle lenzuola c’era un, era un valigione tutto grande, sa di quelli di cartone e pressato. Quello, c’era un taglio di vestiti, c’era, c’erano le lenzuola e che cosa d’altro, niente, nient’alto, non c’era nient’altro di, cosa vuole che portasse. E da mangiare, da mangiare sì, portava giù qualche cosa ma, un panino ma, ma non certamente pane e salame che non si trovava. Era tutto tesserato, si figuri.
ZG: Ehm, e gli spostamenti invece erano, per andare al paese di sua nonna erano facili o?
AB: No no, non tanto facili, perché c’era sempre il pericolo che bombardassero il, perché le vie ferrate erano le più, le più appetibili per le bombe, eh capisce? Magari erano spostamenti di forze armate addirittura, non era, non guardavano se. Perché erano odiati poi gli americani perché erano gli americani dicevano, che i russi non bombardavano perché erano troppo lontano. Invece gli americani erano quelli che bombardavano e venivano odiati perché erano loro che bombardavano.
ZG: Ma ehm, della possibilità che le ferrovie potessero venire bombardate lei lo sapeva già allora. Cioè chi glielo diceva?
AB: Eh me lo, eh si sapeva, cosa vuole, si è, si diventa svegli anche, quand’anche, anche se siamo bambini ma.
ZG: Senta invece volevo farle le ultime domande. Tornando al quartiere Isola. Quando mi diceva che aveva paura di attraversare la via in cui c’erano prima i fascisti e poi i tedeschi.
AB: Eh sì. Via Guercino guardi, e la Via Guercino c’era il comando tedesco e prima nella via, quella via lì che poi è attraversata da Via Guercino, c’era la Carlo Tenca ed era la sede delle Brigate Nere. Facevano, mettevano paura proprio, vedeva, sentiva questo passo cadenzato erano magari tre o quattro insieme [makes a thumping noise], le cose chiodate credo che avessero i, mettevano paura.
ZG: Ma avevano anche un atteggiamento nei suoi confronti oppure giravano delle voci su qualcosa?
AB: No, dicevano che erano cattivi e andavano a prendere i renitenti, renitenti alla leva venivano. Ogni tanto passavano le ronde, vero, ti ricordi? No, tu non te lo ricordi, io mi ricordo che nella nostra casa c’era un ragazzo, un ragazzo che era un poco più vecchio del e proprio lui che era il fidanzato di una sua amica che aveva la sua età, lui aveva forse due o tre anni più di lei e quando è stato chiamato che aveva giusto vent’anni è stato chiamato perché mandavano a chiamare no, con un foglio così e lui. I suoi hanno fatto così ma hanno fatto male perché poi vivevano male. Hanno chiuso una camera, l’hanno chiusa e come se non esistesse. Avevano tre camere e invece hanno fatto come se fossero due camere. E in quello lì c’era il ragazzo però ogni tanto lui si, guardava fuori dalla finestra e la gente della casa, guardando fuori, lo vedeva che veniva fuori. Poi lui era sparito, ‘sto ragazzo era sparito, perché era come noi, erano tre figli, lui in quella famiglia lì, era tre, di tre figli maschi. Invece noi, una figlia femmina e aveva 25, a quel tempo era del ’25, il primo, il Camillo avrà avuto, sarà stato del ’22 o del ’23, poi c’era il Franco che aveva l’età di mio fratello e poi c’era l’Antonio che era quello che mi accompagnava a scuola quando andavo a fare le medie, che aveva, era forse, io sono del ’32, lui forse era del ’31 o del ’30. E mi ricordo che mi, mi accompagnava lì in via e mia mamma mi lasciava andare perché se no cosa faceva. Io non potevo andare a scuola, lei non poteva mica venirmi a accompagnare che doveva lavorare [unclear] non faceva tutte queste e allora andavo. Erano proprio come una scalletta così e quando è sparito, che non si è visto più il Camillo, eh, dov’è andato a finire, poi abbiamo capito perché la sua casa, il suo appartamento era di tre camere e ad un certo momento si è trovato solo due camere. Perché era lì. Loro lì si vede che gli passavano da mangiare e via.
ZG: Ma ehm, lo hanno scoperto le autorità?
AB: No, non l’hanno scoperto.
ZG: Qaunto tempo ha passato così?
AB: Eh, avrà passato due anni. Eh sì. Ha vissuto male.
ZG: E poi è riapparso, finita la guerra.
AB: Poi è riapparso. Poi era fidanzato con, con la
MB: Con la Bruna.
AB: Con la Bruna.
ZG: Ehm
AB: Che poi non ha sposato però.
ZG: Senta invece, l’altra storia di quartiere, mi può parlarmi di quella di Don Eugenio?
AB: E di Don Eugenio era ritenuto una brava, una bravissima persona, infatti dopo, finita la guerra, è stato l’unico che ha messo su sulla. L’oratorio, nell’oratorio dove prendeva solo i ragazzi, i maschi, non era un oratorio misto. Però lui ha fatto, faceva i film al giovedì e alla domenica mi pare, i film che noi, il cinema non si andava al cinema, invece da lui si vedevano dei bei film, magari.
MB: La sera.
AB: Alla sera.
MB: L’Amante indiana.
AB: L’Amante indiana. Una volta abbiamo visto, sì, era bello. I film che magari non erano recentissimi però per noi erano recente perché non vedevamo mai niente. Cinema, dov’è che, c’era il Vox, c’era il Farini come qui nel, il Vox che era in Via Farini. E il Farini che è in Via Farini. E lì erano due cinema che c’erano in tutta la, in tutta l’Isola. Perché gli altri, non c’erano altri e noi si andava lì a. Ah, poi faceva il teatro e le parti da donna le faceva fare dagli uomini, neh. Eh perché non si usava fare, le ragazze, fate lavorare le ragazze. Però erano belle perché poi a un, ah, ecco dell’Alfredo e del Luciano. Nella casa di Don Eugenio poi era stata messa una famiglia di gente che veniva forse da Rovigo così, neh. Comunque insomma era stata messa che i Bussa erano andati a stare con il Don Eugenio a fare la mamma e la sorella, gli facevano da perpetua diciamo ed erano state, stavano lì in canonica con il e in questa casa è stato il Luciano, c’era l’Alfredo che aveva, era un pochettino più vecchio di te e il Luciano che era un pochettino più vecchio di me. Siccome era un ragazzotto che un po’ avventuroso, il Luciano l’ultimo figlio che ehm, non so, si era messo nei pasticci, era stato messo in prigione a San Vittore. Un ragazzo che poco più vecchio di me, avrà avuto, nel ’44 così avrà avuto, io quanti avevo, avevo dodici anni, lui avrà avuto un quindici anni eh. Era stato messo e allora lì. Sua mamma, siccome noi avevamo la legna, facevamo andare la stufa e avevamo la legna perché mio padre portava a casa dei rimasugli di legna e la sua mamma veniva sempre su da noi che così si scaldava e nello stesso tempo chiacchierava lì con la mia mamma. Mia mamma lavorava a macchina e lei, lei chiacchierava. Era grossa [emphasises], era grossissima. Sì, la mamma del, eh dai, dell’Alfredo, no, no, era, sarà stato un centocinquanta chili. E non avevamo né poltrone né sedie per farla sedere allora si sedeva in una cassa dove c’era dentro la legna, però un giorno si è seduta, l’ha sfondata [laughs], ed è caduta dentro la cassa. La cassa era una cassa di legno ma grande eh, grande così. Il coperchio si è rovesciato e lei è caduta dentro. È che da rompersi l’osso del collo, altro che fare il [unclear].
ZG: E questo, e Don Eugenio ha aiutato il, il ragazzo a San Vittore?
AB: Eh, credo di sì. Eh certo che l’avrà aiutato, avrà cercato di portarlo fuori perché era un suo protetto, era uno di quelli.
ZG: E voi avete scoperto che Don Eugenio ha aiutato degli ebrei e dei partigiani dopo, finita la guerra?
AB: No, questo l’abbiamo, questo l’abbiamo scoperto finita la guerra. Che abbiamo saputo che lui ha salvato degli ebrei e dei partigiani. Mentre invece, sono venuti. Questo l’abbiamo saputo dopo. E quello di, della, quando è stato, è stato un po’, è stato poi mica neanche tanti anni fa che l’hanno, hanno messo l’albero dei giusti. Perché sa che gli ebrei hanno una foresta fatta con gli alberi.
MB: [laughs] Perché sai che, sì [laughs]
AB: E perché, non è così? è vero. C’è una foresta fatta solo di alberi con i nomi dei giusti che hanno aiutato gli ebrei.
ZG: Senta, le faccio le ultime due domande. Il Pippo, cosa si ricorda del Pippo?
AB: E del Pippo dicevano che era un italiano andato in America, un americano che era diventato diventato americano e che veniva a bombardare [background noise]
AB: Buongiorno, scusi tanto. Dicevano così e, si diceva che fosse un italiano americano che avesse delle spiate di qualcuno che gli diceva dove buttare la bomba. Ma lo chiamavano il Pippo, non so io. Era noto dappertutto dicevano il Pippo. Stanotte arriva il Pippo perché guardavano la giornata, se era una bella giornata questo si sapeva quando si, quando era in. Noi, io ero sul Lago Maggiore, se era una bella giornata, oggi il Pippo va a Milano. E noi avevamo paura perché a Milano c’erano tutti, tutti quelli sfollati perché ce n’erano di sfollati lì sul Lago Maggiore.
ZG: Ehm, questa storia qua lì del Pippo chi la raccontava?
AB: Eh ma tutti lo dicevano. Parlando sì, tutti. Perchè vede anche mia sorella lo sapeva che, non sapeva niente mia sorella perché mia sorella non. Io invece parlavo con gli altri bambini, gli altri, perché giocavamo eh, nonostante la guerra, noi si giocava per la strada in Via Confalonieri, si correva, si faceva. Poi nella, nella nostra casa, in Via Confalonieri 11, c’era un bel cortile che adesso dopo ultimamente era diventato il box di tutta la gente che, ma un tempo. Che bel colore di pantaloni che ha, e molto, è vero.
ZG: Senta, proprio ultimissime domande. Lei sapeva chi vi bombardava?
AB: Dicevano gli americani.
ZG: Che cosa, che cosa pensava allora di chi bombardava?
AB: Eh male. Perché devono bombardarci, di colpa non ne abbiamo noi, noi gente. I civili che cosa devono fare? I soldati va bene, sono comandati, ma noi che non eravamo neanche comandati, non sparavamo mica a loro. Eh, bombardarci voleva dire farci fare la morte del topo proprio perché non potevamo scappare, potevamo andare via.
ZG: Finita la guerra, ha più ripensato a, ai bombardamenti, a cosa si provava?
AB: No, perché dopo, quando sono venuti gli americani, gli americani hanno portato l’UNRRA, c’era l’UNRRA che davano le stoffe,
MB: I vestiti.
AB: Che davano i vestiti, così e vabbè, ben, ringraziamo, cosa dobbiamo fare.
ZG: Senta, adesso che cosa pensa invece di chi bombardava?
AB: Eh sempre male perché non era mica giusto. Però d’altra parte anche noi che abbiamo tradito i tedeschi, cosa pretendi. E poi se la prendevano con noi, con la gente inerme, mentre invece erano i capi che avevano sbagliato eh. Il re per esempio si è comportato male.
ZG: Senta, ultimissimissima domanda. La casa di sass, la vostra casa. Esiste ancora?
AB: Sì, certo. Adesso c’è la targa proprio per il Don Eugenio. C’è la targa che all’11 di Via Confalonieri, lei vede la targa proprio che qui è stata la casa dove è vissuto Don Eugenio Bussa, uno dei giusti d’Israele mi pare, mi pare che ci sia. Che è bruttissima. Adesso però l’hanno un po’ rimessa a posto perché mi pare che abbiano messo l’ascensore. Figuriamoci che noi la facevamo tutta a piedi, adesso adesso chissà come farei.
ZG: Senta, io vi ringrazio moltissimo e concluderei l’intervista.
AB: Va bene. Che sono intervenuta quando non dovevo.
ZG: Ma no.
SB: Ma no, ci mancherebbe.
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Title
A name given to the resource
Interview with Annunciata Buffadossi
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Annunciata Buffadossi recollects her wartime life in Milan. Annunciata stresses poor-quality housing in a low-class neighbourhood close to potential targets; emphasises how much she feared Germans and Fascists; and speaks with affection of her old house, a block of flats with shared balconies. Describes the effects of fire on her house and recollects how shelter life was like. Contrasts the boldness of her mother with the behaviour of her father, who was easily frightened in spite of his role as warden. Annunciata stresses her own care-free attitude, explaining how day bombings were welcomed as opportunities to skip school tests, and night attacks regarded as an annoyance rather than a serious menace. Mentions her brief evacuee experience which ended in 1943, when the bombing war intensified and the family resolved to face the danger together in Milan. Describes aircraft flying over Lake Maggiore, and how children tried to guess their target. Describes subterfuges to get food in spite of rationing, and mentions many war-related anecdotes: reprisals and post-war revenge, a draft dodger hiding in a concealed room for years, and military internees. Mentions Eugenio Bussa, one of the Righteous Among the Nations, explaining his benevolent activities, as well as his role as helpers of partisans and Jews. Tells many anecdotes of her relatives, especially in connection with the Duchess of Sartirana and her charitable activities. Describes Pippo as an aircraft piloted by an Italian American, who relied on information passed to him by helpers. Describes Americans as generally hated for the bombing of cities and killing innocent people. Links the bombing war with Italy’s change of allegiance and recognises the contribution of the allied after the end of the conflict.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Zeno Gaiaschi
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-05-28
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
01:19:20 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Po River Valley
Italy--Milan
Italy--Pietra Ligure
Italy--Pallanza
Europe--Lake Maggiore
Italy
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1943
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ABuffadossiA170528
PBuffadossiA1701
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
bombing
childhood in wartime
civil defence
evacuation
fear
Holocaust
home front
perception of bombing war
Pippo
Resistance
round-up
-
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Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Bergomi, Ferruccio
Ferruccio Bergomi
F Bergomi
Description
An account of the resource
One oral history interview with Ferruccio Bergomi who recollects her wartime experiences in the Milan and Mantua areas.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-02-23
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Bergomi, F
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
EP: Ok, comincia. L’intervista è condotta per l’International Bomber Command Centre. L’intervistatore è Erica Picco. L’intervistato è il signor Ferruccio Bergomi. Siamo in [omitted] a Milano, oggi e’ 22 febbraio 2017, sono le ore 16. Presenti nella stanza sono Zeno Gaiaschi e la signora Redaelli Rita, moglie del signor Ferruccio Bergomi.
Va bene possiamo cominciare. Innanzitutto per cominciare, per avvicinarci al tema di questa intervista le chiedo quale è il ricordo più lontano che ha della sua infanzia, prima ancora della guerra.
FB: Ah prima ancora della guerra? Ce ne sono molti. Mi ricordo ancora tante cose. Prima della guerra, nel ’40 dice?
EP: Si. Prima che cominci la guerra dove era, cosa faceva…
FB: Ho capito.
EP: …chi erano i suoi genitori.
FB: Perché io son nato in via Pellitti, al 3 che è qui a Precotto. Son nato qui in via Pellitti al 3. A un anno e due mesi mia madre è venuta in questa casa qui perché ha comprato un negozio di frutta e verdura. Perciò io che son qui è già ottantuno anni. Pensa un po'. E mi ricordo che dove son nato là in via Pellitti, mi ricordo solo, non avevo neanche un anno, una macchinina piccola. Sai quelle come quelle di Topolino con i pedali che guidavo nella via. Basta mi ricordi lì, perché dopo son venuto qui. Quello lì è quello più lontano che mi ricordo, poi qui c’è altra roba.
EP: Quindi i suoi genitori avevano un negozio di frutta e verdura.
FB: No.
EP: Solo la mamma.
FB: Mio padre lavorava alla Breda, mia madre lavorava alla Pirelli quando è venuta a Milano. Poi andava a fare un altro lavoro in Porta Venezia. Perché le al suo paese che sarebbe Cannetto Sull’Oglio, provincia di Mantova, nel mantovano, là c’era la ditta, la prima ditta italiana delle bambole, la Furga perché in Italia è stata la prima ditta la Furga. E lì lavorava dentro, imparava tutto della bambole, non bambole così. Allora aveva imparato, io mi ricordo che da piccolo qui che avevo cinque o sei anni, avevo in casa, ha presente le teste di legno per i cappelli? Ecco, lei faceva, modellava i cappelli, modellava in questo negozio qui di via, di Porta Venezia come secondo lavoro. Dopo è venuta qui, è venuta qui, ha comprato la licenza di questo negozio e andavo al mercato ogni mattina, al mercato all’ingrosso eh, al verziere, che sarebbe là a Porta Vittoria dove c’è la Palazzina Liberty, ecco là c’era il verziere. Adesso è Marinai d’Italia, piazza Marinai d’Italia non lo so. Beh comunque ogni mattina andava, lei. Ma io ero piccolo ed ero qui. Se devo raccontare la mia gioventù qui che giocavo, cosa facevo, noi qui era un disastro. Perché qui prima di tutto le macchine passavano in Viale Monza, perciò qui passavano solo cavalli, cavalli e perciò noi giocavamo sulle strade. Ci son due vie qui, quelle di lì via Ottaviano Vimercati e la via Pericle erano due vie private, due pezzi di via. Noi giovano in mezzo alla strada. Si giocava, mi ricordo sempre, con la rella che sarebbe la lippa, quel bastone che si tirava, e giocavamo con i miei amici, tante volte si rompeva un vetro, e i miei amici siccome erano più poveri di me siccome io avevo il negozio, mi assumevo la responsabilità io che avevo rotto e allora mia madre pagava. Poi si giocava con le cicche, le palline, le biglie su per strada. Si faceva una buchetta e chi tirava dentro più vicino vinceva. Ma eran tutti giochi da ragazzi che adesso gh’en più, non ci sono più perché? Perché con la modernità adess è tutta roba elettronica, eh! Noi facevamo con le scarpe, le scarpe di, che ci metteva le scarpe di cartone, facevamo dei ritagli con un buco stretto, un buco più largo e a forma che passava la biglia, la pallina e da distante si tirava. Allora si dava un numero, tre palline, due, dipende da come era stretto il buco si aveva più, si prendeva più cicche insomma, ecco. Quello lì era un gioco, ma ce ne erano diversi, vediamo se mi ricordo qualcosa d’altro che si faceva, ne facevamo un mucchio. Io poi mi ricordo che in piazzetta qui, qui c’è una piazzettina piccola, mi ricordo, perché qui erano tutti prati, erano tutti prati eh, lì c’erano tutti i fossi, fossi alti, profondi 40 cm, c’erano rane, si andava sempre a rane, qui c’erano le rane, i butaran, i sanguét, se l’era l’alter? Le tarantole, c’era un mucchio di talpe, la talpa che faceva i buchi così. E si andava a rane, pensa si andava a rane. Qui dove abito io, sotto qui, c’era un negozio di merceria. La mamma di questa signora qui, gli piacevano le rane, perciò noi andavamo a pigliar le rane e poi le portavamo qui e lei ci dava una lira. Però cosa succedeva che lei voleva tutte le rane a una misura giusta, cosa dobbiamo fare? [laughs] Si dicono delle cose. Qui esempio c’era una stalla, perché lì c’era una cascina e c’era la stalla. Allora nun andavam a tœu de specie de, ‘ndu El gh’era tuti, lei non sa, ‘ndu el gh’era tuti i melgasc, i melgasc sarebbero le foglie delle pannocchie, che poi num li ciamun a Milan i lœuv, i lœuv, e lì c’erano delle specie di cannucce piccole, e allora num gonfiaum la rana dedree e la tiraum tutt’istèss per prenderla, cose che si facevano e che adesso non si, quelle cose lì neanche da dire, per dire no? I bambini d’oggi più che elettronica, ma d’ingegnosità delle cose [emphasis], num andaum a studia el balun, el carelot, num el ciamavan carelot, una specie di, come dire, c’avevamo il manico così poi c’erano delle sfere sotto così, si spingeva, ma [unclear] insomma si cercava di passare il tempo in quella maniera lì. Un’altra cosa che mi ricordo, ero in piazza, che ero un po' un monello, monello nel senso che ero un ragazzo vivo. Mi s’eri vun che l’era minga bun de star fermo, l’era tut un moviment, l’era tut un moviment, come tutt la vita. Sto fermo adesso perché ormai, riessi pù a far nagòtt. Comunque là mi ricordo che qui c’erano i prati, siccome all’inverno i fossi erano larghi così, profondi così, quando si andava sotto gelo, gelava l’acqua e noi sciavamo su lì, capisce?, dopo non ce ne accorgevamo che qualche giorno la temperatura andava giù e non teneva più il ghiaccio e allora andàum dentro in de l’acqua. Ma qui, quello che è qui, che ce l’ho ancora adesso sul palato, qui si scivolava perché c’era del ghiaccio in piazza, si scivolava. Io avevo uno zufolo, sarebbe quello, ma era quello di latta, ma nel cadere mi si è infilato qui no, può immaginare,no?. Mi han purtà all’ospedal e là m’han dà set u vot punt. Mi mader andava fœura de mat, poi io son figlio unico, può immaginare, ne fasevi de cott e de cru, ne fasevo. Un’altra cosa che mi ricordo, qui c’erano tutti i prati, da Gorla le persone venivano alla Pirelli a lavorare, col semenza, a piedi o in bicicletta qualche volta, lì a piedi venivano un sentiero che c’era una via lì che poi si fermava, venivano. Io abitavo, abito sempre in questa casa, ma abitavo sopra il negozio, che il negozio era in questa casa, abito sopra di là c’era il balcone. In tempo di guerra gh’era una fam che finiva pù, alura sul balcun gh’aveum dü oc, due oche. Io mi ricordo che mia madre, io tenevo la bocca aperta, no! lei teneva la bocca aperta e io le mettevo la polenta per ingrassarla. Queste oche quando passava la gente per strada, ehm, come dire facevo chiasso no? Allora la gente rideva ‘Oh guarda le oche sul balcone!’. Sembra una stupidata, ma c’era, era la verità. Anche quello lì è un ricordo. Poi vedem se gh’e n’è di alter, gh’e n’è mucc de ricordi, ogni tant me sogni de not poi dopo adess la testa la va via, mi ricordi al moment poi dopu mi ricordi pù. Se volevi di, gh’era un’altra roba che volevi di. Poi in tempo di guerra no? Tempo di guerra noi eravamo qui, ragazzi di sette e otto anni. Qui c’era la stazione di Greco, c’era lo scalo merci, gh’eran i tedesch, arrivavan tuti i vaguni pien de roba e num, si i tedesch, se vedeven quei grand che rubavan la roba i sparaven, ma che sem num che serum set, serum fiœu, sparaven si ma per aria, sparaven no adree. Perché ehm e num andaven a cerca de ruba qualcosa perché si rubava. Li c’era la contraerea, contraerea, poi gh’era la Pirelli subit. Noi qui, io qui son stato sotto la scuola perché quel giorno lì si vede che gli apparecchi che bombardavano, l’intenzione era di bombardare la Pirelli o lì. Ma a quell’epoca là non erano precisi come adesso che mirano l’obiettivo e sbaglien no. La bastava set u vott segund, set u vott segund cun l’appareil vor di un chilometro. Ecco perché c’è stato quel disguido lì. Lì loro hanno sbagliato a aspettà e veni giò. Comunque tempo di guerra qui, in via Ruccellai in fondo c’era la contraerea. Noi avevamo come dire i sciuscià, set u vott an, noi qui vedevamo gli apparecchi che là mitragliaven e nun andavum giò, andavum là perché la quando si mitragliava le pallottole erano di ottone, saltavano via cinque o sei metri, noi le raccoglievamo e le andavam a vendere ai strascee, per guadagnar qualcosa, per guadagnar qualcosa. Sa come noi, ghe ne sta’, ghe ne sta’. Io vorrei dire tutto, ma non so se si più. Questa è grossa però. Qui c’erano tutti i negozi sulla piazzetta, di lì c’era un prestinaio. Questo prestinaio, aveva anche, eran tutti dei bazar qui. Mia madre poteva vendere per esempio il pane, la posteria vendeva a parte la rivendita di pane anche loro, tutta la roba, le licenze erano lunghe. C’era mia madre che aveva la frutta e verdura, erba e frutta, poi c’era la posteria, gh’era la pusteria e da la part de la gh’era el prestiné. Dunque el prestiné, che era il padrone della casa, il Bigiogera, ch’el ciamaven il Bigiogera, gente molto come dire, molto cattolica, molto, e difatti il figlio è diventato prete, Don Bigiogera, qui a Precotto c’è la via anche, gli hanno dedicato una via a Don Bigiogera, come gli hanno dedicato la via, dopo le dirò, a Don Carlo Porro che è stato quello che è venuto a tirarmi fuori dalla cantina. Ben, ritornando, noi eravamo dei monelli. Qui c’erano tutti i prati. Cosa succedeva, loro lì avevano l’orto e nell’orto avevano conigli, avevano tutto. Lì gh’era el mur, el cancel, gh’era l’ort, noi cosa facevamo? [laughs] Eravamo in tre, ci davamo il turno, andavamo con tal trifœuj, trifœuj l’era l’erba per i conigli. Noi andavamo lì sempre verso la una quando la gente ce n’era poca, poca e loro erano a mangiare lì dove facevano il pane, non in negozio, erano là seduti, allora dü andaven delà ’eh sem chi sciura Bigiogera‘, perché loro ci davano sempre, e vün rimaneva in negozio e rubavum i sigaret, i pacchetti di sigaret. Se mettevum via, ma un pacchet eh! Ma siccome a quell’epoca lì lei aveva come panettiere uno scaffale a parte dove vendevano le sigarette, così. Ma in tempo di guerra vendevano le sigarette anche una, due, tre, sciolte le vendevano, capisce? Eh, figurati quando mancava un pacchetto, poi loro avranno avuto, secondo me, l’incasso a parte, tanti pacchetti dovevano trovare tanti dané in cassa, invece mancava sempre qualche, mancava sempre qualche soldino perché nun ghe rubavam el pachet, poi andavam in di praa e se mettevum a fumà. Dunque una volta ho toccato a me, loro già si vedeva che subentrava qualcosa già, disen impussibil, allora chela volta lì tucava a mi perché fasevam il turno, tucava a mi star dechi a mett i sigaret, quei li fan minga a temp a anda delà che mi son dechi, ste fet deli Ferruccio?’, ‘a mi nagott!’, g’avevi in man du pacchet de sigarett, vuna lu misa sotto de chi l’alter li musica sota chi…’ahhh brut …vedemm vedemm cusa te ghet li’… ‘mi nagott’ …alsi i brasc e burle gio il pacchet de sigarett. ‘Ghel disi a to mader’...u ciapà una batuda che la finiss pu. Chi gh’era l’ort, l’alter pachet l’u minga mulaa, allora in de l’ort e denter in de l’ort gh’era come se ciama, num ghe disen el pulé, il posto dove c’erano le galline, el cassinot era coperto di lamiera, una lamiera sopra l’altra, chel pacchetto chi me ricordi el nascudenvum sotto che la lamera li. Che la nott lì ghe vegnu giò un acqua che finiva pu e nun ghavevum il penser che ghe l’ha il pacchet de sigarett. A la mattina andem là e il pacchet de sigarett l’era bagnà da matti. Nun ciapem el portun in del prat e metter li a sugà e me ricordi che dopo quand l’era un po asciutto prendevamo e fumavamo, figurett quand un pacchett de sigartett quand tel bagnett e po tel fumett l’era diventa come dire forte. Nun avevun sett u vott an, un mal de testa riusivumm pu a sta in pee, un mal de testa che finiva pu. Chel fatto lì l’é andada insci, ma ho ciapà una batuta dopo non abbiamo più fatto niente. Il tempo di guerra tutti quei prati lì dove c’è la ferrovia erano della Finzi, della Finzi, che avevano la proprietà fino a qui, ma lur andaven anca a caccia denter lì tant la proprietà era vasta perché da qui fino a Gorla erano tutti prati. Lì c’erano tutti dei rovi che si vede che c’erano anche dei conigli che scappavano dechi e delà dei rovi… e nun em vist un di un cunili ‘curega adree!’ Curega adree, va denter in di sti rovi. Mi vu denter, me sunt stremì. U vist un pipistrell a gamba all’aria... e u dì ‘ma se l’è?’ ‘l’è un ratt’. Difatti la faccia è di un topo, con una gamba così in letargo si vede che era lì. Mi ricordo quel fatto li, me sunt stremì, perché qui all’estate fuori dove c’era la cascina lì c’era il lampiun e gh’eran tutti i pipistrell che giraven d’estat. E anche quel fatto lì. Comunque finita la guerra qui d’esempio qui gh’era la rœggia lì che veniva dechi, c’era l’acqua che andava dalla Pirelli e dalla Breda di là che veniva e andava a finire sulla Martesana, ma l’acqua prima della guerra, in temp de guerra l’era no spurca, ecco il perché noi lì c’eran le rane, butaran, c’era di tutto, mentre invece dopo la guerra ha incumincia cun i detersivv, cun i robb, l’acqua la sé spurcada e sparissen tanti robb. Comunque qui c’erano i fossi, noi andavamo a giocare. Si vede che, quando nel ’45, in aprile ha smesso, la gente, i fascisti hann butà via tutt i pugnal, buttavano via tuttii pugnali e rivoltelle gh’era denter de tutt in quei foss lì, noi andavano a prenderli perché eravamo lì a pigliare le rane dopo vedumm cosa el gh’era. Si raccoglievano, eh si! Ma c’è un fatto che voglio raccontare, era il 25 aprile, si la guerra l’era finida, io siamo a casa e vedo tutta la gente che va in Viale Monza , e mi disi ‘in due vann tutta stà gent’, alura vaga adree anca mi, da Viale Monza di qui fino a Loreto a piedi, ma tutt un mucchio di gente, va va va in Piazzal Loreto. In Piazzal Loreto ho visto, al principio di Corso Buenos Aires, venendo da Viale Monza a destra sull’angolo c’era un distributore di benzina e li c’eran tutti a gambe all’aria: Starace, Mussolini, la Petacci, tutti i caporioni gerarchici, set u vott a gambe all’aria che mi hanno fatto un’impressione sporchi di sangue. Te podet immaginass, mi quand u vist sunt scapà via, sun vegnu a cà, mia mader la me cercava ‘ma in du te se stà?’, ‘in due te se stà’, ma mi… bott de legnamè anca lì, la vureva no che andavi là, figures ti, andavi là dopo magari ehm, la me dava un qualcosa per andà al cinema. Ma pero’. Comunque anche lì. Un altro fatto finita la guerra noi andavamo da qui, l’è no cum adess che vann in piscina a imparà a nuotare e una roba, ghe n’era no de piscin chi, gheren sul in centro, i piscin chi gheren no, ho un imparà a balà, no balà, a nuotare. C’era un posto qui a Gorla dove c’è la Martesana, c’erano una specie de rœggia, la ciamavumm l’Acqua Alta, le davamo un nome, e li c’era un bel spiass, questa era profonda 50 cm. Si andava lì per imparare a dieci anni a nuotare, si nuotava a cagnott , nun disevumm a cagnott perché è come i cani. Dopo quando abbiamo imparato un po' siamo andati nella Martesana, che ha il naviglio piccolo. Lì, in quella piazza lì, non c’era mai nessuno in quella piazza lì. Quella mattina lì un mucc de cararmà, saren sta vott o des cararmà. ‘Ma chi in che la gent chi?’ Num gaveum des ann, ‘chi eren gli american?’. Num se s’erum curuius, se serum suscià, insomma gaveum des ann, serum curiuss serum dedree per anda suu un cararmà, senti un negher ‘scric, spirg, sprag, scracc’ [mimics English gobbledygook]. Nun una paura che finiva pù, u dì chi me la fu adoss. Insomma mi ha sgridato, e mi gu fa ‘menelich’, allora u fa inscì. U dì chel lì tira fora una spada, el me massa. E invece l’ha tirà fora una slepa che ciculatt lunga inscì , po' me la dada e ma fa inscì, me dì va va. Anche lì i ricordi eh insomma, avevo 11 anni, nem fa pecc che Bertold. Num in temp de guerra l’è no cume adess te pudevet no andà fora cà, nun andavum a scola, mi sun andà chi, vegnuvum a cà e mi mader cul negozi cume la faseva a curamm, me pader l’era a laurà me mader gh’era me nona, mi seri semper fora in mess al praa, sula strada però gh’era no i pericul che gh’era adess, adess te podet no mett un pè fora cà se te stè eminga guardà te tiren sota e bundì che tu vist. E insciii l’è pasada fin a des an, dopo cosa l’ha vorr savè ghe né tante, ah un’altra roba la stasiun de Grec ho detto che c’erano le merci, pasaven de chi i carr cui cavai, i cavai gh’aveven i carett dedrè lung avert, e caricavano le balle di, grosse di, come si chiama, di lana, di lana ancora vergine. Noi cosa facevamo? Il temp de guerra ghe n’era minga de materass chi. Andavamo in ultimo, il cavall l’era davanti e il carr l’era lung e nun serum dedree, gaveva la frusta. Nun cusa faseum? Con un cultellin tajavum un angul e tiravum fora sta lana grezza, e pian painin da chi andavum fina chi sul Vial Munsa, quando si arrivava lì, che ciamavum Villanova, adess se ciama pù Villanova, dove c’è, dove c’era il Gaetano Pini, di lì dovevano lasciare stare perché di lì c’erano quelli delle case popolari che andava avanti loro nella via perché noi con loro eravamo sempre in guerra, noi da qui l’è semper star paes cun paes, perché era un paes, era sotto Milano ma l’era ancora un paes, paes cun paes. Gh’era sempre, tiravum la sassaiola, quando noi dovevano andare a Gorla, se eravamo quattro o cinque andavamo, ma andare uno solo o due non rischiavamo, perché l’era semper una guerra, bott, eren bott che se ciapava, e po' dopu se schersava. Se posso dire quella cosa lì, voi dopo la potete tagliare dopo?
EP: Si lascia così com’è. Quindi se lei
FB: No, non è che sia una cosa, però insomma. L’è mei de no, l’è mei de no, se schersava semper. Quelli di Gorla cun quei de Precott, perché insomma m’il disi…
Unidentifiable speaker: No, no.
FB: Si m’il disi. Se scherzaven e me diseven ‘i pilot de precott van in gesa a vott a vott, vegnen fora a du a du, cun la merda tacà al cù’ [laughs]. A quell’epoca lì era così insomma. E poi dopo si va avanti e qui fino a dodici anni. Dopo a nove anni è successo questo, che sono rimasto sotto la scuola, facevo la quarta allora, quando è suonato l’allarme, quel giorno lì abbiamo appena appena fatto in tempo, noi siamo stati l’ultima, ad andare in cantina nel rifugio sotto che porta al rifugio gh’era il maester, ho sentito ‘zin zin’, tutte le luci così con gli spostamenti d’aria, perché noi lì se le bombe andavano su là serum mort tucc cume a Gorla. A Gorla li hanno presi tutti sulla scala, eran tre piani, perché come dico non era ancora da finire l’allarme che erano già qui a bombardare, han bombardato. Lì da noi qualche anno fa, des anna fa, han fa lo stabiliment lì visin a 50 meter, e avevan trovato ancora una bomba di quelle lì che avevano sganciato in tempo di guerra, l’era alta du meter con un diametro inscì. Comunque sono venuti tutti, vint, trenta, quaranta meter dala scola, in torno [unclear[ e noi sotto lì tutt’un buio pulver e bumb. Chi cosa sem? Gh’é passà cinq u des minut, ho visto che dal finestrino ha rotto il vetro del noster, don Carlo Porro quando ha visto che [background noise] ed è venuto a prenderci, io ho visto la luce là, sun stà vun dei primi a vegni fora, ho camminà sui test di tutt i alter e sun andà e sun vegnu fora. Uscendo dalla scuola appena fuori dal cancello, c’era una bomba, si vede un buco di una bomba di un diametro grosso pù se gross de che la stansa chi, con un cavallo, un cavallo morto sull’orlo lì. Questo in Viale Monza, dall’altro, Viale Monza una volta c’era qui Viale Monza e qui c’erano i binari del tram. C’era il tram perché il binario del tram, una volta cosa c’era? C’era il tram che faceva scalo, faceva, come dire, fino a Sesto San Giovanni alla Marelli e si fermava e lì c’era il deposito e si fermava, da lì veniva a Milano e veniva a Porta Venezia, e lì faceva anche lì lo scalo. Mentre l’altro, ce ne erano due, l’altro andava fino in Piazza Domm, in Piazza Domm el girava, el turnava de chi, el faseva la stessa linea del vun, però se fermava no a Sest, ma andava a Munsa, fino a Monza quello là. Invece questo qui aveva, la, la. Comunque noi io mi ricordo perché ho fatto, andavo a Sesto a scuola, quarantases, quaratasett, la prima cummercial, la secunda cummercial, andavamo a Sesto e mi ricordo ci fermavamo al rondò e proprio davanti, no al rondò, se fermuvum al Campari, davanti al Campari la fermada, lo stabilimento del Campari, quello originale, adesso l’hann rimudernan, han fat el labutratori, mi sun no cus an fa, ma me ricordi che un an, perché poi lì c’è una via a parte che portava portava alla scuola, quella scuola lì era una scuola della Breda. Mio padre lavorava alla Breda, allora tutti i figli che avevano li mandavano lì, se potevano. Perché ero andato qui in Via Settembrini a Milano ma il posto non c’era già più, eren tutt uccupat e alura sun andà lì, quella via lì mi ricordo, quell’anno lì ha nevicato, quaranta ghei, mi ricordo che andavamo e facevamo le belle statuine, in pee ci buttavamo dietro, c’erano quaranta ghei de nev, tanto per dire. E quello per divertirci, non per nient’altro. E lì è passà anca lì. Vedem se ghe n’è anca mo, perché ghe n’è tant. Mi ormai ho perdu la memoria.
EP: Io volevo chiederle, in particolare, cosa succedeva dal suono della sirena in poi. Cioè, cosa facevate, come vi organizzavate proprio?
FB: C’eran i maester che portavan giù le classi, quando ha suonato. Ma non appena ha finito da suonare, erano già qui a bombardare. Ecco il perché, come dico, là li han presi anche sulle scale, perché là non è come qui che c’era un piano rialzato, chi l’è pian rialsà, là c’eran tre piani. Là come ha suonato si son messi a scendere in cantina in rifugio, eh, eh! Li han presi in pieno là. Chi ne masaven anche nun se le bombe andavano su. Cosa te vorret, gli spostamenti, quelle bombe lì grosse così. Noi qui, in questa casa qui dove abito c’era il rifugio, perché per le strade in tempo di guerra c’erano i portoni con le frecce che segnavano il rifugio. Quando suonava, uno si trovava in strada, quando suonava l’allarme dove si trovava in un portone che c’era la freccia, ma segnavano certe case, certe no. Perché qui, questa casa qui, è fatta di cemento armato sotto, perciò se la bomba cadeva dal tetto non riusciva ad arrivare fino alla cantina, magari l‘arrivava terz pian, prim pian, terz pian, segund, prim, e al pian terreno si fermava perché cun el cement che gh’era la cantina non riusciva. E quelle erano le case dove c’era più riparo, meno pericoli insomma. Eh ma tanta gente che veniva, quando si suonava, ogni volta che suonava l’allarme scapaven tuc. Una volta poi i cortili come noi qui questa casa qui di ringhiera con il cortile, era aperto, la gente ad esempio aveva i bisogni per strada, adesso te gh’et i bisogn per strada bisogna che te vet in un bar, che te bevet un caffè o qualcosa e poi quando le chiedi la chiave quella arriccia el nas perché sembra che, invece una volta tutte le case con i cortili tu entravi dentro e c’era proprio i cosi, gh’eran le turche però c’erano i servizi, una volta. Adesso invece...
EP: Invece riguardo alla giornata proprio del bombardamento a scuola, se può raccontarmi meglio che cosa è successo, in particolare dal momento in cui è avvenuto il bombardamento a quando poi alla fine è tornato a casa.
FB: Ecco, allora nell’uscire ho visto sto cavallo morto con la bomba. C’era il tram con i vetri tutti rotti. Sull’angolo della mia via c’era una donna morta che aveva in mano ancora del pane. Lei non so lei da dove è venuta adesso, ma dalla via Bressan a Viale Monza a venire in fondo, quando han saputo che qua han bombardato la scuola, tutta la gente qui, le mamme, venivano. E io son stato uno dei primi che veniva. Dondolavo un po'. Allora qui c’era la salumiera che aveva la figlia che aveva la mia età. La m’a incontrà a metà strada, ‘Ferruccio, la mia Giulia?’ ‘Ah mi so nagott, mi so nagott’, ero un po' intontito praticamente. Son quasi arrivato qui nella piazzetta a casa, mi son ricordato che ho dimenticato il cappello, stavo per tornare, pensa tì!, ‘te set mat, te set mat’. E difatti dopo mia madre mi ha preso. C’avevo un altro amico che giù si vede che qualche calcinaccio così, mes matun, l’ha preso nella testa. E qui in Via Ruccellai c’era la Croce Rossa, l’han portato lì e l’han medicato lì. Ma dopo s’en vist pù. Dopo la quinta elementare l’abbiam fatta qui dal Fantaursu. Il Fantaursu era una ditta che al mattino facevamo la scuola, al mezzogiorno c’era la mensa e certe volte la sera ballavano. Pensa tì che scola! Mi ricordì ch’el maester lì chissà che dispiaser. El sembrava ciuc tuti i dì. Chissà chel dispiasé ch’el gh’avrà avu chel om lì. Veniva da Monza. Comunque fino alla quinta così. Dalla prima alla quinta, no un momento. Prima e segunda l’u fata a Precott la scola, la terza in Via Russo a Turro, la quarta son tornato qui a Precotto, la quinta l’ho fatta qui in via Ruccellai. Quegli anni lì, da quando han bombardato la scuola, la scuola l’han fada pù dopo. Chel an adree l’han minga fada. Poi cosa c’era ancora?
EP: Eh volevo chiederle in generale aldilà della volta della scuola, se è stato altre volte in rifugio per degli allarmi, se le è capitato in altri momenti di stare nel rifugio e in generale che cosa succedeva dentro al rifugio.
FB: Ah, ecco. Adesso glielo dico. Prima di tutto in tempo di guerra tutti i tuoi beni che avevi, avevi la borsetta sul comò e quand suonava l’allarme la prima roba era di prender i tuoi averi e di andare giù. Noi avevamo qui una cantina che quando siamo stati giù nei tubi della fogna, di grezzo grossi così, noi eravamo qui seduti perché c’erano le panche di legno e sui tubi c’erano dei topi lunghi così, che erano lì così che ci guardavano. Perché qui finita la guerra, i ciaparat venivan avanti un mes coi gabi a prender topi, avevano fatto un buco in giardino lì. C’era il giardino, avevano fatto un buco in giardino, ma grosso, grossissimo. Prendevano i topi e li annegavano dentro là. Ma i andà avanti un mes. E dopo un mese, dopo un mese avevamo messo dentro quattro, cinque gatti alla mattina. Alla sera abbiamo aperto la porta e i gatti lì erano tutti lì aggrappati alla porta perché erano mezzi, mes scagnà insomma, mezzi morsicati perciò var tì i topi che c’erano, perché la fogna noi non è come adesso che è giù. Comincia dal terzo piano la fogna, la pattumiera, tu al terzo piano davi la pattumiera, arrivava al secondo, primo, piano terra e cantina. La cantina era una stanza, la pattumiera andava tutta lì. Perché i ruer quand veniven, i ruer veniven con el gerlo e butaven su la patumiera e gh’eran i topi così che veniven fora. L’era un disaster, un disaster. Mi ricordo sempre che io avevo giù una cantina che era grossissima, non c’erano cantine, c’erano solo le cantine di là e mia madre metteva tutte le cassette di legno. Quando andavamo giù con gli zoccoli, io andavo giù con gli zoccoli, quando salivo ero più alto dieci centimetri perché la cacca dei ratti si metteva sotto. Mi alzavo tanto così. Guarda che son ricordi che mia madre una volta mi fa ‘ho visto due topi [background noise], uno andar di qui, uno di là, mi fa vuoi vedere che di là nella casettina ci sono i piccoli?’
[Indistinct chatter and various peole talking]
EP: Riprendiamo l’intervista.
FB: In cantina, la pattumiera andava fino in cantina. El ruer con il carretto veniva a prendere tutta la e li portava su con il gerlo e li vuotava. Poi dopo la guerra ha cominciato a… Noi qui abbiam chiuso la pattumiera perché qui c’eran due pattumiere, una qui e una di là. Ecco perché c’è quel detto lì ch’el disen, se lei le fa caso, noi nei ballotoi qui, noi qui abbiamo i gabinetti fuori, la pattumiera e poi in fund gh’è la ringhiera. Allora quando si diceva scherzando ‘dove te abitet?’ ‘Abite in Via Cucumer la porta senza numer, in fund a la ringhera tra il cess e la ruera’. E infatti qui è proprio così, perché se tu vedi fuori qui ci sono i gabinetti, di là gh’è la ruera e là in fund gh’è la ringhera. Questo per dire, poi qui i locali son due locali. Una volta faseven stansa e cucina, non ce n’era d’altre cose perché i servisi gh’eren fora. I nostri servisi eren fora. Di là in fund gh’aveven i doppi servisi, perché gh’aveven du urinari. [laughs] [unclear] Così, poi di qui cosa c’era ancora.
EP: Volevo chiederle una volta finita la guerra che sensazioni le sono rimaste di lei bambino che ha comunque vissuto queste esperienze. Nel momento in cui è finita la guerra lei si ricorda proprio il giorno della Liberazione, si ricorda che cosa è successo.
FB: El venticinq april.
EP: E un po' come era il clima dopo la guerra. Nei primi periodi.
FB: Io dico la verità, come ho detto prima, il 25 aprile c’erano i carroarmati là, ma dopo io mi ritengo fortunato perché mia madre aveva il negozio e io per quanto la fame non l’ho minga patida, si c’era la fame perché lo zucchero l’era una melassa, una melassa marun per dire, il pane bianco non c’era, c’era la crusca per dire. Poi mia madre faceva della borsa nera eh, nel senso che aveva il negozio a quarantasette anni è andata due volte da Milano al paese che là avevano le zie e le sorelle e là uccidevano il maiale, là mi ricordo che il pane in cortile lo facevano loro nel forno, mi ricordi amò che gh’era el pus, l’acqua la veniva su del pus, mi ricordi che guardavi in fund e gh’era anche della erbina, perdio che vita! E da là portava a casa le uova con due valige, pane bianco, un po' di maiale così, sempre a borsa nera e dopo chi la vendeva? La vendeva un pù, l’era l’epoca inscì dopo la guerra. Perché dopo la guerra c’erano le tessere per andare a far spesa. Mia madre la gh’aveva muc de tessere de dà. Mi ricordo che apriva la cler del negozio alle quattro e aveva le patate, perché andava a prendere le patate in tempo di guerra dal verziere, e le davano si e no mezzo quintale di patate, lei apriva la cler, si era in due in famiglia mezzo chilo, se eran in quattro un chilo, tu non potevi dire dammene un chilo e mangiarne un chilo, li suddivideva sennò non ce ne erano per tutti. Eh insomma, la vida l’è fada inscì. Io dopo la guerra mi ritengo fortunato che come figlio e figlio unico non avevo come tanti, io mi ricordo che anche dopo che avevo quindici sedici anni mi ricordo che c’è stato l’alluvione del Polesine nel ’51, mi ricordo che è venuta qui una famiglia che ha abitato qui nella cascina in una stanza di sette o otto metri, erano in sette. Il maggiore aveva diciassette anni mi sembra, io tutte le canottiere, le camice andavano a finire a lu. Lu gliele passava agli alter fratei, per dirti no. Poi quando andavamo fuori io avevo sempre qualcosa, lui non aveva niente, allora andavamo in compagnia, non mi ha mai chiesto niente, pagavi semper mi, ero contento così e anche per la compagnia, non è che mi importava, per dire. Poi le cose son cambiate, perché dopo comincia il benessere del, come dire, del ’60, poi c’è stato il boom. Comunque il negozio di mia madre lavorava, dopo la guerra un disastro. In tempo di guerra mi ricordo la scena, c’era una specie, mia madre la vureva no che andavi lì, c’era una specie di barboni, e io andavo lì e le portavo sempre qualcosa [pause] la vuleva no, perché ogni volta che andavi lì poi son andato dal parrucchiere e gh’aveva tutti i pioc in testa, [laughs] avevi i pioc in testa, mi han tagliai i cavei e m’a mis el petroli in testa. Io ricordo che a quello lì gli avevo portato delle ciliegie, pensa te, e ne aveva mangiate due chili e l’è mort. I scires, butava minga fora il gandulin, mangiava i scires cul gandulin. Figuret cun la fam ch’el gh’era. Ma lui sarà morto anche, non per quel fatto lì, ma comunque quella volta lì, non mi ricordi neanche come se ciamava. Qui cerano due cascine, finita questa casa qui c’era una cascina, poi c’era un’altra cascina di là e quella c’è ancora ristrutturata. Di là c’erano le stalle e anche di qui c’erano le stalle. Mi ricordo e una volta l’era inscì.
EP: E i suoi genitori cosa pensavano della guerra, gliene parlavano, se ne parlava a casa di che cosa stava succedendo sui fronti, di cosa stava succedendo a livello anche di situazione generale.
FB: Guardi per la verità ne ho mai sentu discuter de la guerra. Eravamo tanto presi per le nostre cose che la guerra la gh’era e basta. Poi io ero figlio unico, ero lì, non è che avevo dei fratelli che, loro erano qui e io avevo degli zii qui, perché mia madre è venuta qui dal paese nel 1920 o 22 su di lì, perché là al paese non c’era sbocco, perché al paese era morto mio nonno. Mio nonno aveva una osteria là grossa, ma una volta l’era el massuan, uccideva i maiali, faceva un po' di tutto, l’osteria così. Sta persona andava a prendere il vino, andava a prender l’uva per pigiarla e l’han trovato a Ca’ de Botti, è un paese fuori Cremona, tra Cremona e, han visto il carretto con il cavallo che non c’era nessuno, son tornati e han visto lui che era là in mezzo a un prato lung e distess. Non si sa cosa è successo. Dicono che, mi ghe credi poc, sai quell’epoca là poi, dicono che nel coprire il carro dell’uva c’era il temporale si sono imbizzarriti i cosi, è caduti è passato sotto le ruote ed è morto dissanguato. Comunque una cosa che finita lì, difatti mia nonna con sette figli, a dar de mangià a set fieu, mi mader era la magiur, cheschi l’è mort nel quatordes, nel quatordes o sedes? Ha prosciugato tutto quello che c’era là, casa o non casa, io mi ricordo che dopo son venuti qui e han venduto la proprietà nel ’26 o ’28 là al paese, c’era un bel cortile. Io in tempo di guerra ero là, perché dentro la casa c’erano dentro le mie zie, le mie due zie, loro che erano là dentro, in tempo di guerra. Mi ricordo che andavo là dopo la scuola. Chi parlavi en milanes e là quand su andà là quando ritornavo a settembre parlavo il dialetto mantovano. Perché adesso ti dico una cosa, la verità, nun che serum chi a Milan in periferia prima che parlaum l’italiano fino a quasi dodes an parlavum tutti el milanes. Era difficile per noi parlare l’italiano pensa ti! Non come i merdionali che parlen el so dialet, ma l’italian. Mi prima di imparà qualche parola di italiano diseven di chi stravacat che finiven pù, diseven. [laughs] Perchè non riuscivo. Eravamo talmente, invece i miei figli si capisen un pù el milanes. Noi abbiamo sempre parlato milanes in casa, l’italiano el milanes, però tante cose i miei figli parlen no. Loro solo italiano.
EP: E per avviarci a salutarci, le faccio questa ultima domanda che riguarda i bombardamenti proprio. Volevo chiederle riguardo appunto ai bombardamenti cosa pensava all’epoca di chi stava bombardando. Si è mai chiesto da bambino come mai stava succedendo tutto questo.
FB: Quella è una bella domanda. Io so che c’era la guerra, cosa buoi? Mi chiedevo come mai bumbarden chi e minga là sul frunt?, in là sul frunt e cosa centriamo noi che siamo qui? Per dire! Le spiego una cosa. A Gorla che han preso e han ucciso quei duecento così, lei può immaginarsi i parenti delle vittime, le famiglie, i parenti, per generazioni, fino alla quarta generazione, in passà vin, quanranta, fin a sessant’an, lì c’era il partito comunista al boschetto, erano il 98% tutti comunisti, ma per forza i aveven su con gli americani che gli aveven burbardà, e erano tutti comunisti. Difatti lì c’è ancora la sezione adesso, perché tutte le altre generazioni, sa dopo passano gli anni e con gli anni i figli dei figli non han provato queste cose, non han sentito, va a finire che dopo la cosa diventa così. Ma i primi quarant’anni infatti qui a Greco c’era, come entravi dal cimitero, l’entrata così di qui e di qui c’erano tutti i monumenti dei bambini, tutti i monumenti dei bambini. Son stati lì su no quanti anni. Il pensiero era quello. Qui, non avevo nessun fratello che mi è morto, nessuno, cosa vuoi, la guerra è guerra. Però i bombardament l’è i bombardament. Io posso pensare, per forza i siriani ghe l’han su, ma gh’an minga neanche tant tort. Là continuano a bombardà, ma là ammazzan tuta gent che ghe centra nient, gh’è centra nient cun la guera. E poo i ammasen, per forza dopo gliel’han su con questo e con quell’altro. Bisogna anche guardare questo e non soltanto i fatti lì. Comunque mi a dir la verità, la guerra si è stata la guerra, eravamo bambini, si era mai fermo s’eri semper fora, l’eri un sciuscià, guarda a Napoli, se stavi a Napoli, eravamo ragazzi di strada praticamente e perché mi mader nel negosi la podeva minga stam adree, venivi a ca, mangiavi e andavi fora, tornavi alla sera, fasevi el bagn, el bagn nel mastel in curtil, con un sidel addos fasevi un bel bagn. Poi c’era qui in cortile c’era la tromba, mi ricordo la tromba. E la gente qui nella tromba c’era una coperta, c’era uno spiazzo che la gente andava giù a lavare quand gh’era giò vun, gh’era giò vun, quand gh’era giò l’alter gh’era giò l’alter. Andeven giò a lavà, in ca gh’era no la lavatris. Laveven giò, ma io vedevo che la tromba pompava così e veniva su dell’acqua pulita, gelata, buonissima, perché qui in queste zone qui noi giocavamo alle belle statuine. Sa cosa vuol dire le belle statuine? Con la creta, te andavet giò con la creta, dieci centimentri sotto gh’era la, come se ciama, la creta e si giocava così. Ecco perché qui, ciaman Precott anche per quel, perché qui c’eran delle, come dire, fabbriche di mattoni, per forza han trovato il terreno adatto per poterle cuocere e allora. Va bene.
EP: Va bene. Io la ringrazio moltissimo perché è stata un’intervista molto ricca. Possiamo interrompere la registrazione.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Ferruccio Bergomi
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Ferruccio Bergomi recalls his early life as a street urchin in the Precotto neighbourhood in Milan - describes monkey business, horseplay, fierce rivalries, melees, pilfering sundries and street games with friends. Gives an eyewitness account of the Precotto primary school bombing, when he was trapped under debris and eventually rescued by Carlo Porro. Compares this event to the Gorla primary school bombing, stressing how the explosions started immediately after the alarm had sounded, a fact that explains the high number of victims. Describes the appalling conditions of a private shelter, highlighting the menacing presence of big aggressive rats. Mentions his experience as an evacuee in Mantova. Recollects the end of the war, the arrival of the Allies in Milan and gives an exhaustive account of the life in a tenement with communal balconies. Recalls the day he saw Mussolini and other fascist leaders strung upside down in Piazzale Loreto. Describes briefly his post-war life, stressing how hardships lasted well into the fifties. Reflects on the morality of the bombing war, using Syria as a comparison. Stresses that the Gorla and Precotto districts were disproportionately inhabited by Communist voters, explaining this fact as resentment for being bombed by the Allied.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Erica Picco
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC DIgital Archive
Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-02-23
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Greta Fedele
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
01:03:00 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ABergomiF170223
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Po River Valley
Italy--Milan
Italy--Mantua
Italy
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1944-10-20
Rights
Information about rights held in and over the resource
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Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
bombing
bombing of Milan (20 October 1944)
childhood in wartime
evacuation
fear
home front
memorial
Mussolini, Benito (1883-1945)
perception of bombing war
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/68/715/PVentrigliaS1701.2.jpg
2417eec6737fadb7ac8ec0e05a1fc4ad
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3acd9e9d823a6dc6f94733e405d5753a
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Ventriglia, Sarah
Ventriglia, Vincenzina
S Ventriglia
V Ventriglia
Description
An account of the resource
One oral history interview with Sarah Ventriglia who recollects her wartime experiences in the Milan and Lodi areas.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-07-25
Rights
Information about rights held in and over the resource
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Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Ventriglia, V
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A resource consisting primarily of recorded human voice.
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L’intervista è condotta per l’International Bomber Command Centre. L’intervistatore è Sara Buda. L’intervistata è Vincenzina Ventriglia. Nella stanza sono presenti Sara Troglio e Greta Fedele dell’Associazione Lapsus. L’intervista ha luogo in [omitted] a Milano presso l’abitazione della sorella della signora Ventriglia. Oggi è il 25 luglio 2017.
VV: Oh, no!
SB: E’ presente anche un gatto che non riusciamo a contenere.
VV: Stai giu’, allora stai qui buono.
SB: Allora, cominciamo da prima della guerra. Cerchiamo di capire un pochino quale fosse…
VV: Ecco, il mio primo ricordo di quello che poi è successo della guerra è che ero ai giardinetti, abitavamo in Viale della Argonne e davanti c’erano i giardini…
SB: A Milano?
VV: A Milano. Avevamo una signora. E in quel momento, mentre eravamo seduti lì abbiamo sentito la voce del duce ,molto forte, che stava facendo la dichiarazione di guerra. Quello è stata la prima cosa che… mi pare che era il dieci giugno qualcosa, eh questo. Poi tutto il resto è venuto dopo, e ho sopportato tutto, ma tante cose, non so i rifugi, i rifugi alla sera andavamo nel rifugio ma non nel nostro perché non era abbastanza forte, e andavamo in una casa vicina, nella cantina di una casa vicina che aveva il rifugio fortificato [laughs], mentre noi avevamo un rifugio molto debole. E mi ricordo che alla sera la mamma appena c’era l’allarme ci faceva vestire a tutte, eravamo tre, Adriana era ancora…, e ci vestivamo in fretta e correvamo a questo rifugio che era, diciamo a poco, venti trenta metri da noi, così, basta. Io poi avevo il vizio che quando mia madre mi vestiva dopo pensavo che era ora di andare a letto e mi rispogliavo [laughs]. La mettevo sempre in crisi. Poi stando nel rifugio non è che mi preoccupava molto, ecco, stavo lì e non pensavo che poteva succedere qualcosa di terribile o, però dopo quando poi siamo partiti per Ospedaletto Lodigiano, siamo sfollati, ma è stato dopo il bombardamento che c’è stato forte nel ’43 perche’ io dal fondo della via ero fuori, correvo a casa perché c’era l’allarme ho visto una casa grande in fondo alla strada che bruciava, cioè era stata bombardata e quello mi è rimasto proprio nella mente sempre, per sempre. Dopo altre cose dopo siamo partiti, siamo andati a Ospedaletto Lodigiano, eravamo nascosti, anche perché la mamma si nascondeva non solo per i bombardamenti ma perché essendo ebrea aveva molta paura. Il papà essendo cattolico aveva degli amici, perché lui lavorava in Prefettura a Milano, aveva amici che quando sapevano che i Carabinieri arrivavano vicino a noi, a Orio Litta da quelle parti, c’era la mamma che prendeva Adriana che era piccolissima, la metteva sul sellino della bicicletta e scappava nella campagna. Noi restavamo a casa, però insomma, poteva succedere anche a noi, però no. Poi oltre a noi avevamo a casa lì a Ospedaletto una zia di papà che era scappata, una sorella di papà che era scappata dal meridione, che era venuta per salvarsi su al nord e con una zia sua, quindi eravamo in casa con questa persone, inoltre in un altro appartamento c’era un mio prozio da parte della mia mamma, veronese, che era un fratello della mia nonna. La mia nonna poi è stata presa in Svizzera, cioè non in Svizzera, beh questo dopo. E quindi anche questo zio abitava lì, lui da Verona era scappato, come sua moglie era cattolica e aveva una figlia, erano andati a Verona per prendere la zia, però lei ha detto ’ma io sono cattolica, poi sono una ragazza madre‘ come se non avesse il marito, mentre lo zio era a Ospedaletto. E dopo allora lo zio era difeso, era protetto dal parroco del paese che stava sempre nelle zone del parroco e insomma si era fatto un piccolo centro per lui, è stato lì sempre e si è salvato. Mentre la mia nonna, la mamma di mia mamma, che era anche lì in quel paese sfollata per un po', era in una cascina vicino. Noi eravamo ospiti, era come un ristorante albergo che però ormai dava gli appartamenti così agli sfollati. Allora, era in una cascina vicino a noi e stava lì insieme a mia zia, cioè la sorella di mia madre che non era sposata, era fidanzata con un cattolico che stava a Milano e la zia, purtroppo a un certo punto veniva corteggiata e seguita da un gerarca fascista che abitava proprio lì in un altro appartamento della cascina, quindi non ha più potuto vivere lì, ha dovuto ripartire, è venuta a Milano ed era ospitata da una cognata del suo fidanzato e abitava in via Archimede, eh io mi ricordo tutto questo. Poi era nascosta lì e mi ricordo che la mia mamma quando siamo tornati da Ospedaletto, che non siamo stati lì molto, siamo ripartiti da Ospedaletto a gennaio, febbraio del ’44, perché mio papà venendo a Ospedaletto era stato mitragliato sul treno, quindi non volevamo più, mia mamma non voleva più che corresse questo rischio, siamo tornati a Milano. E siamo andati a vivere a casa della nonna che la nonna non c’era più, era stata presa. Allora la nonna è partita il 5 dicembre, il 5 dicembre del ’43 è stata arrestata. Mio zio che poi aveva perso il lavoro nel ’38, io me lo ricordo quando lui parlava di questo, mio zio non poteva più lavorare, me lo ricordo ancora adesso che parlava con mia mamma ‘non so cosa farò’, poi ha fatto il maestro di sci, è diventato un grande maestro di sci, ha fatto un lavoro indipendente. Ecco, volevo dire che lui e la mia zia sono partiti con la nonna per accompagnarla in Svizzera, e io me la ricordo la nonna quando è partita da Ospedaletto, mi ricordo ancora la corriera che ha preso, perché sono scesa per salutarla, la corriera me la ricordo come se la vedessi adesso, con la pelliccia nera sulla porta della corriera mi salutava. [weeps] E così dopo di allora non abbiamo più saputo niente di lei. La mia sorella più piccola di me, però più grande di Adriana, in mezzo, che vive in America, lei ha dei ricordi vivissimi. Lei invece si ricorda che quando la nonna è partita, lei stava salendo la scala per tornare a casa e la nonna scendeva e si è fermata e gli ha detto ‘Ciao, io vado via‘, lei gli ha detto ’Ma perché vai via?’, così è rimasto il ricordo della nonna. Dopo quando è arrivata in Svizzera con lo zio e la zia che l’hanno accompagnata, non è stata ricevuta, cioè l’hanno scacciata insieme ad altre quindici persone, dicevano perché non aveva ancora sessant’anni, però non lo so per quale motivo. E poi sono scappati tutti insieme, sono arrivati fino a Pino, a Varese e l’hanno arrestata a Pino, poi è passata alla prigione di Varese, dopo è passata a San Vittore, mi sembra quinto raggio, e la mamma mia quando ha saputo che era lì voleva andarla a trovare. È andata al comanda dei tedeschi qui a Milano, e ha detto che voleva parlare con loro, allora una persona che era lì di guardia ’Ma signora lei è sicura che vuole parlare? Guardi vada a casa, non si fermi qua, non insista‘ e così la mamma è tornata a casa, perché se avesse parlato con loro. Così non ha potuto neanche vederla quando era in prigione. Però lei ha mandato una cartolina a una vicina di casa, la nonna, dicendo che, credo che ce l’abbiamo ancora che sia nell’archivio, dicendo che era lì e che così e basta. È stato così. Dopo di allora, insomma tutte cose che, non si trovava la ragione di tutto questo. Io poi non capivo tanto, perché dieci anni, soltanto che mia sorella quella dell’America che ha un anno meno di me, aveva una memoria diversa, aveva, era una osservatrice di tutte le cose che succedevano e si voleva rendere conto, era e ancora adesso ha questi ricordi. Purtroppo è lontana e la sua testa comincia a non lavorare tanto bene. Ecco i miei ricordi sono questi. Quelli della nonna. Poi quelli degli zii che venivano, perché io ho tre cugini che loro hanno proprio vissuto, si sono salvati perché sono stati salvati, ci sono stati delle persone, quelli che li hanno salvati hanno avuto anche il riconoscimento. Loro sono tre, una cugina vive, una vive a Verona, l’altra vive a Haifa, la più grande, e il gemello di quella che vive a Verona sta in Inghilterra. E quindi loro hanno passato tutto il tempo scappando, passando da un posto all’altro, stavano al Sacro Monte di Varallo, e lo zio aveva documenti falsi, nonostante tutto andava a lavorare, incontrava i fascisti sul treno che arriva dal Sacro Monte di Varallo andava a Novara a lavorare e quindi anche questo era, poi la moglie, la zia era russa, non russa, lituana molto religiosa, di famiglia molto religiosa, a parte che ha avuto tutta la famiglia massacrata, tutta la sua famiglia, dove abitava a Kaunas, ma lei essendo bionda e sapeva il tedesco perché si era salvata [cat meows loudly]
VV: Buono! Buono!
SB: Diceva appunto che essendo bionda, sapendo il tedesco probabilmente…
VV: Sì, sapeva il tedesco. Lei, quando lo zio arrivava a Sacro Monte dove abitavano la zia per dirgli che poteva arrivare, che non c’erano guai sulla strada, che non c’erano controlli metteva fuori un panno, come una vecchia divisa di soldato tagliata e quindi lo zio capiva che poteva arrivare a casa. Una volta è successo che sono andati proprio a casa i tedeschi da lei, perché hanno visto questo panno, hanno detto ‘Che cos’è questa cosa?’ ‘Eh questo li uso per fare i vestiti per i miei figli’ gli aveva detto in tedesco, poi è stata molto calma, ha parlato piano piano con loro, loro non hanno neanche pensato che fosse ebrea. Anche quella era una vita stranissima, poi con documenti falsi, i bambini andavano a scuola da lì con i documenti falsi che gli erano stati dati dal comune. Poi so che il sindaco di quel paese è stato fucilato, perché aiutava, forse a Borgo Sesia, è stato fucilato a Borgo Sesia che era vicino a Varallo Sesia. Eh è questo. Io vedevo questi zii che abitavano a Trieste loro, mio zio fratello della mamma con i figli e la moglie russa, che era arrivata in Italia perché doveva studiare, per quello si è salvata e non è stata trucidata come tutti i suoi fratelli che erano a Kaunas. E quindi lei era sempre sempre attenta, avevano i documenti falsi e non insomma vivevano sul filo del rasoio, alla fine si sono salvati, e poi nel ’49 sono andati in Israele, poi la figlia, una della figlie è tornata qua, si è sposata, adesso vive a Verona. Beh loro avrebbero tanto da raccontare, molto più di me. Certe volte penso chissà la nonna che cosa ha fatto quando, non si sa niente, dicono che è stata uccisa subito, ma… e anche una sua sorella, per esempio a Verona c’era la sorella della nonna. Erano diversi fratelli e la sorella della nonna si era rifugiata, viveva a casa insieme alla zia, con la figlia che era ragazza madre, però si è salvata andando a casa di un cugino, Tullio Basevi, che è stato anche lui deportato. Era lì e un giorno sono andati a prendere Tullio Basevi che era la sua casa e dopo due giorni hanno preso anche la zia e è andata a Bolzano, poi Ravensbruck e non abbiamo saputo più niente. Aveva mandato una cartolina chiedendo biancheria e cambi perché quando era a Bolzano, ma dopo… è stata una portiera o chi le portava da mangiare che li ha denunciati, per cinquemila lire li ha denunciati. Ecco così.
SB: Quindi scusi, giusto per capire la mamma era Basevi, quindi era la mamma ebrea?
VV: Sì, sì, la mamma.
SB: Nonostante ciò era il papà che si nascondeva, giusto? Ho capito bene?
VV: Il papà la difendeva.
SB: No, suo papà.
VV: Il papà mio?
SB: Sì, sì suo papà
VV: Era cattolico
SB: Si nascondeva quando eravate sfollati?
VV: Mio papà doveva stare attento perché era proibito sposare una donna ebrea. Mia mamma era ebrea, la legge era già da prima. Loro si sono sposati nel ’31. Devo dire che mio padre è stato molto coraggioso. Ma mio padre però si doveva un po', non si facevano mai vedere insieme perché, se andavano da qualche parte uno da una parte uno dall’altra. Ma io questo non lo sapevo, l’ho saputo dopo. E poi mio padre lavorava in Prefettura, aveva un bellissimo ufficio al primo piano. Questo me l’ha raccontato mia sorella dell’America, perché io, e aveva un bell’ufficio, lavorava per la censura, poi quando hanno capito che lì andavano i tedeschi a controllare i registri anche del personale l’hanno spostato al pian terreno qui alla Prefettura di Milano, perché la stanza dava su un giardino e lui già una volta era scappato uscendo dalla finestra del giardino. Insomma l’hanno aiutato perché, si anche lui doveva stare attento. Poi quando è stato mitragliato, l’abbiamo saputo eravamo a Ospedaletto, lui arrivava con il treno la sera, invece l’abbiamo visto arrivare su una carrozzella, si una carrozzella con il cavallo che era ferito e la mia mamma quando l’ha visto è svenuta. Ecco. Dopo siamo tornati a Milano e abbiamo ricominciato a studiare, abbiamo cercato di riprendere non so l’anno, quando. Stavamo a casa della nonna finché abbiamo potuto poi siamo andati in un’altra casa. Adriana era nata nel ’40 perciò era, non so, tutto questo è dentro di me non è che, è come se avessi una fotografia dentro di me, a parte tutto il resto, ma non so.
SB: Io ho delle domande.
VV: Sì.
SB: Vorrei fare un passo indietro.
VV: Sì.
SB: Intanto le chiedo se ci può far capire un po' come era costituita la sua famiglia, quanti anni avevate voi sorelle e che cosa facevate prima della guerra, che cosa facevano i suoi genitori.
VV: La mia mamma era casalinga, era molto brava a cucire, ci faceva dei bei vestiti, ma per il resto non lavorava, non ha mai lavorato. Il papà era sempre della Prefettura. Io andavo, ho cominciato ad andare a scuola, perché avevo dieci anni, mia sorella aveva un anno di meno, mia sorella Antonietta, Tata, che sta in America, e l’Iginia purtroppo non c’è più, la terza sorella, noi eravamo quattro, è morta nel duemila e due, ha avuto una malattia brutta, improvvisa, ha avuto una leucemia, stava a Roma e poi Adriana era piccola, nata nel ’40. Quello che mi ricordo molto quando la mamma prendeva la bicicletta, metteva Adriana sul sellino e scappava nelle stradine di campagna per non farsi trovare dai tedeschi eventualmente se dovessero venire a casa, se dovevano venire a casa. Perché loro andavano a vedere i registri di tutti, degli sfollati di tutti. Vedevo anche dei ragazzi che quando sapevano che arrivavano i tedeschi o i fascisti si nascondevano da tutte le parti, andavano sotto i letti a casa della persone anche che non conoscevano per non farsi trovare. E poi una volta, quando dalla mia nonna, adesso questo mi ero dimenticato però non è molto importante. Una sera quando stava ancora nella cascina dovevano tornare a casa, era da noi e doveva tornare a casa. Io l’ho accompagnata, ho detto ’Nonna, io ti accompagno’. Sono andata con lei, a un certo punto la nonna aveva in mano c’era una piccola lampadina da tenere che si chiamava mi pare no chiocciola, un altro nome, un nome così aveva, che faceva anche un rumore, che si accendeva e si spegneva toccandola. Allora si è avvicinato un gendarme, c’era già la repubblica no, tutto vestito di nero e ha gridato a mia nonna ’Cosa fa lei con quella luce, lo sa che c’è il coprifuoco’?” E la nonna l’ho sentita proprio gelare e io non ho detto niente, e niente ci ha lasciato andare per fortuna così l’ho accompagnata. Si chiamava forse aspetta, chiocciola. Era un tipo di lampadina che avevano tutti.
SB: A cosa serviva? Come mai ce l’avevano tutti?
VV: Non so perché, era quella che si usava quando c’era buio. Era molto comune come tipo, ma nel coprifuoco certo non si poteva usare, ma la nonna l’aveva usata. Per un tratto di strada non pensava che arrivasse un così, un gendarme. E così è andata.
SB: Senta quindi lei era piccola comunque…
VV: Sì, sì
SB: E quando è scoppiata la guerra lei come lo ha saputo. Qualcuno gliene ha parlato, qualcuno in qualche modo le ha spiegato cosa stava succedendo o lo ha capito lei da sola in un altro modo.
VV: No, no, no, non abbiamo avuto grandi spiegazioni. Abbiamo visto che tutto era cambiato, tutto diverso, le persone molto tese, molto preoccupate, e poi io l’ho sentito annunciare così me lo ricordo. No, no, diciamo non siamo stati preparati ad affrontare la guerra, ad affrontare la situazione, no. Arrivava di giorno in giorno e…
SB: Per esempio la prima volta che siete scesi in un rifugio, la mamma vi ha spiegato, il papà vi ha spiegato che cosa bisognava fare?
VV: E beh ci dicevano di stare buoni, tranquilli e di non muoverci, di non, niente di particolare. Eravamo forse troppo piccole per essere informate. E poi c’era sempre questa tendenza di mia madre di tenerci sempre, come dire, protette, di non darci troppe informazioni. Penso che questo, sempre l’aveva avuto questa. Mia mamma è morta nel 2004, dopo mia sorella, mia sorella nel 2002, mia mamma nel 2004, aveva novantaquattro anni.
SB: Wow.
VV: Ma di queste cose non ne voleva mai parlare. E perché il fatto della nonna è stato una tragedia. Non solo la nonna, anche la sorella, anche il cugino, anche… Per fortuna uno dei fratelli, dico fortuna, il fratello più grande, erano cinque fratelli, la mamma, la sorella e tre fratelli e uno, il più grande, Gino, era morto nel ’38 per un mal di cuore, quindi lui non ha vissuto niente di questo, ma non lo so, forse è stato meglio così. Erano cinque fratelli che si divertivano a Verona, abitavano nel ghetto di Verona, c’era allora ogni tanto mia mamma mi raccontava delle cose, di quello che facevano per divertirsi, andavano sull’Adige con le carriole, insomma cose così, ma questo era proprio prima.
SB: Quindi da Verona la sua mamma è venuta a Milano quando si è sposata.
VV: Quando si è sposata. Ha conosciuto mio papà a Verona, perché lui stava lì alla Prefettura. Si sono conosciuti e dopo è venuta a Milano. Però anche la mia nonna era venuta a Milano a Verona dopo che è stata vedova, che il suo marito è morto nella prima guerra, nella guerra ’15-’18, però è morto nel ’19, nel febbraio del ’19 perché aveva preso una malattia, la spagnola. La guerra era già finita, ma lui era ancora, diciamo, nel campo, allora da allora la nonna è partita da Verona e è venuta a Milano. Poi la nonna ha vissuto sempre a Milano, faceva la sarta, era molto brava, maestra di sartoria, e così. E non so se, prima della guerra era così, non sapevo molto di quello che succedeva, no.
SB: Veniva fuori per caso, prego…
VV: Una volta la mamma quando la zia, quando siamo tornati a Milano nel ’44 e la zia era nascosta in via Archimede, una sera la mamma ha deciso che voleva andarla a vedere, andarla a salutare, allora, c’era il coprifuoco anche a Milano e con noi ha voluto andare fino lì di sera, in fretta, però insomma anche lì è stata un po', e quindi mi ricordo che mio papà ha dato i biglietti per andare al cinema, eravamo andati al cinema, non lontano, in corso Ventidue Marzo c’era un cinema, e dopo del cinema la mamma ha voluto andare a trovare la zia. Comunque ha preso un rischio molto grosso, perché c’era il coprifuoco.
SB: E voi eravate con lei?
VV: Sì. Certe volte non si considera bene il rischio. Forse la mia mamma si sentiva protetta perché diceva ‘Io ho sposato un cattolico, quindi c’è un matrimonio misto quindi a me non mi toccheranno‘ e invece non è stato così. Vorrei raccontarvi di più, ma purtroppo.
SB: Beh io ho sempre delle domande. [laughs]
VV: Sì, sì [laughs]
SB: Posso procedere con le domande.
VV: Ah sì è messo calmo. Allora ha salvato qualche cosa?
SB: Sì, sì, sì.
VV: Il gatto?
SB: Sta ancora registrando, sì, sì.
VV: Ah sì?
SB: Sì, sì, assolutamente. Io volevo chiederle. Ha accennato a un registro degli sfollati. Siccome non ne so nulla, volevo sapere se per caso si ricorda quando siete arrivati a Ospedaletto se vi siete registrati.
VV: No, il registro era di tutti i residenti, ma anche degli sfollati ed era un paese vicino, Orio Litta. A Orio Litta avevano i registri, quindi quando arrivavano i tedeschi così, mio padre veniva avvisato e avvisava la mamma di nascondersi insomma. E no, non so veramente, sarà negli archivi, perché o registri li avranno..
SB: Però comunque voi comparivate in questo registro?
VV: Eh sì, sì.
SB: Ho capito. E senta e mentre eravate sfollati avete avuto delle difficoltà di qualche sorta a vivere in questo posto? Le condizioni com’erano?
VV: Beh, c’erano tanti sfollati, però non credo che considerassero o che pensassero che la mia mamma fosse ebrea, no. Però stava molto attenta, sì, stava molto attenta. Anzi le devo dire che c’era una sorella di mia padre venuta dal sud e la famiglia non era molto d’accordo che mio padre avesse sposato un’ebrea, questo è ovvio no, e allora lei con la mia mamma non andava proprio d’accordo e una volta quando era lì giù nel cortile della casa, il cortile interno, ha detto ‘Senti, smettila di parlarmi così eh’ la zia da giù, da giù a su dal balcone ’Smettila di parlami così perché io guarda che ti denuncio‘ e una zia io questa cosa l’avevo sentita, poi la mamma è rimasta proprio scandalizzata da questo. Del resto c’erano queste cose. Doveva stare attenta, doveva...
SB: Voi avevate contatti con questi altri sfollati?
VV: No. No, avevamo contatti solamente con chi ci ospitava che era il padrone di questo posto, di questo ristorante, credo che ci sia ancora nella strada principale di Ospedaletto Lodigiano. E solo con loro, poi basta. Poi sì, con altri sfollati sì, con delle persone che avevano dei figli nascosti, due figli maschi grandi in età di fare il soldato che erano nascosti e quindi si parlava così tra di loro, si sapeva di questo ma nessuno diceva niente. E poi avevo contatti con un’altra signora, sì una signora, una professoressa di piano che si chiamava Salomone di cognome, ma non abbiamo mai saputo se fosse ebrea o no, ed era molto brava, molto gentile, molto, sì, mi ricordo questo. Però con poche persone.
SB: Non c’era una comunità?
VV: No, no.
SB: E senta in questo posto, Ospedaletto.
VV: Sì.
SB: C’erano anche lì dei rifugi per qualche motivo oppure non c’era nulla di legato, che legasse quella esperienza al contesto più ampio.
VV: No, di rifugi no. No, no. Non c’erano i rifugi, non mi ricordo. Ogni tanto passava un aereo che non so come si chiamava, Pippo mi sembra, che faceva dei sorvoli ma non sapevamo neanche se fosse tedesco, se fosse, beh sarà stato senz’altro italiano o tedesco perché… No non era una vita di collettività, era una vita molto riservata.
SB: E di questo Pippo gliene ha parlato qualcuno o…
VV: No, no lo sentivo, si sentiva quando arrivava, era un aereo che faceva un sorvolo poi andava via.
SB: Quindi non vi, non vi…
VV: No, no.
SB: Non lo temevate.
VV: No. Lì i bombardamenti non ce ne erano, non ne abbiamo mai vissuti i bombardamenti, tranne il mitragliamento del treno. Probabilmente avran bombardato qualche treno, ma non lo sapevo.
SB: E di sirene invece ne avete sentite quando eravate sfollati?
VV: Oh tante, sì, sì eccome.
SB: Lì a Ospedaletto no.
VV: No, no.
SB: A Milano invece?
VV: Sì, sì, tante.
SB: Tante?
VV: Sì, sì, tante. Era molto impressionante. Adesso quando le rifanno sentire qualche volta si torna indietro subito.
SB: C’era una frequenza assidua durante il giorno?
VV: Una frequenza di sirene?
SB: Sì.
VV: Sì, anche due o tre, sì. Quelle di notte erano più brutte, perché bisognava uscire e andare al rifugio fuori con il freddo. Io mi ricordo ancora le persone che stavano magari di fronte a noi così di notte, perché nessuno doveva, a noi ci dicevano di non parlare, di non fare amicizie nel rifugio, così. Poi gli altri non lo so come facevano.
SB: Ma senta, quindi le persone che c’erano nel rifugio voi non le conoscevate?
VV: Eh no.
SB: Erano persone che arrivavano…
VV: Noi eravamo come dire dei fuoriusciti, dei raccomandati. Eravamo dei raccomandati perché andavamo all’altro rifugio. Non so come ha fatto mio padre, ma ci ha fatto andare in quel rifugio.
SB: Perché non si poteva andare in un rifugio a caso?
VV: No erano tutti dei palazzi, dei condomini, dei, si poteva essere ospitati se qualcuno ti ospitava, però ogni casa aveva il suo. Diciamo che eravamo raccomandati.
SB: E senta per tramite di suo padre o come?
VV: Eh non lo so se tramite mio padre o tramite mia madre o forse qualcuno. Mi ricordo ancora là sulla via tra Via Pietro da Cortona, doveva essere verso Piazzale Susa, prima, prima, mi ricordo ancora il numero della casa, cinque, era il numero cinque, ma è possibile che ci si debba ricordare le cose in questo modo? Non lo so. E la mamma diceva dobbiamo andare lì, perché lì siamo più sicuri.
SB: E vi convinceva? Eravate convinti di questa cosa?
VV: Sì, sì.
SB: Quindi lei si autogestiva, anzi no la mamma la vestiva.
VV:Sì, sì la mamma mi vestiva, diceva ‘Bisogna andare’, perché aveva tre da vestire, io più le mie sorelle. E lei mi vestiva e nel frattempo che vestiva le mia sorelle io mi spogliavo, perché pensavo che era l’ora di andare a dormire. Così insomma si vede che non mi rendevo conto neanche del pericolo che c’era.Sì, sì, questa è rimasto come un ricordo. Insomma non sono tanti i ricordi, però sono… Ormai non c’e quasi più, non c’è nessuno, ci sono i miei cugini, la mamma loro, la zia Golda, quella lituana non c’è più, è morta nel 2010, stava ad Haifa, aveva più di novantaquattro anni, lo zio ha avuto un incidente, il marito, il fratello di mia madre, cioè il marito, era in Israele e lui lavorava alle miniere di Timna, lavorava come chimico e niente un giorno è andato lì, un giorno mi pare che era quasi di festa e la macchina, pioveva e la macchina, le ruote non hanno resistito e ha avuto un incidente e nel ’72. Lui ormai era lì già dal ’49.
SB: Quindi dopo la guerra la famiglia si divide, giusto?
VV:Sì, sì.
SB: Voi rimanete a Milano?
VV: Noi sì. Fino a quando abbiamo studiato, poi dopo insomma negli anni ’60 mia sorella che è in America ha conosciuto un ragazzo di Tripoli che era scappato da Tripoli perché, l’ha conosciuto e si sono sposati, allora lei è partita ed è andata in America. Io sono andata a lavorare a Roma e Adriana è rimasta qui a Milano. L’altra mia sorella purtroppo è morta nel 2002 e lei viaggiava anche, alla fine lavorava all’Alitalia, ma aveva fatto anche, aveva fatto la cantante, aveva fatto anche un concorso a Sanremo negli anni Sessanta, poi alla fine lavorava all’Alitalia quindi.
SB: Senta, le è mai capitato di ripensare a questo periodo a cui appunto avete vissuto sotto minaccia?
VV:, sì, molto spesso.
SB: E ripensa, per esempio appunto per quanto riguarda i bombardamenti, le è mai capitato di pensare a chi guidava appunto gli aerei?
VV: A chi guidava l’aereo? Beh più che altro pensavo a chi sganciava le bombe, più che a chi guidava l’aereo. E quello sì. Lo pensavo sempre. Lo penso anche adesso, perché questo palazzo che ho visto tutto con il fuoco in cima, proprio era come un tizzone, un palazzo molto grande, si vede che avevano buttato più di una bomba e quello proprio mi è rimasto nella mente sempre. Non ho molti ricordi come..
SB: Beh non mi sembra. [laughs]
VV: Quello del gendarme quando camminavo con la nonna che si è avvicinato, quello quando ci penso mi vengono ancora i brividi. È stato proprio, dico ’Ma come è possibile sono pochi metri e spunta questo!’. Poi non parlava la nonna, la nonna mi ricordo che si è come raggelata e io non parlavo, per lo meno io non parlavo, perché se avessi parlato non so. Fortunamente se ne è andato. Tanto poi le cose sono andate male lo stesso. Sono un po' diversi i miei ricordi da quelli di mia sorella, no?
SB:, sì, sono di bambine di età diverse.
VV: Eh sì, sì. Beh però è un bel lavoro quello che stanno facendo.
SB: Ci stiamo impegnando. Allora…
VV: Se ha altre domande io sono qui
SB: Io sono soddisfatta. Se, OK interromperei l’intervista se non ha altro da aggiungere.
VV: No, per il momento no. Può darsi che poi mi viene qualche cosa.
SB: Certo. Allora la ringrazio.
VV: Io ringrazio voi.
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Title
A name given to the resource
Interview with Sara Ventriglia
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Sara Buda
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-07-25
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Greta Fedele
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:50:12 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AVentrigliaV170725
Spatial Coverage
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Italy
Switzerland
Italy--Po River Valley
Italy--Lodi
Italy--Milan
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IBCC Digital Archive
Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
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1943
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An account of the resource
Sara Ventriglia, the daughter of a Jewish mother and a Catholic father, recalls her early life in wartime Milan. She describes the alarm being sounded, she and her family getting quickly dressed to reach a nearby shelter. She recollects moments inside the shelter emphasising how unpleasant it was on winter nights and mentions the terrifying sight of a building engulfed in flames. She narrates the trials and tribulations of her Jewish grandmother who was arrested in 1943 when trying to escape to Switzerland, likely to be a Holocaust victim. Speaks with an affection for her grandmother and emphasises how the grief is still alive and present. She describes the trials and tribulations of her Jewish relatives forced to live under false identities, one of them deported to Ravensbruck and the subsequent lives of those who escaped the Holocaust. She recounts how she was questioned by a Fascist militiaman for contravening blackout regulations during curfew. Several different wartime anecdotes: how her father was injured when the train he was travelling on was strafed, draft-dodgers hidden in concealed rooms, and the constant presence of Pippo.
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
bombing
childhood in wartime
faith
fear
grief
Holocaust
home front
Pippo
shelter
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Title
A name given to the resource
Magnani, Tullio
Tullio Magnani
T Magnani
Description
An account of the resource
This collection consists of one oral history interview with Tullio Magnani who reminisces his wartime experiences in the Pavia area.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
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IBCC Digital Archive
Date
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2017-03-03
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This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Magnani, T
Transcribed audio recording
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Transcription
Text transcribed from audio recording or document
Sono Filippo Andi e sto per intervistare il Signor Tullio Magnani. Siamo a Pavia, è il 3 marzo 2017. Ringraziamo il Signor Magnani per aver permesso questa intervista. La sua intervista registrata diventerà parte dell’archivio digitale dell’International Bomber Command Centre, gestito dall’Università di Lincoln e finanziato dall’Heritage Lottery Fund. L’università s’impegna a preservarla e tutelarla secondo i termini stabiliti nel partnership agreement con l’International Bomber Command Centre. Signor Magnani, vuole ricordarci i suoi anni durante?
TM: Dunque, sì, gli anni trascorsi dalla guerra in avanti.
FA: Esatto.
TM: Allora, prima di tutto, vengo da una famiglia di lavoratori. Naturalmente ho annusato il sapore dell’antiregime di cui si viveva allora. I miei genitori erano nettamente contrari al fascismo ma naturalmente non ho avuto neanche problemi a scuola. Sapevano chi era il papà, che è stato considerato un sovversivo comunista, ma per la verità nel periodo scolastico fatto durante il fascismo non ho avuto noie. Nel 1944, il 4 di settembre le superfortezze volanti americane e inglesi, alleate insomma, hanno prodotto un grosso bombardamento a Pavia e noi che abitavamo in Via Milazzi [Milazzo], della parte destra del fiume Ticino, siamo rimasti senza casa. Ci siamo salvati perché eravamo scappati nei boschi vicini. Naturalmente io e la mia famiglia ci siamo ritrovati nel territorio di Travacò a pochi chilometri da Pavia e da lì è cominciata la mia permanenza, gli ultimi mesi di guerra fino al 1945 a Mezzano Siccomario una casa che ci ha ospitato perché eravamo senza niente, eravamo ridotti proprio, io addirittura ero a piedi nudi quel giorno là. Però nel frattempo i miei genitori mi avevano mandati a casa di una famiglia, Lorenzo Alberti, che era un noto esponente dell’antifascismo pavese e che verrà arrestato nel 1944 con tutto il comitato del CLN provinciale e spedito in Germania. Ritornerà vivo e vegeto nel 1900, nel lontano 1945 dalla Germania. E naturalmente ero andato lì come garzone di bottega perché lui vendeva le macchine per scrivere e naturalmente faceva la, curava tutto l’andamento delle macchine che aveva nei vari uffici durante il regime fascista e la presenza del comando tedesco. E accompagnando l’operaio che doveva fare manodopera alle macchine da scrivere, io portavo una borsa vuota, leggerissima all’ingresso, pesante quando uscivo. Naturalmente controllato era l’operaio, io che avevo quattordici anni sia i fascisti che i tedeschi non mi perseguivano, non mi, non facevano i controlli. Poi abbiamo saputo che in quella borsa lì uscivano i bollini per l’approvigionamento degli alimenti. Perché in quel periodo dovete sapere che c’era contingentato i generi alimentari. Naturalmente questi bollini per il tesseramento andavano alla resistenza ecco. Quello era la cosa che io ho scoperto dopo la liberazione. Naturalmente di questo, di questi ricordi che ho avuto lì e anche nel comune di Travacò li ho messi giù, insomma i ricordi c’ho un fascicolo che consegno anche all’intervistatore. Ci sono alcuni particolari. Particolare è che un bel giorno, una mattina, l’operaio di questa ditta, Alberti, mi dice di andare presso l’istituto di anatomia umana dell’Università di Pavia a ritirare qualcosa. Io arrivo all’istituto di anatomia umana e a questo custode chiedo il nome e questo uomo già un po’ avanti con l’età, mi consegna una busta gialla con scritto ’Regia Università di Pavia’. Questa busta la riporto in negozio al mattino. Nel pomeriggio sempre l’operaio mi dice che doveva farmi fare una commissione fuori Pavia, e ha preso quella busta che avevo consegnato al mattino, l’ha messo dentro a una cartella, tipo quella di scuola, di cartone e m’ha detto: ‘Vai a Travacò a portare questa busta, devi andare all’inizio di Travacò alla frazione Frua e cercare la signora Brusca’ che poi ho capito si chiamava Bruschi, la chiamavano Brusca, io dico: ’sì sì sono pratico di quei posti lì perché ero, sono sfollato lì, in quei posti lì’, infatti non ho fatto fatica a trovarla una donna anziana con un cappellaccio di paglia in testa. E io dico: ’io devo consegnare questa a un signore che c’è qui’. E lui m’ha, lei m’ha detto: ‘È quel signore seduto su una cariola.’ Era un omino un po’, non troppo alto con un grosso paletò, che poi ho riconosciuto come segretario del Partito Comunista provinciale in, clandestino, l’ho ritrovato nell’immediato dopoguerra. Era Carlo Zucchella.
FA: Ah.
TM: E quella busta, ‘io devo consegnare questa roba a questo signore, sì, sì, io l’aspetto. Gliel’ho data. Era un’altra missione che mi han fatto fare. E questo mi è, mi è ancora caro ricordare quel territorio lì del Travacò adesso. L’intervistatore venne mandato dall’ex sindaco Boiocchi che abbiamo una forte amicizia e ricordo sempre quel territorio anche perché sono legato a tutta la gente che ho trovato lì, che purtroppo non ci sono più tanti. Poi ci sono anche altri episodi sempre fatti attraverso la bottega di Lorenzo Alberti. Mi dicono di andare in piazzetta, vicino alle scuole Mazzini a Pavia e io gli ho detto: ’Sì, sì’. Erano le mie scuole elementari, le conosco. Bene, proprio di fronte alla scuola vai su all’ultimo piano e devi portare questo era anche lì, una busta, una busta più pesante di quelle che ho portato prima. E in quella casa c’era un tavolo da disegno, che usano i disegnatori. E c’era un uomo che era là che m’aspettava. E c’era, a disegnare c’era uno che poi m’han detto che era un sordomuto. Era il disegnatore. Anche qui vengo a sapere, dopo la guerra, che questo signore era Cino del Duca, un grande editore di giornali e di riviste. Era anche lui membro della resistenza. E i ricordi sono tanti, gli episodi sono tanti. Sono ancora vivo anche per miracolo anche perché durante queste azioni, che io nulla sapevo l’importanza di quello che facevo, se venivo beccato non ero qui a raccontarlo.
FA: Certo.
TM: E è arrivata la liberazione e io con i miei quindici anni mi sono divertito come gli altri. Sono arrivati le truppe inglesi, la prima camionetta americana giù nel Ponte Vecchio di Pavia e ho ripreso a vivere come dovevamo vivere, a noi ragazzi alla nostra età ci è mancato cinque anni di vita.
[telophone rings]
FA: Allora, prima della pausa stavamo dicendo della liberazione.
TM: La liberazione...
FA: È tornato a vivere in borgo?
TM: No, non eravamo più in borgo perché la casa non ce l’avevamo più. Mio nonno era un pescatore, aveva le barche, tutto, è andato tutto in fumo, tutto, distrutto tutto, non avevamo più niente. Mia mamma e mio papà han trovato un appartamento vicino Piazzale Ponte Ticino ma in città. E lì è arrivata la prima camionetta americana, mi ricordo sempre, questo giovane americano, noi naturalmente ragazzi ci siamo andati tutto intorno avevamo fame e loro distribuivano cioccolato e questo qua si chiamava Dino perché era figlio di italiani, no, e aveva un sacco enorme. M’ha detto se trovavo una donna che gli avesse lavato la biancheria. Io subito gli ho detto: ‘c’è mia mamma’. E lì vicino abitavamo e ho detto, ho chiamato mia mamma, c’è questo soldato americano e ha detto che se gli lavava la biancheria c’era una cassa di sapone. Quando lui ha fatto vedere la cassa di sapone, mia mamma è saltata dalla gioia. Per dire i momenti e, ricordo ancora e ricordo anche questo fatto di questo americano che si chiamava, poi c’ha dato tanta roba da mangiare. E naturalmente lui poi è andato via. E’ stato lì due o tre giorni, ha ritirato la biancheria pulita e stirata e con grande dispiacere di mia mamma non l’abbiamo visto più. Io voglio raccontare, questo racconto dovrebbero sentirlo anche milioni di giovani perché la guerra c’ha tolto cinque anni di vita a noi ragazzi. È scoppiata che avevo dieci anni, è finita che ne avevo quindici. La fame totale, lo studio non c’ho più pensato, era talmente la gioia della liberazione che molti ragazzi miei amici non andavano più a scuola. Poi pian piano abbiamo ripreso ma poi m’ha preso un’altra cosa, la politica. E questa politica mi ha preso talmente che non ho proseguito gli studi e medie, liceo e avanti, questo. Però ho sempre chiesto e ottenuto di sapere, di volere, di sapere le cose, ho fatto uno sforzo io coi libri e anche. Il partito voleva dire tante rinunce, tante sacrifici ma il partito mi ha dato molto nel senso che nell’istruzione poi sono andato a fare dei corsi prima brevi poi brevi, poi abbastanza lunghi per cui ho fatto il mio percorso di apprendimento scolastico. Mi sono sposato, tre figli, quattro nipoti, avevamo un, abbiamo rilevato un negozio che era di mio papà ma non andavamo bene, sono entrato [clears throat], sono stato assunto dopo tante peripezie in Comune, perché voglio dire anche questo: ho partecipato a un concorso per agenti daziari e quando sono arrivato agli esami orali per essere ammesso, dopo aver presentato lo scritto, mi è stato detto che non avrei, non sarei mai stato assunto perché, essendo un corpo armato, non potevo accedere a quel posto lì per via di una vecchia legge fascista che impediva di entrare in questo corpo armato agli iscritti al partito comunista, o anche ai figli dei comunisti. Per cui però ho fatto un po’ di lavoro saltuario nelle scuole a sostituire alcuni bidelli ammalati e così via, insomma il comune mi ha sempre tenuto da conto finché poi è venuto il momento, sono entrato nel corpo vigili urbani come tesoriere e ho fatto per ventidue anni il cassiere al comando vigili di Pavia. Ma prima sono stato anche un dirigente della Gioventù Comunista e ho sempre mantenuto queste idee. Purtroppo adesso non c’è più niente, ma ho cercato di educare la mia famiglia a questi ideali e sono stato anche premiato perché sono contento dei miei figli, dei miei nipoti.
FA: Va bene.
TM: E adesso ho davanti un giovane che mi intervista e sono felice di poter rispondere a questo giovane che tra l’altro si è laureato con un personaggio che a me molto caro che è il professor Lombardi e il professor Guderzo.
FA: Tornando un attimo indietro nel, diciamo nel tempo del suo racconto, potrebbe provare a ricordare, a raccontarci quella giornata del 4 settembre?
TM: La giornata del 4 settembre ha dei precedenti. Intanto la guerra è scoppiata nel ‘40 e non so adesso con precisione ma noi da Pavia vedevamo i lampi dei bombardamenti di Milano di notte, Milano è a un tiro di schioppo da qui in linea d’aria, si vedevano i lampi, bombardavano Milano e poi venivamo a sapere che verso il ’42-’43 bombardavano anche i ponti del Po che collegavano Pavia. E noi stavamo su anche, poi per noi era un, cioè era anche bello di notte, stavamo su tra noi gli uomini pochi perché erano tutti alle armi, e allora venivamo a sapere i problemi delle famiglie questa qui, quella là, quello lì, quello là, insomma vedevamo... poi arrivano i cacciabombardieri americani, bombardano la parte nord di Pavia, ma così dei raid, di, due, tre aerei che hanno sganciato alcune bombe e han fatto qualche morto nella zona di Porta Stoppa di Pavia, la parte nord di Pavia. Quindi prima del 4 di settembre Pavia era stata
FA: Già.
TM: Aggredita dai, ma poi noi vedevamo che sull’argine del Ticino la milizia fascista aveva fatto delle postazioni con delle mitragliatrici antiaeree, che poi si sono rivelate in niente, insufficiente, erano giocattoli rispetto al momento, insomma c’erano già delle armi migliori, cioè le avevano i tedeschi, ma queste qui, e noi le vedevamo, noi capivamo che erano mitragliatrici per contrastare gli aerei. E il 4 di settembre c’è un precedente nel senso che due giorni prima a ondate successive queste superfortezze volanti cariche di bombe passavano su Pavia verso il nord, cioè andavano verso Milano, dicevano che andavano in Germania perché Milano non la bombardavano in quel periodo lì.
Interviewee’s wife: Buongiorno.
TM: La mattina di, del 4, mia moglie, ah questo ragazzo pensa Antonia.
AM: Piacere, Antonia.
FA: Filippo, piacere.
TM: C’è acceso. La mattina del 4 di settembre del ’44 mio papà si trovava al di là del fiume perché lavorava in fabbrica. Mia mamma stava cucinando qualcosa. Noi ragazzi quando passavano quegli aerei lì andavamo nel bosco adiacente lungo l’argine del Borgo Ticino per cui dopo che sono passate a ondate successive queste superfortezze volanti è arrivato il bombardamento. È stato un disastro, sembrava la fine del mondo non ci, l’atmosfera era rossa dai mattoni, picchiavamo contro le piante per scappare, insomma. Poi dopo è venuto anche il mitragliamento che è stato micidiale perché ha mitragliato verso la parte est di Pavia. Io come un automa come altri nostri amici ci siamo dispersi e siamo fuggiti verso Travacò, lungo l’argine verso Travacò e io sanguinavo, non me ne accorgevo. Nel pomeriggio ho ritrovato i miei genitori che io non pensavo più. Mio papà si era salvato perché era al di là del fiume. Mia mamma è stata salvata dal crollo, la casa non era completamente crollata, e per cui ci siamo ritrovati alla frazione Battella di Travacò Siccomario io, i miei genitori e tanti altri. Poi naturalmente i nostri genitori, tutti quelli, i borghigiani, cittadini che hanno perso la casa, molti sono arrivati nel comune di Travacò e hanno organizzato qualcosa per, insomma. [background noise] Abbiamo fatto due notti in un fienile, poi dopo siamo arrivati a Travacò e a Mezzano. Il podestà di allora, un certo Bruschi che, pur essendo fascista ci ha molto aiutati, siamo andati nelle scuole di Mezzano e i nostri genitori e tutti gli altri adulti hanno organizzato una mensa, son arrivati i generi alimentari, c’è stato un enorme, una cucina per cuocere i cibi. Dopo una settimana che eravamo lì, un giorno pioveva a dirotto, sono arrivati la Feldgendarmeria tedesca, che sarebbe la polizia militare tedesca, con un sidecar, questi due uomini mettevano paura, grandi, grossi, con questo soprabito di cuoio nero, ci hanno imposto di lasciare immediatamente le scuole e ci siam trovati in mezzo alla strada che pioveva. Eravamo un centinaio, figli, genitori, ma subito è arrivata la solidarietà del paese e ci hanno ricoverato un po’ di qui un po’ di là. Insomma la cosa è andata bene insomma, non c’è stato altro e devo dire che io da ragazzo mi ricordo ho vissuto lì fino, da settembre a due mesi prima della guerra, un paese dove, tenuto conto che mio papà era un segnalato come sovversivo, problemi non ne abbiamo mai avuti, quindi la cosa. Poi la liberazione è giunta che abitavamo già a Pavia.
FA: Ha parlato di generi alimentari.
TM: Sì.
FA: Si ricorda da dove, chi era, non so c’era un ente?
TM: I generi alimentari ce li portava il comune di Pavia.
FA: Ah, il comune di Pavia.
TM: Sì. Però dicevano, io ho saputo, che dovevamo procurarci un mezzo per arrivare da Travacò a Pavia a prender la roba, farina, riso, pasta, no. E questo podestà fascista Bruschi Pierino ha messo a disposizione un carro col cavallo e uno di noi mi ricordo ancora chi era andava a Pavia a prelevare la roba. E sono arrivate anche le brande. Il comune di Pavia ha messo a disposizione le brande e i generi alimentari. Devo dirlo con schiettezza. Cioè, pur nel disastro, il comune di Pavia è stato attento a queste cose.
FA: A queste esigenze. Prima ha detto che lungo gli argini vi erano delle, diciamo delle postazioni antiaeree, delle mitragliatrici.
TM: Sì, sì.
FA: Erano, vi erano soldati italiani o tedeschi?TM: Italiani. Erano quelli della milizia fascista.
FA: Ah, le milizie.
TM: Io, noi li conoscevamo anche perché alcuni abitavano lì vicino. La milizia fascista eran della gente che, la miseria era tanta, l’occupazione era, andavano nella milizia, alcuni andavano per sopravvivere.
FA: Per sopravvivere.
TM: Perché poi portavano a casa il rancio che gli davano in caserma. Io avevo due amici di figli, erano figli di due fascisti che erano nella milizia. E han fatto delle piazzole che adesso nell’argine non si vedono più e hanno piazzato queste mitragliatrici. Noi andavamo là a vederle eh. Erano rivolte verso là.
FA: Verso là.
TM: Però ci hanno detto gli esperti che erano stati a fare il militare che queste mitragliatrici agli aerei americani non gli facevano nulla. Soltanto però qui in questo, più più a nord di questo rione c’era una postazione di antiaerea tedesca, quella lì sì era..
FA: Vicina al cimitero forse.
TM: No, dopo.
FA: Ah, più in là?
TM: Più in alto. Addirittura c’è, lì c’è stato un, c’è uno stele che ricorda un antifascista che è andato a parlamentare con i tedeschi il giorno della liberazione per evitare che, perché loro minacciavano di bombardare tutto, è andato lì a parlamentare con i tedeschi, l’hanno ucciso. C’è ancora lo stele lì, in Piazza, Piazza Fratelli Cervi.
FA: Ah.
TM: Sì. Beh volevo dire che sì, quello che m’ha chiesto lei sulle piazzole erano nell’argine che dal Borgo va al Canarazzo, che va a Carbonara al Ticino, c’erano le piazzole della [laughs]
FA: Ah.
TM: E poi dopo il bombardamento del Ponte della Libertà che chiamavano dell’Impero una arcata è stata centrata dagli aerei americani e han fatto, i tedeschi han fatto il traghetto, traghetto con dei barconi, traghettavano e traghettavano dopo il ponte della ferrovia che era crollato anche lui. E noi andavamo a vedere tutte queste robe qui. Eravamo ragazzi. Il giorno della liberazione eravamo lì. Vedevamo i vigili urbani con la fascia tricolore il 25 di aprile in bicicletta. La città oramai era praticamente in mano agli insorti. I tedeschi si riunivano nel Castello Visconteo d’accordo con le forze partigiane. I fascisti erano scappati, c’era ancora qualcuno che per esempio dalla centrale dell’università un fascista ha sparato, poi è stato preso. E noi abbiam vissuto anche quello, da ragazzi eravamo lì rischiando anche perché c’erano dei proiettili vaganti. Fino al 26 aprile quando sono arrivate le, proprio le formazioni partigiane dell’Oltrepò Pavese dirette. Che poi il professor Lombardi ha fatto un bel libro dove parlavano di queste cose, della missione che i partigiani dell’Oltrepò Pavese hanno fatto, a Dongo hanno, quando hanno catturato Benito Mussolini.
FA: Va bene.
TM: Io le ho vissute con l’entusiasmo dei quindic’anni e non ho mollato più.
FA: Eh sì, quindi eh, poi lei dopo quel il primo bombardamento diciamo che ha subito vi siete spostati a Travacò. Avete continuato ad avere notizie, a vedere i seguenti bombardamenti sul borgo?
TM: No, noi, mia mamma e mio papà venivano, io rimanevo a Travacò venivo naturalmente a vedere di recuperare le cose che c’erano sotto i bombardamenti. Devo tenere conto che mio nonno aveva una bella attività di lavoro. Intanto erano lavandai, lavava la, erano lavandai il nonno e la nonna, avevano i clienti che portavano la biancheria da lavare. E mio nonno aveva un torchio, lo chiamavamo un torchio, era una centrifuga per strizzare i, che poi è venuta la lavatrice, ma era questo enorme cilindro che girava per strizzare i panni delle lavandaie. Anche lì l’abbiamo perso, abbiamo perso cinque barche, abbiamo perso molte reti da pescatori, insomma siamo stati molto danneggiati, siamo rimasti. Poi mio papà si è dato da fare per, come tutti, ricostruirsi una vita, cominciato a fare il commerciante di frutta e verdura e così.
FA: Ha detto che suo papà lavorava dall’altra parte del Ticino.
TM: Lavorava dall’altra parte del Ticino che era la ditta Cercil. Era una ditta specializzata che i tedeschi non la trasferivano in Germania. L’hanno fatto lavorare in Italia. Mio papà era preoccupato perché molti operai specializzati venivano trasferiti in Germania a lavorare per l’industria bellica tedesca. Per fortuna quella fabbrica lì non è stata smontata e ha continuato a lavorare fino agli ultimi giorni di guerra lì. E per io papà era un bel rifugio oltre che posto di lavoro per vivere era, cioè tenuto conto che lui era considerato un sovversivo, come li chiamavano stato mandato al confino sei mesi perché cantavano il primo maggio all’osteria e per lui era una salvezza eh avere un posto di lavoro così. Aveva una tessera per poter fare i turni di notte perché c’era il coprifuoco. Dopo le nove e mezza di sera non si poteva più girare. Se ti prendevano senza documenti venivi fucilato. Io ho vissuto tutte queste robe qui. Andavamo al cinema alle sette di sera perché era l’ultimo spettacolo. Andavamo tutti al cinema per scaldarci perché non avevamo più niente da bruciare in casa. Mancava la legna, mancava tutto.
FA: E la fabbrica di suo papà non è mai stata toccata da nessun bombardamento, nessun danno?
TM: La fabbrica, no, la fabbrica di mio papà si trova vicinissimo il viale lungo il Ticino e si trovava in Via Della Rocchetta. Che adesso han fatto, in quel cortile lì, han fatto abitazioni civili ma era la fabbrica Cerliani che l’altra è più avanti è stata fatta qui al Chiozzo c’è una fabbrica Cerliani.
FA: E producevano?
TM: E producevano filiere, meccanica, meccanica fine, roba non so. Io non sono pratico, non sono mai entrato in una fabbrica. Era proprio. Parlava, papà parlava di ‘ho l’esonero’ cioè non sono esonerato a non andare in Germania con gli operai
FA: Certo.
TM: E perché smantellavano le fabbriche i tedeschi e trascinavano gente in Germania a lavorare. Molti non rientravano più. Beh, da quel punto di vista lì ci è andata bene.
FA: Voglio farle un’altra domanda. Nella zona intorno a casa sua e del borgo, c’erano dei rifugi antiaerei, c’erano?
TM: No, in borgo non c’erano rifugi antiaerei. Noi scappavamo, i boschi dietro a via Milazzo, ancora adesso, c’erano i boschi. C’è il bosco fino a verso Travacò e noi ci [unclear], intanto sì rispetto ai bombardamenti l’abbiam fatta franca però se mitragliavano il bosco non era tanto, ti prendevano. No, a Pavia c’erano delle case, dei palazzi con, io ci sono stato perché andavamo a scuola, con i rifugi antiaerei che con le bombe americane erano, pff! E perché hanno centrato il borgo? Il borgo l’hanno centrato per via del Ponte Vecchio. Perché, se guardiamo bene la mappa di Pavia, i primi due ponti a saltare per aria nettamente sono stati quello delle ferrovie e quello cosiddetto dell’Impero che è Viale della, che è quello della Libertà
FA: Libertà.
TM: Mentre invece il Ponte Vecchio proprio per essere coperto, dalle fotografie inglesi che hanno fatto non veniva fuori netto il ponte, per cui ecco perché la parte di Borgo Ticino ha avuto dei danni con le bombe. Che loro volevano centrare il Ponte Vecchio, l’hanno centrato ma non l’hanno fatto saltare in aria. Ponte Vecchio, quello preromano, quello romano pre spagnolo, non è mai andato giù nettamente come non gli altri ponti. Per cui, no, non c’erano rifugi antiaerei come li ho visti io, in città, nei palazzi, dove si andava in cantina e queste cantine erano sostenute da pali, da travi, sacchetti di sabbia, no, in borgo non c’era niente.
FA: Insomma, ci si doveva arrangiare.
TM: E’ stata una carneficina perché i morti sono stati tanti. Poi è saltata per aria, il bombardamento successivo, la parte della città dove, viale lungo il Ticino, cioè la Via Rezia, che è stata colpita a metà. Lì avevo la nonna e la zia che abitavano lì hanno perso la casa anche loro. Però essendo sui posti di lavoro in un’altra parte si son salvate.
FA: Ho capito. Ehm, lei ha parlato prima del suo rapporto, del rapporto della sua famiglia con quel soldato americano ecco. Nonostante, diciamo il fatto che foste stati bombardati, questo vi ha?
TM: Ah per noi, gli abbiamo accolti con perché poi c’era questa atmosfera, caro giovane. Un po’ i fascisti ironicamente li chiamavano liberatori, tra virgolette, no, ma erano per noi, pur nella disgrazia. La guerra intanto non l’abbiamo, non c’entran niente gli americani, la guerra l’ha voluto il fascismo, per cui, vabbè, la mia famiglia, ma come in tutte le famiglie di gente povera, eravamo ridotti talmente male che aspettavamo gli americani. E devo aggiungere per inciso che noi, in Via Strada Nuova c’è ancora una farmacia che si chiama Farmacia Tonello. Un bel giorno sono arrivati i poliziotti in borghese, sono andati dentro da questo farmacista anziano, adesso vanno avanti i nipoti, e l’hanno arrestato, lo abbiamo saputo dopo, perché ascoltava Radio Londra. Radio Londra, io l’ho sentita, perché mio papà si sintonizzava alla sera c’era questo colonello Stevens che diceva [hums the beginning of Beethoven’s 5th Symphony] ‘Qui è Londra che parla’. Parlava in perfetto italiano e ci, ci aggiornavano. Parlavano anche dell’Armata Rossa che stava avvicinandosi alla Germania e parlavano anche che loro ormai erano arrivati anche in Italia, erano sbarcato giù, sapevamo tutto. E hanno arrestato il farmacista Tonello perché l’hanno colto in flagrante mentre ascoltava Radio Londra.
FA: Radio Londra.
TM: Naturalmente dopo due o tre giorni l’hanno rilasciato, era un uomo vecchio. Anche questo episodio ho sentito. E sì, Radio Londra trasmette. E noi, quel giorno che è arrivato, come detto, questa jeep americana, si è fermata nel piazzale pieno di macerie, eh noi ragazzi eravamo tutti attorno, per noi gli americani, intanto per la prima volta vedevamo gli americani, vedevamo gli inglesi, no. Gli Inglesi avevano nel loro esercito, avevano anche gli indiani col turbante e gli americani, questo americano si chiamava Dino, mi ricordo, non mi va via più dalla mente e per noi, lui, io avevo quindic’anni, questo soldato americano avrà avuto ventidue, ventitre anni, era un ragazzo come noi quasi insomma. Ci ha riempiti di cioccolato. Non potete, voi adesso non potete immaginare la contentezza che aveva il popolo italiano pur nelle macerie, pur, molti morivano di fame eh, perché ho saputo dopo, gli ospedali si sono riempiti perché la gente non mangiava. Io ero considerato uno scheletro. Io mi sono sposato con la mia compagna qui che ero sotto peso. Era il 1957. Ne portavo ancora le conseguenze, del mangiare che non abbiamo fatto. Per cui, loro ci hanno buttato giù la casa ma per noi ci hanno liberato.
FA: OK. Dopo.
TM: Viva gli alleati!
FA: Dopo il bombardamento del 4, è, ehm è tornato su in borgo o?
TM: Certo [emphasises], ci vado quasi tutti i giorni. Ho ancora qualche amico ma il più è il posto e naturalmente il territorio di Travacò. [pause] Ogni martedì, con i due o tre amici che ho ancora, andiamo in un’osteria di Travacò, non tanto per mangiare, possiamo mangiare anche a casa no, ma tanto per trovarci.
FA: Ho capito. Ehm, può descriverci le devastazioni diciamo che ha subìto, le devastazioni che ha subìto il borgo?
TM: Dunque, prima di tutto io ho saputo, dopo, dopo quella mattina del quattro di settembre del ’44, siamo fuggiti, siamo fuggiti, siamo scappati, un po’ di qui, un po’ di là, come ho ricordato prima, a Travacò, ma i bombardamenti si sono susseguiti. C’è stato una carneficina perché poi la gente si spostava verso San Martino. Presente Via Dei Mille? E sono andati in un tunnel che attraversava la strada e questo tunnel è dalle parti di, via sempre di Via Dei Mille, all’altezza di Strada Persa. C’era questo tunnel e la gente, per loro era diventato un tunnel antiaereo. Molta gente è andato dentro in questo tunnel. Alcune bombe sono arrivate anche lì, ma non perché hanno saltato, hanno bucato la strada, una bomba è esplosa ai lati del tunnel, c’è stata una carneficina nel Borgo.
FA: Lo spostamento d’aria.
TM: Sì, il piazzale attuale del borgo è stato tutto distrutto, chi lo vede adesso vede le case recentissime, solo la parte sinistra andando in là dove c’era la farmacia erano rimaste le vecchie case, per il resto son tutte nuove. Abbiamo perso degli amici lì, molti amici, ci giocavamo assieme. Nel mio cortile ci son stati dodici morti di anziani e gente appena arrivata. Ma la parte centrale [emphasises] del Borgo Ticino, cioè all’imboccatura del ponte vecchio, che c’è il piazzale che si chiama Ferruccio Ghinaglia, lì ho perso quattro o cinque ragazzi della mia età, non ci sono più, son rimasti lì. Per cui il borgo è, c’è un monumento lungo il Ticino voluto da un mio carissimo amico che adesso non c’è più, Calvi Agostino, che continuiamo a raccontare un po’ di cose sul calendario della AVIS tutti gli anni raccontiamo qualcosa del borgo, tutto lì. Naturalmente la Via Milazzo è stata salvata, salvo [emphasis] il mio cortile. Il mio cortile è stato l’ultimo a essere colpito da quella parte lì. Tutta la parte che va giù verso il Ticino si è salvata. Purtroppo noi siamo scappati, io non ho fatto più ritorno fin quando i miei genitori han trovato casa in città e anche lì un po’ ho stretto amicizia con i giovani del paese e mi ricordo, mia mamma aspettava mia sorella, che è molto più giovane di me e andavamo naturalmente siccome vivevamo in una stanza unica, meno male, era una stanza sia per dormire che per mangiare per cui, mentre mio papà era al lavoro, io e mia mamma andavamo in un’osteria a prenderci il cibo già pronto che ci cucinava per noi. Era bello insomma, vivevamo tranquilli in quel paese lì, trovavamo più da mangiare che non prima perché la campagna, insomma se ti dai da fare insomma, se hai i mezzi eh, perché se non hai i mezzi non c’è niente.
FA: Lei l’ha visto Pippo?
TM: Pippo, Pippo bombardava di notte. Bastava accendere un fiammifero che magari ti colpiva. Proprio davanti al mio cortile, se posso darti del tu no? Il mio intervistatore, come ti chiami di nome?
FA: Filippo.
TM: Filippo, ecco, caro Filippo, vai a fare un giro dopo. All’inizio di Via Milazzo, c’è il numero 9, è il mio cortile.
FA: Ah.
TM: Che ancora qualche fuori [muro] perimetrale, ancora la vecchia casa ristrutturate, dentro è tutto nuovo, perché è saltato per aria. Lì era il posto dove con le barche partivano di notte per andare a pescare. Caricavano le reti, erano sempre sei barche eh. Perché non era come il mare. Gettavano le reti nel fiume ma tiravano stando a terra gli,
FA: Ah.
TM: Per cui avevano bisogno di tanta manodopera, no. E avevano una lanterna, una lanterna a petrolio. È arrivato Pippo, ha lanciato uno spezzone, ha ucciso un uomo che, con un papà di un mio amico. Pippo ha colpito anche l’imbarcadero che adesso c’è dove c’è il ristorante Bardelli?
Fa: Sì.
TM: Lì c’era l’imbarcadero Negri. Pippo ha colpito anche lì. E devo dire che in una giornata bellissima come quella di ieri, a Travacò ero, ritornavamo da Pavia, io, mia mamma e mio papà che eravamo stati in prefettura a prendere qualcosa, ci davano un po’ di sostentamento, tutto a piedi eh. C’era un ricognitore inglese, un bimotore, che era talmente basso che si vedevano le figure degli uomini che c’erano dentro nella carlinga. E a volo radente eh. Noi ci siamo, ah beh la paura era tanta perché mitragliavano. A Cava Manara hanno mitragliato un corteo funebre, hanno mitragliato proprio il carro funebre. E non so, erano convinti che era una manifestazione di fascisti [laughs] o di tedeschi, vabbè e noi, si aveva paura anche di questi aerei che poi risultava un ricognitore. Sono quelli che facevano le fotografie, sempre inglesi erano. E quel ricognitore me lo ricordo sempre, una bestia sopra di noi, abbiam visto le figure degli uomini perché il bimotore aveva la carlinga senza motore, i due motori erano, sì, mi ricordo anche questo.
FA: Li avete visti quindi distintamente.
TM: Sì, li abbiamo visti benissimo e ci siamo scansati, ci siamo buttati giù a lato, io, mia mamma e mio papà. Eh sì, poi io ho sempre avuto paura di, sono rimasto scioccato. Andavo a nascondermi nei fossi asciutti del Travacò, uscivo sempre, io avevo il terrore di stare in casa fino a quando poi mi è passato ed è finita la guerra [laughs].
FA: Ho capito. Senta le faccio una domanda che...
TM: Sono qua.
FA: C’entra diciamo relativamente meno con il discorso che stavamo facendo. Lei nel ’48 era già all’interno del Partito Comunista?
TM: Ero già all’interno, devo dire che nel Partito Comunista il giorno della liberazione erano il 40, 25-26, i partigiani sono arrivati il 26-27, naturalmente si ballava si, c’era una grande confusione anche, il, ho visto, han portato un carico di fascisti che hanno fucilato in Piazza d’Italia, era la mattina del primo maggio o due maggio. E io, come ragazzo, ho aiutato, ho detto: ’ cià, vedete in Corso Mazzini, venite, venite aiutarci’, c’era un carretto dallo studio dell’avvocato Sinforiani che poi è stato eletto senatore della Repubblica trasferito un sacco di roba, cartacea no, dentro nelle casse con questo carretto del fruttivendolo li abbiam portati in Broletto. Il Broletto, bel palazzo eh, è stato occupato sia dai comunisti che dai socialisti, primo piano i comunisti, secondo piano i socialisti. Io naturalmente sono andato lì e ho partecipato a questo trasloco di documenti da Corso Mazzini e da allora sono entrato al Broletto aiutando questi partigiani che portavano la roba lì, si è instaurata la federazione comunista. Da allora ho frequentato, perché mio papà è diventato ambulante con un banco fisso di frutta e verdura in piazza, proprio di fronte al Broletto per cui vivevo lì e non ho mollato più. E allora non era ancora rinata la Federazione Giovanile Comunista perché è rinata nel ’49, io ho partecipato alla costituzione perché ero lì. Nel partito comunista se non avevi sedici anni non ti prendevano
FA: Ah!
ed eri considerato membro candidato, io ho ancora i documenti, e dovevi essere presentato da tre persone adulte perché allora la maggiore età si aveva a ventuno anni. Ma nel partito ti prendevano a sedici anni come membro candidato e ti davano la tessera ma eri oggetto di indagini, da dove venivi, chi eri e. Questo è importante. E sì, l’ho avuta, ma nel ’46, nel ’45 no, ero lì senza tessera. Ma avevamo il Fronte della Gioventù, che era un’organizzazione nata nella resistenza fatta di giovani liberali cattolici, comunisti, socialisti, era il Fronte della Gioventù. E abbiamo occupato i locali della ex-GIL, che adesso c’è il comando vigili di Pavia,
FA: Ah, sì.
TM: Là dalla curva. Sì siamo andati lì, abbiamo organizzato anche la balera, facevamo ballare, dappertutto si faceva ballare allora. Poi naturalmente noi eravamo comunisti. E nel ’48 ho partecipato al, alla battaglia elettorale che, la battaglia elettorale era una roba, bisognerebbe parlarne bene di queste robe, era una battaglia con i manifesti che la Democrazia Cristiana ci batteva tutti. Andavano ad attaccare i manifesti anche sotto le grondaie per via che loro avevano le scale delle chiese, è importante!
FA: Quindi belle lunghe.
TM: Lunghissime, che noi non avevamo. Noi potevamo al limite arrivare a tre metri. E poi loro avevano più mezzi.
FA: Bene.
TM: Ho partecipato a questa battaglia. Mi ricordo che il primo, abbiamo fatto una roba che, una roba da giovani. Il partito comunista ha fatto un bellissimo manifesto ‘Quo Vadis, dove vai, o Signore?’ e l’abbiamo messo sotto il portone del vescovado nottetempo. Però siamo stati individuati ma non siamo stati presi in flagrante e poi dopo ce l’han fatta pagare per il lancio dei volantini nei cinema. Si andava in guardina una notte, a lanciare i volantini nei cinema non autorizzati [emphasises] ti beccavano, andavi in guardina fin domani mattina.
[Doorbell rings]
TM: Tonia, guarda un po’. E, bisogna ricordarle queste cose, ai manifesti,
Unknown speaker: Chi è?
TM: il partito mi mandava in questura a portare i manifesti, bisognava metter la marca da bollo e venivano listati.
TM: Chi è?Ormai ci pensa lei, eh.
Unknown speaker: La signora Casella
TM: Venivano listati, bisognava andare in questura, allora c’erano le marche da bollo. Poi il partito mi mandava senza essere funzionario andavo con la corriera che si chiamava la Lombarda a .Milano con i soldi nella borsa a prendere le tessere. Era dove c’è la Mediobanca a Milano c’era l’Alto Commissariato Altitalia che per tutta l’Italia settentrionale c’erano le tessere e i bollini del partito e bisognava andare là con i contanti e prendere, a fare i prelevamenti, mandavano me che avevo diciotto anni, diciannove anni. Poi sono diventato funzionario del partito. Poi ho smesso quando non ne potevo più. Non si mangiava perché il partito, sì esisteva la cifra dello stipendio ma che non vedevamo mai e fin quando ero solo tiravo ma poi dovevo sposarmi e ho dovuto, non uscire dal partito ma non fare più il funzionario, lavorare con mio papà a vendere la frutta e la verdura per poi andare in Comune a lavorare.
FA: Va bene.
TM: Altro, io sono sempre a disposizione.
FA: Va bene allora la ringraziamo per questa intervista.
TM: Che cognome hai?
FA: Andi.
TM: Anni?
FA: Andi.
TM: Andi. E Filippo.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Tullio Magnani
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Tullio Magnani remembers his wartime years in the Pavia province. Although his father was blacklisted as a subversive communist he did not have any trouble at school. He recounted his role as a young resistance helper smuggling food rationing coupons, while working as a shop boy for a well-known antifascist. Remembers being an eye-witness to the bombing of Milan from Pavia. Retells of a machine gun being set up by fascists on the Ticino river bank, which proved ineffective against allied aircraft. Mentions the strafing of a funeral procession at the Cava Manara municipality carried out by what was thought to be a spotter aircraft. Remembers 'Pippo' bombing at night and targeting the fishermens wharf. Stressing how, during the intense bombing and strafing of Pavia on 4 September when they lost everything, the local fascist authority of Travacò municipality was very helpful in providing them with cots, food and lodgings in a school. Mentions wartime episodes: people seeking refuge in a tunnel used as a makeshift shelter and the carnage that ensued from the bombing, a chemist being arrested for being caught red-handed listening to Radio London, how some driven by poverty and hunger, joined the fascist guards and resorted to going to the cinema before the curfew to find a warm place to stay. Explains how Pavia’s old bridge, unlike the other two which were hit, was not hit by the bombers because it was not clearly visible in the reconnaissance photographs taken from aircraft. Describes the celebrations at the end of the war and reflects on the duality of bombers / liberators. Remembers seeing for the first time an American soldier called Dino, who gave them a soap crate as a gift for washing his laundry. Mentions post war acts of revenge, his role in the local branch of the communist party, the 1948 general election, and how he did not get a job as a tax collector because of his political persuasion.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Filippo Andi
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-03-03
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:52:11 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AMagnaniT170303
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Po River Valley
Italy--Milan
Italy--Pavia
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1944-09-04
1948
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
anti-aircraft fire
bombing
childhood in wartime
home front
Pippo
Resistance
shelter
strafing
-
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3fe3e9ea8aa0f92d4eb8d1b366aed80e
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Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Archer, Stanley
S Archer
Rights
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Description
An account of the resource
18 items. The collection concerns the career of Flight Sergeant Stanley Archer. He originally trained as a fitter and served in Fighter Command before re-mustering as a flight engineer and flying operations with 97 Squadron from RAF Woodhall Spa. The collection includes a memoir, a joke medal, an engine test report, a diagram of constant speed units, three operation honours cards and 11 photographs.
The collection has been loaned to the IBCC Digital Archive for digitisation by Rosemarie Da Costa and catalogued by Barry Hunter.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Archer, S
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-04-29
Access Rights
Information about who can access the resource or an indication of its security status. Access Rights may include information regarding access or restrictions based on privacy, security, or other policies.
Permission granted for commercial projects
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
97 Squadron operation honours, Milan, 14/15 February 1943
Drawing of Lancaster
Aiming Point Certificate
Description
An account of the resource
The aircraft is dropping bombs, there is a depiction of an explosion over a river with docks. In the distance searchlights are focused on a target. There is some anti-aircraft fire. The names of the crew are written on the card – 'Sgt Lennox, Sgt Archer, P/O Quinn, Sgt Jordan, Sgt White, F/Sgt King, Sgt Page'. Also written are '97 Squadron Milan, 14/15.2.43.' On reverse ‘D 532960 2 86’.
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
1943-02-14
1943-02-15
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
One card
Language
A language of the resource
eng
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Royal Air Force
Royal Air Force. Bomber Command
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Milan
Great Britain
England--Lincolnshire
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1943-02-14
1943-02-15
Type
The nature or genre of the resource
Artwork
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
PArcherSW1612,
PArcherSW1613
97 Squadron
aircrew
anti-aircraft fire
arts and crafts
bombing
Lancaster
RAF Woodhall Spa
searchlight
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/114/1173/ADelfinoG171029.1.mp3
82938fcfa0094b054fdc2fa441873da9
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Delfino, Giovanni
Giovanni Delfino
G Delfino
Description
An account of the resource
One oral history interview with Giovanni Delfino who recollects her wartime experiences in the Milan and Cremona areas.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-10-29
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Delfino, G
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
ST: L’intervista è condotta per l’International Bomber Command Centre, l’intervistatrice è Sara Troglio, l’intervistato è Giovanni Delfino, e l’intervista ha luogo a casa dell’intervistato in [omitted] a Carate Brianza. Oggi è il 29 Ottobre 2017 e sono le ore 17. Volevo chiederti un po’ della tua vita prima della guerra, dove abitavate, appunto, ciò che ti ricordavi sul tuo quartiere.
GD: Allora, come ha già detto l’intervistatrice, sono Giovanni Delfino, classe 1933, ai tempi del racconto avevo undici anni, undici, dodici anni, perché parliamo del ’44-’45. Precedentemente all’avvenimento devo dire che la mia abitazione, il mio caseggiato era situato in Via Petitti al numero 11, che era una via adiacente alla Via Traiano che confinava con gli stabilimenti Alfa Romeo del Portello, i primi stabilimenti che erano stati fatti a Milano. Fino a quel momento, io la guerra l’avevo diciamo così sentita un po’ da lontano perché i miei genitori avevano provveduto a farmi sfollare nella zona di Cremona da nostri parenti dimodoché io ad un certo momento quando c’era un incursione aerea su Milano li sentivo solamente per sentito dire, oppure quando succedevano di notte da questa distanza che erano circa 60 chilometri, io vedevo i bagliori delle parti delle case incendiate eccetera perché essendo campagna tutta piatta si riusciva a vedere i bagliori da Milano. Caso vuole che ormai considerando che la guerra stava finendo, i miei genitori decisero di ritornare a casa e qui successe il fattaccio, successe il fattaccio perché dunque la mia abitazione, il mio caseggiato era adiacente ad un convento delle suore di clausura di Maria Teresa del Bambin Gesù, circondato da altissimi muraglioni alti, alti, alti, e intorno c’eran tutte, vuoi l’Alfa Romeo, e vuoi piccole aziende e altra campagna cioè prati, più che altro coltivazioni di ortaggi, eccetera eccetera. Dico questo perché una particolarità, tutte le siepi che circondavano queste ortaglie erano diciamo, luogo, diciamo, di ritrovo degli operai di queste ditte, piccole ditte che, finito l’orario di mensa, si mettevano per quei pochi minuti che rimanevano ancora a giocare a carte o a dama all’ombra di queste siepi. Il giorno che sto per raccontare era un giorno, non mi ricordo bene se luglio o agosto, era sul mezzogiorno. Gli operai erano tutti sotto queste siepi a giocare, eccetera eccetera. Io ero appena tornato da, dalla spesa, dall’aver fatto la spesa con mia mamma, che si trovava sull’androne del caseggiato insieme ad altre persone perché sotto c’era un bar, e insieme a un ufficiale dell’aereonautica militare italiana. Io ero lì che guardavo, curiosavo e la, come fanno tutti i bambini, questi operai che giocavano a carte, a dama, eccetera eccetera. A un certo momento, suona il piccolo allarme. Il piccolo allarme, allora c’era il piccolo allarme e il grande allarme. Il piccolo allarme veniva dato quando le squadriglie erano distanti abbastanza da Milano. In quel momento lì invece cosa successe? Successe che, con questo piccolo allarme, l’ufficiale che c’era insieme lì a mia mamma che stava chiacchierando, sentendo il rombo così degli aerei, guardò in alto e già a una certa distanza, essendo anche pratico, insomma, del mestiere [laughs], vide che c’era questa squadriglia altissima, altissima no, di Liberator, dice, famosi Liberator, e il caposquadriglia aveva fatto, aveva iniziato a fare una manovra, diciamo così, di circoscrizione della zona che, a detta dell’ufficiale dell’areonautica, era un segnale per, diciamo, l’inizio del bombardamento. Al che, l’ufficiale gridò subito: ‘Bombardano, bombardano!’, mia madre, immaginare lo spavento, io, come tutti i bambini che quando vengono richiamati dalle proprie madri, no, ci mettono una, due, tre volte prima di decidersi a rispondere, a obbedire, come sentii il grido di mia mamma, partii come un razzo e arrivai di volata, percorsi questi cinquanta, sessanta metri, quelli che potevano essere, arrivai sotto all’androne della casa. In quel momento arrivavano le prime bombe. Lo spostamento d’aria buttò mia madre, l’ufficiale ed io giù per la tromba delle scale, verso i rifugi, che normalmente una volta si chiamavano rifugi ma, insomma, erano quello che erano, erano le cantine, e fortunatamente in fondo alle scale c’era un mucchio di sabbia, che veniva messo per gli incendi, eventualmente spegnere gli incendi, e io ero davanti, dietro c’era mia mamma, l’ufficiale, e giù tutti a capo di collo e io mi infilai con la testa dentro nel mucchio della sabbia, mi ferii la testa, infatti sto facendo vedere ancora la cicatrice all’intervistatrice. E finisce così, frastuono, polvere, e devo dire che a distanza adesso di anni, ragionando adesso dai miei ottantaquattro anni, devo dire, sinceramente, che io non provai grande spavento perché probabilmente la situazione era stata così rapida, traumatica, improvvisa, imprevedibile, eccetera eccetera che non aveva lasciato il tempo di pensarci troppo, giusto? Alla fine, passa, passa il bombardamento, si esce. Spettacolo, allora sì, incominciamo ad avere una sensazione, così, non più di paura perché ormai non c’era più la paura ma di accoramento perché la strada era ormai tappezzata di macerie. Avanti di noi c’era una casa proprio che era sul limite della Alfa Romeo proprio, di quattro piani con, abitata da molti miei amici e ancora una casa di quelle vecchie, fatte di mattoni, non cemento armato, era letteralmente un cumulo di mattoni, un cumulo di macerie con sotto tutte le persone. [pause] Per fortuna la nostra casa, sì, aveva le persiane abbattute, finestre e i vetri rotti eccetera ma era ancora in piedi, non aveva subito danni, qualche scheggia eccetera perché? Faccio una piccola premessa doverosa. A quei tempi gli Alleati sapevano che, per esempio, l’Alfa Romeo aveva adottato per gli stabilimenti, per esempio di Pomigliano d’Arco a Napoli eccetera, il sistema di costruire i reparti sottoterra, per proteggerli dai bombardamenti. E allora loro, i bombardamenti, adottavano un sistema. Anziché usare bombe dirompenti, usavano bombe perforanti, le quali entravano sottoterra, e esplodevano, non alla quota diciamo zero, ma sottoterra. E così fecero anche per questo bombardamento, no. Questo per noi fu una salvezza perché, salvezza con una concomitanza anche di destino perché ad un certo momento, guardando poi la disposizione delle buche delle bombe di questo bombardamento a tappeto, vedemmo che quella bomba che in teoria, in pratica doveva arrivare su casa nostra, si era spostata di circa una cinquantina di metri, forse di più. Era andata a finire in una delle ortaglie. Andando a finire in una delle ortaglie, aveva perforato il terreno, aveva tirato su terra a non finire al punto che al terzo piano della nostra casa, sopra di noi abitava il padrone di casa, che aveva un terrazzo e con la terra che arrivò sul terrazzo riempì i vasi di fiori, non buttò via la terra, questo per dire. E questa è stata una fortuna, perché praticamente non c’è stato spostamento d’aria. Piccola premessa, piccola anzi parentesi, più che premessa, la vicinanza del convento delle suore di clausura di Maria Teresa del Bambin Gesù gridò, ci portò anche a dire, è stato anche un miracolo perché c’aveva protetto. Benissimo, prendiamo tutto per buono, l’importante che non ci era successo niente. Però, questo è un fatto che, mi dispiace quasi dirlo che, perché è un po’ macabro. Voi dovete pensare che le finestre della mia abitazione guardavano proprio su queste ortaglie, dove c’erano le siepi con quegli operai che stavano lavorando, che stavano giocando a carte eccetera eccetera. Non se ne salvò uno perché quella famosa bomba che è arrivata nell’ortaglia, sì, ha salvato la mia casa ma purtroppo non ha salvato gli operai. Bene, io non so per quanti mesi non mangiai più carne, ecco la storia macabra, perché dalle finestre di casa mia ogni tanto si vedeva il carro funebre del comune che andava a rovistare nell’ortaglia, non so cosa facessero però si vedeva che tiravano su delle cose, le mettevano dentro in sacchi di plastica e poi se ne andavano, basta, vi lascio pensare cosa potevano tirare su, senz’altro non carote e patate. E questo insomma è stato la mia esperienza bellica attribuita alle incursioni aeree. E voi dovete pensare, un particolare che può essere così anche di alleggerimento a questo racconto, in una, una dei crateri delle bombe che, essendo un bombardamento a tappeto, praticamente di bombe ne avevano sganciate un bel po’, era proprio vicino a casa nostra, no, e quando ci sono stati gli Alleati, da noi c’era un insediamento della Croce Rossa e allora c’erano degli italo-americani che si erano fatti amici dei miei genitori, venivano da noi a prendere il caffè, erano dei militari di Boston, mi ricordo ancora, no, bravissime, bravissime persone, no, e ovviamente io su suggerimento loro andavo in una delle buche di queste bombe, allora c’era qualche buca era adibita a raccolta di rifiuti diciamo umidi, e questa buca invece era adibita a rifiuti invece cartacei e lì c’era tutta la corrispondenza, le buste della corrispondenza che ricevevano i militari americani, e io, appassionato di filatelia, andavo a raccogliere dentro nella busta, [laughs] nella buca della bomba, andavo a raccogliere queste buste per togliere i francobolli che sono ancora qua nella mia collezione che quando li vedo mi viene un senso di, così di commozione perché a ottantaquattro anni ci si commuove anche per, guardando dei francobolli. Ecco questo per dirvi, questo bombardamento a tappeto cosa aveva prodotto, nel male 90% e nel bene 10% per i francobolli del Gianni Delfino, che sarei io.
SR: Prima mi parlavi di tuo papà e del suo lavoro in Alfa Romeo. Volevo chiederti.
GD: Sì, ecco sì, mio padre, noi abitavamo proprio vicini alla Alfa Romeo perché era abitudine, abitudine, si cercava chi lavorava in questi stabilimenti di metter su casa vicino per essere comodi, per non avere tanta strada da fare così. E mio padre aveva, ha lavorato la bellezza di quarantun’anni in Alfa Romeo, era un capolinea sulle dentatrici Gleason, di modo che io ho sempre mangiato pane e ingranaggi a casa mia, perché il suo da fare è raccontare, io ero figlio unico, era raccontare, a lui piaceva molto mettere al corrente, metterci al corrente di quello che succedeva sui posti di lavoro, sulle evoluzioni tecniche della costruzione degli ingranaggi eccetera eccetera, che, considerando che erano in Alfa Romeo, erano di altissima qualità perché sappiamo che l’Alfa Romeo allora insomma era una delle prime ditte italiane in fatto di costruzioni di automobili.
ST: E vi parlava anche della vita in fabbrica magari come succedevano, cosa succedeva durante i bombardamenti lì o episodi di resistenza?
GD: No, [unclear], se, ecco, quando avevano sentore di qualche allarme, sulla Via Renato Serra che era una via proprio che tagliava in due praticamente lo stabilimento dell’Alfa Romeo, avevano costruito degli enormi rifugi antiaerei di cemento armato, saran stati, avranno avuto minimo minimo un venti metri di diametro, dentro c’era tutta una, chiamiamo una scala a chiocciola, dove gli operai entravano, e poi man mano, tu, tu, tu, tuck, si sistemavano tutti seduti su questa scala a chiocciola eccetera; questi rifugi erano fatti anche con una punta conica, con una punta d’acciaio, proprio la cuspide in acciaio per fare in modo che se arrivasse, arrivava qualche bomba eccetera, era portata a scivolare via, insomma, non poteva dare l’impatto su questa. E questo è uno delle caratteristiche diciamo che mi ricordo. Poi, tu cosa, cosa mi chiedeva lei, scusi?
ST: Ti chiedevo se appunto lui magari parlava di, come reagivano gli operai durante i bombardamenti.
GD: Ah, niente, no, guardi, ormai c’era un’assuefazione tale che a un certo momento niente, non dico che quando c’era il bombardamento ‘oh che bellezza, così non lavoriamo!’, però insomma non è che si, oddio, gli operai la preoccupazione erano per i familiari a casa perché loro si sentivano superprotetti in questi bunker no, però purtroppo, come abbiamo visto, se ci fosse stato un operaio che aveva dei parenti nella casa di fianco alla mia, eh, vi lascio ben immaginare quale poteva essere stato il suo stato d’animo alla sera quando sarebbe uscito dal suo rifugio e fosse andato a casa sua ecco. Questo non, eh, niente.
ST: E i tuoi genitori parlavano della guerra o del regime, si scambiavano opinioni politiche quando erano in casa, anche davanti a te?
GD: Sì, sì, sì, sì, non è che si, cioè per quanto potessi capire io a dodici anni però a un certo momento qualcosa capivo anche perché posso dire perché tanto non è un segreto, mio padre non era di idee di regime. [background noise] Diciamo, sei possiamo dire all’opposto, abbiamo detto tutto. E a tal riguardo io potrei, mi piacerebbe raccontare un fatto molto, molto significativo, che elude da quello che è i bombardamenti, l’incursione aerea così, però è un fatto umano molto interessante. Il reparto di mio padre era decentrato a Usmate, un paese qui nella periferia di Milano. Mio padre così, forse, così, godeva di grande stima da ambo le parti, dalla direzione che senz’altro politicamente non la pensava come lui, dagli operai che politicamente qualcuno anche pensava come lui, e da, diciamo dei gruppi, diciamo partigiani, ecco, diciamo il termine giusto come deve essere, anche perché mio padre faceva parte della Brigata Garbialdi, parliamo chiaro, Garibaldi prima civile, non armata non, però questo cosa gli faceva fare? Voi pensate, quando era il giorno di paga, mio padre prendeva la bicicletta, mettevano le paghe in una borsa di cuoio normale che veniva messa a cavallo della canna della bicicletta, come si fa quando si mette dentro la merenda, oppure la colazione eccetera, e lui partiva lemme, lemme da Milano, prendeva la Gallaratese, trac andava verso Usmate eccetera eccetera a portare le paghe. Voi dovete pensare che, strada facendo, spesso e volentieri incontrava partigiani, che saltavano fuori un po’ da tutte le parti. Non l’hanno mai fermato una volta. Primo, perché sapevano chi era, poi perché, onestamente, erano partigiani onesti. Perché uso la parola onesti? Perché dobbiamo essere consapevoli che, a quei tempi, l’onestà non è che era una bandiera che tutti sventolavano; l’onestà era un piccolo vessillo privato che ognuno, alle volte cercava quasi di tenere di nascosto, per non farsi vedere troppo onesto. E allora probabilmente lui ha avuto la fortuna di incontrare sempre queste persone che, conoscendolo ed essendo onesti, non l’hanno mai fermato e non gli hanno mai portato via una lira. Lui arrivava sempre sul posto e portava le paghe agli operai di Usmate. Questo è un fatto molto molto importante e significativo perché purtroppo si sentono tanti racconti non belli di persone che approfittavano della loro idea politica e del loro grado, soprattutto idea politica, per fare anche nefandezze. A me piacerebbe, se è consentito, poi casomai sarà l’intervistatrice che taglierà, perché ad un certo momento io in questa intervista avevo fatto una riflessione, ero stato preparato dalla signorina Troglio, perché io, in mezzo a queste cose qui, così tragiche, volevo dire due cose significative, molto molto belle, che io devo cercare di non farmi prendere dalla commozione, intanto che le racconterò. Allora, noi avevamo undici dodici anni. Non è che si patisse la fame però ci si arrangiava come ragazzi a, insomma, a cercare dove, noi per esempio andavamo in queste ortaglie, che dicevo, a prendere, a rubare, a prendere le zucche, poi a fette le portavamo in questa casa di quattro piani, cumulo di macerie che vi ho descritto, c’era un fornaio e noi le portavamo quando il forno era spento però ancora caldo, portavamo le fette di zucca verso le tre, quattro del pomeriggio e poi le andavamo a prendere alle sette, alle otto, perché erano belle cotte e ce le mangiavamo. Ecco, questo per dire un particolare ma questo qui è un particolare ameno. Ma invece quello che ho detto che mi dà commozione ancora è questo. In Viale Certosa c’era tutto il filiare di platani. Ora, a un certo momento il comando tedesco aveva dato ordine di abbattere il platani, probabilmente non era, era per una questione di approvvigionamento di legna da ardere perché chiunque vi insegna che se c’è un filare di alberi e ci sono dei mezzi militari ci tengono a non abbatterli perché essendo nascosti dietro gli alberi gli aerei non li vedono. Perciò sarebbe stato assurdo un bel viale alberato, andare ad abbattere gli alberi quando, però abbiamo capito che era perché anche loro poveretti insoma c’avevano bisogno di legna da ardere. Bene. Particolare bellissimo, bellissimo, cioè noi arriviamo davanti a questo albero, noi siamo in due o tre amici che siamo lì a guardare abbattere l’albero con le borse della spesa in mano. C’è un tedesco con l’ascia che sta abbattendo l’albero. Ovviamente saltano via le schegge di legno, noi ragazzi raccogliavamo le schegge di legno per portarle a casa e accendere la stufa. Questo giovane tedesco, soldato tedesco, me lo ricordo ancora, faceva apposta a far fatica a fare le schegge più grosse per far in modo che noi, anziché le schegge piccole avessimo dei pezzi di legno più grossi da portar via, questa è una cosa che io, mentre la sto dicendo, mi sto commovendo, perché è una cosa che, niente, con questo io non sto difendendo il soldato tedesco tout court. No, per l’amor del cielo, eh, lungi da me, niente, sto riferendo un fatto mio personale che è molto, molto, molto importante. E il secondo fatto, e io ho già detto che nella mia famiglia, avete già capito le idee politiche quali potevano essere, però in quel momento, noi dobbiamo ricordare che negli anni ’40 eccetera, si era tutti infollarmati [sic], si era molto tutti, io ero un figlio della lupa, dico la verità, avevo la mia divisina anch’io, no, eccetera, e io mi ricorderò sempre un altro fatto importantissimo. Di fianco a noi, di fianco a questo convento delle suore c’era anche e c’è ancora un, diciamo, un ricovero eccetera, un’opera, dove erano ricoverati gli orfani, degli orfanelli, erano gli orfani di Padre Beccaro, esiste ancora eccetera. , Benissimo, a un certo momento c’era la scritta sopra, c’era scritto, ‘Opera derelitti di Padre Beccaro’. Derelitti è una parola italiana normale che vuol dire ‘abbandonati’, non è un’offesa, no? Bene. A un certo momento, arriva il Duce, arriva il Duce, tutto il rione in subbuglio, tutte, non tanto gli uomini perché erano al lavoro ma tutte le donne coi figli: ‘Arriva il Duce andiamo a vedere cosa farà questo Duce!’. Io me lo ricordo ancora adesso, come mi ricordo il tedesco là che faceva, io me lo ricordo ancora arrampicato su una scala, mia moglie, mia mamma eccetera, con le lacrime agli occhi insieme ad altri, io no perché io non capivo, perché io avrò avuto sei, sette anni, otto anni, quello che è, e avevano preparato, solo la parola, la parola ‘derelitti’ era stata tutta inbiancata. E lui, me lo ricordo, io chiudo gli occhi, me lo vedo ancora sulla scala, col pennello di vernice nera, che ha scritto ‘piccoli’, ‘Opera piccoli di Padre Beccaro’, ancora adesso se andate a vedere, c’è scritto ‘opera piccoli’ adesso fatta bene ovvio, aveva fatto togliere la parola ‘derelitti’ perché non voleva, ecco. Parliamo chiaro, è propaganda, cioè non sto dicendo che in quel momento lì il Duce si è svegliato una mattina e preso da un rimorso, ‘oh, io devo andare’, no, quello no, propaganda eccetera, però sono quelle cose che, cioè riflettendo adesso, dico ma, pensate un pochettino cosa può fare un regime per riuscire a imbonirsi eccetera, le persone. Oh, lì c’era una massa di donne che piangevano perché vedevano il Duce che stava scrivendo la parola ‘piccoli’ e infatti bisogna dire, è un fatto che non è riprovevole, anche encominabile perché insomma uno che tira via la parola ‘derelitti’ e ci mette ‘piccoli’, insomma tanto di cappello, giusto? Se l’avesse fatto un prete, sarebbe stata la stessa cosa. Ecco questo è il secondo fatto, diciamo così ameno, leggero che volevo mettere insieme al bombardamento.
ST: Ma, volevo chiederti, a scuola, com’era la vita a scuola durante la guerra, se avevano parlato di bombardamenti o vi parlavano della guerra in corso.
GD: No, dunque, allora devi pensare questo, io premesso, io un certo momento, nonostante le idee eccetera però si era presi dentro in un canale, io ero un figlio della lupa, avevo la mia bella divisina, ci tenevo a andare alla Scuola Pietro Micca di Via Gattamelata a fare le mie riunioni eccetera tutto così eccetera e non sono mai diventato Balilla perché siccome sono sfollato di modo ché non ho fatto in tempo. Io la terza, la quarta, la quinta l’ho fatta a Castelleone in quel di Cremona, perciò a un certo momento là per me la guerra non esisteva più, il fascio non esisteva più, cioè, ero ben lontano là, vivevo in mezzo ai campi contadini, per me insomma ormai, per me la vita era con le mucche, i tori, i cavalli eccetera eccetera, no, ecco. E perciò direi che mah, sì, io a un certo momento, più che la guerra in sé stesso, eccetera eccetera, ricordo due o tre fatti, proprio rapidissimi, così, per esempio, i fascisti scappano da Milano, c’erano i giovani della X Mas eccetera, eccetera, che mi ricordo che passavano da Viale Certosa, quel viale dove avevano abbattuto gli alberi e, io dico adesso alla mia età, con una paura addosso, perché chissà che paura avevano, erano, passavano coi camion, e sparavano sulle finestre perché non volevano che la gente si affacciasse a vedere che loro stavano scappando. Questo me lo ricordo perché casa mia, praticamente, Via Petitti è all’inizio era dopo c’era Viale Certosa perciò io da casa mia vedevo le case di Viale Certosa e quando sono passati sentendo il crepitio delle armi mi avevano detto ’Sì, sono i giovincelli del fascio che stanno sparando sulle finestre, perché probabilmente si vergognano per vedere che stavano scappando’. E invece l’altro fatto, l’altro fatto invece increscioso che mi ricordo, mi ricordo quello l’ho visto io,l’ho visto non visto fare ma visto dopo, quando hanno incominciato a fare le epurazioni che in Via Poliziano hanno preso la Ferida e Osvaldo Valenti, che erano i due attori, e a un certo momento li hanno fucilati lì sul marciapiede. Quella è stata una cosa che, ecco, io ricordo più, diciamo mi ha fatto più effetto il dopoguerra che la guerra, perché il dopoguerra per esempio c’era l’ingegner, faccio un nome, l’ingegner Gobbato. L’ingegnier Gobbato è un ingegnere dell’Alfa Romeo, bravissima persona, detto da mio padre, guardi, una cosa eccetera, ma era fascista, perché per forza, là tutti da un certo grado in sù, dai capi in sù dovevano essere per forza iscritti al fascio, perché altrimenti vivevano male, no? E a un certo momento si vede che qualcuno ce l’aveva su, dopo l’epurazione, a un certo momento l’hanno trovato in mezzo alla neve, fuori dell’Alfa Romeo, ammazzato eccetera, no? Ecco lì sono cose che si ricordano, si ricordano molto, molto, molto, molto, per far capire un pochetto cosa vuol dire cosa sono le, come si può dire, le vendette personali. E io posso dire che sotto di noi abitava un fascista. A un certo momento è stato preso e portato a San Vittore. Era una brava persona. Dopo un po’ di giorni è tornato a casa. Questo per dire che non era tanto perché uno avesse l’iscrizione al fascio o non al fascio, tutto dipendeva dall’indole della persona, una persona poteva essere malvagia o persona buona, e persona, e questo sono i vari ricordi. Oddio, questa è un’intervista che è partita con un tema ben preciso e cioè incursioni aeree eccetera eccetera, la RAF minga la RAF eccetera eccetera. Niente, potremmo farla un’altra, io ho aggiunto qualche particolare, potrei aggiungere altri particolari interessanti di vita bellica però su un altro tema, cioè il tema: vita bellica di un ragazzo eccetera eccetera. Si potrà fare un domani eccetera perché ci sono dei.
ST: Se vuoi anche ora.
GD: Degli altri, degli altri, ci sono degli altri avvenimenti importanti, per esempio, uno devo dirlo, devo dirlo perché.
ST: Racconta pure tutto quello che vuoi.
GD: E’ più forte di me. Allora, mio zio, anzi se la qui presente eccetera vuole anche con il telefonino filmare, riprendere un attimino quello che sto dicendo eccetera eccetera, mio zio era carrista sui carri armati M11 e diciamo zona di El Alamein, tanto per intenderci, carri armati M11 erano carri armati. L’M, avevano l’arma in torretta, poi furono trasformati in M13 con l’arma nello scafo, cioè praticamente fissa nello scafo, non nella torretta. Ovviamente con i carri armati inglesi bastava un colpo ben assestato che partiva via tutto, erano degli scatolini e io devo dire che mio zio era carrista, lui era capocarro a parte che a capocarro lì erano dentro in due o tre mi sembra, non è che come adesso sono dentro in cinque sei. E in una battaglia, mi ricorderò sempre, mi disse, stavano andando, a un certo momento colpiti da altri carri, a un certo momento un colpo tremendo, deve immaginare il frastuono tremendo eccetera eccetera tutto, a un certo momento, lui, il cannoniere era sopra di lui, lui era nello scafo, il cannoniere, e lui a un certo momento [screams] a cominciato a gridare, prende la gamba del cannoniere e gli dice, uè te, lo chiama per nome, cosa è successo, e gli è rimasto in mano la gamba. Praticamente il colpo aveva portato via la torretta, il cannoncino e mezzo cannoniere. Questo è stato il trauma di mio, al punto che mio zio è saltato fuori dal carro, si è spogliato, si è messo in mutande, si è messo con le mani alzate, e ha sperato che non ci fosse nessuno che lo colpisse. È stato fatto prigioniero. Ecco, questo non è per vigliaccheria, questo per dire come ci si trova. È stato fatto prigioniero, portato in Africa, bla, bla, bla, bla, tutto eccetera eccetera eccetera, rimpatriato, ehm, parte la nave, siluro, tutti mezzi morti, mio zio fortunamente aveva il mal di mare, era andato in coperta e si era addormentato su un rotolo di corde, giusto, e questo l’ha salvato perché è stato buttato a mare, è stato la bellezza di dodici ore a bagnomaria in acqua e poi è stato salvato dagli inglesi. Portato ancora in campo di concentramento, in Africa così, faceva il cuoco, stava benissimo, eccetera, eccetera. Precedentemente, voi dovete pensare che, per la sete, arrivavano a bere l’acqua dei radiatori del carro armato. Non gliene fregava niente se il carro armato poi si fermava, piuttosto che morire di sete bevevano l’acqua. E infatti mio zio poi dopo reduce a casa così, quando è deceduto, è deceduto anche perché aveva lo stomaco un po’. Ma il fatto invece bellissimo, bellissimo, uguale a uno di quelli che mi ricordo, è: io sono sfollato a Castelleone, ritorna mio zio reduce dalla prigionia, siamo in questo paese, la prima cosa che fece, mi ricordo guardi anche, me lo sento adesso, mi prende, mi porta fuori in campagna, c’era una roggia che si chiamava la Seriola, si chiama la Seriola, è un affluente del fiume Serio che incrocia sopra la Seriola, ci sono dei canali in cemento per portare l’acqua, eh cosa fanno, mica possono, allora facevano i canali, fanno i canali in cemento. E c’era uno di questi canali in cemento con dentro l’acqua corrente che se la Seriola era non so a diciotto gradi, lì l’acqua sarà stata a dodici gradi, forse a dieci. La soddisfazione di questa persona, reduce, arriva a casa, saluta i parenti, la prima cosa che fa, prende il Gianni, che ero io, andiamo in campagna, andiamo alla Seriola, ci spogliamo e in mutande dentro a bagnomaria nella corrente, a sentire quest’acqua fresca, fresca, freddissima, gelata. Io a un certo momento seguivo lo zio, e, cioè vabbè, non è che, mi piaceva, mi piaceva il fatto, non tanto perché io sentivo freddo ma io mi ricordo la soddisfazione di questo uomo a essere al suo paese, vivo, e immerso nell’acqua gelida, bella corrente, che avrà sognato non so per quanti anni, per quanti anni, per quanti anni. Bellissimo, bellissimo, sono dei fatti questi che sono, sono indimenticabili, indimenticabili, indimenticabili. E io torno a dire, la mia memoria ormai è quella che è: non mi ricordo quasi cosa ho mangiato a mezzogiorno, però questi fatti qui sono indelebili nella mia mente e mi fa tanto, tanto, tanto piacere perché io, come tutti i vecchi, chissà quante volte le ho già raccontate a Tizio, Caio, Sempronio, magari annoiandoli anche, mi fa piacere che questa volta così ho potuto lasciarli a una persona che magari ne può far tesoro, insieme ad altre testimonianze.
ST: Volevo farti un’ultimissima domanda.
GD: Sì. Dica.
ST: MI parlavi appunto dell’attivitò partigina di tuo papà. Lui in fabbrica era sabotatore quindi? Cosa?
GD: Sì, ah allora, [laughs], a un certo momento, dovete pensare anche questo: quando si parla di sabotaggio, sabotaggio non vuol dire mettere un ordigno esplosivo, far saltar per aria qualcosa eccetera. Sabotaggio c’è anche il sabotaggio intelligente. Il sabotaggio intelligente, che è molto pericoloso perché può essere frainteso come un finto sabotaggio. Cioè, lui essendo un capolinea perciò a un certo momento aveva anche una responsabilità verso gli operai, doveva stare attento anche che gli operai non facessero delle cavolate di loro iniziativa, però loro a un certo momento, se c’era, a un certo momento avevano capito che c’erano dei pezzi che facevano, che non c’entravano niente coi motori Alfa Romeo, erano dei pezzi che venivano fatti poi incellofanati tutti, oliati, eccetera, erano pezzi di V1, venivano mandati in Germania. E mi ricordo perché me ne portò a casa anche qualche dopo la guerra erano rimasti in magazzino, e mi diceva: ‘vedi, questi qui sono pezzi che facevamo per lavoro’, in modo che potete immaginare il controllo dei tedeschi come era, [makes a rhythmic noise], com’era pressante, no, eccetera, in modo che bisognava stare attenti di, se c’era da fare mille pezzi, cercare di farne ottocento, non cento, però ottocento, insomma duecento meno. Per fare questo, le macchine dovevano andare non troppo bene, però non potevano essere manomesse col dire ‘Ah io faccio bruciare il motore elettrico, la macchina non va più!’. No, deve essere sempre il solito bullone semisvitato, il solito dado che manca, il solito filo che si è spelato e ha fatto un po’, e non fa più contatto ma basta riagganciarlo e la macchina riparte, però intanto si perdono le ore, eccetera eccetera, ecco questo era stato fatto, questo mi raccontava che loro sabotaggio ne facevano, però era un sabotaggio, infatti non c’è mai stato in Alfa Romeo una rappresaglia e che erano curati perché, dovete pensare che uno degli azionisti dell’Alfa Romeo era Benito Mussolini, figuriamoci no. Eh, e questo è quello che mi raccontava dei sabotaggi che facevano quando si erano accorti che facevano i pezzi per la V1. E io li ho visti, bellissimi, tutti incartati in carta cellofan, tutto oliato, tutto per bene in scatolette, tutti, sì. Questo, ecco l’unica cosa di sabotaggio che posso dire è questo, altro non saprei. Abbiamo finito? Finito? Alla prossima puntata.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Giovanni Delfino
Description
An account of the resource
Giovanni Delfino was at first evacuated to the Cremona area, where he could see the glow of the distant bombings. He then came back to Milan only to witness a bomb nearly missing his house and killing factory workers. He describes the gruesome sight of undertakers picking up maimed bodies and scattered humans remains: the scene was so shocking that he avoided meat for a while. He recalls wartime episodes: being hurled into a cellar by the blast wave and landing on a pile of sand; stealing pumpkins from a nearby plot and covertly baking them in a ruined house oven; searching for stamps in a bomb crater; the public execution of the actors Osvaldo Valenti and Luisa Ferida; an act of kindness of a German soldier and post-war revenges. He retells his father’s wartime experiences as Resistance runner and Alfa Romeo factory worker: slowing down war-related production; manufacturing V-1 parts destined to Germany, a description of the factory shelter. He mentions his uncle’s wartime experience as tank man, mentioning harsh conditions, a gruesome combat episode in North Africa, surviving torpedoing and being picked up by the Royal Navy.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Sara Troglio
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-10-29
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:41:14 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ADelfinoG171029
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Po River Valley
Italy--Milan
Italy--Cremona
Italy
Italy--Pomigliano d'Arco
Rights
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Type
The nature or genre of the resource
Sound
bombing
childhood in wartime
evacuation
fear
home front
Resistance
shelter
V-1
V-weapon