1
25
10
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/428/3600/PSamoreT1801.1.jpg
4e25eab2fa61b9c7d8bd7e75647a3e64
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/428/3600/ASamoreT180206.2.mp3
8a05a3481143895a718a4d6e010f2719
Dublin Core
The Dublin Core metadata element set is common to all Omeka records, including items, files, and collections. For more information see, http://dublincore.org/documents/dces/.
Title
A name given to the resource
Samorè, Tito
Tito Samorè
T Samorè
Description
An account of the resource
One oral history interview with Tito Samorè who recollects his wartime experiences in Milan.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2018-02-06
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Samore, A
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
ZG: Allora, l’intervista è condotta per l’International Bomber Command Centre. L’intervistatore è Zeno Gaiaschi. L’intervistato è Tito Samorè. Nella stanza è presente Francesco Samorè, il figlio. L’intervista ha luogo a Milano in [omitted] ed è il 6 febbraio 2018. Possiamo iniziare. Quindi, signor Tito, come prima cosa io le chiedo, qual’è il ricordo più vecchio che ha?
TS: Dunque, il ricordo più vecchio, di prima della guerra o durante la guerra?
ZG: Di prima della guerra.
TS: Di prima della guerra. Facevo tiratore scelto con i Balilla [laughs] che eravamo dieci in tutta Italia che ci portavamo a tirare a segno con carabine da tiro a segno e facevamo le gare di tiro a segno. Eravamo bravi, ci mandavano in giro a fare vedere che i Balilla erano bravi, sapevano sparare bene, ecco e via, però . Continuato, diciamo poi anche a nel futuro, nel passato diciamo continuato a tirare, a fare tiro a segno fino a quando mi ha detto: ‘No, non si può perché dovresti passare la nazionale in piedi e io sono un monocolo perché ho perso, durante la guerra ho perso una parte [laughs] e quindi quella lì già una seconda parte e poi si andava a scuola quel giorno, il primo giorno che è stato fatto il bombardamento del primo aprile, no, del giugno mi sembra del ’40, primo bombardamento di Milano, eravamo, era un pomeriggio tra parentesi di solito qui mettono turni invece siamo, siamo nel pomeriggio del, di quel, del primo bombardamento del ’40, del giugno del ’40 era, 16 giugno o il 19, eravamo per strada per Milano con mia madre e noi siamo cinque fratelli però eravamo solo i due maggiori andavano a spasso, gli altri erano ancora da venire certi e quindi. Ed eravamo un giro a spasso per Milano, Via Dante per la precisione, e quando a un certo punto abbiamo sentito suonare l’allarme però la gente, al primo momento non, non pensava neanche che potessero bombardare se ne fregavano un pochettino e se ne sono accorti quando si sono visti il primo [mimics the sound of the artillery] dell’antiaerea, ha cominciato a sparare l’antiaerea e si sentono arrivare gli aerei e la gente ha cominciato a fuggire. Mia madre che era una tipa molto veloce, diciamo, tenendoci saldamente per le mani tutti e due, mio fratello maggiore c’ha ormai novant’anni, io ce ne ho un po’ di meno ma diciamo la gente si scappava, la gente che fuggiva e non si sa bene per dove perché si vedevano gli aerei che arrivavano però la gente fuggiva e mia madre ci ha preso per le mani e ci ha fatto entrare in un portone che si trovava e siamo stati lì ad aspettare e io e mio fratello che eravamo i curosi naturalmente come tutti i ragazzini su questa faccia della Terra e guardavamo, vedevamo gli aerei e vedevamo dagli aerei cadere i grappoli, cadere dei grappoli ma mia madre diceva: ‘Ricordate ragazzi, stanno bombardando’ di mamma, guarda se bombardano adesso sopra di noi le bombe andranno, saranno circa mille metri le bombe andranno giù a ottanta, cento, duecento di qua quindi [laughs] aspettiamo che, che poi sono passati questi qui e poi sono andati via, è stato un bombardamento veloce però c’erano anche i loro morti, le loro, la gente era terrorizzata per un momento poi passato diciamo il terrore praticamente era abbastanza calma, certo, c’era gente che piangeva perché pensava alla casa, pensava ai bambini, pensava robe del genere, non sapeva dove erano cadute le bombe, poi così il terrore delle case che erano in fiamme e quindi, e c’erano case in fiamme, c’erano danni ma a me personalmente non è che abbia fatto terrore, era un’esperienza [laughs] e basta ecco. Questo è il primo bombardamento e poi, poi, poi [laughs] e poi ne sono passati tantissimi altri però in teoria non è che ci facessa paura molto a Milano almeno che è una città un po’ stramba [laughs] non ha dato quel terrore che gli americani, gli inglesi pensavano, speravano che sostenesse e bombardavano il giorno dopo che eravamo già lì a ricostruire o tirare via le macerie in Italia sì, c’erano proprio dei cosi specializzati, andavano subito a controllare che lo stabile stesse ancora in piedi, fosse ben, sgombrarlo e lasciarlo cadere oppure farlo cadere giù del tutto quindi c’era molta roba che veniva tirata via dalle strade, le strade erano pulite e soprattutto anche poi per tirare fuori i morti se c’erano, per evitare infezioni eccetera. Milano era molto tranquilla sotto certo, non ci faceva piacere c’erano case che bruciavano roba del genere però non era piacevole tant’è vero che ad esempio la prima cosa che ha fatto mio padre senza avere ordini specifici perché non gli avevano dato ha detto. Dunque partiamo dal principio che le case di Milano sono fatte di mattoni e di cemento e sono tutte però in legno la parte interna perché i pavimenti non avevano le travi di cemento traverse, c’avevano le travi di legno con su il carnicciato di legno e poi il pavimento. I tetti erano in legno, coperti da tegole ma erano in legno. I solai di solito erano in legno. Quindi erano molto più facili da incendiare ma l’esterno del fabbricato era rimasto così. Uno che passa per Milano dice case vecchie, oh, che strano ma come fanno a essere ancora case vecchie, dicevano che Milano era stata distrutta parecchio. Ma, sì, è stata distrutta perché erano bruciate da questi spezzoni incendiari la casa gli spezzoni erano bruciati. Mio padre aveva fatto, aveva messo uno strato di un metro e mezzo di sabbia in solaio e quella c’ha salvata la casa perché dopo, dopo gli anni che abbiamo cominciato a tirar via quella roba lì per vedere che cosa facesse eccetera eccetera, visto che c’erano questi spezzoni che erano dei pezzi di quaranta centimetri circa dodici esagonali che non esplodevano all’interno, quando riuscivano, quando entravano si incendiavano ma non esplodevano era solo la parte fosforsa, al fosforo perché l’odore era quello, il che scioglieva e incendiava se c’erano dei, e salvato così dal, si infilava nella sabbia e la nostra casa [laughs] non era toccata ecco. Insomma [unclear] [laughs]
ZG: Le faccio subito una domanda ed era, i suoi genitori che lavoro facevano?
TS: I miei genitori, dunque mia madre era casalinga e mio padre era dirigente di una azienda del, di produzione di forni da gas per le, per i grandi città. Difatti poi i tedeschi era stata militarizzata e i tedeschi volevano parecchie cose e lui, grazie a una segretaria italo-tedesca, che doveva fare segretaria dei tedeschi che però era più dalla parte partigiana che dalla parte tedesca e ci dava, dava a mio padre quello che avrebbero chiesto a lui perché sapeva tutto quanto di, lei era segretaria anche stenografa e sapeva quello che dicevano questi qua insomma. E quando hanno fatto le liste dei, diciamo, di presa degli operai specializzati per spedirli in Germania e lui ha fatto una cosa molto semplice. Ha detto dunque quali sono gli operai specializzati? Sono questi qui, allora ha avvisato gli operai specializzati adesso quando dicendo, adesso quando c’è il prossimo bombardamento dunque cominciamo premettendo che tutte le robe che ci interessano a noi di materiale ecco speciale, non so, lo stagno, l’argento, quello, materiali che servivano per fare non solo le aziende del gas ma anche contatori, quelli elettrici eccetera, erano aziende che facevano tante cose non ne facevano due o tre e ha presso tutte queste robe per dire le abbiamo messe dentro, le abbiamo, le ha messe dentro dei capannoni e questi capannoni ha aspettato quando c’è stato un bombardamento e [mimics the sound of a dropping bomb] una bomba è caduta non sul capannone ma su un altro capannone che per fortuna era vuoto e, vuoto di gente, e invece gli altri capannoni hann fatto [makes a booming noise] bella carica di dinamite al posto giusto e ha fatto crollare tutto. Il materiale buono era sotto in cantina, sopra c’era roba e in più c’hann messo dei poveretti che erano morti dopo il bombardamento, no, difatti li hanno sparsi un po’ qua, un po’ la e, irriconoscibili, e poi i, invece gli operai specializzati che avrebbero dovuto essere presi, li ha fatti andare via veloce perché diceva, prima di finire in Germania [unclear] se ritornate [laughs], smammate. Difatti poi dopo, subito dopo la guerra i sindacati, che allora c’erano i sindacati comandavano in quel momento, e l’avevano nominato direttore generale era quello che mandava avanti l’azienda ecco, poi dopo c’è stato qui tutto un insieme di cose.
ZG: Quindi la segretaria che parlava anche tedesco.
TS: La segretaria che parlava tedesco, parlava anche italiano perché naturalmente lei era un italo-tedesca, pardon, di madre credo, non ricordo più.
ZG: E quindi i tedeschi non sapevano che lei parlasse tedesco.
TS: I tedeschi sapevano che lei parlava tedesco perché [unclear] quindi lei aveva in materiale di discussione dei pezzi grossi tedeschi di Milano che sapeva tutto, diffusione, a tutti ma soltanto a quelli che poi dopo sapevano ma. Che poi lì era una cosa un po’ a parte però fa sempre parte della guerra e diciamo i tedeschi avevano dato a mio padre l’obbligo di costruire forni speciali per la distillazione degli alberi per fare benzina. Lì c’hanno impiegato un bel po’ di tempo a farlo, però a un certo punto a dovuto farla. Ha dovuto farla e questi qui sono andati, dovevano andare in Germania a presentare questa proposte dicevano disposizione di sì e poi tornare indietro. E con la macchina c’è andata anche la segretaria. So che, non si sa bene cosa sia successo, con precisione, a meno quanto diceva la segretaria, lei a un certo punto in un certo posto sapeva che c’era un passo di montagna che in un certo punto dietro una curva c’era un masso. Quando la macchina si è fermata, lei ha detto: ‘Ho bisogno urgente di fare la pipì’ [laughs]. E’ sparita. In quel momento sono arrivati degli aerei in picchiata che sapevano evidentemente l’ora, minuto e secondo di quel [unclear] e [makes a shooting sound] hanno spianato i tedeschi con macchine relative perché delle specie di bombe incendiarie di quelle un po’ e quindi tutti i disegni eccetera eccetera. La segretaria poi abbiamo saputo dopo che è passata direttamente tra i partigiani quindi [laughs]. Questa è una cosa che sapevano ben pochi tra parentesi [laughs]. Molto in pochi, soprattutto la faccenda dei, capannoni e della gente che era riuscita, è andata bene insomma. Certo, se lo beccavano [laughs].
ZG: E senta, appunto per questo posso chiederle qual’era il nome dell’azienda?
TS: Eh?
ZG: Il nome dell’azienda qual’era?
TS: La azienda era la Siri Chamont, [clears throat] scusate, la Siri Chamont, era un’azienda di origine francese, fatta da dei francesi, poi era però diretta da italiani ormai durante la guerra, poi siamo passati poi [unclear]
ZG: I capannoni si ricorda in che zona di Milano erano?
TS: Sì, in Via Savona, in fondo Via Savona 98 mi sembra [laughs] si perché sono passati un po’ di anni.
ZG: E senta a questo punto le faccio anche l’ultima domanda ed è, si ricorda per caso l’anno?
TS: L’anno?
ZG: Del bombamento dei capannoni.
TS: L’anno, aspetta un attimo, dunque l’anno era già, dunque nel ’43, deve essere luglio, bombardamento, dunque [mumbling/babbling] mitragliamenti, sempre nel ’43.
ZG: Va bene, non si preoccupi, non è fondamentale.
TS: [mumbling/babbling] era nel ’43, perché era già nel [unclear] solo che non mi ricordo se era nel ’43 o nel ’44, questo è il fatto perché.
ZG: Non si preoccupi, non è, non è necessario. E invece il nome di suo padre qual’era?
TS: Francesco. Francesco Samorè, ingegniere.
ZG: E per caso si ricorda anche il nome della segretaria?
TS: No, anche perché mio padre a un certo punto aveva anche un po’ paura di far sapere a tanti. Con noi, cioè ne aveva parlato praticamente dopo la guerra ma
ZG: Quindi lei ha saputo tutte queste cose finita la guerra.
TS: Finita la guerra, sì, sì, anche perché non potevano sapere, noi eravamo dei bambini, sai ne parli con un altro bambino il quale [unclear] bambino neanche [unclear], ciao.
ZG: Senta invece, tornando a prima della guerra, lei per caso si ricorda quando è scoppiata la guerra?
TS: Sì, sì, sì, sì, mi ricordo che c’è stato il famoso discorso del Duce che diceva appunto che avevano fatto la guerra eccetera eccetera e mio padre aveva già detto mi ricordo quello lì che aveva detto questa è una grande [unclear], potevamo farne anche a meno eravamo neutrali un pezzo per un pezzo siamo rimasti neutrali. L’Italia, l’Italia non ha partecipato subito alla guerra con i tedeschi perché i tedeschi hanno incominciato con la Polonia, non dicendo niente agli italiani. Tieni conto che nel periodo immediatamente prima della guerra i tedeschi volevano invadere l’Austria ma il presidente dell’Austria in quel momento era un socialista ed era un socialista giolittiano come mio padre. Non so perché anche Mussolini ha mandato due divisioni di alpini al confine con l’Austria in Austria, no, per difendere l’Austria dalla Germania. Quindi la cosa è stata stranissima perché Mussolini conosceva già Hitler. Hitler ha imparato da Mussolini malauguratamente. Solo che, non so se la gente lo sapesse questa faccenda perché sono stati mandati a proteggere l’Austria dall’invasione tedesca. Poi è morto il loro presidente e Hitler ha fatto i cavoli suoi, e ha occupato, fatto l’Anschluss, come dicono i tedeschi che [unclear] ecco. Poi cosa c’è d’altro.
ZG: Quindi.
TS: Scusa la voce.
ZG: Si sente benissimo.
TS: [unclear]
ZG: Quindi lei sentì il discorso di Mussolini?
TS: Il primo discorso sì, uno dei primi discorsi, quello precedente, poi quello dell’Etiopia, pi la cessione, la nomina del re Vittorio Emanuele III a imperatore dell’Etiopia, poi la conquista dell’Albania, perché è stata conquistata l’Albania molto prima della guerra e poi cosa mi ricordo? Ci sono state tante cose che, molte, io mi ricordavo che ero giovane mi piaceva, siccome mi piaceva tirare a segno veramente ci portavano al tiro a segno nazionale col fucile. Era una carabina fatta aposta a tiro, non erano moschettini che dicevano dei moschettini, no, no, era una signora carabina, meno pesante, il tiro era soltanto, venticinque metri circa, non era i cinquanta metri, cento metri però facevamo, eravamo in pochissimi [unclear], in tutta Italia eravamo dieci, neanche.
ZG: E quindi
TS: Anche quello c’è poca gente che lo sa [laughs]
ZG: E quindi questi discorsi qua li sentiva alla radio?
TS: Eh?
ZG: Questi discorsi qua li sentiva alla radio?
TS: Eh, c’era la radio, non c’era la televisione in quel periodo. Avevamo già una signora radio super, me la ricordo, una radio che era anche buona, si sentiva bene, si sentiva anche la radio britannica che faceva [mimics the opening of Beethoven’s symphony] facevano [mimics] voleva dire che era la trasmissione inglese per gli italiani, ecco.
ZG: Suo padre dopo lo scoppio della guerra, le ha mai parlato della guerra? Le ha mai detto qualcosa?
TS: Tante cose. Ci commentava ad esempio il fatto di certe, della guerra in Libia, che essendo entrata in guerra, l’Italia era legata poi a difendere la Libia e non ce la faceva. E difatti in pochissimo tempo c’avevano conquistato [unclear] che c’era una famosa canzone di gero bubbo me la ricordo alcuni pezzi [laughs]. Ah, posso dirtela? Dunque, ce n’era uno che colonnello, su questa rima, adesso canto male, colonnello, non voglio il pane, voglio sabbia per il mio sacchetto, poi c’erano tutte le cose, non voglio l’acqua, non la voglio, [unclear] e c’era questa diciamo canzone che l’avevano fatta perché Gera bubo era un posticino disperso in fondo alla Libia, gli inglesi lo potevano mangaire in due minuti e mezzo, non c’aveva niente, avevano fatto dei carri armati con i trattori con delle piastre d’acciaio e dei [unclear] che i carri armati normali erano delle schifezze pazzesche [laughs]. E poi c’erano tante di cose che, che sapevamo noi giovani perché io avevo mio fratello che aveva, che ha sei anni più di me e quindi aveva certe informazioni che io non avevo ancora. Però eravamo tutti e due appassionati dell’aviazione, del, sapevamo dei modellini, ci facevamo noi i modellini, sapevamo tutto, questo qui sono gli aerei tedeschi, le migliori ali tra parentesi. Dicevamo di bercero, diceva, degli inglesi, le migliori ali, no. E così degli inglesi eccetera non mi ricordo più che cosa diceva di male [laughs], non me lo ricordo più, però sapevamo che l’aereo così così era inglese, così così era tedesco, quindi avevamo già una certa conoscenza, è per quello che non avevamo avuto la paura dicendo a mia madre guarda che se li vediamo sulla testa vuol dire che sono già [unclear] le bombe [laughs] anche se non andavano a delle velocità pazzesche, andavano sì e no a seicento chilometri all’ora se c’arrivavano. Se c’arrivavano eh perché un bombardiere carico di allora più di quattrocento chilometri all’ora, ciccia [laughs].
ZG: Ehm.
TS: Tieni conto che l’Italia aveva vinto il campionato mondiale per l’idrovolanti, ce la faccia? Aveva vinto il campionato del mondo per gli idrovolanti quindi era una gara fatta anche con gli inglesi, americani eccetera eccetera. E avevamo fatto un idrovolante che credo che fosse già stato fatto dalla Macchi però i motori non mi ricordo di chi, se erano, non me lo ricordo, era un motore [unclear] in ogni caso avevamo già una forma molto affusolata, e il motore aveva l’elica, due eliche sulla stessa asse di cui una girava in un senso e un’altra in un’altra per evitare che l’aereo avesse, il movimento della coda tendesse a girarlo, ed è arrivato a settecento chilometri all’ora, è stato un record che è rimasto uguale, tutt’ora, perché per i motori a scoppio non sono mai riusciti ad arrivare [laughs] e poi dopo abbiamo fatto delle baracche perché in Italia siamo furbi, molto furbi, avevamo costruito, dunque avevamo costruito gli idrovolanti e poi avevamo costruito anche gli idrovolanti che lanciavano i siluri e potevano lanciare i siluri e poi hanno cessato la produzione e l’hann fatto gli inglesi in confronto. E c’hanno affondato a Taranto, no, a Taranto, sì, sì, ha Taranto hanno affondato la flotta italiana, una parte, con i loro, con i loro idrovolanti, questo, però esattamente se ti devo dire il giorno, l’ora, l’anno non me lo ricordo proprio però è stato uno dei primi [unclear], applicazioni di siluri sugli idrovolanti. Che l’hanno fatto gli inglesi però, non gli italiani, non avevano mandato avanti la cosa. L’abbiamo fatta dopo, come al solito. E così pure anche il radar. Marconi, quando aveva fatto la cosa, il radar l’aveva già fatto, ma non gli hanno dato retta. E’ andato a farlo poi in Inghilterra e in Inghilterra l’hanno fatto. Questo non lo so io se lo sapesse qualcuno ancora [laughs], c’è tanta roba che io so guarda che tu non hai. Perché eravamo interessatissimi io e mio fratello ci interessavamo molto delle armi, del tipo di arma, di quello che veniva fatto ad esempio quando c’è stata la cosa in Russia, a parte il fatto che mio padre ha detto: ‘Ma quello è scemo, come al solito’, ma questo è un altro discorso perché [unclear] mi raccomando [unclear] una cosa del genere [laughs] che hanno mandato gli alpini, li ha mandati con un’attrezzatura che quando ci sarà il gelo saranno dolori, infatti è successo ben così [laughs]. Questo è una poi ce ne sono ancora un po’ parecchie [laughs] c’ho un’enciclopedia ormai dentro di questa roba qui che fa paura quindi non saprei dirti tutto [laughs].
ZG: Ma, dov’è che vivevate? Con suo padre, con la sua famiglia, dove vivevate a Milano?
TS: Noi vivevamo prima a Milano poi siamo sfollati a Santa Margherita Ligure, poi [laughs], poi siamo tornati a Milano, nel ’41 circa eravamo a Milano, Milano in quel momento lì non hanno bombardato, che mi risulti non hanno mai bombardato nel ’41. Poi siamo stati per un pezzo del ’42 ancora a Milano, poi hanno incominciato dei bombardamenti un po’, po’ pesanti a Milano e allora siamo tornati a Santa Margherita. A Santa Margherita ci siamo andati all’inizio del ’43 [unclear] [laughs] e ce l’avevo scritto anche [unclear] non mi ricordo più. In ogni caso, [unclear], in ogni caso Santa Margherita nel ’43 ormai non c’erano ancora le, nel ’43 c’è stato poi l’armistizio, cosiddetto armistizio e guerra contro i tedeschi che è stato un casino perché lì hanno fatto la più grande vaccata che potesse essere fatta, sia dalla parte degli inglesi che dalla parte nostra perché gli inglesi hanno detto, molto prima di quello che doveva essere detto, che l’Italia era passata completamente all’Inghilterra e quindi tutti i soldati, tutta la gente, nessuno aveva ricevuto ordini specifici che bisognava sparare ai tedeschi, bisognava scappare, e i tedeschi hanno avuto piazza libera praticamente. E difatti tieni conto che ci hanno affondato la corazzata Roma, che era stata, era una corazzata che era una cosa fatta bene perché le navi erano fatte bene, non sono mai state usate perché l’Italia [unclear] [laughs] e la corazzata Roma gli sono arrivati i tedeschi sopra, loro non sapevano neanche se dovevano, se potevano sparare ai tedeschi o no, non si, non avevano neanche i [unclear], perché se avessero avuto il sentore di una cosa del genere, avessero cominciato a sparargli ai tedeschi coi mezzi che aveva già la corazzata Roma, non so se arrivavano a tirargli giù la bomba. E i tedeschi staccano prima la bomba col tele, comandata via cavo e guidata da un osservatore, difatti hanno tirato, praticamente non ha fatto [unclear], hanno fatto quasi così, [laughs] ed è entrata dentro in un camino della nave, che è la parte più delicata e hanno fatto un disastro perché pare che ci fosse la termite chissàdio che cosa era, l’ha tagliato in due [unclear].
ZG: Quando chiedevo prima a Milano, in che quartiere vivevate?
TS: In?
ZG: Che quartiere vivevate a Milano?
TS: Abbastanza vicino, qua, Via Etna, Via [laughs], Via Andrea Verga 4 che sarà cento metri, [unclear] duecento metri da qua insomma. [unclear] Via Andrea Verga 4 che è una strada che dopo ha avuto un, poco dopo durante la guerra ci avevano bruciato vicino a casa nostra [unclear], davanti a casa nostra due case, un cantiere di legno, roba del genere, che vendeva legni eccetera eccetera, e poi subito di fianco alla casa o quasi c’era la, una fabbrica che non mi ricordo più il nome, mi è scappato il nome, quello non c’è niente da fare, una fabbrica grossa che è stata incendiata completamente, altre case che sono state incendiate con, perché nessuno aveva fatto la fesseria, ha avuto l’idea di mio padre, di mettere la sabbia sul. Se tanti a Milano hanno messo per ordine tutti [unclear] così, gli inglesi sarebbero rimasti con le braghe di tela. Che sono rimasti ancora con le braghe di tela perché i tedeschi, gli inglesi speravano, bombardando Milano, le ultime bombardamenti gravi in, quelli di agosto e di coso del ’40, ah beh buonanotte, ’41, ’42, nel ’42, nel ’42 [laughs]. Questi bombardamenti qui che avevano fatto ultimi, dunque poi ce n’era uno che era stato fatto in agosto del ’43, il ’43 che quindi c’era già l’accordo tra italiani e inglesi. Perché sono venuti a bombardarci Milano? Ecco, questo perché gli inglesi c’avevano, insomma ce l’avevano su, perché è impossibile che loro sapessero che c’era l’armistizio in atto perché si sa che avevano mandato della gente italiana a parlare a Lisbona, o roba del genere, in Portogallo con inglesi per l’accordo di coso, si sapeva già che c’era già, perché hanno fatto un bombardamento di quel tipo lì che ha massacrato veramente Milano, sono stati più di quattrocento morti e passa eh. Ecco, gli inglesi pensavano di creare una nuova Dresda, a destra gli inglesi quando hanno bombardato coso, o gli americani, non lo so chi l’aveva fatto, avevano bombardato Dresda la quale ormai era costruita tutta in legno, quasi perché era una, un monumento nazionale. Aveva case ancora, in stile, in legno eccetera eccetera quindi quando gli sono arrivati questi qui poi è partita. Poi c’è stato vento eccetera eccetera, morale della favola hanno fatto il vortice di fuoco su a est, è riuscita a bruciate tutta Dresda. Un macello pazzesco, gente che moriva nel fosforo, lasciamo perdere [laughs]. Non tocca l’Italia in questo momento. Ma speravano di fare così anche a Milano. Milano s’è trovato el matun, scusa il termine, milanese, a Milano si è trovato il mattone e sì, e peccato che c’era dentro del legno. Tu vedevi le case di Milano intorno, vedevi le case ancora in piedi eccetera eccetera, guardavi dentro, vuoto completo [laughs].
ZG: E la scuola invece dove l’ha fatta?
TS: Ah, scuole, guarda, non, guardando bene dall’inizio della scuola, anzi non dall’inizio della scuola, dall’inizio della guerra in poi non ho mai fatto più di due mesi e mezzo in [unclear] perché [laughs] si passava da una parte all’altra, dall’altra, [laughs] e quindi il perito ma era dopo la guerra, quindi passato un po’ di tempo. E le medie le ho fatte che c’avevo tredici anni e le ho fatte in due tempi perché era nel ’45, una parte l’ho fatta, poi mio padre c’ha mandato, m’ha mandato a fare, trovare una persona fuori Milano e ho fatto da, da diciamo da privatista la terza, la seconda e la terza di coso perché la prima ero finito male perché mi era scoppiata una bomba vicino e mi ha dimezzato. Non si vede ma ci mancano vari pezzi [laughs], più l’occhio di vetro, un altro pezzo che, come si vede, c’è ancora qualche cosina, più schegge eccetera eccetera. Lì c’è stata una scena pazzesca in ospedale quando, sì, quando è successo questo, è successo così. Andiamo a finire chissà dove. Santa Maria Ligure è successo quersto numero qua. Tu tieni conto che a Santa Margherita Ligure c’erano nel porto due avvisi scorta che avevano delle specie di cacciatorpediniere che avevano ancora del petrolio nei serbatoi e di fianco c’era un avviso scorta come lo chiamavano che non era altro che una vecchia, una nave da trasporto armata con un cannoncino e delle mitragliere della Bred, qusto me lo ricordo perché erano mitragliere. Io, sai, allora noi sapevamo tutto, almeno io e mio fratello perché io c’avevo un fratello maggiore che si interessava di queste cose qui e io seguivo [mimics a dog’s panting] da bravo cagnolino dietro, no, e imparavo tutto anch’io. Il fatto è che in quel, quando è arrivato il non so, non mi ricordo più, il casino dell’8 settembre, 8 settembre del ’43, i due cacciabombardieri, caccia, le due navi veloci e armate, molto armate sono riuscite a scappare, l’altra non aveva gasolio per farla andare, e l’hanno affondata, autoaffondata ma aprendo le saracinesche, il terreno lì sono, il fondo di Santa Margherita non è enorme, tra il fondo e la barca ci sarà stato si e no due metri e mezzo, quindi quando questa è affondata, è affondata per due metri e mezzo e si è fermata lì. Dalla barca avevano buttato in mare a pezzi o interi, dei proiettili, c’erano dei proiettili grossi col relativo bossolo, sai che i proiettili c’è l’ogiva, il corpo del proiettile, poi c’è la parte di cartuccia che viene infilata nel cannone che insieme nei cannoni moderni era insieme ai, al proiettile, dentro, questo coso qua si smontava, tra parentesi se uno voleva smontarselo, se lo smontava infilandolo dentro [unclear] tira via [laughs] poi i bambini. Mettiamo le cose in chiaro, i bambini sono sempre [unclear], i bambini avevamo l’accortezza per prendere la bomba, non la bomba, l’esplosivo che c’è dentro, beh fa niente, mi è scappato di testa, lo scritto da qualche parte non me [unclear], la balistite, se tu la prendi all’aperto e l’accendi così, [unclear], non scoppia, ma se ti viene chiusa dentro a un proiettile, il colpo c’è e sì. Ora, ora tieni conto che c’erano questi proiettili buttati a mare. I ragazi prendevano dei secchi, buttavano in fondo, tiravano su, tiravi su un cannone, un cannone pochi, i colpi di cannone, c’erano una decina di colpi di cannone ma c’erano molti proiettili della mitragliera binata della Breda, posso dire anche il tipo, del diametro di venti millimetri, che erano delle cose alte dieci centimetri, un pochino di più forse, sì, sì vabbè, il proiettile era così, si smontava l’ogiva in alto, poi si tirava via la spoletta intermedia, poi con molta attenzione si faceva andare via la capsula di, fulminata di mercurio. [unclear] [laughs]. Scusa, mi viene da ridere quando. Ora, dopodiché c’era la polvere da sparo che era dentro nel proiettile, la tiravi via così, basta, poi montavi l’ogiva sopra, il proiettile era nuovo, solo che era vuoto, non faceva più niente. L’incoveniente è che c’era molta gente e molti giovani che lo facevano. Di solito erano ragazzi di diciassette, diciotto anni. E’ successo a me, a me particolarmente e a un altro amico, Un giorno di febbraio, il 27 febbraio del 1944, quindi un’anno dopo quasi che avevano affondato la nave. Alle dieci uscivamo dalla messa di Sant’Erasmo, ecco, Sant’Erasmo si chiamava, fino a stamattina non mi ricordavo più che si chiamava [laughs], dalla chiesa di Sant’Erasmo, da, di una chiesa che c’è nella parte del porto di Santa Margherita e noi siamo usciti dalla chiesa di Sant’Erasmo, ero io e questo ragazzo qua che era con me, e andiamo avanti pochi metri più in là e c’era un gruppetto di, mi sembra fossero tre, adesso non mi ricordo più bene, che stavano trafficando e questo amico che avevo con me conosceva questi qui e diceva: ‘Vieni a vedere questa roba qua’ [unclear]. Io vado, vedo che cosa c’hanno in mano e io non sapevo, conoscevo già quegli aggeggi, prendevamo in mano anche noi, non è che [laughs], t’ho detto, eravamo da prendere con le molle anche se c’avevo undici anni, e vedo che c’avevano questa roba qui che stavano smontando e avevano già svitato via l’ogiva, la parte di testa del coso. Io ho detto, ho vsito che facevano quel lavoro lì e ho detto al mio amico: ‘Ohè, questi qui vogliono saltare per aria, diam più in là’ e abbiamo cominciato ad allontanarci. Eravamo circa due o tre metri che forse, sì, tre metri, quasi quattro, mi volto così per vedere se c’erano robe che e malauguratamente vedo, proprio verso di me, che avevano già tirato via l’ogiva e stavano trafficando un qualche cosa che era il fulminante di mercurio. Il fulminante di mercurio è molto delicato [laughs] e questi qui hanno sbagliato qualche cosetta. Morale della favola, mentre mi giravo così ho visto, prima il buco nero e poi qualche secondo dopo la vampata, che mi sembrava verde. Che poi ho avuto i nodi col verde per un fracco di tempo [laughs]. E sono molto veloce di riflessi, ancora adesso e ho tirato su le mani per fortuna perché questo dito qui, come vedi, è partito e questo pezzo qua è ricresciuto. Un altro ne ricresceva così, quindi hanno dovuto tagliarla. Quell’altro ricresceva, è bruciarlo fino a quando e questo è uno. Poi c’è questa mano qui che sembra quasi intera, tieni conto che queste due qui servono così a farsi vedere, a rompere le scatole. La cicatrice parte da qua, non mi si vede più quasi perché mi spariscono le cicatrici come vedi. E’ entrata qui e ha portato via tutto un pezzo o quasi. Questo è uno più una quarantina di buchi [laughs]. Il fatto di avere alzato le mani m’ha salvato. Qui ha fatto questo, questo segno qui che però è un buco, molto più ampio della parte del vetro, della plastica, e un pezzo di faccia, compreso un pezzo di mascella. In più c’era questo [unclear] qui, probabilmente era dovuto all fatto della deviazione che questa mano qua frena il colpo, ha spaccato la mano però questo qui se l’è cavata per un pelo, le cicatrici erano nascoste [unclear] quasi, e sembra una ruga [laughs] non succede niente e poi questo qua che si vede. Che l’è minga troppo aposto [laughs], ecco. Naturalmente quando è successo, è successo che quelli che erano lì, poveretti, sì, li hanno portati all’ospedale ma non so se sono arrivati all’ospedale ecco. E il mio amico che era vicino era stato colpito all’arteria femorale della gamba destra e dopo un pochino hanno dovuto operarlo e tirar via la gamba perché era la cancrena, faceva fretta anche. Poi, ora che c’hanno caricato su una carrozza a cavalli, ci hanno portato dal porto all’ospedale che era in cima, su, dove c’è la stazione ferroviaria e sono, un percorso che fatto a piedi sarebbe [unclear], c’ha perso il suo tempo. Il sottoscritto c’aveva l’abitudine di non gridare di prendere le cose così come stavano arrivando, non ho perso conoscenza e non sono svenuto tutto il periodo. L’unica cosa che mi ricordo è che sono entro dentro a un barbiere che c’era di fronte a chiedere asciugamani per gli altri e questo barbiere me lo ricordo ogni volta, adesso è morto poveretto. Ogni volta [unclear] me lo ricordo cioè mi ricordo che sei entrato [unclear] che non sapevo chi ero, questo qui buttava sangue, qui c’era sangue, lì c’era sangue, un occhio era chiuso, l’altro non c’era più, vestito, mia madre diceva che non c’era più niente, era un buco e c’è magari gente piccola anche [unclear] e ho cercato di salire, ho cercato di salire sulla carrozzella senza accorgermi che non c’avevo più mano praticamente, c’avevo due dita che non funzionavano quasi perché sono lese anche loro non è che sia. E c’ha portato all’ospedale, all’ospedale, siccome io non gridavo, gli altri gridavano tutti e c’avevo gli occhi, c’avevo sangue dappertutto eccetera eccetera m’hanno preso sul tavolo di marmo che è quello delle autopsie [laughs] e nessuno ha guardato il sottoscritto che per fortuna sua, per qualche misteriosa ragione o perché sono, sapevo, avevo studiato qualche cosa di medicina, medicina no, di infermeria, e tenevo una mano dentro l’altra per fermare il sangue. E m’hanno messo su questo marmo, messo su questo marmo e poi nessuno, gli altri gridavano tutti quindi dovevo, dottori erano quelli che erano, gli infermieri anche, era un’ospedale piccolo, non era un’ospedale grande come quello di Santa Margherita e io [unclear] fermo, tranquillo, non dicevo niente e c’avevo gli occhi perché figurati questo qui col taglio qua non vedevo niente anche se ne avessi avuto voglia poi faceva male, questo qui non c’era più praticamente. Morale della favola a un certo punto passa un frate che conoscevo e era un’ex, un frate di [unclear] che ci faceva vedere di segreto i film che aveva girato in Russia durante la ritirata della decima, della Brigata Giulia e sento che mi fa un’estrema unzione. Io sento la voce del frate, la riconosco subito percheé lo conoscevamo bene, gli ho detto, mi raccomando, dica che sono vivo, [mimics a puzzled expression] scioccato perché credeva anche lui che fossi morto guardate che questo qui è vivo. Due minuti dopo [unclear] tutti i medici ormai vedevanko che andavano a farsi friggere poveretti ed erano lì a cercare di richiudere ste mani. Nel frattempo arriva un giornalista lì è la cosa più divertente che mi fa ridere ancora adesso. Arriva un giornalista e ci fa: ‘Come ti chiami?’ ‘Tito Samorè’ ‘E tua madre’? ‘Ada Coerolo’ ‘E tuo padre?’ Figurati, uno sdraiato in quella maniera lì, conciato così, e già fa [unclear] ancora la mascella, si sente che ne manca un toc, e gli faccio: ‘Se mi chiamo Samorè io’, ma l’ho detto abbastanza forte, no, che si è sentito una risata, un casino in quel momento di gente che lanciava urla, che, si vede che ero salvo, sentire questa era una barzelletta sentire, perché era una barzelletta detta da uno che sembrava morto due minuti prima [laughs]. Mi ricordo che c’è stata una risata fortissima proprio, questa me la ricorderò sempre, basta scusa [laughs] se ho tirato fuori delle storie [laughs]. Ecco, questa è stata una delle cose. E poi, vabbè, poi siamo tornati a Milano, giusto in tempo per gli ultimi bombardamenti [laughs], per gli ultimi bombardamenti e ci facevamo a piedi da Milano a Magenta e dormivamo nel [laughs], nella piramide che c’è a Magenta, nel, non so se c’è ancora, nella specie di piramide del cimitero di Magenta, della guerra di Magenta, della guerra del 1800, 1600, no, 1700, dio, vabbè [laughs] e c’era questo bello libero, si poteva dormire, era un po’ [unclear] di gente, c’era molta gente e c’era, cioè, si faceva a piedi per andare via dai bombardamenti, perché non trovavi nessun mezzo che ti portava in giro, non ce n’eran più [laughs]. Poi vabbè, vai avanti pure tu con le domande perché qui fino adesso ho cicerato io [laughs].
ZG: Perché da Milano dovevate andare a Magenta? Perché, non andavate nei rifugi?
TS: Ma perché, tenevamo Milano lontano [laughs], avevamo paura che tornassero di nuovo a farne degli altri bombardamenti e di fatti gli han fatti, dei bombardamenti successivi, a meno [unclear] [laughs].
ZG: Quindi a lei non è mai capitato di andare nei rifugi?
TS: Come?
ZG: Non è mai capitato di andare nei rifugi?
TS: Non parliamo di quei rifugi lì guarda. A Milano di rifugi come si deve c’erano solo quelli delle aziende che costruivano proiettili, bombe, altre robe del genere, che erano fatto a piramide così, no, in cemento armato e erano blindati sotto con dei corridoi sotto, fatti bene. Difatti quelli che erano riusciti a andare nei, diciamo tipo in quei rifugi lì andavano bene. Ma i rifugi delle case erano nient’altro che delle cantine con dei cosi di, di legno per irrobustirle ma basta. [unclear] molta gente a Milano è morta in cantina, in rifugio. Sinceramente guardando bene i rifugi delle case come quelli lì di Via Verga dove eravamo è del 1900, ma certi rifugi, che poi abbiamo visto dopo, anni dopo [unclear], anni dopo finita la guerra, che andavo in giro con mio padre a vedere Milano come l’era e c’erano dei pezzi di romani ancora. Anzi molte rovine romane sono saltate fuori [unclear]. A Sant’Ambrogio che era stato bombardato lateralmente a sinistra dove c’è la cosa della, quel monumento ai caduti, no, era stato bombardato da quella parte lì ed era interessante perché tutte le arcate che c’erano di cose ed erano scoperte dai bombardamenti erano [unclear] da anforette e [unclear] per fare l’arcata. Ed erano così. E non so come nessuno la sapeva [laughs].
ZG: Quindi lei, lei personalmente non è mai scappato in rifugio quindi?
TS: Come?
ZG: Lei personalmente non è mai scappato in rifugio durante un bombardamento.
TS: Simao andati una volta in rifugi quando eravamo ancora nei primi tempi ma a vedere così com’era [unclear] i capelli dritti insomma. E poi avevamo preso un’abitudine tale ai bombardamenti, agli allarmi che c’era un termine, c’era un metodo tedesco che lo diceva prima in tedesco e poi in italiano. Era: ‘Achtung! Achtung! Achtung! [unclear]’ eccetera eccetera, ossia voleva dire: ‘Attenzione! Attenzione! Attenzione! No, avvicinamento [unclear] nel quadrante quattro, cinque, come se fosse un tiro a segno e [unclear] man mano che si avvicinava dicevano tanti, pochi, niente, o uno, o due, o tre che circolano eccetera eccetera. Noi andavamo, io e mio fratello a mangiare alla mensa comunale di Piazza Diaz dove facevano bene da mangiare, quel periodo lì una cosa eccezionale trovare da mangiare era e mio padre ci mandava là a mangiare. Eravamo cinque fratelli quindi [laughs]. Noi che eravamo pià grandi eravamo andati fuori e noi partivamo da questo principio qui bisognava fare la fila. Allora quando cominciava l’allarme, ‘attenzione! Attenzione! Achtung! Achtung! Attenzione! Attenzione! [unclear] la gente scappava via veloce e noi andavamo avanti [laughs] era una cosa da lavativi [laughs] e poi nota bene che i, gli unici due o tre che c’erano a Milano di rifugi antiaerei erano la prima ante, come si chiama, la metropolitana, no, che doveva essere costruita e avevano già fatto un pezzo da Piazza San Fedele, quella dietro al comune, al Duomo. E lì c’era una galleria, [unclear] perché c’era il salone che poi hanno fatto diventare il salone del mobile, dopo, e allora c’era quella lì [laughs] ed era una grossa, ed era abbastanza fonda, quindi c’aveva una certa profondità, cemento di sopra, insomma, e ma se no di, di rifugi antiaerei proprio no, maluccio [laughs]. Ma pensa che [unclear] città morta gente che era morta perché è rimasta nel. C’erano nei rifugi poco dopo la guerra, nelle case bruciate, c’era uscita rifugio e la freccia, o entrata rifugio e c’era la freccia, perché era obbligatorio mettere le freccie sul, oltre i cartelli che diceva, casa distrutta da bombardieri anglo-assassìni, anglo-assàssini una volta era, poi i teschi che erano assàssini anche loro, hanno detto: ‘No, no, nein, non bisogna mettere assàssini, nein’ [makes a noise] allora assassìni, anglo-assassìni [laughs]. Poi è stato cancellato, quando c’è stata la liberazione hanno cancellato ma ogni tanto salta fuori [laughs].
ZG: Si ricorda invece qualcosa dell’occupazione nazista? Si ricorda le truppe tedesche a Milano?
TS: Ah, le truppe tedesche a Milano, effettivamente facevano il lavoro che dovevano fare a Milano, non andavano tanto d’accordo con la popolazione, questo non andava abbastanza bene perché fino a quando c’è stato la Repubblica Sociale c’era da mangiare a Milano. Il periodo più critico è stato dopo la Repubblica, che non c’era da mangiare. Non c’era da mangiare, venivano quelli fuori dalle campagne a portare la roba se arrivavano, e se c’avevi i soldi perchè costavano cari. Questo mi ricordo perché avevamo la carta, la tessera annonaria che ognuno di noi aveva e che era pane, carne eccetera eccetera. Se tu pensi che io che ero considerato un invalido di guerra, avevo diritto a una bistecca di carne ottima ed era controllata tra parentesi e te la dovevano dare buona di un etto al giorno, al giorno [emphasises], quella bistecca da un etto al giorno serviva a cinque persone [laughs]. Il pane era verde, bellissimo, pane verde, facevi così [makes a whistling noise] [laughs] e poi era, [laughs] [blows his nose]
ZG: Senta invece, si ricorda di quando la guerra è finita?
TS: Comes?
ZG: Si ricorda di quando la guerra è finita?
TS: Sì, 25 aprile, Dunque, lì, 25 aprile, niente, a Milano si sono sparati poco ma ci è andata bene che non hanno fatto quello che voleva fare Mussolini, a fare Milano come. Sparacchiavano nelle strade e ammazzavano [unclear], vabbè, normale nella storia. Anche perché pare che Schuster, l’arcivescovo di Milano di allora fosse riuscito ad avere un accordo con i tedeschi che loro se ne potevano andfare fuori dai piedi senza [unclear] resistenza eccetera e gli altri li lasciavano andare e si infatti. Peccato che abbiano fucilato della gente che ne potevano fare a meno di fucilarle, che potevano e quello non è stato un piacere che hanno fatto.
ZG: Senta.
TS: Quando scendevi dalla stazione che mettevano il timbro sul, quando uscivi dalla stazione al buio, alla sera, ti mettevano [makes a noise] il timbro sulla mano che era l’autorizzazione ad andare in giro di notte. [laughs] Non so se, se c’è gente che si ricorda quell’episodio lì. E ti mettevano il timbro, o sulla mano o sul polso, adesso non mi ricordo bene, non so se era sopra, boh [laughs]. E quello me lo ricordo, il fatto che a una certa ora non c’erano mezzi, [unclear] i tram erano bruciati durante, mi ricordo a fine della guerra c’era la fila di tram bruciati e soltanto la carcassa dei tram che ci sono ancora adesso in circolazione del ’35, sono quelli normali che vedi in giro sono quelli del ’35, gli altri moderni è un altro discorso, ma quelli lì erano ricostruiti da quelli che erano bruciati e c’erano, c’era tutta la fila lungo, per andare in Via Domodossola lungo la fiera campionaria che era stata bombardata anche lei che era tutta spazzolata e unclear], Milano [unclear] c’erano le bombe [laughs].
ZG: Come mai le era capitato di dover tornare la sera?
TS: Come?
ZG: Come mai le era capitato di arrivare in stazione la sera?
TS: Perché i treni arrivavano quando, quando c’erano se li trovavi [luahgs[. Mi ricordo che immediatamente dopo la guerra, mio padre ci aveva mandato sempre mio fratello e me [laughs], ci aveva mandato da Milano a Santa Margherita Ligure, era subito finito, era pochi giorni dopo la liberazione e col treno bisognava fare il treno spezzonato perché facevi Milano-Pavia, Pavia scendevi, attraversavi il Ticino, col traghetto [mimics the sound of the ferry’s motor] al Ticino, poi dal Ticino salivi, treno, un pezzettino di treno che c’era rimasto tra il Ticino e il Po, al Po scendevi attraversavi [unclear] [laughs], salivi sopra, facevi, a [unclear] scendevi, avanti così. E poi arrivati a Genova dovevi [laughs], dovevi prendere il tram a Sampierdarena, il tram che erano delle baracche pazzesche e arrivavi fino a Nervi. A nervi scendevi, passavi a Spiaggia, passavi sopra il muro anti, antisbarco fatto dai tedeschi che era tutto [unclear] e salivi su delle chiatte e con le chiatte arrivaci a Camogli. Camogli scendevi, andavi su a Ferrovia, salivi sui carrelli spinti a mano, tu con altre persone c’erano dei carrelli, [unclear] si mettevan dietro, in salita, nella salita della ferrovia poi fino in fondo, fino a Santa Margherita si scendeva [makes a rattling noise] [laughs] ci voleva una giornata circa più o meno. O se perdevi il treno trovavi, se avevi fortuna trovavi alla stazione dell’autostrada trovavi la polizia, la polizia americana che fermava i camion e chiedeva: ‘Dove vai?’, non so ‘A Pavia’, allora c’è qualcuno che va verso Milano [unclear] allora andate su questo qui. Allora siamo andati a finire su un camion carico di cesti di pesce, in maggio inoltrato sul sole su questo camion [unclear], che poi quando si passava nelle gallerie, bisognava stare sdraiati appicicati nel pesce [laughs], era una cosa [laughs], quando ci penso ci rido sopra perché è stata, erano delle cose pazzesche. Raccontate sembrano [unclear] balle [laughs].
ZG: Senta, io le farei giusto le ultime due domande.
TS: Dimmi tutto perché se non me le fai tu le domande [laughs]
ZG: No, chiaro. All’epoca cosa pensava di chi bombardava?
TS: Di?
ZG: Di chi bombardava lei cosa pensava?
TS: Ah, figli di puttana [laughs], [unclear] diceva perché non stava bene in casa nostra [laughs], ma se avessimo preso, difatti a Milano qualche d’uno che era stato abbattuto e coso, sono stati quelli della X MAS o coso che hanno salvato perché la gente. Quando sono arrivati dopo la liberazione, le prime truppe che sono arrivate non hanno mandato gli inglesi, hann mandato gli americani che l’odio che c’era non era più per gli americani, era per gli inglesi, e ti assicuro che per un periodo di tempo l’Inghilterra, con l’Inghilterra non andavamo molto d’accordo. Mi spiace dirlo se questo qui è per gli inglesi ma si ritengano molto, molto poco amati dagli italiani in quel momento lì. Molto, molto poco [laughs].
ZG: Senta, senta invece adesso, ripensandoci, cosa pensa?
TS: Dico, se hanno voluto andare, vogliono fare, l’Inghilterra a isolottolo perso, andate, andate. Cercate di allontanarvi ancora di più dall’Euriopa possibilmente ecco [laughs].
FS: Posso ricordare a mio papà un evento che non ha raccontato?
ZG: Sì, certo.
TS: Che cosa?
FS: Di tutte le cose che hai raccontato, una cosa che non abbiamo detto a Zeno ma che mi ricordi spesso
TS: Dimmi.
FS: E’ quando mitragliavano i tram.
TS: Guarda, quattro volte mi sono trovato con un aereo che mitragliava il tram, il trenino per andare da Milano a Bergamo, che hanno bombardato, l’hann mitragliato e bombardato anche un pochettino durante il viaggio interno nel parco di Monzo. E noi eravamo con mio fratello, giravamo intorno agli alberi [laughs] mentre quelli venivano, no, vedevamo aerei che venivano per mitragliare e noi giravamo dietro l’albero [laughs] . Poi tanti, mitragliavano tanti tram con la gente dentro, e difatti parecchi morti li hann fatti anche lì e coi camion. Coi camion c’era uno sempre sdraiato sul tetto del camion che guardava se c’era qualche aereo che veniva a mitragliare. Perché Milano era accerchiato, accerchiata dall’insieme di coso. Non erano proprio accerchiati, era che fatto un giro di caccia eccetera eccetera che sparavano contro chiunque andasse. Un carro a cavalli, tiravano [mimics the noise of a machine gun]. Bene visti per così io, non so, tramite il 24 che andava a Baggio, qua, era all’altezza circa dell’Ospedale Militare Baggio e da una parte c’è l’ex antico Forlanini dove c’era ancora l’hangar per il dirigibile Italia [unclear] [laughs]. E mi ricordo quella volta che col 24 l’autista si è accorto che stava arrivando quell’aereo che [unclear], ha fermato il tram, ha aperto le portiere e chi era più vicino alle portiere si buttava come me, buttato [makes a noise] giù dalla scarpata che c’era di là, dentro una roggia, una roggia come diciamo a Milano, canale [unclear], e altri, molti altri che sono morti. E ma quello è stato uno dei tanti, quando c’ero io [laughs] [unclear].
ZG: Direi che possiamo concludere. Grazie mille, signor Tito.
Dublin Core
The Dublin Core metadata element set is common to all Omeka records, including items, files, and collections. For more information see, http://dublincore.org/documents/dces/.
Title
A name given to the resource
Interview with Tito Samorè
Description
An account of the resource
Tito Samorè recollects wartime memories in Milan, when he was a member of the Balilla youth organisation. Remembers the outbreak of war and its announcement on the radio. Describes the first bombing of Milan in 1940, stressing how the wooden pannelled attics made it easy for the incendiaries to burn the building. Recollects his fathers attempts to avoid skilled workers being deported to Germany and reminisces on various episodes: food shortages, ration cards, shoot-outs in the streets, strafing of tramways. Describes different kinds of shelters and remembers his evacuee life at Santa Margherita Ligure where he witnessed the sinking of a destroyer. Recollects how he was left maimed for rest of the life after a failed attempt to disassemble a gun shell on 27 February 1944.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Zeno Gaiaschi
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2018-02-06
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
01:30:54 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Milan
Italy--Santa Margherita Ligure
Italy--Po River Valley
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1940
1944-02-27
1943-09-08
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ASamoreT180206
PSamoreT1801
bombing
childhood in wartime
civil defence
evacuation
home front
incendiary device
Resistance
shelter
strafing
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/172/410/AColomboS161203.2.mp3
b629dae753178122dfd78c8f8671095d
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/172/410/PColomboS1602.1.jpg
3ff2c03b49be64a9108a83ed14dad24e
Dublin Core
The Dublin Core metadata element set is common to all Omeka records, including items, files, and collections. For more information see, http://dublincore.org/documents/dces/.
Title
A name given to the resource
Colombo, Santina
S Colombo
Description
An account of the resource
One oral history interview with Santina Colombo who recollects wartime experiences in Milan.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-12-03
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Colombo, S
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
ZG: L’intervista è condotta per l’international Bomber Command Centre. L’intervistatore è Zeno Gaiaschi, dell’Associazione Lapsus. L’intervistata è Santina Colombo e nella stanza è presente Greta Fedele, come parente, e sara Troglio dell’associazione Lapsus. È il 3 dicembre 2016, e siamo in via [omitted] a Milano. Iniziamo. Prima della guerra, che lavoro facevano i suoi genitori?
SC: Contadini. Ma la mamma era a casa perché aveva, avevo il fratellino che aveva quattro anni, mia sorella ne aveva sette e io ne avevo undici prima della guerra.
ZG: Qual è il ricordo più lontano nel tempo che ha?
SC: Il ricordo più lontano è quando sono morti i nonni, diciamo, e poi quando c’era mio zio lì nel cortile dove abitavo io, io abitavo al primo piano, lui al pianterreno, facevano i contadini però avevano la radio e quando hanno comunicato che il Duce ha fatto la, si è messo con Hitler, tutti contenti all’inizio ma c’era anche chi non era contento, come mio papà, è sempre stato un comunista, no, socialista, socialista, e non era contento. E poi, il pensiero della guerra, perché iniziava la guerra dopo. Quello lì è il ricordo più brutto che ho, quando ero una bambina ecco.
ZG: Mi racconti un pochino della sua famiglia.
SC: Sì.
ZG: Come viveva la sua famiglia prima della guerra.
SC: Prima della guerra, dunque… Papà è nato nel ’91 e la mamma nel ’99, 1999 [sic]. E si sono sposati nel ’27 o ’28, io sono nata nel ’29 eh. Papà era contadino, sempre stato contadino e la mamma pure, che non è mai andata al lavoro negli stabilimenti, faceva la contadina. Quando sono nata io la mamma è stata a casa. Dopo, avevo quattro anni, avevo quattro anni, è nata mia sorella, è nata mia sorella e la mamma non è più andata al lavoro finché nel ’36 è nato mio fratello, è andata al lavoro, ha cominciato nel 1940 andare al lavoro ancora. Io ero la più grande e dovevo curare sorella e fratello, anche se ero ancora piccolina io [laughs]. Però, però non c’era niente da mangiare, è quello perché… la carne si mangiava a Natale, a Pasqua e alla festa del paese, la carne. E se no c’era il risotto col lardo, o risotto coi fagioli, minestra e taleggio e una mela in cinque. Che papà la sbucciava, io ero la più grandina, ero qua vicina, una fettina perché si può immaginare una mela in cinque, la dava prima a me, poi la dava a mia sorella di là intanto che lei guardava la mela io le davo una pedata sotto il tavolo, e la mela gliela mangiavo io [laughs], perché insomma ero la più grande e insomma non bastava quello che mi dava perché anche la minestra e il risotto era abbastanza poco. Lavorava solo il papà, eravamo in cinque. Non è che avevamo l’appartamento perché c’era un locale un po’ più grande di questo, il papà l’aveva diviso a metà con delle perline di legno, c’era la camera con il letto matrimoniale del papà e la mamma e i tre lettini per noi e la cucina ci stavamo appena appena dentro a mangiare. Poi il papà aveva preso un pezzettino, il cortile era grande e gliel’ha chiesto lì al proprietario, le ha dato un pezzettino di terreno, ha fatto l’orto. Fatto l’orto con un bel sgabuzzino di legno e lì coltivava la verdura, lui è sempre stato coltivatore di verdure e quando avevamo i soldi, perché i soldi li portava a casa solo lui, avevamo i soldi, ho detto ‘io prendo due oche, prendo due oche, li metto là nel giardino e la sera, la sera le portiamo di sopra perché se no ce le portano via’. In più alla sera in casa aveva fatto come un, non diciamo stabiello per il maiale, però ha fatto un recintino piccolino con della paglia sotto per le due oche che metteva lì alla sera andava giù a prenderle e portava di sopra. Il mattino le portava giù prima di andare al lavoro, erano giù. E noi andavamo là, noi bambini portavamo un pezzettino di pane ma poco perché mancava a noi e le davamo da mangiare. Però prima di Natale, quando era buona per ucciderla, la uccidevano e la mettevano dentro nella, adesso non ricordo più come si chiama, si chiama giara o cosa, che la facevano andare con il lardo e un po’ di olio poco, burro, perché l’olio costava di più del burro e la mettevano dentro a pezzi, dentro ne quella giara lì, sotto la finestra in camera, che prendeva un po’ di freddo, e ogni tanto, ogni tanto, ogni quindici o venti giorni tiravano fuori un pezzettino, la facevano andare con le verze, una specie di verzata. Piuttosto del maiale si metteva l’oca e si mangiava, però andava benone. Quello che mi ricordo prima della guerra, dopo [laughs].
ZG: È stata fantastica. Ehm, si ricorda di quando è scoppiata la guerra?
SC: Sì. Quando è scoppiata la guerra dove abitavamo noi, in via Lampugnano al 175, e lì erano tutte case a pianterreno, primo piano e pianterreno, cantine non ce n’erano. Quando suonava l’allarme per i bombardamenti dovevamo fare la via Lampugnano, andare in via Beolchi, dove c’era la casa lì, che era una casa fatta su cantine e lì era il rifugio, ma era una cantina diciamo e però ci trovavamo là tutti assieme. Di notte quando suonava l’allarme, dovevamo saltare fuori dal letto, coprirsi con la coperta che avevamo su sul letto e scappare via con gli zoccoli, e via e andare. Stavamo là finchè suonava il cessate allarme e poi si tornava a casa. Poi una volta, mi ricordo che avevo dodici anni, e sono andata con mia mamma in via Novara, che lì aveva degli amici, dei parenti, degli amici più che parenti, che abitavano qui, si erano sposati e l’hanno invitata ad andare là a vedere la sua casa. E siamo andati, mi ha detto vieni anche te, vieni anche te. Eravamo lì che stavamo per partire, venivi a casa a piedi eh, da via Novara che dopo comincia via Rubens, e suona l’allarme, abbiamo dovuto fermarci lì e siamo andati giù nel rifugio lì suo dove abitavano loro. Suonato il cessate allarme, abbiam preso e siamo venuti a casa. Sulla via Novara sui marciapiedi abbiamo visto tre morti che sembravano, non dico lo spavento che ho preso quella volta lì perché c’erano fuori gli han sparato proprio nella testa che è andata giù una bomba in Via Novara dove ci sono tutte quelle case lì adesso, ecco. Comunque niente, siamo venuti a casa e tutta spaventata io perché, eh, era la prima volta che vedevo i morti così. Sì avevamo paura che quando suonava l’allarme perché si diceva se viene giù una bomba qui altro che andare giù con la casa qui. Però. Così.
ZG: Invece proprio, si ricorda del giorno in cui è scoppiata la guerra? Di come gliene avevano parlato gli adulti, di come gli è arrivata la notizia?
SC: Sì, come l’ha detto mio zio lì che aveva la radio lui che avevano fatto il patto con Hitler e, però il giorno preciso non mi ricordo, perché ero una bambina, eh. Mi ricordo quel giorno qui, quando hanno ammazzato quei partigiani lì.
ZG: Mi racconti pure.
SC: Ecco. Quel giorno qui era il 26 aprile del 1945. Il 25 aprile la radio aveva detto che la guerra era finita. Il 26 aprile del 1945, mentre sorgeva l’alba della liberazione, cadevano al loro posto di combattimento Casiraghi Eugenio di anni 37, Del Vecchio Luigi di anni 42 e Grassi Erminio di anni 22. Erano partigiani della 44esima Brigata Matteotti. E sono stati i fascisti di questo rione, di Trenno, perché prima si chiamava Trenno, e sono stati i fascisti a dirli, ‘andate lì in via Novara che arrivano i partigiani, vi danno dei sacchetti di roba da mangiare’. Loro c’hann creduto e quando sono stati lì all’altezza lì dove c’è l’Harbour in via Cascina Bellaria e lì li hanno ammazzati dentro in un fossettino. Li hanno fatti buttare dentro, li hanno detto di andare dentro nel fossettino, li hanno uccisi loro, i fascisti di Trenno. E meno mal che el mi mari non è andato perché doveva andare anche lui, assieme al Grassi Erminio che era suo amico.
ZG: Si ricorda perché li uccisero?
SC: Eh perché erano partigiani e non erano fascisti. Perché qui ce n’erano diversi eh di fascisti a Trenno.
ZG: Dei fascisti, cosa è successo dopo, insomma a queste persone che?
SC: Dei fascisti, c’erano dei fascisti che abitavano a Trenno e erano lì in via Novara dove adesso c’è la Rete, l’albergo, il ristorante La rete che adesso è chiusa. Erano lì in via Novara e siccome, come le ripeto mio papà era un socialista e non aveva la tessera dei fascisti, mio papà e dieci altre persone assieme a mio papà li hann portati lì in via Novara e li han dato giù una bottiglia di olio di ricino da bere di mezzo litro a tutti e dieci, che son stati male dopo per cinque o sei giorni, ecco. Erano gente, amici qui di Trenno, proprio che si conoscevano.
ZG: E dopo la guerra, a questi fascisti qua cosa è successo?
SC: E dopo la guerra meno mal chi mort, pace all’anima sua che son morti senza ammazzarli noi, perché l’odio c’era eh solo che beh io ero una bambina, però mio papà e gli altri suoi amici che sono andati là a bere l’olio di ricino avevano voglia di ucciderli loro. Invece son morti. Dopo la guerra a uno a uno sono andati tutti e cinque, che abitavano lì in via Rizzardi avanti.
ZG: Tornando, diciamo, alla guerra, ai bombardamenti, lei cosa faceva durante la guerra, lavorava ha detto, e dove lavorava?
SC: No, ho lavorato due anni all’ippodromo San Siro a tirar su i sassi, però per tre o quattro mesi. Poi ho incominciato a imparare a fare la rammendatrice, a quindici anni ho imparato a fare la rammendatrice, poi sono andata a diciassette in una ditta in via Lario che andavo in bicicletta da qui fino là in via Lario che è vicino al Niguarda in bicicletta anche se pioveva in mano la bicicletta con mano l’ombrello e andavo là a lavorare, fare la rammendatrice. Che lavoravamo i tessuti che venivano da Biella per il Galtrucco di Milano.
ZG: E Le è mai capitato che suonasse un allarme antiaereo quando era sul posto di lavoro?
SC: No, no, perché lì ho cominciato a diciassette anni.
ZG: Quando… quindi l’allarme antiaereo le è capitato che suonasse solo quando lei era ancora a casa.
SC: Quando ero a casa che stavo imparando a rammendare in via Belfiore, allora lì sì anche lì che ero lì imparare a rammendare è suonato l’allarme e mi ricordo che la proprietaria del negozio lì dove stavo imparando aveva la casa dove c’è adesso il, prima c’era il Zenith in Corso Vercelli all’inizio e adesso invece mi sembra che c’è una libreria, prima c’era il Zenith, e lei abitava lì e una bomba è andata giù e ha buttato giù tutto e lei è rimasta senza casa né niente. Meno male che era lì nel negozio e che ero da sola, è stata lì e mi ricordo che eravamo lì quando è suonato l’allarme siamo andati in un’altra casa che avevano anche lì la cantina e siamo andati lì. Però eravamo in via Belfiore e la bomba è andata giù in Corso Vercelli. Anche lì un bello spavento perché dopo avevo paura a venire a casa perché venivo a casa a piedi da lì eh. Dopo non passavano più né tram né autobus perché andando giù la casa avevano ostruiti anche il passaggio dei tram che arrivavano fino a qui in Perrucchetti.
ZG: Quando eravate nei rifugi, nelle cantine, come passavate il tempo?
SC: Pregando. Pregando tutti, anche gli uomini, che rispondevano [pauses] Nella paura, eh.
ZG: Si ricorda che preghiere facevate?
SC: L’Ave Maria e il Padre Nostro. C’erano le donne più anziane che dicevano “oh Signur, oh Signur, e tont i, e tont i” e poi “Padre Nostro, che sei nei cieli”, poi si ripeteva tutti. E l’Ave Maria.
ZG: Ehm, quando poi finiva l’allarme, come lo sapevate che era finito l’allarme?
SC: Perché suonava, suonava il cessate allarme. Suonava e allora ci guardavamo tutti in faccia, ci abbracciavamo noi bambini e i più grandi e poi ‘ciao ciao’ e si tornava a casa, perché magari durava un’ora, un’ora e mezza, e anche due. Di giorno era un conto ma di notte era un altro.
ZG: Lei si ricorda cosa è che la sconvolgeva di più quando eravate in cantina? Qual’era il ricordo più forte che ha?
SC: Il pensiero che andasse giù una bomba dove c’era la mia casa. Come quei terremotati che sono là adesso là, che hanno sempre il pensiero di dire ‘la casa non c’è più, cosa facciamo‘. Lì è proprio una guerra anche lì eh.
ZG: E invece sulla strada per casa come tornava? Lei era sempre con i suoi genitori?
SC: Sì sì tutti e cinque si andava là quando suonava l’allarme. Di giorno no perché il papà era all’ippodromo. E se capitava di giorno andavo io con i miei fratelli e la mamma. Ma la maggior parte era di notte.
ZG: Lei per caso aveva parenti che combattevano al fronte?
SC: Nella seconda, non nella terza. Che sono morti, che c’è qui la scuola di Trenno ci sono due aule con il nome dei fratelli del papà, Colombo e Colombo, che sono morti nella seconda guerra mondiale.
ZG: E dove sono morti, lei lo sa?
SC: Non lo so, non lo so perché io è già un dispiacere il papà quando gli hanno dato il nome alle due aule io andavo a scuola lì dopo. Però lui non mi ha mai detto niente e io non chiedevo niente.
ZG: Invece ha, per caso aveva parenti che invece lavoravano nell’industria bellica?
SC: No, avevo parenti che sono andati coi tedeschi. Una zia e una cugina.
ZG: Le va di…
SC: Mamma e figlia. Con due tedeschi.
ZG: Ma che sono andati a vivere proprio in Germania?
SC: No, che sono andati lì in casa sua, in via Lampugnano al 170 la sera. Andavano lì e la figlia è rimasta gravida, il figlio che è nato era proprio un tedesco, non era figlio di un mio cugino marito di lei.
ZG: Come, che ricordo ha dei tedeschi durante l’occupazione?
SC: Paura. Loro quando erano venuti qui alla scuola, venuti qui alla scuola che passavano allora alla via Lampugnano c’erano giù i sassi e con i due, le beole che dicevano i trottatori, ecco. Prima di tutto non c’erano luci perché c’era un lampione qui in, la piazza dicevano la piazza dove c’è adesso il semaforo. C’era un lampione lì, poi ce n’era uno là vicino alla scuola, può immaginarsela la strada tutta buia. Ma quando passavano i tedeschi con quelli scarponi lì. Io avevo la finestra proprio sulla, la camera sulla via Lampugnano e facevano rimbombare anche i vetri, perché allora i doppi vetri non c’erano. Che passavano e cantavano e con quelli stivaloni lì facevano una paura enorme guardi. Io li guardavo dalla finestra, guardavo giù ma avevo una paura, avevo quattordic’anni, quindici eh.
ZG: Lei non ha avuto nessun episodio in cui le è capitato di avere a che fare con i tedeschi?
SC: No no.
ZG: Quando la guerra è finita, si ricorda il giorno della liberazione?
SC: 25 aprile, il 26 hanno ammazzato questi qui.
ZG: Ma si ricorda di come le è arrivata la notizia che la guerra è finite?
SC: Sempre lì dallo zio, che aveva la radio perché in casa mia fino a diciott’anni non c’era né radio né giornale. Leggevo il giornale perché me lo passava mio zio che lo comperava lui, se no... Ecco dopo mi ricordo che eravamo in quattro cinque amiche e in via Novara, adesso non ricordo quella via lì, dove c’è la posta che va giù, quella via lì non mi ricordo, che si va giù in fondo c’è la caserma, c’è la caserma e lì c’erano gli americani. Allora quelli più grandi sono venuti a casa e l’hann detto che noi eravamo là all’oratorio, era domenica si andava all’oratorio, si andava in chiesa il pomeriggio poi si andava all’oratorio dalle suore, e son venuti a casa e c’hann detto ’andate lì, andate lì che gli Americani sono là alla finestra, se vedono le bambine’. Allora io avevo quindic’anni, sedic’anni, ’se vedono le bambine o le ragazze, buttano giù le tavolette di cioccolata’. Allora si andava a piedi fino a là e c’hann buttato giù le belle tavolette di cioccolata ma bisognava tagliarlo col coltello talmente era alto era buonissimo. Ecco il ricordo degli americani al confronto con i tedeschi.
ZG: Prima ha detto che suo marito da ragazzo era stato partigiano.
SC: Sì, era partigiano, era amico con questi. Dopo quando i fascisti, lui non so se l’ha sentito tramite qualcun’altro, i fascisti gli hann detto ’andate in via Novara perché arriva una colonna di partigiani vi danno qualche sacco di roba da mangiare’. Sono stati i fascisti a dirglielo. Loro sono andati ma quando sono stati lì in via Bellaria all’altezza qui dove c’è la lapide che l’ho fotografata ieri mia figlia quando m’ha portato a casa, e dopo io ho scritto tutto quello che c’era scritto e c’era la lapide lì e lì c’era un fossettino perché erano tutti campi prima, c’era un fossettino che passava l’acqua, li hann fatti sdraiare lì e li hanno uccisi loro, fascisti di Trenno. Ma mio marito non è andato e si era nascosto in un solaio ed un altro suo amico in via Luigi Ratti, s’era nascosto lì nel solaio, è rimasto lì per due giorni che li portava su da mangiare il suo amico perché aveva paura che i fascisti magari lo vedessero in giro e …
ZG: E si ricorda che cosa faceva come partigiano suo marito prima della, durante la guerra?
SC: No, no, perché [unclear].
ZG: È un argomento di cui non avete mai parlato?
SC: No, no, perché poi lui è andato a studiare in seminario perché il papà aveva un tumore alla faccia, aveva un tumore alla faccia e la mamma faceva la magliaia e sua so, le è morto un fratello a diciotto anni del tifo ma quello non c’entra niente e lui voleva andare avanti a fare il liceo ma la mamma gli ha detto io non posso, non posso perché … allora lui per poter avere il diploma lì del liceo è andato in seminario a studiare. Ha parlato, la mamma ha parlato coi missionari, è andato là è Madonna non ricordo il nome, è vicino a Monza, è venuto a casa che aveva il liceo ecco però non eravamo ancora fidanzati e sapevo solo quello.
ZG: Le ragazze di cui ci parlava prima, che erano andate coi tedeschi, dopo la liberazione cosa le è successo, lo sa?
SC: No. È successo che l’ha saputo tutto il paese. Una era mia zia eh, che non era una ragazza, e l’altra era mia cugina sua figlia, che si era appena sposata è rimasta incinta ma quando è nato il figlio, per non dire che non è stato il marito perché non era giusto, che mancavano più di, quasi tre mesi, hanno detto che era un settimino, per non dire di sei mesi. Che poi il figlio era proprio un tedesco. Tedesco di nome no, ma di fatti. Ma di fatti.
ZG: In generale, qual’è il ricordo più forte che ha della guerra, quello che le è rimasto più impresso?
SC: Quando ho fatto la via Novara che ho visto quelle tre persone con tutte le, le cose fuori dalla testa. Le cervella, che sembrava la cervella che si prende dal macellaio per impanare e mangiarla. Ecco, l’impressione più brutta era quella [pauses] che mi è rimasta, perché qui in pratica qui a Trenno non è successo niente all’infuori di questo che dopo siamo venuti a conoscenza e odiavamo quei ragazzi lì. Che fra l’altro il fascista di questi adesso c’è l’Ambrogio Giroli era suo zio.
ZG: Torniamo di nuovo ai bombardamenti. Cosa, cosa le dicevano di chi bombardava?
SC: Eh, che erano i tedeschi. Dopo a volte dicevano che erano gli americani, invece erano i tedeschi. E poi mi ricordo, mi spiace che non la trovo più perché quando hanno ucciso il Duce in Piazzale Loreto con la Petacci, io avevo la fotografia che è andato mio marito a fargliela. E avevo una cartolina. Non la trovo più, non la trovo più, non la trovo più, l’ho cercata apposta per farvela vedere a voi.
ZG: È una foto che le ha fatto…
SC: Che le fatto mio marito in Piazzale Loreto col Duce appeso in Piazzale Loreto e la Petacci e altri due.
ZG: Cosa pensava di chi la bombardava, lei?
SC: Cosa pensavo. Che erano dei disgraziati. Ma disgraziato più è stato il Duce che ha fatto il patto con Hitler, eh. Però essendo una bambina non avevo radio, non leggevo giornali.
ZG: Degli inglesi invece cosa pensava?
SC: Io non so perché, io ho pensato solo agli americani. Degli inglesi non pensavo niente.
ZG: E degli americani?
SC: E degli americani pensavo bene, perché sono venuti a liberarci, eh. Che quando sono arrivati gli americani la prima volta che gli abbiamo visti sono arrivati lì con quelle jeep, non so io cos’erano, in fondo a via Lampugnano che adesso c’è il Palatrussardi ecco, siamo andati fino a là per vederli. Perché si erano fermati là e noi da qui a Trenno, noi ragazze, che avevamo quindici anni, sedici, siamo andati, chi diciassette, chi diciotto.
ZG: Ci hanno raccontato di un episodio di un bombardamento alla Cascina Bellaria.
SC: Bravo.
ZG: Lei se lo ricorda?
SC: Bravo, sì, bravo.
ZG: Si ricorda l’episodio?
SC: Sì non mi ricordo ma so che è andata giù una bomba lì alla Cascina Bellaria, ma allora era tutto prato lì. Il parco lì proprio c’era solo la cascina e basta.
ZG: Per caso si ricorda l’anno?
SC: No.
ZG: Invece ha mai sentito parlare del Pippo?
SC: Pippo? Cos’è il Pippo?
ZG: Un modo di dire in alcune parti di Milano in cui si parlava di un aereo che volava, un solo aereo che volava di giorno e di notte sopra la città.
SC: Mai sentito.
ZG: Senta, invece adesso che cosa pensa di chi la bombardava?
SC: Eh, cosa penso. Che erano dei maledetti, che cosa si pensa? Che cosa si può pensare? Io devo dirmi fortunata perché dei miei parenti nessuno è stato, è stato preso, diciamo, nei bombardamenti o, però la paura che c’era…
ZG: Invece, finita la guerra, la vita com’è cambiata lei e la sua famiglia?
SC: Eh un po’ diversa perché ho cominciato a lavorare, facevo rammendi, mi ricordo che il primo rammendo che ho fatto qui a Trenno, un buco di sigaretta in una giacca e ho preso cento euro [sic]. Un buco di sigaretta e ho preso cento euro [sic]. Allora, perché allora facevano anche rivoltare le giacche. Chi faceva l’impiegato consumava tutta la, il bordo qui della giacca e allora me lo portavano qui e io lo rammendavo. C’era il trucco. Si faceva così, ecco, e mi ricordo che ho cominciato a star bene lì. E mi ricordo che avevo diciotto anni e ho preso le prime calze di nylon, se no c’erano i calzettoni di cotone fino al ginocchio. Le prime scarpe che ho preso avevo il 35, mio papà mi ha preso il 38 perché ha detto che dovevano durare tre o quattro anni, che il piede si allungava. Quando non ci è stato più dentro il piede, li ha portati da un calzolaio qui a Trenno che era anche un cugino, Colzani, m’ha tagliato il tallone e ha lasciato il cinturino per fare i sandali, però metà tallone era giù fuori dal tacco delle scarpe. E dopo ho dovuto metterle via, pulirle bene per mia sorella. E al tempo di guerra, a Natale, ci si alzava sul tavolo là in cucina c’era per me e mia sorella perché allora mio fratello era ancora piccolino, un mandarino, un torroncino Sperlari nella scatoletta di cartone che era più bella la scatoletta che il torrone che c’era dentro, cinque spagnolette, torroncino, cinque spagnolette, il mandarino e una bambolina di pezza che ha fatto mia mamma, che dovevo tenerla in mano a Natale, Santo Stefano, poi metterla via per mia sorella. Quello era il Natale, in tempo di guerra. E il panettone, tagliava il panettone di mezzo chilo perché quello da un chilo non si poteva prendere, mezzo chilo lo tagliava, lo tagliava tre quarti, un quarto lo metteva via per febbraio, San Biagio come tradizione.
ZG: Bene. Per noi siamo a posto così
Dublin Core
The Dublin Core metadata element set is common to all Omeka records, including items, files, and collections. For more information see, http://dublincore.org/documents/dces/.
Title
A name given to the resource
Interview with Santina Colombo
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Zeno Gaiaschi
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-12-03
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:35:13 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Po River Valley
Italy--Milan
Italy
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1945-04-26
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Description
An account of the resource
Santina Colombo describes her early life in a family of farmers, her father a fervent socialist. She mentions the start of the war announced on the radio and gives a detailed account of civilian life in wartime Milan: scarce food, growing vegetables on small plots, home rearing of geese, and the constant fear for the fate of enlisted relatives. Describes bombings and the rush for safety in a nearby basement, men and women praying together during the alarm, and hugging each other after the all-clear signal. Recalls the constant fear that her home would be destroyed and the trauma of seeing corpses on the road. Mentions the Cascina Bellaria killing and describes how her husband, a partisan, narrowly escaped death. Describes fascist violence, leading to acts of revenge after the war. Mentions her aunt and cousin living with the Germans, the latter to become pregnant. Speaks of aircrew as odious and detestable, and scorns on Mussolini and Hitler.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AColomboS161203, PColomboS1602
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
bombing
childhood in wartime
civil defence
faith
fear
home front
Mussolini, Benito (1883-1945)
perception of bombing war
Resistance
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/460/8267/PGiovanettiJL1801.2.jpg
659305021ca0802d8aa253fed5bdad75
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/460/8267/AGiovanettiJL180813.1.mp3
57908defd985e8d5dc75769edf993e2c
Dublin Core
The Dublin Core metadata element set is common to all Omeka records, including items, files, and collections. For more information see, http://dublincore.org/documents/dces/.
Title
A name given to the resource
Interview with Leontina Giovanetti
Description
An account of the resource
Leontina Giovanetti (b. 1913) reminisces about her early life with three sisters, her father who was a typographer and photographer and her mother a house-wife. Describes musical training at the Milan conservatory, stressing the demanding attitude of her teachers, and praises her mother who was prepared to endure many hardships so to give a proper education to all her daughters. Describes briefly the 1918 flu pandemic, when she was quarantined, and remembers daily life in post-war Milan: hard life, class and gender divide, rigid upbringing and strict discipline were tempered by widespread solidarity and appreciation for music. Talks about her career as a performer in casinos and cafés; while she was in Rome she listened to Benito Mussolini’s addresses and was impressed by his command of public speaking. Leontina met her husband in Bengasi while under contract as a performer but left the colony at the start of the war while pregnant. Describes the bombing of Milan, mentions the resistance of her son to go down into the shelter and the tense atmosphere inside, where people patiently waited for the all clear signal. Mentions a Jew hidden by her father and recounts wartime anecdotes about the town of Pievepelago: draft-dodgers and close links with emigrants to America. Discusses the morality of bombing.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Zeno Gaiaschi
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2018-08-13
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:41:58 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Po River Valley
Italy--Rome
Italy--Milan
Libya
North Africa
Libya--Banghāzī
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AGiovanettiJL180813
PGiovanettiJL1801
Conforms To
An established standard to which the described resource conforms.
Pending OH transcription
bombing
entertainment
faith
home front
Mussolini, Benito (1883-1945)
perception of bombing war
shelter
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/427/3601/PPirovanoG1701.1.jpg
f08cd474f8b3abb5a6bba59fc5a0eb22
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/427/3601/APirovanoG171113.2.mp3
44fd6d3723b29056871c2fb2c80da476
Dublin Core
The Dublin Core metadata element set is common to all Omeka records, including items, files, and collections. For more information see, http://dublincore.org/documents/dces/.
Title
A name given to the resource
Pirovano, Giuseppe
G Pirovano
Description
An account of the resource
One oral history interview with Giovanni Delfino who recollects his wartime experiences in Milan.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-11-13
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Pirovano, G
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
ZG: Prova? Funziona? Sì. Allora, l’intervista è condotta per l’International Bomber Command Centre. L’intervistatore è Zeno Gaiaschi, l’intervistato è Giuseppe Pirovano. Nella stanza è presente, in qualità dell’assistente di Zeno, Simone Biffi dell’Associazione Lapsus. L’intervista ha luogo in Via Gian Rinaldo Carli al numero 34 a Milano il giorno 12 Novembre 2017. Ok, possiamo iniziare. Allora inizio con delle domande di riscaldamento. Qual è il ricordo più lontano che ha, più remoto di tutti?
GP: Diciamo, ma qualche ricordo già prima della guerra. Quindi io sono del ’31 per cui ho dei ricordi verso gli anni ’39-’40. Quegli anni lì ricordo benissimo. L’aspetto che mi è rimasto in testa è la situazione qui di Affori ma sicuramente rispecchia la situazione generale dove il Fascismo teneva in iscacco se possiamo dire, la popolazione. Esempio. Allora c’eran solo le osterie e mio padre andava all’osteria qualche volta, non sempre. Era anche lui uno che gli piaceva bere il solito bicchiere di vino coi compagni, con gli amici, e ogni tanto mi portava, anzi ero io che gli correvo dietro, avevo otto, nove anni quindi, dieci anni. E mi ricordo la situazione, mi è rimasto impresso alcune cose. Per esempio, mi ricordo che sulle pareti dell’osteria dove c’era il, dove si batteva, dove batteva la spalla della sedia c’eran tutte le parole d’ordine: ‘Qui non si parla di politica’, ‘Viva il Duce’ e tutte queste parole d’ordine che potete immaginare quali erano. Ma questo è il meno. Ricordo benissimo che c’erano due, due esseri, due signori che giravano il rione vestiti proprio con la tuta da fascista, camicia nera, pantaloni, in bicicletta, sempre loro due, uno si chiamava Marinverni, l’altro Cavallini, e con la pistola sempre addosso. Facevano il giro delle osterie e ogni, alzavano la voce, la gente stava in silenzio, loro facevano il cosidetto bauscia, disevano a Milan, e quindi in alcuni casi hanno provato anche a sparare in alto, tanto per intimorire la gente. Questi erano proprio i manovali, me li ricordo bene, mi sono rimasti in mente anche i nomi. Poi naturalmente c’erano quelli vestiti bene, quelli che erano alla sede del Fascio qui ad Affori e che loro si facevano solo vedere nei luoghi delle parate quando c’era qualche manifestazione nel rione. Ecco questo, sono i ricordi più lontani, di prima della guerra.
ZG: Ma lei si ricorda perché questa camicie nere intimorivano? Quali erano le motivazioni? C’erano delle cause scatenanti?
GP: Non saprei dire la motivazione. Sicuramente evitavano, volevano evitare, diciamo, che qualcuno si comportasse da antifascista, questo per loro era una cosa che non poteva esistere, per cui controllavano, vedevano se c’era qualcuno di questo tipo. Naturalmente c’erano, ma però non posso dire che alloro lo sapevo, li avevo conosciuti nel, nel dopoguerra chiaramente, negli anni ’45-’46, c’erano gli antifascisti e c’erano ma non si muovevano, non si. Qualcuno di questi venivano anche portati in prigione quando c’era le visite dei gerarchi fascisti, di Mussolini in particolare qualche volta che era arrivato a Milano, però loro non li conoscevo, ma penso che lo scopo principale era quello di tenere sotto controllo la situazione insomma.
ZG: Senta, che lavoro facevano i suoi genitori?
GP: Mio padre era un operaio, lavorava alla Ceretti e Tanfani, una ditta molto importante. Era una ditta ausiliaria si diceva allora, cioè ausiliaria nel senso che producevano cose che servivano per la guerra e quindi. Non le armi ma le strutture sono le gru, gli impianti funiviari, gli impianti che potevano servire per l’esercito, quindi lavorava in uno di quei. Mia madre era casalinga. Eravamo tre fratelli, due fratelli e una sorella.
ZG: Si ricorda un po’ della vita prima della guerra, in famiglia, a casa?
GP: Mah, prima della guerra ricordo che mio padre lavorava dieci ore al giorno e comunque, riusciva comunque a mantenere la famiglia ecco. Mia madre non ha mai lavorato da sposata e non saprei dire precisamente perché. L’età era poca e quindi eravamo, non eravamo in grado di capire per bene le cose. Però posso dire che riuscivamo a vivere, naturalmente con sacrifici perché il mangiare era quello che era, non è che eravamo. E ricordo in particolare che i giorni di Natale, mentre alcuni bambini avevano la fortuna di avere una famiglia un po’ benestante, meglio di noi, noi non avevamo niente insomma, c’erano i soliti pacchetto di mandarino con la noce con quelle poche cose di frutta. Ecco, quello che ricordo è un po’ questo. Facevamo fatica, vivevamo con fatica, ma vivevamo.
ZG: Lei e i suoi fratelli giocavate?
GP: Sì, sì, giocavamo, giocavamo. Mi ricordo che io ero il maggiore facevo, costruivo i monopattini, andavo da, c’era uno stracciaio vicino a casa dove abitavamo, noi abitavamo qui in, qui vicino insomma, un centinaio di metri. E andavo a comperare, ce li regalava praticamente, soldi noi non ne avevamo, le ruote a sfere che raccogliendo i rottami che questo signore c’era dentro anche queste cose qui, noi lo sapevamo e andavamo là e facevo il carrello, il carrellotto con il legno, la, col manubrio, bulloni per fare da perno, la ruota a sfera più grossa che riuscivamo a trovare e facevamo il carrellotto che ci spingevamo in giro oppure il monopattino, con due ruote a scorta. Per dire uno dei giochi, poi giochevamo tante altre cose siam bambini, giocavamo, giocavamo, questo.
ZG: Ehm, lei si ricorda qualche altro gioco in particolare?
GP: Giocavamo, ci allora, ci mettevamo carponi uno dietro l’altro e saltavamo sulla schiena. Chi saltava più, due persone, tre persone. Giocavamo alla, noi lo chiamavamo il Pirlo, pezzo di legno così che mettevamo per terra, picchiavamo sulla punta e il legno andava lontano, quindi chi andava più lontano vinceva. E così insomma questi più o meno erano i giochi che facevamo.
ZG: Senta, si ricorda di quando è scoppiata la guerra?
GP: Sì. Scoppiata la guerra, mi ricordo vagamente del discorso di Mussolini, stranamente. Però stranamente era, tutte le radio parlavano di questo. E mi ricordo vagamente, vagamente col senno di poi, l’ho sentito attraverso i tele, i giornali eccetera ma allora ricordo vagamente per dire la verità. Non è che potessi capire il significato, perché insomma io avevo, nel ’40, 10 giugno del ’40 avevo nove anni, capite che un ragazzo non, però ricordo ma poi. Diciamo quello che posso dire è come ho vissuto io la guerra, ecco questo.
ZG: Ecco sì, voglio fare giusto una domanda prima che era, gli adulti gli parlarono della guerra? I suoi genitori o famigliari a lei vicini, amici dei genitori?
GP: Beh, mio padre un po’, mio padre, mio padre parlava un po’ qualche volta però non si sbottonava. Mio padre non era un politico ma era un antifascista, questo sicuramente, questo, lo posso testimoniare. Politico no perché poi anche lui era un operaio nel senso che non aveva, scuole, sì, fatto le elementari ma non aveva cultura politica. Ma era un antifascista e ogni tanto qualche cosa me lo [sic] diceva. Era un tipo che ogni tanto mi ricordo che prendeva in giro qualche fascista della prima ora, con dell’ironia non con della, diciamo discussioni politiche, si guardava bene perché non avrebbe potuto. Però mi ricordo che c’era uno che aveva fatto la Marcia su Roma, abitava vicino a noi e mai poi era un uomo anziano, non è che fosse, non era un uomo cattivo ma era un fascista. Mi ricordo, eravamo forse nel ’41 quando, quando venivamo, eravamo in Africa ed eravamo sconfitti e allora mi ricordo precisamente, una volta visto fuori in strada e gli diceva: ‘Ohè, Scaiett’, si chiamava Scaietti, ‘Scaiett, andem ben, eh!’. Faceva così, il segno della vanga. Vangava per dire che andavamo indietro. Lo prendeva in giro, per dire. Era comunque un tipo abbastanza, le conosceva le cose, e qualche volta si azzardava anche con gli amici a parlare, ma molto, molto poco, non è che era un antifascista combattente, no, non lo era. E naturalmente poi ho saputo che in fabbrica c’era l’organizzazione clandestina ma questo l’ho saputo dopo e quindi.
ZG: Dopo torneremo anche su questo. Quindi lei non si ricorda nulla in particolare proprio di come suo padre invece parlava a lei della guerra e del fascismo?
GP: No, ma, no, soltanto qualche volta, quello che succedeva, lo diceva in casa ecco. Ma no, devo dire di no. Per dire la verità.
ZG: Eh per caso avevate parenti al fronte?
GP: Al fronte c’erano i miei cugini, i miei cugini sì. Figli della sorella di mio padre e sono, due son tornati tutti e due, sì e altri cugini, altri cugini non me ne ricordo, che erano al fronte.
ZG: Ok. Senta invece, si ricorda dei bombardamenti?
GP: Eh beh certo. Eh lì vorrei parlare un po’. Allora partiamo dal primo bombardamento avvenuto a Milano il 24 Ottobre del ’42, primo bombardamento a Milano. Premetto che a Milano era già stato fatto un bombardamento nel ’40 appena scoppiata la guerra, me lo ricordo bene perché mio padre con la bicicletta, noi abitavamo ad Affori, abitiamo tutt’ora ad Affori, siamo andati a vedere i bombardamenti, per dire incoscienti e incapaci di giudicare, penso che era normale. Allora con la bicicletta, io con la mia bicicletta, mio fratello con la sua biciclettina siamo andati in Via Thaon di Revel, sapete dov’è? Piazzale Maciachini, avanti, lì c’è la Chiesa della Fontana. Il bombardamento è avvenuto con qualche bomba incendiaria che ha toccato la chiesa e la casa di fronte. Siamo andati subito quando l’abbiamo saputo, mio padre c’ha portato, e abbiamo visto di cosa si trattava. Proprio due spezzoni erano apparecchi, erano i francesi, perché noi abbiamo dichiarato guerra ai francesi e quindi quelli si sono vendicati subito ma ridicolmente insomma. Era un bombardamento ridicolo eh. Incendiarie hanno rotto una soffitta, un pezzo di, vabbè, comunque, questo è [unclear], però non è più stato fatto nessun bombardamento. Il primo a Milano è avvenuto il 24 Ottobre ’42. Io ero in quel momento nel cortile di casa mia, in una stanzetta del cortile con cinque, sei amici ragazzi, sentiamo sto casino, sto bombard, sto rumore, sparare e il rumore degli aerei. Usciamo e siamo rimasti lì, era le cinque della sera, quindi iniziava il tramonto. Si vedevano tutti i traccianti della antiaerea, qui nella, c’era l’antiaerea piazzata, là nella Cava Lucchini, vicino proprio a noi, le mitragliatrici e si vedevano gli apparecchi che passavano, che urlavano, erano gli aerei, apparecchi inglesi naturalmente perché i primi bombardamenti sono stati fatti dagli inglesi ’42-’43. Gli americani non c’erano ancora e quindi, vedevamo chiaramente mollare le bombe, magari appena dopo perché appena dopo magari alla Bovisa sugli scali ferroviari eccetera nei dintorni. Noi ad Affori non siamo stati colpiti. E quindi questo è stato il primo bombardamento che ho visto coi miei occhi gli apparecchi che mollavano le bombe. Ricordo il rumore degli apparecchi che poi dopo li ho risentiti in qualche documentario ma li ricordo bene. Allora il giorno seguente, uno o due giorni, mio padre ha caricato la famiglia, ci ha portati fuori Milano, sfollati diciamo, eravamo i primi sfollati, perché poi Milano ha avuto molti sfollati proprio a causa dei bombardamenti. Allora il discorso è questo, noi con la famiglia eravamo sfollati in provincia di Brescia, in campagna, e lui lavorava tutti i giorni da solo a casa, ecco. Veniva tutte le domeniche, quasi tutti i sabati e la domenica a trovarci, prendeva il treno, veniva a trovarci. Però era il ’42, la guerra è finita nel ’45, e io saltuariamente venivo a casa con lui, ’43, ’44 quindi in permanenza non ero a Milano però venivo a casa con lui ogni tanto. E quando ero a casa non sono riuscito a dormire una notte perché c’eran sempre i bombardamenti, c’eran sempre gli allarmi. Su casa nostra non abbiamo avuto i bombardamenti ma le case circostanti, i rioni, Milano insomma è stata distrutta, lo sapete meglio di me. Quindi io ho vissuto nei rifugi qualche, alla notte ed era un dramma veramente: il terrore, la paura. Chi andava nei rifugi era, in genere le donne, ma tutti insomma, mio padre nei rifugi non c’è mai andato perché lui diceva: ‘Mi la fin del rat la fu no!’, la fine del topo non la voglio fare. E allora, quando io ero qui qualche volta mi è capitato di andare nei rifugi perché se era di giorno, o comunque un orario che mio padre era a lavorare e io ero solo, e quindi andavo nei rifugi non potevo, ma quando c’era mio padre lui mi prendeva come al primo allarme mi metteva sulla canna della bicicletta e correvamo fuori perché qui ad Affori adesso è costruito molto ma allora era campagna perché era l’ultimo rione della città e quindi avevamo molta campagna e mi portava nei fossi, nella campagna per evitare i bombardamenti. Ma diciamo che ho vissuto i bombardamenti nei rifugi quando venivano qui. E mio padre, dicevo, veniva ogni tanto, ogni tanto, ogni settimana, al massimo ogni quindici giorni veniva a trovarci. Il giorno del 10 settembre ’44 era un giorno che tornava a Milano della visita che aveva fatto a noi e quando tornava a Milano il treno arrivava generalmente dopo le dieci di sera, c’era il coprifuoco alle dieci di sera, quindi cosa succedeva? Lui dormiva alla stazione centrale, al mattino alle sei prendeva la bicicletta e andava a Bovisa a lavorare, Bovisa è qui vicino. La sera del 10 settembre il treno è, è arrivato in orario, ha fatto in tempo a prendere la bicicletta e andare a casa. È andato a casa, diciamo è salito in casa per disfare la valigia, le bombe cadevano. Nel cortile distrutta la casa. Cosa succedeva? Le bombe cadevano e quindi lui è sceso perché non poteva stare lì perché andavano giù, sentiva le case che andavano giù e anche la nostra dove abitavamo cominciava a crollare. Allora molta gente nel, che scendeva nel cortile perché era un gruppo di case, allora molta gente andava nel rifugio ma il rifugio era la solita cantina che costruivano dove si metteva il vino, si metteva, quindi non era un rifugio, era una cantina. E quindi mio padre faceva la parte delle persone che scappavano, oltretutto non era in grado di contenere tutte le persone, molta gente scappava. Mio padre è scappato con un gruppo di dieci persone. Fatto venti metri, è arrivato a un bivio, scappavano, cercavano di andare in un rifugio più sicuro, loro pensavano. Ha fatto venti metri, erano un gruppo di dodici persone, tredici persone, una bomba è caduta nel centro. Quindi strage completa. Mio padre è rimasto sotto i bombardamenti in quell’occasione lì. E, scusate,
ZG: Se vuole interrompiamo.
GP: [starts crying] cosa succede, c’erano i miei amici, un ragazzo col collo tagliato, mio padre combinazione non aveva niente ma lo spostamento d’aria gli ha spaccato il cuore. E però una parte di persone si è fermato nell’androne, nell’androne della casa si sono salvati, in cantina si sono salvati e quelli che sono usciti sono morti tutti. Tenete conto che la mia casa, la casa dove abitavo, era ai, dietro la chiesa, in linea d’aria trenta, quaranta metri, perché proprio era sull’angolo del giardino del parroco. A sinistra c’era la scuola elementare dove io ho frequentato la prima, la seconda e la terza. Alla mia destra, quella via, c’era l’asilo infantile con cinque suore. Ebbene, hanno distrutto l’asilo, distrutto la scuola, distrutta metà la casa dove abitavo. Hanno danneggiato la chiesa, per dire quel gruppo di queste case. Poi più avanti hanno distrutto dei caseggiati completi, la Cur di Restei, la chiamavamo e tante altre cose lì in giro ma poi anche tanti altri. Quindi questo è il 10 settembre ’44. Mio padre è morto e noi siamo rimasti là in campagna dove mia madre è stata assunta, in combinazione c’era una ditta di tabacchi, raccoglievano il tabacco, lavoravano il tabacco, mia madre è stata assunta lì e siamo riusciti per tirare avanti con lo stipendio di mia madre. Quindi siamo stati lì fin dopo, fino il ’45 e mi ricordo l’ultimo episodio che voglio dire. Il 25 aprile del ’45, ero ancora lì naturalmente, e io seguivo un po’ gli ultimi avvenimenti, ormai avevo quattordici anni capivo un po’ di più insomma. E son corso sul, sono andato sulla strada principale Asola-Brescia perché in quei momenti lì i tedeschi cominciavano a scappare. Ora sono corso là con i miei amici grandi, giovanotti che ricordo si preparavano già qualche giorno prima, armeggiare, trovavano qualche arma, qualche cosa del genere. Sono andato lì per trovarli, insomma io volevo esserci. Sono arrivato là, non ho trovato nessuno in quel momento lì al mattino presto. Però mi sono trovato di fronte un gruppo di tedeschi, quindici, circa quindici tedeschi, potevano essere quattordici o sedici, ma era più o meno un gruppo così, un gruppo di tedeschi in bicicletta armati di tutto punto, bombe a mano e mitra, in bicicletta con sacche pesanti. E ormai ero lì, non sapevo più cosa fare e ho detto: ‘Ma sono un ragazzo, forse non mi dicono niente’. Invece il capo lì: ‘Komma her, komma her’, mi ha messo in mezzo per attraversare il paese. L’intenzione era quella naturalmente di avere l’ostaggio in centro in modo che, avevano paura dei partigiani per cui se c’era qualcuno e attraversiam, per attarversare il paese. Naturalmente io il paese lo conoscevo come le mie tasche, e poi avevo quattordici anni quindi, e intanto che andavamo non so se per incoscienza o non sentivo paura, non è che avessi paura, stavo pensando come facevo a scappare. E infatti prima di uscire dal paese conoscevo bene come fare avevo visto, avevo pensato e quindi con un salto sono uscito dai ranghi. Immaginatevi questa gente qui, stanca, affamata, carica come era, non mi ha neanche visto insomma. Sono scappato e quelli se ne sono andati. Sono stati fermati dai partigiani in paese dopo. Io sono tornato là e ho trovato finalmente i ragazzi che si sono messi là, mi hanno messo assieme a uno con la mitragliatrice, io dovevo metterci su le cartuccie, le scatole e comunque eravamo lì a fermare i tedeschi. Diciamo che la giornata è passata così. Lì fermavano i tedeschi, li mettevano nella scuola poi dopo sarebbero stati mandati non lo so e, eh glielo ripeto ero là. E se venivano le macchine era più pericoloso dicevano se veniva qualche macchina. Allora c’era un incrocio rispetto alla provinciale, veniva una macchina dalla provincia di, era da Castel Goffredo provincia di Mantova, e io ero su quella strada lì dietro l’angolo con questo qui. Sento la macchina, sentiamo la macchina, guardo e tra le fronde della siepe avanti centocinquanta metri vedo un elmetto che non è tedesco quello non è un tedesco, non sono tedeschi allora metto la mano sulla mitragliatrice prima che quello mi, [unclear] tedesco, e arriva la camionetta degli americani. Era il primo americano che vedevo e così abbiamo visto sta camionetta, è arrivato lì, ha fatto quattro chiacchiere, sai quei classici, quattro persone, due di dietro sdraiati con le, che poi s’è visto nei giornali che c’hanno fatto vedere ma li era, mi ricordo classico, quattro parole che noi non capivamo niente e con la cicca americana e se ne sono andati subito. Ecco, questa è la mia giornata del 25 aprile ‘45. E poi naturalmente c’è tutta una storia del dopoguerra molto importante ma che non c’entra con.
ZG: Senta, io le volevo fare qualche domanda per tornare un attimo su qualche passaggio. La prima era, nel ’42 lei ha detto che c’è stato il bombardamento, quello degli inglesi.
GP: Sì.
ZG: Il primo che ha assistito. Ha detto che aveva sentito le bombe ma non ha parlato della sirena antiaerea. In quell’occasione lì, era suonato o non era suonato?
GP: No, assolutamente no. Le ripeto, noi siamo usciti perché abbiamo sentito rumore ma il, l’allarme aereo non era suonato. Nel modo più assoluto. Poi, voglio dire, l’allarme aereo raramente suonava. Non c’era, non c’era organizzazione. Gli unici un po’ organizzati erano la cosidetta UNPA, erano dei civili incaricati in ogni caseggiato per essere, diciamo era come un, come si dice, quelli che abbiamo adesso, la protezione civile ecco, faceva un po’ di queste cose qui. Allora c’era quello del caseggiato più anziano, più bravo, faceva questo lavoro qui. Tutta roba diciamo, organizzata e no, insomma. Allora se c’era qualcuno di buona volontà, se sentiva l’aereo, suonava, perché c’era la tromba, la sirena che faceva a mano, faceva andare a mano. Ma raramente suonava prima dei bombardamenti. Sì, il primo bombardamento assolutamente non suonava. Poi in seguito, mi dicevano i miei amici, perché ci sono quelli che erano qui tutti i giorni, qualche volta suonava ma di rado. In genere arrivavano gli apparecchi e bombardavano. Mio padre, quella volta lì lo stesso, arrivato gli apparecchi, bombardavano e son scappati, ma. Allarme niente, non c’era organizzazione!
ZG: Il rifugio in cui lei scappava di solito, era la cantina di casa sua?
GP: Sì, sono andato anche in altri rifugi. Per esempio, c’era un rifugio fatto, sempre qui, in un posto dove c’era un prato fra le case, era un rifugio che avevano fatto, scavato due metri, se dico due metri potevano essere due e cinquanta, forse anche tre, non lo so, no si passava appena appena, due metri, coperto da tavole, dico tavole. Sopra le tavole la terra che avevano scavato l’han messa su sopra, quindi rifugio per modo di dire. Andava bene se c’era qualche scheggia in giro perché bombardavano ma era una cosa inutile, assolutamente, non era rifugio. E per il resto erano cantine. Non c’erano rifugi, in zona parlo eh, perché poi in altri posti avevano fatto anche dei rifugi. Ma a Affori assolutamente non ce n’erano.
ZG: Come passava il tempo nel rifugio, se lo ricorda?
GP: Seduti, c’erano le donnine che pregavano, c’erano i bambini che piangevano, e io mi ricordo che, ero pieno di paura e quando ero in rifugio, ero solo naturalmente, mio padre non c’era. Ero, tremavo e pieno di paura, poi sa in quell’ambiente lì, donne che gridano, che urlano, i bambini che urlano, e così, è una tragedia insomma. Non era una cosa molto bella.
ZG: Senta, oltre alle preghiere, ogni tanto magari avevate altri metodi per passare il tempo, tipo qualcuno cantava magari o?
GP: No, no, no, io non ricordo. Beh la preghiera dico perché qualcuna che c’era, che faceva la preghiera, non è che, che fosse collettivo il fatto. Qualcuna si metteva a pregare, le donne anziane, me lo ricordo ma, no, anche perché nel rifugio non è che ci stavamo tanto. Cioè i bombardamenti potevano durare mezz’ora, l’allarme diciamo poteva durare mezz’ora, al massimo un’ora ma generalmente finiva molto prima insomma ecco. Che gli apparecchi non potevano star su le ore, bombardavano e se ne andavano. Magari si ripeteva ma non molto a lungo. Nei rifugi stavamo poco tempo, mezz’ora.
ZG: E senta invece dov’è che è sfollato, quando suo padre l’ha portato via?
GP: Sul confine fra Brescia e Mantova, in campagna, se posso [unclear] anche il paese Acquafredda si chiama, Acquafredda, c’è ancora eh!
ZG: E come mai vi ha portato là esattamente?
GP: Perché c’erano i genitori di mia madre, con un fratello di mia madre. E quindi abitavamo tutti assieme nella casa dove abitavano questi. Il, loro non erano contadini, mio nonno era una falegname e mio zio faceva l’operatore delle macchine, le trebbiatrici, le macchine che usavano per la terra, le aggiustava, le, insomma faceva quel lavoro lì.
ZG: E da quelle parti bombardamenti non ce ne sono mai stati?
GP: No, assolutamente, in campagna no, abbiamo vissuto bene.
ZG: Perché ogni tanto tornava a Milano con suo padre?
GP: Eh, perché ogni tanto, io, papà, vengo anche io a Milano oppure era lui ma non è che son tornato, forse due o tre volte a, tre volte a Milano. Però, ragazzi! Erano tragedie tutte le volte. Era una tragedia perché era sempre in giro. Mi son trovato in quel rifugio lì che le dicevo, mi son trovato scalzo. Quindi era, ’43 forse, o primavera ’44, insomma era terrore, scappavamo, eran momenti brutti insomma, non, una cosa che, da non augurarsi guardi.
ZG: Senta invece, un’altra cosa che volevo chiedere era, con la scuola, lei quando ha sfollato per la prima volta, stava già frequentando la scuola media?
GP: No, allora, io ho frequentato la scuola che hanno abbattuto lì quando hanno bombardato mio padre, è morto mio padre, ho fatto prima, seconda e terza, la quarta sono andato a farla nelle scuole nuove, sempre qui ad Affori. Allora la quarta, io sono stato bocciato, sono stato bocciato perché non ho risposto alle domande di religione. La mia maestra, maestra Giacchero, era una fascista di quelle terribili, clerico-fascista, e io non ho risposto a domande di religione perché avevo fatto, avevo tranciato i miei rapporti con la chiesa quando mi hanno fatto fare il chierichetto. Mi hanno fatto fare il chierichetto, parliamo forse nove, dieci anni, allora c’erano chierichetti così piccoli e mi ricordo che a un battesimo un signore ha tirato fuori i soldi, ha dato i soldi al prete, ha detto: ‘Questi qui sono i suoi, questi qui sono per il batte, e questi qui per i chierichetti’. Il prete ha messo in tasca i soldi e non ha dato niente, né a me né a nessun altro, ha tenuto tutti i soldi dei chierichetti. Da quel giorno lì, per me, sono andato a casa ho detto: ‘Mamma, io in chiesa non ci vado più’, ‘Perché?’ ‘Perché mi ha rubato i soldi’ mi ricordo. [unclear] ‘Ma no, ma’, basta, e io ho chiuso. Quindi per me la chiesa non esiste, non esiste da quel giorno là insomma. Poi tutto va bene, tutto [unclear], per me non è un problema, è un problema [unclear], ma. Quindi sono stato bocciato in quarta, ho rifatto la quarta qui e [mobile phone rings] scusatemi.
ZG: Interrompo, non si preoccupi.
PG: Sì?
ZG: Allora, dopo la pausa riprendiamo l’intervista.
PG: Ecco, ehm, quindi ho rifatto la quarta. Il mio maestro era un centurione, un ex-centurione della milizia. Allora e io ero il caposquadra per dire che sono stato bocciato non perché ero un asino, anche se non ero una gran scienza per dire ma io sapevo le mie cose.Sono bocciato proprio perché non ho risposto alle domande di religione e il mio maestro dopo qualche giorno mi ha fatto caposquadra. Era un centurione della milizia e lui voleva avere una squadra organizzatissima. Aveva fatto sette persone, sette ragazzi capisquadra, io ero caposquadra ma ne aveva fatte altri sei che ognuno aveva dato un compito ma soprattutto in palestra ci portava. Eravamo organizzati in un modo eccellente. Io avevo la mia squadra che comandavo a bacchetta: ‘Avanti marsch, destra, sinist, obliqua sinist’. Ero bravo, era il maestro che mi aveva insegnato. E quell’anno lì, doveva essere il ’41 o il ’42, ’41 sicuro o fine ’40, poi facciamo i conti e magari, sì ’42, ’41, ’42 sono andato via, e abbiamo fatto un raduno, hanno fatto un raduno all’arena di Milano di quattrocento classi elementari, la quarta e la quinta, per fare gli esercizi ginnici. Far vedere che erano i giovani, i Balilla che, come eran bravi i Balilla eccetera. E io ho portato la mia classe, siamo stati bravi, eravamo sicuramente fra i primi perché i nostri ci tenevano. Poi per c’han fatto uscire dall’arena. Uscendo dall’arena c’erano dei tavoloni, son stati cinque o sei tavoloni, non lo so perché eravamo in tanti. Ogni tavolone c’era un gerarca dietro lì, un fascistone e io ero il caposquadra, dovevo andare a rispondere, a rispondere alle domande che queste persone mi facevano. Sono arrivato là con la mia squadra: ’Avanti marsch, destra, sinistra, tac!’ ‘Senti’, mi dice, ‘chi ha dichiarato guerra? L’Italia all’Inghilterra o l’Inghilterra alla Germania?’. Sono rimasto un po’. Non lo sapevo, non lo sapevo anche se, che magari era stato detto però non quel momento, non lo sapevo. Però pensavo ragazzi la guerra è una cosa brutta, non siamo noi italiani che la vogliamo, nella mia mente, e ho detto, no è stata l’Inghilterra. ‘Bravo asino! Vai via con la tua classe!’. Questo per dire [laughs] come eravamo in quei tempi là. E poi naturalmente io ho passato la quarta, sono andato in quinta, nel ’42 già avevo perso un anno, nel ’42 a settembre, a ottobre siamo scappati. Perciò ho ripreso la quinta là in campagna, ho fatto la quinta là. Dopodiché là non c’erano più le scuole. Per fare la, per andare a scuola bisognava fare tredici chilometri fino a, un paese importante, paese grosso, ma allora come facevo? In casa c’era una sola bicicletta, a parte il fatto che fare tredici chilometri in bicicletta, col Pippo che ogni tanto sparava addirittura sui cavalli e carretti che c’erano sulla strada, hai mai sentito, avete sentito parlare del Pippo? Ma poi c’era una bicicletta, l’usava mio zio per andare a lavorare. Quindi io, finita la quarta, la quinta elementare, non ho più fatto la scuola. Anzi, devo dire che, allora per andare alle scuole medie bisognava fare, come si, gli esami di stato. E sono riuscito a fare gli esami di stato con la mia maestra - che voleva che li facessi - e con altre sei ragazze, la figlia del sindaco, del podestà, allora del podestà, la figlia del suo secondo era il caseario, aveva il caseificio, la figlia del fabbro e altre tre ragazze dei tre più grossi fittavoli del paese. Allora io ero quello che aveva, che mi vestivo con i pantaloni neri di tela stracciati con le pezze sul sedere e loro erano le figlie, erano le sei ragazze dei ricchi del paese. Allora sono riuscito ad andare, a fare gli esami di stato in quel paese e, non mi viene in mente va bene il paese, con cavallo e carrozza, cavallo e la carrozza con queste ragazze. Siamo, eravamo bene istruiti, siam passati tutti e però io non ho più potuto far scuola. Questo è quanto, questa è la mia scuola che ho fatto. Naturalmente poi ho avuto nel dopoguerra la fortuna di fare altro tipo di scuola e via ma così, scuola era questa, la mia scuola.
ZG: Senta, a proposito della maestra che diceva, quella qua a Milano. Allora innanzitutto prima un’altra domanda: la chiesa in cui lei faceva il chierichetto, è quella che poi è stata bombardata?
GP: Sì. La chiesa qui ad Affori è stata danneggiata, diciamo la parte posteriore sì.
ZG: E invece diceva che la sua maestra delle elementari qua a Milano era terribile. Mi sa spiegare il perché? Si ricorda qualche episodio?
GP: No, era semplicemente cattiva. Quando io le dico che era una fascista ed era fascio-clericale perché, metta assieme queste due cose, si può immaginare che cosa ne viene fuori. Io poi nel dopoguerra mi ricordo che, mi ricordo, c’era un amico che abitava qui anche lui che ha, con questa maestra che la conoscevo bene, aveva qualche anno più di me, e mi, ‘Eh, la Giacchero!’ ne abbiamo parlato ‘La Giacchero’, fa ‘volevamo andare a prenderla a casa, ma poi mi hanno sconsigliato, l’abbiamo lasciata perdere’. Per dire che era proprio una signora che si distingueva dalle altre per essere così cattiva e fascista insomma. Ecco questo. Non tutte erano così naturalmente ma quella, combinazione, l’ho avuta io. È andata così.
ZG: Invece, cambiando discorso, lei si ricorda dei tedeschi? A parte per quell’episodio del 25 aprile?
GP: Sì, sì, mi ricordo dei tedeschi. Mi ricordo dei tedeschi perché i tedeschi avevano occupato l’Alta Italia tutti i paesi, non soltanto dei presidi. Tutti i paesi piccoli e grandi erano presidiati. Noi avevamo lì, abitava vicino a dove abitavo io, nello stesso cortile avevamo un, era un sottoufficiale, era un sottoufficiale o ufficiale non di grande grado comunque abitava lì, quel tedesco lì. Poi c’erano altri, c’è un capitano, c’era dei piccoli presidi insomma in altre parti del paese ma io mi ricordo c’era questo capitano che aveva sequestrato un cavallo bello, che correva a cavallo nel viale del paese, per dire un ricordo perché questo. C’erano tedeschi c’erano anche lì. Dappertutto.
ZG: Che impressione le facevano?
GP: Boh, niente, diciamo che, mi ricordo che mio fratello è andato a rubargli la marmellata in un, c’era in questo caseggiato c’era un magazzino che mio nonno faceva il falegname. Quando sono arrivati i tedeschi han sequestrato tutto, mio nonno non ha fatto più il falegname e loro mettevano lì le vettovaglie e mio fratello con un altro ragazzo sono andati a rubargli le scatole di marmellata eccetera. Si vede che si sono accorti che c’erano, non lo so, e, e questo qui si è accorto e ci ha dato tante scudisciate che [laughs] insomma ecco. Però come persona non era corretta, non, con noi non ha mai detto niente, mai fatto niente. Ci tenevano a stare tranquilli, stavano bene lì quel paese.
ZG: Senta, tornando a quel episodio del 25 aprile, lei aveva già avuto contatti con dei partigiani?
GP: No. Chiariamo bene. I contatti che avevo io erano con gli imboscati, che era diverso. Nel senso che, in quel paese lì i partigiani non c’erano, non avevano niente a che vedere, erano nei paesi più grandi erano verso le colline, verso le montagne. Ma però c’erano gli imboscati voglio dire il. Nel ’43, l’8 settembre, l’esercito si sfasciava e ricordo che molti venivano nelle case, ricordo benissimo venivano anche là, si toglievano le divise e cercavano qualche giacca, qualche pantalone per far vedere che non erano militari, per sfuggire alla Decima MAS che già cominciava a sentirsi. E non i partigiani, solo gli imboscati, cioè coloro che avevano la possibilità di imboscarsi nelle soffitte, nelle campagne, eccetera, ecco. Però c’era qualcuno, c’era qualcuno che si preparava, che non era, era sì un imboscato, non è andato con i partigiani, non è andato con la Decima MAS, con la RSI italiana, i repubblichini, ma che però erano imboscati. Però qualcuno si preparava in quel 25 aprile e siccome io li conoscevo tutti, conoscevo morte, conoscevo morte, vite e miracoli del paese e quindi li conoscevo e sapevo che andavano a provare i mitra, mi ricordo che preparavano le armi per l’eventuale, ma questo gli ultimi giorni ecco, conoscevo questi imboscati diciamo. Partigiani veri e propri li ho conosciuti dopo ma non lì.
ZG: E quando queste persone qua si preparavano con le armi lei ha assistiteva?
GP: Sì, una volta mi ricordo che ero andato assieme e sparavano alle piante per vedere l’effetto che facevano insomma, per vedere le armi se andavano bene. C’avevano un mitra, c’avevano delle pistole, quel gruppo lì insomma che conoscevo io.
ZG: E poi il 25 aprile insomma andando là ha incontrato questo gruppo di partigiani.
GP: Questi gruppi di imboscati, c’erano uno, no, c’erano due forse partigiani che passavano, che davano un po’, che mi davano l’impressione che erano partigiani. Gli altri li conoscevo, erano gli imboscati che c’erano lì, si erano svegliati al momento opportuno. C’era forse una o due persone, una c’era sicuramente che si [unclear] era però il gruppo era quello lì.
ZG: Quindi furono questi imboscati che si erano appostati con la mitragliatrice all’incrocio.
GP: Sì, sì, sì.
ZG: Allora direi che con le domande sulla guerra ho finito. Le volevo chiedere a finita la guerra, lei si ricorda cosa è successo dopo? Siete tornati a Milano, insomma mi racconti un po’.
GP: Ho scritto un libro io.
ZG: Ah.
GP: Beh, molto interessante perché eravamo, diciamo qualcuno era fortunato che era riuscito a fare le scuole medie e andare avanti chi era rimasto a Milano ma la massa era come me, quinta elementare, senza lavoro però la cosa interessante è che il lavoro si trovava subito, c’era molto lavoro, c’era da ricostruire, e quindi sia mio fratello che io e che i miei amici abbiamo trovato da lavoro lì. Ma io vu fa l’elettricista, io vado a fare il meccanico, no, io faccio il panettiere, poi ci, assieme parlavamo e dicevamo: ‘Io vorrei fare questo, vorrei fare quello’. E c’era veramente la possibilità e ci siamo tutti impegnati a lavorare. Abbiamo lavorato da questo punto di vista. E qui io pensavo, speravo di andare a lavorare nella Ceretti e Tanfani, dove c’era mio padre. Il direttore del quale di questa ditta, aveva promesso a mia madre nel ’45 che mi avrebbe assunto appena poteva, ma al momento non poteva e non l’ha fatto. Faccio una parentesi. Questo direttore è stato messo al muro dai tedeschi con i compagni della ditta negli scioperi del ’44, negli scioperi del ’44 perché voi sapete nel ’43 e nel ’44 degli scioperi delle fabbriche di Milano, in particolare Sesto San Giovanni e la Bovisa, dove c’erano tante fabbriche e lì c’erano un gruppo, gli operai erano organizzati, fatto sciopero sono entrati i tedeschi e li hanno messi al muro e non hanno sparato, non gli hanno fatto niente, li hanno obbligato a riprendere il lavoro perché era una ditta ausiliaria, facevano dei lavori che interessavano ai tedeschi e quindi questo signore qui è rimasto direttore d’officina anche dopo la guerra e alla fine prima di essere, di andare via è riuscito ad assumermi, nel ’48 mi ha assunto. Questa persona. E io lì ho potuto capire, sentire tutti gli operai, capire cosa, come hanno vissuto, cosa hanno fatto nel periodo di guerra. E perché allora avevo, nel ’48 avevo diciassette anni ero, e avevo già gli speroni io, eran già due anni che lavoravo e quindi conoscevo già le difficoltà della vita. E quindi poi lì subito a vent’anni ero in commissione interna, facevo commissione interna, quindi conosco bene la vita della fabbrica, prima perché tutti gli amici mi conoscevano perché mio padre ogni tanto mi portava al dopolavoro e allora c’era il dopolavoro. Mi portava là che andavano a giocare alle bocce e poi a Natale c’erano i regali che allora era così durante il tempo del fascio. E tutti gli uomini anziani, gli operai mi conoscevano e quindi ho potuto entrare e conoscere bene le cose. Poi, c’è molto del dopoguerra ma.
ZG: Senta la scuola invece poi è riuscito ad andare avanti quindi?
GP: Sì, ho avuto la fortuna. Dunque intanto la scuola non potevo più nel senso che non avevo fatto le medie, non c’era ancora perché poi i sindacati sono riusciti a imporre la possibilità di fare le scuole medie a chi non le aveva fatte ma io avevo [sic] già troppo avanti. Allora quando sono entrato in Ceretti, la Ceretti aveva le scuole interne. Ho fatto matematica, meccanica e disegno, io poi ero appassionato del disegno, lo facevo prima di andare ancora lì. Ho fatto questi anni qui, questi due, e questo mi ha permesso di studiare perché poi ero uno che, mi piaceva, sapevo, ci capivo. Mi ricordo che il direttore gli diceva agli insegnanti che, gli insegnanti erano tutti gli ingegnieri della ditta, ma perché, perché non, deve andare a scuola questo qui, rimandatelo a scuola, come per dire, perché vedeva che capivo e insomma perchè non va non so, perché non va, ma io avevo la testa dall’altra parte, la testa dall’altra parte dal punto di vista sindacale-politico, per cui non ero, volevo fare quello e non andare a scuola, anche perché alla scuola non potevo andare. Quelle lì l’ho fatta perché mi interessava professionalmente. Vi dirò che ho fatto la vita politica, la vita sindacale fino a ventisei anni, poco eh, dieci anni, a ventisette, a ventisei anni mi sono sposato. Dopodiché ho capito una cosa, che non ero nelle condizioni di fare né il sindacalista né il politico perché la cultura era quella che era per cui, meno male, che ho voluto imparare la mia professione perché sarei stato un cattivo politico e un cattivo sindacalista, questo proprio convinto. Invece ho litigato all’interno della mia azienda per poter avere il mio posto di lavoro, perché allora ero martellato dall’azienda perché volevano disfarmi, disfarsi. Una serie di circostanze che forse è inutile, non interessa a nessuno però diciamo che mi hanno mandato fuori dall’azienda in un’altra azienda di proprietà della Redaelli di Rogoredo. Ho fatto un’esperienza notevole anche là. Dopodiché ho cominciato a lavorare all’esterno della ditta per l’azienda. Alla fine vi dirò che ho fatto il montatore, il capo montatore, il capocantiere, nel ’69 sono andato in ufficio come ispettore di montaggio. Io ho girato il mondo, per dire. America latina, America, Venezuela, andato in parecchi altri posti, son stato in Iran, son stato in Pakistan, son stato in quasi tutta l’Europa nel, e ho cominciato a ventisette anni, ho fatto il primo lavoro da capocantiere, avevo dieci montatori e nel ’59, ventotto anni, e ottanta operai in Sicilia. Ho fatto una teleferica di diciotto chilometri come capo montatore, avevo tutti i montatori della Ceretti, tutti esperti, tutta gente anziana, esperta e io ero, avevo fatto, avevo dieci anni di lavoro alle spalle, avevo fatto anche l’Iran sempre con i capi montatori, avevo fatto la mia esperienza, ma l’ispettore, il capo dell’ufficio montaggi, quando m’ha chiamato per andare in Sicilia per fare quel lavoro lì, ho detto: ’Va bene, vado, chi è che è il capo là?’, ‘No il capo lo fa lei’, ‘No, guardi, il capo lo fa lei’. ‘Sì perché lei’, m’ha detto, ‘io sono sicuro che con la sua savoir-faire volevo dire, il suo modo di fare, riesce a controllare la situazione perché vede, se mando Minisini, se mando Bersani, se mando, son tutti capi, uno che la vuol sapere più lunga degli altri e in effetti era tutta gente esperta. Però lei può metterse, metterli d’accordo, percé se mando uno di questi a fare il capo è una lite unica. Li conosco tutti, mi creda’. ‘Guardi, se lo dice lei’, e in effetti è andata così. Partendo da lì ho fatto presto a far carriera soprattutto perché avevo una cultura tecnica, nel senso che conoscevo il disegno, un po’ di matematica, la meccanica perché se ho fatto l’esperienza, e quindi è stato facile per me far carriera. Facile [laughs], non facile, ma ho potuto farla. E così sono riuscito a fare i miei quarant’anni e poi ho fatto sei anni di consulente dell’azienda. Ecco, questo è stato un po’ la mia carriera.
ZG: Ok, fantastico. Senta,
GP: Beh, forse questo pezzo non vi interesserà, ma insomma, tanto per.
ZG: No, no, no, teniamo tutto, non si preoccupi. Le faccio le ultime due domande. Lei all’epoca, all’epoca della guerra, cosa pensava di chi la bombardava, di chi bombardava?
GP: Le dirò: io sono stato molte volte, mi hanno chiamato nei rifugi a parlare dei bombardamenti e della guerra e i ragazzi diciamo della terza media, o la terza media in genere o la quinta, i ragazzi di diciotto anni, devo dire che è molto faticoso, molto faticoso perché non riescono a esprimersi, non parlano, non chiedono, fanno fatica, però qualche volta qualche domanda intelligente veniva fuori. Mi ricordo che uno ha chiesto: ‘Ma insomma, lei cosa ne pensa degli americani? In fondo hanno ammazzato suo padre, fatto bombardamenti, hanno ammazzato suo padre, quindi come la pensa da questo punto di vista?’. Cosa ho risposto? Dico: ’Sentite, è finita la guerra, ci siamo liberati, io ho avuto la sensazione che ci siamo liberati veramente da un giogo, ci siamo liberati dal fascismo, e io credo che sia stato inevitabile questo sacrificio che abbiamo fatto. Cosa posso fare? Cosa posso mettermi a odiare gli americani? Tutto sommato, gli americani sono anche morti per venirci a liberare. I soldati americani stavano bene in America ma sono venuti qui e ci hanno aiutato a liberarci. È vero, hanno fatto anche dei danni ma alla fine cosa possiamo dire? Cosa possiamo fare? Abbiamo di fronte un altro periodo e non con il giogo sulle spalle’.
ZG: Bene. Per me, se lei non ha altro da dire, finiamo qua. Grazie.
Dublin Core
The Dublin Core metadata element set is common to all Omeka records, including items, files, and collections. For more information see, http://dublincore.org/documents/dces/.
Title
A name given to the resource
Interview with Giuseppe Pirovano
Description
An account of the resource
Giuseppe Pirovano remembers wartime memories as schoolboy at Affori, a Milan neighbourhood. Describes daily life in fascist youth organisations, with regimented schooling and political rallies. Mentions childrens plays and pastimes, such as assembling a kick scooter from scrap and recalls fascist militiamen intimidating and jailing dissenters. Recalls conscription dodgers and factory strikes. Gives an account of the 24 October 1942 bombing, which caused limited damage and describes the much more intense one of 10 September 1944. Gives a graphic account of its aftermath, mentioning the death of his father and widespread damage. Describes different shelter types stressing their inadequacy, mentions his experience as evacuee in the Brescia countryside while his father was employed by a manufacturing firm. Recalls Pippo strafing. Gives an account of his experience as trade union activist, describing his post-war career as mechanical engineer. Mentions his involvement in the memorialisation of the bombing war, reflects on the morality of bombing, and stresses how he feels grateful for the sacrifice of those who died.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Zeno Gaiaschi
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
01:04:38 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Milan
Italy--Brescia
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1942-10-04
1944-09-10
1943-09-08
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
APirovanoG171113
PPirovanoG1701
bombing
childhood in wartime
civil defence
home front
perception of bombing war
Pippo
Resistance
shelter
strafing
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/1075/11533/PPisaG1801.2.jpg
93a5070d847d63ab84543dcbdffec438
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/1075/11533/APisaG180206.1.mp3
fd6ea62f661127d27e110aed9f29292f
Dublin Core
The Dublin Core metadata element set is common to all Omeka records, including items, files, and collections. For more information see, http://dublincore.org/documents/dces/.
Title
A name given to the resource
Pisa, Germana
G Pisa
Description
An account of the resource
One oral history interview with Germana Pisa who reminisces her evacuee life.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2018-02-06
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Pisa, G
Dublin Core
The Dublin Core metadata element set is common to all Omeka records, including items, files, and collections. For more information see, http://dublincore.org/documents/dces/.
Title
A name given to the resource
Interview with Germana Pisa
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Zeno Gaiaschi
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2018-02-06
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Language
A language of the resource
ita
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
APisaG180206, PPisaG1801
Conforms To
An established standard to which the described resource conforms.
Pending OH transcription
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:10:19 audio recording
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Gualtieri
Italy--Milan
Description
An account of the resource
Germana reminisces her comfortable evacuee life in Gualtieri, supported by local farmers who kept her family well supplied. Describes ditches used makeshifts shelter and daily life in Milan.
bombing
evacuation
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/45/398/PColombiE1701.1.jpg
4acae98ec41c841d30c02b3bbc4a0fca
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/45/398/AColombiE170228.1.mp3
82a281051325fb3e9e52db023d8e3d43
Dublin Core
The Dublin Core metadata element set is common to all Omeka records, including items, files, and collections. For more information see, http://dublincore.org/documents/dces/.
Title
A name given to the resource
Colombi, Efrem
E Colombi
Description
An account of the resource
One oral history interview with Efrem Colombi (b. 1933) who recollects wartime experiences in Milan.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-02-28
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Colombi, E
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
ZG: E' partito?
EP: Aspetta.
ZG: L’intervista è condotta per l’ International Bomber Command Centre. L’intervistatore è Zeno Gaiaschi, l’intervistato è Efrem Colombi, e nella stanza è presente Erica Picco come assistente di Zeno Gaiaschi. L’intervista è in [omitted] a Milano ed è il 28 febbraio 2017. Va bene possiamo cominciare. Allora innanzitutto le faccio, qual è il ricordo più più remoto che ha?
EC: Il più remoto ricordo che ho della guerra è l’unica volta che ho visto mio padre in divisa eeeh dell’esercito italiano in Africa, con il cappello rigido e il capello rigido che mi portava sulle spalle in giro per Gorla no? A fare, perché erano stati mandati in licenza, no? E quello è il ricordo più, più vecchio che ho, della guerra intendiamoci. Eeeh da lì poi dopo mio padre praticamente è scomparso dalla mia vita, perché ha fatto tutto il periodo di guerra, dall’ dall’, è iniziata nel ’29 no la guerra no? ’29 è rientrato che era il ’48, ’48 – ’49, non me lo ricordo perfettamente, eeeh ed è deceduto nel ’53, quello son sicuro perché. Quello è il ricordo più vecchio che ho del periodo di guerra.
ZG: E invece il ricordo più vecchio che ha prima della guerra?
EC: Ah prima della guerra i ricordi più belli sono quando mi trasferivo eeeh a Caravaggio, paese d’origine di mia madre, no? E vivevo in campagna con gli altri bambini, no? E non so, andavo con mio zio a raccogliere il fieno, a raccogliere il grano quando tagliavano il grano perché era una grande cascina no? Eeeh mi ricordo che la mattina la prima cosa che facevo mettevo la testa nel bidone del latte, bevevo il latte fresco appena munto, e cose del genere, queste cose che fanno i bambini piccoli no? Poi c’era una piccola roggia vicino alla cascina dove abitavamo, andavamo sempre d’estate a fare il bagno e via discorrendo. Mentre un’altra cosa che ricordo perfettamente, questo invece a Milano no? In piazza, eeeh si chiamava piazza della Repubblica, la piazza dei piccoli alberi, eeeh dei Piccoli Martiri no? E c’era una fontanella, una vedova, noi la chiamavamo vedova, no? Che d’inverno faceva ghiaccio perché acqua usciva l’acqua no? E noi ci divertivamo prima di andare a scuola a far la scarnighetta diseven, dicevano a Milano no? A fare la scivolatina e qualche volta andavamo in classe col col, col sedere bagnato [laughs] cose del genere, insomma le uniche cose che che si potevano fare. Poi il nostro gioco preferito era, io lo posso dire in milanese ‘el giug de la rela’ cioè c’era un, un pezzo di legno fatto a oliva smussata, no? E con un bastone la dovevi battere, una specie di di, lo sport americano, il baseball, no? Solo che non era una palla che veniva lanciata, eravamo noi che la facevamo saltare, e la colpivi, colpivi il legno, legno con legno e volate, gli altri dovevano stare attenti perché se lo beccavano in faccia erano, beh giochi fatti da noi no? E quindi quelli lì son ricordi che non puoi non, non puoi dimenticare insomma perché la la l’infanzia è stato il più bel periodo della mia vita sino a, alla quarta elementare, quando mia mamma dalla storia dei bombardamenti così mi ha mandato in collegio, e lì è stata la mia rovina. Perché erano collegi clericali e io son tutt’altra parte adesso [laughs], son di tutt’altra parte, ma tutt’altra, tutt’altra proprio perché ho vissuto, io c’ho un carattere molto forte, so sono un ribelle, sono in quei casi lì molto ribelle no? E ho fatto tre fughe dal collegio, collegio era a Treviglio e venivo a Milano a piedi, da Treviglio a Milano un bambino di quarta, quinta elementare ve lo immaginate voi a fare quaranta chilometri a piedi poi venire a casa, mia mamma mi menava e mi riportava indietro no? Mi picchiava e mi portava indietro. E quindi sono proprio eeeh storie di vita che non te le puoi dimenticare, perché sono cose che veramente mi hanno segnato la vita. Io ritengo di essere una persona molto fortunata perché mi sono salvato dal bombardamento di Milano di via, di via Curtatone al numero 11, l’unica casa che han colpito era la casa dove abitavamo noi. Che noi, i bambini, io e mio fratello maggiore che è morto purtroppo, no? Eravamo a Lignano Sabbiadoro perché mia mamma ci aveva mandato via col suo secondo marito no? Eravamo a Lignano Sabbiadoro e indovina dov’è caduta la bomba? Nella nostra camera da letto, è scesa come quella della scuola fino in fondo e ha bruciato il negozio di mia madre, quindi se eravamo poveri in canna proprio, non avevamo più niente. E siamo ritornati a vivere a, in via Luigi Bertelli dove viveva mia nonna e mio zio e quindi per tutta la casa siamo andati lì poi mia madre ha fatto tutte le sue cose e ci siamo trasferiti in via Livraghi che è qua la vedete qui di fronte, ed è da lì che io ho visto il, i cento e rotti aerei che passavano per andare a bombardare, e la prima bomba è caduta a centocinquanta metri da noi, tanto è vero che io ho urlato a mio padre ‘Spostati!’ perché il, lo spostamento d’aria aveva gonfiato la cler del negozio di mia madre no? Sembrava una un palazzo incinta, no la glag [?], per lo spostamento d’aria no? E mio fratello minore che purtroppo anche lui è morto, era in fasce in quel periodo no? E si è salvato perché mio padre spostandosi così ha gonfiato la cler ma lui no invece lui si è salvato. Perché noi eravamo tutti sdraiati per terra in un fossetto che c’era lì, lì c’erano tutte campagne no? C’era la Brera di là, la Pirelli di là, qui c’era la ferrovia che venivano a mitragliare le locomotive ma poi in giro c’erano tutti prati. L’unico prato un po’ usato era lì all’angolo di via Fortezza che c’erano due mitragliere tedesche antiaeree, qui passavano a diecimila metri, e una mitragliera eeeh o due italiane no che comunque non han mai, non han mai fatto disastri, non han mai colpito nessuno perché quelli passavano se ne andavano, bombardavano e andavano, questo è.
ZG: Eeeh faccio un passo indietro e torniamo un attimo ancora prima della guerra, allora innanzitutto una precisazione: piazza dei Piccoli Martiri prima si chiamava piazza della Repubblica?
EC: Della Repubblica, sì.
ZG: Ah non lo sapevo, eh i suoi genitori quindi che lavoro facevano? Suo padre che cosa faceva prima di partire per il fronte?
EC: Allora mio padre, quando ho saputo io, penso che abbia, faceva il muratore almeno lui si è dichiarato muratore, perché dopo le racconto anche perché so che si è dichiarato muratore. Mia madre lavorava alla Pirelli, nel reparto, so anche il reparto: reparto impermeabili.
ZG: Ehm però ha detto che poi sua madre aveva un negozio giusto?
EC: Sì poi mia madre eeeh si è licenziata, si è liquidata, no? E ha aperto un negozio di, di una posteria in via Livraghi al numero 6. Poi eeeh questa dopo il bombardamento del ’43, perché prima avevano un negozio in via Curtatone al numero 11. Dopo da lì la guerra ha bombardato, mia madre è riuscita a ristabilire la sua finanza credo perché una volta con cento euro, centomila lire compravi una casa, intendiamoci. Quindi lei era molto brava nel suo lavoro, poi qui c’era vede dove qui, tutto qua era tutto distrutto. Qui c’era una fabbrica, la Mezzena e quella là era la famosa Jucker non so se avete sentito parlare di Jucker, no eh? Eeeh questa qua l’han demolita per fare una abitazione e poi son falliti. Eeeh tutti gli operai alla mattina non c’erano le mense, passavano da mia madre a prendere il panino, la il gorgonzola, la e la bologna e mangiavano quello no? Magari si portavano la mezza bottiglietta di vino roba del genere e durante l’intervallo, ecco perché mia madre ha sempre lavorato molto, perché qua c’erano un sacco di attività, c’erano i, stabilimenti questi qua che lavoravano l’acciaio era già un’azienda molto importante no? La Jucker era una un’azienda di elettrotermica non so eeeh, poi c’era la, c’era anche l’Antoni che costruiva frigoriferi che adesso diventata una potenza a livello mondiale in fatto di refrigerazione industriale no? Eeeh ed erano ragazzi che giocavano con me in via Livraghi, i figli no? Quindi eeeh era un periodo molto attivo, poi dopo io mi sono perso tante, tanti passaggi, perché appunto alla la quarta elementare mi, ero a Bisuschio Viggiù da lì non potevo fuggire perché ero praticamente in montagna in, non voglio dire in fondo al mondo, io dicevo un’altra parola no? Eeeh e da lì sono riuscito a venire via perché un fratello di mia madre che è quello che vede là, in quella fotografia là, che era un uomo di due metri, una persona d’oro, no? È venuto su a trovarmi eeeh qua stava a visita eeeh domenicale era vicino Varese no? Arrivavano col treno no? E mi ha visto molto amareggiato mi ha detto ‘Ma cosa c’hai nini?’ ‘Eh io guarda qua non sto bene poi quel prete lì, quel quel prete lì mi ha picchiato’. Non glielo avessi mai detto, non glielo avessi mai detto. Dice ‘Ma perché ti ha picchiato?’ gli ho detto ‘Guarda eravamo fuori a fare la passeggiata con gli altri bambini no?’ perché ogni tanto si esce dal, e dovevi stare in fila, non potevi uscire dalla fila no? Era estate, era caldo, io avevo una sete de, boia, ho visto una fontanella, un bambino cosa fa? Vede una fontanella e va là a bere no? No, io non potevo uscire dalla fila, mi han dato una pedata nel sedere che se non mi ha spaccato a metà era proprio. Beh mio zio l’ha preso e l’ha attaccato al muro, gli ha detto ‘Mio figlio, mio nipote viene via da qua ma io a te’ non so cosa gli avrebbe fatto perché l’aveva attaccato al muro così eh, era un uomo di una forza terrificante, veniva da una famiglia contadina, non ce n’è di balle. E quindi siamo venuti a Milano, mia madre disperata mi ha portato a Treviglio dai Salesiani. Salesiani, un’altra categoria, dal padre Beccaro dov’ero, no? Era un’altra categoria ma lì era anche lì, con un carattere come il mio non puoi adattarti a fare quello che dicono loro, cioè io cantavo e praticamente eeeh ero sempre impegnato ai canti di Chiesa, no? Quindi io so tutte le litanie, so tutte, mia moglie ogni tanto si incazza perché magari ti vengono i ritornelli no? E maga alla mattina sono allegro in doccia eeh, mi metto a cantare e mi dice ‘Ma no!’ [laughs]. Insomma sono cose, sono cose che succedono a noi a noi, a noi esseri umani noi cristiani, a noi esseri umani. Eh va beh e da lì eeeh non stiamo parlando della guerra, stiamo parlando della mia vita, allora lì io praticamente andavo sempre a giocare con i liceali. Ero in, in quinta elementare, dovevo fare l’esame d’ammissione per la prima media, no? Eeeh io con gli altri bambini non riuscivo a giocare perché erano tutti dei bigotti e fai, perché quello lì era non un collegio normale, era un, aspetta mi deve venire il nome, non quello che dico io, dove formano i preti, io lo chiamo pretificio lo chiamavo [laughs] eh non so come si chiama, sì so il nome ma adesso non mi viene spontaneo dirlo no? E quindi io non non riuscivo a parlare, a giocare con i miei coetanei no? E giocavo con quelli leggermente più grandi o di terza media o di liceo, addirittura liceo no? E mi ricordo che si giocava a ‘Palla a avvelenata’ no? Una palla, una specie di palla da tennis e tu devi scegliere uno e colpirlo da lontano no? E quindi erano botte tremende perché quelli là erano più grandi ma io ero più svelto da scappare no? Ed ero io che fregavo loro, no per dire no? E quindi mi divertivo da morire no? Eeeh però in classe eeeh praticamente io sono uscito dai collegi non voglio dire semi analfabeta ma quasi, perché io ero solo e sempre in, in sala cante, eeeh cantorum a cantare appunto, ho cantato in duomo, anche mio fratello minore, cantato, cantavamo in duomo, abbiamo cantato in tutte le chiese di Milano quando ero in collegio qua a Milano e quindi vi lascio immaginare, no? Poi un carattere come il mio che appena gli dai un po’ di libertà cominciava ad andare dove, dove poteva andare, dove voleva andare, ho finito le scuole alla sera a Milano, quando sono andato in, in libertà definitiva, eeeh e da lì, no? Sono scappato tre volte, due volte mi han tenuto, la terza volta a mia madre gli han detto ‘No guardi suo figlio non va bene per noi, se lo porti da un’altra parte’ no? E mi ricordo, lo sai cosa gli ho detto? Non so se si può dire. Siccome questo qua era è monsignor, no non era monsignor Bicchierai era un altro. Beh era un prete di quelli che contavano no? Perché i salesiani sono sempre che contavano no? E gli ho detto ‘Perché suo figlio diventerà una persona molto cattiva e un bestemmiatore’ un bestemmiatore mi ha detto. Allora io l’ho guardato in faccia e ci ho detto, eeeh non chiamavo i preti ‘padre’ io, massimo ‘reverendo’ no? ‘Reverendo si ricordi che i primi a essere presi a pedate, a pedate nel culo (perché a me mi davano le pedate nel culo) quando andrete su sarete voi, non noi, voi!’. Poi dopo io non credevo però mia madre, mia madre se poteva si sarebbe dileguata no? Allora eeeh questi qua mi han dato l’immaginetta no? E mi han portato via. Mi han portato via e sono andato nel, al san Gaetano di via Mac Mahon, c’è ancora, anche quello lì, va beh lasciamo perdere. Eeeh però li ho finito le commerciali perché dalle medie mi hanno portato, che ho perso l’anno, mi hanno portato da un altro collegio, che non c’erano le medie, c’erano le commerciali no? E quindi ho finito lì i tre anni di commerciali pur avendo perso un anno.
ZG: Eeeh senta invece, lei si ricorda di quando è scoppiata la guerra?
EC: Io ho sentito il discorso di Mussolini ‘Italiani! L’ora delle’ le parole non me le ricordo perché io non sono fascista, sono di tutt’altro stampo. Però hai visto che ero vestito da figlio della lupa no? Quello era un, un obbligo che avevi, poi avevo il padre che era militare, era le, le uniche cose che facevano il partito fascista, era quello di tirare i giovani verso di loro no? E quindi ti facevano fare le marce, ti portavano a fare le gite, no? Io non ho fatto in tempo a fare tutte quelle cose lì però alcune cose all’inizio, tipo premilitare, no? Ti dicevano come era il moschetto, com’era il fucile eeeh ma più di tanto non potevi, insomma sette anni, sei anni sei sette anni, otto anni, dopo invece quando cominci a essere più grande lì già la famiglia di mia madre, di mia nonna erano tutti socialisti tanto è vero che son dovuti eeeh andare via dal paese perché avevano avuto problemi con, con i fascisti dell’epoca no? E siccome questi qua erano uomini belli robusti, no? Questi menavano non c’è niente da fare no, e allora ha dovuto andare via se no magari, non dico che facevano la fine dei fratelli Cervi però erano dunque, nove, sette maschi e due femmine, sette maschi due metri lui è stato campione d’Italia di sci, era era un vero atleta no mio zio, no? Poi facevano canottaggio, ecco lì c’è il mio secondo padre anche no, poi c’è stato mio zio paterno che è stato addirittura campione europeo di canottaggio. Quindi lì c’era gente che faceva ginnastica perché c’era questa famosa Canottieri no, questa, e dove veniva, era un dopolavoro della Magneti Marelli adesso qua è in disarmo qui era il dopolavoro della Magneti Marelli, questi qui erano pieni di barche e se tu vedi le fotografie no? Vedi che vanno in barca no, eeeh quindi ripeto, la vita finché l’ho fatta in questo borgo, è stata la più bella cosa che potevo fare io, per il resto.
ZG: Il discorso di Mussolini come lo aveva sentito, via radio?
EC: No l’ho sentito, credo di averlo sentito in piazza del duomo, forse eh non son sicuro, però noi noi la radio, sì l’avevamo, l’avevamo già noi la radio no? Perché dopo mi ricordo sentivo radio Londra, su perché io abitavo in via Livraghi al 6 era al secondo piano su in alto no lì? Era una strada in terra battuta non è che passasse molta gente, no? Passavano i i fascisti, a quelli lì tipo metronotte loro, no? A far spegnere le luci per i bombardamenti e quindi non me lo ricordo perfettamente, ma poi l’ho visto tante volte sul computer, ti dirò, so quello no? Sulle scene che faceva lui lo sapevo eeeh, ‘Libro e moschetto’ me lo ricordo che l’ho visto, ma il discorso poi sai alla nostra età di bambino, me ne fregava di quello che diceva lui. Però le raccolte oceaniche c’erano eh, io le ho viste perché oltretutto facevano uscire gli operai dagli stabilimenti quando potevano, dopo quando gli operai han capito com’era l’antifona non andavano più, ma mio ricordo che il mio secondo padre Vascon [?] diceva che alla Pirelli, il capo eh li mandavano a chiamare e li mettevano e andavano con la tuta, l’abito da lavoro.
ZG: E quando era scoppiata la guerra suo papà era già, era già partito?
EC: Sì, sì, sì, sì.
ZG: Sua madre, quindi lei è rimasto solo con sua madre.
EC: Sì io mia madre, la nonna, noi abitavamo in questa, in questa casa che ti ho fatto vedere, no? In fondo, era l’ultima casa in via Lugi Bertelli al 12, no? Quindi noi avevamo l’orto, il grande orto, la pianta di noci, l’uva, l’uva americana, quella eeeh, quindi, avevamo la pompa, non l’acqua corrente, avevamo la pompa no? Sai cosa facevo io la mattina quando andavo a scuola no? Allora eh quando ero piccolo fino alla terza elementare così, uscivo e mia nonna piantava i cipollotti, io prendevo una cipolla, di quelle lì bianche no? Andavo alla pompa la lavavo e andavo a scuola mangiando la cipolla [laughs].
ZG: E fratelli o sorelle ne aveva?
EC: Eh sì. Adesso mi è rimasta solo una sorella minore però un fratello, avevo un fratello maggiore Colombi anche lui, Domenico del ’29, nato nel ’29, poi sono venuto io nel ’33 poi è venuto mio fratello Giorgio, undici anni dopo dal secondo padre Vascon e poi una sorella minore, Milena a quattro anni in meno, quindici anni di diversità da me e vive e vegeta, vive in Brianza nella sua villetta.
ZG: Quando lei abitava in via Luigi Bertelli la guerra era già scoppiata? Si ricorda?
EC: Eh sì, nel ’39, io sono, questa fotografia qua è del ’39, quella lì, vestito da da ‘figlio della lupa’, no? Qui il ‘figlio della lupa’ quanti anni avevo, quello che è ’33, sì sei sette anni, ’39. Questa è del ’39 sia questa che questa di mia nonna. Le mie donne, le donne della mia vita, una.
ZG: Però dopo via Bertelli si è trasferito, giusto?
EC: Allora da via Luigi Bertelli siamo andati in via ehm, Curtatone. È durato poco perché nel ’43 ce l’han tirata via. Poi io ero in collegio, mia mamma ha cominciato a fare i suoi movimenti quando sono venuto a Milano lì in fuga no? Sono andato da mio zio che abitava a Gorla ancora, no? Anzi anzi Villanuova si chiamava, fra Precotto e Gorla c’era una frazione che si chiamava Villanuova. E andavo da lui poi lui mi accompagnava a casa così mia mamma non mi menava no? [laughs] Eeeh e quindi da lì siamo andati, siamo venuti in via Livraghi numero 6. Poi lì la guerra è finita e ci siamo trasferiti in un’altra casa, perché io son stato sempre un po’ un nomade, no? Eeeh, vuoi sapere anche quella via lì? No, beh abbiamo cambiato lì siamo andati, eeeh poi da lì siamo andati in via Amadeo al 46 poi da via Amadeo al 46 a viale Forlanini 50/4 eeeh poi fortunatamente mi sono sposato, mi sono fermato [laughs]. Abbiam cambiato due volte noi, da via Casoretto siamo andati in via Vipacco e poi fortunatamente siamo riusciti a comprare casa, dopo una vita di lavoro.
ZG: L’episodio del ’43 è stato il primo bombardamento che lei ha vissuto?
EC: No, perché ero a Lignano Sabbiadoro io. Io il primo bombardamento che ho vissuto vero [emphasis] è stato quello del ’44 perché ero in via Livraghi che stavo giocando con i miei amici no? A mattina presto noi giocavamo no? Perché io ero in transito dovevo entrare in un altro collegio, questo qua a Milano, il Don Guanella no? E allora cosa succede, quella mattina lì erano le undici, undici meno cinque, undici e dieci non lo so: le undici no? A un certo punto fai 103 aerei li senti no? Senti il wrooom perché li senti da lontano no? Io alzo la testa e vedo il cielo coperto, una giornata di sole, di una, di una pulizia a Milano che vedevi la Grigna eeeh da da qua eh? La vedevi da via Livraghi vedevi la Grigna, perché non c’erano tutte le case che ci sono adesso no? Eeeh e da qua vedevi il monte Rosa, guardando di là perché non c’è, c’era solo la ferrovia no? E non c’erano i palazzi che ci sono adesso, c’era la Pirelli ma la Pirelli era bassa no? E quindi vedevi sino al monte Rosa, quando era, quella era una giornata che io non lo so com’è venuta fuori a ottobre no? A Milano era sempre bello comunque non c’era come adesso la, lo smog, l’aria circolava, no? Io alzo la testa e vedo questa roba qua e mentre sto guardando [pause] hanno sganciato le prime bombe e sai dove sono cadute? La prima bomba è caduta in via Pelitti, la casa è stata diroccata sino a un sette, otto anni fa dopo l’hanno l’hanno riattata no? Ma è ancora lì eh? È iniziato lì, li bombardamento no che io ha detto a mio padre ‘Spostati’ eeeh e mi ricordo la scena della trave di quella casa di campagna lì no? Perché era un cortile da contadini, qua c’era il frumento eh? Io a maggio quando andavo ad aspettare le ragazzine che uscivano dalla chiesa, che dovevano attraversavano da Precotto per venire in via Livraghi, no? C’erano i covoni a maggio, c’erano i covoni tagliati del del frumento ci nascondevamo per per saltargli addosso, giocare, eravamo bambini no? Ecco per dirti no? E quindi mi ricordo questa trave, hai presente il rallentatore no? C’era questa trave che saliva così in alto, mentre bruciava no? Saliva eh poi a un certo punto wrrrrom è andata giù. Non so, ci sono stati fra qua e Gorla quasi 600 morti compresi i bambini naturalmente. Allora cosa succede? Che le donne tutte spaventatissime no? qua e là, mia madre che non sapeva più dove andare eeeh ‘I bambini dove sono?’ no? Poi noi c’eravamo tutti no? E gli altri anche, questi qua non hanno colpito eeeh Villa San Giovanni, hanno colpito Precotto, è partito da Precotto no? Allora noi la cosa bella che abbiamo fatto noi bambini quei tre o quattro squilibrati come me no? Ci siamo messi a correre, ci siamo messi a correre verso il bombardamento, perché il bombardamento andando di là, ma poi gli aerei sono andati via e si è fermato tutto no? E allora io ho visto tutta la scena. Allora ho visto la scuola, l’asilo di Precotto bombardato e c’erano già due o tre operai fra i quali mio zio Cesare, fratello maggiore di quello lì che era il, non il capomastro me era quello che curava la manutenzione del del Paolo Pini no? Eh perché Paolo Pini era per per per non per le, i traumi, era per i malati di polmoni così, era una specie di sanatorio eh una specie no? E lì eeeh siccome le bombe hanno iniziato lì no? Hanno colpito la Fibra, che era uno stabilimento che lavorava la fibra no? La terra, la la fibra, lo l’asilo, poi ha attraversato ha preso il viale Monza che c’era il tram praticamente rovesciato in mezzo al prato perché di là c’era prato no? E anche lì ci sono stati un sacco di morti poi mi ricordo arriviamo davanti al Finzi, al, al Finzi c’era un cavallo, morto, indovina come era trafitto? Da un palo della luce, una morte deve a ver fatto quel cavallo lì no? E noi incoscienti sempre avanti no? Perché dopo mentre corravamo no? Le mamme, le nonne ti fermavano le donne ti dicevano ‘Dove andate, aaah!’ E una uno qualcuno deve aver detto che avevano colpito la scuola di Gorla, la mia scuola, allora sono andato là, e sono andato là e ho visto che praticamente c’era rimasto in piedi solo la parte eh dunque sud-est, la parte sud-est è rimasta in piedi perché ha colpito, colpendo la scala, ha portato via tutta la parte sud – ovest no? Ed è rimasta esposta e in alto c’era la classe dove io andavo, andavo a scuola e lì si vede nelle fotografie no? E poi c’erano già arrivati i, i pompieri perché c’è i pompieri erano in via no Benedetto Marcello, sì, c’avevano da fare mezzo, mezzo corso Buenos Aires, non c’era neanche una macchina in giro a quell’epoca lì, c’erano i pompieri poi c’erano quelli della UNPA lì, i militari che che non erano militari eran eeeh, che stavano scavando, poi non ti dico cosa c’era lì, mamme che urlavano eeeh perché cominciavano a tirare fuori i primi, i primi cadaveri no? Quindi ti lascio immaginare. Voi le avete mai viste quelle scene lì? Ah le avete viste: le cartelle appoggiate al comune, ah, eh.
ZG: E lei diede una mano a scavare?
EC: Eh?
ZG: Lei diede una mano a scavare?
EC: Eh io ero lì che scavavo con, perché dopo è arrivato mio zio Pino, lo zio Cesare che da lì è venuto lì, c’erano tanti, tante, tante persone che poi dopo i bambini li han cacciati, mio zio poi mi ha mandato via perché quando cominciavano a vedersi gli altri bambini morti ci hanno mandati via. Io devo averne visti uno o due, i primi uno o due non di più. Poi [coughs] la moglie di mio marito, io mio zio eh mi ha portato via, sono andato [coughs] in via Luigi Bertelli, e la casa è rimasta intatta, chi è stato danneggiato è questa qua [coughs] questa, è la Canottieri della parte di là, [coughs] di qui invece non aveva fatto nessun danno, perché era una bomba uno due bombe sole lì no [coughs], sono state sfortunati.
ZG: Vuole prendere un bicchiere d’acqua?
EC: Sì no fermati un attimo che vado a bere.
ZG: Riprendiamo l’intervista dopo la pausa.
EC: Eh. Allora, eeeh per rammentare che cosa succedeva in Italia a Milano no? L’8 settembre del ’43, mia madre viene a prendermi in collegio e mi porta a casa, e mi ricordo la scena guarda ‘na roba incredibile. In collegio avevo la divisa, no? Mio fratello maggiore era nello stesso collegio però a Varese e lui faceva il tamburino, quindi tu figurati un bambino con la divisa, era era, era la gioia più immensa che potevano avere i bambini in quell’epoca lì, no? il fascismo dava quello no? E io mi ricordo che mia madre no? Arriva in collegio, prende la mia, questo la la, questo vestitino lì da da Balilla, ‘figlio della lupa’ lo avvolge e dove lo mette? Nella buca della spazzatura. Guardi, non è una storiella: vedo mia madre che butta quella cosa e io sono sempre uno che ragionava no? Non dico niente, vengo a casa, l’8 settembre, mia madre comincia a dirmi ‘Tuo padre non c’è più, eeeh abbiamo ricevuto un telegramma no? Che è disperso e non si trova’ e io dentro di me dicevo ‘Eh mio padre, io non l’ho mai visto’ in casa mia girava sempre un sacco di giovani uomini no? Che erano amici di mio zio Pino che tremavano quelli, tipo quelli della Moto Guzzi, quattro senza, e quindi questa gente qua mi mi compensava della mancanza di mio padre no? Va beh comunque eeeh a ottobre, non so se ottobre non mi ricordo, va in secca il naviglio Martesana no? E noi ragazzini no? Furbi, andavamo dentro con la forchetta a prendere le anguille, no? Mentre invece in quel periodo lì non andavamo ad anguille, andavamo a raccogliere quello che i militari avevano buttato via no? Quindi ti trovavi il moschetto, ti trovavi la baionetta, trovavi le le, perché i soldati scappavano si facevano dare dalle donne i vestiti borghesi no? E buttavano via tutto no? Allora io davanti a questa qua, no qua non si vede, c’è un leone, dopo ve la farò vedere com’è no? C’è un leone, nell’acqua che c’è ancora, che adesso io vogli a tutti i costi andare a rompere i maroni a, al sindaco perché voglio che lo rimettano dov’era, no? Eeeh cosa succede che mio fratello maggiore che era più grande era in acqua sotto, tanto così d’acqua, tiravano su i cosi e li buttavano non so, trovavano eeeh un moschetto lo buttavano su noi poi andavamo dallo straccere, straccivendolo a darlo no? E ci dava qualche, qualche soldo no? [coughs] La mia fortuna è che avevamo fatto un corso premilitare tedesco, eeeh, mio mio fratello maggiore che era un po’ un tontolone, no? Bravissimo ma un tontolone raccoglie una bomba a mano una SRCM dopo io so come si chiama perché ho fatto il il militare. Questa bomba qua io la conoscevo perché si chiamava ‘Balilla’ però era una SRCM no? E questa bomba a mano tutta d’alluminio era rossa con un guscio di alluminio che serviva da sicura no? Quando tu staccavi questo, la lanciavi, questo si staccava e innescava la miccia no? Io sapevo che durava la, l’innesto durava non lo so quanti secondi, tre o quattro secondi, roba del genere, come mi è arrivata nelle mani, io l’ho lanciata dall’altra parte del naviglio ed è scoppiata pensa te. La Canottieri era occupata dalla Decima Mas. Cosa succede, che vengono fuori due vestiti da militare no? Che saranno stati alti uno e cinquanta con i pantaloni che toccavano terra, ragazzini proprio no? Io avevo fatto un attentato, mi prendono e mi portano dai carabinieri, mi portano dai carabinieri e i carabinieri mi conoscevano perché eran di lì, sai i carabinieri non è che sta un giorno in un posto sai ‘Cosa t’è fat nini?’ ‘Mah io niente’ e loro disen ‘No questo ha fatto un attentato alla Decima Mas’ e gli han detto ‘Ma voi siete matti!’. Purtroppo dopo l’8 settembre in, con i carabinieri c’erano anche due della SS. Cercate di immaginare cosa può essere successo in quella stanza lì. Allora io ero uno che aveva tirato una bomba a mano contro il muro che c’è qua no? Poi vi faccio vedere dove, proprio davanti alla porta di casa mia no? Scoppia la bomba questi escono mi prendono mi portano là dicendo che ho fatto un attentato. Era palese che noi non stavamo facendo così. Eeeh questi qua fanno dei eeeeh, ti fanno dire nome e cognome e io mi chiamo Efrem ed Efrem è un nome ebreo. Il tedesco che parlava italiano ha detto ‘Ma tu ebreo?’ ‘Come ebreo? Io non sono ebreo’ ‘ Tu ebreo, no ebreo’ questo qua, gli ha detto ‘No, questo lo tenete qua, fermo no?’ Arriva a casa mio zio quello che dicevo prima che mi ha salvato la vita due volte no? Che lavorava, deportato in Germania perché lui lavorava alla Caproni, al reparto aerei, l’avevano deportato in Germania a lavorare no? Ed era una persona che si faceva volere bene, soprattutto dalle donne no? Perché era un bellissimo uomo no? Eeeh questa è una storia che è venuta fuori poi non so se era tutta vera no? Sembra che lui sia riuscito a venire in licenza perché si era el la la la figlia del padrone di questo, di questa ditta, azienda s’era innamorata di lui no? E allora gli ha chiesto questo eh gli ha fatto venire, mio zio arrivava col tram a Gorla, scende, mette giù la valigia di cartone, no? Davanti c’è il tabaccaio dove loro andavano a giocare a carte così no e dicono ‘Peppino, Peppoun guarda che il tu neut el nini a l’è andè dai carabiner’ ‘ Cus’è?’ ‘E l’han purtà via’. Allora mio zio cosa fa, prende, va dai carabinieri, i carabinieri lo conoscono ‘Uei Cerrotti cosa c’è?’ ‘Dov’è il me neut?’ e io lì seduto dentro ‘Eh ma perché l’è lì? Perché va no a ca, sa l’ha fat’. Allora lui gli spiega cosa ha fatto no? Ma non aveva visto lui i tedeschi dietro, mio zio no? Eeeh a un certo punto ha detto ‘Eeeh maresciallo!’ non so se era maresciallo o ‘No no il me neut al port via’ [unclear] no perché i tedesch, quali tedesch?’ Si gira e vede questi due qua. Allora gli ha detto due o tre parole in tedesco perché lui lavorando in Germania ha detto no? ‘Io adesso porto via mio nipote’ e glieli traduce no ‘E voi state zitti perché mio nipote non è un ebreo’ ‘Voi siete tedeschi, noi siamo italiani ma lui non è ebreo, volete vedere che non è ebreo?’ mi tira giù le braghette, gli fa vedere il pistolino ‘Vedete che non è circonciso?’ Poi questi qua han detto ‘Se questo qua mi mette una mano addosso mi ammazza no?’ allora mi ha preso e mi ha portato via. Questa è una scena che io non dimenticherò mai per tutta la mia vita. Quindi tenete presente cosa cosa cosa vuol dire la famiglia. Io oggi come oggi no? Sto bene solo quando vedo i miei figli vedo, i miei nipoti e poi vedo anche tutto il resto della famiglia, a me manca non dico il patriarcato, il matriarcato, mi manca il il, la società che c’era in via Luigi Bertelli all’8, al 6, perché tu entravi nel cortile, no? Io non andavo mai a casa subito, perché mia madre non c’era perché andava a lavorare, entravo l’8, all’8 era una casa di ringhiera con il balcone lungo tutta la strada che vedi lì no? La strada che vedi non è di qui, di qui c’era solo finestre e di là c’era tutta una balconata, e c’erano tutte le mamme e io avevo dieci zie, venti nonne perché tu alla sera mia madre veniva a casa, andava dentro sapeva tutto quello che avevo fatto no? Quindi era proprio un nucleo che a Milano uno dice ‘Boh strano’ e invece lì era proprio un paese legato a una grande città, perché noi per arrivare in città dovevamo andare a Loreto per dire no? Eh ma era una cosa che, ecco perché a me mancava tanto quando ero in, collegio per me era come essere in riformatorio una roba del genere perché è una prigione non puoi muoverti, non puoi andare di qui non puoi fare. Qui uscivi da casa e andavi dove volevi, saltavi dentro nel naviglio a nuotare, andavi alla bocciofila a vedere i nonni che giocavano bocce, tutte quelle cose lì no? Te le godi, te le vivi no? Io mi ricordo mia nonna, non c’era tanti soldi no? Mi diceva ‘Nini, va da la sciura Pina a tor el rosoli’ andavo col bicchierino, sai quei bicchierini piccoli no? E mi dava il coso da portare a mia nonna perché non è che c’era la bottiglia in casa dovevi andare all’osteria, l’osteria era nell’angolo di via eeeh di via lì via Bertelli con via Dolomiti, proprio lì, c’era l’osteria poi iniziava l’8, il 10 e il 12, tre tre numeri c’erano lì no? Guarda una roba, eh insomma cosa fare, peccato non poter tornare indietro.
ZG: Senta invece eeeh se le va torniamo un attimo al discorso del.
EC: Non ho capito.
ZG: Se le va torniamo un attimo al discorso dei bombardamenti.
EC: Sì, allora eeeh i bombardamenti, finito quel bombardamento lì no giusto, eeeh mia madre ha preso, mi ha impacchettato un’altra volta e mia ha mandato a Treviglio e lì è iniziata la mia seconda vita tribolata no? Eeeh quindi io di bombardamenti sentivo i bombardamenti intorno a Treviglio, che c’erano i campi di aviazione eeeh come si chiama quel paese lì, si han bombardato anche fuori fuori Milano, no? Sentivamo i caccia, roba del genere ma lì figurati c’erano colonne di marmo grandi così. E va beh niente lì ho fatto dunque, quando son venuto via io? Era, l’ultimo bombardamento che ho sentito io era quello lì del ’44, poi del ’45 ce ne sono stati ancora ma noi eravamo sfollati, eravamo [uclear] eravamo a Caravaggio [counghs].
ZG: Quindi, a lei quindi non è mai capitato di dover correre in un rifugio?
EC: No, mai.
ZG: Ehm, senta invece, eeeh tornando alla sua famiglia, sua madre quindi nel ’43, è convinta, si è convinta che suo marito, suo padre fosse morto.
EC: Sì, sì.
ZG: Anche se invece poi è tornato a casa.
EC: Sì.
ZG: Eeeh quando è che poi si è risposata?
EC: Ah non lo so, so che si è sposata che io ero ancora piccolo. Penso si sarà sposata nel ’44 roba del genere no? So che io mi sono rifiutato di entrare in comune al matrimonio di mia madre perché io non lo condividevo e mi ricordo, ero seduto fuori sul marciapiede e mio zio Luigi ‘Dai nini vieni dentro è la tua mamma’. ‘No no, io di papà ne ho uno solo’ sai i bambini, e non non ho né assistito né ho voluto assistere. E di fatti non, non è che io abbia avuto un buon rapporto con questo uomo ma mai avuto problemi però non, non so forse dentro di me sentivo che mio padre c’era ancora, per dire no eh, non ho avuto un buon rapporto anzi poi mia madre ha avuto altri due figli di questo qua no? E mio padre è arrivato dopo che mia madre ha avuto altri due figli, per dire no? Ma mi ricordo che comunque eh la, il mio cruccio era che io sui documenti mi chiamavo Colombi ma ero figlio di N. N.. Io mi dicevo, quando io ho cominciato a capire qualcosa ‘Come faccio a essere figlio di N. N. se mi chiamo Colombi no?’ Sai all’epoca, a proposito, mia mamma è riuscita a sposarsi sai perché? Perché lei risultava nubile, perché lei si è sposata a Caravaggio, quando eeeh Mussolini ha fatto l’accordo con la chiesa il, il come si chiama lì, non il concordato una roba del genere no? Con la chiesa i preti dovevano mandare al comune di residenza le la notizia che questa qua si era, mia madre si era sposata regolarmente in chiesa a Caravaggio, questi non hanno trasferito niente a Milano, mia madre non è che si è sposata perché aveva voglia di sposarsi no? Risultava nubile no? Perché quelli non avevano trasferito allora non gli hanno negato si sposarla in comune no? Si è sposata in comune basta tutto lì. Poi è venuto fuori il papier che sul giornale siamo finiti che ‘Reduce torna trova la moglie con altri dei figli’ beh era una, era una stupidaggine perché mia madre non ne aveva di responsabilità no? Mia madre le han dato il marito disperso, il marito non ritorna non c’è e quindi non c’è no? Quanta gente è data per dispersa e invece è morta in Africa, è morta in Russia, e via discorrendo, no? Queste cose qua succedevano in tempo di guerra no? Mia made da buona ex-contadina anche lei con, non so se è arrivata alla quinta elementare o roba del genere no? Eh eh si è risposata e ha avuto altri due figli ha fatto una vita pseudo normale anche lei perché sai noi abbiamo avuto dei problemi quindi, tutto lì.
ZG: Senta invece il suo rapporto con la religione invece è cambiato con le spedizioni ai collegi?
EC: Sì, io non sono un credente perché sono stato battezzato cresimato, tutto quello che vuole no? Ma io mi chiedo dio in cielo in ogni luogo non so ti racconto eeeh, e dico ma e quando cade una bomba con la sfiga che hanno avuto quei duecento lì perché io vorrei vedere io Gesù Cristo dietro un a duecento bare di legno bianco fare il cavalcavia di Greco per andare al cimitero di Greco, io c’ero li ho viste eh? E quei bambini del Vietnam che bruciavano con con il napalm quelli lì cosa fanno quelli lì? Quelli che muoiono adesso i, non dico i cristiani giù perché adesso fra tra di loro, ma i musulmani che van dentro tagliano le gole di qui di là, se c’è questo dio così potente perché permette queste cose qua? Eh me lo devono spiegare loro. Di fatti quando io parlo con, parlavo con un prete vincevo sempre io, vincevo sempre io. Perché quando uno ti dice ‘Io so come sono nato, va bene? tu mi devi spiegare come la Madonna può essere vergine se ha avuto un bambino, spiegamelo [emphasis]!’ ‘Eh ma lì è stato lo spirito santo’. A Milano cosa dicono? Ma va a cagà! Capito? Eh ma questi sono i segreti della, il no, come li chiamano no i segreti, i, non i vengono neanche le parole, i dogmi, quelle robe, va beh i misteri della chiesa. Si va bene è sceso dal cielo e io gli ho detto ‘Va bene allora siccome io sono cattivo se è così potente che io lo insulto, che non lo insulto io, se vuole mi può fulminare anche adesso qua davanti a voi se vuole così, dio in cielo e in terra in ogni luogo faccia pure, no? Mi dia uno schiaffo vediamo. Quindi io la religione so che c’è rispetto tutti, allora, sa chi è il mio dio? Tu che sei davanti a me, lei è la mia madonna perché è davanti a me perché io rispetto gli altri e voglio essere rispettato io sono una carogna, non toccarmi la famiglia perché io l’ho dichiarato che se qualcuno tocca qualcuno della mia famiglia o gli fa del male io lo accoppo, tranquillo eh? Perché ho la capacità di fare anche quello, però siccome sono un essere umano, non faccio del male a nessuno, non ho mai fatto del male a nessuno, nessuno si è azzardato a fare del male alla mia famiglia perché io rispetto tutti, perché non dovrebbero rispettarmi no? Questo, ecco perché ti dico no? Che non sono religioso, non ho un credo, mia moglie c’ha il Budda, fa yoga siamo, ma io rispetto anche loro, e rispetto tutti gli altri, non rispetto i mussulmani che ammazzano. Io c’ho un amico qua che è pachistano e ha due figli, questo qua è venuto qua a fare, è maestro e qui fa il facchino andare ai mercatini quella roba lì no? Qua è venuto libero un appartamento, e lui aveva bisogno di un appartamento. Io ho convinto le due proprietarie perché erano le figlie di un professore, di un maestro che c’era qua no? Eeeh a dargli la casa a questo qua, un giardino più in là di lì, la scala di mezzo no? Questo qua i musulmani i figli, a un certo, a la moglie a una certa ora devono guardare la televisione loro no? E fanno i loro riti religiosi no? E io li rispetto, per l’amor di dio, però io gli ho fatto avere la casa, hai capito? E questo non lo devi scrivere però, ti faccio vedere una cosa. Ti dico come ho conosciuto mia moglie e vedrai che ti metti a ridere.
ZG: Riprendiamo di nuovo allora. Senta allora io le faccio le ultime due domande, allora, lei sapeva chi è che le aveva bombardato la casa nel ’43 – ’44?
EC: Io credo che siano bombardieri americani guidati da inglesi, che non si sono mai pentiti e io li odio perché erano dei ragazzini, hanno messo dei ragazzini sugli aerei. Io avevo dei documenti poi non so che fine hanno fatto no? Questi sono ventiquattro venticinque anni no? [coughs] che quelli gli han detto ‘Guardate che avete sbagliato avete fatto la vostra bella scemata no?’ Stavo dicendo un’altra parola no? Questi qua no no come se avessero non so tirato giù un pollaio di galline, non so, una roba del genere no? Ma io sono sicuro perché non, è difficile che io prenda prenda eeeh, se se non sono convinto, sono convinto che son stati i piloti inglesi, eeeh dei giovani, molto giovani no? Che gli danno in mano il B-24 che non sanno neanche manovrare [unclear] lì sotto un circuito, no lì han sbagliato, a schiciar al butun, ve lo dico io. Quindi eeeh poi è venuto l’americano lì alla, alla piazza Piccoli Martiri, all’anniversario del, di quando c’era Pisapia, che anche lì io non vado mai, sai perché? Vado dopo, perché io vado solo a trovare, o a salutare la mia maestra e i bambini, praticamente io li conoscevo tutti meno quelli della prima elementare. Tutti. Quindi io su 184 ne conoscevo più di 150 diciamo, le maestre le conoscevo tutte, una era addirittura la sorella dell’architetto eeeh aspetta eh, che è quello che mi ha fatto lo svolgimento di questa casa che abitava in via Dolomiti e l’è morta niente anca lì. Ma, quindi vi lascio immaginare, io tutti gli anni, quando c’è il, eh mia mamma è morta il 25 dicembre, a Natale, quindi io Natale figurati se festeggio il Natale, è morta mia madre no? Il 20 ottobre c’ho questi qui, il 2 di agosto han bombardato eeeh Bologna e io mi sono sposato il 2 di agosto. Quindi la mia, le mie, le mie, i miei riferimenti sono tutti falsati da, da guerre, manifestazioni. Veramente è terribile se tu ci pensi bene, no? Io quando andavo a Bologna che mio figlio studiava a Bologna no? Andavo a Bologna, arrivavo all’università, alla stazione, dicevo pensa che potevo esserci anch’io qua dentro no? Perché non è possibile far morire 60, 70 persone così perché tu sei, sei un fascista, ma dai! E poi son fuori tutti, non so, almeno non dico di impiccarli in piazza ma mettili pignin [?] la, la cella e butta via la chiave e gli dai da mangiare se vuoi, mi sono spiegato? Non puoi, non può succedere che un mondo va avanti così, adesso c’è gente in galera che dovrebbe stare fuori perché magari ha fumato uno spinello o magari vendeva la la maria fra di loro perché poveretti questi qua non sanno cosa fare no? Noi non possiamo, io e mia moglie non possiamo più andare in piazza del Duomo in giro così no? Perché non siamo capaci di non dare niente, no? E però vieni aggredito addirittura adesso, perché questi qua cosa deve fare? Andate a vedere che cosa fanno in Argentina o in, sì, in Brasile, i ragazzini 13, 14 anni aggrediscono in pieno giorno la gente per strada. Noi vogliamo arrivare a quel livello lì?
ZG: Ehm, si ricorda invece di quando la guerra è finita?
EC: Sì, c’ho c’ho un ricordo molto particolare, quando è finita la guerra io ho fatto l’ultimo tratto di, della Padana seduto sulla sovra cingolo di un carrarmato, perché ero scappato dal collegio. Allora io scappo dal collegio, arrivo alla, all’uscita del, di Treviglio no? E c’erano le pattuglie già dei partigiani. ‘Oh dove vuoi andare?’ ‘ Vado a casa’ ‘No, non puoi andare perché c’è ancora la guerra di là’. E vai e non vai e vai e non vai io riesco a sgattaiolare boh fuori dal posto di blocco, erano quattro scalmanati no? E c’era un furgone fermo un Citroen, mi ricordo perfettamente, pieno di coperte, questo qua dev’essere andato in qualche caserma o ha comprato o ha fregato. E allora gli dico ‘Dove va?’ ‘Eh vado a Milano’ ‘Mi dà un passaggio?’ ‘Eh oh non c’è posto’ ‘Eh ma io vado anche sopra’ e sono andato sopra. Arriviamo a Cernusco sul Naviglio vengono giù due caccia a mitragliare, il camioncino sbanda dentro, una volta sulla padana una volta non c’era come adesso il guardrail, no, c’era il fossetto no? Vado dentro nel fossetto, per fortuna ero nelle, sopra le coperte e sono andato giù colle coperte. Da lì io non potevo fare niente questo qua si è messo a, incazzato parolacce così, no? Contro gli americani gli sparavano e sono, sono arrivato a Vimodrone, sì Vimodrone, e passano dei cingolati americani che stavano venendo qui a Milano, no? Stavano venendo a Milano e io sai noi i bambini, no? Vanno lì mi hanno dato, mi ricordo, un pezzetto di cioccolato o una stecchetta di cioccolata, poi io gli ho fatto segno, volevo venir su no? Allora questo qua mi ha preso e mi ha tirato su, io son piccolino poi ero bambino no mi ha fatto salire su lì sono arrivato alla Gobba e son saltato giù, sono andato a prendere il naviglio e son venuto a casa, no? Perché le strade io le conosco, io da Treviglio venivo a Milano lungo il Naviglio a piedi, è sempre stata la la, quindi io non mi perdevo mai quando venivo anche da da Caravaggio, Treviglio così no?
ZG: Ehm senta, perché si è convinto che nel bombardamento del ‘44 a pilotare fossero gli inglesi?
EC: Perché io ho letto delle [coughs], letti al computer adesso non ce l’ho più [coughs], ho visto tutte le fotografie aeree fatte dalla, dalla RAF no? Che spiegavano, questa è la Breda, questa è la Pirelli. Allora io dico, eeeh lì per me è stato uno dei tanti, dei molti bombardamenti di rappresaglia ordinati dal Churchill, perché Churchill voleva mettere in condizioni eeeh la popolazione di reagire nei confronti dei tedeschi, no? Perché ormai l’esercito italiano non c’erano, e quindi questo qua ha fatto lo stesso sistema che ha usato al suo paese in Inghilterra, per non far colpire la parte importante, lì castello della regina qua e là metteva sotto sotto V2 la periferia di Londra, questo l’han detto anche loro, no? Quindi questo qua non gliene fregava niente dei civili, questo qua voleva che questi qui eeeh, e comunque per me, per me, erano inglesi, perché io ho letto che questi qua non hanno mai, eeeh non si sono mai dichiarati pentiti perché era era una azione di guerra e loro la dovevano fare.
ZG: Senta e adesso invece il suo giudizio è cambiato, adesso il suo giudizio è cambiato su, su chi ha fatto quei bombardamenti?
EC: Beh giudizio, eeeh un ragazzo di 25 anni che va a bombardare una città, non sa neanche lui quello che sta facendo, secondo me. A meno che uno non sia un estremista come quelli lì che hanno infilato i grattaceli di di New York, no? Ma cosa gli vuoi dire a quelli lì? I manicomi non ci sono più, questi qua son gente malata, questi qua invece erano ragazzini che dovevano, dovevano eeeh esprimere tutto il loro, il loro potenziale fisico e mentale, per combattere la guerra che per loro giustamente era giusta perché chi ha sbagliato, per fortuna che è andata così, noi ci abbiamo, i russi quanto ci hanno lasciato? 60 milioni di morti? Oh, no ma ti rendi conto, mi sono spiegato? Quello là, quello sì che era matto no? Hitler, e quindi cosa vuoi combattere contro questa gente qua, poi gli americani gli facevano un aereo al giorno, cosa vuoi, cosa vai contro a questa gente qua, che ha, questo qua adesso vuole, il matto qua di adesso, vuole mettere 54 miliardi di, in più di dollari per l’armamento, perché deve espandere l’armamento atomico. Oggi ho sentito che la Cina gli ha subito risposto 150 milioni, la Cina, in più, l’esercito più potente del modo la Cina eh, gli americani devono stare attenti perché quelli lì li tagliano a fettine eh. Perché beh, non so, ma vi rendete conto di cosa è un cinese militare o un giapponese? Han trovato uno dopo cinquant’anni nella giungla che era convinto ancora di essere in guerra ohi questo qua, eh non so, non so se mi sono spiegato. E quello lì vive male ancora adesso eh perché lo so, io l’ho visto quando l’hanno trovato [laughs] poveretto, e lui l’imperatore, l’imperatore ma l’imperatore. Noi per fortuna avevamo un imperatore, un po’ più, meno alto di me, eh la mia, la mia maestra era alta come la regina, la la moglie del del, era una persona veramente, guarda io non riesco mai a dimenticarlo, è troppo importante, sì io lo so dove abita, e non, dove abitava no? Ma non, non riesco a capacitarmi come mai certa gente deve morire in quella maniera lì, questa qua era una donna che, che poteva, va beh mia nonna è morta perché aveva preso una brutta malattia, no? Mia madre anche mia moglie purtroppo siamo tutti e due in cura in via Veneziani, lei per un melanoma e io per la mia gamba, però io sono arrivato a 84 anni grazie alla, a mia madre, a mia moglie che è una donna, io augurerei a tutti di trovare una moglie come mia mia moglie, eccezionale. Eeeh quelle lì sono scelte, per esempio lì la scelta l’ho fatta io perché mia moglie era minorenne quando io l’ho conosciuta, no? Allora una sera sono al bar e io non sono, non andavo mai al bar volentieri perché però gli amici la sera andavano al bar, e allora vado al bar e c’era lì questo mio carissimo amico che si chiama Serio eeeh Toni no? Eeeh il telefono del giro femminile era al bar no? Allora la Giovanna mi chiama mi dice ‘Ehi Efrem c’è una telefonata per te’ ‘Va bene’ vado lì ‘Ciao sono Mirella, dai vieni i miei genitori sono andati in montagna, vieni’ dice, ‘Eh guarda’ e il mio amico mi dice ‘Dai digli se c’ha un’amica che andiamo insieme no?’ Gli dico ‘Dai non posso venire perché sono qua con gli amici qui e là’ ‘No ma io, c’ho una mia vicina di casa, glielo dico, aspetta un attimo’ va di là, questa qua ‘Sì sì vengo’, solo io potevo fare quei bidoni lì. Allora va beh a piedi, filobus, dovevamo andare in piazzale Lodi, piazzale Lodi eh in via al, come si chiama credo al, va beh alla, un quartiere che adesso è abbastanza decaduto, no? Dopo piazzale Cuoco c’è quel cavalcavia scendi vai dalla parte di là, come si chiama quel, maledetta l’età, non c’è niente da fare. Va beh allora prendiamo il filobus e andiamo, il filobus una volta passava sotto, adesso invece l’hanno rimesso sopra no? Avevano fatto un cavalcavia, un sottopasso che si riempiva sempre d’acqua si capisce che un bel giorno han detto, mettiamolo a posto, no? Eh va beh andiamo e nel passare faceva la via del palazzo del ghiaccio, che non mi, non mi ricordo il nome, via via mah, e vedo i Platters a Milano io ero appassionato dei Platters e dico ‘Eh Toni, io non vado, andiamo giù a vedere i Platters’. No, sì, no, sì, no, sì, no insomma totale lo convinco e andiamo, scendiamo, e io vado dentro nel palazzo proprio dove fanno il ghiaccio, non dove facevano gli spettacoli e pattinaggio no? Perché lì dentro anche lì avevo, alla mia età avevo 25 anni avevo una ragazzina che mi, mi vede ‘Oh ciao Efrem cosa fai’ ‘Guarda, son venuto eeeh a chiedere se tuo padre mi fa passare perché voglio andare a vedere i Platters’ ‘Sì, sì’ fa ‘Ti porto io’. Insomma eravamo in prima fila, io e questo qua seduti a vedere questo spettacolo. A un certo punto fanno l’intermezzo no? E cosa fanno i ragazzini, specialmente quelli balordi come me, no? Si guardano in giro, no? E io vedo una ragazzina che per me era un sogno, no? Ed era con un cappottino rosso, perché faceva freddo tra l’altro lì dentro, no? L’ 11 di [pause] 11 maggio, so che lei, lei lo segna, va beh. La vedo e dico ‘Ah che bella, tusa lì’ ‘Ah ma io quella lì la conosco’ ‘Come la conosci?’ ‘È L’ex fidanzata di un mio amico, e così, così, se vuoi te la presento’. ‘Va bene’ andiamo là me la presenta ‘Adriana’ ‘Efrem’. Lei sentendo il mio nome ha ricollegato a una storia che avevo io a Lecco dove abitava una sua collega di lavoro che questa qua gli raccontava no? Che alla domenica noi andavamo su con la macchina in quattro o cinque facevamo un giro a Lecco e io filavo con la figlia del pasticcere lì di Lecco così no. ‘Eh ma Efrem Efrem lo conosco’ Quando ha sentito Efrem, lei un cervello della madonna c’ha quella lì, è la memoria storica, no? Eeeh ha collegato immediatamente il discorso di Lecco, no? Allora i ragazzini, perché eran tutti ragazzini, no? Io 25 anni, lei ne aveva, eeeh c’abbiamo nove anni di differenza fai conto no? Gli altri ragazzini come han visto che ero interessato e mi guardavo in giro, erano tutti del cortile di casa loro no, in via Casali, in via Canaletto no? Tutti ragazzi del della stessa casa diciamo no? Si dileguano, vanno il, la accompagno e le ho detto ‘Andiamo a mangiare una pizza’ Quella no, niente, l’accompagno davanti a casa e le ho detto, mi son fatto dare l’appuntamento per il giorno dopo no? Il giorno dopo va bene qua e là, eeeh io sono uno che non molla mai l’osso, no? Insomma in totale dopo dopo cinque o sei giorni le ho detto ‘Io a te ti sposo, vuoi diventare, voglio che tu diventi mia moglie no?’ e lei mi ha detto di sì. Aspetta non è finita. Io a quell’epoca venendo da una famiglia di panettieri così, no? Lavoravo alla Motta, ai, ed ero ai forni, quelli grandi dove si facevano i panettoni, quelli grossi no? E facevo 12 ore di notte di lavoro, dico 12 ore di notte con un quarto d’ora di intervallo, e alla sera c’era una ragazza che mi veniva a portare il caffè perché noi a un certo punto facevamo un quarto d’ora di riposo per mangiare, ma poi durante il lavoro nei forni quando il forno sta cuocendo sai il tempo di calcolo e allora andavamo dietro, potevamo prendere il caffè, quella roba lì col capo reparto, no? Questa veniva a portarci il caffè, la Carlina, eh va beh [uncleiar] questa qua e aveva qualche anno lei più di me, io ne avevo 26, 25 e lei ne aveva 35, però mi faceva un filo spietato, no? Va beh ‘E allora dai perché non ci sposiamo’ e io le ho detto ‘Carla la prima persona che saprà quando io mi sposo sarai tu e ti presenterò la mia sposa’. Sai cosa ho fatto io un giorno? Gli dico all’Adriana ‘Mi vieni accompagnare eh in al lavoro’, che veniva sempre ad accompagnarmi, no? Ci fermiamo un attimo al bar che ti presento una persona. Seduta al bar c’era la carlina che mi aspettava no? Adriana è arrivata lì chiediglielo se non è vero, e gli dico ‘Carla vedi questa signorina qua? Questa diventerà mia moglie’. Vedi che te, e quindi quindi mia moglie ha fatto il diciassettesimo anno, siamo andati in ferie per la prima volta quell’anno lì, no? E sono andato al paese di suo padre che io adoravo suo padre e mi ha preso subito a ben volere, e lui era chef sul Settebello, il treno che faceva il servizio dei ministri no? Era un fenomeno il Fornara, e mentre invece mia suocera dopo un po’ non mi poteva più vedere, e io invece l’ho affrontata in casa con suoi figli maggiori che l’Adriana aveva due figli maschi maggiori e una figlia femmina maggiore di lei no eravamo eeeh. E io mi sono portato come testimone, guarda che ci vuol tutta eh, mio fratello minore, Giorgio no? Sono entrato in casa e gli ho detto, lei può fare, che non c’era il padre no, perché il padre era in viaggio no, lui lo sapeva no andavo a prenderlo no in ufficio, al, in stazione, così no, ‘Lei può fare tutto quello che vuole ma io e sua figlia ci sposiamo, chiaro? E qui c’è anche un testimone, mio fratello’. Quegli altri due no? Che erano il fratello maggiore di mia sorella di, mia moglie e il il marito della sorella maggiore di mia moglie che poi è sparito dalla circolazione, ha piantato lì tutta a famiglia, no? Eh ve beh eeeh non si sono azzardati nemmeno a dire beh, mi sono alzato, l’Adriana è venuta fuori, ci siamo baciati e dal giorno, io dal maggio 2000 e quello che è del 2000 ’68, sì, ’68, io ho mancato di vedere mia moglie la settimana che sono andato in barca e quando andavo in, a Bologna in servizio per la compagnia di assicurazione dove lavoravo no? Io ho finito gli studi, sono andato a lavorare per una compagnia di assicurazione e andavo in trasferta perché ero di, ero il collegamento di tutti i periti di assicurazione quelli delle automobili no, perché eeeh, se no noi siamo sempre stati insieme, andiamo sempre fuori insieme, non ho mai mancato, tutti gli altri sono, tutti quelli del giro che conosciamo noi, solo suo fratello in mezzo è ancora sposato, gli altri tutti divisi, tutti [emphasis], e non è che noi stiamo insieme perché c’abbiamo voglia, stiamo insieme perché stiamo bene insieme, perché noi, io, l’ho sempre detto, io non ho avuto una famiglia praticamente, sono stato in mezzo ai preti quella roba lì, no? Guai guai a chi tocca la mia famiglia, perché io per me la famiglia è la mia Chiesa il mio, quello che vuoi, le cose belle son queste, no? Tu devi vedere adesso forse tra un po’ arriverà mia nipote, devi vedere mia nipote quando vede me, la gente del cortile si meraviglia perché lei passa sotto con la carrozzina sotto mi vede alla cosa, fa dei numeri dice ‘Nonno’ non parla ancora con due mani, poi mi manda, è una roba, l’altra invece che è più grande la prima nipote che ho che adesso è su in montagna a fare lezione di snowboard, no perché loro vivono a Bressanone no? Eeeh quindi lì le montagne ci sono, e oggi mia mia nuora è su con le le due i due, il il primo maschio di sua sorella e sua figlia a lezione di snowboard no? Eeeh tu la devi vedere questa qua, è una signorina già fatta perché oramai ha dieci, undici anni ma però questa qua eh ragazzi eh insomma se tu pensi che come compagni ha tutti i i, gli studenti di mio figlio, no? Le studentesse di mio figlio, no? Una le insegna pattinaggio, l’altra la porta in bicicletta, stravedono, ah dovreste conoscerlo mio figlio voi.
ZG: Sì, io la ringrazio e l’intervista la concluderei qui.
EC: Sì, sì guarda io.
Dublin Core
The Dublin Core metadata element set is common to all Omeka records, including items, files, and collections. For more information see, http://dublincore.org/documents/dces/.
Title
A name given to the resource
Interview with Efrem Colombi
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Efrem Colombi recalls his care-free childhood, initially in the Bergamo countryside and then in Milan. Emphasises his life-long radical anti-Clericalism and recounts how he ran away several times from Catholic boarding schools because of his rebellious attitude. Mentions some bombings from which he escaped unharmed and recalls the 20 October 1944 Milan bombing, describing its effects on the Gorla and Precotto neighbourhoods. Recollects aircraft suddenly appearing on a surprisingly crisp day; his primary school was destroyed; he and his friends arriving out of curiosity among scenes of devastation, the appalling sight of a body being pulled out from debris, and hundreds of white coffins at the funeral. Recalls anecdotes of the Milan working class in the 1940s and describes wartime episodes: a hand grenade found in the Martesana canal that exploded close to barracks; his Jewish name prompting anti-Semitism; life at a holiday summer camp and as an evacuee; his mother throwing away his junior fascist uniform after the collapse of the regime; daily life in a ‘Casa di ringhiera’ (tenement with communal balconies); coming back home on an American tank at the end the war. Stresses the importance of family; gives an account of how his mother remarried when his father was declared missing in action, only to reappear after the end of the war; recounts anecdotes about friends and relatives. Curses allied air forces because they never apologised, but sympathises with aircrew, being too young to be aware of the consequences of their action. Links his strong atheist stance with the sight of young, innocent victims.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Zeno Gaiaschi
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-02-28
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Francesca Campani
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
01:17:45 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AColombiE170228
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Po River Valley
Italy--Milan
Italy
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1944-10-20
1943-09-08
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
animal
anti-Semitism
bombing
bombing of Milan (20 October 1944)
childhood in wartime
civil defence
evacuation
faith
fear
home front
love and romance
perception of bombing war
Unione Nazionale Protezione Antiaerea
Waffen-SS
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/426/3603/PColomboE1601.2.jpg
fdd282399981f30f9cf0908d1fc324d5
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/426/3603/AColomboE161203.1.mp3
9941817b02ac079fc5181a2a3ebf0008
Dublin Core
The Dublin Core metadata element set is common to all Omeka records, including items, files, and collections. For more information see, http://dublincore.org/documents/dces/.
Title
A name given to the resource
Colombo, Edvige
Edvige Colombo
E Colombo
Description
An account of the resource
One oral history interview with Edvige Colombo who recollects wartime experiences in Milan.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-12-03
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Colombo, E
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
Facciam partire, allora. L’intervista è condotta per l’International Bomber Command Center. L’intervistatore è Zeno Gaiaschi dell’Associazione Lapsus. L’intervistata è Edvige Colombo. Nella stanza è presente Greta Fedele come parente dell’intervistata e Sara Troglio dell’Associazione Lapsus. È il 3 dicembre 2016, siamo a Milano in via [omitted].
ZG: Allora, iniziamo. Prima della guerra si ricorda che lavoro facevano i suoi genitori?
EC: Meccanico.
ZG: Suo papà. E sua mamma invece?
EC: Casalinga. Eravamo in tanti.
ZG: Quanti eravate?
EC: Quattro fratelli.
ZG: Ehm, lei si ricorda, qual è il suo ricordo, il ricordo più lontano che ha?
EC: Lontano sempre per la famiglia o per la guerra o per?
ZG: No no il suo ricordo personale più lontano.
EC: Il mio ricordo più lontano è che ho sempre lavorato perché mi è morta la mamma presto, giovane e ha avuto, e qui con tutti i fratelli ero io solo sposata e facevo da mamma.
ZG: Ok
EC: E ricordo lavorare presto
ZG: Si si va benissimo.
EC: andare al lavoro presto.
ZG: Ehm, la sua famiglia dove viveva? Viveva qua?
EC: Si sempre qui
ZG: A Trenno?
EC: Trenno. Nata a Trenno, vissuta a Trenno e sono qui a Trenno.
ZG: Lei si ricorda di quanto è scoppiata la guerra?
EC: Beh adesso proprio precisamente non saprei, perché non mi ricordo proprio. Sarà stato non so prima del ’50, eh adesso…
ZG: Si ma aldilà della data, si ricorda il momento in cui è scoppiata, che cosa dicevano le persone per strada, cosa le raccontavano i genitori.
EC: Eh beh insomma, eravamo sempre al lavoro, a casa, la paura di uscire, sempre per la paura di uscire e il nostro, più quel nostro, in chiesa, l’oratorio, in chiesa, al lavoro, e basta. La nostra vita era sempre così, non c’era niente di particolare. Perché eravamo in tanti, così più che il lavoro, in chiesa, l’oratorio, e famiglia non c’era.
ZG: Eh suo papà quando, cosa le aveva raccontato della guerra.
EC: Ma mio papà lavorava all’Alfa Romeo, all’Alfa Romeo allora a tempo di guerra o che era dentro l’Alfa Romeo a lavorare. E poi non lo so dopo, mio papà a dire la verità era sempre ubriaco. Allora bevevano tanto gli uomini eh. Era sempre ubriaco. A parte il lavoro, ma a casa dopo era ubriaco.
ZG: Qualcuno le ha spiegato che cosa stava succedendo con la guerra?
EC: Eh no, proprio di spiegarmi no. Io so soltanto quando è successo il disastro qui alla Bellaria quando è venuta giù quella bomba perché qui erano tutti prati, erano tutti prati o che, non c’era niente. Quando suonava gli allarmi così si andava in cantina e si scappava fuori, fuori lì perché li erano tutti coltivatori, frumento e grano turco, tutte quelle cose lì, noi si scappava nascosti lì.
ZG: E si ricorda di quando sono suonate per la prima volta le sirene dell’antiaerea?
EC: Bè per la prima volta non mi ricordo. Non mi ricordo perché andavo al lavoro. Allora lavoravo alla Rinascente, non mi ricordo, perché facevo tutto al centro, andavo fino al centro.
ZG: Che lavoro faceva?
EC: Eh cucire a macchina, fare le confezioni.
ZG: Facciamo, mi dica cosa accadeva da quando sentiva suonare le sirene dell’antiaerea e correvate al rifugio.
EC: Correvamo giù in cantina, quelli un po' che in cantina, oppure si scappava fuori lì così nei cosi, si stava un po' insieme, correre tutto, tutto assieme, andiamo giù in cantina, andiamo di là, andiamo di qui, la nostra vita era quella lì.
ZG: Ehm…
EC: Solo che quando è successo il disastro alla Bellaria, eravamo, io ero alla finestra. Ero alla finestra, qui adesso abitavo qui alla cooperativa vecchia, allora guardavamo i prati così e quando è arrivato quella bombola lì che, la bomba che è andata giù eravamo alla finestra, poi siamo scappati giù. È stato quello che dopo è successo che hanno preso quella macchina, che quando son venuti gli americani, son arrivati alla Bellaria, si sono incontrati e hanno preso quella macchina lì che hanno preso i nostri qui, che hanno preso i nostri, che hanno morto, sono morti i nostri, il tabaccaio, il figlio del coso. Eravamo alla finestra qui noi e anche la mamma a vedere che passavano e è successa una cosa così all’improvviso. Ma c’è ancora la lapide alla Bellaria? C’è ancora? Ah c’è ancora.
ZG: Io però non sono di qua, non so nulla. Che cos’è la Bellaria? Cosa è successo?
EC: La cascina. Quella cascina che si passa lì. Ecco prima lì era una cascina che c’erano quelli che lavoravano lì i prati, no, che lavoravano proprio i coltivatori. Allora eravamo lì alla cascinella, andavamo lì perché lì c’era una villetta. Dopo l’han fatta sul Po però prima era di quelli che lavoravano, di quelli che facevano i coltivatori. Era lì, eravamo niente, era solo quella lì e le scuole.
ZG: Eh insomma a questa Bellaria un giorno è stata bombardata…
EC: Si è stata bombardata quando è venuto giù quella cosa, quella bombola, che proprio è successo quello lì. Ma dopo, poi son venuti qui gli americani, dopo son venuti qui che allora erano abbastanza in buona armonia che eravamo qui, magari si andava lì, si andava avanti là, dove c’è anche là, come si chiama lì, che si andava lì, dove si ballava, noi diseum la lera, lera perché era cemento che si andava lì noi giovani, avanti lì e si andava lì a ballare e c’erano anche i tedeschi. Allora erano bravi perché anche qui in cooperativa andavamo a ballare con loro.
ZG: Mi racconti di quando ballavate con i tedeschi.
EC: E con i tedeschi, e qui alla cooperativa venivano qui e anche loro erano brave persone e si ballava insieme. Noi suonava con la musica, ballavano, poi loro andavano per nostro conto e noi andiamo a casa. Venivamo qui a casa, ma eravamo un gruppo di dieci, tra noi più o meno tutti della nostra età, si andava giù lì a ballare. Si andava sempre insieme, sempre insieme noi.
ZG: Ehm mi racconti…
EC: Non che si usciva da soli con loro, eh. Non si usciva da soli con loro. Sempre qui con loro, noi insieme a loro. Ma non che dire che si usciva la sera magari con loro o che, no no no. Non c’era niente di…
ZG: E i tedeschi come…?
EC: E i tedeschi allora al momento parlavano anche loro l’italiano, parlavano, si poteva capire bene cosa dicevano ed erano sempre più o meno sempre quelli, non è che cambiavano tanto perché arrivavano con la macchina dentro nel prato lì e venivano qui. Si trovavano qui. Qui non c’era niente, non è come adesso. C’era qui la cooperativa, c’era la chiesa, c’era il poco, il lattaio e poca roba.
ZG: Ehm i tedeschi erano in divisa, erano vestiti..?
EC: Si, si, si. Per quello erano in divisa.
ZG: Si ricorda per caso se fossero ufficiali o soldati semplici?
EC: No quello non lo so. Perché sa noi giovani, loro, la nostra età più o meno, avevamo diciassette, diciotto anni, vent’anni, allora non è che si interessava. Andavamo lì quel momento che si stava lì quel paio d’ore insieme, poi ognuno a casa sua. Loro andavano e noi a casa nostra.
ZG: E si ricorda per caso che musica ballavate?
EC: Eh beh valzer, tango, e allora quelle musiche così di tango e valzer.
ZG: Ehm aveva paura di quei soldati?
EC: No quando erano qui non avevo paura perché oramai avevamo preso un po' di conoscenza con loro, allora non è che si andava giù con paura. Però certo che si trovavano così allora si eh, allora si, ma quelli che venivano qui ormai eravamo abbastanza a conoscenza.
ZG: E invece se incontravate i tedeschi per le strade?
EC: Eh beh io, non si incontrava. Perché si andava via al mattino, al lavoro, si arrivava alla sera, si stava a casa, non è che c’era. A parte alla domenica che si poteva andare giù a ballare e basta, il resto sempre in casa. Lavoro e casa, non è che si andava. Perché lì dopo la Bellaria c’era un campo che venivano lì, loro i tedeschi, si sono messi lì loro avanti alla Bellaria, hanno messo come un camper, come un coso, che loro si riunivano lì. Si riunivano lì perché avevano messo giù come, insomma dove loro potevano star lì insomma. Ecco.
ZG: E alla Bellaria quindi secondo lei hanno bombardato perché c’erano i tedeschi?
EC: No, dopo sono arrivati i tedeschi. Sono arrivati i tedeschi proprio lì, si vede che facevano il giro o che e hanno lasciato lì. Combinazione noi era solo quel posto lì che si poteva andare. Perché erano una famiglia di agricoli che lavoravano la terra così. Erano sempre loro. Come qui che adesso che quando c’erano ancora che lavoravano ancora qui delle famiglie. Qui vicino alla scuola. Vicino alla scuola lavoravano ancora lì le famiglie il terreno. Vicino alla nostra scuola vecchia. Però io di memoria proprio di ricordarmi tante cose così non mi ricordo più.
ZG: Si ricorda chi è che ha buttato la bomba sulla Bellaria.
EC: Ah quello non lo so, non lo so. Non so chi è ha un po' più di memoria di me. Forse la zia Bianca può darsi che ha più memoria di me. Io ho poca memoria.
ZG: Nel periodo della guerra lei con chi viveva?
EC: Con i miei, con i miei genitori. Si si. Perché non ero ancora sposata, non ero ancora sposata.
ZG: E quando suonava l’allarme antiaereo ha detto che andavate in cantina.
EC: In cantina.
ZG: Ma la cantina era attrezzata per…
EC: No, allora non era attrezzata per i bombardamenti. Ormai si hanno avvicinato tutte le cose e si scappava dentro lì. Era tutto libero, era tutto libero lì e si scappava sotto, perché c’era solo l’unico da poter scappare, gli altri erano tutti campi.
ZG: E quando stavate in cantina che cosa facevate?
EC: E in piedi così, sempre in piedi così. Perché neanche da sedersi, niente, non si poteva perché non c’era da sedersi. Non c’era la sedia, non c’era niente, eravamo tutti lì in piedi così ad aspettare che passasse per uscire.
ZG: Come facevate a sapere che potevate uscire?
EC: E quando era libero, che non si sentiva più, tam tam tam, più o meno c’era qualcuno che usciva a guardare fuori così e diceva ‘si si adesso si può uscire’ e si usciva.
ZG: Avevate paura quando eravate nei…
EC: Eh beh. Si, si, si, si. Eravamo lì tutti così, intirizziti o che, non si parlava neanche per la paura, dalla paura non si parlava.
ZG: Quindi non pregavate?
EC: Beh c’era, ma non lo so se pregavamo. Non so, io non pregavo, non mi ricordo che pregavo. Però non so.
ZG: Cos’è che le faceva più paura?
EC: Quando si sentiva quei tremori forti forti forti e allora faceva un po' più paura. Però del resto dopo non si sentiva niente, la nostra vita era normale.
ZG: E invece quando era al lavoro alla Rinascente?
EC: Quando ero alla Rinascente ormai non c’era più tanta, la guerra dei bombardamenti ormai non c’era più. Si andava, non c’era i mezzi. Qui bisognava andare fino al sedici a piedi, perché qui non c’era niente neanche l’autobus niente. Non c’era niente, sempre in bicicletta, si andava tutti in bicicletta.
ZG: Quindi durante la guerra, durante i bombardamenti lei non lavorava ancora?
EC. Si, si, si. Eh lavoro si. Si andava sempre a piedi, a prendere, c’era un coso che passava e si andava fino quasi fino insomma, quasi al sedici, non so come si chiama, Perrucchetti, si andava fino in mezzo là perché c’era l’unico mezzo che ci portava.
ZG: E che lavoro faceva?
EC: Cucire a macchina, cucire, fare confezioni.
ZG: E quando era al lavoro non le è mai capitato di andare nei rifugi?
EC: No, no quello no. Quel tempo lì no è passato tutto, non si andava giù. Era già passato tutto il coso, non c’erano neanche qui più i tedeschi o che, che sono andati via.
ZG: Durante la guerra aveva dei parenti che combattevano?
EC: No i miei fratelli erano tutti a casa, no no, erano tutti a casa.
ZG: Suo papà dove lavorava?
EC: Alla rinascente, all’Alfa Romeo.
ZG: E che lavoro faceva lì se lo ricorda?
EC: Meccanico.
ZG: Ma per caso si ricorda se lavorava per mezzi di guerra?
EC: E non lo so. Non so cosa facevano lì all’Alfa Romeo. Non mi ricordo. Perché dopo è andato dentro anche il mio fratello, così è andato dentro anche lui a lavorare all’Alfa Romeo.
ZG: Invece lei ha mai sentito parlare del Pippo?
EC: Chi sarebbe sto Pippo?
ZG: Era un aereo che ogni tanto volava a Milano.
EC. Ah, non mi ricordo che si chiamava così. Magari si sentiva ma io non mi ricordo che si chiamava così.
ZG: Si ricorda di quando la guerra è finita?
EC: E è finita che anno? Nel quarantacinque? Quarantuno? Quarantacinque e quarantacinque mi sembra.
ZG: Mi racconti le sue emozioni di quando le hanno detto che la guerra era finita.
EC: E della contentezza, della contenenza che siamo un po' più liberi da poter uscire, da poter fare le cose un po' più senza paura.
ZG: Si ricorda del giorno della Liberazione?
EC: Il 25, il 25 aprile? Quello lì forse..
ZG: Ma, alla Bellaria prima ha parlato di una macchina.
EC: La macchina che è arrivata fino alla Bellaria, non è che c’era la macchina là. Da Trenno è partita e sono arrivati alla Bellaria. Poi dopo si sono incontrati con gli americani che li hanno uccisi.
ZG: E si ricorda chi erano queste persone nella macchina?
EC: Ah beh adesso il nome non mi ricordo, uno era il tabaccaio di Trenno, non mi ricordo come si chiama, come si chiamava, non mi ricordo più adesso i nomi. E l’altro era il ragazzo più o meno della nostra, della mia età che era su, che era un partigiano.
ZG: E perché era andato alla Bellaria?
EC: No sono partiti da Trenno con la macchina e sono arrivati alla Bellaria e si sono incontrati senza volerlo. Loro erano tutti contenti per la gioia che era finita la guerra. E i partigiani sono partiti da Trenno con una macchina e sono arrivati con tutta una bandiera così, tutti contenti. E invece sulla via Novara hanno trovato sta macchina lì di americani che si sono incontrati così senza saperlo. Questi qui dalla contentezza e loro sono venuti di qui.
ZG: Ma si sono sparati? C’è stato un conflitto?
EC: Eh si, li hanno uccisi. Li hanno uccisi.
ZG: Perché li hanno uccisi?
EC: Eh chi lo sa. Chi lo sa perché li hanno uccisi. Forse perché hanno visto la bandiera di partigiani e loro erano ancora un po', eh non so cosa è successo.
ZG: Senta, ultime due domande. Cosa pensava delle persone che buttavano le bombe?
EC: Che sono delinquenti, che erano dei delinquenti perché buttar le bombe così sulle persone umane, sono delinquenti.
ZG: E lei non si ricorda chi fossero a buttare le bombe?
EC: No, no. Non mi ricordo.
ZG: Va bene basta così allora, abbiamo finito.
EC: Non so, ho la mia cognata che non so se la Zia Bianca ha più memoria e si ricorda un pò di più le cose, ho la mia cognata che lei è sulla carrozzina adesso ma ha più memoria mentre io di memoria ce ne ho poca.
Dublin Core
The Dublin Core metadata element set is common to all Omeka records, including items, files, and collections. For more information see, http://dublincore.org/documents/dces/.
Title
A name given to the resource
Interview with Edvige Colombo
Description
An account of the resource
Edvige Colombo recalls her life in wartime Milan. Describes when the alarm sounded and she and her family went to the basement used as a shelter. Recollects moments inside, re-emphasizing how there was nothing to do there, just standing waiting until the bombing was over. Narrates the bombing of the Bellaria farmstead in the neighbourhood of Trenno, Milan. Recalls when she and her friends went dancing with German soldiers. Recounts a wartime anecdote, when two cars, one with partisans and the other with American soldiers, met at the Bellaria farmstead and after some shooting the partisans were killed.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Zeno Gaiaschi
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-12-03
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Greta Fedele
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:21:53 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Milan
Italy--Po River Valley
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AColomboE161203
PColomboE1601
bombing
home front
Resistance
shelter
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/2486/42971/AFantiniC181218.2.mp3
4da23830c51a182f9d25ac2b2c09b038
Dublin Core
The Dublin Core metadata element set is common to all Omeka records, including items, files, and collections. For more information see, http://dublincore.org/documents/dces/.
Title
A name given to the resource
Fantini, Carla
Description
An account of the resource
One oral history interview with Carla Fantini who witnessed the bombing war in Milan.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2018-12-18
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Fantini, C
Dublin Core
The Dublin Core metadata element set is common to all Omeka records, including items, files, and collections. For more information see, http://dublincore.org/documents/dces/.
Title
A name given to the resource
Interview with Carla Fantini
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Zeno Gaiaschi
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2018-12-18
Language
A language of the resource
ita
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
01:08:04 Audio Recording
Conforms To
An established standard to which the described resource conforms.
Pending OH transcription
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AFantiniC181218
Description
An account of the resource
After leaving school, Carla Fantini started working as telegraph operator, which she found a gratifying and thoroughly enjoyable occupation. She describes the bombing war in Milan, stressing widespread destruction and ravaging fires. Reminisces constant fear (especially the distress of being stopped by armed patrols checking permits) which was nonetheless tempered by harmony and solidarity among the populace. Retells anecdotes revolving around social activities and shelter life. Elaborates on the perception of the 20 October 1944 bombing. Recollects the arrival of the Allies on 30 April 1945 and the amazement at seeing the first black personnel. After the war, she took early retirement and spend 60 years as state pensioner, which allow her to travel extensively abroad while enjoining a blissful married life.
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1940
1941
1942
1943
1944
1945
1944-10-20
1945-04-30
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Milan
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Type
The nature or genre of the resource
Sound
African heritage
bombing
bombing of Milan (20 October 1944)
home front
incendiary device
shelter
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/170/569/PBuffadossiA1701.1.jpg
de29f384fbe6b8a34624abaecadf669e
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/170/569/ABuffadossiA170528.2.mp3
ddcda3308299dee23387a698645c7f05
Dublin Core
The Dublin Core metadata element set is common to all Omeka records, including items, files, and collections. For more information see, http://dublincore.org/documents/dces/.
Title
A name given to the resource
Buffadossi, Annunciata
Description
An account of the resource
One oral history interview with Annunciata Buffadossi (b. 1932) who recollects her wartime experiences in Milan and in the Lake Maggiore area.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Buffadossi, A
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
ZG: Abbiamo iniziato? Sì.
AB: Il mio nome...
ZG: Allora, l’intervista è condotta per l’International Bomber Command Centre. L’intervistatore è Zeno Gaiaschi, l’intervistata è Annunciata Buffadossi. Nella stanza sono presenti Marialuigia Buffadossi, la sorella, Nava Spizzichino, l’amica delle due sorelle, e Sara Buda, come, dell’Associazione Lapsus. Siamo in [omitted] a Milano ed è il 28 maggio 2017. Nell’intervista saranno fatti dei cenni all’intervista fatta precedentemente da Sara Buda alla signora Marialuigia. Iniziamo. Si presenti pure.
AB: Io mi chiamo Buffadossi Annunciata. Sono nata l’11 ottobre 1932 a Milano, perciò sono proprio del tempo di guerra.
ZG: Ehm...
AB: Nel ’32, sono nata nel ’32, perciò è iniziata la guerra nel ’40, quando io avevo otto anni e facevo la terza elementare. Facevo la terza, siccome sono sempre, sono nata in Via Confalonieri 11,
MB: All’Isola.
AB: Eh, all’Isola, che adesso è diventata una zona di pregio, no, perché è la zona della movida e di però ai tempi, miei tempi era una zona molto degradata ed era ritenuta una zona proprio popolarissima, piena di ladri di galline proprio, non di grande, di grande [laughs] levatura. Però io abitavo in una casa che aveva, noi abitavamo nel, al quarto piano, una casa naturalmente senza né ascensore, né niente né, addirittura tanti appartamenti non avevano neanche il servizio in, all’interno. Siccome era una casa di ringhiera, tanti, tutti quelli che abitavano gli appartamenti che erano nella ringhiera, nella parte della ringhiera, avevano il servizio comune per tutti i quattro appartamenti che c’erano nella, sul piano. Perciò case proprio popolarissime. Però la veniva chiamata la casa di sass, perché era una casa molto antica ed era fatta di sasso proprio e dicevano che avesse duecento anni di età questa casa ed era di fronte alla Brown-Boveri , che era una, sì, la Brown-Boveri era una azienda che fabbricava le, forse le armi, era una, insomma una, ed era anche di fronte alle, alle linee varesine. Le linee varesine erano quelle che portavano a Varese, quella zona lì, che adesso invece hanno, sono state trasformate nella, come si chiama, la stazione di Porta Garibaldi, eh, quelle erano le varesine. Perciò potevano venire bombardate ed erano bombardate, era una zona bombardata perché c’era Brown-Boveri, che era proprio di fronte a casa nostra, noi eravamo all’undici, la Brown-Boveri aveva un numero pare, ma proprio di fronte, e di fronte c’erano pure le linee varesine che erano invitanti per i bombardamenti. Quando è arrivata, quando è venuta la guerra, che è stato nel 1940, noi l’abbiamo saputo dalla radio, che avevamo una radio regalata dalla mia nonna, l’unico regalo di mia nonna che, insomma, per quel poco che poteva fare, no, quella nonna lì poteva fare di più ma insomma ci aveva fatto solo il regalo della radio, avevamo saputo che era stata, scoppiata la guerra nel 1940. Da un discorso di Mussolini che diceva: ’Italiani, al di là del mare, al di là dei monti’, l’Italia insomma adesso mi ricordo che faceva dei discorsi roboanti proprio, che però prendeva tanta gente di, dalla parte proprio della passione così, comunque. Mio padre non era, né un fascista né niente, non aveva, perché aveva fatto sì la guerra del ’14-18, però siccome non era fra gli Arditi, era un alpino di artiglieria di montagna, che un tempo invece degli Alpini c’erano, c’era l’artiglieria di montagna. E’ che il papà amava molto sulla, cosa aveva fatto, sul, eh non mi ricordo più, comunque parlava sempre di avere fatto la guerra nell’artiglieria di montagna. Amava gli asini, che erano i compagni, i compagni degli artiglieri perché gli ha, ha salvato tante vite eh l’asino, il mulo anzi, più che l’asino il mulo perché portava, aveva.
ZG: Ma.
AB: Un capo, non so. Comunque mio padre quando raccontava le sue imprese, però non l’aveva finita, perché si era ammalato, aveva avuto la polmonite e l’avevano messo nelle retrovie. Perciò non aveva visto la fine della guerra ed era diventato l’attendente del colonnello, di un colonnello che stava a Torino ed era il capo della, dell’accademia degli artiglieri mi pare perciò mio padre, ecco. Però veniva da un paese della Lomellina, che erano contadini. Niente, questo per quanto riguarda la mia famiglia.
ZG: Eh
AB: Mio padre faceva il muratore, però veniva da un paese di contadini. E la mia mamma veniva sempre da un paese di contadini che era la Lomellina ed era, faceva la sarta. Io avevo una sorella maggiore, che era mia sorella Marialuisa che era della. Marialuisa, Io dico sempre Marialuisa ma il vero nome è Marialuigia perché così è. Rinnovava la nonna, sa che un tempo si rinnovava, io invece avevo rinnovato la nonna da parte materna, mia sorella invece da parte paterna ed era la preferita da, da quelle nonne lì, da quella nonna lì, mentre io ero la preferita della nonna Mussiada, insomma, è logico. Comunque quando è scoppiata la guerra, io facevo le elementari. Mi ricordo quando era scoppiato perché c’era stato il discorso del, di Mussolini. Il fratello di mia mamma, invece, siccome aveva fatto la guerra negli Arditi, era del 1800 eh perciò erano, avevano fatto la guerra del, era fra gli Arditi, era diventato un fascista, era piuttosto fascista perché gli Arditi, che erano del, del gruppo del, insomma erano tutti fascisti quando erano tornati dalla guerra, ti ricordi eh, lo zio Berto, ehm. Però era una bravissima persona, eh, una persona retta, che si interessava delle colonie per mandare, le colonie i bambini, che a quel tempo, se non andavano a fare la villeggiatura nelle colonie, i bambini non vedevano il mare neanche dopo vent’anni. Io ero stata mandata a Pietra Ligure per esempio, tant’è vero che avevo fatto la prima comunione a Pietra Ligure quando ero lì nella colonia, mandata da mio zio, che non avevo che da ringraziare perché ero una, avevo visto il mare per la prima volta [laughs] nel ’41 forse, ’41 o ’42, non so, perciò ero, avevo visto il mare per la prima volta, se no non conoscevo. Conoscevo la campagna della Lomellina quando andavo a trovare la mia nonna contadina e se no, non conoscevo altro. Comunque, vabbe’. Quando è scoppiata la guerra, io per i primi anni sono stata a Milano e ho finito la scuola, le elementari qui perciò devo averlo finito nel ’42, perché avevo dieci anni. Però mia mamma aveva cercato di mandarmi a, sfollata presso mia zia che abitava a Pallanza sul Lago Maggiore. E lì, purtroppo ecco lì non mi piaceva tanto perché mi trovavo bene con la mia zia, che era la mia zia preferita però tutte le sere, quasi tutte le notti si sentivano gli aerei che passavano sopra il Lago Maggiore. Venivano dalla Francia probabilmente, o dalla Svizzera, non lo so, e si sentivano i rumori e noi dicevamo tutti, sia mia zia sia le mie compagne di scuola che sentivo, che parlavo con le amichette, dicevo: ’Questi sono gli aerei che vanno a bombardare Milano’. Perché passavano sul Lago Maggiore, passavano Luino e venivano a Milano e questo mi faceva un bel dispiacere perchè io sapevo che a casa c’erano la mia mamma, il mio papà e mio fratello. Mia sorella no perché nel ’43 era andata, sapevo che era sfollata sul Lago di Como, perché era andata in banca e la banca aveva sfollato tutti i suoi dipendenti sul Lago Maggiore, eh sul Lago di Como. Perciò per lei ero tranquilla. Sapevo, sentivano dei bombardamenti. Nel ’43 è stato l’anno proprio brutto per i bombardamenti perché si sentiva parlare dei bombardamenti su Milano, massicci, proprio i più brutti, infatti c’erano stati tanti morti. Siccome noi abitavamo in una casa di fronte a un’azienda che faceva, che faceva proiettili, non so, era la Brown-Boveri , era una ditta che faceva forniture per la guerra, era pericolosa. E in più di fronte anche alle varesine, alle linee varesine era una casa, tant’è vero che avevano buttato delle bombe e avevano bruciato tutte le gelosie. Una volta le gelosie rientravano dentro nella, non so se voi, no, voi siete giovani non lo sapete, ma una volta rientravano nel muro e si chiamavano le gelosie. Erano di legno. Naturalmente hanno buttando tante bombe incendiarie hanno bruciato tutte le gelosie della nostra casa e lì mio padre che era il capofabbricato era, ha dovuto intervenire, fare venire non so i pompieri, quello che era, però ha annerito tutto il davanti della casa e abbiamo avuto delle, non era successo nient’altro però tanti rimanevano senza casa ad un certo momento. Noi abbiamo avuto solo quell’inconveniente lì delle gelosie, però, che erano bruciate e non so, adesso non mi ricordo più come. Ad un certo momento però io nel ’43, alla fine del ’43 dovevo fare l’esame di ammissione per la scuola media perché volevo fare la scuola media, che dopo forse avrei fatto magari le magistrali come mia sorella però i miei non potevano farmi studiare. Comunque c’era la mia sorella che lavorava, lavorava in banca, insomma avevamo qualche cosa di più da poter contare. E ho fatto la scuola, l’esame di ammissione alla scuola media lì a Pallanza e poi sarei tornata per fare la scuola media a Milano e sono ritornata nel ’43, ’44. Nel ’44 avevo quanti, dodici anni, avrei fatto la seconda media, ma ho fatto anche la prima media a Milano. E siccome non c’erano scuole, tutte le scuole medie erano un po’, sono andata a finire nella scuola che c’è in Via Giusti che è una scuola per capomastri. Infatti la mia scuola mi ricordo che aveva tutti i disegni, tutte le formine di architravi, cose del genere, però era diventata una scuola media perchè scuole per capomastri non venivano fatti in tempo di guerra, erano tutti ragazzotti che erano stati richiamati, avevano magari sedici, diciasette anni, erano richiamati. E allora andavo e tutti i giorni da, dall’Isola mi portavano nella zona dei cinesi, la Via,
MB: Paolo Sarpi
AB: Via Giusti, Via Paolo Sarpi, perchè la mia scuola era nella via che proseguiva la Via Giusti, la Via Giusti. Andavo però sempre accompagnata da un mio compagno di, un vicino che studiava nelle scuole che aveva un anno più di me e perciò non era richiamato perché, eh. E veniva, mi accompagnava, facevo tutta la strada insieme, dovevo passare dalla Via Guercino dove c’erano, dove c’era il comando dei, e dalla scuola Tenca, la scuola Tenca che adesso è la scuola magistrale che aveva frequentato mia sorella, che era la sede della Muti. La Muti era un’associazione di fascistotti, ragazzotti fascisti, che mettevano una paura solo con la loro divisa, non so lei no lei che non se ne ricorda ma io quando passavo davanti alla scuola Tenca, che era una scuola che mi piaceva perché era la scuola di mia sorella, mi faceva paura perché si vedevano questi ragazzotti che avevano sui diciotto, vent’anni, tutti vestiti di nero, con i baschi con il pennacchio rosso, era una cosa, con gli scarponi che facevano un rumore solo a sentir scandire queste, queste passi, erano una cosa che metteva, e io dovevo passare anche dalla Via Guercino dove c’era la sede dei tedeschi. Era terribile, la Via Guercino era sempre piena di questi tedescotti che mettevano paura perché marciavano in una maniera diversa da, anche dai nostri, che so io, dai nostri alpini, dai nostri bersaglieri che erano simpatici, così. Loro erano, facevano paura proprio, ecco. E io tutti i giorni dovevo fare e ogni tanto si sentiva suonare l’allarme perché di giorno, bombardavano anche di giorno, soprattutto di sera ma di giorno bombardavano e allora si sentiva. Noi eravamo a scuola e allora dovevamo scendere nelle cantine che io ero anche contenta eh di questa facenda perché mi impediva di essere interrogata, perché mi piaceva. Fra l’altro la mia professoressa di latino e di italiano e di latino così, era la professoressa Lighini che era la sorella del dottor Lighini, che, dell’ingegner Lighini che era il luogotenente del generale Cadorna e perciò lei non diceva mai, non parlava mai dei ribelli come erano chiamati i partigiani, erano chiamati ribelli no, non erano chiamati partigiani. I partigiani sono venuti dopo, quando dopo la fine della guerra che allora erano partigiani. Lei diceva sempre: ’ quei ragazzi’, i ragazzi che sono contro i fascisti logicamente, però sono partigiani, parteggiano per una certa parte. L’abbiamo saputo dopo che era la sorella di un, del luogotenente di, del generale Cadorna e infatti dopo era diventata la preside della Carlo Tenca perché era diventata, era la sorella di un cotanto personaggio, eh, perciò. E allora, questo per quanto riguarda i miei ricordi di. Invece di notte suonava sempre l’allarme, spesso l’allarme ma mia mamma non aveva paura e io pure non avevo paura, poi ero un po’ smemorata, non sentivo neanche l’allarme, non lo sentivo. Mia mamma se non mi svegliava io dormivo beatamente poi quando aveva l’allarme, il cessato allarme, mi risvegliavo ma andavo avanti a dormire. Invece mio padre scappava via come una lepre perchè era un pauroso, prendeva su la valigia dove c’erano tutti i tesori della famiglia e andava in cantina con mio fratello, mia sorella non c’era perché era sfollata e noi andavamo, andavamo avanti così. Alla fine della guerra quando c’è stata il 25 aprile, io mi ricordo che in Via Borseri che è una via dell’Isola era passato un convoglio di tedeschi con davanti l’ufficiale con, che imbraccava la rivoltella e faceva così con la mano per tener lontano perché tutta la gente lì che guardava i tedeschi che se ne andavano finalmente, perché mettevano paura, erano vestiti e si atteggiavano in una maniera che mettevano paura solo a vederli, mettevano paura. I fascisti vestiti, quelli della, delle brigate nere e i tedeschi mettevano proprio paura. Erano arrivati i partigiani. Ad un certo momento i partigiani però, insomma ne hanno fatte anche loro perché uccidevano i fascisti o quelli che ritenevano tali. Ci sono state tante vendette anche, insomma, fatte, fatte così ad arte che. Noi avevamo il nostro Don Eugenio Bussa che era il capo della Chiesa del Sacro Volto, che aveva salvato tanti ebrei, ma vicino al loro oratorio, c’era un muro dove venivano uccisi i partigiani che venivano presi o renitenti alla leva, perché c’erano tanti renitenti alla leva. Anche nella nostra casa c’erano due o tre amici di mia sorella che erano del ’24, ’25, che erano proprio giusto giusto per essere renitenti alla leva e loro cercavano di non andare, di non essere, perché se no andavano in Germania e non ritornavano più. E la guerra non la volevano fare, giustamente, perché poi, dopo il ’43 quando c’era stata l’armistizio, tanti erano scappati, magari erano anche militari ma erano scappati come un mio zio, quello zio lì del Lago Maggiore che era un carabiniere che era in Iugoslavia neh, si era levato le mostrine di carabiniere perché se no lo ammazzavano e si era presentato come un povero profugo, era riuscito però era stato preso dai tedeschi e mandato in Germania. Però è riuscito a sopravvivere perché mangiava, però quando ritornava, quando è ritornato ci ha raccontato che mangiava la pelle delle patate che buttavano via i tedeschi. Mio zio era molto furbo, eh furbetto anche lui ma, però insomma, che lavorava in banca anche lui, però all’istituto, dov’era, al, ehm, coso di Novara, ne. E lì a Pallanza c’era la, ma era furbo furbo mio zio e perché per riuscire a e quando è ritornato però, è ritornato nel ’46 o ’47 dopo perché, sa, prima che ritornassero indietro, ma insomma, comunque, è ritornato. Io poi mi ricordo altre cose. Che ogni tanto, con la mia mamma, andavamo al paese di mia nonna, che ci dava magari qualche gallina magari che riuscivo perché dovevano portare tutto all’ammasso ai tedeschi e invece lei riusciva a rubacchiare qualche chilo di farina, qualche uovo, qualche gallina, così andavamo lì, prendavamo il treno, andavamo lì a Sartirana, che mia mamma era di Sartirana, e riuscivamo a portare a casa qualche sacchetto di farina, qualche uova, così, che mia mamma sulla stufa faceva, faceva da mangiare. Faceva il pane bianco, che il pane bianco era un dolce addirittura, oppure metteva l’uovo, faceva qualche cosa di, insomma, una gallina che riusciva. Perché la tessera annonaria è continuata anche dopo la fine della guerra eh, perché è continuata mi pare fino al ’47, non, fino al ’47, perciò si è. Non è che si stesse tanto bene anche finita la guerra, no. Mio zio, mio zio, quello lì, il fratello di mia mamma che era un, ritenuto un fascista perché, ma siccome non aveva fatto male a nessuno, anzi, faceva solo piaceri appunto, faceva andare i bambini alle colonie, accompagnava alle colonie così, non ha avuto niente, è scappato dalla mia zia, quella lì di, che era la sua sorella insomma praticamente, lì sul Lago Maggiore, ma è stato via due o tre giorni e poi è ritornato che nessuno gli ha fatto niente, non, perché era una bravissima persona mio zio Berto. Niente, basta, questo per quanto riguarda il. Poi nel ’47 io trovato il lavoro presso un ragioniere, però avevo fatto giusto le tre medie e basta, non avevo né diploma né niente, avevo appunto fatto solo la terza media. E però mi piaceva di più ragioneria che fare le magistrali. Prendevo sempre da mia sorella che gli ricopiavo gli appunti, lei li faceva magari in stenografia, io invece li facevo in chiaro e allora lei mi dava magari una lira o dieci lire forse perché dopo mi pagava di più. E io guadagnavo la mancetta ma dopo prendevo anch’io lo stipendio, poco, perché i ragionieri non pagavano per niente ma insomma piuttosto di niente e poi imparavo. Dopo nel ’47, questo sono andato nel ’47 neh dal ragioniere, ecco. Nel ’47 mi sono iscritta alle scuole civiche, che erano le scuole civiche di Milano che facevano ragioneria al Parini. Al Parini facevano le serali, era la scuola civica di Milano che facevano ragioneria. E poi mi sono nel ’54, no, dopo ho cambiato, però sono andata in una scuola privata alla, al Volta neh, e poi ho fatto gli esami e mi sono diplomata nel ’54 ecco. E nel ’55 invece ho trovato posto a Selezione del Reader’s Digest, era un giornale, era il giornale di, Reader’s Digest era americano, era uno dei giornali più in voga, mensile, è un mensile. Ma faceva, vendeva anche tante e dischi e giradischi e libri e tutto, oltre la rivista, la rivista era, ecco. E sono stata lì 32 anni. 32 anni più 8 del ragioniere ho fatto 40 anni di iscrizione all’INPS, ecco. E nel ’50, nel ’87 invece sono andata in pensione, ecco, con quarant’anni di anzianità. E adesso sono qui, malata, malandata, sì, no, e perché purtroppo con quello che ho avuto non sono, non sto tanto bene, ma.
ZG: Sì. Io volevo fare.
AB: Dica.
ZG: Mi sono segnato un sacco di domande.
AB: Sì.
ZG: Se vuole, iniziamo. Allora. La prima era una curiosità mia. La sua era una famiglia contadina, giusto?
AB: Sì. La mia mamma viene da una famiglia contadina. Anche mio padre veniva da una famiglia contadina, però faceva il muratore. Dalla Lomellina venivano.
ZG: Però una sua nonna ha potuto regalarvi una radio, ha detto prima.
AB: Sì perché mia nonna, la nonna, la mamma di mio papà viveva con la figlia, la quale si era sposata molto bene e aveva, vero, aveva un albergo. Lei, cioè il marito aveva un albergo. Mia nonna era andata a aiutare, era furba, tremenda era mia nonna, era una donna molto in gamba ma un po’ tremenda. Era riuscita, era l’unico regalo che ci aveva fatto, eh, perchè lei naturalmente viveva con la figlia, il figlio lo teneva meno da conto ecco. E l’unica cosa, ma siccome mia sorella si chiamava come lei, quel regalo lì ce l’ha fatto, ecco. E c’aveva regalato la radio, che a quel tempo la radio, avere la radio era una cosa, una cosa che non si poteva, per noi era un lusso, ecco, era un lusso.
ZG: E senta invece, oltre a suo zio, avevate altri parenti che, insomma...
AB: Erano fascisti?
ZG: Sì.
AB: No, altri parenti no, c’era solo mio zio, che era il fratello della mia mamma, l’unico fratello della mia mamma. Perché loro erano in cinque in famiglia, un fratello e quattro sorelle erano. No, solo mio zio, quel mio zio lì.
ZG: E lui come mai non è tornato in guerra?
AB: Chi, mio zio?
ZG: Sì.
AB: Eh mio zio perché aveva fatto la guerra del ’15-’18, era più giovane di mio papà, non era stato richiamato, ma non so per quale ragione. Lavorava dove, lavorava in un’azienda farmaceutica perché aveva un po’ studiato, Perché, adesso le spiego. Sartirana era sotto la, c’era un duca che era il padrone del paese, ducato di Sartirana era ed era imparentato con i, gli Aosta. Tant’è vero che il ragazzino, quando era stato, nel ’42 o ’43 che era, era lì nel castello di Sartirana. Ma mio zio, ma questo duca di Sartirana era, aveva due figlie. Una non si era sposata perché era mezza inscemita. Invece una aveva sposato un principe di Hannover e quando il marito era morto lei, per non perdere il titolo di principessa, non si era più sposata. Però aveva fatto tante, era padrona, praticamente era padrona di tutto il paese, di tutti i terreni, così. Aveva fatto molto per la, per la gente del paese. Per le donne, aveva, ad Alessandria aveva messo su la scuola per sarte e mia mamma l’aveva potuta frequentare, tant’è vero che mia mamma faceva bene, era una brava sarta perché aveva studiato proprio nella scuola della principessa. E invece mio zio l’aveva, si vede forse perché era tornato lì dal, eh no, tu non lo sai perché tu non ti sei mai interessata, ma io le sapevo queste cose perché mia mamma le raccontava, raccontava. La principessa poi aveva preso mia mamma per fare i vestiti di, prima che lei si sposasse, per fare i vestiti, i vestiti di casa delle domestiche insomma e anche per lei, fare i vestiti di casa, così. E li voleva molto bene. Poi siccome si aggirava per i boschi una volta si era persa lì dei boschi de, perché mia mamma abitava in una cascina ma sperduta, vicino alla, Bisognosa si chiamava, si figuri che cascina poteva essere. Comunque era vicino al Po mort perché lì passa, passavano i bracci del Po ma che chiamavano il Po mort perché sono bracci un po’ di, da poco ecco, e che tagliava il Monferrato alla Lomellina. Perché qui c’è la Lomellina dalla parte della, nella parte della Lombardia e invece nella parte del Po ma piemontese c’è il Monferrato e mia mamma veniva dal Monferrato, i suoi del, contadini ma del Monferrato che insomma si sono trasferiti lì nella Lomellina. E una volta si era sperduta la principessa, mia mamma questa qui lo raccontava sempre, e mio nonno l’aveva tirata fuori dai pasticci, come la signora con mia sorella. E allora è diventato e poi l’aveva portata a casa e le aveva presentato la famiglia, era praticamente un suo dipendente perché lavorava le terre della principessa, del duca, del duca di Sartirana e gliele aveva presentate e siccome c’era mia, l’unica che non faceva la contadina era la mia mamma perché faceva la sarta ma se no le sue tre sorelle facevano tutte le contadine. E gliel’aveva, allora lei ogni tanto quando, e poi gli aveva dato da mangiare o da bere, non so, il latte, così, e si era affezionata, la principessa si era affezionata sia alla mia mamma che la, che. Poi aveva dei domestici che erano parenti della mia mamma e perciò era particolarmente, insomma, la conosceva bene. E perciò non. Invece per le donne aveva messo sù questo atelier dove imparavano a fare le sarte e invece per gli uomini li aveva mandati, mio zio veniva dalla guerra ed era un dipendente di, che sarebbe finito di fare il contadino, le aveva fatto studiare, aveva fatto qualche scuola tant’è vero che poi aveva trovato da impiegarsi in questo, in questa la Paganini Villani, che era una ditta farmaceutica. E allora non era andato a militare perché... Poi si era sposato.
ZG: Fantastico. Ehm, senta invece, della vita in Isola, quando eravate in Isola....
AB: Ah, si stava bene, guardi. Io venivo a casa di sera, alle undici di sera, con un nebbione che non, perché venivo a casa dalle, dalla scuola serale. Venivo a casa magari con dei miei compagni che abitavano. Ma io entravo all’Isola che era piena di nebbia da non finire, io mi sentivo sicura, guardi, non avevo nessunissima paura. L’isola era un, una zona bella. La Via Confalonieri, la Via Volturno, la Via Borsieri. Eh, e poi, che si doveva fare la Via Borsieri, Piazzale Tito Minniti, che cos’è, ah cantavi , sì è vero, io salivo dalle, siccome avevo paura invece fare le scale perché ero al quarto piano, allora cantavo, e la gente, però erano le undici, era. Mia mamma mi sentiva, veniva fuori che mi preparava da mangiare perché io mangiavo alle undici di sera, quando ritornavo da scuola. E cominciavo a cantare e allora mia mamma veniva fuori, mi veniva ‘Tina, Tina, Tina’ e io arrivavo a casa e sapevo di essere aspettata, insomma.
ZG: Ma lei faceva le serali quando faceva le medie?
AB: No, facevo le serali quando ero andata dal ragioniere. Quando nel, dopo il ’47. Perchè io le medie le ho finite nel ’45. In aprile del ’45 io ho finito, il 25 aprile io facevo la terza media. Nel ’45 avevo tredici anni, no.
ZG: Eh, senta.
AB: Tant’è vero che non le ho finite, non le ho finite ma mi avevano promosso lo stesso perché.
ZG: E senta, sempre lì in Isola, prima sua sorella faceva riferimento però al fatto che, anche lei le diceva prima che era un quartiere molto popolare, che c’era un po’ di delinquenza.
AB: Oh, sì, sì, era ritenuto un, era ritenuto ed era proprio popolare, popolare, popolare. Case vecchie, erano case vecchie, tutte, Via Borsieri, Via Confalonieri, Via
MB: Via Serio
AB: Viale, no Via Serio era già più avanti, era già più verso la, la fontana. Piazzale Tito Minniti, ecco lì, proprio là, Piazzale Tito Minniti. Quando noi andavamo a fare il mese di maggio nel ’45 si andava in chiesa a fare il mese di maggio, sa, che mese di maggio è mese della Madonna. E mi ricordo che quando siamo passati di lì era il 25 aprile, era appena passato e maggio siamo passati di lì. Io mi ricordo che c’era uno appeso perché era stato ucciso, era stato strangolato, non so, che era il fratello della pollivendola che abitava nella casa ed era stato ucciso dai e alcuni invece li avevano uccisi nel, nel muro dell’oratorio di, del Don Eugenio, che è il Sacro Volto, questa. Lì in Via Volturno c’è la chiesa del Sacro Volto che era la chiesa del Don, Don Bussa, che però dopo è stato fatto uno dei giusti del... Ti ricordi quando il Peppino è andato che l’hanno festeggiato e mio fratello è andato in Israele che avevano, che l’avevano festeggiato, l’avevano. Perciò una personalità, il Don Eugenio.
ZG: Ehm, senta, volevo. Arrivando al periodo della guerra,
AB: Sì.
ZG: Lei ci ha detto prima che ha scoperto tramite la radio che era scoppiata la guerra.
AB: Sì, sì.
ZG: In famiglia se ne era parlato?
AB: Ma, non mi pare. Forse se ne parlava che doveva scoppiare la guerra perché c’era, ma non mi ricordo, non mi ricordo, no.
ZG: E la sera del discorso alla radio di Mussolini, eravate tutti insieme in famiglia?
AB: Eh probabile, probabile, sì, senz’altro.
ZG: Ah ok. Quindi non si ricorda se suo padre o sua madre avevano fatto dei commenti, sul discorso?
AB: No, ma loro non s’interessavano nè di politica nè niente. E non erano neanche nè fascisti nè niente perché.
MB: [unclear]
AB: Eh, sì, c’era mio padre che solo che diceva: ’mi raccomando, scrivete Duce bene, eh, scrivetelo bene’ perché a quel tempo il fascista era ritenuto e anche con mio zio:’ mi raccomando eh, zio Berto’, che era, noi sapevamo che era fascista perché quando era ritornato e poi quando andava a accompagnare i bambini, mia zia, che era la moglie, andava a accompagnare con la moglie del federale, andava a accompagnare i bambini alle colonie, passeggiava avanti e indietro sulle panchine della stazione centrale, a noi sembrava che fosse la moglie del federale invece era la moglie di un povero diavolo, ma insomma. Poi noi eravamo vestiti da piccoli italiani, ti ricordi? Che avevamo le calze nere delle mamme, che a quel tempo portavano le calze nere. Li facevano sulla un bottone e si faceva la,
MB: Ah sì.
AB: Il cappello, si metteva su in testa la calza della mamma con il fondo, mettevano il bottone veniva il cappellino della piccola italiana. Mia mamma m’aveva fatto la divisa eh! Perché a quel tempo si usava così, eh. D’altra parte ancora tanta grazia che ogni tanto davano dei pacchi, ti ricordi, che la
MB: Noi, non ne avevamo mai usufruito.
AB: No, dai, ma non dir pacchi dai
MB: Io mi ricordo quando è andata a dare la.
AB: Io mi ricordo quando andavo a prendere
MB: Io mi ricordo quando è andata a prendere la vera, io mi ricordo quando è andata a prendere la vera.
AB: Ah sì, perché forse c’è stato un periodo, forse nel ’38-’39, chiedevano,
MB: Dalle tombole di San Marco [?]
AB: Sì, chiedevano. Il Duce ha chiesto la
MB: L’oro.
AB: L’oro alla patria e allora tutte le donne, anche per farsi vedere, per, davano la vera, la vera, gli ori. Ce n’erano pochi, c’era poco, l’unico oro che avevano erano delle verone perché usavano. Però mia mamma l’aveva portata e dopo se l’era fatta rifare.
[ ZG: laughs]
MB: Perché poverina.
MB: Non so se aveva portato la, quella di mio papà o aveva portato la sua ma so, mi ricordo che erano una, erano vere alte, più alte di quelle che si usano adesso.
ZG: Quindi ha fatto fare rifare la fede?
MB: E aveva fatto rifare la fede.
ZG: E in che materiale era?
MB: Eh materiale d’oro. Aveva…
ZG: Dopo averla donata?
MB: Eh sì, perché dovevano far vedere perché lì venivano scritti, eh. Buffadossi, eh, ha lasciato la vera.
AB: Ha fatto la strada quella sera lì.
ZG: Senta, invece, suo padre era capofabbricato.
AB: Sì.
ZB: Il suo lavoro che cos’era esattamente?
AB: Eh doveva curare che, quando suonava l’allarme, venisse diretto bene il flusso alla cantina perché le cantine erano cantinacce, non erano mica le cantine che ci sono adesso, che sono belle pulite. C’erano, io mi ricordo che passavano i topi, eh, perché erano case vecchie, erano umide così. E doveva guardare che ci fosse le panchine perché mettevano le panchine, la gente andava lì, si sedeva e stava lì ad aspettare, contarsela sù che...
ZG: Quindi lui faceva questo lavoro di insomma far affluire le persone in cantina.
AB: Sì.
ZG: La cantina spettava soltanto al vostro palazzo o c’erano anche altri palazzi che dovevano [unclear]?
AB: No, ogni palazzo aveva la sua cantina.
ZG: E come mai vostro padre non vi svegliava, quando suonava l’allarme?
AB: Eh perché era compito della mia mamma ma mia mamma, lui scappava via [laughs] e mia mamma stava lì. Lei non c’era, c’ero solo io e io non avevo paura come non aveva paura la mia mamma. Mio fratello seguiva mio padre e via, perché lavorava anche lui. Aveva cinque anni più di me, perciò nel ’43 così.
MB: Lavorava alla Grazioli.
AB: Lavorava alla Grazioli.
ZG: Ma, e non avevate paura neanche dopo che si era incendiato il tetto della casa?
AB: No, non si era incendiato il tetto, si erano incendiato le gelosie.
ZG: Ah, le gelosie, giusto. E neanche dopo quell’occasione?
AB: Io non, non avevo paura, tant’è vero che pochissime volte sono andata giù in cantina. Non mi piaceva perché bisognava andare su e giù dalle scale, mamma mia, e dormivo. No, non mi piaceva.
ZG: E invece quando eravate a scuola è capitato che suonasse l’allarme?
AB: Ah sì, di giorno e lì era di giorno, lì invece mi piaceva perché ero con i miei compagni. Stavamo lì e magari dovevamo essere interrogate perciò c’era andata bene. La professoressa Lighini era un po’ severotta, eh.
ZG: E alle elementari come passavate il tempo nel rifugio?
AB: E niente, chiacchierando, chiacchierando.
ZG: Le maestre non vi, non c’erano compagni spaventati, qualcuno che aveva paura?
AB: Ma era solo le medie, perché io nelle elementari no eh. Nelle elementari non mi è mai successo. Perché nelle elementari, le avevo già finite perchè nel, io sono andata a scuola nelle elementari fino al ’42 perché, ma nel ’42 non c’erano i bombardamenti, ecco, sono incominciati nel ’43 i bombardamenti feroci che erano, che erano, e dopo ’43, dopo che c’era stato l’armistizio, perché prima no. C’erano i tedeschi che erano nostri alleati e noi effettivamente, quando abbiamo fatto l’armistizio li abbiamo lasciati, li abbiamo traditi in un certo senso e adesso.
ZG: Senta invece, tornando invece alle cantine di, a casa vostra. Com’è che le persone scendevano in queste cantine, c’era tipo una gerarchia, scendevano prima alcune persone poi delle altre?
AB: No, no no, venivano giù. Il primo piano era il primo a sedersi e poi c’erano gli altri piani e noi eravamo al quarto piano, eravamo gli ultimi a scendere.
ZG: Ok. Ehm, invece un’altra domanda. Lei era andata sul Lago Maggiore?
AB: Sì, da mia zia, da questa mia zia che era la moglie di un carabinieri che era stato richiamato. Lui era più giovane di mia mamma perché aveva forse un dieci anni, mia zia aveva dieci anni meno, lui era del ’92, lei era del ’02 e lui, eh, sarà stato del ‘900. Perciò nel ’40 quando era stato richiamato aveva quarant’anni.
ZG: Ehm, lei era andata sul Lago Maggiore per sfuggire ai bombardamenti.
AB: Eh sì perché.
ZG: E come mai nel ’43 ha deciso di tornare?
AB: Eh perché mia mamma a un certo momento ha detto: ’ritorna, se moriamo, moriamo tutti insieme’, ecco.
ZG: Ehm, senta invece mi. Volevo farle una serie di domande sempre su, sempre sul quartiere Isola durante proprio il periodo dei bombardamenti. Avevate paura di rapine in casa o?
AB: No, rapine no, perché cosa vuole, si chiudeva la porta. A quel tempo non si chiudeva neanche la porta perché io a dir la verità, avevamo la porta e l’antiporte, erano case così. Ma spesso e volentieri noi andavamo a dormire senza, anche dopo appena finita la guerra non chiudavamo neanche la porta. Non sempre si chiudeva la porta.
MB: Eh dai.
AB: Sa, rapine, cosa vuole che rapinassero in casa nostra? Se portavano via noi [laughs], dovevano darci da mangiare, no no per carità. Non c’era niente da rubare. Giusto quando andavamo al paese della mia nonna, che portavamo a casa quel sacchetto di, e dopo per passare il Ticino perché noi dalla Lomellina bisogna passare il Ticino a Vigevano bisogna passare il Ticino e il treno si fermava prima del Ticino, noi lo facevamo a piedi il pezzo del Ticino perché se no c’era il pericolo che bombardassero e poi c’era un altro treno che dal Ticino, dal ponte del Ticino a Milano via San Cristoforo, e noi poi prendavamo l’8 perché qui girava l’8 in Piazzale Tirana. A quel tempo l’8 era il tram principe per arrivare alla, alla Isola. C’era il 4 e l’8, che girava l’Isola. Noi prendavamo lì da San Cristoforo o da Porta Genova, ma noi scendavamo a San Cristoforo con il nostro pacchettino e il chilo di farina, e due o tre uova, la gallina, così e andavamo a casa, io e la mamma.
ZG: E senta.
AB: Perché tu non sei mai andata a Sartirana quando, invece io andavo con la mia mamma.
ZG: Però suo padre durante i bombardamenti la valigia con i gioielli di famiglia [unclear] [laughs]
AB: Sì, i gioielli [laughs], cosa vuole,
ZG: Quelli lì li portava via però.
AB: Ah sì, li portava via. C’era, io mi ricordo che c’era un taglio di vestito, poi forse c’erano delle lenzuola c’era un, era un valigione tutto grande, sa di quelli di cartone e pressato. Quello, c’era un taglio di vestiti, c’era, c’erano le lenzuola e che cosa d’altro, niente, nient’alto, non c’era nient’altro di, cosa vuole che portasse. E da mangiare, da mangiare sì, portava giù qualche cosa ma, un panino ma, ma non certamente pane e salame che non si trovava. Era tutto tesserato, si figuri.
ZG: Ehm, e gli spostamenti invece erano, per andare al paese di sua nonna erano facili o?
AB: No no, non tanto facili, perché c’era sempre il pericolo che bombardassero il, perché le vie ferrate erano le più, le più appetibili per le bombe, eh capisce? Magari erano spostamenti di forze armate addirittura, non era, non guardavano se. Perché erano odiati poi gli americani perché erano gli americani dicevano, che i russi non bombardavano perché erano troppo lontano. Invece gli americani erano quelli che bombardavano e venivano odiati perché erano loro che bombardavano.
ZG: Ma ehm, della possibilità che le ferrovie potessero venire bombardate lei lo sapeva già allora. Cioè chi glielo diceva?
AB: Eh me lo, eh si sapeva, cosa vuole, si è, si diventa svegli anche, quand’anche, anche se siamo bambini ma.
ZG: Senta invece volevo farle le ultime domande. Tornando al quartiere Isola. Quando mi diceva che aveva paura di attraversare la via in cui c’erano prima i fascisti e poi i tedeschi.
AB: Eh sì. Via Guercino guardi, e la Via Guercino c’era il comando tedesco e prima nella via, quella via lì che poi è attraversata da Via Guercino, c’era la Carlo Tenca ed era la sede delle Brigate Nere. Facevano, mettevano paura proprio, vedeva, sentiva questo passo cadenzato erano magari tre o quattro insieme [makes a thumping noise], le cose chiodate credo che avessero i, mettevano paura.
ZG: Ma avevano anche un atteggiamento nei suoi confronti oppure giravano delle voci su qualcosa?
AB: No, dicevano che erano cattivi e andavano a prendere i renitenti, renitenti alla leva venivano. Ogni tanto passavano le ronde, vero, ti ricordi? No, tu non te lo ricordi, io mi ricordo che nella nostra casa c’era un ragazzo, un ragazzo che era un poco più vecchio del e proprio lui che era il fidanzato di una sua amica che aveva la sua età, lui aveva forse due o tre anni più di lei e quando è stato chiamato che aveva giusto vent’anni è stato chiamato perché mandavano a chiamare no, con un foglio così e lui. I suoi hanno fatto così ma hanno fatto male perché poi vivevano male. Hanno chiuso una camera, l’hanno chiusa e come se non esistesse. Avevano tre camere e invece hanno fatto come se fossero due camere. E in quello lì c’era il ragazzo però ogni tanto lui si, guardava fuori dalla finestra e la gente della casa, guardando fuori, lo vedeva che veniva fuori. Poi lui era sparito, ‘sto ragazzo era sparito, perché era come noi, erano tre figli, lui in quella famiglia lì, era tre, di tre figli maschi. Invece noi, una figlia femmina e aveva 25, a quel tempo era del ’25, il primo, il Camillo avrà avuto, sarà stato del ’22 o del ’23, poi c’era il Franco che aveva l’età di mio fratello e poi c’era l’Antonio che era quello che mi accompagnava a scuola quando andavo a fare le medie, che aveva, era forse, io sono del ’32, lui forse era del ’31 o del ’30. E mi ricordo che mi, mi accompagnava lì in via e mia mamma mi lasciava andare perché se no cosa faceva. Io non potevo andare a scuola, lei non poteva mica venirmi a accompagnare che doveva lavorare [unclear] non faceva tutte queste e allora andavo. Erano proprio come una scalletta così e quando è sparito, che non si è visto più il Camillo, eh, dov’è andato a finire, poi abbiamo capito perché la sua casa, il suo appartamento era di tre camere e ad un certo momento si è trovato solo due camere. Perché era lì. Loro lì si vede che gli passavano da mangiare e via.
ZG: Ma ehm, lo hanno scoperto le autorità?
AB: No, non l’hanno scoperto.
ZG: Qaunto tempo ha passato così?
AB: Eh, avrà passato due anni. Eh sì. Ha vissuto male.
ZG: E poi è riapparso, finita la guerra.
AB: Poi è riapparso. Poi era fidanzato con, con la
MB: Con la Bruna.
AB: Con la Bruna.
ZG: Ehm
AB: Che poi non ha sposato però.
ZG: Senta invece, l’altra storia di quartiere, mi può parlarmi di quella di Don Eugenio?
AB: E di Don Eugenio era ritenuto una brava, una bravissima persona, infatti dopo, finita la guerra, è stato l’unico che ha messo su sulla. L’oratorio, nell’oratorio dove prendeva solo i ragazzi, i maschi, non era un oratorio misto. Però lui ha fatto, faceva i film al giovedì e alla domenica mi pare, i film che noi, il cinema non si andava al cinema, invece da lui si vedevano dei bei film, magari.
MB: La sera.
AB: Alla sera.
MB: L’Amante indiana.
AB: L’Amante indiana. Una volta abbiamo visto, sì, era bello. I film che magari non erano recentissimi però per noi erano recente perché non vedevamo mai niente. Cinema, dov’è che, c’era il Vox, c’era il Farini come qui nel, il Vox che era in Via Farini. E il Farini che è in Via Farini. E lì erano due cinema che c’erano in tutta la, in tutta l’Isola. Perché gli altri, non c’erano altri e noi si andava lì a. Ah, poi faceva il teatro e le parti da donna le faceva fare dagli uomini, neh. Eh perché non si usava fare, le ragazze, fate lavorare le ragazze. Però erano belle perché poi a un, ah, ecco dell’Alfredo e del Luciano. Nella casa di Don Eugenio poi era stata messa una famiglia di gente che veniva forse da Rovigo così, neh. Comunque insomma era stata messa che i Bussa erano andati a stare con il Don Eugenio a fare la mamma e la sorella, gli facevano da perpetua diciamo ed erano state, stavano lì in canonica con il e in questa casa è stato il Luciano, c’era l’Alfredo che aveva, era un pochettino più vecchio di te e il Luciano che era un pochettino più vecchio di me. Siccome era un ragazzotto che un po’ avventuroso, il Luciano l’ultimo figlio che ehm, non so, si era messo nei pasticci, era stato messo in prigione a San Vittore. Un ragazzo che poco più vecchio di me, avrà avuto, nel ’44 così avrà avuto, io quanti avevo, avevo dodici anni, lui avrà avuto un quindici anni eh. Era stato messo e allora lì. Sua mamma, siccome noi avevamo la legna, facevamo andare la stufa e avevamo la legna perché mio padre portava a casa dei rimasugli di legna e la sua mamma veniva sempre su da noi che così si scaldava e nello stesso tempo chiacchierava lì con la mia mamma. Mia mamma lavorava a macchina e lei, lei chiacchierava. Era grossa [emphasises], era grossissima. Sì, la mamma del, eh dai, dell’Alfredo, no, no, era, sarà stato un centocinquanta chili. E non avevamo né poltrone né sedie per farla sedere allora si sedeva in una cassa dove c’era dentro la legna, però un giorno si è seduta, l’ha sfondata [laughs], ed è caduta dentro la cassa. La cassa era una cassa di legno ma grande eh, grande così. Il coperchio si è rovesciato e lei è caduta dentro. È che da rompersi l’osso del collo, altro che fare il [unclear].
ZG: E questo, e Don Eugenio ha aiutato il, il ragazzo a San Vittore?
AB: Eh, credo di sì. Eh certo che l’avrà aiutato, avrà cercato di portarlo fuori perché era un suo protetto, era uno di quelli.
ZG: E voi avete scoperto che Don Eugenio ha aiutato degli ebrei e dei partigiani dopo, finita la guerra?
AB: No, questo l’abbiamo, questo l’abbiamo scoperto finita la guerra. Che abbiamo saputo che lui ha salvato degli ebrei e dei partigiani. Mentre invece, sono venuti. Questo l’abbiamo saputo dopo. E quello di, della, quando è stato, è stato un po’, è stato poi mica neanche tanti anni fa che l’hanno, hanno messo l’albero dei giusti. Perché sa che gli ebrei hanno una foresta fatta con gli alberi.
MB: [laughs] Perché sai che, sì [laughs]
AB: E perché, non è così? è vero. C’è una foresta fatta solo di alberi con i nomi dei giusti che hanno aiutato gli ebrei.
ZG: Senta, le faccio le ultime due domande. Il Pippo, cosa si ricorda del Pippo?
AB: E del Pippo dicevano che era un italiano andato in America, un americano che era diventato diventato americano e che veniva a bombardare [background noise]
AB: Buongiorno, scusi tanto. Dicevano così e, si diceva che fosse un italiano americano che avesse delle spiate di qualcuno che gli diceva dove buttare la bomba. Ma lo chiamavano il Pippo, non so io. Era noto dappertutto dicevano il Pippo. Stanotte arriva il Pippo perché guardavano la giornata, se era una bella giornata questo si sapeva quando si, quando era in. Noi, io ero sul Lago Maggiore, se era una bella giornata, oggi il Pippo va a Milano. E noi avevamo paura perché a Milano c’erano tutti, tutti quelli sfollati perché ce n’erano di sfollati lì sul Lago Maggiore.
ZG: Ehm, questa storia qua lì del Pippo chi la raccontava?
AB: Eh ma tutti lo dicevano. Parlando sì, tutti. Perchè vede anche mia sorella lo sapeva che, non sapeva niente mia sorella perché mia sorella non. Io invece parlavo con gli altri bambini, gli altri, perché giocavamo eh, nonostante la guerra, noi si giocava per la strada in Via Confalonieri, si correva, si faceva. Poi nella, nella nostra casa, in Via Confalonieri 11, c’era un bel cortile che adesso dopo ultimamente era diventato il box di tutta la gente che, ma un tempo. Che bel colore di pantaloni che ha, e molto, è vero.
ZG: Senta, proprio ultimissime domande. Lei sapeva chi vi bombardava?
AB: Dicevano gli americani.
ZG: Che cosa, che cosa pensava allora di chi bombardava?
AB: Eh male. Perché devono bombardarci, di colpa non ne abbiamo noi, noi gente. I civili che cosa devono fare? I soldati va bene, sono comandati, ma noi che non eravamo neanche comandati, non sparavamo mica a loro. Eh, bombardarci voleva dire farci fare la morte del topo proprio perché non potevamo scappare, potevamo andare via.
ZG: Finita la guerra, ha più ripensato a, ai bombardamenti, a cosa si provava?
AB: No, perché dopo, quando sono venuti gli americani, gli americani hanno portato l’UNRRA, c’era l’UNRRA che davano le stoffe,
MB: I vestiti.
AB: Che davano i vestiti, così e vabbè, ben, ringraziamo, cosa dobbiamo fare.
ZG: Senta, adesso che cosa pensa invece di chi bombardava?
AB: Eh sempre male perché non era mica giusto. Però d’altra parte anche noi che abbiamo tradito i tedeschi, cosa pretendi. E poi se la prendevano con noi, con la gente inerme, mentre invece erano i capi che avevano sbagliato eh. Il re per esempio si è comportato male.
ZG: Senta, ultimissimissima domanda. La casa di sass, la vostra casa. Esiste ancora?
AB: Sì, certo. Adesso c’è la targa proprio per il Don Eugenio. C’è la targa che all’11 di Via Confalonieri, lei vede la targa proprio che qui è stata la casa dove è vissuto Don Eugenio Bussa, uno dei giusti d’Israele mi pare, mi pare che ci sia. Che è bruttissima. Adesso però l’hanno un po’ rimessa a posto perché mi pare che abbiano messo l’ascensore. Figuriamoci che noi la facevamo tutta a piedi, adesso adesso chissà come farei.
ZG: Senta, io vi ringrazio moltissimo e concluderei l’intervista.
AB: Va bene. Che sono intervenuta quando non dovevo.
ZG: Ma no.
SB: Ma no, ci mancherebbe.
Dublin Core
The Dublin Core metadata element set is common to all Omeka records, including items, files, and collections. For more information see, http://dublincore.org/documents/dces/.
Title
A name given to the resource
Interview with Annunciata Buffadossi
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Annunciata Buffadossi recollects her wartime life in Milan. Annunciata stresses poor-quality housing in a low-class neighbourhood close to potential targets; emphasises how much she feared Germans and Fascists; and speaks with affection of her old house, a block of flats with shared balconies. Describes the effects of fire on her house and recollects how shelter life was like. Contrasts the boldness of her mother with the behaviour of her father, who was easily frightened in spite of his role as warden. Annunciata stresses her own care-free attitude, explaining how day bombings were welcomed as opportunities to skip school tests, and night attacks regarded as an annoyance rather than a serious menace. Mentions her brief evacuee experience which ended in 1943, when the bombing war intensified and the family resolved to face the danger together in Milan. Describes aircraft flying over Lake Maggiore, and how children tried to guess their target. Describes subterfuges to get food in spite of rationing, and mentions many war-related anecdotes: reprisals and post-war revenge, a draft dodger hiding in a concealed room for years, and military internees. Mentions Eugenio Bussa, one of the Righteous Among the Nations, explaining his benevolent activities, as well as his role as helpers of partisans and Jews. Tells many anecdotes of her relatives, especially in connection with the Duchess of Sartirana and her charitable activities. Describes Pippo as an aircraft piloted by an Italian American, who relied on information passed to him by helpers. Describes Americans as generally hated for the bombing of cities and killing innocent people. Links the bombing war with Italy’s change of allegiance and recognises the contribution of the allied after the end of the conflict.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Zeno Gaiaschi
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-05-28
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
01:19:20 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Po River Valley
Italy--Milan
Italy--Pietra Ligure
Italy--Pallanza
Europe--Lake Maggiore
Italy
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1943
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ABuffadossiA170528
PBuffadossiA1701
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
bombing
childhood in wartime
civil defence
evacuation
fear
Holocaust
home front
perception of bombing war
Pippo
Resistance
round-up
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/429/7719/PSamoreA1801.1.jpg
e970f52c44955a4c7c980c1c8f2cd057
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/429/7719/ASamoreA180508.1.mp3
bda870d1c8d283cfc98c40437b66a43a
Dublin Core
The Dublin Core metadata element set is common to all Omeka records, including items, files, and collections. For more information see, http://dublincore.org/documents/dces/.
Title
A name given to the resource
Interview with Alessandro Samorè
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Zeno Gaiaschi
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2018-05-08
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
01:16:15 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ASamoreA180508
PSamoreA1801
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Po River Valley
Italy--Milan
Italy--Santa Margherita Ligure
Italy--Domodossola
Italy--Portofino
Description
An account of the resource
Alessandro Samorè reminisces his early life in Milan, Domodossa, Portofino, and Santa Margherita Ligure. Provides details of life in youth fascist organisations, playing with homemade fireworks, and attempts to assemble an improvised scuba gear. Describes his attempt to join the ranks of the Decima Flottiglia MAS while still underage. Remisces the first Milan bombings detailing the aftermath of the much severer July – August 1943 attacks: disrupted rail and tram services, widespread destruction, ravaging fires, and inadequate antiaircraft defence. Describes the fall off the Fascist regime and mentions the temporary evaluation which took place every day at dusk, when people moved away from central districts. Describes the atmosphere inside a private shelter in the basement, stressing his care-free attitude and lack of danger awareness. Adds details on some episodes which happened in the last stages of the war: black market, strafing, SS brutality, street killings, propaganda flyers, the bodies of Benito Mussolini and other top brass fascists being desecrated at Piazzale Loreto, and post war revenges. Elaborates on the legitimacy of the bombings (seen as an unavoidable consequence of the state of war), stresses his fatalism, and claim to have no hatred for bomber crews.
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1943-07
1943-08
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Conforms To
An established standard to which the described resource conforms.
Pending OH transcription
anti-aircraft fire
bombing
childhood in wartime
evacuation
home front
Mussolini, Benito (1883-1945)
shelter
strafing
Waffen-SS