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Title
A name given to the resource
Nocchieri, Franco
Franco Nocchieri
F Nocchieri
Publisher
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IBCC Digital Archive
Description
An account of the resource
One oral history interview with Franco Nocchieri, who recollects his wartime experiences in Pavia and Voghera.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
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Date
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2017-02-02
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Nocchieri, F
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
FA: Sono Andi Filippo e sto per intervistare Franco Nocchieri. Siamo a Gropello Cairoli in provincia di Pavia, è il 2 febbraio 2017. Ringraziamo il signor Nocchieri per aver permesso questa intervista. E’ inoltre presente all’intervista Carlo Intropido, amico dell’intervistato. La sua intervista registrata diventerà parte dell’archivio digitale dell’International Bomber Command Centre, gestito dall’università di Lincoln e finanziato dall’Heritage Lottery Fund. L’università s’impegna a preservarla e tutelarla secondo i termini stabiliti nel partnership agreement con l’International Bomber Command Centre. Signor Nocchieri, vuole raccontarci la sua esperienza durante il periodo, diciamo della Seconda Guerra Mondiale?
GN: Sì, sì, Allora, esperienza della guerra, vediamo un po’. Posso cominciare da Casteggio. A Casteggio c’è una zona che si chiama il Pistornile e là c’è, c’era, penso che ci sia ancora, un istituto o un orfanotrofio, giusto? Quando c’era la guerra io sono stato lì, da ragazzino, proprio, no. Il problema, il problema qui è, era la fame, lì si soffriva proprio la fame era fame, perché sia a mezzogiorno come la sera, patate in brodo. Una scodellina di alluminio, perché adesso non è di alluminio, no, tant’è che l’alluminio veniva su con roba bollente, no. Mezzogiorno, sera, patate, e noi altri ragazzini, era talmente la fame che scavalcavamo il muro eccetera eccetera e andavamo a rubare il fondo del, il crostone, così in dialetto, della verza, non il crostone dentro la verza ma quello proprio, per far la fame, per eh. E sì, poi qui, siccome poi, sì, era ormai iniziata la guerra no, c’erano ancora i materassi con dentro, come si chiama quel coso lì, del, del, le pannocchie, come si chiamava quelle cose lì? La, la.
CI: Il granturco.
FN: Del granoturco, la pannocchia. Allora i materassi erano fatti con quello, ecco.
CI: Ah.
FN: Lo sai, io non lo so, penso, cioè eh. Comunque. E poi in questo istituto c’era il problema della notte per le cimici. C’erano tante di quelle cimici che ogni tanto cercavano di pulire un dormitorio di cento ragazzini. Che, ogni tanto, cercavano di pulire e col martello picchiavano sui letti e volavano giù tutta una striscia di cimici [laughs] e veniva poi pulito con lo zolfo. Mettevano lo zolfo in mezzo a questo camerone, lo bruciavano e, e poi ritornavano, ecco questa era la vita di allora. Questo in grosso modo, no. Casteggio. Perché, e no, tu non puoi parlare perché se parlate così, mi fa le domande lui forse io vado più avanti no, perché sono stato lì, perché ero stato preso, adottato da una persona, che era un po’ matto, allora non si guardava tanto, adesso per adottare un bambino, per dire, c’è una burocrazia che ti, taccate al tram, beh sai una volta andavi al nido qui a Pavia e o bene o male prendevi un bambino e te lo portavi a casa. E io sono finito così uno che aveva poi, eh, che aveva l’osteria che poi racconto man mano vado avanti no, ecco. Ed ero andato a finire quel, quello lì di quell’osteria a Reggio, come lo chiamavano. Siccome era un donnaiolo, aveva l’osteria no e per liberarsi di me mi metteva negli istituti. Dopo mi veniva a prendere a secondo i suoi giri così. Beh, questo era la’, poi c’è, andiamo a Voghera, Voghera, qui incomincia sempre in un orfanotrofio cui ero e qui la scuola, una volta facevano, venivano promossi quelli che agli insegnanti davano il salame e invece io a Voghera mi avevano promosso in base ai bombardamenti, no. Cioè, ero in un istituto, proprio in fondo di Voghera, era una scuola professionale che era davanti alla stazione, giusto? Voghera. Non mi ricordo più come si chiama quella lì, niente. Eh beh, andavo in quella scuola. Però di scuola ne ho fatta pochissima perché come partivamo dall’istituto, eravamo quattro cinque ragazzi, beh, quando andavamo in istituto, quando eravamo a metà strada suonava l’allarme. E noi eravamo contenti, perché invece di, invece di andare a scuola andavamo in giro per la strada a giocare, ma però, quando suonava l’allarme, a scuola non si entrava. Quindi quasi tutti i giorni era così, di conseguenza, un giorno di scuola, un giorno sotto i bombardamenti. Perchè lì bombardavano per ore, non hanno mai preso la scuola, ma gli aerei hanno incominciato a rompere le scatole. E invitavano di andare nei rifugi ma io come ragazzino, noi ragazzini ci guardavamo bene dall’andare nei rifugi. Quando arrivavano gli aerei così, per noi era tutto un, eravamo quasi contenti perché vedevamo questi aerei [makes a noise] e che, questo Voghera. Naturalmente il problema della fame, a Voghera io non l’avevo perché nell’istituto bene o male si mangiava. Poi avevo una tessera del pane falsa, ma o bene o male con la tessera del pane, ma insomma, con il mangiare o bene o male ce la cavavamo, tempo di guerra. E poi, e poi dove incomincio, boh, dove, dove, ecco, allora. Io abitavo nel paese Campospinoso Albaredo, sai dov’è? Campospinoso Albaredo è stato proprio la mia vita fino a quando è finita la guerra, no. Dunque, di Campospinoso Albaredo posso dire per esempio quando arrivavano i tedeschi, che arrivavano con cannoni, mitragliatrici, su carri trainati da cavalli, ma tanto belli e grossi, e passavano e noi ragazzi tutti contenti perché vedevamo tutte ste cose qua. Poi, ah, nel paese, lì a Campospinoso Albaredo la fame non c’era proprio come paese perché le uova o bene o male c’erano. Poi c’era un macellaio che uccideva tutte le settimane la sua mucca poi c’era chi uccideva il maiale, l’unico problema sì a volte mancava la carne, lo zucchero però si salvava coi gatti, lì i gatti ne giravano ben pochi perché mi ricordo io che mangiavamo i gatti come si mangiava un coniglio in tempo di guerra. In tempo di guerra era un po’ spinoso beh! E i tedeschi non hanno mai mai mai mai disturbato per la verità eh, passavano poi avevano fatto una specie di accampamento ma lasciavano vivere. [pauses] Dunque più che i tedeschi davano fastidio i repubblicani, i fascisti, quello lì sì, i repubblicani, durante, io parlo perché ero dentro, in un’osteria no, qui facevano da mangiare eccetera eccetera, lì quando era mezzogiorno mi pare sì, c’era il giornale radio che parlava il Duce e bisognava alzarsi in piedi. Se uno non si alzava in piedi intanto che c’era il telegiornale erano guai seri. Potevi essere prelevato dai fascisti, prelevato e andavi a finire a Villa Triste Broni e lì, beh, lo sai, potevi sparire completamente, no? quello lì. Dunque, ah, sì. I tedeschi, i tedeschi, eh dunque, i tedeschi, c’era l’osteria, l’unica volta che hanno dato fastidio è che sono venuti lì a cena una sera, erano una qundicina o più, hann cenato, tutti armati eh! Han cenato lì eccetera, poi hanno incominciato a bere, si sono scaldati un po’, eh me lo ricordo proprio, ero un ragazzino insomma no, ecco, e a un bel momento si sono levati proprio tutti tutti proprio nudi come dio li ha creati, tutti eh, e hanno cominciato a cantare e bere, cantare e bere, così sono andati avanti per un po’, poi sono scesi in una, c’era una cantina grossa sotto nella osteria, sono scesi in quella cantina lì e hanno aperto tutti i rubinetti delle botti, io ero terrorizzato perché poi dopo il Risù cher era quello che mi aveva preso in adozione era andato a dormire e m’ha lasciato da solo. Io ero terrorizzato, non tanto per i tedeschi ma ero terrorizzato da questo Risù perché poi alla mattina le botte erano tutte mie, no? Comunque hanno fatto un disastro, se ne sono presi e sono andati. L’unica cosa, no, no, no, loro non hanno pagato, no no, hanno mangiato e hanno bevuto e tutto, continuavano a ballare per l’osteria, lì così nudi nudi, poi sono andati alcuni nudi hanno preso il loro fucile e se ne sono andati e buonanotte suonatori. Che avevano un accampamento lì. Però nel paese poi era arrivato il terrore, c’è stato un momento che era arrivato il terrore dei mongoli. Perché si diceva che erano arrivati i mongoli che prendevano le donne, via eccetera. E il paese c’è stato una volta che era stato terrorizzato per questo, che c’erano, che erano poi, erano arrivati alla frazione lì attorno, non mi ricordo più le frazioni, per andare a San Cipriano giù di lì, c’erano delle cascine e questi mongoli, che erano arrivati insieme ai tedeschi, li chiamavano mongoli, poi io non so se erano mongoli, quel che erano. Andiamo avanti. Il pericolo soprattutto in questa osteria era Radio Londra perché c’era il Risù così che non era un fascista, no, e lui riceveva, tramite Radio Londra, e poi trasmetteva ai partigiani, tutto di nascosto. Io ero lì e di notte lui accendeva Radio Londra e l’ascoltava, io ascoltavo, ma eh, però era, di quello io avevo paura, seppure come bambino in sostanza, capivo e avevo paura perché se ti prendevano mentre ascoltavi Radio Londra ti fucilavano sul posto lì, non c’era via di scampo. Dunque, poi andiamo avanti. I tedeschi quando poi c’è stata quasi il fine della guerra, i tedeschi si ritiravano no e come erano andati giù tornavano indietro coi carri coi cannoni e allora c’era un ordine quasi tacito di non disturbare e di lasciarli andare, a lasciare passare perché poi hanno cominciato i partigiani e dei partigiani avevamo paura che disturbassero queste colonne, no, allora anche quelli i tedeschi avrebbero reagito e allora come tacito passavano zitto lì eccetera. Mentre invece poi qui al Ponte della Becca tre o quattro cinque partigiani, quello sono testimone, hanno arrestato un cento o più di tedeschi perché si sono messi d’accordo mentre i tedeschi si erano raggruppati lì, prima del Ponte della Becca, a Campospinoso andando giù verso Pavia, Tornello, è il paese, Tornello, subito dopo Tornello si sono piazzati i tedeschi e quattro cinque partigiani hanno fatto del fracasso, cioè quattro cinque, uno qui, uno là, uno là, uno sparava, l’altro dava ordini, l’altro così, e invece erano solo quattro, cinque. I tedeschi si sono spaventati e si sono arresi quattro, cinque uomini, in sostanza, no. Andiamo avanti. Oh, poi arriva, ah beh sì, quando ero ragazzino c’era il Balilla [laughs] c’era il Balilla che il Risù, sempre quello che mi adottava, non ne voleva sapere, di fatti io sono stato uno dei fortunati che non ha messo su perché era obbligatorio mettere su la divisa con tutte ste’ cose, i ragazzini ci tenevano, non perché erano fascisti ma da ragazzini avere una divisa così, poi, invece io sono stato esonerato però io ero, c’era la sede dei fascisti era proprio a fianco della osteria dove, che l’osteria era responsabile di quel locale, un grande salone, che poi, finito la guerra è servito come balera insomma, no, e lì c’era una biblioteca con diversi fucili e la biblioteca io prendevo i libri, mi piaceva leggere, no, libri del Salgari allora eh, e poi i fucili, mi divertivo con i fucili, li prendevo, andavo fuori nell’orto, sparare così, racconto cose così, siccome hai detto di raccontare e io racconto quel che mi viene in mente, no, poi comincia la Radio Londra l’ho detto no? . Ecco, per cominciare la, i bombardamenti, ecco, qui sì, dunque. Bombardamenti io mi ricordo che incominciavano a arrivare i caccia quattro cinque caccia, facevano un bordello di quei bordelli, ma come quando passano quelli aerei supersonici, lì, i Tornado, ecco, era quel rumore lì, ne arrivavano quattro cinque insieme, tutti [unclear] e arrivavano all’improvviso no e giravano sempre intorno a il Ponte della Becca, prendevano verso Pavia ah, eh non mi ricordo più, beh, c’era un posto che era una polveriera, una polveriera grossa, adesso sono tutte case, non so se sai dov’è, allora, passi il Ponte della Becca, vai avanti, poi c’è la strada, beh insomma è un punto che c’è una grande curva che poi sono ritrovati arrivi a Pavia il [unclear], una volta era Darsu, una grande curva, la strada che va giù, una grande curva, orca, non mi ricordo più i nomi, prendi la cartina e vedi. Beh, adesso son tutti villette, case, lì c’era la polveriera, e questi caccia giravano intorno al Ponte della Becca e a quella polveriera lì perché lì i tedeschi avevano messo giù la contraerea e la contraerea, quando arrivavano i caccia, sparava ma poi un bel momento i caccia lo facevano tacere [laughs] mi sono spiegato, se no, sì, piombavano e bombardavano anche, no. Per esempio, il Ponte della Becca l’hanno bombardato un centinaio di volte, l’hanno mai buttato giù, lo foravano, l’hanno buttato giù i caccia l’ultimo giorno di guerra. E allora sono andati giù, hann buttato giù i piloni di là, un pilone e una volta sul Ponte della Becca io giravo con la bicicletta e avevo un’anguria di dietro. Venivo verso Broni e l’hann bombardato io c’ero sopra, l’hann bucato però non mi sono fatto niente. Ho portato a casa un anguria intera [laughs]. Ponte della Becca. Arrivano i caccia. Quando i caccia erano riusciti a fare tacere l’artiglieria, allora arrivavano i bombardieri. Arrivavano parecchi, no, quattro cinque qui, quattro cinque là, avevano un rumore poi anche strano, una cosa e lì lanciavano giù le bombe sul Ponte della Becca, sul, su quella polveriera lì e sul Ponte del Ticino e noi ragazzi dei genitori non ce ne siamo neanche accorti dalle case perché i caccia mitragliavano eh, non scherzavano mica, facevano di quelle mitragliate e noi invece fuori a guardare perché era, ci piaceva vedere, no. Erano tremendi quei, quelli lì, quei caccia lì erano americani, non so qual’è, però erano anche cattivi perché per esempio correvano dietro a chi andava in bicicletta. Se vedevano una bicicletta sulla strada, quella la facevano fuori. C’era uno lì che era un sordomuto che andava in giro con un carretto con i buoi, carro con i buoi no, ma lui non sentiva, andava tranquillo [laughs]. L’hanno fatto fuori, proprio. Erano tremendi eh! Sparavano, andavano di quà, li sentivi e vedevi proprio le mitragliate che se vedevano sulla strada era verso sempre le quattro, tre e mezza, le quattro, se vedevano qualcuno sulla strada, quello aveva finito di vivere. I caccia, i bombardieri no, i bombardieri buttavano giù le loro bombe poi le vedevi poi eh, poi se ne andavano e via. Tutti i giorni, più o meno tutti i giorni, ma per un bel po’ eh. La polveriera l’hann fatta saltare parecchie volte che poi da Campospinoso Albaredo si vedevano proprio le fiamme, che venivano su, le botte via eccetera no. Eh, sempre in fatto di bombardamenti, il Pippo, famoso Pippo, no, che, quello proprio l’ho vissuto in pieno io, il famoso Pippo, no, che arrivava lì, lì le luci, se vedevano un lumino era, era, [laughs], e il Pippo arrivava alla sera sempre a un certo orario e buttava giù, questo lo posso testimoniare bene, buttava giù degli oggetti come delle navi, ne avevo una io, navi in miniatura, ma belle eh, io ne avevo una, disinnescata me l’avevano, erano proprio anche fatte bene, oppure aeroplanini oppure penne stilografiche e naturalmente Pippo le buttava giù, no, oltre che prendere le luci, se vedeva una luce, un lucino, appena appena, si accendeva un fiammifero, quello lì lo vedeva, era tremendo e buttava giù sti oggetti e noi naturalmente da ragazzini incoscienti andavamo a raccoglierli. Poi siamo stati avvisati che. Comunque c’è stato, questo lo racconto perché mi è sempre poi rimasto anche in mente. C’è stato un ragazzino della mia età no, eravamo sempre in gruppo, no, e ha raccolto un bordello di queste cose qui. Non sapevamo ancora che avevano questo effetto e ha raccolto e si è messo nella testa di andare a pescare. Buttandole dentro secondo noi, no, buttandole scoppiavano. E difatti siamo andati in riva al Po e io non so qui e lì sempre ci siamo sparsi per venire ed il pesce così così, lui è rimasto da solo e buttava dentro queste cose qui. E poi un bel momento una è scoppiata, l’ha fatto scoppiare queste, l’han raccolto su col cucchiaio quel ragazzino lì. E’ scoppiato anche lui, tutto un. Bene. Disgrazia vuole che fanno il funerale a questo ragazzo, tutto una fila, il paese Campospinoso aveva, c’era una strada dritta che andava a Baselica, un paesino lì, una frazione, un paesino, allora era una frazione, dove c’era il cimitero. Su quella strada lì vuoi mica dire che arriva, che arrivi i caccia proprio mentre c’è il funerale un fuggi fuggi generale nei fossi hanno mitragliato la cassa perché poi non c’erano i carri, la macchina, quando facevano un funerale portavano tutto a spalla no, e quello che avevano, portavano in spalla sto ragazzino che poi c’era dentro della carne tutta maciullata l’hann messo giù, preso in mezzo alla strada, son scappati nei fossi, hanno mitragliato anche la cassa, l’hann forata in un modo, una mitragliata di quelle lì, no, quando sono andati via poi hanno continuato il funerale con tutta sta cassa rotta. Mah, niente. Ecco questa, la storia, questa era del Pippo. Dunque, ecco, quindi, maciullato durante il funerale. Ponte Becca, dunque, poi io non so cosa devo raccontare ancora, fame no, della Becca. Ah sì, io, per mangiare, io come ragazzino sempre su ordine di quel pazzo, io lo chiamo pazzo, mi mandava a prendere il formaggio ad Albuzzano. Albuzzano c’era uno che aveva, allevava maiali, aveva una specie, faceva del formaggio, il burro, e io, ecco da Campospinoso andavo in bicicletta ad Albuzzano. Però io ero sempre terrorizzato perché alla fine del Ponte della Becca c’erano sempre lì i tedeschi che fermavano tutti, chi era in bicicletta magari gliela portavano via e io passavo lì col zaino e [pauses] non mi hanno mai fe rmato né niente e che quando tornavo col zaino dietro, con il formaggio, specie di formaggio, il formaggio, il burro eccetera, quelle cose lì, avevo il terrore che mi fermassero, non tanto il terrore dei tedeschi quanto per il Risù, quello lì era il motivo che poi prendevo un bordello di botte perché avevo avevo preso tante, se la prendeva con me mica coi tedeschi quello lì, ecco. Non mi hanno mai fermato, sono sempre passato avanti e indietro, quasi tutte le settimane con la mia scorta di formaggio, me la sono cavata così. Andiamo avanti. Ecco, poi allora qui siamo già [pauses] per tenere, c’era andavo a Stradella con la bicicletta a prendere il ghiaccio perché allora per tenere fresca la roba c’erano dei piccoli frigoriferi, scatoloni, mettevi dentro il ghiaccio e sempre con il pericolo dei caccia eh, perché, però me la sono sempre cavata fuori. Poi, vediamo un pò, andiamo avanti, eh!, E poi comincia la, i partigiani. Dunque, nei partigiani, è successo che, era tutto su lì, Cigognola, sulle zone, , sulle colline di Broni, no, Cigognola, tutti quei posti lì, partigiani del paese, ero andato su a fare il partigiano, no, però l’inverno [laughs] faceva freddo e sulle colline non vivevo e allora sono ritornato al paese, c’era un segretario che si chiamava podestà, podestà, era una brava persona e invece di farli, arrestare è andato d’accordo con i tedeschi in modo che, hanno, c’era, hanno organizzato la Todt, si chiamava la Todt, per fare le trincee sull’argine del Po, che era divertimento per noi ragazzi perché ci andavamo dentro poi a giocare, no, e hann fatto la Todt tutti sti giovani sono andati lì se la sono cavata fuori, però poi sono saltati fuori i fascisti, quelli sono diventati pericolosi più, ma di un bel po’ più dei tedeschi che poi era venuto un po’ anche l’odio, sai com’è, no. C’è stato un giorno che io ero a Broni e tornavo verso il paese. Quando sono arrivato davanti al cimitero di Broni, quattro cinque partigiani, no, fascisti, fascisti, quattro cinque fascisti mi, m’hann fermato, ero ragazzino, mi hanno fermato e mi hanno detto: ’Vieni, vieni qui perché tu sarai testimonio di quello che facciamo’. E lì c’era la ferrovia, sotto lì c’era la ferrovia, c’erano, cosa sarà stato, una quindicina di giovanotti, vero, e quattro e quattr’otto li hanno uccisi tutti e io ho visto, proprio visto, no, che coi mitra, lo Sten, avevano lo Sten loro, una specie di mitra che era lo Sten, tutto vuoto così, li hann fucilati e ‘adesso tu vai in paese e avvisi che noi abbiamo fatto questo’ e io sono andato in paese e ho detto: ’guarda, i hanno fatto questo e questo’. E c’erano dentro dei giovanotti del paese di Campospinoso Albaredo quello, che quello mi è rimasto impresso anche quello. Dunque, poi, e poi basta [pauses] e adesso io più o meno io ho raccontato quello che mi è venuto in mente poi non lo so, adesso sta a voi farmi le domande.
FA: Come, vuole dirci come si chiamava quello che lei chiama Risù, di nome?
FN: Ah, beh è morto, sì, Bruschi Alessandro. Quello lì, sì, era tremendo quello lì, è stato proprio il mio carnefice sotto un certo aspetto, no, poi dopo io un bel momento quando sono arrivato a quindici anni non ce l’ho più fatta.
CI: Fiorentini non l’hai mai visto?
FN: Fiorentini?
CI: Fiorentini, la belva, quello che comandava?
FN: Ah, sì, sì, ecco, questo potevo, questo era di Varzi, quello lì, o no? Bravo, quello l’ho visto. Cioè l’hanno fatto passare per il paese di Broni anche dentro una gabbia con un carro tirato dai buoi fino a Pavia e lui era dentro e naturalmente quando passava per il paese chi con l’ombrello, chi sputava, chi, quello l’ho visto sì. Fiorentini deve essere stato. Sì, sì, sì, sì. Poi dopo tutto questo, questo Risù, quando sono arrivato a quindici anni, poi non ce l’ho più fatta perché lui, lui picchiava sempre, no, e allora mi sono ribellato e sono scappato, via. Lui ha chiamato i carabinieri, carabinieri sono venuti da me, ma io detto: ’quello non è mio padre, se mi portate indietro poi io scappo ancora’. E i carabinieri allora, si sono fatti vedere una volta, non mi hanno mica detto più niente. Poi dopo io ho fatto tutta un’altra vita che poi sono entrato nell’Artigianelli, ma la guerra era finita oramai. Io gli Artigianelli li ho fatti, sì proprio alla fine della guerra. Perchè dopo io sono andato, ho trovato tutti bei genitori lì, poi è stata lunga la faccenda, no, tutto lì.
FA: E quando bombardavano il Ponte della Becca, la polveriera, era di giorno quindi?
FN: Sempre di giorno, i caccia e i bombardieri, sempre di giorno, sempre nel pomeriggio, più o meno dalle tre e mezza alle quattro, praticamente tutti i giorni quelli arrivavano, prima i caccia che facevano un bordello che durava anche una bella mezz’ora e più, che andavano e poi tornavano, andavano [makes a droning noise] facevano poi non li sentivi più, poi tornavano e facevano diversi giri. Poi veniva un silenzio mortale perché poi dopo bisognava raccogliere i cocci, per dire, no, per vedere i disastri che facevano, no, e poi toccavano, e allora poi arrivavano i bombardieri che li sentivi proprio da lontano, facevano anche rumore [makes a droning noise] impressionava anche se, tra l’altro, no, e bombardavano quasi sempre sempre sempre. Come arrivavano i bombardieri dopo bombardavano. La contraerea veniva messa a tacere, vero, e allora i bombardieri arrivavano tranquilli, anche il Pippo, la contraerea non riusciva mai a fare niente perché puntavano quei famosi fari, no, un po’ ma non lo buscavano mai perché poi tra l’altro Pippo veniva, girava sopra a bassa quota. Si credeva sempre che era in alto, no, ma invece era sempre a bassissima quota Pippo anzi sì, se era un giorno o una notte con la luna così rischiavi di vederlo, se era buio buio non lo vedevi però se era lo vedevi proprio, sempre a bassa quota è stato Pippo. La gente ha sempre creduto che era in alto, chissà dove, ecco perché la contraerea non è mai riuscito a prendere quegli aeroplani lì che loro con i fari andavano in alto ma lui era in basso. Non so più cosa dire.
FA: E’ mai riuscito a vederlo lei?
FN: Sì, sì. Ah io, poi tra l’altro ero curioso, ero tremendo, ero un po’ il capogruppo di sti giovanotti, quei ragazzotti lì, no, e anche quando arrivava Pippo io scappavo fuori dall’osteria così e di notte per vedere eccetera, non stavo fermo un minuto, sono riuscito a vederlo sì, parecchie volte. Sempre di sfuggita eh. [unclear] Dava un senso che era sempre lì invece era dappertutto. Correvi da una parte lo sentivi di là, correvi dall’altra lo sentivi, era sempre, magari, magari erano anche in due o tre, di quei aerei, però dava il senso sempre di uno, il Pippo, così chiamato, così famoso, per noi ragazzi era una, era quasi una, ma ci piaceva anche per dire, non ci rendevamo conto del pericolo, per quello che.
FA: Non avevate paura?
FN: No non, io non ho mai avuto paura, no no no. Io l’unica cosa che avevo paura era Radio Londra, Radio Londra.
CI: Posso parlare?
FN: Parla!
CI: Tant’è vero che Pippo avevamo pensato che a un certo momento che non era uno, erano in tanti.
FN: Sì eh.
CI: Si trovano dappertutto. Lui lo conoscevano tutti, lo vedevano tutti in tutti i posti, sempre lo stesso orario.
FN: Sì, sì, erano tanti.
CI: A un certo momento, ma sono in tanti, non può essere solo uno.
FN: Per noi era.
CI: E’ qui, è là, era, è dappertutto.
FN: Cioè per noi, peri noi tutti, anche la gente così, era uno, difatti, Pippo era uno. Però chissà quanti erano in giro perché il rumore era sempre quello, in qualsiasi angolo dove andavi, sentivi sempre quel rumore lì, quindi erano in tanti. Però era uno. Come dire [unclear], loro facevano il loro dovere, no. Gli adulti avevano paura, ma noi ragazzi no, neanche dei caccia così, noi non avevamo paura. Per noi era un soprappiù, era vorrei quasi dire un divertimento, un divertimento perché era anche un po’ una novità vedere sti bolidi, quegli apparecchi, il baccano, poi le mitragliate, perché vedi, ci sono state parecchie volte che vedevi proprio le pallottole che viaggiavano davanti a te perché quelli lì. E c’era la lomba, ecco qui, lo sfollamento, Milano, i Milanesi che si scaricavano proprio a Broni, tutti quei posti lì, no. C’era la Lombarda, che era la società di corriere, era così famosa, le corriere che andavano a Carbonella doppie col mantice in mezzo, quelle sempre puntuali alle sei, non sono mai state bombardate né mitragliate, si capisce che forse c’era una specie di accordo perché partivano da Milano, venivano a Pavia e se, erano sempre un quattro cinque corriere, neh, doppie, alle sei Campospinoso Albaredo alle sei passavano, si fermavano all’osteria perché si fermavano a bere eccetera eccetera, no, cariche anche fin sopra, andavano a Carbonella ma quelle cariche di persone, uomini, donne, di tutti i colori, arrivavano e andavano verso Broni, Stradella, così, la Lombarda si chiamava, sai perché quello me lo ricordo! Però non sono mai stati mitragliati. Mitragliavano uno in bicicletta, per dire, mentre quelli lì non li hanno mai, mai, mai toccati. Si capisce che, come ho detto, o era un accordo o sapevano che erano sfollati perché gli aerei li vedevano quelli lì eh perché erano grossi così quelle corriere, non so se c’è ancora quella società lì a Milano la Lombarda, non lo so. Però era quella insomma. Fate domande voialtri vi rispondo.
FA: Invece quando era a Voghera che era più piccolo, andavano sulla stazione?
FN: Solo sulla stazione.
FA: Solo lì.
FN: I caccia. Solo sulla stazione, almeno io, per me era quello. Ma però mica sempre bombardavano. Passavano tutti i giorni praticamente perché noi partivamo lì da quell’istituto lì, sì, traversavamo, perché era proprio l’inizio dove c’era, non so se il prato con le carceri, le carceri, davanti c’era quell’orfanotrofio lì, traversavamo tutto Voghera, e suonava, quando eravamo a metà Voghera, a metà strada, suonava l’allarme, che noi l’aspettavamo, cioè noi ragazzini andavamo a scuola, speriamo che suona l’allarme, speriamo che suona, la scuola, suonava l’allarme e loro, sai, tutta la gente scappava nei rifugi. , Noi invece scappavamo, quel fiume, no il fiume, fiumiciattolo, era cioè la Staffora, quando era in piena era tremendo, la Staffora c’era, c’era, c’è ancora, no, scappavamo lì, giocavamo lì, a tirare sassi. E lì bombardavano o se non altro passavano per spaventare più che altro. Naturalmente le scuole venivano sospese e noi siamo sempre stati promossi lo stesso. C’era la maestra di italiano che era una sfegatata, una fascista, beh stavo dicendo, una [unclear], una fascista ma era brava come e nell’esame finale, per essere promosso, mi ha chiamato: ‘Nocchieri!’. Bisognava alzarsi in piedi sull’attenti perché allora che eran tutti , e ‘chi sei tu?’, eh beh non so neanche come mi e’ venuto in mente: ‘sono un italiano e amo la mia patria’, seduto, promosso. Io sono stato promosso in italiano con quella frase lì [laughs]. Per dire no, e ora c’era un maestro, un insegnante, era un prete, lo chiamavamo Bà. Bà, l’era cattivo, aveva sempra una verga in mano. Bà se non sapeva, non rispondeva, ti chiamava davanti a lui, con la verga, ti faceva mettere le mani cos’ì, no, e poi ti picchiava il Bà. Se per disgrazia tu facevi così ne prendevi dieci volte il doppio. Diventava cattivo, picchiava, però ai ragazzi, c’erano dei ragazzi che venivano dalla campagna, no, e li mandava fuori dalla scuola scavalcando un muro a prendere, farsi dare una gallina, o le uova, e quelli erano fortunati perché quelli che avevano la cascina, che avevano le galline, andavano a casa, prendevano la gallina e gliela portavano, invece io, con altri, eravamo un quattro cinque, dell’orfanotrofio, dove andavamo a prendere le galline e insomma io, alzo la mano, vado a prendere e mi ha lasciato andare io e un altro e quando siamo rimasti fuori dalla scuola, e adesso cosa facciamo, dove, come facciamo a portare una gallina, quello se, se non portiamo una gallina ci da tante di quelle botte, stiamo, e noi siamo andati a rubare le galline [laughs], beh in un pollaio abbiamo rubato le galline abbiamo, sai, le avventure della scuola. Della guerra perché quello lì si capisce che aveva sempre fame, no, e allora lo mandava, non poteva andare fuori adesso viene neanche da parlare, ma allora e vabbè, c’è chi mandava a prendere le uova o bene o male bisognava tornare indietro con qualche cosa e allora noi, per non essere interrogati o giù di lì, chiedevamo di andare fuori di scuola ma per noi era brutta perché non avevamo i genitori, la cascina, loro, bisognava andare raccontando, c’era un ragazzo che era diventato, ma quello era grande, cleptomano, tutti i giorni andava dentro in qualche negozio e rubava o un salame o delle scatole di marmellata o rubava, o lo zucchero, rubava sempre un bordello, noi lo sapevamo, quando arrivava in istituto, cioè un collegio non era un istituto, ero, , arrivava in collegio, gli buttevamo su una mantella sulla testa, gli portavamo via tutto [laughs] e lui il giorno dopo era daccapo, tanto per divertimen to, per dire! . Sì perché c’era l’orfanotrofio c’erano i maschi da una parte e le femmine dall’altra e naturalmente noi maschi quelle, [laughs] le femmine le erano un po’, su, mi spiego, e allora cercavamo di andare di nascosto dalle femmine ma c’erano sempre le suore che ci bloccavano e le studiavamo in tutti i modi per cercare di andare di là. Le avventure di istituto. E in tempo, sì in tempo di guerra lì, ecco, c’era un orto grandissimo lì dietro l’istituto in cui si erano piazzati, hann messo giù le tende tutto, gli indiani, mi viene in mente adesso, un accampamento di indiani. Dall’alto dell’istituto si vedeva questo accampamento. E noialtri, io sempre in testa perché le combinavo sempre, le tende eravamo convinti che c’era qualche cosa di buono, del cioccolato, così, e allora buttavamo giù i cuscini in quell’accampamento lì l’inizio, però per andare là bisognava passare dove c’era il reparto delle femmine, e o bene o male aspettavamo che passassero suore, c’erano delle suore un po’ anzianotte, e quando passava una suora, due o tre sotto là e zac!. E c’è stato un giorno che abbiamo portato via un sacco, no, due o tre sacchi di roba così. Eravamo convinti che era zucchero, li abbiamo portati su nelle camerate e poi quando li abbiamo aperti era tutto pepe e allora pepe dappertutto, un disastro solo, da ragazzi, mi è venuto in mente adesso. Li indiani, c’erano anche indiani in tempo di guerra, sì, sì, me lo ricordo, il pepe, lì eccetera. Avevo una bomba a mano io. C’era uno del mio paese che è stato chiamato a fare il militare e allora era stato traferito lì nella ferrovia, la stazione di dietro lì[unclear], le ferrovie insomma ecco, faceva il militare lì. Io quando ho saputo che era lì, allora andavo a trovarlo con un altro compagno così, perché ho detto, la fame non era un problema ma c’erano dei momenti che facevi la fame anche lì, no, la fame è la fame! E allora quando andavo lì a trovare questo amico, diciamo così del paese, preparava sempre qualcosa da mangiare, ci dava da mangiare sempre in due, traversavamo tutti i binari, nessuno ci diceva niente, traversavamo i binari, andavamo lì, ci dava da mangiare. E un giorno mi ha dato una bomba a mano, la Balilla, si chiamavano Balilla quelle lì, e me l’ha data lui e ero diventato il padrone dell’istituto con quella Balilla, del collegio con quella Balilla lì. Poi lo sapevano tutti che l’avevo e allora tutti avevano paura di me [laughs]. Poi un bel momento glielo data indietro perché mi aveva spiegato di non tirare questa qui, se no scoppiava e allora poi glielo data indietro. Tempo di guerra, eh. Dunque, sì poi c’era quello lì, l’ho detto, accennato, che ecco, di qui anche i ragazzi avevano paura. C’era la Villa Triste a Broni. Proprio dove c’è la piazza a Broni grande lì c’è ancora quella villa lì. Ecco, lì è dove entravano dentro e sparivano. Uccidevano eccetera, la chiamavano Villa Triste, che l’aveva in mano prima i tedeschi poi i fascisti. Eh ma, soprattutto quando l’hanno presa i fascisti, allora lì sparivano parecchie persone, anche del mio paese ne sono sparite diversi. Quelli li uccidevano o chissà ecco. Di questa qui da ragazzino, che da ragazzino avevamo paura difatti io andavo a Broni sempre mandato a prendere qualcosa dal Risù, da fare le spese e via eccetera, io poi soldi ne avevo in abbondanza perché li prendevo dove c’erano, c’era, erano nell’osteria, no, sapevo anch’io che, e c’era un cassetto con i soldi che prendevo, io ne prendevo solo una manciata, mettevo in tasca, andavo a Broni, Stradella, andavo nelle pasticcerie, a mangiare la cioccolata, i biscotti, ne facevo delle scorpacciate, ci andavo di frequente, no, per fare delle commissioni, nello stesso tempo io vedevo e questa villa qui, anch’io da ragazzo ci giravo al largo perché avevo paura, anche era entrata un po’ nella nostra mentalità, no, e allora, Villa Triste sì, c’era a Broni sì. [unclear] La Todt l’ho detto, sordomuto quello là che l’hanno ucciso, Pippo.
FA: E a Broni e Stradella invece non bombardavano?
FN: No. Sì, poteva fare disastri Pippo, perché Pippo era anche lì. Però Broni, Stradella non è mai stata bombardata, che sappia io, no, no, no. Che poi Broni e Stradella erano diventate il centro vero e proprio degli sfollati milanesi eh, perché tutti i giorni c’era la Lombarda, c’erano queste corriere lombarde, tre, quattro, a volte sei, tutte in fila e si scaricavano tutte a Broni e a Stradella. Poi andavano su nelle colline ma tutto il giorno era una fiumana di persone, però il paese così, Broni e Stradella, le ferrovie, no, non è mai stata, anche l’industria che c’era, le robe via, la Gea, tutte quelle ditte lì grosse abbastanza ma non sono mai state bombardate quelle zone lì, che sappia io. Allora, fate domande e io vi rispondo.
FA: Va bene.
FN: [unclear]
FA: Vuole dirci qualcos’altro?
FN: No, [unclear] sono magari dopo quando siete andati via mi viene in mente delle altre. Tedeschi ubriachi, le fucilazioni, testimoni, sono cose vere queste eh, che ho raccontato, mica le invento eh. Società, avevo dimenticato società la Lombarda, la Lombarda la chiamavano, biblioteca, giovanotti, tedeschi ritirata, , amico maciullato, non mi ricordo più il nome, era un ragazzino, aveva la mia età, funerale, anche qua hanno mitragliato, la Todt, la Todt anche quella lì, faceva, che poi era il disastro quando c’era il Po in piena, con tutto l’argine bucato perché c’è stato una volta che poi il Po era arrivato fino a Campospinoso Albaredo, sì, me li ricordo un anno e appunto perché l’argine era bucato e l’acqua, era bucato da queste trincee che facevano, no, era bucato e fino a Campospinoso Albaredo una volta è arrivato il Po, anche lì c’era un bel, era un bel disastro eh, e allora e poi finita la guerra allora andavamo a prendere le lepri, correvamo dietro le lepri perché non c’era più il divieto di caccia perché in quel paese lì, Campospinoso Albaredo era il paese, era un padrone solo, gli Arnaboldi, e ho conosciuto Arnaboldi, proprio il figlio, la madre, la figlia, era un padrone solo, terreni e tutto.
CI: Era ricco.
FN: Eh?
CI: Era ricco.
FN: Era Arnaboldi. Adesso tant’è che c’è ancora, adesso c’è il ricovero intestato ad Arnaboldi poi quando poi è morto anche il figlio andava a cavallo non so è morto, allora il paese hann cominciato a venderlo, casa per casa, l’han venduto tutto però Arnaboldi era, conte Arnaboldi, capitava.
CI: Era una potenza.
FN: Era una potenza allora, quel paese era così e tutti, tutti, tutti lavoravano nella proprietà di questo conte. Quello di Campospinoso Albaredo che poi adesso si è allargato ma il paese era tutto su una striscia [unclear], tutti, tutti, tutti lavoravano per questo conte, la terra. E poi aveva ogni famiglia c’era la raccolta del baco da seta, ogni famiglia aveva la sua stanza del baco da seta e il conte Arnaboldi, il bozzolo così bisognava consegnarli tutti a questo conte, venivano pagato un tot ma non so era così, però era conte Arnaboldi quel paese lì, lo sapevi, lo sai adesso.
FA: Va bene. Allora la, la ringraziamo per questa intervista.
FN: No, io, non so, adesso, quello, io ho raccontato quello che mi è venuto in mente.
CI: Fuori programma.
FN: Fuori programma.
CI: Una cosa che ricordo bene di te quando eravamo là agli Artigianelli, tu sei arrivato che eri già, avevi già quattordici anni o che, io
FN: Eh sì, perché, sì, sì.
CI: Noi lì eravamo, beh
FN: Avevo finito
CI: Un collegio da preti, no, quindi c’era un certo comportamento e lui l’è rivà e l’ canteva, s’è scincà la pel del cul, Donna Vughere, Donna Vughere, s’è scincà la pel del cul, Donna Vughere fala giustà.
FN: Ero, no, io.
CI: [laughs] Te lo ricordi te?
FN: Sì. Eh, io ero ragazzino. Lo dico adesso.
CI: Era un po’ differente da tutti gli altri. Lui era venuto, gli altri sono venuti in un età un po’ meno, dopo la quinta elementare ma lui è arrivato già, sui quattordici anni, quindici, era, poi aveva subito una vita un po’ disastrosa via, cioè, era euforico, teneva allegro un po’ tutti eh, era un po’ un punto d’appoggi, da esterno diciamo, diceva delle cose che gli altri non si permettevano di dire ma lui.
FN: Ma no, è perché io, io ho avuto anche quella fortuna lì, nonostante tutto, io sono sempre stato un ragazzo buono, cioè bravo, buono ecco più che altro, mai cattivo.
CI: Sì, di animo buono.
FN: Ecco, animo buono. Però sono sempre stato uno, un tipo allegro e ne inventavo di tutti i colori. Per esempio io quando sono entrato negli Artigianelli, ero, sempre stato anche attivo, no, non so se c’entra con la guerra, però io.
CI: No, ma hai spento?
FN: E’ spento.
CI: Spento.
FN: Io però adesso tanto per andare dentro un po’ in tutto nel, quando sono venuto negli Artigianelli io sono sempre stato un tipo in movimento, non stavo fermo no e ho sempre organizzato tante cose, tant’è che poi è quello che ho raccontato adesso, devo avere anche delle fotografie lì. Tant’è che avevo preso anche una certa carica negli scout, no, hai presente che ci sei anche tu negli scout.
CI: Sì, sì negli scout eravamo.
FN: E nell’Azione Cattolica. E mi avevano messo anche, mi avevano dato degli incarichi di responsabilità. E allora nelle mie.
CI: Eri capogruppo te.
FN: Sì. E allora io organizzavo e avevo organizzato una gita in barca, che è quando è annegato [pauses] un ragazzo. Insomma, io ho, poi dopo sono andato, ho imparato, sono diventato insegnante, ho diretto un grande stabilimento ma organizzavo sempre le gite io, nelle scuole soprattutto.
CI: Aveva sempre la macchina fotografica a tracolla.
FN: Sì, io c’avevo sempre.
CI: Appassionato di macchine.
FN: Quello ormai è diventata vecchia, me la son messa qui quando.
FA: Quando è entrato nell’Azione Cattolica?
CI: No, beh, era una cosa particolare interna, ero, io ero l’unico che ero nelle, però per essere boy scout bisognava essere anche nell’azione cattolico. Io ero l’unico, ero un boy scout ma non ero iscritto all’azione cattolica.
FN: Sì, ma prima c’era l’Azione Cattolica dentro, l’Azione Cattolica era come c’era a Pavia, era un’associazione.
CI: Sì, era negli oratori no.
FN: Era un’associazione.
CI: E lì era radicata come internamente.
FN: Sì, come era negli oratori, insomma giovanotti così no, tant’è che quando siamo andati a Roma ho preso tante di quelle botte ma le ho date anche mi è, perché avevo in mano una statua di San Pietro, eh!
FA: Ma chi è che l’ha picchiata?
FN: I compagni, è per quello che poi non, i compagni mi sono sempre andati giù per traverso, no. Vabbè. Giravo per Pavia con un coltello perché c’erano i compagni, perché loro era il momento, vestiti da Boy Scout, sti uomini anche di una certa età che ti prendevano in giro, ma mica venivano vicino a me però. Gli altri scappavano ma vicino a me non ci venivano. A Roma tutti, se ti ricordi il nome perché, l’organizzazione , a Roma c’è stato, era l’organizzazione organizzato da Carlo Carretto, i baschi verdi.
CI: Carlo Carretto era il presidente dell’Azione Cattolica italiana.
FN: I baschi verdi, i giovanotti edell’Azione Cattolica li chiamavano i baschi verdi, a Roma tutti coi baschi verdi, no, che erano allora più di cinquecentomila. E noi andavamo a dormire con gli Artigianelli, col Vergari andavamo a dormire un po’ fuori Roma. C’era un capannone, c’erano delle suore lì e facendo la strada, vero, perché i compagni in quel, quando c’è stato l’incontro con il Papa, avevano paura di tutto questo baccano di questo giovanotti, allora avevano dato ordine di, tutti, di rifugiarsi loro nelle loro sedi. Senonché c’è stato un errore che quando è venuto, veniva oramai il discorso del Papa, tutti questi giovanotti se ne tornavano nei loro posti dove dovevano andare a dormire e nello stesso tempo i compagni avevano la libera uscita per uscire dalle loro sedi e ci sono stati gli scontri, ecco, e allora, il mio gruppo, vero, che poi posso farti i nomi, Barbierato, tutti quei, tu li conosci, li hai conosciuti no, eravamo tutti insieme e andavamo giù verso il [unclear] e nello stesso tempo veniva su un gruppo di uomini, maturi anche uomini maturi e lì c’è stato uno scontro, [unclear], cioè ma quelli là, noi l’avevamo presa così andavamo giù tranquilli, quelli là hanno cominciato a dare botte e tutti sti ragazzi, compagni, amici, scappare a destra e a sinistra, io sono rimasto da solo con quella statua lì, ho preso tanti di quei calci, ma ne ho dati via dove potevo e alcuni li ho feriti anche seriamente e nello stesso tempo, neanche a farlo apposta, è venuto fuori un temporale. Nello stesso tempo hanno fatto, facevano, si sono messi a fare i fuochi artificiali. Tra temporale, tuoni e fuochi artificiali è venuto fuori un bordello, hanno chiamato la croce verde, eh caro mio, non c’era mica tanto da scherzare eh, ecco. Comunque tutte le gite che io ho fatto, ho sempre avuto dei morti.
FA: E chi c’era come Papa?
FN: Pio XII.
CI: Pio XII.
FN: Era Pio, sì, Pio XII.
CI: Pio XII. Papa Pacelli.
FN: Papa Pacelli deve essere.
FA: E che anno? Più o meno?
FN: ’48, o no? ’48.
CI: ’60?
FN: No, che ’60. ’48.
CI: ’48.
FA: Va bene.
FN: No, no, no.
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Title
A name given to the resource
Interview with Franco Nocchieri
Description
An account of the resource
Franco Nocchieri recalls his early years as an orphan in several different towns in the Province of Pavia. He describes the bombing of the Voghera railway station, which started while he was heading to school. He goes on to explain how he and his schoolmates used to cheer during air-raids, as they were free to skip school and play. He recounts his experience as live-in delivery boy at his stepfather’s tavern at Albaredo Arnaboldi, a vantage point from which he witnessed the daily attempts to destroy the Ponte della Becca, a bridge across the Po river. Franco describes his memories of ‘Pippo’, which he tried to watch every night, and mentions it dropping explosive devices disguised as fountain pens and toys. He describes the difficult coexistence between the local population and Axis troops, stressing the brutality of fascist militiamen. He also describes the fearsome reputation of a prison in the nearby town of Broni, known as ‘Villa Triste’, where many people disappeared. He remarks on his fearless attitude, except while listening to Radio Londra, which was a criminal offence at the time. Franco comments on the food shortages of the time and describes how the poor resorted to eating cats, which were considered to be a substitute for rabbit. He also recounts several wartime events, including: a narrow escape from the Ponte della Becca bombing; widespread fear inspired by so-called ‘Mongols’ (which were part of a German foreign division); a public execution; a friend killed by a bomb believed to have been dropped by ‘Pippo’; the strafing of a funeral procession, and the sight of Felice Fiorentini, a war criminal dubbed 'The Beast', being paraded in and around the province in a cage after the end of the war. He also mentions various stories from his time as a member of the Azione Cattolica Italiana, a Roman Catholic lay association.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Filippo Andi
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Po River Valley
Italy--Broni
Italy--Voghera
Italy--Pavia
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-02-02
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
01:05:47 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ANocchieriF170202
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
animal
bombing
childhood in wartime
fear
home front
Pippo
Resistance
strafing
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/29/243/AFerrariM170116.2.mp3
a3f8ccbccdac58edcd8c58e57a4fdfe0
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Ferrari, Marino
M Ferrari
Marino Ferrari
Description
An account of the resource
One oral history interview with Marino Ferrari who recollects his wartime experiences as military internee in Germany.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-01-16
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Ferrari, M
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
FA: eeh signor Marino, eeh vuole raccontarci la sua esperienza prima della guerra, la sua infanzia.
MF: Dunque prima della guerra io lavoravo al all’arsenale di Pavia no, l’arsenale militare, poi ci hanno un bel momento, ci hanno militarizzati, gli operai avevano il grado di sergente, e l’operaio specializzato sergente maggiore e il capo fabbrica era, era maresciallo, ecco. Quando è arrivato il momento di andare a militare m’han chiesto se volevo fermarmi a lavorare lì, essendo pagato, no? Però, da poco furbo, ho chiesto di andare a militare, io volevo andare in un posto dove si guidava i camion, eh si. M’han mandato a Reggio, a a Catanzaro in fanteria. Da Catanzaro lì si trattava di, si si aspettava che lo sbarco degli Alleati e allora noi della fanteria dovevamo andare in Sicilia per contrariarli no? Invece io, lavorando lì a Pavia, facevo un lavoro, eeeh ero collaudatore di barchetti [barchini] d’assalto, che erano cose della Marina, che erano in dotazione al Genio, Genio pontieri. Allora io ho telefonato al al colonnello lì di Pavia, c’ho detto se poteva farmi chiamare un avvicinamento. Dopo tre o quattro giorni mi è arrivato, sono, il capitano mi ha chiamato e ha detto ‘Ferrari ti sei comportato bene nelle, nelle nelle marce, ti sei guadagnato una una licenza’ ‘La ringrazio’ c’ho detto. Però ha detto ‘M’era arrivato un dispaccio da gente, da Roma che devo mandarti subito a Verona. Beh adesso scegli te come’ e io, allora io ho scelto di andare, perché ha detto ‘O fai la licenza e poi vieni indietro e vai’ ho detto ‘No guardi io vado subito a Verona perché la strada è lunga’ e allora ho pensato subito, passo da, passo da Piacenza invece di andare a Verona vado fino a Casteggio, sto tre giorni e, e così ho fatto. Poi mi son presentato in caserma [coughs]. Lì [coughs] stavano aspettando le reclute per formare la compagnia e io ero l’unico soldato semplice che che c’era il capitano, il tenente e fatto sta che poi era, abbiamo fatto la compagnia. Subito la compagnia, poi stavano arrivando gli alleati. I tedeschi, lì comandavano i tedeschi lì a, in in Italia, allora han pensato giustamente che i militari, sarebbero andati con, con gli Alleati, e allora han pensato di deportarci tutti in Germania eh. Siamo arrivati in Germania, ci han messo in un campo di concentramento, dopo setto otto giorni arriva un [coughs] un ufficiale tedesco con un eeeh con un interprete e fa ‘Dunque il capitano chiede se c’è qualcuno che vuole andare fuori a lavorare, uno che sappia il mestiere però’ cercavano tornitori, saldatori, meccanici. Io ero un meccanico praticamente, perché lì lavoravo da, e non ho detto niente. Dopo un po’ tornano ancora e chiedono venticinque eeeh venticinque erano [pause], da andare, da andare in campagna, erano praticamente agricoltori. E allora ero insieme a uno, c’era una squadra di di romagnoli che erano tutti, mancavano ancora per fare venticinque, sette o otto e allora ci ho detto con un mio amico ‘Facciamoci iscrivere anche noi che in campagna ci sarà qualcosa da mangiare’. E difatti siamo andati, la sera prima ci han fatto dormire in una palazzina, al mattino ci siamo alzati, c’era un soldato che faceva la, era da guardia ecco, era lì con un fucile in spalla ma gente che di Hitler ne avevano na basta a basta, eeeh siamo andati in stazione, c’era il treno che era pieno di gente, lavoratori, però c’era mezza carrozza vuota per noi. Che su, che i tedeschi se non avevano altro erano puntuali in un modo, e le cose. Siamo usciti, siamo andati, poi siamo arrivati in una stazione, e dovevamo andare, noi aspettavamo da fare gli gli agricoltori, invece c’era una, eeeh una ferrovia che dalla stazione arrivava, circa un chilometro, arrivava nel posto dove dovevamo lavorare. Lì c’era, dovevamo dare il cambio a venticinque francesi che erano lì a lavorare al nostro posto, però loro dovevano andare via, il padrone però s’è tenuto un francese perché era quello che faceva di tutto, che il padrone aveva un figlio militare, un altro che aveva diciotto anni era pronto per, e aveva un figlio di nove anni che che comunque, lui aveva bisogno di quel francese lì che parlava bene tedesco. E lì c’han dato da mangiare, ma da mangiare lì ci prendevano con la fame noi eh, c’era un po’ d’acqua calda con dentro a esser fortunati tre o quattro pezzi di, di quelle rape, ma rape da da da bestia, non. E noi eeeeh cosa, cercavamo di migliorare un po’, perché abbiam detto ‘Se ci date più da mangiare lavoriamo un po’di più’. Allora il padrone poi l’ha capita, perché fra l’altro c’era, il padrone aveva anche un mulino, ma un mulino grosso eh, un mulino che i francesi gli avevano dato il fuoco, l’avevan bruciato, e allora dove c’era l’apparecchiatura del mulino c’han messo, c’han messo, eeeh han tirato via tutto e c’han messo del grano, del frumento, frumento che arrivava dalla Russia, che noi eravamo dalla parte proprio, eeh de della della polonia lì dove è entrato eeh. Lì i soldati, quei francesi lì non avevano più tanto lavoro perché il mulino non non, c’era solo da, era il momento che arrivava il grano dalla Russia, arrivavano i vagoni, e allora con un trattore andavano in stazione a rimorchiarli, si rimorchiavano fino a lì, davanti davanti andavano su una piattaforma, andavano dentro direttamente, li scaricavano, ma ci saranno stati eeh non so, due o tremila quintali di grano e c’erano due montagne, era un capannone da centro metri, per dieci o dodici, alto sempre, quindi c’erano. Proprio quel giorno lì c’erano dei vagoni da scaricare e io per, poi c’erano dei muratori che lavoravano lì e allora c’han messo in fila, il capo della segheria, era una segheria, praticamente dovevamo tagliare delle piante eeeh, capo della segheria ha scelto un po’ di, di persone che andavano bene a lui, che gli sembrava e li ha messi lì a tagliare, e io mi son messo coi muratori. Eh intanto è arrivato il francese col padrone e cercava se c’era qualcuno, e si son si son presentati in sette o otto e io fui, ero l’unico che avevo la patente italiana, non era valida ero, ma comunque, non mi sono neanche, allora il francese ha preso su un’italiano e con il trattore tutti i giorni si andava a prendere, era una zona che c’erano delle, delle piante no, c’erano delle, tagliavano le piante e poi le le catalogavano tutte, facevano il numero. E il nostro padrone comperava il bosco, e e c’era da andare a prendere quelle piante lì, caricarle su su un trattore rimorchio, era il lavoro che c’era da fare. Poi ci davano un pezzo di, con le misure, c’erano quelle seghe in due, uno da una parte e lì, dopo due ore di piante non ce n’erano più da tagliare, gli italiani lavoravano forse troppo. Perché io quel quel giorno lì alla sera, quando è arrivato indietro il francese con l’altro italiano stavamo mangiando e, il francese si è messo lì da una parte, guardava e allora io ho detto, adesso, avevo fatto un anno di francese ma lo sapevo poco, adesso provo un po’, sono andato l’ho salutato ‘Bonsoir Monsieur’ ‘Ah! Bonsoir’ e mi ha detto ‘Tu parli francese?’ in francese ‘No’ dico ‘Ma poco’ ‘Beh beh’. M’ha detto cosa facevo in Italia ‘Facevo il meccanico’ c’ho detto ‘E c’ho anche la patente di guida’ ‘Bene bene bene’. Poi prima, c’era la guardia che ha fatto segno di andare in baracca e lui mi ha detto ‘Come ti chiami?’. Comment t’appelle è come ti chiami. E c’ho detto il nome ‘Ferrari’ ‘Au revoir’ ‘Au revoir’. Il giorno dopo lui, lui e il padrone mi cercavano ma non si ricordavano bene il nome ‘Farrari, Farrari’ il padrone. Quando sono arrivati pari a me il francese ci ha detto ‘È quello lì’ ‘Ah sei tu Ferrari, Ferrari’. [unclear] Emil si chiamava il francese e allora io sono andato col francese no, ha preso su anche l’altro operaio che c’era prima, eravamo in tre, ci davano a mezzogiorno un sanguich [sandwich] ma là facevano delle micche che erano, un sanguich c’era da mangiare e allora si mangiava quel sanguich lì e una bottiglia di tè, tutti i giorni, tutti i giorni per cinque giorni. E poi io poi ho sempre fatto quel lavoro lì, quando c’era da andare con due trattori, perché lì in quel paese lì non si consumava una giocca, una goccia di benzina eh, biciclette, c’erano solo le biciclette, e io andavo, andavo con magari due trattori, uno lo guidavo io, quell’altro il francese. La polizia tutti i giorni ci fermava, perché eravamo solo noi, girare con, e allora qualche volta facevano il verbale, e tante volte facevano come in Italia, lasciavano andare altrimenti, e poi il padrone si era un po’ arrabbiato ma comunque, non avevo, non era valida la mia patente ecco. E lì ho sempre fatto quel lavoro lì, poi il sabato, eeh mezzogiorno, mattina andavamo in città a prendere la roba della gente del paese, loro andavano già comperavano quello che avevano bisogno e li portavano in un magazzino del padrone che non so se l’ha affittato, però lui il padrone aveva l’obbligo di servire tutto il paese, con quello che avevano bisogno. E allora andavamo a prendere quella roba lì poi c’era da distribuirle fino a mezzogiorno, dopo mezzogiorno, lì in paese lavoravano dei muratori, c’era da andare a prendere la roba dei muratori, calce, c’era un magazzino, c’era di tutto. Per un po’ il francese m’ha preso su, per due o tre sabati, poi mi ha detto ‘Senti puoi andare te solo a prendere, a prendere quella roba?’. Perché lui aveva, era era sposato, però aveva la fidanzata lì, una russa, allora lui, sabato mezzogiorno, viveva insieme al padrone lui no, mangiava assieme a lui, sabato a mezzogiorno si metteva a posto e andava a trovare la fidanzata. Andava là, mangiavano insieme, stava là pomeriggio, la sera dormiva là, domenica stavano insieme e lui dormiva ancora là [laughs] al mattino però era puntuale al lavoro. Eh siamo andati sempre avanti così, io avevo, conoscevo tutti dal paese, perché io portavo, c’era da portarci le birre, e poi io essendo meccanico, aggiustavo le biciclette, lì c’erano solo biciclette da aggiustare. E allora al venerdì ci, mi portano là sempre sette o otto biciclette, io in città prendevo la roba che bisognava, facevo fare ogni, ogni ordine, ricevute, poi la gente veniva, pagava e mi dava magari anche qualche, da fumare noi cercavamo sempre da fumare, e mi dava qualche, anche qualche marco ecco, fintanto che. Intanto lì poi c’è stato quell’attentato a Hitler, al paese dove eravamo noi, su quella linea lì, però è una cosa che non è, cioè per noi non abbiam saputo tanto, sapevamo perché lì la gente metà era contro Hitler, noi la sera al sabato che, andavamo da uno che sentiva Radio Londra e ci dava le notizie e quindi [laughs] era uno che era contro. Un’altra cosa che, anche il padrone era contro Hitler cioè, il francese, andavamo sempre, una volta al mese andavano a fare servizio per un mulino che non avevano trattori però avevano la farina da distribuire. E allora partivamo con due rimorchi per un trattore solo no? Che c’era da girare tutto il giorno, a fare le consegne ci veniva dietro un italiano che lavorava lì. Quell’italiano lì prendeva su i piombini da piombare il sacco, e la macchinetta e poi siccome che ogni rimorchio c’erano quattro o cinque quintali di farina bianca e quattro cinque quintali di farina per fare i dolci, io cercavo la farina bianca, allora andavo io con lui, con l’italiano su un rimorchio, lui apriva cinque o sei pacchi, tirava fuori un chilo di farine, e io mettevo. Dopo un po’ il francese quando si immaginava che era a posto, si fermava, andavo su io e lui andava su che lui cercava la farina semola da rubare per il padrone [laughs] e riempiva il suo sacchetto poi e poi tutto il giorno avevamo magari una ventina di pagnotte fresche perché, eh ma c’erano cinquanta o sessanta panettieri da servire, poi ci davano anche eeeh qualche sigaretta e alla sera dividevamo, il pane lo dividevamo io e l’altro italiano, invece sigarette e marchi li dividevamo in tre. Comunque lì si vedeva che il padrone faceva rubare, se era un tedesco non doveva però. È arrivato il momento che siamo andato avanti per un quindici mesi, dopo quindici mesi ci han passati civili, perché tenerci da deportati forse c’erano degli accordi di stato che dovevano pagare un po’, eeeh pagare un po’ lo stato italiano. Eeeh siamo, siam passati civili e verso ottobre del ’44 è mancato il lavoro lì, e allora il padrone ha comperato un bosco di legna già tagliata, da, che bisognava andare all’ultima fermata, quando andavamo avanti e indietro, era l’ultima fermata della metropolitana di Berlino, no, proprio all’estremo, e c’era, forse a Postdam, Postdam che era l’ultima fermata della, e arrivavamo lì. E il francese era un po’, anche lui voleva fare un po’, e c’hanno, il padrone ci ha alloggiati in una in una casetta, sembrava una casetta delle bambole, e allora siamo arrivati, c’era 120 chilometri da dove eravamo noi a là, ci ha accompagnati il padrone. Siamo arrivati là, era bruciato un filtro del, del, il trattore aveva il suo gasolio no, a legna, ha bruciato il filtro allora bisognava venirlo a cercare ancora lì, è venuto a casa quel, quell’altro che era insieme a noi, eravamo in tre, due italiani, è venuto a casa lui, ha preso quell’affare, il giorno dopo l’ha portato su, l’abbiam messo a posto e siamo andati a vedere il bosco dove la legna, dove c’era la legna da portare via, siccome che il francese c’era già stato lì prima, anni prima, aveva fatto amicizia con un oste, uno che aveva un’osteria e però di clienti non ne aveva, era un contrabbandiere praticamente. E allora abbiam caricato due metri cubi di legna, già tagliata, e l’abbiam portata lì da quell’oste lì, ce l’abbiamo tagliata tutta a pezzetti nel posto [?], intanto ci ha dato una bella cassetta di birra, sigarette [laughs] e insomma ci ha fatto, e avevamo le tessere anche del, perché da civili ci han dato le tessere, ci pagavano, le tessere, le abbiamo date a quello lì, lui ci andava a prendere la nostra roba, ci manteneva sempre. Un giorno così, l’altro giorno ‘Beh oggi riposiamo, va là’, poi dopo un altro giorno non facevamo niente, insomma che nel bosco non si avrebbe, passato quindici giorni, e a casa aspettavano la legna. Allora poi, un giorno si è bucata una gomma, c’erano quelle ruote come abbiamo i trattori adesso noi, sono alte come una persona, e allora cosa si fa? Era la vigilia di Natale, l’antivigilia di Natale, ho detto ‘Vado, vedo, vado a casa io, vado eeh dal padrone a prenderne un’altra’. E difatti vado in stazione, mi metto in fila (perché era l’antivigilia c’era la gente così) mi metto in fila, arriva il mio turno e quello dei biglietti mi fa segno di mettermi di dietro ‘Ma io devo, c’ho il treno’. Non parlavo, cosa fai? Son dovuto andare in fila. Arriva un’altra volta, però il treno non c’era più, lui m’ha fatto il biglietto, vado in stazione, in stazione giro un po’ avanti e indietro e ho visto che c’era uno che mi seguiva, che non, allora ho provato a cambiare binario, passato sotto, e quello là di sotto. Poi arriva il treno che devo prendere io e a furia di spingere son riuscito ad andare su, ma c’era la gente che, era un treno locale. Dopo cinque, cinque minuti neanche si ferma e mi sento dietro eeh andare giù, cioè mi ha fatto segno di andare giù ‘Ma io devo andare’. Vado giù, cosa fa, vado giù. Vado giù lì poi il treno, c’era il bigliettaio che girava e cominciava a chiuder le porte, e poi si è accorto che io ero lì, mi ha chiamato per vedere. Mi ha portato in un vagone dove metà vagone non c’erano sedili, c’era un tavolo, sedie e c’erano e quelli lì che cercavano i biglietti, no, c’erano i controllori. Mi fan sedere e poi domande, e da dove viene, e cosa fa e cosa chiede. Beh io tedesco non lo parlavo, ma non avevo, c’ho fatto vedere la patente ‘Nicht gut, nicht gut, nicht gut’. Intanto mi prendevano sempre, dopo guardo bene nel portafoglio, c’era un permesso che per andar là m’aveva fatto il poliziotto del paese. E allora ce l’ho fatto vedere ‘Aaaah gut! Gut!’ è buono, è buono questo, va bene, adesso sappiamo da dove vieni e allora m’hanno dato da fumare e sono stato lì con loro fintanto che siamo arrivati nelle città loro han detto ‘Noi andiamo giù, e te?’ ‘No io vado ancora al mio paese, è appena avanti’. Difatti sono andato dal padrone, c’ho detto com’era che, allora l’indomani, era la vigilia, al mattino presto ci siamo alzati, siamo andati da uno che aveva il trattore però non poteva adoperarlo e aveva quelle gomme lì. Allora ne abbiamo smontate una, il padrone mi ha fatto, mi ha aiutato a portarla al treno, siamo riusciti a metterlo, c’erano quei vagoni che di dietro c’era uno spazio eeh si poteva stare in piedi. Avevamo fatto quattro o cinque chilometri arriviamo a Cottbus, era la nostra, la città che abbiamo più vicino, il treno si ferma, si ferma lì il treno, non va più avanti, beh c’è da prendere un altro treno, un altro treno aspetto che arriva, mi avvicino con la mia ruota lì, il controllore ‘Nein! Nein!’ come dire ‘Non vedi che è pieno, non si può’. Allora aspetta l’altro, aspetto l’altro va a finire che sono stata tutto il giorno senza mangiare. È arrivato un momento alla sera che c’era ancora un treno che andava a Berlino, allora cosa ho fatto, prendo la mia gomma fuori dalla stazione, vado, ho fatto alzare il gommista dove andavamo noi, si è alzato, ci ho detto ‘Lascio qua questa gomma la vengo a prendere dopo Natale’ ‘Ah vabbeh, vabbeh, vabbeh’. Allora vado ancora in stazione, adesso ci riesco ad andar su, allora ci riesco, e di fatti sono arrivato là che era tardi e il francese mi fa ‘E la gomma?’ ‘E la gomma l’ho lasciata lì perché non si poteva’. E il giorno dopo dall’Italia ci avevano mandati un chilo di riso a testa e un chilo di formaggio, e allora quelli lì li ho presi su, a mangiarli alla vigilia. E in più il francese mi ha detto ‘Vai, vai dalla mia fidanzata, ci dici che non ha niente, se non ha niente da darti’. Ma quella là rubava anche lei. Ma poi eeeh sono andato a dirci ‘Guarda Emil non viene perché stiamo lavorando’ ho detto ‘Stasera vengo io dunque’. Di fatti è venuta [?] in bicicletta, una gallina, già pronta, e lì avevano l’abitudine di mettere, allevavano le oche tagliavano tutto il momento e li mettevano nei vasi con il suo grasso, e c’era un paio di vasi di quelli lì, avevo lo zaino pieno di robe da mangiare. Il giorno, la mattina dopo siamo andati lì per per prendere quella ruota lì e non son riuscito, allora l’ho lasciato lì e sono andato da solo che domani, all’indomani abbiamo fatto la festa. E poi finito, poi dopo le, dopo Santo Stefano fa, adesso di, ch’ho detto ‘Vai te’ con il mio amico ‘Vai te a prendere la gomma, vai lì a Cottbus, non andare a casa perché altrimenti se ti vede’. E lui va, e poi è andato a farsi vedere a casa, è andato a vedere dove, il padrone l’ha visto ‘Come mai Nello, Nello, come mai?’ ‘Eh sono venuto a prendere la ruota che Ferrari ha lasciato lì’ [laughs]. È cominciato, comunque lui ce l’ha fatta poi a portarla su, le abbiam montate. Alla sera stavamo arrivando e il francese e l’altro italiano erano già in baracca, erano. Io stavo vuotando la, che erano i filtri del, dell’acqua sul, stavo, e vedo uno che dalla strada principale viene: era il padrone. Si è messo a gridare ‘E io vi denuncio! Vi denuncio per per sabotaggio, sabotage, sabotage’, era, era, e mi ha fatto ‘Emil dov’è Emil dov’è?’ ‘È in casa’ e allora è andato. Quando sono andato poi a mettere il trattore su nel garage, vado indietro, era là che rideva e sai perché? Non aveva da, non aveva da fumare e allora il francese ci ha allungato un pacchetto di sigarette [laughs]. Però poi il mattino, ha dormito lì e il giorno dopo è partito, di legna non ce n’erano, di legna, e allora abbiam detto ‘Adesso sarà il momento di prendere, andare a prendere un po’ di legna e portavamo in una stazione lì dove c’era, da da dove mettevamo le piante, c’era una riva no che andava, e allora abbiamo ordinato i vagoni, perché abbiamo do, ci volevano due vagoni per, con su le, che sterzando giravano tutti e due, che uno solo non ci, la pianta era più lunga di un , e allora abbiam caricato un po’, ogni cinque minuti suonava l’allarme, e allora piantavamo lì, si spegnevano le luci e andavamo sotto un ponte, però mal che vadi, dopo suonava il cessato allarme, torna indietro, a un bel momento ‘Beh guarda lasciamo stare, adesso vado in stazione e ci dico di spedirlo’. I vagoni erano a metà, sì e no. ‘Eh va beh’. E allora noi andiamo a casa e il padrone prima di tutto non ci ha pagato tutto, ha tenuto un po’ si soldi, perché, e di legna non ne abbiamo visto, non è mai arrivata la legna lì, però lì è cominciato a esserci la legna vicino da andare a prendere le piante, e allora andavamo lì a prendere le piante. Siamo stati lì due o tre mesi, e poi eeeh un mattino siamo andati a prendere lì, era vicino ‘Facciamo due viaggi, andiamo un po’ presto’. E andiamo e c’era una mitragliatrice puntata verso dove dovevano arrivare i russi, no? Che lì oramai era, eeeh abbiam caricato, siamo andati in baracca e abbiam detto ‘Andiamo a mangiare un po’’. Intanto è venuto il finimondo, bombe, e ci abbiam detto con il, avevamo il cuoco che lo pagava il padrone e cosa è ‘E son già passati gli aeroplani e adesso sono andati a fare un altro giro’. E loro fuori dalle baracche, siamo corsi verso, c’erano delle piante, ci siam messi. Intanto hanno fatto un altro giro e sono andati, poi noi ci siamo spostati un po’ e abbiamo detto ‘Andiamo, eeeh andiamo, passiamo dopo il paese, ci sono dei boschi, ci mettiamo lì. Siamo stati lì un po’, poi incominciano ad arrivare le granate, fiiiiiiii, passavano sopra andavano, man mano giravano gli apparecchi e le granate si avvicinavano perché a loro segnalavano, ‘Accorciate il tiro’. E infatti accorcia accorcia ‘Adesso, adesso arriveranno qua dove siamo noi, andiamo via’. E allora abbiam deciso di arrivare in baracca a prendere la nostra roba e andare via, siamo andati, c’era una spianata di, c’era un prato con in mezzo una ventina di piante. Siamo andati verso quelle piante e gli aeroplani erano come se ci prendevano, noi ci mettevamo di dietro a una pianta e loro, intanto che loro hanno fatto il giro siamo andati in baracca. Lì era quasi sera e il francese ci fa ‘Se ci aiutate, andiamo via coi padroni perché stasera il padrone, il paese deve sgomberare’ e lì avevano già cercato il posto ‘Questo paese va in questo paese’ e lì requisivano il comune, requisivano le scuole, insomma un paese stava nell’altro. ‘Ma sì’ dico ‘Noi altroché, io vengo aiutarti a mettere in moto il trattore’. Intanto gli altri han cominciato a portar giù un po’ di materassi per la moglie del padrone, eeeh il padrone però doveva restare, perché lì ultimamente avevano fatto, in un argine, avevano fatto tante buche, ogni buca, doveva andarci dentro un tedesco, per difendere l’ultimo, eeeh quando arrivavano i russi, difendere il paese, e stavano in quel buco lì con, che poi le le forse non son servite niente perché, e intanto abbiamo, eeh abbiamo messo in moto il trattore, siam venuti indietro, per agganciare il rimorchio, siamo a cinquanta metri, è scoppiata una granata proprio in mezzo alla strada dove c’era il rimorchio. Gli italiani erano tutti sotto il rimorchio e uno solo è rimasto un po’ ferito. E ha bucato tutte e gomme, che poi dall’altra parte della strada transitava una compagnia di tedeschi, soldati, in ritirata, uno ha preso una scheggia, c’ha tranciato il piede con dentro la scarpa, le urla eeeh, lì ci avran tirato, insomma l’abbiam fasciato, l’han fasciato loro perché noi lì abbiam girato il trattore e ci prepara davanti un ufficiale che fa ‘Adesso prendete su questo ferito, andate, quando arrivate nella strada principale’ ha detto ‘Lì ci deve essere un’infermeria, un ospedale, andate lì, chiamate e fate caricare, ma state attenti perché non si scherza eh?’. E di fatti poi noi siamo arrivati a quel punto lì, io sono andato giù, ho suonato alla caserma lì, son venuti fuori, mi son fatto capire che c’era un ferito, ‘Ricoveratelo lì’, son venuti a prenderlo e noi siamo andati in quel paese là. E al mattino, siamo arrivati al mattino, eeh quelli del paese si son messi a posto, tutti, e noi siamo andati in una casina, ci siamo alloggiati in una casina, perché lì allora i tedeschi erano buoni con noi, te se venivo, dopo abbiam saputo che se trovavi un russo che dicevi ‘Quello lì mi ha fatto del male’ ci mettevano due, tac, ah c’han fatto una legge che, e le città dove sono entrati poi son venuti, quella lì era deserta, c’era è venuto il momento che non si poteva più entrare perché ormai, perché il giorno dopo dovevo andare a fare un trasloco in quella città lì e il mattino, quello che doveva fare il trasloco mi ha detto ‘Guarda non si può più entrare in città, quindi’ per me è stato meglio. Dopo setto otto giorni o dieci, sono arrivati i russi lì dov’eravamo noi, già spostati no, noi eravamo in un paesino, e da mangiare prendevamo delle patate e poi andavamo, al mattino andavamo fuori in un bosco c’era un fosso, ci mettevamo lì poi facevamo cuocere le patate. Quel giorno lì, eravamo lì e c’era una mitraglia piazzata lì a cinquanta metri, verso di noi ‘Madonna e qua e non va micca tanto bene’ e allora dopo un po’ provo a vedere, andiamo fuori a vedere, una raffica di mitra ‘Stai giù’ poi ancora abbiamo visto la mitraglia non c’era più, il soldato non c’era più, però la raffica di mitra arrivava [coughs] allora abbiamo detto ‘Sa, prendiamo su la nostra pentola e andiamo direttamente in paese almeno i padroni ci difenderanno, se’. Andiamo verso il paese, andiamo in un certo punto c’era una cappelletta lì, e c’era un soldato seduto lì, quando ci siamo avvicinati abbiamo visto che aveva la stella rossa sulla bustina ‘Quello lì è russo!’. E di fatti era un russo, ci siamo abbracciati, oh ci abbiamo fatto una festa [laughs]. E lui mi ha detto ‘Andate avanti, andate avanti: lì tutti noi, noi avanti’ di fatti siamo andati verso il paese, c’è venuto in contro un ufficiale, perché in paese c’erano tre o quattro russi eh che giravano in tutte le case per vedere se c’erano dei soldati, e viene verso di noi, leva il coperchio della pentola, le patate, ha preso la pentola e ha rovesciato le patate in un fosso, e noi ‘Eeeh’ l’ha di ‘Dopo, dopo’ e allora ci ha fatto il segno di andare in fondo, in fondo al paese c’era tre o quattro militari, qualche uomo ancora valido del paese che lì lo prendevano e li mandavano in Russia eh, a piedi [emphasis], e c’era un soldato che ci guidava siamo andati, siamo andati in una villa che c’era un portone, andiamo dentro lì e c’era pieno di tedeschi e poi abbiam sentito in casa che si, che parlavano, andiamo a vedere, [coughs] siamo andati in casa: erano tutti russi e polacchi, allora andiamo bene ‘Italiani, italiani’ sì sì, quelli ci, qualcuno ci diceva ‘Italiano però hai fatto la guerra contro di noi’ ma la maggior parte insomma, e siamo andati subito a vedere in cantina ma non c’era più niente da mangiare. Allora arriva sera [coughs] ci portano fuori al giardino e ci dividono tedeschi, italiani, francesi c’erano diverse. E poi i tedeschi, intanto passava una colonna di tedeschi che venivano da più avanti verso Berlino, li hanno accodati a quelli lì e via a piedi, poi i polacchi, e noi ci abbiamo detto ‘Ma il mangiare?’ e loro ci hanno fatto capire che non c’è tanto da mangiare come adesso, non ce n’è mai stato quindi ‘Ci sono delle case, andate dentro, prendete quello che volete, comandate voi!’. E c’era un polacco, una squadra, che aveva anche una rivoltella, parlava bene, e noi siamo andati in un paesino e ha detto quello là ‘Ora ci fermiamo qua, dormiamo questo, cerchiamo di dormire’, eh e allora intanto, e abbiamo ‘Domani mattina’ ho detto allora, intanto abbiamo girato un po’ abbiamo visto una casa con dentro una luce, siamo andati dentro, c’erano [coughs] due russi vecchi che erano, erano, lavoravano per i padroni delle ville e c’era qualche polacco lì, siamo andati a vedere subito in cantina perché lì c’era la stufa una stufa accesa, e c’era qualche vaso di quei pezzi lì d’oca che, allora li abbiamo subito messi nell’acqua calda e a abbiamo cominciato. Poi andiamo fuori, abbiamo sentito il verso delle galline sulla cascina, e sì c’erano delle galline, siamo andati su in due o tre, abbiamo individuato al buio, tiriamo il collo e giù, intanto che siamo scesi la prima che abbiamo giù era già nella pentola [laughs] abbiamo mangiato le galline, eh dopo abbiamo cominciato a stare bene ‘Eh adesso andiamo a vedere ancora fuori’. Siamo andati nella stalla c’era, c’era una mucca, e allora adesso, però di notte girava un russo lì, l’abbiam portato là ‘Secondo te si può?’ ‘Nein, nein’ quella lì, mi ha fatto capire, è già segnata, ‘Quando le truppe ha bisogno della carne vengono a prendere queste bestie’ ‘Ah beh allora’. Allora gira di dietro c’era un porcile con due maiali ‘I maiali si possono ammazzare’ e allora uno l’abbiam fatto andare lì, e l’altro l’abbiamo ammazzato con con una sbarra di ferro no, ha fatto una morte un po’, l’abbiam portato fuori da lì, ci abbiam tagliato la testa, andar via il sangue, poi abbiamo preso i prosciutti, in spalla, li abbiam fatti cuocere un po’ l’abbiam mangiato, un po’ l’abbiamo messo nello zaino e la mattina dopo l’abbiam preso su, l’abbiam preso su tutto e siamo andati all’appuntamento, di fatto c’erano quei polacchi che andavano a casa, noi ci accompagnavano fino a quelle città lì che era il suo confine dove c’era un agglomerato tutto, che lì avevano chiuso delle delle vie e una via era per gli italiani, l’altra via era per i francesi, l’altra via c’erano tante nazionalità [caughs] e ognuno aveva, però lì ci davano da mangiare. Ma noi non siamo arrivati fino a lì, siamo passati da dove c’era il nostro paese, ci abbiam detto con quelli là voi andate, noi andiamo nel nostro paese ‘Sì, sì, sì’ tanto cosa ci interessava a quello là, e di fatti abbiam parlato dal nostro paese, non abbiamo visto nessuno. Solo che lì avevano portato delle casse di farina di latte no, di cinquanta chili. Prima, in principio quando le han portate, abbiam visto che il francese ogni tanto andava su apriva e poi andava giù con un sacchetto e io ‘Mah cosa ci avrà quello lì’. E allora dalla segheria si poteva andare in quella stanza lì, siamo andati su abbiamo visto era roba gialla roba, abbiam provato con l’acqua calda a mischiare, veniva una crema di [coughs] e allora un sacchetto per volta ho detto ‘Ma ragazzi qua se vuotiamo la cassa poi se ne accorgono’ e allora abbiam pensato di portare via una cassa intera così almeno, ce n’era una in meno ma. Di fatti abbiam, una sera, io dovevo essere sempre come, come spione, perché il padrone, ero nelle maniche del padrone, e allora anche se capitava qualcosa. E di fatti la sera siamo, due o tre sono andati dentro, io e un altro passeggiavamo sulla strada sì che se viene fuori il padrone, cerchiamo di intrattenerlo un po’, però non abbiamo visto niente, quando abbiam visto passare quelli là con la cassa allora e di fatti abbiamo subito smistato tutte le farine eeh siam ne abbiam portato un po’ a casa della guardia che lui le accettava molto volentieri [emphasis], portavamo il sacco delle patate, poi siccome c’era dentro, tra noi c’era un muratore che ha fatto due due ruote così di cemento eh, cemento puro, ci ha fatto tutte le scannelature e poi ci ha fatto la contro piastra e abbiamo fatto una macina, grano non mancava e allora in un foro ci mettevamo il grano che andava giù, si macinava e andava fuori la farina rimaneva subito, la crusca e un po’ da una parte, e allora avevamo la farina [laughs]. Beh comunque noi siamo andati là siamo andati, per arrivare in quella città lì, però non ci siamo arrivati, siamo arrivati che oramai c’era buio, in un satellite della città, sarebbe come Milano Cinisello [coughs] è una bella, era una cittadina messa bene, tutte le sue vie, era la villa sulla strada di dietro ci avevano da fare la corte, dall’altra parte c’era l’orto dell’altra via, era giù giù bene. Allora siamo andati nella prima villa che c’era ‘Ci fermiamo a dormire qua’, di fatti siamo andati di sopra sempre al buio e c’erano tre o quattro letti, c’erano quattro stanze, era una villa grossa, da basso c’era eeeh c’era il piano, poi c’erano due saloni, un salone lo abbiamo adibito a pranzo, un bel tavolo ci stavamo, nell’altra sala c’era una saracinesca, c’era una porta scorrevole, un mattino andavamo fuori, l’unica roba da portare era una tovaglia e le forchette, perché finito di mangiare lasciavamo le tovaglie dentro là si chiudeva. E siamo stati lì più di un mese in quel paese lì abbiamo vissuto da signori perché abbiam trovato una piccionaia, c’erano tutti, proprio ce n’erano tanti e allora una notte siamo andati abbiam mangiato il piccione, con dispiacere ma eeh povere bestie. Poi siamo andati un po’ fuori, c’era una stalla con una vacca che oramai era là sdraiata, e ci abbiamo dato da mangiare e da bere che insomma dopo sette otto giorni si è alzata e adesso la portiamo là e infatti l’abbiamo presa, andavamo stavamo andando portandola là, ci passan due russi con una camionetta, si fermano ‘E cos’è cos’è’ mi dice ‘Cosa fate’ eh adesso ammazziamo, e va beh te la ammazziamo noi, han tirato fuori la rivoltella e l’han ammazzata, a noi ci ha dato, ci han dato una coscia, ma non era tanto grassa, comunque è andata bene lo stesso. Poi girando per, girando per le le ville, che lì erano tutte ville da signori eh, c’erano degli armadi pieni di vestiti, in cantina abbiam trovato di tutto, abbiam trovato perfino del vino di Ballabio, qua del Tegio [?] abbiamo trovato zucchero, farine. C’era una villa che forse c’erano delle signorine, c’erano stati cinquanta di quei, di quei servizi di toilette che c’erano il profumo, rossetto, e allora li abbiam portati di là, al mattino, il cuoco arrivava su a fare il caffè e uno di noi si alzava e si girava per le stanze e si spruzzava un po’ di profumo e poi ci portavamo il caffè [laughs], ogni tanto eh. Un bel momento poi, lì nella villa accanto c’era uno di Redavalle insieme a un croato, cos’era, che parlava il russo, quello là tutti i giorni andava in città entrava nei ristoranti vuoti, portava a casa del liquore e ce ne dava, però un momento ha detto, sarà meglio che venite perché c’è in ballo il trasferimento, forse era il momento di. E infatti siamo andati là e siamo stati eeeh siamo stati un bel po’ perché là ci davano da mangiare anche però bisognava alzarsi, ogni via tre o quattro persone dovevano andare a pelar le patate, e tutti i giorni partiva un carro con sotto un cavallo con un russo e andava oltre il confine che praticamente si entrava in Polonia, perché i tedeschi prima avevano conquistato la Polonia e poi avevano mandato i tedeschi, fra l’altro avevano costruito Mauthausen, Mauthausen era in Polonia non era in Germania, e noi c’era ancora l’insegna Mauthausen. E allora se si poteva appena appena, ci andavamo, col cavallo, perché andavamo oltre il confine, avanti nei paesi a prender della roba, lì eeh si vede che c’era qualche deposito di di farina, patate. E poi lì passava un russo, avvisava nel paese ‘Fra un’ora questo paese deve essere sgomberato’. Lì erano tutti tedeschi, e dovevano, in un’ora facevano poco eh, però avevano quasi tutti, il cavallo con il carro, attaccavano il cavallo al il carro e l’infilavano via. Noi andando di là magari si incontrava la colonna che veniva, andava via, portavano, quando arrivavano quasi nella Germania, che c’era, lì c’eran tutti boschi no, se c’era un’entrata, c’era lì un russo, infilava la colonna dentro lì, e poi cominciava a sparare che la gente a piedi, via tutta, piantavano là cavalli, eeeh viveri, tutto, piantavano là, altrimenti. E allora noi, c’era il russo che guidava il carro guardava, cercava il cavallo più bello che c’era, lo prendeva, noi cercavamo invece roba da mangiare. E poi è venuto il momento che ci siamo, ci siamo andati là e abbiamo fatto il trasferimento, da lì siamo andati in un’altra città dove si presumeva la partenza, e di fatti il, siamo passati dalla Francia, visita di qua, visita di là, siamo arrivati al confine e lì c’era, di solito c’era un camion ogni regione che veniva ad aspettare i prigionieri per portarli a casa, lì per la Lombardia c’era un camion che andava a Pavia, ero il solo che andava, ero il solo, però ho preso quel camion lì, m’ha portato a Pavia, da Pavia sono andato a Casteggio su un carro con un cavallo, che la gente allora eeeh da Casteggio o da Borgoratto andavano a Pavia con un carro con un cavallo a vendere la roba eh, camion non ce n’erano, e allora sono arrivato a Casteggio, è tutto quello che ho potuto, potuto fare.
FA: Vedere. Ma prima, prima che prima che arrivassero i russi quando eravate a, vicino a Berlino, ha detto che suonava l’allarme,
MF: sì.
FA: Allarme anti aereo?
MF: Suonava l’allarme.
FA: Di, di che cosa?
MF: Le sirene, perché arrivavano le fortezze volanti.
FA: Voi sapevate chi, che aerei, di chi erano questi aerei, ve lo dicevano?
MF: No, no, questi aerei oramai lo sapevamo di chi erano.
FA: Ah.
MF: Erano americani.
FA: Ah.
MF: Perché i russi viaggiavano con dei leggeri, aeroplani leggeri, però gli americani e inglesi, tutte le sere arrivavano con le fortezze volanti.
FA: Tutte le sere.
MF: Tutte le sere. Allora suonava l’allarme, si spegnevano tutte le luci, però si accendevano le le.
FA: L’antiaerea.
FA: Insomma la contraerea, si accendeva la contraerea, si vedeva che girava, girava, girava se ne inquadrava uno, perché hanno avuto anche di perdite anche gli inglesi, gli americani eh, perché se, se inquadravano una fortezza volante non, non ci scappava più, era un gran difficile che poteva andar via ancora, allora le buttavano giù. Era già difficile a inquadrarla perché avranno avuto i suoi, però e ogni quarto d’ora o dieci minuti suonava l’allarme no? E lì si fermava tutto, poi suonava l’allarme che era finito e allora si vede che si accendevano le luci, e anche noi stavamo caricando il rimorchio, il vagone e ci fermavamo, e andavamo sotto un ponte, finito lì tornavamo indietro, ma dopo un quarto d’ora suonava ancora l’allarme, vuol dire che facevano il giro eeh eeh.
FA: E andavano a Berlino.
MF: Erano sopra Berlino.
FA: E voi vedevate.
MF: Noi li vedevamo sopra Berlino, nelle città, perché eravamo come di qua, non so eeeh Fumo o, tre o quattro chilometri, in periferia no, eravamo proprio in periferia di Belino [coughs] e vedevamo che erano già sopra le città.
FA: E vedevate che bombardavano.
MF: E bombardavano, sì perché Berlino era quasi distrutta eh, Berlino è grossissima eh ma c’han fatto dei danni che, eh, era era una cosa da vedersi ecco perchè, vedere lì tutte le, quegli aerei lì che man mano che c’era la contraerea girava magari uno si vedeva, poi la contraerea girava e non si vedevano più, però se ne inquadravano uno quello là era difficile che scappasse, perché erano, avevano della contraerea, non è come, nei paesi di contraeree non ce n’era, però i russi giravano con dei degli apparecchi leggeri, avevano su quelle cinque o sei bombe, piccole e bombardavano.
FA: Quindi i russi potevano bombardare, per dire, anche dove eravate, dove eravate voi. Perché erano più.
MF: Sì sì.
FA: Invece gli americani andavano su Berlino.
MF: I russi bombardavano anche, han bombardato dove eravamo noi, e noi abbiamo fatto di tutto per scapparci fuori, e loro vedevano, ci vedevano, io, noi non vedevamo loro, perché non c’era contraerea, viaggiavano a bassa quota eh e ci inseguivano, come.
FA: E voi.
MF: Una giornata intera, una giornata intera per, anche per mettere a posto, per fare delle, delle granate, no? Se erano troppo lungo lo accorciavano, loro giravano, vedeva dove scoppiava eeh.
FA: Ho capito.
UNKNOWN: Senta lei non vuol.
[part missing in the original file]
FA: Prima della pausa stavamo dicendo appunto del, dei russi che vi.
MF: Sì sì.
FA: Che vi seguivano, insomma, cosa provavate voi e i vostri compagni mentre succedevano queste cose?
MF: Ehh avevamo paura di prender le bombe perché non è che, loro ci prendevano forse per tedeschi, non è che sapevano che noi eravamo lì, altrimenti magari se sapevano che eravamo italiani non bombardavano, e invece bombardavano, e arrivavano le granate, poi ha incominciato ad arrivare in paese, che in paese non ha fatto neanche tanti danni, perché la popolazione si è arresa, la sera, verso sera son partiti tutti eh non c’è rimasto nessuno lì, c’è rimasto, qualcuno c’è rimasto perché dopo che noi siam passati di lì, c’erano ancora dei morti sul piazzale della stazione, era già puzzavano forse, era, e non c’era più nessuno che li, perché anche il nostro padrone doveva andare in quella buca, in una buca di quelle lì, però non c’è andato perché si è salvato, poi poi siamo andati in altre città dove era imminente la partenza e allora c’era un treno che passava tutti i giorni, un trenino, andava piano e andava da dove eravamo noi, un po’ più avanti alle città e viceversa no? E allora noi saltavamo su quel trenino lì e siam venuti, venivamo lì dove lavoravamo, dove, e abbiamo trovato anche il padrone, che l’abbiam beffato un po’ perché noi avevamo le sigarette, avevamo, e lui non aveva più niente. E allora, quando [laughs] lui aveva delle sigarette e noi no, magari passava lì c’era un ponte che, che passava sotto un fosso grosso e lui si portava sul ponte con la sigaretta, quando era a metà la buttava dentro nell’acqua [laughs] e allora poi ci abbiam fatto noi lo stesso scherzo a lui, che metteva.
FA: E quando succedeva, quando venivano a bombardare, vi nascondevate sempre sotto lo stesso ponte o vi, dov’è che vi mettevate.
MF: No, quando han bombardato lì da noi ci spostavamo un po’, perché.
FA: Cercavate di di scappare.
MF: Eh cercavamo che se le granate arrivavano verso di noi, poi un bel momento, viene viene sera, qua continuano tutte le notti, qua continuano e allora abbiam deciso di andare in baracca, prender su un po’ di roba e scappare, non sapendo dove andare eh, però abbiam trovato che venivano via anche i padroni, il posto c’era, c’era il rimorchio che era otto metri, ci stavamo su tutti, e e che poi è capitato di esserci su quel militare lì con via un piede. Però abbiam fatto una strada per scappare, non da una strada principale, perché, per strada ci vedevano, in un, diciamo era un sentiero che passava sotto delle piante lì, però giravano lo stesso, quando sganciavano i bengala era giorno e allora fermi tutti senza senza respirare, si illuminavano tutto, uno che si muoveva si vedeva. Poi non vedevano niente, il bengala si spegneva e allora si partiva si andava avanti. Ma poi una cosa che mi è rimasta impressa è eeeh le, il modo cioè di far la guerra dei russi, che loro non sprecavano, eeh di morti forse non, che loro si mettevano qua, magari bombardavano Fumo o Casetisma [Casatisma] fintanto che li stufavano, poi entravano e non c’era più nessuno, e allora avanti, però nella strada principale, lei vedeva una marea di uomini eh, ma per chilometri e chilometri, con carri armati con dei fusti che quattro o cinque metri e tutto, tutto a piedi, andavano tutti a piedi, i carri armati andavano piano e eravamo lì ‘Berlino! Berlino!’ ‘Avanti Berlino’ c’erano ancora [coughs] era, fa impressione, perché poi loro mettevano magari un drappello, cinque o sei russi, mettevi in un paese ‘Girate qua, guardate se c’è qualcosa, se c’è qualcuno li facciamo prigionieri e via’ e loro intanto andavano avanti, dietro non ci guardavano più, erano sicuri che che non ci rimaneva gente, in modo che di danni ne hanno avuti poco sicuro, prima, quando han cominciato a venire avanti e i tedeschi retrocedevano. Sì sì mi è rimasto impresso quella, quella marea di gente che per lo più si vedeva, non erano gente [coughs] cioè diciamo istruita perché vedere uno con quattro o cinque orologi, quando uno era fermo lo buttava via, no? Se è fermo non va più, c’era solo da tirarlo su, lo buttavano via, perché alla gente ci prendevano tutto quello che che avevano.
FA: Va bene. C’è qualcos’altro che vuole, vuole raccontarci di.
MF: Altro non di di interessante non mi viene in mente niente,
FA: Va bene.
MF: L’unica cosa che potevo eeeh testimoniare è quello lì, di quelle fortezze volanti che si vedevano sopra Berlino tutte le sere eh, e oramai Berlino era, sarà stata quasi disabitata anche lei, perché i danni erano erano ingenti eh si vedeva dalle fiammate, dalle. Però anche gli americani hanno avuto le le, insomma i suoi danni, perché oltre ai piloti aerei ci andava di mezzo un mezzo che. Che lì poi a un bel momento i tedeschi non sapevano più cosa fare eh, perché dovevano difendere il fronte de de lì che son sbarcati, dove son sbarcati poi gli Alleati vicino a Roma, Anzio, e Anzio c’è stato lo sbarco [coughs] io ci sono stato a Anzio lì a lavorare. Poi c’era lo sbarco in Sicilia, doveva far fronte, c’era il fronte francese, il fronte americano, e e tedesco e l’altro chi c’era contro, americani e inglesi, francesi [coughs]. I tedeschi avevano tre o quattro fronti e cercavano gente, specialmente fra gli internati, ogni due o tre mesi ci portavano in città no e la guardia ci diceva ‘Adesso vi diranno di partecipare alla sua causa, cioè di unirsi che poi vi manderanno in Italia, vi dicono [emphasis] però non credeteci, che non vi mandano in Italia! Vi tengono là, vi tengono qua, vi fanno lavorare e intanto chiudono’ facevano, quelli lì li mettevo in posti, nelle retrovie e, che è capitato che da noi è venuto per dire un camion, e queste son cose poi secondarie, il camion è andato dentro al capannone, no, ha scaricato e poi il camion è andato via è rimasto lì due militari e un ufficiale, verso sera l’ufficiale è venuto nella nostra baracca ma senza chiedere niente neh, è venuto dentro ha guardato, guarda ‘Quei due militari lì dormiranno qua’ perché c’erano dei posti ancora, prima c’erano dei posti per venticinque poi noi siamo rimasti in dodici quindi eh cosa vuoi fare ‘Sì, va bene’ e di fatti alla sera quei due militari lì venivano da noi, a un bel momento ci fanno, fanno capire se c’avevamo un paio di pantaloni, quelli lì ‘Eh sì’ però prima han chiesto una camicia, la camicia ci han portato una stecca di sigarette, erano venti pacchetti no? Dopo ci chiedono i pantaloni, i pantaloni molto di più sigarette, e allora han portato tre o quattro stecche o cinque. Chiedono la giacca, ci diamo anche la giacca, però sempre con un piccolo aumento, insomma avevamo, c’era, avevamo tanti pacchetti forse dieci pacchetti a testa. È saltato fuori che un bel momento, ci abbiam dato anche le scarpe, e m’ha detto ‘Sapete perché facciamo così? Perché noi siamo russi’. Erano due russi che si erano alleati coi tedeschi ‘Se ci vedono i nostri compatrioti per noi è finita eh, e allora li abbiam vestiti di civili, li han messo nel suo zaino e bun, basta lì. [coughs] Quindi c’erano anche quelli lì che, e rubavano tutti poi, perché da quel camion lì che è arrivato poi quando son partiti, eeeh son venuti a prender la roba che è rimasta, stanno per partire: trattore non parte più, lì c’era l’ufficiale, un ufficiale tedesco che comandava quei due lì ed è venuto uno con il trattore ‘Il trattore non parte, il trattore non parte’. E allora per combinazione era un trattore che io avevo rifatto nuovo, perché ho visto che era lì fermo, c’ho detto con il francese ‘Perché non lo adoperiamo’ era un bel trattorino (come un nostro piccolo che abbiamo qua con le ruote strette) ‘Non si può più aggiustare’ ‘Oh!’ e prova dire al padrone se posso guardarci, lui mi ha dato il permesso io l’ho rimesso a nuovo, no? Fatto bronzine nuove, tutto, tutto, e di fatti poi è partito, abbiamo adoperato un po’, ma poi il padrone l’ha dato al governo. E non parte quel trattore lì combinazione era un trattore come quello lì. Sapevo il divetto, e mi ha chiamato il padrone ‘Ferrari! prova a guardare il trattore’. Ci sono andato, ch’ho messo una mano c’ho chiuso un po’ l’aria, a veder, bisognava guardare, c’ho detto al tedesco che c’era su ‘Prova’ quello là è partito subito. L’ufficiale che gli era dietro ci ha detto al padrone ‘Ferrari viene con me adesso, io lascio qua un altro’ ‘Nein! Nein! Ferrari Ferrari mein Mechanik, mein Mechanik, mein Mechanik! Ferrari no no no’ [laughs]. E di fatti, altrimenti. Intanto che andavano via io ero lì, ho visto un tedesco lì che con uno scatolone, ha fatto un buco nel nel frumento dentro, l’ho visto, e ci ha messo quella scatola lì, mi son ricordato dove l’aveva messo. Appena via loro, io son subito andato dentro, ho cercato quel pacco lì e l’ho buttato dietro al capannone, c’era delle sterpaglie, ma alte. Dopo due minuti spunta il il capo della segheria viene, va dentro, incomincia a guardare, cerca cerca [laughs] che trovi, ha cercato un po’ è andato via, dopo un po’ ritorna, e cerca cerca cerca non l’ha trovato perché l’avevo messo via io e allora mi son messo, io avevo su una tuta con, da ginnastica, in fondo era chiusa e ci stavano dentro dei pacchetti di sigarette, e allora son andato, ho aperto il pacco, ho aperto tutti i pacchetti, non ho preso le stecche intere, tutti i pacchetti, un po’ di qua un po’ di là, c’ho fatto un paio di viaggi, li ho portati in baracca, toh, ero a posto. Quello lì è andato d’accordo con il tedesco di metterci lì un pacco di sigarette eh, e rubavano.
FA: Va bene, allora la ringraziamo molto per, per questa intervista.
MF: Sì sì no mi dispiace che praticamente nella guerra non ero il fronte dove si stava male dove si pativa la la fame. Lì noi in paese eravamo come i suoi figli, perché ognuno di noi si aveva fatto, si era fatto la sua famiglia tutti i sabati andava a lavorare lì, si faceva l’orto, ci faceva, ci spaccava la legna, magari buttava qualche pianta, preparava il terreno per metterci le patate, tutti i sabati e magari anche le domeniche, loro erano contenti, li pagavano, e noi, io avevo un altro lavoro però ero in contatto con tutti lì nel paese. Andavo, andavamo c’erano due bar, no avevamo un bar in centro e c’era i bar della stazione che era un bar ristorante perché aveva delle camere d’affittare via, e io e noi andavamo magari a fare la partita a biliardo così bevevamo delle birre, Ferrari non ha mai pagato una birra ‘No no Ferrari’ niente, perché venerdì, sabato ci portavamo i barili pieni di birre, delle città, eh lì, da soli non potevano andarli a prendere. Non è che, anche se potevano fare i prepotenti, perché dice ‘Te non c’entri niente, devi lavorare per’ no, ci pagavano eeeh. Le biciclette, io gliele aggiustavo tutte, però mi pagavano, davano qualche sigaretta, qualche marco, poi passando civili avevamo tutti i diritti dei pensionati tedeschi, ci pagavano, ci che i tedeschi essendo in pensione ci davano i soldi anche per vestirsi no, perché non basta solo mangiare, magari [coughs] vestirsi o che noi non ne avevamo bisogno, e a noi i soldi ci servivano perché al sabato e la domenica il panettiere preparava, c’era una rosetta di pane bianco no, come le nostre rosette qua o una fetta di torta, o l’uno o l’altro: noi prendevamo uno e l’altro perché pagavamo. I tedeschi non potevano prendere perché non ce lo davano neanche a piangere, perché se se un tedesco avesse preso una cosa in più, si faceva la spia però là chiudeva il negozio eh. Noi invece ce li dava perché lo pagavamo, era sicuro che non non lo denunciavamo, no no.
FA: Va bene allora la ringraziamo ancora molto per questa intervista.
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Title
A name given to the resource
Interview with Marino Ferrari
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Filippo Andi
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-01-16
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Francesca Campani
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
01:19:52 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Pavia
Italy--Casteggio
Germany--Berlin
Germany--Cottbus
Italy--Po River Valley
Germany
Italy
Austria
Austria--Mauthausen
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AFerrariM170116
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Description
An account of the resource
Marino Ferrari recalls his early life as an engineer at Pavia arsenal, and later in Catanzaro and Verona. Describes his life as an Italian military internee in East Prussia, working in different lumberyards. Speaks with affection of the German families he worked for, stressing mutual help, solidarity, and reasonably good living conditions. Recounts stories of his wartime experience: sourcing spare parts for machinery; dealing with authorities, civilians and other prisoners of war; rumours of the Stauffenberg plot. Describes two bombings: the first at a train station where he was loading tree trunks, the second when a shell exploding nearby slicing off a soldier's foot. Provides an account of night bombings on Berlin, describing the descent of target indicators, aircraft being coned by searchlights and civilians hiding in makeshift shelters. Chronicles the occupation by Soviet troops and recounts tricks and ruses used to get food and supplies, especially cigarettes. Narrates the trials and tribulations of his journey back to Casteggio.
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
animal
bombing
civil defence
home front
love and romance
searchlight
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-
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9fec9694580a7bbb977f5c907c941574
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Title
A name given to the resource
Martinotti, Federico
Federico Martinotti
F Martinotti
Description
An account of the resource
One oral history interview with Federico Martinotti, who reminisces his wartime experiences in Pavia.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-03-09
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Martinotti, F
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
FA: Sono Filippo Andi e sto per intervistare il signor Federico Martinotti. Siamo a Pavia, è il 9 marzo 2017. Ringraziamo il signor Martinotti per aver permesso questa intervista. È inoltre presente all’intervista il signor Maggi. La sua intervista registrata diventerà parte dell’archivio digitale dell’International Bomber Command Centre gestito dall’Università di Lincoln e finanziato dall’Heritage Lottery Fund. L’università s’impegna a preservarla e tutelarla secondo i termini stabiliti nel partnership agreement con l’International Bomber Command Centre. Signor Martinotti
FM: Spengo un attimo.
FA: Signor Martinotti, vuole raccontaci la sua esperienza durante il periodo di guerra, appunto sui bombardamenti?
FM: Ho dei ricordi abbastanza vivi su questi bombardamenti. Avevo allora dieci anni. Eravamo sfollati in Piazza Castello, dove c’era il vecchio zio che aveva lì una casetta perché sembrava effettivamente molto pericoloso il rimanere, data la frequenza dei bombardamenti, nella casa che era situata in, si chiamava allora Corso Vittorio, era Corso Vittorio Emanuele poi la Strada Nuova. E questo edificio era ubicato all’interno del Voltone degli Isimbardi, dove attualmente si trova la farmacia Tonello. Stiamo scendendo per Strada Nuova, diciamo negli ultimi cento metri. Lì avevamo, i Martinotti avevano una grande casa di abitazione, veramente un bell’appartamento, eran più di trecento metri molto ben arredato e uno studio altrettanto grande dove il nonno, che si chiamava Federico come me, aveva una biblioteca e un archivio di primissimo ordine, aveva delle collezioni dei testi giuridici ancora delle origini del foro italiano, della giurisprudenza italiana ma una serie anche di volumi di grande pregio, di grande importanza. Uno studio che oggi è impensabile perché i nostri studi per uno o due persone sono intorno ai cento metri, qui per un avvocato solo erano oltre trecento metri ed erano tutti pienamente occupati, arredati anche con molto gusto. In quest’ultimo bombardamento che mi pare sia del 26 settembre 1944, sette bombe hanno colpito tutto il nostro complesso per cui abbiamo visto soltanto i muri, l’unica cosa che ricordo, rimasta appesa in un muro era un quadro a parete delle [unclear] che portava il Ponte Vecchio, era proprio un simbolo, c’era ancora lì il ponte bello da una parte e l’altro distrutto appena il giorno prima dei bombardamenti. Si è ricuperato poco pochissimo anche perché, siccome l’appartamento e lo studio erano molto arredati non si sapeva dove fare un trasloco, dove portare determinati beni. È rimasto là tutto ed è rimasto tutto. Mi ricordo mio padre che era appena dopo i bombardamenti sceso a vedere, ha avuto un momento di euforia quasi vedendo il Voltone intatto e poi una delusione molto forte quando ha visto lo scempio che c’era, però poi è tornato a darci la notizia dicendo ‘bene, ringraziamo il signore perché ci siamo ancora, siamo noi in vita’ e qui tanta gente purtroppo c’ha lasciato, c’ha lasciato la pelle, c’ha lasciato la vita stessa. Accanto a questa esperienza, bene poi ci sono state tutte le operazioni che abbiamo fatto nel ricuperare quel poco che era salvabile, ho ricuperato un po’ di libri dallo studio che sono poi rimasti, sono stati portati avanti nello studio di mio padre, poi nel mio e alcuni oggetti, praticamente ecco è andato tutto quanto. Parallelamente vorrei ricordare che come frequentatore del fiume, mio padre era uno tra i soci che era molto attivo nella Canottieri Ticino, avevamo presso la Canottieri i soci dall’origine, da quando mio padre era ancora molto giovane, avevamo delle imbarcazioni, un doppio da regata che mio padre l’aveva preso in un’occasione, sperava di andare con la moglie ma è stato un’utopia, incominciava invece a portarmi, ero ragazzino con, non avevo neanche una decina d’anni, mi sedeva sul seggiolino, mi diceva di stare bene aggrappato agli scalmi e un pésin da caccia, che uno zio cacciatore che lo usava con la spingarda l’aveva lasciato dato che aveva una certa inclinazione, un certo desiderio di usare le armi, di sparare. Se n’è andato tutto il barcone con tutte queste attrezzature e la Canottieri Ticino è stata completamente distrutta. A quel punto c’è stato il dottor Carlo Saglio che gestiva l’idroscalo che, appassionato e legato ai colori della Canottieri, ha detto ‘venite, vi ospito all’idroscalo’. Sono rimasti una quarantina di soci che sono rimasti aggregati, tenuti in vita negli ideali sportivi da Carlo Saglio e che hanno dato poi vita alla nuova società. Saglio è diventato presidente della Canottieri Ticino, anzi a proposito di Carlo Saglio presidente, ricordo degli episodi che erano estremamente simpatici. Lui andava, volava con gli idrovolanti e ogni tanto arrivava l’idrovolante di Saglio e attraccava alla zattera. Insomma, vedere il presidente che arriva in aereo in società era un fatto significativo soprattutto per allora, adesso magari lo fanno con l’elicottero. Non so ecco questi sono i ricordi più vivi di quei momenti veramente molto molto tristi che sono stati luttuosi per la città tutta.
FA: Quindi anche la Canottieri Ticino fu colpita da, dalle bombe?
FM: Sì sì, è stata colpita, è stata disintegrata.
AM: Dicevano [emphasis], che era stato così.
FM: La Canottieri Ticino era a valle del Ponte Coperto sulla riva sinistra, sulla riva della città, adesso è rimasto ancora un muraglione, è rimasto. L’unica cosa che era rimasta era un pezzo di cancello che è stato portato come cimelio nella nuova Canottieri Ticino che si trova adesso sull’altra parte del fiume, sulla riva destra, a monte del Ponte delle Libertà, ma prima la Canottieri poteva ospitare circa centocinquanta soci, erano tutti uomini, le donne non erano ammesse. Adesso ci sono settecentocinquanta soci effettivi, più gli aggregati che sono i familiari e coloro che frequentano perché legati strettamente ai soci e siamo in millesettecento. È un grosso complesso, sono più di dieci ettari di terreno, si fanno delle cose molto, molto valide sotto un profilo sportivo. Oggi nella velocità della canoa è la prima società italiana. Negli ultimi due anni è stata la prima tant’è vero che il Manfredi Rizza è stato il canottiere, è stato il canoista italiano che si è comportato meglio di tutti alle Olimpiadi di Montréal, è uno dei dieci più veloci al mondo, è il più veloce in assoluto sulla distanza dei duecento metri cioè ha il record assoluto, mai nessun italiano ha fatto il tempo che lui ha realizzato.
AM: Alle Olimpiadi di Rio.
FM: Come Rio, questo, a Rio è stato sesto e è uno dei dieci più veloci attualmente al mondo. Si è laureato in ingegneria a 24 anni e quindi, diciamo, l’espressione bellissima, noi nel panathlon siamo molto sensibili a questo, lo dico rivolgendomi all’amico Antonio Maggi che del [unclear] panathlon è una colonna grande perché cerchiamo di dare, di valorizzare il risultato grande sotto un profilo sportivo e sotto il profilo del rendimento scolastico. Non so mi dica se [unclear] qualcos’altro va bene.
FA: Certo. Tornando un attimo indietro nel suo racconto, lei ha assistito, si ricorda quando hanno bombardato diciamo la sua abitazione, ha un ricordo di quel?
AM: Dei bombardamenti [unclear] tedeschi [unclear]
FM: Dunque sì, io, beh almeno, io ero in Piazza Castello insieme a tutti i familiari quando c’erano, appena dopo i bombardamenti c’era il papà che aveva, andava immediatamente a vedere che cosa era successo per la casa. Quando è avvenuto il bombardamento sono andato anch’io a vedere e nei momenti in cui si poteva, passavo anch’io delle ore a scavare, cercare di prendere qualche cosa che poi non si trovava, quindi è un ricordo abbastanza vivo, ricordo la, il timore che si verificava perché quando c’era un bombardamento su Pavia, citta’, grande citta’, sì, Piazza Castello non era molto lontano, eran, cos’è, solo un kilometro e mezzo.
AM: Sarà un kilometro dal borgo.
FM: Un kilometro dal borgo, quindi si sentiva la deflagrazione di tutte queste bombe, lo vedevamo, lo sentivamo, eravamo in questo rifugietto che poi era lo scantinato della casa e si tirava un sospiro di sollievo appena veniva il segnale del cessato allarme e i bombardieri si erano allontanati. Allora c’era il desiderio di vedere. Ma l’ho vissuto anch’io proprio questo desiderio, cos’è successo, andiamo a vedere. Quello che ricordo ma soprattutto la serenità di mio padre, sì, abbiamo perso un sacco di beni ma siamo tutti vivi.
FA: Ha parlato di un rifugio. Potrebbe descrivere com’era, diciamo, costituito questo rifugio?
FM: Non era un rifugio vero e proprio. Era una villetta e c’era uno scantinato. Si andava più in basso per evitare che ci fosse non so. Se non veniva colpita direttamente quella, di fatto non fosse stato colpito direttamente, essendo quasi immerso nel terreno poteva esserci un po’ di protezione, non esserci lo spostamento d’aria determinato dalle bombe. Era forse una sensazione piu’ psicologica che effettiva quella di, cioè, di andare in un rifugio.
FA: Ehm, che sensazioni provavate quando entravate, quando andavate in un rifugio dopo il segnale d’allarme, si ricorda?
FM: Ma mi ricordo che c’era un aeroplanino che veniva tutte le, quasi tutte le notti, si chiamava Pippo.
AM: E se lo ricordano tutti.
FM: E lo ricordano. C’era Pippo che arrivava, evabbè spegniamo tutte le luci, ci mettiamo, mettiamoci a posto. Ma diciamo che non preoccupava forse piu’ di tanto. I primi bombardamenti avvenuti su Pavia hanno fatto capire invece che le cose si facevano serie e che gli americani volevano effettivamente demolire il ponte sul Ticino e il Ponte Vecchio resisteva con una forza incredibile per cui hanno dovuto tornare e ritornare. Dopo i primi bombardamenti c’era veramente un panico, un panico forte. Mi ricordo, addio, arriva il bombardamento, questi vogliono buttarci giu’ il ponte, finché non ce lo buttano giu’ ci distruggono. E quindi c’era timore forte.
FA: C’era forte timore.
FM: Sì, sì.
FA: Eh, e quindi la sua esperienza di sfollamento in seguito a bombardamento della sua abitazione è avvenuta, si è risolta a livello familiare.
FM: Sì, sì, sì .
FA: Lei si è trasferito e
FM: Esatto.
FA: Non ha dovuto, trovare
FM: No, cioè gli zii , il fratello del nonno che aveva questa villetta, di de’ l’era? A Piazza Castello.
FA: Vabbè vuole, ha altri ricordi legati a questi periodi inerenti appunto i bombardamenti?
FM: Ma direi di no, almeno l’essenziale è questo poi finirei a ripetermi magari con qualche altro particolare che magari è di scarso significato. Direi che posso fermarmi.
FA: Va bene. Allora la ringraziamo.
AM: Un’ultima cosa, aspetta. Tu non hai mai visto magari materialmente degli aerei che bombardavano?
FM: Una volta di Piazza Castello ho visto le bombe che scendevano, sganciate dagli aerei.
AM: [unclear]
FM: Erano le fortezze volanti allora, erano quadrimotori americani. Ecco arrivano, le fortezze volanti. E ho visto un grappolo perché arrivava, uno due, uno, due, tre quattro, che venivano lasciate andare con molta frequenza. Sembrava di vedere i paracadutisti in gruppo che uno dopo l’altro si buttano dall’aereo. Questo qui l’è unico ricordo.
AM: Pero’ non ti ha fatto impressione perché magari era una delle prime volte perché poi non hai piu’ avuto occasione di vedere.
FM: Ma quella volta, quella volta lì non so come mai dovevamo correre giu’ in, e quando è suonata l’allarme forse c’erano, sono arrivati gli aerei subito non so come. Ci siamo mossi in ritardo e nel correre giu’ si è visto questo aereo, ricordo di aver visto questo aereo che lasciava questo grappolo di bombe, che erano spostate abbastanza, ecco di un po’
FA: D’accordo. Va bene allora la ringraziamo per questa intervista.
FM: Io sono grato per esser stato intervistato e
AM: Poi, bisogna fare delle copie, eh.
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Interview with Federico Martinotti
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World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
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Federico Martinotti reminisces over the Pavia bombing on the 26 September 1944. Describes the effects on the buildings near the Ticino River (the old bridge being the aiming point of the attack) and mentions the salvaging of valuable items from the debris. Remembers the attitude of his grandfather, a solicitor who had his vast studio destroyed but was still grateful for not having lost his life. Describes improvised shelters, 'Pippo', and black out precautions. Describes bombs being dropped as resembling paratroopers jumping out of an aircraft. Gives an account of the Canottieri Ticino, the rowing club.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Filippo Andi
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:14:13 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AMartinottiF170309
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Po River Valley
Italy--Pavia
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1944-09-26
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-03-09
Publisher
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IBCC Digital Archive
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This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
bombing
childhood in wartime
civil defence
home front
Pippo
-
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c09531bc10ce13351e65fbcc19291d25
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Title
A name given to the resource
Bianchi, Angela
Angela Bianchi
A Bianchi
Description
An account of the resource
One oral history interview with Angela Bianchi who recollects her wartime experiences in Pavia.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
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Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Bianchi, A
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-02-23
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
FA: Sono Filippo Andi e sto per intervistare la signora Angela Bianchi per l’archivio dell’International Bomber Command Centre. Siamo a Pavia, è il 23 02 2017. Ringraziamo la signora Bianchi per aver permesso questa intervista. E’ inoltre presente all’intervista il signor Chierico. La sua intervista registrata diventerà parte dall Archivio Digitale dell’International Bomber Command Centre, gestito dall’Università di Lincoln e finanziato dall’Heritage Lottery Fund. L’Università si impegna a preservarla e tutelarla secondo i termini stabiliti nel Partnership Agreement con l’International Bomber Command Centre. Signora Bianchi vuole raccontarci la la sua esperienza diciamo negli anni di guerra?
AB: Sì, di quello che posso eh eh ricordarmi perché va bene gli anni son passati tanti, eh eh e volevo dire una cosa.
PCV: Riprenda quello che stava dicendo.
AB: Riprendo quello che stavo dicendo. Dunque la guerra del 1900.
PCV: No, lei viveva dove?
AB: Alla Cascina Trinchera, ecco io vivevo lì.
PCV: Il papà [unclear]?
AB: Il papà era fittabile, ecco cominciamo così, insomma perché tante parole, eeeh non è che io, ho fatto solamente la quinta, beh trans.
PCV: E quindi vivevate come?
AB: Eravamo lì, dove abitavo eravamo sedici famiglie, tutte sempre sempre, eravamo in pericolo, eh incominciava arrivare il pericolo, eh della guerra. Io andavo a lavorare a uno stabilimento di maglificio.
PCV: Dove?
AB: Via Ticinello.
PCV: Quindi vicino?
AB: Vicino.
PCV: Al ponte.
AB: Sì, passavo il ponte e poi e poi, in quelli facciamo, facevano il viale, il viale quello principale quello lì e poi prendavamo.
PCV: [Unclear]
AF: Certo.
AB: E poi prendavamo una scorciatoia, una piccola via in mezzo lì.
PCV: Quindi quello stabilimento era vicino a uno dei ponti fondamentali di Pavia cioè il ponte della.
AB: Sì, il ponte Nuovo.
PCV: Il ponte Nuovo o della Libertà o dell’Impero.
AB: Sì, sì della Libertà sì sì eravamo ai ponti, c’era anche l’altro ponte avanti quello.
PCV: Della ferrovia.
AB: Sì brava ecco. E quello lì non gli hanno fatto niente, proprio pochino, quando venivano i bombardamenti, ecco. E così ho iniziato ad andare, andavo, andavo a lavorare e, e poi eh c’erano sempre un, quel pensiero lì e la paura che, che venivano i bombardamenti. Ecco il mio padrone mi diceva ‘Andate a casa stasera, prima, perché oggi è una brutta giornata, oggi riescono senz’altro il ponte Vecchio, andare giù. E così, e così ha indovinato, allora noi, lui quel giorno lì siamo venuti fuori prima, di solito venivamo fuori sempre alle 5 nel pomeriggio ‘No! Oggi andate fuori prima un’ora che così potete, fate in tempo ad andare a casa’. Invece in quel momento lì è arrivato, ha suonato l’allarme. È stato un giorno mi ricordo come fosse adesso, ho visto tutto in televisione anche sì.
PCV: Si sentiva bene la, il suono dell’allarme com’era?
AB: Eeeh! Le, le, era una, una sirena fortissima, che se era in casa chiuso così lo sentiva, eh. Quel giorno lì sono, ognuno, eh andava dove voleva, perché i rifugi ce n’erano in piazza Botta.
PCV: Sì.
AB: In piazza Botta.
PCV: Il più vicino a voi era in piazza Botta.
AB: In piazza Botta. E poi ce n’era un altro più vicino noi, vicino alla chiesa dove c’è l’Esselunga, l’Esselunga è dalla parte opposta di lì.
PCV: Sì.
AB: Lì c’era un caseggiato eeeh.
PCV: San Gervasio Protasio era quella lì, la chiesa?
AB: Ma forse era quella lì, sì sì.
PCV: Vicino al Mondino?
AB: Sì al Mondino, ecco. Un po’ di là e un po’ di qui, ci siamo riuniti un po’, eravamo in 150 donne nello stabilimento. Io ho detto ‘No, io voglio andare a casa perché dopo i miei hanno il pensiero, e allora eravamo in cinque che abitavamo in Borgo, eh ma adesso son morti, sì eh adesso non ci sono più. Eravamo in cinque e l’altro era in tredici, si ricorda, il nome, tredici.
PCV: Sempre nel Borgo.
AB: Tredici del Borgo eh, non eravamo fatto, non erano.
PCV: Avevate attraversato il ponte.
AB: Sì.
PCV: Siete riuscite a venire qua in Borgo?
AB: Sì abbiamo fatto in tempo ad arrivare qui, lì.
PCV: Poi?
AB: Quel giorno lì son venuti, sono venuti non al mattino, perché di solito venivano al mattino alle 11.
PCV: [Unclear] Esatto.
AB: C’era l’orario eh, alle 11 bombardamento, eeeh e il ponte non li hanno, non l’hanno riuscito a buttare, e ci sono stati morti neh. I morti sono stati che hanno colpito, hanno fatto lo sbaglio, il ponte era qui, loro hanno hanno preso la parte della via dei Mille, e gli.
PCV: Anche le case.
AB: È stato un macello, eh, sì sì è stato un macello. E ci sono stati dei morti dove dove c’era, dove c’è ancora adesso Gambini, Gambini quello delle macchine, il deposito, adesso non, Gambini.
PCV: Dove abitava il dottor Gambini?
AB: Sì, no, è la figlia la dottoressa, in via dei Mille.
PCV: Sì.
AB: Eeeh che c’è la strada che va.
PCV: Sì in via Acquanegra.
AB: Là, brava. Ecco lì, hanno.
PCV: Quello là è quello che ha descritto e si chiama Tombìn.
AB: Eh sì, hanno colpito lì eh, ci sono i morti non so quanti, beh allora dopo un po’ ancora l’allarme che era andate.
PCV: Quindi lei non li ha visti quel giorno gli aeroplani passare.
AB: No, no, li abbiamo visti il giorno dopo alle 11. Che mio, il mio padrone ha detto ‘Domani non venite a lavorare perché andiamo molto male non vorrei che ci ammazzano tutti qui, e questi vengono più potenti’. Erano un 17, un 18 eh quasi 20.
PCV: Il mattino quando li ha visti.
AB: Alle 11 sì, sì, li abbiamo visti eh sì, sì sì, e infatti.
PCV: E si ricorda da dove arrivavano?
AB: Da Massa.
PCV: Esatto.
AB: Sì, sì arrivavano di lì eh. Un rumore che che le case non so come, come non hanno fatto a cadere però, e hanno colpito davvero il ponte, è stato un disastro, è stato, anche di lì ecco eh, e io venivo, venivo sempre al mattino a prendere il pane dal panettiere dei via dei Mille, che si chiamava Beretol, era il fratello della mia pro, della mia padrona dove lavoravo, eeeh e mi ha detto ‘Ninin, prima di venire a lavorare domani, vammi a prendere il pane, perché altrimenti non abbiamo più neanche il pane da mangiare’, ‘Va bene’. Ma il mio papà, perché era era, sì allora va bene, aveva preoccupazione dei figli ‘Eh va beh ma te dove vuoi andare adesso?’ ‘Eh devo andare a prendere il pane perché ho da portarlo domani alla signora’ ‘Alt! Il pane qui, di qui non ti muovi [emphasis], se dobbiamo morire moriamo tutti della famiglia’. E tutti eravamo a casa perché c’erano quelli che andavano dalla Necchi, l’arsenale, da Casati.
PCV: Quelli lì erano andati tutti a lavorare?
AB: No, no è stato proprio un riposo ecco. E lì è stato un caos, un caos da da cani.
PCV: Quindi ha ha visto quando hanno, sono venute giù le bombe?
AB: Arrivavano che noi avevamo un rifugio che l’hanno fatto alla Cascina Trinchera, che adesso ci sono tutte le case, tutte le villette.
PCV: Ah! Dove abitava lei.
AB: Dove abitavo io, c’era la stalla delle bestie, così, ma noi non andavamo in stalla, ma una stalla eeeh non pericolante.
PCV: E lì andavate.
AB: Ma non andavamo, non andavamo dentro lì.
PCV: Eh dove?
AB: Tutta la, tutti il, tutti i sedici di, di.
PCV: Famiglie?
AB: Amici, hanno costruito un sotterraneo, vicino a una campagna lì, era era mi ricordo ancora adesso, e dovevamo andare sotto lì, in campagna.
PCV: Avevate, hanno scavato
AB: Hanno scavato sì, sì.
PCV: Una fossa dentro?
AB: Sì, sì ma tante.
PCV: E il tetto.
AB: Era metà Borgo che sono venuti a aiutarci, venivano anche quelli della via dei Mille a salvarci, sì, a scappare per per poter salvarci, quello che che potevano prendere, il pane, un pezzettino di salame perché quei momenti là usava, c’erano i maiali, le galline, eh insomma non è come adesso che che bisogna correre al supermark, oh mama mama [laughs]. Io non volevo andare sotto lì perché era era profondo un paio, un paio di metri, ma anche di più. Stavo vicino alle scale per venire su, che li volevo vedere, non solamente io eh, anche gli altri signori che c’erano lì. Oh mama com’erano grossi! Li ho visti interi, sembrava ancora che venissero ancora adesso ecco, ci, siamo stati fortunati.
PCV: Quindi dove abitava lei li ha visti passare.
AB: Sì, venivano proprio eh eh, sopra il Ticino, hanno preso la la la mira sopra il Ticino che veniva, sono fermati un po’ indietro di qui dalla mia casa all’aeroporto, lì dove c’era che andava l’aeroplano Savio.
PCV: Sì, sì.
AB: Hanno incominciato a sganciare le bombe via una all’altra, via una all’altra che poi una l’hanno presa lì da vedere, eh tutto lì, disastro!
PCV: Si vedevano bene i fuochi.
AB: Oh, oh! Si vedevano bene, era una giornata meravigliosa, e è finita, non è che è finita così, che poi, il giorno dopo, sono ritornati ancora, ma non tanti così, di meno, di meno, che io ero ero ero andata, siamo andati a lavorare, pechè ero via nella casa, che poi siamo scappati, eeeh, donca siamo scappati al sotto suolo lì al rifugio dove c’erano i benedettini, in corso Cavour dove ci sono le scuole Carducci.
PCV: Sì.
AB: Lì c’era una via, in fondo a quella piazza lì, come si chiamava? Come si chiama quella piazza lì che poi.
PCV: Corso Cavour vicino al Carducci.
AB: Che c’erano.
PCV: Mah c’è piazza Botta, c’è.
AB: C’erano, ritiravano gente da far imparargli un lavoro.
FA: Gli Artigianelli.
AB: Gli artigianelli, ecco avanti dagli Artigianelli, c’era quel rifugio lì grosso che c’è ancora quel palazzo lì c’è.
PCV: Eh il palazzo Botta?
AB: Il palazzo Botta.
PCV: Il palazzo Botta c’era sicuro il rifugio sotto.
AB: Sì, sì, sì, sì eh ci sono, c’erano delle colonne più di che due uomini abbracciarle non riuscivano, e tutto, e tutto, tutti stabilimenti, se potevano, gli operai, scappavano tutti lì, e anche lì, me io avevo paura di andare nel car, sotto.
PCV: Sotto.
AB: Le cantine, diciamo così, nei cantìn. Mi mi, avevo molta paura, ecco.
PCV: Eh eh la gente sotto, come stava, cosa facevano in quell’ora, in quella mezz’ora.
AB: Niente, niente niente.
PCV: Di sotto, parlavano, avevano paura?
AB: Sì, sì non tanto perché piangevano di più.
PCV: Ah.
AB: Piangevano per la paura eh ‘E adesso viene qui mi ammazzano’ così eh sai, la la la, non lo so, perché non, non si faceva niente, c’era un cantinato sotto, grossissimo.
PCV: Buio, buio?
AB: No, c’era la luce! No, no, no per quello lì c’era la luce. Poi l’hanno messo a posto con le sedie eeeh tutte le panche, ecco, cani [laughs] i palazzi lì vicino avevano le bestie, il cane e il gatto, e lo prendevano su anche loro. E così contavamo così, cosà, così, cosà, tante cose che non si poteva nemmeno tingerle in mente, è andata così, siamo venuti fuori, e abbiamo, siamo stati molto male ecco che mio fratello poi visto che non sono andata a casa non, si è messo a cercarmi, di là, di lì, di là, di lì, poi e poi, perché il ponte non c’era più.
PCV: Si poteva ancora passare sopra?
AB: No! No, no, no, no non potevamo più era andato giù.
PCV: Allora eh?
AB: Due archi o tre né, dove, o tre, c’è ancora il segno.
PCV: Dipende dal bombardamento.
AB: Sì il bombardamento.
PCV: E quindi per tornare a casa?
AB: Eh per ritornare a casa abbiamo dovuto, perché erano già, stavano facendo il traghetto qui vicino alla lavandaia lì, perché pensavano che che ‘Tutta la gente come fanno a venire a casa?’. Un traghetto largo come il tavolo, così tutto fatto bene, i soldati l’hanno costruito.
PCV: Ah sta parlando del ponte, il ponte di barche.
AB: Sì, sì.
PCV: Il ponte di chiatte insomma, che è stato lì, esatto.
AB: È stato lì un bel po' di anni e poi, e poi l’hanno tirato via.
PCV: Si passava su quella passerella, la cosiddetta passerella?
AB: C’erano i soldati che ci seguivano, sì, sì, sì c’erano loro, sì, sì, sì, eeeh.
PCV: E quindi andavate avanti e indietro.
AB: Sì, quando dovevamo andare a lavorare dovevamo passare di lì, tutti, tutti quelli, quelli di, di che non c’erano tante macchine come adesso eh, c’erano tante biciclette.
PCV: Quindi anche con le biciclette.
AB: Sì, sì a mano, e a mano, ci aiutavano andare su, dei gradini per andare sul, sulla strada e poi proseguire a chi doveva.
PCV: Soldati.
AB: Sì, sì.
PCV: Italiani o tedeschi?
AB: No, no erano i nostri, i soldati, no no avevano la caserma eh qui, che che poi hanno cominciato a fare la ronda, si diceva così.
PCV: Cioè?
AB: Quattro soldati alla sera tenevano l’ordine del, del.
PCV: Passerelle?
AB: Sì, l’ordine della gente. Perché c’erano quelli che si, che che parlavano così e poi andava anche a pugni. Perché ‘Ti, oooh, ciapa de là, bi’ insomma erano tutti nervosi, tutti, tutti, siamo venuti un po’ strambi, eh. È finita così, e poi hanno tentato di buttare giù un’altra volta il ponte Nuovo.
PCV: Il ponte dell’Impero, sì.
AB: Sì, sì, il ponte dell’Impero.
PCV: Poi l’hanno, l’han distrutto?
AB: No, no no no, si passava la la l’hanno l’hanno, venivo quel, veniva alla sera quello della mitragliatrice che che che gli dicevano ‘Pippo!’ C’a gl’ho dit, mitragliatrice. I nostri non sono stati capaci di prenderlo, eh perché alla sera, noi appena buio, appena buio che non si vedeva, sì insomma appena buio, la luce c’era che qualche famiglia, se no avevamo la lanterna, una roba così, dovevamo metterci su una camicia nera, un coso nero, perché se vedevano un filino di luce quello lì ritornava eh e qual che al trovava al fava net, li amasaven, li ammazzavano. Qui ha ferito due donne che non hanno fatto in tempo a scappare anche di lì nelle campagne, che lui, sa dove c’è il cancello di di elettrico lì da noi?
PCV: Sì.
AB: Lì c’è un fossato, ecco sotto lì c’è un tubo di cemento così, che scarica quando viene la piena: tutti sotto lì! Non hanno fatto in tempo a scappare e l’hanno ferito, li hanno feriti, sì hanno ferito la mamma dello zio, la nonna Maria.
PCV: Ah, la nonna.
AB: Sì sì, e la nonna, la nonna.
PCV: No se no il ghe più.
AB: Eh no, il ghe più, en gh’è mia più nissun, e un’altra signora che abitava qui l’hanno a momenti non c’era, l’hanno preso anche lei in testa. Perché quello lì, che andava lì sotto, che che si rifugiava lì, aveva in bocca non so il toscano o la sigaretta, non lo so, con una luce così piccolina, e quello là veniva a bassa quota dalle case sui tetti, va ben? E disastri anche di lì, una paura enorme, di ore, un paio d’ore andava a mitragliare.
PCV: E si sentiva il rumore quando?
AB: Urche! Sì, sì, i cani, i cani davano l’allarme perché noi avevamo i cani in cascina, e urlavano ‘Ma che cos’hai?’ Si chiamava Puci, me lo ricordi mo, ‘Ma che cos’hai, stanno venendo, arriva Pippo! Andiamo, andiamo, vieni!’ e intanto venivano [makes a droning sound] un rumore ma non era grosso nè.
PCV: No eh certo.
AB: Come quello che andava su Savio.
PCV: Quello era un caccia?
AB: Era un cacciatorpediniere, eh sì. Ecco dopo gh’era anca cull’lì, altro pericolo.
PCV: Alla sera.
AB: Sì sì alla sera, aveva l’orario anche lui,
PCV: Ah cioè?
AB: Al buio.
PCV: Dopo cena?
AB: Dopo, no no arrivava alle 9, eh prima delle 9, eh si perché era d’estate e veniva su buio più tardi insomma, ecco.
PCV: Voi avevate già mangiato, eccetera.
AB: Sì, sì noi facevamo presto a mangiare la minestra non mancava mai, al pane non mancava mai, perché mio papà aveva la farina facevamo un po’ di cose, le portavo dal panettiere e senza pagare, no? Dava la farina, quella gialla, quella bianca, e noi prendevamo la farina da fare la polenta e quella bianca il pane la pasta insomma, si si lo mangiavamo così. Però la fame, ringraziamo Iddio anche se ero giovane sì, non ho mai sofferto la fame ecco.
PCV: E Pippo mitragliava solo o lanciava anche delle bombe?
AB: No, no mitragliava, con la mitragliatrice, ma sa quel poco ponte che è rimasto in piedi, quelle arche lì poche le prime di queste, c’erano le mitragliatrici nostre qui, tutte pronte, coperte di di rami che non li poteva vedere, eh eppure si abbassava si abbassava e e centrava le case le le le case. In su alla casa nostra in Cascina Trinchera avevamo la casa tutta mitragliata la parte che veniva.
PCV: Del muro di fuori.
AB: Sì, sì questa parte qui. E insomma, anca faceva, era pericolosa, e non hanno mai potuto prenderlo in nessun modo.
PCV: Ma dov’erano queste? Dov’erano?
AB: Mitragliatici? Sul ponte.
PCV: Vicino al ponte?
AB: Sì, i soldati li avevano.
PCV: I soldati
AB: Eh già.
Unknown person: Signora Anna buongiorno.
PCV: Buongiorno.
FA: Ecco prima della pausa stava dicendo della posizione delle delle mitragliatrici.
AB: Sì, erano tutte sul ponte quelle mitragliatrici lì ma non, con i nostri soldati eh.
PCV: Soldati italiani
AB: Sì sì, erano i nostri.
PCV: Tedeschi no.
AB: No, no, no.
PCV: E quella che ha, e quella vicino al suo stabilimento, sotto lì.
AB: Sì.
PCV: Al ponte dell’Impero, al ponte Nuovo, non l’aveva mai vista la contraerea lì?
AB: No, quello lì non abbiamo, la sentivamo sì, sì.
PCV: Ah ecco, ci son delle foto.
AB: Sì sì beh ci sono delle foto che hanno poi, io le avevo tutte le foto, davvero eh, avevo fatto un album, tu, non solamente io tutti i suoi nonni, avevamo sì un ricordo un po’ un po’.
PCV: C’è ancora?
AB: Eh la piena.
PCV: È andato giù con la piena, lo stavo dicendo.
AB: La piena, addio ha rovesciato tutto, e non abbiamo, abbiamo portato dal fotografo a farli vedere quelli che, ma non c’era più niente, avevamo le le, i disastri, i disastri delle case, ecco. E in su, tutti i negozi non c’erano più: panettiere, ciabattino, quel che faceva le le focacce.
PCV: In piazza lì.
AB: Eh sì, lì in via dei Mille. Ecco, basta lì è andato al suolo, tutto.
PCV: E la gente cosa diceva dopo il bombardamento?
AB: Niente, cosa diceva? Eh cercavano di di reagire per per salvarsi ancora quello che hanno potuto.
PCV: Cioè quindi?
AB: Sotto le macerie!
PCV: Cercavano nelle macerie?
AB: Certo! Sì, quello lì, ci son stati dei morti ma non so quanti, eh quelli lì mi ricordo ma non hanno trovato niente, perché c’erano anche quei momenti là, che che quello che trovavano non dicevano ‘Qui ho trovato una borsa, qui ho trovato un coso, qui ho trovato un altro’. Niente, se li portavano via.
PCV: C’erano dei ladri.
AB: Oh! Sì, sì, cercavano di portare via, non di dare una mano o quando si trovava qualche cosa di importante, ecco han trovato i morti e lì non è stato un po’, ehm.
PCV: E chi tirava fuori i morti?
AB: I soldati, sempre loro, di aiuto.
PCV: I soldati italiani?
AB: Sì, sì i nostri. No, no non c’era nessuno dei, di loro. E quel, quell’aeroplano lì che gli ho detto che ci dicevano che era Pippo.
PCV: Pippo sì.
AB: Che mitragliava non si è mai saputo se era, se erano uno dei nostri che voleva essere un po’, o uno di loro, lì che che han fat la guerra, ecco non si è mai potuto saperlo, mai, mai, mai, mai, mai, mai, mai. Poi ha cominciato a venire l’oscuramento, lì la la ronda, e poi tante cose che quei soldati lì tenevano un po’ un po’ la quiete del ponte, della gente insomma, ecco, il comune ha aiutato quelli lì che hanno perso i familiari.
PCV: Senza tetto, senza tetto, e dove il portavano?
AB: Eh sì, sì, no li tenevano loro un po’ e li hanno ritirati nelle case popolari, che stavano facendo le case popolari in viale Sardegna, vicino al Naviglio. Lì c’erano, ci sono ancora, ecco le stavano costruendo lì, che lì eh il posto c’era, insomma se non erano in tanti, un po’ ammucchiati però li ritiravano lì.
PCV: E gli altri andavano fuori Pavia?
AB: No, no, no stavano tutti qui dai parenti che avevano, gli amici.
PCV: A Travacò?
AB: Travacò, ehm Travacò e poi tutti questi paesi vicino insomma ecco. E si è incominciato, il lavoro c’era perché se ne aveva abbastanza di andare, quindi questo stabilimento c’era quello lì, non è come adesso, adesso, adesso può mettere i denti sull’ostello.
PCV: Dopo i bombardamenti andava sempre a lavorare?
AB: Sì, sì sempre.
PCV: O stava sulla.
AB: Io sono sempre andata a lavorare, lo stabilimento non è stato toccato, un po’ mitragliato, sì mitragliato sì, le schegge delle bombe, dove sono, sono andate, hanno colpito eh.
PCV: Anche a distanza.
AB: Sì, Sì no no l’ha fat i disaster. E basta e la nostra vita è finita lì basta, finita lì e adesso non tutti i miei amici sono morti, io faccio gli anni il mese, il mese prossimo 89 eh eh no sono tanti, sono tanti, però mo sì, un po’ bene un po’ male, un po’ bene un po’ male, poi c’era c’era una amicizia nelle famiglie che davano coraggio gente che tenevano su il morale, ecco alla sera eravamo riuniti tutti fuori, ma dopo arrivava arrivava Pippo a e dovevamo scappare altrimenti si raccontava quello che abbiamo fatto, che abbiamo mangiato, che, poi da quel momento lì il Duce ha fatto delle belle cose, insomma. Ha iniziato a fare le mense negli stabilimenti che non dovevamo, noi dovevamo imparare a mangiare la pastasciutta a mezzogiorno, almeno la minestra, almeno la minestra, mio figlio [laughs] sì che è nato dopo due anni che io mi sono sposata, nel 1947, lui è nato del ’49. Eh e anche lui in quei momenti là non era, non era un un, ma sì eravamo ancora un po’ un po’ un po’ con niente insomma.
PCV: Per mettere a posto tutto, tutte le macerie dei bombardamenti ci hanno impiegato tanto tempo?
AB: Eh abbastanza, sì sì sì li mucchiavano tutto il il, li ammucchiavano per lasciare la strada libera per andare in bicicletta, ecco ma in bicicletta andavamo ugualmente perché andavamo dall’altra parte del viale, traversavamo quella, quella striscia, passerella lì e ci aiutavano ecco. Ma i soldati hanno lavorato tanto, in questa guerra lì che hanno fatto, è finita nel ’45 se non sbaglio, nè, è stata un pochino dura i due anni prima di finire, insomma.
FA: Ma erano dell’esercito italiano o erano.
AB: Esercito italiano.
FA: Non c’era la milizia.
AB: No no no, io che mi ricordo no eravamo tutti noi, ecco da noi tutti da noi, tutti ragazzi che venivano da da paesi sì ma non, forestieri sì ce n’erano i soldati che vengono da Milano, Bergamo, Como chi da lì, chi da là, ma però.
PCV: Sì, erano quelli del Genio.
AB: Sì si erano tutti quelli del Genio, sì sì sì, erano comandati tutte del, c’era un maresciallo, quello lì, che che è venuto anche a casa a vedere tutte le case che erano ancora in piedi e se c’erano delle, delle riparazioni da fare, loro aiutavano. Buttava giù magari una camera, un’altra camera, i tetti, ah quelli lì sono stati, le case sono state tutte da fare, sì sì sì.
PCV: Dallo spostamento d’aria.
AB: Eeeh dallo spostamento d’aria, sì sì, ecco e noi eravamo un po’ curiosi perché volevamo vedere i danni che c’erano stati.
PCV: Eh, e quindi?
AB: E quindi noi non potevamo andare tanto in mezzo a quel disastro lì a vedere, perché non volevano eh, perché ogni tanto cadeva qualche muro, qualche parete ancora nelle case lì che erano in piedi eh e hanno, quelli che hanno avuto dei dei, che hanno avuto dei, madona sa disen, disaster.
PCV: Dei danni.
AB: Dei danni, il comune, il governo li ha aiutati, sì sì sì noi avevamo le bestie, i cavalli, si sono spaventati, erano quattro, erano pochi, si sono spaventati, le botte che sono andati giù, che sono andate giù le bombe hanno aperto le porte, si sono aperte da sole eh, e i cavalli non c’erano più, so, li hanno trovati nelle campagne, anche lì mio papà è andato in caserma a chiedere un aiuto, eh eran quater. Le mucche no, le mucche piangevano, piangevano ed erano spaventate [emphasis] ecco quello lì mi ricordo ancora, mi ricordo. Poi adesso quella settimana scorsa ho visto quel film lì e la nostra guerra che abbiamo passato, oh dio mamma mia guarda là, guardala là, hanno preso tutto questa parte del borgo più disastrato, e noi eravamo dentro, eh e avevo la fotografia, e avevo la fotografia. Dopo sono andati, a mano li hanno portati a casa i cavalli eh, a mano perché non c’erano, sì. Sì sì a mano, le mucche no, le mucche erano ancora in stalla e piangevano, e mio papà diceva ancora ‘Attenti che ades, adesso ritornano e fanno ancora un disastro, ma queste bestie qui non possiamo, non si può muoverle, il posto c’è’. Il posto c’era, il bosco grande e mio papà non ha voluto che dovessero eh eh prender le mucche perché portavano via anche le mucche per mangiare, allora lì eravamo tutti in corte, anche noi, sul cascinale lì di fieno e quello lì poteva salvare se doveva andargli giù il locale, invece no, no no la la è stato è stato tutto quasi metà rotto il tetto, tutti i tetti, tutti rotti, tutti rotti, che così quando pioveva, il fieno non si poteva darglielo bagnato e cosa doveva fare mio papà? Avevamo l’aia, prima di arrivare per andare su nella curva e andare sull’argine e la mettevo tutto allargato giù per farlo asciugare di giorno, quando c’era il sole, perché la mucca non lo mangia eh, mangia l’erba, il quadrifoglio se è bagnato, mi ricordo, ma il fieno no, e piangevano anche per la fame. Dopo mio papà si è stancato ha detto ‘Basta! Io non voglio più saperne perché qui, perché qui adesso viene una rivolta, mi vengono a prendere tutte le mucche’ e io vederle andare via, ne hanno presa una, quello lì mi ricordo, la zia che c’era una sua zia gravida che doveva ammalarsi, in corte della Cascina Trinchera, l’hanno preso una, una mucca che faceva 30 litri di latte han portato in corte e l’hanno uccisa.
PCV: Ma chi?
AB: Quello lì non si sa chi.
PCV: Chi l’ha presa.
AB: Non si, chi erano, chi erano alla notte, l’hanno uccisa in corte.
PCV: E l’han lasciata lì?
AB: No no, no no perché noi avevamo la guardia da, che curava la stalla, e dormiva lì, gli hanno fatto qualche cosa, non ha sentito, l’hanno slegata, l’hanno portata fuori dalla stalla, l’hanno messa in corte perché dopo c’era tutto il sangue lì e poi l’hanno portata via con il carro, un carro coi cavalli, no, né macchinone, né macchinino, no no no no toccava eh il carro, il carro gli hanno portato via anche un carro al mio papà, il più grosso, che metteva su il il frumento, eh che doveva andare al mulino a farlo macinare, va bene, e invece l’hanno portato via eh, non l’ha sentito né, niente tutto tutto in silenzio, non, al buio, di chiavi non ce n’erano, eh luci non ce n’erano, c’erano le lanterne, le le.
PCV: Col petrolio, le lanterne col petrolio [unclear]?
AB: Col petrolio, c’era un odore in casa, io quando andavo a casa da lavorare le dicevo ‘Mamma ma non è meglio che accendi le candele?’ ‘No, no, no, no, va più bene questo, questo qui è una vita, io sono nata da bambina che avevamo le le, questo non danneggiano la salute’. Mamma mia che odore, il petrolio, di petrolio.
PCV: La corrente elettrica non la davano, in tempo di.
AB: No, no no l’hanno dato dopo, dopo quando è andato a posto un pochino allora hanno, c’erano i lampioni, sì ma uno qui, uno al ponte, uno uno a dieci chilometri.
PCV: Erano lontani.
AB: Che luce che luce poteva fare quello lì e ci arrangiavamo così noi alle otto e mezza, le nove eravamo già tutti a letto ‘Cosa facciamo su?’ che non si poteva. La tele neanche a parlarne, la radio avevamo la radio ecco e che se lo trovavano che dopo son venuti i tedeschi eh sono venuti i tedeschi, se sentivano il rumore della radio erano capace di ammazzarlo. Quel lì m’el ricordi, il mio papà l’aveva messo in un sacco e ha messo dentro il fieno, e l’ha nascosta lì, e poi non so se l’han portata in stalla o se l’hanno messa nel fienile, sopra la stalla, era un fienile enorme eh, era grosso, la la, era grosso, lì la sas’disen la e che nome ha, la Trinchera, la Cascina Trinchera, ecco. Eh sì. L’ingegnere poi conosceva, conosceva il Duce, era un amico, quando c’erano, quando veniva il Duce a Pavia, allora noi bambini così tutti le, le femminucce bianco e nero, i maschi idem, camicia nera e via andare, eh, si si quando eeeh veniva spesso a Pavia. Sì sì sì, era eh mi ricordo che era una persona talmente, conosce Preda? Signor Preda? Quello che viene qui in officina? L’è un po’, s’è più piccul che lù, una persona ben messa, una bella persona, eh che poi è stato a Pavia, mi ricordo che ha voluto, ha fatto dei beni e non so a che famiglia, non lo so più, e gli dava e gli dava la la, i cibi. Avevamo la tessera, io avevo la tessera, fino a 18 anni avevo una pannocchia di più, più latte, più riso, più pasta, eh sì la frutta, le mele e basta mi ricordo, ma di mele ce ne erano poche perché quando arrivavano dalla frutta [laughs] erano più quelli che sparivano che quelli che dovevano.
PCV: Essere distribuiti.
AB: Essere distribuiti, eh. Poi ha passato un sussidio a noi, che eravamo giovani, fino sempre solamente a 18 anni e poi basta, la tessera non c’è stata più, sì sì dopo potevate lavorare e allora ha dit ‘Andate a lavorare’. Eh ma noi eravamo già a posto, però prendevamo qualche cosa, sì sì di premio, qualche cosa, non era non era una vita come questa né, che adesso no si da né altro, arriva sempre da pagare, in un momento la luce, in un momento l’acqua, le strade rotte, ma le strade erano giuste eh, che ci tenevano eh anche il comune, pagavamo le tasse, anche quei momenti là, che mi ricordo mio papà, ma però c’era c’era un un pavir meraviglioso, adesso fa schifo, fa schifo.
FA: No, volevo farle una domanda.
AB: Dimmi.
FA: Si ricorda come era diciamo fatto dentro il bunker che aveva, che aveva fatto anche suo papà in campagna.
AB: Sì, dunque, c’era una buca fatta di terra, no? Ecco, dopo avevamo messo dei pali, dei pali, sopra per fare presto perché veniva il pericolo, dei pali, le piante, non pali, delle piante lì che c’era il bosco e di là che non si poteva toccarlo, ma l’hanno tagliato e hanno messo tutti sopra, uno, due, tre, quattro. Sopra, per per per essere sicuri, tutti i fasci di legno, e la paglia, e la paglia, per coprire dalle schegge, per coprire tanta paglia. Ecco mettevano solamente quelle lì, sotto dopo hanno fatto tutte le panchine, sì quattro passi, quattro pali su un asse su un asse o, o le piante, uno due tre vicino e si sedevano tutti, si sedevano lì, io non, non mi sono mai seduta perché anche sotto lì non volevo andare, non volevo morire sotto lì perché avevo paura, era tutta così, di terra.
FA: Di terra.
AB: Ma fatta bene eh. Fatta bene proprio veramente, eh sembrava una casa
PCV: Le dimensioni cioè ad esempio così?
AB: Eh eh questa casa qui era il era il il.
PCV: Fin là?
AB: No, no.
PCV: Fin lì?
AB: Dalla dalla televisione di lì e andare al muro, proprio quadrato, era quattro metri, quattro per quattro.
PCV: Era come questa?
AB: Sì, sì questa è quattro per cinque, sì sì eravamo tutti, tutti via dei Mille, ah non so la gente che ci giravamo dentro sarà stato più di cento.
PCV: Va beh era un po’ più grossa, c’era un centinaio di persone?
AB: Ah senz’altro, sì sì, tutti in ordine ognuno se, chi aveva, c’erano quelli che prendevano su le sedie, perché va bene, eh non ci stavamo tutti proprio bene, io mi ricordo, tutti in giro, c’erano le sedie, ma le sedie della casa eh.
PCV: Sì, sì.
AB: Sì sì le sedie ecco eh così, di porte niente porte e tutti i fasci di legno per il tetto.
PCV: Per il soffitto.
AB: Per il soffitto e coprire con le piante verdi per non far vedere che lì c’era un buco, c’era c’era il nascondiglio, ecco quello lì me lo ricordo che dopo lì, in quel in quel coso lì hanno costruito, da lì l’hanno costruito il proprietario, il capo della della cascina, il padrone, l’ha costruito di di di muro per vedere per mettere, la pipì delle bestie della stalla, il Giuse, Giuse, che gli dicevano, Giuse, al Giuse, ecco gli hanno fatto, una un un canalino così di ferro, li buttavano dentro lì, quel canale lì andava dentro in quel.
PCV: In quella fossa diciamo.
AB: A quel fosso lì, ecco, è rimasto così, dopo hanno cominciato a dare il permesso ma dopo gli anni, da fabbricare e la cascina è sparita, e mio papà si è ritirato, è andato a lavorare, è andato a lavorare in una ditta di rifiuti della città. Lù al sa n’do ghe el fos del lunedì? Lu l’va pr’andà, speta né, el va, al giro pr’andà in cors Garibaldi.
PCV: Eh?
AB: In corso Garibaldi, el finisce il corso Garibaldi e va a finì in viale Sardegna, el va non in viale Sardegna, el va mondrit, el va su el va su che gas [unclear].
PCV: Via del Partigiano.
AB: Via partigiani, lì gh’è una via che andando su di lì è alla destra
PCV: Sì destra.
AB: Là, in fondo a quella via lì si diceva ‘Il fosso del lunedì’, il mio papà è andato lì a fare il capo, c’erano quindici o sedici donne, rifiuti della città. E lì non c’erano i bidoni, noi la bruciavamo c’avevamo le scarpe eeeh, le scarpe tutto il rudo che facevamo in casa, ma non come adesso eh, ma non c’era eh.
PCV: Certo.
AB: Ma io non lo so adesso dove, dove si va a prendere tutto perché, è tutto scatolame, eh.
PCV: Per, per per quanto riguarda i bombardamenti, quando arrivavano gli aeroplani, no voi li sentivate.
AB: Oh, oh noi li vedevamo.
PCV: Eh, ha visto le bombe.
AB: Sì, sì, sì.
PCV: Ma la contraerea? Le mitragliatrici sparavano? Quelle che aveva detto.
AB: Non gli facevano niente solamente quelle là che lavoravano.
PCV: E basta, non sparavano, non si sentivano le mitragliatici.
AB: No no no se no li amazavan tutti e li lanciavan giù anche in città in pieno eh.
PCV: Si ma quindi i soldati non sparavano contro.
AB: No, no ci sparavano solo quello lì che girava la notte.
PCV: Sì, ok.
AB: Ma tipo basta non gli facevano niente, erano tranquilli.
PCV: Sì, sì infatti.
AB: Perché i cannoni c’erano eh, i cannoni, i nostri qui c’erano eh.
PCV: Sì, però ‘No fly, no fly, no fly’ dicevano.
AB: No, niente, non li usavano ecco, perché se li usavano sulla popolazione, di popolazione non ce n’erano più, non.
PCV: Va bene, beh no io dicevo gli italiani, no niente, non gli si sparavano.
AB: No niente non gli facevano niente, eren liber, perch’è gh’eran poca [unclear]. Io penso io, perché non non andavano, che poi quando giravano per andare via, vuoti di bombe, perché si vedevano eh, erano all’altezza delle case, eh sì, eh cosa facevano? Giravano vuote, facevano tutto il giro del paese qui, della città, giro, un giro così, come dire adesso li salutiamo, li abbiamo fatti fritti [laughs] adesso andiamo a casa, eh basta. È tutto lì, erano vuoti, di bombe non ne avevano più, oramai avevano fatto quello che volevano.
PCV: E di giorno non ha mai visto passare eeeh, degli aeroplani qua proprio sul fiume che mitragliavano di giorno?
AB: No, di giorno no, di giorno ce n’era uno solo ma forse l’hanno colpito, mi ricordo uno solo, ma non erano dei nostri, quello lì, non erano dei nostri, no e l’hanno colpito, perché quel cannone lì è sempre stato messo a posto sul ponte Nuovo, è stato un bel po’ di anni lò, impossibile che lui non lo ha visto, appoggiato, lui va di qui per andare sul ponte?
PCV: Sì.
AB: Quel, quel mitragliatrice lì era alla sinistra del ponte Nuovo.
PCV: Ah prima di entrare sul ponte Nuovo?
AB: Sì prima di entrare, c’era lì un argine si può dire.
PCV: Sì, sì.
AB: Era appoggiato lì, e l’hanno lasciato un bel po’, forse quello lì che ha preso, che venivano giù per fare, per fare eeeh baldoria e uno l’hanno colpito, non sono venuti giù, eh cristiàn [laughs] eh c’è stato un bel disastro mi n’ascordi più, non mi scordo più. Io andavo a prendere il pane alla mia proprietaria dove lavoravo, che c’era ancora su prima che venivano i bombardamenti, e mi diceva eeeh ‘Linin’ perché ero piccolina insomma ‘Va vai da mio fratello e vai a prendere il pane, fai presto! vai e vieni di volata [emphasis] perché te sei capace di andare in bicicletta, vai e vieni di volata’ ‘ Sì, sì vado io signora Teresa’ si chiamava Teresa, allora io mio sono messa eeeh, e sono venuta in Borgo. E c’era già un subbuglio ‘Oggi arrivano, oggi dobbiamo andare andiamo nei boschi, andiamo giù andiamo giù, la cascina là, la Trinchera, andiamo di qui, andiamo di là’. Mama, mama come, va beh io sono andata nel negozio, mi ricordo che che il proprietario mi ha detto ‘Che ghi?’ ‘Ma sono venuta a prendere il pane eh mi dia cinque, sei, sette, otto corone e me ne dia una di più’. ‘Ah sì? Pane di farina di castagne?’ C’era tanto pane di farina di castagne, usava tanto in quei momenti là. Bis chi castè dico ‘Me daga, me ne dia una in più perché ho un po’ fame’ ‘Ah lo vuoi mangiare te, allora lo vuoi per te’ ‘Sì, sì ma quando vado a casa ce lo dico con la signora Teresa che ho mangiato un bastoncino’ [laughs]. E io invece di uno ne ho mangiato due, sono andata a casa il pane mancava. ‘Signora Teresa’ ‘Hai perso, hai perso’ ‘No, non ho perso, la volta scorsa s’è rotto il sacchetto’ invece non è vero, non era vero, l’ho rotto io. Eeeh e l’ho mangiato io è che mi sento, mi sento che ho fame, avevo quindici anni, sedici anni, mi gh’aveva sempre una fam. Come adesso, adesso io comincio al mattino e, e fin che vado a letto continuo a mangiare per [unclear] [laughs] ma non ingrasso, vè, vè. E, e so che che in quel momento lì, sono arrivata al pelo, stabilimento con il pane, e loro arrivavano, ma non hanno combinato niente, non hanno fatto niente, le bombe le hanno lasciate, ma non hanno preso niente, tutte nel fiume. Non hanno preso né quello di su il ponte Nuovo lì e nell’altro una ferrovia, e là passava il treno eh, lo volevano buttare né, no? Non li hanno, non ci son riusciti, perché forse, li hanno fatto sul ponte qualche cosa di nasconderlo, quello lì qualche cosa, quello lì non me lo ricordo più, forse perché il ponte non lo vedevano, c’era qualche cosa di strano, [unclear] infatti non l’hanno buttato, anche il ponte Nuovo, sì. Adesso andiamo indietro, quando venivamo a casa, quelli lì che venivano giù, che facevano il volo, lì che giravano, giravano.
PCV: Chi, chi?
AB: Gli aeroplani, piccolini,
PCV: Ah gli aeroplani, quelli piccoli? I caccia.
AB: Sì, fa un eeeh. Quella sera lì, ne giravano due, allora noi eravamo sul ponte, c’è una scala per andare giù, che c’è ancora mi ha detto la Cristina, siamo corsi giù dal ponte perché venivano da basso e siamo ritirati sotto l’arca, la prima, era più bassa, più piccolina. Siamo rimasti lì, io e la mia amica la Maria, la Mariuccia la Tredici, io ho perso la borsa con dentro tutto, dallo spavento’ lì c’erano le guardie non nostre, che non capiva niente quel che che.
PCV: Dov’erano? Erano le guardie tedesche?
AB: Sì, tutto nel vul, nel vul, piombate lì, non si poteva andare di lì, noi non potevamo andare giù alla scala, attraversare le le il prato e venire fuori dove abita lui, no! No, no, no dovevamo fare la strada, invece noi veniva quelle lì siamo rimaste sotto il lì, non ci hanno preso. Sono passate, sono passate quasi vicino, si sono alzati, hanno passato il ponte e è andato, è andato bene. Quella guarda lì [unclear] è venuto vicino, ci ha, ci ha battuto là.
PCV: Vi ha fatto segno di andare via
AB: D’andà a cà, a cà, a casa. Io gli ho detto con la mia vicina, con la mia amica ‘Ma sei, ma questo qui è un tedesco?’ ‘ Questo qui è un arabo!’.
PCV: Era un tedesco? Aveva sul cappotto, com’era?
AB: Sì, sì sì una striscia.
PCV: E aveva una striscia di metallo qua?
AB: Sì, sì.
PCV: Eh gendarmeria.
AB: E quello lì, un quel d’un, un quel d’un. Ma ce n’erano né!
PCV: Sì, sì sì.
AB: Uno qui, uno là, uno lì, uno lì, uno là. ‘Mama dì domani non veniamo più di qui né, no non facciamo più il ponte né, andiamo a casa dell’altra parte’. Le barche facevano servizio, di quelli che non volevano andare sulla passerella.
PCV: Ah ecco.
AB: Sì perché la passerella, da din da du da dun.
PCV: C’erano dei barchè, dei battelli.
AB: E sopra, e sopra il legno.
PCV: Vi facevano pagare lì?
AB: No, no, no, no era tutto, tutti, capaci quelli che facevano la corsa, dei battelli.
PCV: Sì, o i barcaioli.
AB: Una volta, i barcaioli sì poi quei baracconi lì, baracconi che andavano a prendere la ghiaia, si appoggiavano alla riva e quelli che volevano magari andare su li facevano attraversare il fiume, li portavano di qui, ma non ci andava su nessuno perché avevano paura. Perché quei, quei barconi lì che c’erano, con il peso, la barca, qui c’è il fiume, andava a filo, c’era tanto così era era la sponda fuori dell’acqua, e
PCV: Va beh perché c’era dentro ancora la sabbia?
AB: Sì, c’era dentro ancora un po’ di ghiaia
PCV: Ah, c’era poca riva insomma.
AB: Sì, sì, lo portavano su la sabbia, la ghiaia, era la ghiaia.
PCV: Sì, sì, allora era meglio attraversare con i barchè.
AB: Sì, i barchè, sì sì sì, cul lì non passà. Ne abbiamo passato delle belle, eh sì, è andata bene che che ci siamo salvati anche tutta la la via così, la gente abbastanza, ha ucciso solamente, è stato ucciso un otto dieci persone ma più in su, vicino alla lavandaia, quelle casette lì un po’ malandate insomma.
PCV: Sì sì quelle lì.
AB: Sono cadute, rumori, ma sa che rumore? Adesso poco tempo fa, eravamo in corte, io e mio figlio Paolo ‘Andiamo nì Paolo’ ‘Ma? Ma?’ ‘Ansentì?’ perché lui è sulla carrozzina, mi sento i piedi ‘Stammi a sentire, non andiamo avanti, andiamo indietro perché qui adesso viene il terremoto’ ‘Eh mamma!’ Eh sì, però lo sentiva anche lui dalle ruote che era, gh’o dit ‘Non stiamo qui vicino alla casa perché ades chì vien il terremoto, andiamo via’ invece l’era l’aeroplano, un disgrasià [laughs] a bassa quota né, i nostri eh qui adesso, a bassa quota avrà fatto quattro giri, sopra le case, mo mama ho dì ghì è mo l’è guera sta teinta andum a salvars, in cà, sut al pilaster [laughs] [unclear] mu mama quel cretino lì, ma scusatemi, ma doveva venire così basso? E poi l’hanno preso, l’hanno preso perché l’hanno detto dopo, dove chi era e l’hanno preso una una non era uno dei nostri, era no vendim.
PCV: Questo qua adesso?
AB: Sì, sì adesso, l’è, l’è tre tre mesi fa, quattro mesi fa, ecco non siamo, non siamo.
FA: Però era era simile.
AB: Sì, sì, sì.
FA: Diciamo la sensazione.
AB: Quasi, quasi.
FA: Le è venuto in mente proprio.
AB: E mi è venuto in mente quel quel coso lì di ‘Salviamoci Paolo, andiamo in casa, andiamo’. Perché avevo, avevamo il sollevatore lì eh, la pedana che schiacciando fuori il coso è venuta su. Poi è venuta la piena, è andato tutto [unclear].
FA: Va bene allora signora, la ringraziamo per l’intervista.
AB: Sì sì io di quello, perché di più di così, se avevo lì.
PCV: Ha parlato un’ora eh!
AB: Sì no fa niente.
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Title
A name given to the resource
Interview with Angela Bianchi
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Filippo Andi
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-02-23
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Francesca Campani
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
01:02:27 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ABianchiA170223
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Pavia
Italy--Po River Valley
Italy
Publisher
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This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
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The nature or genre of the resource
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Description
An account of the resource
Angela Bianchi remembers wartime life in the outskirts of Pavia, where she lived on a farm with other families. Recalls her experiences of being bombed while working in a clothes factory situated close to one of the most important Ticino bridges, then a strategic target. Gives a detailed description of two shelters: the first under palazzo Botta, a vast building in the city centre; the second, a mere dugout in the middle of a field. Reminisces over the fear of being trapped underground. Recollects a number of wartime episodes: work being disturbed by bombing and strafing, food pilfering, rustling, using a precarious pontoon bridge erected by army engineers, the visit of Benito Mussolini, after which living conditions improved. Recalls 'Pippo' strafing at night, although she was never sure of its allegiance. Describes long term effects of bombing and how low flying aircraft still scare her.
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
animal
bombing
civil defence
fear
home front
Mussolini, Benito (1883-1945)
perception of bombing war
Pippo
shelter
strafing
-
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Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Varesi, Pietro
Pietro Varesi
P Varesi
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Description
An account of the resource
This collection consists of one oral history interview with Pietro Varesi who recollects his wartime experiences in Pavia.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-03-08
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Varese, P
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
FA: Sono Filippo Andi e sto per intervistare il signor Pietro Varesi. Siamo a Pavia, è l’8 marzo 2017. Ringraziamo il signor Varesi per aver permesso questa intervista. È inoltre presente il signor Maggi. La sua intervista registrata diventerà parte dell’archivio digitale dell’International Bomber Command Centre, gestito dall’Università di Lincoln e finanziato dall’Heritage Lottery Fund. L’Università s’impegna a preservarla e tutelarla secondo i termini stabiliti nel partnership agreement con l’International Bomber Command Centre. Signor Varesi, vuole raccontarci la sua esperienza di ragazzo durante la guerra?
PV: Dunque, io mi ricordo il primo bombardamento che han fatto.
AM: Perché prima della guerra ti ricordavi quasi niente, ecco.
PV: Ecco, il primo bombardamento. Io, mia nonna con la cariola andavamo, faceva la lavandaia e portava i panni a lavare.
AM: In città.
PV: A Pavia, sì, noi chiamavamo Pavia la città. A metà borgo gli aerei cominciavano a girare. Erano a gruppetti, da quattro, cinque, non mi ricordo bene, no, giravano. E ha suonato l’allarme, ci siamo fermati, a metà borgo. Ohè, hanno cominciato a bombardare. Io mi ricordo, ohè, ero un bambino, il fischio [emphasis] che facevano le bombe. Facevano dei fischi che [unclear], però le bombe non si vedevano perchè, dopo un po’ s’è visto un polverone [emphasis], eh, ecco quello lì era il ricordo del bombardamento, il primo.
AM: Perché prima non avevano mai bombardato a Pavia. Questo nel ’44.
PV: È la prima volta.
AM: Qualche bomba qua e là, però loro non avevano avuto sentore.
PV: Beh mi ricordo i fascisti, che picchiavano anche la gente che ho visto. Però è il ricordo della guerra. Avevano una paura, la popolazione, una paura spaventosa. Che infatti, appena sono arrivati gli americani o gli inglesi figurati che, con le, la cicca americana [emphasis] la, sì, li accontentavano tutti. Al posto io mi ricordo che, adesso ho pensato, dico ma perché non li abbiamo odiati perché venivano qui a bombardare? Invece tutto il contrario. Il mio ricordo della guerra è quello. Appena sono, i liberatori, appena sono arrivati, la gente, gli americani qui. Però qualche mese prima hanno ucciso tutta la gente qui, li hanno ucciso loro eh, no i tedeschi, eh. Beh il mio ricordo è quello, della guerra. Mi ricordo dopo con la barca, con i miei vecchi no, siamo andati al Ponte della Becca giù, dove c’è il confluente, il Ticino e il Po, e son venuti a mitragliare il ponte e a bombardarlo. Io ero là la spiaggia, mi passava. Gli aerei prima mitragliavano poi sfioravano l’acqua e passavano, li vedevo, non so, a un quaranta, cinquanta metri da me. Erano sempre in due, cacciabombardieri eh, a un motore solo, erano solo in due, erano, adesso non mi ricordo più se erano inglesi, americani.
AM: Di che sapevi, no, tu non sapevi chi c’era sopra. Tu vedevi il pilota [unclear] ecco.
PV: Sì.
FA: E li vedeva proprio bene insomma. Ieran lì.
PV: Ho visto il bombardamento che facevano di notte. Pippo [emphasis] lo chiamavano, eh, lo chiamano Pippo. Ohè, da ragazzo scappavamo, andiamo [unclear], poi i ragazzi erano tutti, sempre in giro anche di sera eravamo in giro. Ohè ha buttato giù le bombe, si vedevano le scintille [emphasis], ero un po’ piccolo però ecco, le scintille lì. Poi hanno ucciso un mio parente al ponte, Pippo con le bombe, il Ponte Coperto non l’avevano ancora bombardato eh. Eh il ricordo è quello lì e la paura che aveva la gente, una paura spaventosa, infatti appena sono arrivati quelli là, ma se erano quelli là che bombardavano? Guarda . .
AM: Però erano considerati liberatori, no?
PV: Sì, liberatori. Morte ai tedeschi, infatti lì c’erano dei ragazzi tedeschi, che loro non c’entravano niente però li han picchiati [laughs], comunque. La popolazione, c’era un odio spaventoso. La guerra.
FA: Invece gli americani erano, erano ben visti gli americani.
AM: Anche se c’hann bombardato.
PV: Sì, fa niente. Hanno bombardato, però erano, boh.
FA: E quando era il primo bombardamento che ha visto lì sul borgo, poi cosa ha fatto, si è, è rimasto lì a guardare, si è nascosto?
PV: No, finito il bombardamento, c’era un polverone, mia nonna correndo [laughs] siamo venuti a casa.
AM: Son scappati a casa.
PV: Sì.
AM: Perché loro non erano ancora preparati. Non avevano capito che cosa potesse succedere la prima volta.
PV: Eh già.
FA: Non, non, non vi aspettavate.
PV: No, lui è uno che abitava vicino, più grande di me eh, era un giovanotto, io ero, avrà avuto diciott’anni, abitava qui, con la barca a prendere i pesci e il primo bombardamento. Il Ticino era pieno di legna perché [unclear] i legni del ponte e i pesci.
AM: [unclear]
PV: È il mio ricordo, adesso anche non mi viene eh, però. La guerra, c’erano i rifugi, quando c’era, ma i rifugi per modo di dire, facevano una buca e mettevano sopra qualche trave per andare, con un po’ di terra, erano quattro. Allora quando suonava l’allarme sotto le, che se buttavano una bomba li uccideva tutti.
FA: Sì sì.
AM: Tant’è vero che là, la Tumbina l’han ciapà.
PV: Ecco là, sono andati sotto in un buco, han bombardato, son morti tutti.
FA: Sapevo che ce n’era uno vicino alla Cascina Trinchera.
PV: La Cascina Trinchera non c’era eh qui. No, non c’eran cose.
FA: C’era un.
PV: Ma lì c’era una buca.
FA: Sì. In quella zona lì.
PV: Sì, eh.
FA: E voi andavate in quelle.
PV: Sì, no, no. Tutta la popolazione andava lì.
FA: Tutto il borgo insomma.
AM: Cioè quelli di qua insomma del Borgo basso, gli altri andavano un po’ più in su .
FA: Quelli di qua, della zona.
PV: Sì, eh.
AM: Quelli che non riuscivano a scappare andavano lì [unclear].
PV: Sì, eh.
AM: Perché, perché dopo il primo bombardamento tanti sono sfollati, sono andati via no, quando hanno continuato a bombardare perché poi avevano paura. Prima e non rendendosi conto, allora erano qua e con i bombardamenti sono scappati lì, no.
PV: A, a volte c’era, adesso non so se sparavano agli aerei o sparavano perché dovevano sparare. Si vedeva [makes a rhythmic sound] e si vedevano dei palloni neri dove sparavano.
FA: Questa la contraerea?
PV: Sì.
AM: Però quà non gli han mai presi, no?
PV: No [laughs].
AM: Mai ciapà niente [laughs].
PV: Adesso il racconto mi viene. Alla Vignazza.
M: Dove c’è il Gravellone?
FA: Sì.
PV: Dove c’è il Gravellone, la Vignazza, lì c’erano la difesa contraerea. Erano degli uomini anziani qui da noi che erano dalla parte dei fascisti eh, erano lì a fare la contraerea se venisse [laughs]. Noi da ragazzi tornavamo dalla scuola, io ero in seconda o terza elementare, tornavamo non per la strada del borgo, tutto attraverso i campi e via sempre, per giocare. E loro, i militari quelli lì, quelli della contraerea, era tutta l’osteria, lì c’era l’osteria.
AM: Lasciavano là le mitragliatrici e i cannoncini e andavano in osteria a mangiare.
PV: Noi siamo. C’erano le buche con dentro le mitraglie, due, mi ricordo a due canne o una canna sola. E c’eran tutti sacchetti in giro. Noi siamo andati lì e c’eravamo le maniglie.
AM: Giocavano, no.
PV: Bambini.
FA: Sì sì.
PV: È venuto fuori alla maestra a scuola dopo un paio di giorni, sono venuti là con i fascisti quelli tutti vestiti di nero. Chi è? [laughs] Eravamo bambini e allora.
FA: Han chiuso un occhio.
PV: Han chiuso un occhio.
AM: Però per dirti come funzionava la contraerea. Andavano all’osteria a mangiare.
PV: Sì andavano all’osteria. Era una guerra.
FA: Un po’ alla carlona, eh.
PV: Sì, un po’ alla carlona. Noi in genere c’era troppo, orca miseria. A scuola, adesso parlando della guerra, no, a scuola. Quando c’era una festa del fascismo, così, i ragazzi, dovevano venire i balilla, no, con la bandoliera bianca.
AM: Il fez.
PV: Con l’emme qui, non so cosa c’era, non mi ricordo proprio. Mio padre era contrario ‘sono bambini, cosa fanno fare la guerra ai bambini’ e non m’ha mai comperato la divisa.
FA: La divisa.
PV: Mai, e la maestra mi fava la nota:’il bambino deve venire a scuola adeguato’. Poi è finito tutto. Non le han dato l’olio [laughs] per un po’ perché le davano l’olio eh a quelli ecco, che erano contrari. Mi ricordo quei fatti lì ecco.
AM: Ecco però vialtar si no sfulare da chi , non siete sfollati voi.
PV: No, no.
FA: È sempre stato.
PV: Qui eravamo un po’ distanti eh, eravamo distanti dagli obiettivi che potevano essere.
FA: Però vedevate tutto insomma, quando venivano si vedeva bene.
PV: Sì, sì. Eh erano alti però eh i bombardamenti. Erano non so a che altezza potevano essere, oltre, ma forse oltre i mille metri.
AM: Pusè sì sì.
PV: Erano alti, eh gli aerei. Erano tutti gruppetti.
FA: Quindi si sentivano solo le bombe che venivan giù.
PV: No, le bombe si vedevano appena si staccavano dall’aereo, nere, così erano. Venivano giù, poi dopo non si vedevano più eh, perché si vede che si raddrizzavano, aumentavano velocità.
FA: Un dito.
PV: Sì, erano nere ecco, a gruppetti. Loro, gli aerei si staccavano dal gruppo, due o tre, favano, ma favano due o tre giri eh. Beh bombardamenti ne han fatto sei.
AM: Sei.
PV: Sei bombardamenti.
FA: E non avete.
PV: E sempre, una volta la settimana venivano, sempre, mi sembra sempre il solito giorno. Una volta la settimana.
AM: Agli inizi no ien gnid al dü. Le prime volte
PV: In settembre hanno cominciato.
AM: In settembre [unclear]. Sono venuti tre volte a distanza di un giorno, a distanza di un paio di giorni uno dall’altro le prime tre volte. Poi gli altri, perché non c’entravano il ponte invece gli han fatti.
PV: Sì, sì.
AM: L’ultimo l’han fatto il 22 di settembre. I primi gli han fatti all’inizio di settembre, i primi tre. Poi gli altri tre gli han fatti frazionati fin quando non hanno buttato giù il ponte.
PV: Per fortuna che non andavamo a scuola se no c’entravamo, han centrato le scuole eh.
FA: Ah, erano vicine la ponte?
PV: Eh già.
AM: No, perché hanno sbagliato una volta, han beccato tutte le case fino alle scuole. Però le scuole allora incominciavamo il primo di ottobre e i bombardamenti li hanno fatti a settembre no.
FA: Quindi era in Via Dei Mille la scuola? Più o meno?
AM: Dove c’era, quella prima lì dove c’è la chiesa adesso.
PV: Sì.
AM: Una parte della chiesa era rimasta danneggiata.
PV: Ma no, eran lì dove sono adesso le scuole.
AM: Sì in Via, lì in via dei deposit di strass ad Gavazzi cla gà brusa tut.
PV: Ma mi me par che
AM: E le scol ieran de dri. Dove iera i carabinieri. Comunque ieran lì, la zona era quella.
PV: Sì, ben, l’è lì, ecco, la zona l’è quella lì. Iera i scol.
FA: E invece i fascisti davano fastidio insomma?
PV: Ma i fascisti a volte, ma quando andavamo in città, noi andavamo a Porta Nuova, lì con i ragazzi di Porta Nuova dall’altra parte del Ticino e lì si vedevano, ma in borgo io non ne ho mai visti dalle nostre parti, fascisti.
FA: Erano in città.
PV: Erano sempre in città.
AM: Se venivano in borgo venivano per fare qualche retata.
PV: Eh sì ma in borgo.
AM: Come quando sono venuti a prendere Angelino per portarlo a suldà.
PV: Perché i giovanotti che erano assenti alla leva erano nascosti nelle cascine e.
AM: Venivano se c’era una soffiata, no.
PV: Ah sì.
AM: Perché Angelino che ndat in tel prat cl’era dre stend i pan , perché i gh’avivan dit che lu l’er la, che l’han fatto, che l’hanno.
PV: Mi ricordo bene che andavamo a scuola in borgo, io la quarta elementare sono andato in città perché in borgo non c’erano più le scuole. C’hanno fatto la passerella perché i più ponti, passerella sui barconi, si attraversava a piedi si andava. Qui c’erano gli indiani col.
AM: Turbante.
PV: Col turbante [emphasis]. Han vuotato. C’erano i.
AM: Questo è interessante.
PV: Quando c’era il fascismo facevano, prima del, non il Balilla, i più avanti erano i.
M: Gli Avanguardisti.
PV: No, ma.
FA: I Figli della Lupa.
PV: Il premilitare facevano, no. Andavano a fare le prove con, gli davano il fucile, giovanotti, quattordici, quindici anni eh, andavano. E gli indiani dovevano andare a dormire dove c’era il deposito, c’erano le bombe a mano per, eh per segnalazioni, c’erano gli esplosivi ma tutto per fare le prove loro, no, quei ragazzi lì. Han vuotato per andare. Son venuti qui in borgo con gli autocarri.
AM: Li han buttati tutti li.
PV: E han rovesciato un po’ in Ticino un po’.
AM: Sulle rive.
PV: Fuori, nelle sponde del Ticino. Oh, i ragazzi più grandi, io ero piccolo, andavo anche [unclear], tutti là a prendere bombe a mano, e ci son rovinati quattro, cinque giovanotti eh qui.
AM: Perché poi erano al fosforo, no, c’erano le saponette al fosforo.
PV: Oh, c’era un nostro amico, ohè la faccia.
AM: S’era bruciato tutto, no.
PV: Non erano, non uccidevano perché eran cose d’esercitazione, però.
FA: Però eran pericolose.
PV: Si son fatti male. Ah loro non guardavano, gli indiani.
AM: Quello è successo appena mandati via i tedeschi no perché nel ’44 due mesi dopo l’8 di settembre, [unclear] andati via, questo, quando sono arrivati gli americani durante il ’45 no, dopo il 25 aprile allora han buttato e c’erano un sacco d’armi qua, perché buttavan tutto così, no. Non stavano.
PV: Ormai la guerra era finita, eh.
[background noise]
PV: Perché non c’era niente, c’era la tessera con i bollini, tagliavano i bollini. E lì, e lì i negozianti han fatto i soldi eh. Tutti eh quelli che avevano un piccolo negozio. Tutti.
FA: Con la borsa nera.
PV: Borsa nera, bravo. Eh sì, altro che i bollini e no bollini. Eh, quelli che avevano i soldi mangiavano, gli altri, il pane, mi ricordo, era scuro, nero e a volte si trovavano [laughs] dentro i pezzi di legno o non so che cosa era dentro il pane, il mio ricordo.
FA: Perché c’era poca roba da mettere sotto i denti.
PV: Sì, c’erano i bollini. Mio padre fumava, mio nonno, avevano i, anche la tessera sul fumo. Mi ricordo. Qualcuno che non fumava vendeva la tessera ai fumatori. Ah, la guerra è stata una cosa. Io l’ho provata, ero piccolo e loro. Adesso mi, a volte mi ricordo ancora. Ma porca miseria dico, ma perché? E invece era così.
FA: Insomma la viveva un po’ da ragazzo.
PV: Da ragazzo, [unclear] avevo dieci anni. Otto, dieci anni. Eravamo, non è come adesso, i ragazzi non li vedi, prima erano tutti [laughs] a gruppi eh, i ragazzi eran tutti in strada eh.
FA: Era più quasi la curiosità che la paura.
PV: Sì, oh, tornavamo mai dalla strada, sempre, anzi qui abbiam, hanno ucciso tre bambini eh, hanno fatto una buca per la ghiaia. Quel periodo lì eh, in tempo di guerra era quasi finito, e noi abbiamo fatto, come una grotta e andavamo sotto a giocare, via, è ceduto, eran sotto al Pep l’è stat l’unic che l’è stat [unclear].
AM: Cioè eran sotto in cinque, due si son salvati, il Pep e un altro che era già, e tre invece, han scavato subito ma eh son soffocati sotto.
PV: Son morti sotterrati, eh c’è poco da fare. La guerra è stato, il mio ricordo ogni tanto, adesso pensando ho detto ma porca, ma perché si faceva così? Un odio tra popolazione, qui c’era uno che era fascista eh, e allora, ohé c’era da stare attenti perché poi.
AM: E se parlava lui, a lui davano ascolto e loro invece erano le vittime, no.
PV: La guerra.
AM: Che anche in borgo da basso che erano due o tre famiglie ad fasisti no.
PV: Sì, eh.
AM: Il papà ad Renata, quas chi. Sì, erano tre o quattro, cioè quelli che erano. Però sai quelli lì erano quelli che, a cui davano retta no, avevano il potere. Se dicevano loro qualche cosa, gli altri andavano nei pasticci.
FA: Certo.
PV: Noi eravamo piccoli, non guardavano, potevamo fare, ohè, potevamo fare quello che volevamo. Però quelli che sono andati a fare certi, certi cosi non guardavano eh. Ohè, sono andati a rubare in castello e li hanno uccisi eh.
AM: Gli han tirato le bombe e.
PV: Si è salvato il Galle , povero ragazzo si è salvato. Uno ha perso le gambe.
AM: e sono andati a rubare al castello perchè.
PV: Non guardavano se erano bambini eh.
AM: Andavano a rubare per sopravvivenza, non è che andavano a rubare perché. E poi adesso, il particolare delle barche che avevano sequestrato qua in Gravellona.
PV: Eh sì, eh sì, hanno portato via tutte le barche.
FA: Ah.
AM: I tedeschi sì.
PV: I tedeschi eh.
AM: Han sequestrato tutte le barche perché qua c’erano i barcaioli che avevano le barche da lavoro facevano gli scavatori di ghiaie, legname, portavano la biancheria di là, a un certo punto è venuto, hanno requisito tutte le barche perché avevan paura che portassero i partigiani e robe del genere . Le hanno requisite e dove le hanno portate? Nde ca ian purtà i barcè?
PV: In Gravellone, lì, dove il Gravellona va in Ticino .
AM: Ma che cosa han fatto vicino alle barche?
PV: C’era il cartello eh, ‘attenti minen’ neh,
AM: Hanno minato, hanno minato tutto.
PV: mi ricordo, noi andavamo a giocare là, stavamo sempre sulla strada, c’eran tutte le barche nel Gravellone.
AM: A turno hanno minato.
PV: E c’erano un paio di cartelli uno qui uno di là. [unclear] Il padre del, Un nostro amico è andato, è morto eh, scoppiata la mina.
FA: Eh sì.
AM: Ha cercato di prendere la barca perché ne aveva bisogno esasperato no e ha messo il piede sulle mine e c’è rimasto.
PV: Qui la gente quando vedeva, vedevano che noi ragazzi andavamo giù:’ohè, non andate là, eh’ [screams] Ecco.
AM: Quindi quello lì era quando c’era anche un po’ di repressione ecco.
PV: Qui è successo tutto.
AM: Poi quando i tedeschi hanno incominciato a ritirarsi, Piero, quà son diventati tutti partigiani.
PV: Sì, sì, anche i fascisti. Han tolto il nero e messo il foulard, il foulard rosso, eh mi ricordo, eh quello lì mi ricordo.
AM: E quando passavano si vurivan fa’? . Quand i pasavan intl’argin si vurivan fa’?
PV: Portavano via.
AM: Le armi e gli sparavano.
PV: Eh, rubavano.
AM: Tant’è vero uno, cosa è successo, al papà del Luisone, Luison, al mut, suo papà che successo
PV: Adesso mi ricordi plù.
AM: In tl’argin, gh’han no sparà? Che è mort?
PV: Li eran contro i tedeschi.
AM: Eh sì. Quando.
PV: [unclear].
AM: Quando i tedeschi si stavano ritirando.
PV: Siccome lì c’erano i tedeschi che stavano andando via qui hanno fatto una sommossa no.
AM: Con le armi che [unclear]
PV: I tedeschi però sparavano con la mitragliatrice, eh, sull’argine, chi attraversava l’argine, lui attraversa, ma era, era ubriaco eh.
AM: Però era là col fucile, sparava.
PV: To ziu al la saviva parchè l’era la eh.
AM: E l’hanno fatto fuori. Questi qua non guardavano.
FA: Infatti, sì.
AM: Se cercavano di scappare, i tedeschi mitragliavano, l’han beccato. Però non sapevano dove portare il cadavere, l’hanno portato in chiesa, no. L’han chiuso in chiesa.
PV: Sì, mi ricordo. Era un giorno, piovigginava. Noi volevamo andare a vedere no. Da ragazzi, quattro [unclear], io, Carboni e via. E al padre dal Galli [unclear] Ma se ciamava? Gili.
AM: Gili.
PV: Era un uomo rude con noi ragazzi perché andavamo dove stendevano i panni e rompevamo i pali. ‘Nde ca’ndiv vialtar? via a ca’ eh! Mi ricordo quell’uomo.
AM: Perché c’erano i tedeschi che passavano e loro erano ragazzotti eran curiosie allora li [unclear].
PV: Volevamo andare a vedere, si sentiva sparare [mimics machine gun noise] ogni tanto. Dicevo, piovigginava quel giorno, mi ricordo ancora.
AM: Quello lì era già nel ’45 dopo i bombardamenti, quando i tedeschi stavano scappando, ecco.
FA: E non siete mai andati a vedere le rovine del borgo, del ponte?
PV: Sì.
FA: Non siete andati a vederle, da ragazzi?
PV: Oh, sì, io, tutti i giorni andavamo, perché oramai si sapeva che i bombardamenti arrivavano [laughs] una volta la settimana sempre il solito giorno.
FA: E allora gli altri giorni?
PV: Gli altri giorni no. Mi ricordo che c’era, le saracinesche, dunque bombardavano e facevano tutta la pancia in fuori [emphasis], verso la strada, tutta la saracinesca così. E quelli esperti che lo sapevano dicevano:’è lo spostamento d’aria, prima va in dentro poi [makes a booming noise],
FA: Viene fuori.
PV: ‘Ecco viene fuori’. Tutte così, saracinesche con la pancia in fuori, verso la strada.
FA: Tutti i vetri delle finestre.
PV: Oh, bombardamenti, c’erano i muri maestri in piedi ma gli altri erano giù tutti. Oh ci sono stati morti, un mucchio di morti eh.
AM: Però anche le finestre delle case non bombardate, quelli lì i vedar ag n’era pü mia .
PV: Ma no giù, qui, la cooperativa del borgo.
AM: Allora in borgo c’erano due cooperative. Una, quella che c’è ancora adesso e l’altra che è di là dell’argine che era dove, quella che c’era di qua dell’argine è stata distrutta e c’era anche il teatro lì. Il teatro al, come se ciamava.
PV: Sì c’era il teatro del borgo. Eh ma non mi ricordi più. Il bombardamento gli aerei l’han fatto, han centrato il ponte della ferrovia e lì s’è sollevato il polverone, eravamo noi. Gli aerei son venuti via dritti, diritti, perché forse non vedevano, chi lo sà. Infatti han centrato l’arca verso il borgo del Ponte della Libertà, quello là, centrato. Ponte Coperto non l’han toccato, han centrato il borgo lì. Dopo il prossimo bombardamento, il Ponte Coperto era ancora, si passava, era ancora.
AM: Bordoni il teater.
PV: Il teatro Bordoni ?
AM: Era il teatro Bordoni , lì dove faceva le rappresentazioni Famiola, che era, Famiola l’era il nom, era il burattino di Pavia. Dove faceva le rappresentazioni Famiola.
PV: No, ma dopo han fatto il film, facevano il film.
AM: Dopo stavano anche i film.
PV: han fatto anche il cinema. Non so come si chiamava. Però.
AM: L’han distrutto però.
PV: E per il bombardamento han fatto così. Son venuti via diritti. Così spiegavano e lì da vedere. Il Ticino fa la curva, ecco.
AM: Così han preso tutte le case invece [unclear].
PV: Sì perché lì duevav ved al polverone ch’era neh. Io ero a metà borgo, era lì perché forse s’era fermà cun tu nona, me nona, che dia: ‘Regina, ma’, eh suona l’alarme sì ma, fa, suona sempar, des i van via, perché era ialtar dÌ aeroplani poi andà via senza bombardare. Boh. Primo, quello lì è il primo bombardamento. Poi tutte le settimane oramai si sapeva “Ah i vegnan eh!” [enphasis] ecco basta [laughs], ormai si sapeva che venivano.
AM: Però erano preparati, capivano che bombardavano quindi scappavano, mentre le prime volte non si rendevano conto di quello che stava succedendo.
PV: Ma come facevano a sapere che il ponte era ancora intatto? Forse i ricognitori.
AM: Guarda dintar il libar, c’è tute fotografie, che loro foto, quando passavano gli aerei, in coda c’era quello che faceva le fotografie, no.
PV: Oh, io non ho mai visto la contraerea sparare eh. E c’era eh.
FA: Quella lì, ponte zona Ticinello?
PV: Poi, ma c’era là dove c’è la fabbrica Casati là a ponte ad pedra, là. Ah, c’erano i cannoni con i tedeschi eh, ma grossi cannoni oh.
FA: Però niente.
PV: Mah. Niente, no.
AM: Non ha mai preso.
PV: Era mei sparà no eh, se no uhei [unclear]. Sparare, sparare noi non avevamo niente, loro avevano tutto eh.
FA: I tedeschi.
PV: E gli inglesi e americani.
FA: Gli inglesei, ah, è vero.
AM: Ma anche i tedeschi che avevano la contraerea lì, c’era lì e vicino al cimitero. Però effettivamente dicono che erano alti così. E loro non, sì qualche nuvoletta ogni tanto però non han mai visto, cioè, un, bombardare, prendere qualche aereo roba del genere, che non. Probabilmente non arrivavano neanche all’altezza degli aerei [unclear].
FA: Certo.
PV: Eh la guerra, ero troppo piccolo per ricordare.
AM: Però l’è na brutta robe, è na brutta robe.
PV: La fifa la, vedevo, mio nonno, mio nonno tremava sempre [laughs], appena sentiva l’allarme. Noi ragazzi no [unclear]. Ma i vecchi avevano paura, tutti i vecchi avevano paura tremenda. Perché? Perché .
FA: Si rendevano più conto.
PV: Sì, Han fatto delle cose lì, i liberatori, sì, dei bombardamenti, che non dovevano anche farli, dai. Si sa, eh. El libar gl’ho dsura mi, libar de, che scrit coso, l’è andat fin in America a to’ i dati.
FA: Va bene.
PV: Quello che. Perché, perché non mi ricordo tutto, ogni tanto mi ricordo qualcosa, eh. Che se ricordi robe, uhè go ottantadue anne, non passan mai, sesanta-setanta ani [laughs].
AM: Va bene.
FA: Va bene. Allora la ringraziamo.
PV: Oh, diamine.
FA: Per l’intervista.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Pietro Varesi
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Pietro Varesi describes wartime life in Pavia, focussing on the Borgo neighbourhood. He mentions the Ticino bridges as primary targets for bombers; recalls bent shop shutters and debris on the streets; stresses the limited accuracy of bombing and the damage to civilian buildings. Describes how ineffectual anti-aircraft fire was and remembers playing on anti-aircraft guns when the gunners were eating and drinking at a nearby country inn. Contrasts the reaction of adults being frightened and alarmed, with the care-free attitudes of youngsters. Mentions street urchins involved in dangerous games often with disastrous consequences. Criticises makeshift shelters, deemed tantamount to death traps. Recalls various wartime episodes: being a member of fascist organisations while his father was an opponent of the fascist regime, deserters, repression of partisan activities, corpses hidden in a church, 'Pippo' flying at night, disrupted communications, improvised footbridges, rationing, the black market, and food pilfering. Describes men quickly exchanging fascist uniforms with red handkerchiefs at the end of the war. Reflects on the bombing war and stresses the duality of liberators / tormentors.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Filippo Andi
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-03-08
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:29:50 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AVaresiP170308
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Pavia
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An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
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Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1943-09-08
anti-aircraft fire
bombing
childhood in wartime
fear
home front
perception of bombing war
Pippo
Resistance
shelter
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/70/717/AAn00974-170413.1.mp3
7b601175f7d1834f67ccdfb1c3feb0ae
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Three survivors of the Po valley bombings
Description
An account of the resource
This collection consists of one oral history interview with three survivors of the Po valley bombings.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-04-13
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
An00974
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
FA: Sono Filippo Andi e sto per intervistare le signore [omitted]. Siamo a Vellezzo Bellini è il 13 aprile 2017. Ringraziamo le signore per aver permesso quest’intervista. La sua intervista, le vostre interviste registrate diventeranno parte dell’archivio digitale dell’International Bomber Command Centre, gestito dall’Università di Lincoln e finanziato dall’Heritage Lottery Fund. L’università s’impegna a preservarvi e tutelarvi secondo i termini stabiliti nel partnership agreement con l’International Bomber Command Centre. Signora [omitted], vuole,
Interviewee: Eccomi.
FA: vuole raccontarci cosa si ricorda del tempo di guerra, in particolare dei bombardamenti avvenuti nella sua zona, dove abitava?
I: Eh, mi ricordo sì, che da quel particolare lì che noi abitavamo in una cascina che era in direzione del Ponte d’Olio, era il ponte più, un punto più preciso per i bombardamenti, venivano proprio di sopra della cascina e tiravano, e bombardava sempre il Ponte dell’Olio perché lì era, non so cosa c’era, che per loro era un punto più di riferimento. Poi va bene, prima di arrivare al ponte c’era un paese che si chiamava Orzinuovi, era un paese di molti partigiani, fascisti e via discorrendo. Mi ricordo bene quel periodo lì, ecco. Poi mi ricordo quando sono venuti alla cascina per cercare un partigiano che hanno fatto la rivoluzione per tutta la cascina quale che lui, benissimo, era scappato, era scappato fuori in una campagna dove c’era la, diciamo la produzione del tabacco. Lì c’è stato un po’ di trambusto, un po’ di difficoltà di tutti, anche con la famiglia perché venivano in casa e buttavano per aria tutto per vedere se delle volte erano o nel letto o nel mucchio del granoturco, vedere se era sotto, non so perché, come faeva a capì, e invece casa non c’era niente. Poi per proteggere, anche per vedere se ghe c’era qualcheduno che diceva la verità, portavano i ragazzi, i ragazzini come me d’otto anni dietro, perché dicevano che se non si diceva la verità mi avrebbero picchiato. E allora noi non è che potevamo dire la verità perché non era in casa nostra, era il figlio d‘un nostro principale che, lui benissimo era a casa ma noi non è che possiamo dire lui era a casa. Nel frattempo lui ha fatto in tempo a scappare. È scappato fuori, loro sono andati in casa, non hanno trovato niente e la roba è stata finita lì. Poi, sì, lì al paese ci sono state tante cose, tanti bombardamenti. C’era sto signora lì che l’hanno perfino pelata, perché era una partigiana, le dava fastidio non lo so, era perché era ricca, non lo so, lì l’hanno pelata tutta.
FA: Si ricorda qualche bombardamento in particolare?
I: Bombardamenti particolare no, perché diciamo lì alla nostra cascina non è mai successo niente, vedevamo solo a passare che buttavano le schegge, dicevano le schegge, i nostri genitori dicevano le schegge, magari erano bombette, non lo so. Diciamo proprio bombardamenti lì no. Sono stati al paese e sul Ponte dell’Olio. Noi, essendo vicini, si vedeva ma non che abbiamo visto proprio.
FA: Vi arrivavano i rumori, insomma.
I: Sì, sì.
FA: Lo spostamento d’aria.
I: Lo spostamento d’aria e così via. Però vedendo proprio da buttare giù. Poi quando c’è stato finito la guerra sono passati tutti con i carri armati i tedeschi e na davan de mangià.
I: Americani.
I: Erano gli americani na devana, passavan con i carri armati, eh quanti, e li davano giù quel pane che sembravano gallette.
I: Gallette le chiamavano.
I: ecco, il pane che si chiamano gallette e lì è stato quando la guerra è stata finita. L’abbiam finita nel ’45, ecco.
FA: Ok, va bene. Eh, signora [omitted], lei invece abitava alla cascina Brunoria.
I: E infatti, lì vicino a Pavia, proprio. E quando hanno bombardato, cosa lo chiamavano, il Ponte dell’Impero, quello lì lo chiamavano? O no?
FA: Quello di cemento?
I: Quando hanno bombardato Pavia, cos’era il Ponte dell’Impero, lo chiamavano?
FA: Sì, dell’Impero, sì. Di là c’era quello della ferrovia.
I: Che e poi mi ricordo che erano i primi di settembre no, noi eravamo, io, mia sorella e mio fratello eravamo nei campi a spigolare le patate.
I: Ah sì.
P: E niente, mia mamma è venuta a cercarci, no, perché in linea d’aria eravamo lì ad un paio di chilometri eh dal ponte, o forse neanche. Adesso non mi ricordo più però.
FA: Mi pare di sì.
I: Ecco. E niente, mi ricordo il fatto che una scheggia no, ha proprio preso mia mamma qui sulla spalla. Non c’era il sangue però c’era via la pelle, si vedeva proprio la carne rossa. Quel fatto lì la vedo ancora adesso, però c’è l’ho davanti agli occhi ancora ecco.
FA: Quindi si ricorda dove eravate più o meno. Quindi eravate lì nel.
I: Eravamo lì vicino alla cascina, fuori, fuori appena dalla cascina ecco.
FA: Quindi è arrivata fino, fino a lì.
I: Sì, sì, sì, eh, le schegge delle bombe, sì, sono arrivate fino a lì, ecco. L’altro, proprio dei bombardamenti no, non mi ricordo, ecco.
FA: Perché comunque c’era una certa distanza, ecco.
I: Sì. Anche. Ma quello lì c’è stato anche quello più che mi ricordo più grande, come bombardamento, no, che hanno buttato giu il ponte lì.
FA: E poi è andata, ma è andata in ospedale o?
I: No, no, eh sì, non c’era neanche, non c’era neanche la bicicletta per andare in ospedale. Niente. No perché difatti non è che era grave, era via solo un po’ di pelle che si vedeva, la carne rossa, eh.
FA: Graffiata insomma.
I: Sì, ecco, così. D’altri fatti, ecco proprio di bombardamenti proprio no, non mi ricordo neanche, magari me l’hanno raccontato anche i genitori, ecco.
FA: Lei invece, signora [omitted], dove abitava?
I: Io abitavo a Samperone, vicino alla Certosa. Lì hanno lanciato una bomba però non c’è stato nessun morto, praticamente, perché è caduto in campagna. Però io, di fronte a me, alla distanza di cento metri, avevo l’accampamento dei tedeschi e in casa mia mio papà era in guerra, però mia mamma aveva in casa il papà e un fratello che doveva essere militare. Quindi eravamo molto, molto, molto osservati. [phone rings] Quindi eravamo un po’ sotto pressione perché avevamo in casa questo zio.
FA: Esatto.
I: E dall’accampamento, la nostra porta dava proprio sull’accampamento dei tedeschi. Quindi loro ci vedevano in casa. Infatti un mattino mio zio è sceso dalla camera, si è messo lì per mettere le scarpe e l’han visto. Quindi hanno fatto irruzione in casa, cercavano il marito, a mia mamma dicevano il marito. Lei li faceva vedere le lettere e via, dicendo che il marito era, loro hanno visto e mio papà perché aveva in casa anche il papà,
FA: Ah già.
I: Ma loro han capito che poteva. Quindi sono andati su in camera, hanno con le baionette trafitto tutti i letti,
FA: Insomma hanno fatto un disastro.
I: un macello, non l’han trovato. Non l’han trovato poi hanno fatto, c’erano i camion che portavano via quelli che c’erano a casa non trovando per loro un uomo c’era, hanno portato via mio nonno. Però essendo vecchio il giorno dopo l’han fatto venire a casa. Ricordo dei bombardamenti per noi era come se fossero lì, erano quelli di Milano, quando bombardarono Milano, che eravamo fuori nei rifugi, sembrava proprio però non eravamo proprio lì.
FA: Dove, dove vi rifugiavate?
I: Eh, c’era un campo che avevano fatto un rifugio sottoterra, sì. Andavamo tutti lì fuori in campagna, avevano fatto un rifugio, c’era un campo. Per dire, uno era qui, poi c’era come una collinetta, l’altro era più là, lì sotto avevano scavato, fatto i rifugi e noi, quando suonava l’allarme, scappavamo tutti lì.
FA: E si ricorda come era costruito il rifugio, cioè, avevan scavato e han fatto un
I: Sì, sì, proprio scavato e noi andavamo tutti lì.
FA: E han messo le travi in legno.
I: No, no, una buca.
I: Una buca.
FA: Era giusto un buco.
I: Un buco. Era sostenuto perché era un campo alto e uno basso.
FA: Ah, ok.
I: Cioè, essendo quello lì più alto, fatto la buca e noi riuscivamo.
FA: Un terrapieno.
I: Ecco, dentro e uscire fuori.
FA: Ho capito. E l’allarme, si ricorda dov’è che era l’allarme, era in paese, a Samperone?
I: L’allarme, suonava l’allarme, dire da dove suonava non lo so. E c’è stato un bombardamento sulla statale, da Samperone alla statale, lì da Pavia c’è un chilometro e mezzo. Hanno bombardato un camion, però io non mi ricordo. C’è stato un bombardamento col camion.
FA: Ehm, un’ultima domanda. Cosa vi ricordate di Pippo?
I: Pippo era tremendo.
I: Pippo, posso dire, noi tre bambini, con l’accampamento fuori, ci faceva fare la pìpì in casa, per terra sul pavimento. Perché quand’era sera, bisognava che ci fosse tutto buio, noi avevamo l’accampamento lì, non potevamo aprire la porta, andare fuori a fare la pìpì, dovevamo farla in casa sul pavimento. I bagni in casa non c’erano, si andava fuori. E l’accampamento è come, ecco, questo è la porta, e lì dove c’è la mura, c’era l’accampamento.
I: Non c’era la luce però. Io non avevo la luce.
I: No, la candela. E magari la spegni.
I: No, no, io mi ricordo che avevamo la luce, sì, sì.
I: Una piccola lampadina.
I: Io mi ricordo che c’avevamo la lampadina. La lucerna non mi ricordo.
F: No, no, no, io la lucerna che mettiamo sul tubo e sotto c’era il petrolio, no.
FA: Esatto
I: Quando si sentiva Pippo, mia mamma [backgroud noise] la ciapava un strass nero , no la n’andava in gireva insima[unclear]
FA: e lo copriva.
I: E lo copriva. Lui andava.
I: Ma noi, noi la luce l’ho mai vista da [background voice]
I: Ricordo io, la luce l’avevamo, per quel che mi ricordo.
F: Noi facevamo con la lucerna. Con la lucerna, disevan la lucerna, c’era il petrolio. Poi avevo un tubo di sopra perché c’era fumo no. E niente, eran quello lì. Mio papà gaveva mis du caden se no comel fai. El leva tacà su li, era una lucerna.
I: Io dei tre ero la più piccola
F: non ho mai visto.
I: di tre figli ero la più piccola.
FA: Va bene allora. Va bene, vi ringraziamo allora per.
I: Niente. Bene. Poi se va bene.
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Title
A name given to the resource
Interview with three survivors of the Po valley bombings
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
The informants remember wartime hardships endured near Pavia and Piacenza. Several stories recalled: a farmhouse being thoroughly searched for partisans, children questioned, people injured by shell splinters, a makeshift dugout used as shelter, improvised lighting at home, strafing, Germans looking for deserters and American troops giving away crackers to the children. They tell how the menacing presence of 'Pippo' forced them to relieve themselves inside on the floor. Mentions the bombings of Milan as seen from the countryside where they were.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Filippo Andi
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-04-13
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:13:33 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AAn00974-170413
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Po River Valley
Italy--Piacenza
Italy--Pavia
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
bombing
childhood in wartime
home front
Pippo
Resistance
strafing
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/71/718/AMagnaniT170303.2.mp3
79ada1c6e318efb07ff780ad71942b47
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Magnani, Tullio
Tullio Magnani
T Magnani
Description
An account of the resource
This collection consists of one oral history interview with Tullio Magnani who reminisces his wartime experiences in the Pavia area.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-03-03
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Magnani, T
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
Sono Filippo Andi e sto per intervistare il Signor Tullio Magnani. Siamo a Pavia, è il 3 marzo 2017. Ringraziamo il Signor Magnani per aver permesso questa intervista. La sua intervista registrata diventerà parte dell’archivio digitale dell’International Bomber Command Centre, gestito dall’Università di Lincoln e finanziato dall’Heritage Lottery Fund. L’università s’impegna a preservarla e tutelarla secondo i termini stabiliti nel partnership agreement con l’International Bomber Command Centre. Signor Magnani, vuole ricordarci i suoi anni durante?
TM: Dunque, sì, gli anni trascorsi dalla guerra in avanti.
FA: Esatto.
TM: Allora, prima di tutto, vengo da una famiglia di lavoratori. Naturalmente ho annusato il sapore dell’antiregime di cui si viveva allora. I miei genitori erano nettamente contrari al fascismo ma naturalmente non ho avuto neanche problemi a scuola. Sapevano chi era il papà, che è stato considerato un sovversivo comunista, ma per la verità nel periodo scolastico fatto durante il fascismo non ho avuto noie. Nel 1944, il 4 di settembre le superfortezze volanti americane e inglesi, alleate insomma, hanno prodotto un grosso bombardamento a Pavia e noi che abitavamo in Via Milazzi [Milazzo], della parte destra del fiume Ticino, siamo rimasti senza casa. Ci siamo salvati perché eravamo scappati nei boschi vicini. Naturalmente io e la mia famiglia ci siamo ritrovati nel territorio di Travacò a pochi chilometri da Pavia e da lì è cominciata la mia permanenza, gli ultimi mesi di guerra fino al 1945 a Mezzano Siccomario una casa che ci ha ospitato perché eravamo senza niente, eravamo ridotti proprio, io addirittura ero a piedi nudi quel giorno là. Però nel frattempo i miei genitori mi avevano mandati a casa di una famiglia, Lorenzo Alberti, che era un noto esponente dell’antifascismo pavese e che verrà arrestato nel 1944 con tutto il comitato del CLN provinciale e spedito in Germania. Ritornerà vivo e vegeto nel 1900, nel lontano 1945 dalla Germania. E naturalmente ero andato lì come garzone di bottega perché lui vendeva le macchine per scrivere e naturalmente faceva la, curava tutto l’andamento delle macchine che aveva nei vari uffici durante il regime fascista e la presenza del comando tedesco. E accompagnando l’operaio che doveva fare manodopera alle macchine da scrivere, io portavo una borsa vuota, leggerissima all’ingresso, pesante quando uscivo. Naturalmente controllato era l’operaio, io che avevo quattordici anni sia i fascisti che i tedeschi non mi perseguivano, non mi, non facevano i controlli. Poi abbiamo saputo che in quella borsa lì uscivano i bollini per l’approvigionamento degli alimenti. Perché in quel periodo dovete sapere che c’era contingentato i generi alimentari. Naturalmente questi bollini per il tesseramento andavano alla resistenza ecco. Quello era la cosa che io ho scoperto dopo la liberazione. Naturalmente di questo, di questi ricordi che ho avuto lì e anche nel comune di Travacò li ho messi giù, insomma i ricordi c’ho un fascicolo che consegno anche all’intervistatore. Ci sono alcuni particolari. Particolare è che un bel giorno, una mattina, l’operaio di questa ditta, Alberti, mi dice di andare presso l’istituto di anatomia umana dell’Università di Pavia a ritirare qualcosa. Io arrivo all’istituto di anatomia umana e a questo custode chiedo il nome e questo uomo già un po’ avanti con l’età, mi consegna una busta gialla con scritto ’Regia Università di Pavia’. Questa busta la riporto in negozio al mattino. Nel pomeriggio sempre l’operaio mi dice che doveva farmi fare una commissione fuori Pavia, e ha preso quella busta che avevo consegnato al mattino, l’ha messo dentro a una cartella, tipo quella di scuola, di cartone e m’ha detto: ‘Vai a Travacò a portare questa busta, devi andare all’inizio di Travacò alla frazione Frua e cercare la signora Brusca’ che poi ho capito si chiamava Bruschi, la chiamavano Brusca, io dico: ’sì sì sono pratico di quei posti lì perché ero, sono sfollato lì, in quei posti lì’, infatti non ho fatto fatica a trovarla una donna anziana con un cappellaccio di paglia in testa. E io dico: ’io devo consegnare questa a un signore che c’è qui’. E lui m’ha, lei m’ha detto: ‘È quel signore seduto su una cariola.’ Era un omino un po’, non troppo alto con un grosso paletò, che poi ho riconosciuto come segretario del Partito Comunista provinciale in, clandestino, l’ho ritrovato nell’immediato dopoguerra. Era Carlo Zucchella.
FA: Ah.
TM: E quella busta, ‘io devo consegnare questa roba a questo signore, sì, sì, io l’aspetto. Gliel’ho data. Era un’altra missione che mi han fatto fare. E questo mi è, mi è ancora caro ricordare quel territorio lì del Travacò adesso. L’intervistatore venne mandato dall’ex sindaco Boiocchi che abbiamo una forte amicizia e ricordo sempre quel territorio anche perché sono legato a tutta la gente che ho trovato lì, che purtroppo non ci sono più tanti. Poi ci sono anche altri episodi sempre fatti attraverso la bottega di Lorenzo Alberti. Mi dicono di andare in piazzetta, vicino alle scuole Mazzini a Pavia e io gli ho detto: ’Sì, sì’. Erano le mie scuole elementari, le conosco. Bene, proprio di fronte alla scuola vai su all’ultimo piano e devi portare questo era anche lì, una busta, una busta più pesante di quelle che ho portato prima. E in quella casa c’era un tavolo da disegno, che usano i disegnatori. E c’era un uomo che era là che m’aspettava. E c’era, a disegnare c’era uno che poi m’han detto che era un sordomuto. Era il disegnatore. Anche qui vengo a sapere, dopo la guerra, che questo signore era Cino del Duca, un grande editore di giornali e di riviste. Era anche lui membro della resistenza. E i ricordi sono tanti, gli episodi sono tanti. Sono ancora vivo anche per miracolo anche perché durante queste azioni, che io nulla sapevo l’importanza di quello che facevo, se venivo beccato non ero qui a raccontarlo.
FA: Certo.
TM: E è arrivata la liberazione e io con i miei quindici anni mi sono divertito come gli altri. Sono arrivati le truppe inglesi, la prima camionetta americana giù nel Ponte Vecchio di Pavia e ho ripreso a vivere come dovevamo vivere, a noi ragazzi alla nostra età ci è mancato cinque anni di vita.
[telophone rings]
FA: Allora, prima della pausa stavamo dicendo della liberazione.
TM: La liberazione...
FA: È tornato a vivere in borgo?
TM: No, non eravamo più in borgo perché la casa non ce l’avevamo più. Mio nonno era un pescatore, aveva le barche, tutto, è andato tutto in fumo, tutto, distrutto tutto, non avevamo più niente. Mia mamma e mio papà han trovato un appartamento vicino Piazzale Ponte Ticino ma in città. E lì è arrivata la prima camionetta americana, mi ricordo sempre, questo giovane americano, noi naturalmente ragazzi ci siamo andati tutto intorno avevamo fame e loro distribuivano cioccolato e questo qua si chiamava Dino perché era figlio di italiani, no, e aveva un sacco enorme. M’ha detto se trovavo una donna che gli avesse lavato la biancheria. Io subito gli ho detto: ‘c’è mia mamma’. E lì vicino abitavamo e ho detto, ho chiamato mia mamma, c’è questo soldato americano e ha detto che se gli lavava la biancheria c’era una cassa di sapone. Quando lui ha fatto vedere la cassa di sapone, mia mamma è saltata dalla gioia. Per dire i momenti e, ricordo ancora e ricordo anche questo fatto di questo americano che si chiamava, poi c’ha dato tanta roba da mangiare. E naturalmente lui poi è andato via. E’ stato lì due o tre giorni, ha ritirato la biancheria pulita e stirata e con grande dispiacere di mia mamma non l’abbiamo visto più. Io voglio raccontare, questo racconto dovrebbero sentirlo anche milioni di giovani perché la guerra c’ha tolto cinque anni di vita a noi ragazzi. È scoppiata che avevo dieci anni, è finita che ne avevo quindici. La fame totale, lo studio non c’ho più pensato, era talmente la gioia della liberazione che molti ragazzi miei amici non andavano più a scuola. Poi pian piano abbiamo ripreso ma poi m’ha preso un’altra cosa, la politica. E questa politica mi ha preso talmente che non ho proseguito gli studi e medie, liceo e avanti, questo. Però ho sempre chiesto e ottenuto di sapere, di volere, di sapere le cose, ho fatto uno sforzo io coi libri e anche. Il partito voleva dire tante rinunce, tante sacrifici ma il partito mi ha dato molto nel senso che nell’istruzione poi sono andato a fare dei corsi prima brevi poi brevi, poi abbastanza lunghi per cui ho fatto il mio percorso di apprendimento scolastico. Mi sono sposato, tre figli, quattro nipoti, avevamo un, abbiamo rilevato un negozio che era di mio papà ma non andavamo bene, sono entrato [clears throat], sono stato assunto dopo tante peripezie in Comune, perché voglio dire anche questo: ho partecipato a un concorso per agenti daziari e quando sono arrivato agli esami orali per essere ammesso, dopo aver presentato lo scritto, mi è stato detto che non avrei, non sarei mai stato assunto perché, essendo un corpo armato, non potevo accedere a quel posto lì per via di una vecchia legge fascista che impediva di entrare in questo corpo armato agli iscritti al partito comunista, o anche ai figli dei comunisti. Per cui però ho fatto un po’ di lavoro saltuario nelle scuole a sostituire alcuni bidelli ammalati e così via, insomma il comune mi ha sempre tenuto da conto finché poi è venuto il momento, sono entrato nel corpo vigili urbani come tesoriere e ho fatto per ventidue anni il cassiere al comando vigili di Pavia. Ma prima sono stato anche un dirigente della Gioventù Comunista e ho sempre mantenuto queste idee. Purtroppo adesso non c’è più niente, ma ho cercato di educare la mia famiglia a questi ideali e sono stato anche premiato perché sono contento dei miei figli, dei miei nipoti.
FA: Va bene.
TM: E adesso ho davanti un giovane che mi intervista e sono felice di poter rispondere a questo giovane che tra l’altro si è laureato con un personaggio che a me molto caro che è il professor Lombardi e il professor Guderzo.
FA: Tornando un attimo indietro nel, diciamo nel tempo del suo racconto, potrebbe provare a ricordare, a raccontarci quella giornata del 4 settembre?
TM: La giornata del 4 settembre ha dei precedenti. Intanto la guerra è scoppiata nel ‘40 e non so adesso con precisione ma noi da Pavia vedevamo i lampi dei bombardamenti di Milano di notte, Milano è a un tiro di schioppo da qui in linea d’aria, si vedevano i lampi, bombardavano Milano e poi venivamo a sapere che verso il ’42-’43 bombardavano anche i ponti del Po che collegavano Pavia. E noi stavamo su anche, poi per noi era un, cioè era anche bello di notte, stavamo su tra noi gli uomini pochi perché erano tutti alle armi, e allora venivamo a sapere i problemi delle famiglie questa qui, quella là, quello lì, quello là, insomma vedevamo... poi arrivano i cacciabombardieri americani, bombardano la parte nord di Pavia, ma così dei raid, di, due, tre aerei che hanno sganciato alcune bombe e han fatto qualche morto nella zona di Porta Stoppa di Pavia, la parte nord di Pavia. Quindi prima del 4 di settembre Pavia era stata
FA: Già.
TM: Aggredita dai, ma poi noi vedevamo che sull’argine del Ticino la milizia fascista aveva fatto delle postazioni con delle mitragliatrici antiaeree, che poi si sono rivelate in niente, insufficiente, erano giocattoli rispetto al momento, insomma c’erano già delle armi migliori, cioè le avevano i tedeschi, ma queste qui, e noi le vedevamo, noi capivamo che erano mitragliatrici per contrastare gli aerei. E il 4 di settembre c’è un precedente nel senso che due giorni prima a ondate successive queste superfortezze volanti cariche di bombe passavano su Pavia verso il nord, cioè andavano verso Milano, dicevano che andavano in Germania perché Milano non la bombardavano in quel periodo lì.
Interviewee’s wife: Buongiorno.
TM: La mattina di, del 4, mia moglie, ah questo ragazzo pensa Antonia.
AM: Piacere, Antonia.
FA: Filippo, piacere.
TM: C’è acceso. La mattina del 4 di settembre del ’44 mio papà si trovava al di là del fiume perché lavorava in fabbrica. Mia mamma stava cucinando qualcosa. Noi ragazzi quando passavano quegli aerei lì andavamo nel bosco adiacente lungo l’argine del Borgo Ticino per cui dopo che sono passate a ondate successive queste superfortezze volanti è arrivato il bombardamento. È stato un disastro, sembrava la fine del mondo non ci, l’atmosfera era rossa dai mattoni, picchiavamo contro le piante per scappare, insomma. Poi dopo è venuto anche il mitragliamento che è stato micidiale perché ha mitragliato verso la parte est di Pavia. Io come un automa come altri nostri amici ci siamo dispersi e siamo fuggiti verso Travacò, lungo l’argine verso Travacò e io sanguinavo, non me ne accorgevo. Nel pomeriggio ho ritrovato i miei genitori che io non pensavo più. Mio papà si era salvato perché era al di là del fiume. Mia mamma è stata salvata dal crollo, la casa non era completamente crollata, e per cui ci siamo ritrovati alla frazione Battella di Travacò Siccomario io, i miei genitori e tanti altri. Poi naturalmente i nostri genitori, tutti quelli, i borghigiani, cittadini che hanno perso la casa, molti sono arrivati nel comune di Travacò e hanno organizzato qualcosa per, insomma. [background noise] Abbiamo fatto due notti in un fienile, poi dopo siamo arrivati a Travacò e a Mezzano. Il podestà di allora, un certo Bruschi che, pur essendo fascista ci ha molto aiutati, siamo andati nelle scuole di Mezzano e i nostri genitori e tutti gli altri adulti hanno organizzato una mensa, son arrivati i generi alimentari, c’è stato un enorme, una cucina per cuocere i cibi. Dopo una settimana che eravamo lì, un giorno pioveva a dirotto, sono arrivati la Feldgendarmeria tedesca, che sarebbe la polizia militare tedesca, con un sidecar, questi due uomini mettevano paura, grandi, grossi, con questo soprabito di cuoio nero, ci hanno imposto di lasciare immediatamente le scuole e ci siam trovati in mezzo alla strada che pioveva. Eravamo un centinaio, figli, genitori, ma subito è arrivata la solidarietà del paese e ci hanno ricoverato un po’ di qui un po’ di là. Insomma la cosa è andata bene insomma, non c’è stato altro e devo dire che io da ragazzo mi ricordo ho vissuto lì fino, da settembre a due mesi prima della guerra, un paese dove, tenuto conto che mio papà era un segnalato come sovversivo, problemi non ne abbiamo mai avuti, quindi la cosa. Poi la liberazione è giunta che abitavamo già a Pavia.
FA: Ha parlato di generi alimentari.
TM: Sì.
FA: Si ricorda da dove, chi era, non so c’era un ente?
TM: I generi alimentari ce li portava il comune di Pavia.
FA: Ah, il comune di Pavia.
TM: Sì. Però dicevano, io ho saputo, che dovevamo procurarci un mezzo per arrivare da Travacò a Pavia a prender la roba, farina, riso, pasta, no. E questo podestà fascista Bruschi Pierino ha messo a disposizione un carro col cavallo e uno di noi mi ricordo ancora chi era andava a Pavia a prelevare la roba. E sono arrivate anche le brande. Il comune di Pavia ha messo a disposizione le brande e i generi alimentari. Devo dirlo con schiettezza. Cioè, pur nel disastro, il comune di Pavia è stato attento a queste cose.
FA: A queste esigenze. Prima ha detto che lungo gli argini vi erano delle, diciamo delle postazioni antiaeree, delle mitragliatrici.
TM: Sì, sì.
FA: Erano, vi erano soldati italiani o tedeschi?TM: Italiani. Erano quelli della milizia fascista.
FA: Ah, le milizie.
TM: Io, noi li conoscevamo anche perché alcuni abitavano lì vicino. La milizia fascista eran della gente che, la miseria era tanta, l’occupazione era, andavano nella milizia, alcuni andavano per sopravvivere.
FA: Per sopravvivere.
TM: Perché poi portavano a casa il rancio che gli davano in caserma. Io avevo due amici di figli, erano figli di due fascisti che erano nella milizia. E han fatto delle piazzole che adesso nell’argine non si vedono più e hanno piazzato queste mitragliatrici. Noi andavamo là a vederle eh. Erano rivolte verso là.
FA: Verso là.
TM: Però ci hanno detto gli esperti che erano stati a fare il militare che queste mitragliatrici agli aerei americani non gli facevano nulla. Soltanto però qui in questo, più più a nord di questo rione c’era una postazione di antiaerea tedesca, quella lì sì era..
FA: Vicina al cimitero forse.
TM: No, dopo.
FA: Ah, più in là?
TM: Più in alto. Addirittura c’è, lì c’è stato un, c’è uno stele che ricorda un antifascista che è andato a parlamentare con i tedeschi il giorno della liberazione per evitare che, perché loro minacciavano di bombardare tutto, è andato lì a parlamentare con i tedeschi, l’hanno ucciso. C’è ancora lo stele lì, in Piazza, Piazza Fratelli Cervi.
FA: Ah.
TM: Sì. Beh volevo dire che sì, quello che m’ha chiesto lei sulle piazzole erano nell’argine che dal Borgo va al Canarazzo, che va a Carbonara al Ticino, c’erano le piazzole della [laughs]
FA: Ah.
TM: E poi dopo il bombardamento del Ponte della Libertà che chiamavano dell’Impero una arcata è stata centrata dagli aerei americani e han fatto, i tedeschi han fatto il traghetto, traghetto con dei barconi, traghettavano e traghettavano dopo il ponte della ferrovia che era crollato anche lui. E noi andavamo a vedere tutte queste robe qui. Eravamo ragazzi. Il giorno della liberazione eravamo lì. Vedevamo i vigili urbani con la fascia tricolore il 25 di aprile in bicicletta. La città oramai era praticamente in mano agli insorti. I tedeschi si riunivano nel Castello Visconteo d’accordo con le forze partigiane. I fascisti erano scappati, c’era ancora qualcuno che per esempio dalla centrale dell’università un fascista ha sparato, poi è stato preso. E noi abbiam vissuto anche quello, da ragazzi eravamo lì rischiando anche perché c’erano dei proiettili vaganti. Fino al 26 aprile quando sono arrivate le, proprio le formazioni partigiane dell’Oltrepò Pavese dirette. Che poi il professor Lombardi ha fatto un bel libro dove parlavano di queste cose, della missione che i partigiani dell’Oltrepò Pavese hanno fatto, a Dongo hanno, quando hanno catturato Benito Mussolini.
FA: Va bene.
TM: Io le ho vissute con l’entusiasmo dei quindic’anni e non ho mollato più.
FA: Eh sì, quindi eh, poi lei dopo quel il primo bombardamento diciamo che ha subito vi siete spostati a Travacò. Avete continuato ad avere notizie, a vedere i seguenti bombardamenti sul borgo?
TM: No, noi, mia mamma e mio papà venivano, io rimanevo a Travacò venivo naturalmente a vedere di recuperare le cose che c’erano sotto i bombardamenti. Devo tenere conto che mio nonno aveva una bella attività di lavoro. Intanto erano lavandai, lavava la, erano lavandai il nonno e la nonna, avevano i clienti che portavano la biancheria da lavare. E mio nonno aveva un torchio, lo chiamavamo un torchio, era una centrifuga per strizzare i, che poi è venuta la lavatrice, ma era questo enorme cilindro che girava per strizzare i panni delle lavandaie. Anche lì l’abbiamo perso, abbiamo perso cinque barche, abbiamo perso molte reti da pescatori, insomma siamo stati molto danneggiati, siamo rimasti. Poi mio papà si è dato da fare per, come tutti, ricostruirsi una vita, cominciato a fare il commerciante di frutta e verdura e così.
FA: Ha detto che suo papà lavorava dall’altra parte del Ticino.
TM: Lavorava dall’altra parte del Ticino che era la ditta Cercil. Era una ditta specializzata che i tedeschi non la trasferivano in Germania. L’hanno fatto lavorare in Italia. Mio papà era preoccupato perché molti operai specializzati venivano trasferiti in Germania a lavorare per l’industria bellica tedesca. Per fortuna quella fabbrica lì non è stata smontata e ha continuato a lavorare fino agli ultimi giorni di guerra lì. E per io papà era un bel rifugio oltre che posto di lavoro per vivere era, cioè tenuto conto che lui era considerato un sovversivo, come li chiamavano stato mandato al confino sei mesi perché cantavano il primo maggio all’osteria e per lui era una salvezza eh avere un posto di lavoro così. Aveva una tessera per poter fare i turni di notte perché c’era il coprifuoco. Dopo le nove e mezza di sera non si poteva più girare. Se ti prendevano senza documenti venivi fucilato. Io ho vissuto tutte queste robe qui. Andavamo al cinema alle sette di sera perché era l’ultimo spettacolo. Andavamo tutti al cinema per scaldarci perché non avevamo più niente da bruciare in casa. Mancava la legna, mancava tutto.
FA: E la fabbrica di suo papà non è mai stata toccata da nessun bombardamento, nessun danno?
TM: La fabbrica, no, la fabbrica di mio papà si trova vicinissimo il viale lungo il Ticino e si trovava in Via Della Rocchetta. Che adesso han fatto, in quel cortile lì, han fatto abitazioni civili ma era la fabbrica Cerliani che l’altra è più avanti è stata fatta qui al Chiozzo c’è una fabbrica Cerliani.
FA: E producevano?
TM: E producevano filiere, meccanica, meccanica fine, roba non so. Io non sono pratico, non sono mai entrato in una fabbrica. Era proprio. Parlava, papà parlava di ‘ho l’esonero’ cioè non sono esonerato a non andare in Germania con gli operai
FA: Certo.
TM: E perché smantellavano le fabbriche i tedeschi e trascinavano gente in Germania a lavorare. Molti non rientravano più. Beh, da quel punto di vista lì ci è andata bene.
FA: Voglio farle un’altra domanda. Nella zona intorno a casa sua e del borgo, c’erano dei rifugi antiaerei, c’erano?
TM: No, in borgo non c’erano rifugi antiaerei. Noi scappavamo, i boschi dietro a via Milazzo, ancora adesso, c’erano i boschi. C’è il bosco fino a verso Travacò e noi ci [unclear], intanto sì rispetto ai bombardamenti l’abbiam fatta franca però se mitragliavano il bosco non era tanto, ti prendevano. No, a Pavia c’erano delle case, dei palazzi con, io ci sono stato perché andavamo a scuola, con i rifugi antiaerei che con le bombe americane erano, pff! E perché hanno centrato il borgo? Il borgo l’hanno centrato per via del Ponte Vecchio. Perché, se guardiamo bene la mappa di Pavia, i primi due ponti a saltare per aria nettamente sono stati quello delle ferrovie e quello cosiddetto dell’Impero che è Viale della, che è quello della Libertà
FA: Libertà.
TM: Mentre invece il Ponte Vecchio proprio per essere coperto, dalle fotografie inglesi che hanno fatto non veniva fuori netto il ponte, per cui ecco perché la parte di Borgo Ticino ha avuto dei danni con le bombe. Che loro volevano centrare il Ponte Vecchio, l’hanno centrato ma non l’hanno fatto saltare in aria. Ponte Vecchio, quello preromano, quello romano pre spagnolo, non è mai andato giù nettamente come non gli altri ponti. Per cui, no, non c’erano rifugi antiaerei come li ho visti io, in città, nei palazzi, dove si andava in cantina e queste cantine erano sostenute da pali, da travi, sacchetti di sabbia, no, in borgo non c’era niente.
FA: Insomma, ci si doveva arrangiare.
TM: E’ stata una carneficina perché i morti sono stati tanti. Poi è saltata per aria, il bombardamento successivo, la parte della città dove, viale lungo il Ticino, cioè la Via Rezia, che è stata colpita a metà. Lì avevo la nonna e la zia che abitavano lì hanno perso la casa anche loro. Però essendo sui posti di lavoro in un’altra parte si son salvate.
FA: Ho capito. Ehm, lei ha parlato prima del suo rapporto, del rapporto della sua famiglia con quel soldato americano ecco. Nonostante, diciamo il fatto che foste stati bombardati, questo vi ha?
TM: Ah per noi, gli abbiamo accolti con perché poi c’era questa atmosfera, caro giovane. Un po’ i fascisti ironicamente li chiamavano liberatori, tra virgolette, no, ma erano per noi, pur nella disgrazia. La guerra intanto non l’abbiamo, non c’entran niente gli americani, la guerra l’ha voluto il fascismo, per cui, vabbè, la mia famiglia, ma come in tutte le famiglie di gente povera, eravamo ridotti talmente male che aspettavamo gli americani. E devo aggiungere per inciso che noi, in Via Strada Nuova c’è ancora una farmacia che si chiama Farmacia Tonello. Un bel giorno sono arrivati i poliziotti in borghese, sono andati dentro da questo farmacista anziano, adesso vanno avanti i nipoti, e l’hanno arrestato, lo abbiamo saputo dopo, perché ascoltava Radio Londra. Radio Londra, io l’ho sentita, perché mio papà si sintonizzava alla sera c’era questo colonello Stevens che diceva [hums the beginning of Beethoven’s 5th Symphony] ‘Qui è Londra che parla’. Parlava in perfetto italiano e ci, ci aggiornavano. Parlavano anche dell’Armata Rossa che stava avvicinandosi alla Germania e parlavano anche che loro ormai erano arrivati anche in Italia, erano sbarcato giù, sapevamo tutto. E hanno arrestato il farmacista Tonello perché l’hanno colto in flagrante mentre ascoltava Radio Londra.
FA: Radio Londra.
TM: Naturalmente dopo due o tre giorni l’hanno rilasciato, era un uomo vecchio. Anche questo episodio ho sentito. E sì, Radio Londra trasmette. E noi, quel giorno che è arrivato, come detto, questa jeep americana, si è fermata nel piazzale pieno di macerie, eh noi ragazzi eravamo tutti attorno, per noi gli americani, intanto per la prima volta vedevamo gli americani, vedevamo gli inglesi, no. Gli Inglesi avevano nel loro esercito, avevano anche gli indiani col turbante e gli americani, questo americano si chiamava Dino, mi ricordo, non mi va via più dalla mente e per noi, lui, io avevo quindic’anni, questo soldato americano avrà avuto ventidue, ventitre anni, era un ragazzo come noi quasi insomma. Ci ha riempiti di cioccolato. Non potete, voi adesso non potete immaginare la contentezza che aveva il popolo italiano pur nelle macerie, pur, molti morivano di fame eh, perché ho saputo dopo, gli ospedali si sono riempiti perché la gente non mangiava. Io ero considerato uno scheletro. Io mi sono sposato con la mia compagna qui che ero sotto peso. Era il 1957. Ne portavo ancora le conseguenze, del mangiare che non abbiamo fatto. Per cui, loro ci hanno buttato giù la casa ma per noi ci hanno liberato.
FA: OK. Dopo.
TM: Viva gli alleati!
FA: Dopo il bombardamento del 4, è, ehm è tornato su in borgo o?
TM: Certo [emphasises], ci vado quasi tutti i giorni. Ho ancora qualche amico ma il più è il posto e naturalmente il territorio di Travacò. [pause] Ogni martedì, con i due o tre amici che ho ancora, andiamo in un’osteria di Travacò, non tanto per mangiare, possiamo mangiare anche a casa no, ma tanto per trovarci.
FA: Ho capito. Ehm, può descriverci le devastazioni diciamo che ha subìto, le devastazioni che ha subìto il borgo?
TM: Dunque, prima di tutto io ho saputo, dopo, dopo quella mattina del quattro di settembre del ’44, siamo fuggiti, siamo fuggiti, siamo scappati, un po’ di qui, un po’ di là, come ho ricordato prima, a Travacò, ma i bombardamenti si sono susseguiti. C’è stato una carneficina perché poi la gente si spostava verso San Martino. Presente Via Dei Mille? E sono andati in un tunnel che attraversava la strada e questo tunnel è dalle parti di, via sempre di Via Dei Mille, all’altezza di Strada Persa. C’era questo tunnel e la gente, per loro era diventato un tunnel antiaereo. Molta gente è andato dentro in questo tunnel. Alcune bombe sono arrivate anche lì, ma non perché hanno saltato, hanno bucato la strada, una bomba è esplosa ai lati del tunnel, c’è stata una carneficina nel Borgo.
FA: Lo spostamento d’aria.
TM: Sì, il piazzale attuale del borgo è stato tutto distrutto, chi lo vede adesso vede le case recentissime, solo la parte sinistra andando in là dove c’era la farmacia erano rimaste le vecchie case, per il resto son tutte nuove. Abbiamo perso degli amici lì, molti amici, ci giocavamo assieme. Nel mio cortile ci son stati dodici morti di anziani e gente appena arrivata. Ma la parte centrale [emphasises] del Borgo Ticino, cioè all’imboccatura del ponte vecchio, che c’è il piazzale che si chiama Ferruccio Ghinaglia, lì ho perso quattro o cinque ragazzi della mia età, non ci sono più, son rimasti lì. Per cui il borgo è, c’è un monumento lungo il Ticino voluto da un mio carissimo amico che adesso non c’è più, Calvi Agostino, che continuiamo a raccontare un po’ di cose sul calendario della AVIS tutti gli anni raccontiamo qualcosa del borgo, tutto lì. Naturalmente la Via Milazzo è stata salvata, salvo [emphasis] il mio cortile. Il mio cortile è stato l’ultimo a essere colpito da quella parte lì. Tutta la parte che va giù verso il Ticino si è salvata. Purtroppo noi siamo scappati, io non ho fatto più ritorno fin quando i miei genitori han trovato casa in città e anche lì un po’ ho stretto amicizia con i giovani del paese e mi ricordo, mia mamma aspettava mia sorella, che è molto più giovane di me e andavamo naturalmente siccome vivevamo in una stanza unica, meno male, era una stanza sia per dormire che per mangiare per cui, mentre mio papà era al lavoro, io e mia mamma andavamo in un’osteria a prenderci il cibo già pronto che ci cucinava per noi. Era bello insomma, vivevamo tranquilli in quel paese lì, trovavamo più da mangiare che non prima perché la campagna, insomma se ti dai da fare insomma, se hai i mezzi eh, perché se non hai i mezzi non c’è niente.
FA: Lei l’ha visto Pippo?
TM: Pippo, Pippo bombardava di notte. Bastava accendere un fiammifero che magari ti colpiva. Proprio davanti al mio cortile, se posso darti del tu no? Il mio intervistatore, come ti chiami di nome?
FA: Filippo.
TM: Filippo, ecco, caro Filippo, vai a fare un giro dopo. All’inizio di Via Milazzo, c’è il numero 9, è il mio cortile.
FA: Ah.
TM: Che ancora qualche fuori [muro] perimetrale, ancora la vecchia casa ristrutturate, dentro è tutto nuovo, perché è saltato per aria. Lì era il posto dove con le barche partivano di notte per andare a pescare. Caricavano le reti, erano sempre sei barche eh. Perché non era come il mare. Gettavano le reti nel fiume ma tiravano stando a terra gli,
FA: Ah.
TM: Per cui avevano bisogno di tanta manodopera, no. E avevano una lanterna, una lanterna a petrolio. È arrivato Pippo, ha lanciato uno spezzone, ha ucciso un uomo che, con un papà di un mio amico. Pippo ha colpito anche l’imbarcadero che adesso c’è dove c’è il ristorante Bardelli?
Fa: Sì.
TM: Lì c’era l’imbarcadero Negri. Pippo ha colpito anche lì. E devo dire che in una giornata bellissima come quella di ieri, a Travacò ero, ritornavamo da Pavia, io, mia mamma e mio papà che eravamo stati in prefettura a prendere qualcosa, ci davano un po’ di sostentamento, tutto a piedi eh. C’era un ricognitore inglese, un bimotore, che era talmente basso che si vedevano le figure degli uomini che c’erano dentro nella carlinga. E a volo radente eh. Noi ci siamo, ah beh la paura era tanta perché mitragliavano. A Cava Manara hanno mitragliato un corteo funebre, hanno mitragliato proprio il carro funebre. E non so, erano convinti che era una manifestazione di fascisti [laughs] o di tedeschi, vabbè e noi, si aveva paura anche di questi aerei che poi risultava un ricognitore. Sono quelli che facevano le fotografie, sempre inglesi erano. E quel ricognitore me lo ricordo sempre, una bestia sopra di noi, abbiam visto le figure degli uomini perché il bimotore aveva la carlinga senza motore, i due motori erano, sì, mi ricordo anche questo.
FA: Li avete visti quindi distintamente.
TM: Sì, li abbiamo visti benissimo e ci siamo scansati, ci siamo buttati giù a lato, io, mia mamma e mio papà. Eh sì, poi io ho sempre avuto paura di, sono rimasto scioccato. Andavo a nascondermi nei fossi asciutti del Travacò, uscivo sempre, io avevo il terrore di stare in casa fino a quando poi mi è passato ed è finita la guerra [laughs].
FA: Ho capito. Senta le faccio una domanda che...
TM: Sono qua.
FA: C’entra diciamo relativamente meno con il discorso che stavamo facendo. Lei nel ’48 era già all’interno del Partito Comunista?
TM: Ero già all’interno, devo dire che nel Partito Comunista il giorno della liberazione erano il 40, 25-26, i partigiani sono arrivati il 26-27, naturalmente si ballava si, c’era una grande confusione anche, il, ho visto, han portato un carico di fascisti che hanno fucilato in Piazza d’Italia, era la mattina del primo maggio o due maggio. E io, come ragazzo, ho aiutato, ho detto: ’ cià, vedete in Corso Mazzini, venite, venite aiutarci’, c’era un carretto dallo studio dell’avvocato Sinforiani che poi è stato eletto senatore della Repubblica trasferito un sacco di roba, cartacea no, dentro nelle casse con questo carretto del fruttivendolo li abbiam portati in Broletto. Il Broletto, bel palazzo eh, è stato occupato sia dai comunisti che dai socialisti, primo piano i comunisti, secondo piano i socialisti. Io naturalmente sono andato lì e ho partecipato a questo trasloco di documenti da Corso Mazzini e da allora sono entrato al Broletto aiutando questi partigiani che portavano la roba lì, si è instaurata la federazione comunista. Da allora ho frequentato, perché mio papà è diventato ambulante con un banco fisso di frutta e verdura in piazza, proprio di fronte al Broletto per cui vivevo lì e non ho mollato più. E allora non era ancora rinata la Federazione Giovanile Comunista perché è rinata nel ’49, io ho partecipato alla costituzione perché ero lì. Nel partito comunista se non avevi sedici anni non ti prendevano
FA: Ah!
ed eri considerato membro candidato, io ho ancora i documenti, e dovevi essere presentato da tre persone adulte perché allora la maggiore età si aveva a ventuno anni. Ma nel partito ti prendevano a sedici anni come membro candidato e ti davano la tessera ma eri oggetto di indagini, da dove venivi, chi eri e. Questo è importante. E sì, l’ho avuta, ma nel ’46, nel ’45 no, ero lì senza tessera. Ma avevamo il Fronte della Gioventù, che era un’organizzazione nata nella resistenza fatta di giovani liberali cattolici, comunisti, socialisti, era il Fronte della Gioventù. E abbiamo occupato i locali della ex-GIL, che adesso c’è il comando vigili di Pavia,
FA: Ah, sì.
TM: Là dalla curva. Sì siamo andati lì, abbiamo organizzato anche la balera, facevamo ballare, dappertutto si faceva ballare allora. Poi naturalmente noi eravamo comunisti. E nel ’48 ho partecipato al, alla battaglia elettorale che, la battaglia elettorale era una roba, bisognerebbe parlarne bene di queste robe, era una battaglia con i manifesti che la Democrazia Cristiana ci batteva tutti. Andavano ad attaccare i manifesti anche sotto le grondaie per via che loro avevano le scale delle chiese, è importante!
FA: Quindi belle lunghe.
TM: Lunghissime, che noi non avevamo. Noi potevamo al limite arrivare a tre metri. E poi loro avevano più mezzi.
FA: Bene.
TM: Ho partecipato a questa battaglia. Mi ricordo che il primo, abbiamo fatto una roba che, una roba da giovani. Il partito comunista ha fatto un bellissimo manifesto ‘Quo Vadis, dove vai, o Signore?’ e l’abbiamo messo sotto il portone del vescovado nottetempo. Però siamo stati individuati ma non siamo stati presi in flagrante e poi dopo ce l’han fatta pagare per il lancio dei volantini nei cinema. Si andava in guardina una notte, a lanciare i volantini nei cinema non autorizzati [emphasises] ti beccavano, andavi in guardina fin domani mattina.
[Doorbell rings]
TM: Tonia, guarda un po’. E, bisogna ricordarle queste cose, ai manifesti,
Unknown speaker: Chi è?
TM: il partito mi mandava in questura a portare i manifesti, bisognava metter la marca da bollo e venivano listati.
TM: Chi è?Ormai ci pensa lei, eh.
Unknown speaker: La signora Casella
TM: Venivano listati, bisognava andare in questura, allora c’erano le marche da bollo. Poi il partito mi mandava senza essere funzionario andavo con la corriera che si chiamava la Lombarda a .Milano con i soldi nella borsa a prendere le tessere. Era dove c’è la Mediobanca a Milano c’era l’Alto Commissariato Altitalia che per tutta l’Italia settentrionale c’erano le tessere e i bollini del partito e bisognava andare là con i contanti e prendere, a fare i prelevamenti, mandavano me che avevo diciotto anni, diciannove anni. Poi sono diventato funzionario del partito. Poi ho smesso quando non ne potevo più. Non si mangiava perché il partito, sì esisteva la cifra dello stipendio ma che non vedevamo mai e fin quando ero solo tiravo ma poi dovevo sposarmi e ho dovuto, non uscire dal partito ma non fare più il funzionario, lavorare con mio papà a vendere la frutta e la verdura per poi andare in Comune a lavorare.
FA: Va bene.
TM: Altro, io sono sempre a disposizione.
FA: Va bene allora la ringraziamo per questa intervista.
TM: Che cognome hai?
FA: Andi.
TM: Anni?
FA: Andi.
TM: Andi. E Filippo.
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Title
A name given to the resource
Interview with Tullio Magnani
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Tullio Magnani remembers his wartime years in the Pavia province. Although his father was blacklisted as a subversive communist he did not have any trouble at school. He recounted his role as a young resistance helper smuggling food rationing coupons, while working as a shop boy for a well-known antifascist. Remembers being an eye-witness to the bombing of Milan from Pavia. Retells of a machine gun being set up by fascists on the Ticino river bank, which proved ineffective against allied aircraft. Mentions the strafing of a funeral procession at the Cava Manara municipality carried out by what was thought to be a spotter aircraft. Remembers 'Pippo' bombing at night and targeting the fishermens wharf. Stressing how, during the intense bombing and strafing of Pavia on 4 September when they lost everything, the local fascist authority of Travacò municipality was very helpful in providing them with cots, food and lodgings in a school. Mentions wartime episodes: people seeking refuge in a tunnel used as a makeshift shelter and the carnage that ensued from the bombing, a chemist being arrested for being caught red-handed listening to Radio London, how some driven by poverty and hunger, joined the fascist guards and resorted to going to the cinema before the curfew to find a warm place to stay. Explains how Pavia’s old bridge, unlike the other two which were hit, was not hit by the bombers because it was not clearly visible in the reconnaissance photographs taken from aircraft. Describes the celebrations at the end of the war and reflects on the duality of bombers / liberators. Remembers seeing for the first time an American soldier called Dino, who gave them a soap crate as a gift for washing his laundry. Mentions post war acts of revenge, his role in the local branch of the communist party, the 1948 general election, and how he did not get a job as a tax collector because of his political persuasion.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Filippo Andi
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-03-03
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:52:11 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AMagnaniT170303
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Po River Valley
Italy--Milan
Italy--Pavia
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1944-09-04
1948
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
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Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
anti-aircraft fire
bombing
childhood in wartime
home front
Pippo
Resistance
shelter
strafing
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/74/736/ABisioG-MascherpaT170308.1.mp3
337d6cd7833eb21a9f2125039c266f3c
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Bisio, Gabriella and Mascherpa, Teresa
Gabriella Bisio and Teresa Mascherpa
G Bisio and T Mascherpa
Description
An account of the resource
The collection consists of a dual oral history interview with Gabriella Bisio and and Teresa Mascherpa who recollect their wartime experiences in Pavia.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-03-08
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Mascherpa, T; Bisio, G
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
Sono Filippo Andi e sto per intervistare la signora Gabriella Bisio e la signora Teresa Mascherpa. Siamo a Pavia, è l’8 marzo 2017. Ringraziamo le signore per aver permesso quest’intervista. È inoltre presente all’intervista il signor Maggi. La sua intervista registrata diventerà parte dell’archivio digitale dell’International Bomber Command Centre, gestito dall’Università di Lincoln e finanziato dall’Heritage Lottery Fund. L’università s’impegna a preservarla, [background noise] l’Università s’impegna a preservarla e tutelarla secondo i termini stabiliti nel partnership agreement con l’International Bomber Command Centre. Signora Gabriella, vuole raccontarci la sua esperienza del periodo di guerra, insomma?
GB: Le racconto che all’età di sette, otto anni, nove, quelle che l’è, partivo da sola dalla casa perché ero terrorizzata dai bombardamenti e andavo in una cascina nei dintorni all’Acquanegra.
AM: Sì, infatti.
GB: la cascina dei grandi, partivo il mattino, tornavo la sera. Nessun sbuieva no in ca’ mia perché non si andava da nessuna parte. Niente, la fame perché ho mangiato anche il latte con le patate perché non c’era il pane, la fila per poter avere magari il pacchettino di sale perché e poi tutto quello che si vedeva perché ad esempio mio papà lavorava in una cartiera Burgo, non ha mai voluto prendere la tessera.
AM: Del fascio.
GB: dei fascisti così e combinazione vuole, doveva essere portato via, dove li portavano a. Il giorno che doveva essere portato via è stato il giorno che è finito tutto il trambusto della guerra. Spariti anche di lì. Poi mi ricordo che c’erano i tedeschi nel piazzale del borgo, Piazzale Ghinaglia e si stavano arrendendo perché oramai erano e uno della compagnia tedesca si è portato avanti con le mani alzate, è stato ucciso dai compagni dietro. Tutti ricordi non belli. Poi, non lo so, la vita [unclear] ah, non è finita lì. Ehm, cos’erano i fascisti, tedeschi, chi l’è cl’è can mis tut al rob li dentar?
TM: Quello lì era un momento.
GB: Delle guerre.
TM: Alla fine guerre quando si ritiravano i tedeschi. La mitragliatrice [unclear].
GB: Giù c’è una paninoteca, qui, qui, sempre stato e han portato tutti.
TM: Mitragliatrici qui davanti all’entrata perché passavano da là per la statale.
GB: Sì, e han messo tutti armi e bagaj per sparare se arrivavano i.
TM: Davanti a una casa.
GB: il mio suocero insomma si è fatto risenti ma niente fare, spaventi anche li. Voi dov’è che andavate a prendere il pane?
TM: A Robecco.
GB: Robecco.
TM: C’era il pane, c’era.
GB: Perché loro.
TM: In bicicletta.
GB: Erano in una situazione diversa un po’ dalla mia. [unclear] Tra le disgrazie, ma varda quas chi, ciapa da li, scapa da là. Ciumbia abbiam fatto la fame.
AM: Invece Zina cioè andava.
TM: No num ndavam [unclear].
AM: No andava da Robecco in bicicletta.
TM: In bicicletta. Per prendere il pane per una settimana. I micconi. Il pane non c’era.
GB: Poi ha nascosto anche gente, gh’era chi nascost Muzzo, tla cunüsat, tlè conosü.
AM: Nascondevano anche gente come, come quelli che la dicevano che andavano nella cascina e là loro si nascondevano.
I: [unclear]
AM: Perché allora non c’erano tutte queste case.
TM: No, no.
AM: Allora c’erano, erano in fondo al borgo c’erano.
GB: Al tempo dei partigiani.
AM: Ma quand i bumbardavan vialtar scapavat o no?
GB: [unclear] Antonio, io no. Io ero sempre in quella cascina lì. Ah no, ti dirò un’altra cosa. Che poi avevamo preso l’abitudine, quando suonava l’allarme, si andava in quel rifugio che c’è, prendeva giù dall’Acquanegra. Quel rifugio lì. Quel giorno là c’era l’esumazione di qualche parente nostro. E allora con mia mamma, Gigi e Giovanni siamo andati al cimitero. Han bombardato, proprio preso quel punto.
AM: Quella volta, che ti diceva Piero quando hanno preso la tomba che ha fatto 90 morti.
TM: Tomba [unclear]
GB: Han proprio preso quel punto lì.
TM: I bombardamenti più brutti sono stati per il ponte vecchio perché.
GB: Che sbagliavano.
TM: Il ponte della ferrovia [unclear] Due volte sono andati giù. Ma questi qui tutte le volte
AM: Sì, in più quello che diceva.
TM: E han bombardato [unclear].
GB: Sbagliavano le posizioni. E anche quella volta lì, allora c’era già la passerella. Gh’era giamò un quaicos ca’ quadreva no. Fatto sta che ricordo ancora la scena. Perché naturalmente mio papà era al lavoro. Sentendo tutto e sapendo, memore che magari si andava lì, guarda. Noi tornavamo.
TM: Quel bombardamento lì l’ha centrà e l’è ndai giù anca mes Burg.
GB: Noi tornavamo dal cimitero, ci siamo visti sul ponte, lui tornava dal borgo. Non so dirti la scena quando ci ha visti perché il pensiero da ved pü una famiglia, vedasla davanti Tu ti ricordi che.
FA: Quindi si ricorda quando hanno bombardato?
GB: Eh questo no. Quand’è che l’è stat fiöi?
TM: Hanno bombardato.
AM: No le date, cioè un mese.
GB: Sì, sì, sì. No, no, no, no. Eh, noi eravamo dalla parte opposta del cimitero.
AM: Eran dall’altra parte del Ticino.
GB: Lì è stato un disastro, che roba. Vedere portavano via i morti, i feriti, la maniera ch’ieran, con la barelle di legno. Bisognava. Scene strazianti addirittura. No, no, è stato.
AM: E vialtar quand i bumbardevan, vialtar, erano qua a duecento metri da [unclear].
GB: Sì, sì, sì.
TM: [unclear ]A guardà in alt par ved, perché per, qui c’erano i, si fermavano i pullman che con l’allarme si sono fermati qui. I bombardamenti sono andati tutti nel rifugio lì. E sono rimasti sotto.
GB: E sono rimasti sotto tutti.
AM: Comunque tu pensa che a distanza di tempo, adesso te lo dico, c’era lì della Carminuti no, che han trovato un cadavere che praticamente era stato sbalzato in aria, era caduto sopra il tetto, aveva sfondato il tetto e non se n’era accorto nessuno, dalla puzza han rinvenuto il cadavere.
GB: Un po’ dappertutto anche quei che era stai bumbardà ] non c’erano più integri, erano tutti
AM: A pezzi.
GB: Immagini. Che robe ch’è stat li.
FA: Quindi hanno bombardato un rifugio vicino al ponte?
AM: No, qua, qua avanti.
GB: A metà abbondante.
AM: Quattro, trecento metri indietro da qua, che era distante dal ponte perché avevano sbagliato.
FA: Perché avevano sbagliato, sì.
GB: A metà borgata.
TB: Siccome forse era, c’era una curva li, fasivan fatiga.
AM: Non tenevano conto del Ticino.
TM: Facevano fatica a centrarlo il ponte vecchio e l’hanno bombardato due o tre volte.
GB: E poi c’era Pippo. C’era Pippo che rompeva le scatole tutte le notti. Non so no un mo’ ades, qual’era la sua funzione, so no un mo’ ades. Tutte le notti girava.
TM: Però un paio di volte ha bombardato la cascina Lignazza li, perché ieran andai int i camp , le bombe.
AM: Lui se vedeva magari qualche movimento, qualche cosa così, lasciava una bomba.
GB: L’unica cosa è che quando si andava fuori per non essere proprio sotto le case, andavamo quei prati li sempre giù dl’Aquanegra e mia mamma, e mia mamma si portava dietro il paiolo per fare la polenta. Oh Madonna, da mettere in testa, così se magari succedeva che bombardavano, mitragliavano, almeno la testa era salva. Di quelle cose che adesso ci ride magari a raccontarle ma allora no.
FA: Quindi c’era grande, c’era forte paura insomma.
TM: Altrochè.
GB: Forte paura, altroché. Forte paura e poi c’era il terrore di tutto. Perché anche per i giovani. Perché poi io avevo due zii, fratelli di mio papà, che erano fascisti fascistoni [emphasis] proprio. Gente che facevano del bene eh. Infatti quando è finita la guerra, nessuno li ha insultati, nessuno, Perché allora loro vivevano dentro la caserma, sul viale, e davano da mangiare a tutti quelli che andavano a cercarlo. Poi avevo uno zio, fratello di mia mamma, contro completamente, Angelo. E quindi avevamo anche un po’ di.
AM: Ma Tunon l’era, Tunon.
GB: Eh.
AM: L’era parente de tu ziu.
GB: Tunon chi l’è? [unclear].
AM: Al papà ad.
GB: Manuela?
AM: No. Bosi.
GB: Quel Bosi l’era me ziu.
AM: Quel che lui l’è partì, lui è partito, era appena sposato.
GB: Sì.
AM: E sua moglie era incinta, l’han fatto prigioniero in Albania, no. Poi è andato a finire in Egitto, prigioniero in Egitto, è tornato nel ’46, che suo figlio quanti anni che aveva? Aveva sei o sette anni. Non aveva mai visto suo papà no?.
GB: No, ah, l’è, ti te dre parlà del Mino?
AM: Del Mino, sì.
GB: Ah, Tunon disevi Angelo [unclear]?
AM: No, perché al ciamevan Tunon so papà.
Gb: No è il papà del Mino.
AM: Sì, il papà del Mino se ciama.
GB: È suo sio Piero.
AM: Suo sio Piero.
GB: Tornato che era più lui, perché sentire quello che racconntava, lo mettevano su una scala ripide e po’ ag devan un punton e al la fevan borlà giù , lo faseva andar giù. Delle cose.
AM: Gli inglesi l’avevan catturato perché lui era partito addirittura prima della guerra.
GB: Sì, sì.
AM: Per la guerra d’Albania, no.
Gb: Sì, sì, è stato in Albania.
AM: E l’han fatto prigioniero in Albania. L’han fatto prigioniero in Albania, lui non è più, era il ’46, cioè non il, era il ’38, ’39, robe del genere. Lui non è più tornato, s’era perso, quando è partito era, s’era sposato da poco, no.
GB: Sì. Era partito che non era più lui. Lü giamò al la ciamevan Tunon.
AM: [unclear], perché sì.
GB. Povero.
GB: Ritorno, e poi mi ricordo un’altra scena che non so se può essere importante o no. Che un giorno hanno schierato Angelo, non ricordo il nome degli altri tre, davanti alla caserma dei carabinieri. E i fascisti dall’altra parte pronti ad ucciderli. E varda s’eri una fiületina propi giuina ca vadivi tut chi rob li. Poi non so come mai le cose son cambiate e insomma si son salvati.
FA: D’accordo.
AM: Che poi qua, diseva Piero, che chi g’era un pustament ad contraerea giù all’Acquanegra.
GB: Si altroché.
TM: Sì.
GB: Ma n’era dappertutto, Antonio. Dappertutto n’era.
AM: E sparavano ogni tant quai li?
GB: Si sentiva il botto dappertutto. Quand han trai giù, che han bombardà il ponte.
TM: Si qual li l’è stat, bombardamenti più... spaventoso.
AM: Però non sono mai sfollati perché abitavano già in fondo il borgo. Cioè scappavano nelle campagne e nelle cascine basta [unclear].
GB: Fuori che almeno le case non cadevano in testa, ecco.
FA: Eravate un po’ più lontani insomma.
GB: Ma si pensava a un fatto del genere invece. Eh lì c’è gente che han perso figli e non figli, in particolare in quel rifugio lì. Era l’unic ca’ gh’era chi in Burg in borgo.
AM: Grosso.
TM: Chi I pensavan ac l’era al püsè sicur.
Fa: E lei invece era da questa parte di qua del borgo, quando?
TM: Anche quello lì da questa parte ma è più in là, più vicino al ponte diciamo.
AM: Sì, no, le Gina quand i bumbardevan l’era da chi.
GB: Non si è mai mossa [laughs].
TM: No, ma anca li me cas fa ndevi in tla stra da la giu li nei campi.
FA: E l’ha visto? Che cosa si ricorda di quelle giornate, di quella giornata lì insomma?
GB: Eh, un trambusto che non finiva più.
TM: Mah, forse niente. Una visione che non si può descrivere.
GB: No, non si può descrivere.
TM: Perché non riesci ad abbassare la testa, guardat sempar in su , con la testa in giù guardi anca li [unclear].
GB: Vabbè che c’è gente che ha perso proprio tutta la famiglia, eh.
AM: Sì, ma le la diseva, vialtar guardevav I bomb ca’ nieva giù? .
GB: [unclear] Si s’eram propi chi, at ia vedevat a grapul chi nievan giù, proprio che scendevano [mimics sound].
TM: Mia mamma la scappava magari in casa. La gneva no föra la steva in ca’ e mi s’eri li a guardà, ne mur ne nient e specie quas chi il Ponte dell’Impero è andato giù.
AM: Ma quel che ha bombardà la tombina, vialtar iv vust la nivula, av ricurdè subit o no?
GB: Io non le ho viste perché non ero in borgo.
TM: No guardevi propi püsè in la dal pont proprio che sei in là adesso.
AM: Quindi anche loro non se ne sono resi conto subito.
[background noise]
GB: Aveva dei lati comici magari anche.
FA: Quindi insomma una grande confusione. Non si riesce a descrivere.
TM: A descrivere non riesco.
GB: No. Io l’unica cosa che mi ricordo è che tornando dal cimitero tutte sti barelle, sul coso che li portavano non si sa dove, morti, non morti.
FA: Quindi è arrivata insomma dopo che era successo, ecco.
AM: E anche lei che era qua non si è resa conto subito, vedeva venire giù le bombe.
TM: Polvere, fumo, perché po anca frequenti le bombe, una da dre a l’altra.
Gb: Un grappolo, un altro grappolo, venivan giù, me delle.
TM: Più brutto è stato questo qui, il ponte vecchio. L’altro.
GB: Ma hanno sbagliato un paio di volte a prenderlo.
TM: Oh, quas chi si.
GB: Eh! Il ponte dell’impero era più vivo, era più.
TM: Ponte delle ferrovie, il primo bombardamento.
AM: È andato giù.
TM: Quello dell’impero, due volte son venuti per.
GB: Ma chi più sè?
TM: E chi ien gni tre o quattre volte. L’ultima volta, un disastro.
GB: Disastro generale.
TM: Perché forse gh’evam un età che capivam un po’.
AM: Si capiva propi no un mo’ ben.
TM: In che manera l’era.
Gb: Ti dico che mi a vundes ann l’era finì la guerra. Unidici anni.
GB: Anche se po’ ghe gent che as ie fai i danè.
AM: [unclear]
GB: Eh?
AM: Lo diseva anche Piero [laughs].
GB: Poi c’è gente che.
TM: Quando è finita la guerra han fat i Carneval.
GB: Sì.
TM: Andà in gir con una gabbia con dentar i.
GB: La storia [clears throat] a quan ievan impost da met, i due palloni in alto.
TM: Qual li l’è prima l’è il Duce, quando l’è passà il Duce, ha fatto l’inaugurazione dela Lupa .
GB: Ah d’la casa dla Lupa . E hanno imposto a mio suocero di abbellire un po’ la casa perché passava di qua. E l’abbellimento l’è stato. Ma.
TM: C’era, era metà che sembrava un gabinetto, un servizio. Allora l’hanno dovuto allungarlo, fare una specie di terrazzo con i palloncini di sopra perché passava il Duce . Ma è prima della guerra. [pause]
GB: Avete voi qualche domanda da fare? Dai, iutes.
FA: Vabbe’ quindi allora quello è stato il primo bombardamento. Invece dei bombardamenti che sono venuti dopo? Ne avete visto qualcuno?
AM: No. Noi.
GB: Quello lì.
AM: Ma loro hanno visto quelli del ponte, scappavano poi dopo.
TM: Sì, sì, del ponte là e basta. Am ricordi nanca se ien gnu a bumbardà.
AM: No, ma quelli ien quei del ponte, po g’era Pippo, gli altri.
TM: Gh’era Pippo cl’era sempar in gir.
GB: All’inisi dal Burg a bas l’è ndai giù anca lü.
AM: Sì, sì, sì, là del teatro Bordoni, la cooperativa.
GB: Andà giù tut.
AM: Eh ma il burg, fino a quasi alla chiesa l’èra andà giù tutti, Indè ca gh’era Gavassi al gh’eva al deposit di strass che è bruciato, è andato a bruciare avanti non so per quanti giorni perché lì c’era il deposito degli stracci, c’era uno che faceva proprio la raccolta degli stracci.
GB: Inde ca gl’aviva?
AM: Li atacà ai scol
TM: Ma li l’è indè ca stava , ma lu l’era chi da Sfross.
GB: Dopu atacà.
TM: chi nde gh’era l’edicula.
Gb: Ma lè ndai subit li?
AM: No li gh’è ndai dopu, Sì perché lu andava lì dove se i scole.
TM: Ah li ghe ndai dopu la guera?
AM: I la che stava lu con la ca’ Che lì l’è andai avanti a brusa non so per quanto tempo perché alcune bombe, cioè, non è che le bombe han colpito la chiesa, sono arrivate vicino alla chiesa, perché era caduto anche un pezzo di navata della chiesa.
TM: E sempre nel bombardamento per il ponte.
AM: Sempre per il ponte. C’era, sempre una di quelle volte che hanno sbagliato a bombardare perché non hanno sbagliato, cioè hanno sbagliato diverse volte. Cioè, il massimo è stato quando hanno sbagliato che hanno preso la Tombina che proprio erano fuori però altre volte, sempre per il discorso della curva, loro sbagliavano e beccavano il borgo, le case del borgo. Una volta hanno beccato anche le case appena fuori dal ponte città vecchia. Han beccato anche lì, dove adesso c’è la cremeria e così, no. Una volta hanno sbagliato perché probabilmente sono stati più di là e hanno buttato giù le case anche di là, dove adesso hanno costruito tutte quelle case nuove.
GB: si perché il ponte lo han rifatto.
GB: Ma non come prima [unclear], Prima era più curvo e adesso.
AM: Sì, l’hanno fatto un po’ più in giù.
TM: L’han spustà, l’han spustà.
GB: Perché lì nel piazzale c’erano gli alberghi, di Ferrari, gh’era tut.
TM: Al ciclista atacà al pont.
GB: Andàt giu tut.
TM: Antonio, l’ha vüst no nanca lü [unclear].
AM: No abbiamo visto in fotografie e senti quei c’am cuntan ialtar.
GB: Antonio l’è giuin eh dai.
AM: Che me contava mio ziu, me contava mio papà.
GB: Antonio da chi a dü dì al cumpisa no ottantaquattr’anni. [laughs]
AM: [laughs]
GB: [laughs] Te capì?
AM: Sì, sì, sì.
FA: Va bene.
GB: Basta così?
FA: Va bene.
GB: Mi dispiace che forse anche un po’ l’età che non siamo più.
FA: Ci mancherebbe.
TM: Non ci ricordiamo più.
FA: Ci mancherebbe. Va bene, vi ringraziamo allora per questa intervista.
GB: Facciamo il caffé?
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Description
An account of the resource
Gabriella Bisio and Teresa Mascherpa recollect the bombing of Pavia and give a vivid description of its immediate aftermath. They describe food shortages, resorting to eating potatoes with milk and queuing up for a portion of salt. Gabriella emphasises how her father refused to join the fascist party and how the war ended the day he was about to be deported. They recount various wartime episodes: a German soldier in the act of surrendering being shot in the back by his comrades, harrowing scenes of bodies carried away on wooden stretchers, and acts of kindness by fascist relatives, 'Pippo' bombing at night, anti-aircraft batteries positioned in the city and the accidental bombing of a church and houses near the old bridge which was the actual target.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Filippo Andi
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-03-08
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:18:48 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ABisioG-MascherpaT170308
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Po River Valley
Italy--Pavia
Title
A name given to the resource
Interview with Gabriella Bisio and Teresa Mascherpa
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
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This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
anti-aircraft fire
bombing
childhood in wartime
home front
Pippo
shelter
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/112/1171/APaganoA170712.2.mp3
c3afcb5991340adf8033f267c007bc55
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Pagano, Andreino
Andreino Pagano
A Pagano
Description
An account of the resource
This collection consists of one oral history interview with Andreino Pagano who recollects his wartime experiences in the Pavia area.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-07-12
Language
A language of the resource
ita
Type
The nature or genre of the resource
Sound. Oral history
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Pagano, A
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
FA: Sono Filippo Andi e sto per intervistare il signor Andreino Pagano. Siamo a Casei Gerola, è il 12 luglio 2017. Ringraziamo il signor Pagano per aver permesso questa intervista. La sua intervista registrata diventerà parte dell’archivio digitale dell’International Bomber Command Centre, gestito dall’Università di Lincoln e finanziato dall’Heritage Lottery Fund. L’università s’impegna a preservarla e tutelarla secondo i termini stabiliti nel partnership agreement con l’International Bomber Command Centre. Signor Pagano, vuole raccontarci i suoi ricordi, le sue esperienze nei bombardamenti di Voghera?
AP: Voghera, sì, e dintorni,
FA: E dintorni.
AP: Perché io essendo un po’ distaccato da Voghera, come tu vedi, sono a quattro chilometri da Voghera, verso Casei Gerola, ho vissuto questi eventi un po’ fuori, pur essendone al corrente. Cosa ricordo io? Già dico che ricordo queste cose perché io sono della classe 1934 e a quell’epoca avevo otto, nove anni, perché siamo nel 1943, ‘44, quegli anni lì, eh. Cosa ricordo? Prima parto da Casei Girola e poi mi avvicino a Voghera. Io mi ricordo che, quando bombardavano qui nella zona io mi ricordo che mi sono rifugiato nella chiesa parrocchiale di Casei Girola perché già a quel tempo avevo capito che i muri della chiesa, spessi quasi un metro, mi difendevano da eventuali bombe o da mitragliamenti, ecco. L’altra cosa venendo in avanti che ricordo è: un giorno c’è stato in mitragliamento sulla strada provinciale Novara-Voghera, un mitragliamento ad un camion pieno di biscotti e in quell’occasione volavano scatole di biscotti dappertutto, nei campi, nei miei campi, e figuriamoci noi che, a quell’epoca avevamo fame, andare a raccogliere i biscotti da mangiare per i campi era una delizia.
FA: È certo.
AP: Boh. Altra cosa di ricordi che è un po’ più pesante è questa. Quando c’è stato il bombardamento nell’, all’officina ferroviaria di Voghera, dove lì riparavano e costruivano le vetture e i treni. Quando hanno, c’è stato quel bombardamento, io mi trovavo nelle vicinanze di Voghera, su una strada detta Capalla, che poi è quella lì che ho segnato lì, e andavo alla messa con mia nonna in bicicletta. Visti questi aerei che sganciavano bombe, che mi passavano sopra la testa, mi sono rifugiato in un casotto da vigna di campagna e mi sono infilato dentro un camino. Finito il tutto, finiti i bombardamenti, ne sono uscito, ho trovato mia nonna che era con me lì, ed ero nero e mi hanno preso per uno spazzacamino, tanto ero sporco e nero perché mi sono, intanto mi sono riparato sotto il camino. Ecco questo è un po’ il ricordo degli eventi dei bombardamenti. Altri fatti collegati a questi che ricordo sono l’occupazione della cascina mia questa da parte prima dei tedeschi e poi degli americani con i mongoli. Sono, hanno alloggiato qui con le loro truppe, cavalli, eccetera eccetera, ma di lì hanno occupato anche le nostre camere eh! Dormivano nelle nostre stanze. Niente di particolare, poi insomma. Un ricordo che mi viene e che ho ancora il segno adesso in un dito è che questi americani soldati avevano delle lattine, scatole di cioccolato, di roba, di dolciumi e io mi sono abbassato per raccogliere una scatola di questi, per mangiare i cioccolati, e mi sono tagliato un dito e ho ancora la cicatrice adesso, a distanza di 75 anni, pensa. Ricordo che mi hanno disinfettato subito e mi hanno messo su la, già la Penicillina, allora loro avevano già la penicillina, la polverina bianca, e m’hanno disinfettato, pensa, [unclear] e qui eravamo nel 1944, ecco. Ricordo un altro particolare dell’occupazione della guerra. Mi avevano, i tedeschi avevano requisito, requisivano gli animali e mi hanno requisito l’unico cavallo che c’era in cascina, che faceva i lavori agricoli, pensare il disagio, l’unico cavallo te lo portano via. Poi, per un caso di fortuna, me l’hanno rilasciato subito perché aveva la coda mozza, il mio, stava male, e allora me l’hanno
FA: L’hanno lasciato.
AP: Rilasciato. Ehm, ancora, ti posso dire, ricordare, che in quei tempi a fine la guerra o in quell’epoca lì, c’è stato, lo chiamavano un po’ il mercato nero. Venivano giù i genovesi col treno, portavano le lattine d’olio e noi gli davamo invece sacchetti di farina, lardo e salumi. Dove li avevamo noi i salumi, nascosti per non farceli rubare dai tedeschi e o, da mericani no, perché ne avevano da mangiare? Avevamo delle otri, che io ne ho ancora una lì fuori, te la faccio vedere, delle otri antiche, si mettevano dentro lardo e salumi, si facevano una buca nell’orto, si sotterrava, stava al fresco e si conservava e nessuno te la rubava. Altra cosa è questa: come si conservava le derrate alimentari. Avevamo il pozzo, profondo venti metri e calevamo con la cordicella il cestino nel pozzo con dentro il burro e altre sostanze alimentari, altre derrate, così stavano fresche. Ed era il frigorifero d’epoca, ecco, e abbastanza valido. Da ultimo, di queste cose, di questi ricordi, i quali mi meraviglio di saperli ricordare dopo tanto tempo, ghe passà settantacinc’anni, da queste cose. Che, due famiglie di operai delle officine ferroviarie di Voghera, che abitavano nei pressi di queste officine che sono state bombardate, avevano paura di dormire lì la notte. Venivano qui a dormire da noi. Abbiamo ospitato due famiglie. E dove dormivano? Nel fienile, ma erano sicuri,
FA: E certo.
AP: Almeno dai bombardamenti, e così è stato. Sono stati contenti e poi li ritrovati ancora, finita la guerra, insomma, li ho trovati, siamo sempre stati amici. Io non ricordo altro se non queste cose, o belle o brutte. Dimmi tu.
FA: Posso farle una domanda?
AP: Sì.
FA: Si ricorda mica di Pippo?
AP: Pippo, oh, sì, Pippo, oh, mi ricordo. Il lucino azzurro che girava di notte, sentivamo il rumore che , ma non faceva tanto
UI: Pippo si chiamava Pippo.
AP: Senti! Eh, questo. Questo era
UI: Ha sete?
FA: No, no grazie.
AP: Non disturbare, eh! Questo era la spia, un aereo spia americana non dei tedeschi, americana ecco. Io ricordo quell’aereo, sì.
FA: Eh girava tutte le notti.
AP: Girava tutte le notti. E la gente cosa faceva? Per non far, perché quello individuava dove c’erano delle luci. Tutti avevano fatto l’oscuramento ai vetri, le carte blu sui vetri per non fare vedere le luci.
UI: Non sparavano. Vado, vado.
AP: [unclear] Ecco poi, va’ avanti tu che sei stato disturbato adesso.
FA: Sì, beh, a parte Pippo, venivano spesso invece su Voghera? Voi da qua vedevate?
AP: Venivano spesso su Voghera e facevano il giro qui perché qui da Voghera è vicino, faceva il giro di notte ma lo si vedeva eh l’aereo, lo vedevamo. L’ho visto io, ricordo.
FA: Bombardavano di più di notte o di giorno?
AP: Di notte i bombardamenti e di giorno i mitragliamenti.
FA: Ah.
AP: Vedi, Il mitragliamento al camion dei biscotti sulla strada in pieno giorno. I bombardamenti all’officina ferroviaria di notte. Il ponte sullo Staffora a Voghera e altri che di cui ne parla anche il dottor Salerno, tutto di notte, che faceva più danno.
FA: Ho capito, va bene.
AP: Dimmi pure tu.
FA: E quindi lei da qui insomma vedeva quando bombardavano tutti i campi.
AP: Eh sì, si vedevano i, ma, non solo da qui vicino, di qui vedevamo quando sono stati fatti dei bombardamenti a Genova.
FA: Ah certo.
AP: Dei bagliori, mi ricordo io, si vedevamo da qui.
FA: E insomma, eravate preoccupati.
AP: Eh sì eh, sai, non si sa mai, se sono là, oggi sono là domani vengono qui, eravamo preoccupati. E poi, per fortuna, un bel momento, è finita.
FA: Meno male.
AP: È un po’ vedi che da quell’età lì è un po’ incosciente. Non, magari non avevo certi, certe paure. Adesso mi fai venire in mente una cosa. Quando c’erano i mitragliamenti, dove scappavamo noi qui? Qui nel confine della mia proprietà c’è un fosso, si chiama fosso di Bagnolino come, noi correvamo a rifugiarci in quel fosso lì, coricati, non un fosso, eravamo in una trincea,
FA: Certo.
AP: E io mi ricordo di aver visto le trincee fatte a zig-zag. Proprio per entrare la gente e ripararsi dalle, più dai mitragliamenti che dalle bombe.
FA: E questo a Voghera, le trincee a zig-zag.
AP: Nei, nelle periferie perché era dove c’è il terreno che hanno fatto questo, nelle periferie di Voghera, sì.
FA: Ah.
AP: Li chiamavano. Poi c’è, a Voghera c’erano dei rifugi ma quelli io non li ho mai visti perché non ci sono mai stato. Li sentivo nominare, i rifugi e suonavano gli allarmi quando arrivavano gli aerei in prossimità.
FA: E quindi voi sentivate gli allarmi di Voghera.
AP: Gli allarmi, stanno bombardando su Voghera e allora noi per precauzione ci rifugiavamo nel nostro fosso.
FA: Nel fosso.
AP: Nel fosso.
FA: Quindi era un po’ il vostro rifugio ecco.
AP: Sì, il rifugio locale era quello lì.
FA: Ho capito. Va bene. La ringrazio.
AP: Vuoi sapere d’altro? Dimmi tu, io, quello che ricordo e sono queste cose qui ecco. Ah, devo dirti anche che io ho lì un ricordo. Tu vuoi anche fotografarlo? Ti faccio vedere. E io ho un rimorchio agricolo che ha sotto quattro ruote dei Dodge americani, dei camion da guerra.
FA: Ah sì sì. Ah erano? Ah, ho capito.
AP: Ce li ho lì, e sono ancora in funzione, pensa, i gà cent’anni le robe lì.
FA: Eh sì.
AP: E sono, e li tengo perché, e li usiamo quei rimorchi lì. Eh sì, rispettandoli un po’ senza, però sono gomme da, i Dodge, famoso, e camion americani, o tedeschi, no americani
FA: Americani, americani. Va bene.
AP: Tu li vuoi fotografare? Te li faccio fotografare.
FA: No dopo, sì, dopo li, diamo un occhio.
AP: Va bene, direi che, l’intervista va benissimo.
AP: Ti piace così, ti va bene così? Se vuoi sapere qualcos’altro domandi tu.
FA: Va bene. No, direi che siamo a posto, i punti sono stati toccati. Va bene, allora.
AP: Ti posso anche far fotografare uno o due bossoli da mitraglie, da mitragliatrice antiaerea. Ne ho due io.
FA: Ah, li ha raccolti.
AP: Li ho raccolti, e c’erano anche quelli piccoli, ma quelli lì sono spariti, i bossoli così, quelli da mitragliatrice. Invece quelli da antiaerea, i bossoli sono questi, così.
FA: No ecco, adesso allora, visto che parliamo di antiaerea, lei ha visto qualche postazione di contraerea qua a Voghera?
AP: A Voghera, viste no, ne avevo sentito che c’era qualche postazione che difendevano ma facevano poco.
FA: Provavano a difendere.
AP: Provavano, sì ma ci voleva altro che delle cosine così contro quelli, i bombardieri quando. Io ricordo ancora adesso il rumore dei bombardieri, che erano terrificanti perché non era il rumore di un aereo solo, erano sette, otto, dieci bombardieri insieme, tutti insieme.
FA: Uno stormo.
AP: E ricordo anche il sibilo delle bombe, quando uscivano dall’aereo che venivano giù, fischiavano, te capì?
FA: Ho capito. Contraerea americana, ehm americana, tedesca o italiana?
AP: Dunque, la contraerea, questi che ci bombardavano noi, chi erano? Tedeschi? Adesso non mi ricordo più perché poi non, quelli là ci hanno liberati, gli americani sono venuti a liberarci e c’erano sotto i tedeschi e sì, sì, eh.
FA: Quindi italiana insomma.
AP: Sì.
Fa: Ho capito. Va bene, la ringrazio per questa intervista.
AP: Prego.
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Title
A name given to the resource
Interview with Andreino Pagano
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Filippo Andi
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Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-07-12
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An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:15:58 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
APaganoA170712
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Pavia
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Type
The nature or genre of the resource
Sound
Description
An account of the resource
Andreino Pagano (b. 1934) remembers his wartime experiences in the Pavia province. He explains how a parish church provided a good shelter owing to its thick walls. Recalls various stories: resorting to the black market, the bombing of the Voghera railway works, daytime strafing of a lorry delivering biscuit boxes, scattering them all over the place, the driver seeking shelter inside a vineyard cottage fireplace and afterwards being mistaken for a chimney sweep as he was covered in soot; Germans seizing his only workhorse which was later returned, being 'bobtailed'. Describes how his farmhouse was first occupied by German and then American soldiers, the latter coming with so-called ‘Mongols’. Remembers the first use of Penicillin and food being stored in a well like a larder. Mentioning 'Pippo' flying and recollecting blacked-out windows covered with blue paper. He remembers the droning noise made by the bombers and the bombs as they were falling.
bombing
childhood in wartime
home front
Pippo
strafing
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/437/7768/ABoiocchiS170225.1.mp3
a2fbdcaf2567650a931cc3eb4557f924
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Boiocchi, Sandro
Sandro Boiocchi
S Boiocchi
Description
An account of the resource
One oral history interview with Sandro Boiocchi who recollects his wartime experiences in the Pavia area.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
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IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-02-25
Rights
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Boiocchi, S
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FA: Sono Andi Filippo e sto per intervistare il signor Sandro Boiocchi. Siamo a Travacò Siccomario in provincia di Pavia, è il 25 febbraio 2017. Ringraziamo il signor Boiocchi per aver permesso questa intervista. La sua intervista registrata diventerà parte dell’archivio digitale dell’International Bomber Command Centre, gestito dall’università di Lincoln e finanziato dall’Heritage Lottery Fund. L’università s’impegna a preservarla e tutelarla secondo i termini stabiliti nel partnership agreement con l’International Bomber Command Centre. Signor Boiocchi, vuole ricordarci la sua esperienza, i suoi anni, qui a Travacò?
SB: Sì. Io sono nato nel 1941, ero bambino ma ricordo, ricordo perfettamente, ehm, i periodi che abbiamo attraversato durante la guerra e ricordo esattamente, [clears throat] esattamente come, ad esempio quella volta che, ehm, con mio padre, che mi teneva per mano. Ehm, dunque intanto noi qua siamo nel territorio di Travacò, che è il triangolo di confluenza fra il Pò e il Ticino. Nelle immediate confiniamo con il Borgo Ticino nella parte più bassa del Borgo che è il Borgo, cosiddetto Borgo Basso e con, e quindi con gli abitanti del Ticino che, ehm, per dire come sono le cose, i borghigiani si sentivano un po’ come, come un grosso paese cioè, ehm, è Pavia però il fiume ha definito la città dall’altra parte e questi erano legati alle nostre campagne, alle nostre amicizie eccetera eccetera. Quindi scoppia la guerra [coughs] e ci sono stati furiosi bombardamenti sul ponte del, sul vecchio ponte coperto e anche sull’altro ponte perché i ponti erano vie di comunicazione che, ehm, sicuramente per questioni strategiche dei vari, dei vari paesi in conflitto dovevano essere eliminiati e quindi rendere più difficile, ehm, lo svolgersi della vita normale o i passaggi di truppe, i passaggi di elementi eccetera. Ehm, quindi i borghigiani e molti si son visti crollare addosso le case, ci sono state tante vittime eccetera perché non è mica che le bombe a quel tempo fossero intelligenti come quelle di oggi, anche se di bombe intelligenti non ce ne sono perché lì è ignoranza e basta, non è intelligenza e chi distrugge non fa mai cose buone. Ehm, e quindi la popolazione del Borgo e praticamente scappava e si rifugiava nei paesi attorno e noi siamo stati il primo paese che ha avuto ma anche questa ricchezza, io la chiamo di tutta questa gente che scappava e tutte le nostre famiglie ospitavano questi sfollati che non sapevano neanche, ehm, dove andare. Ehm, quindi tanti facevano parte del gruppo partigiani di Travacò perché qua si era costituito un gruppo di resistenza al regime che era molto consistente, molto attivo. Ehm, e quindi, e quindi, vorrei dire anche che quel, nell’occasione, va beh lasciamo stare, andiamo con ordine. E quindi tantissimi ospitati da noi, ehm, si sono allontanati diciamo dai pericoli più gravi che avrebbero vissuto. Ehm, e poi riprenderò ancora questo problema, questo aspetto del, diciamo, di questi sfollati perché ci sono stati dei, cose che hanno determinato poi anche fatti importanti. Intanto, ehm, io ricordo perfettamente quando mio padre, ehm, mi ha portato con lui nella zona della confluenza, oggi è la zona dove, dove abbiamo costituito la grande foresta. Ehm, e ricordo anche il punto pressappoco dove è caduto un aereo, sembra che fosse un aereo tedesco, colpito dalla nostra contraerea perché al Vul, nell’Area Vul c’era la contraerea che cercava di colpire gli aerei che cercavano di bombardare il ponte e bombardare Pavia. E ricordo perfettamente perché ci siamo avvicinati a quell’aereo, e quell’aereo che era messo tutto sgangherato ormai e c’era sopra un pilota morto con la testa chinata e mio padre mi ha allontanato e così ecco questo è uno dei ricordi. Ricordo perfettamente quando hanno fatto saltare la, era l’inverno del ’43, quello è una roba che non posso dimenticare perché è scoppiata la polveriera, la santabarbara che c’era oltre il Ticino nel territorio di Pavia qua da noi
FA: Albaredo Arnaboldi se non sbaglio
SB: Scarpone
FA: Sì, ecco, esatto, sì, sì, sì.
SB: Nella zona di Scarpone, allora nonostante questa distanza io ricordo che la nostra casa allora io abitavo a frazione Boschi, là,
FA: Sì.
SB: A cinquanta metri dalla Marzia, dove c’è la trattoria. Ehm, siamo rimasti senza vetri, porte, son cadute anche le porte, le finestre, ehm, e quindi ricordo i miei nonni, ricordo mio padre eccetera che hanno dovuto tamponare con delle cose di emergenza perché c’era freddo, eravamo in casa e c’era anche forse ghiaccio, neve, roba del genere, ehm e quindi sono stati brutti momenti.
FA: Per lo spostamento d’aria?
SB: Per lo spostamento d’aria, per lo spostamento d’aria ma un boato esagerato eh, un boato esagerato. Cosa ha combinato dall’altra parte non lo so nelle zone più vicine, noi a questa distanza abbiamo notato questo. Ma ho vissuto anche gli ultimi momenti dei rastrellamenti che si facevano periodicamente perché noi, io ricordo, bambino con questi, ehm, tedeschi in divisa, allora io non sapevo chi erano, ma in divisa i tedeschi poi la divisa l’ho, più tardi ho potuto capire che li qualificava come tedeschi, accompagnati dai gerarchi fascisti del posto entravano nelle case e cercavano. Allora di mangiare non ce n’era, la farina non c’era, il riso non c’era, si viveva di espedienti, funzionava mi è stato detto poi un mercato nero di chi aveva possibilità però ma la gente comune non aveva niente, viveva delle risorse che c’erano,
FA: Del territorio.
SB: Che c’erano qua sul territorio, erano le verdure, erano la frutta, erano un po’ tutte queste cose. Ehm, e quindi questi rastrellamenti e ricordo perfettamente che sono entrati un gruppetto formati da tre tedeschi accompagnati da un paio di borghesi che questi erano sicuramente quelli, i nostri che collaboravano con gli occupanti tedeschi, ehm. E hanno fatto aprire tutti gli armadi, gli armadi, la madia del tavolo che una volta c’erano i tavoli
FA: Sì, sì, c’era [unclear]
SB: E c’era la tavola che si alzava e dentro lì si metteva il pane eccetera. Ehm, mia madre [pauses and starts crying], scusami, [pauses] ha avuto il coraggio di affrontarli anche [pauses] cacciandoli fuori perché [clears throat] in quella casa c’erano [pauses] bambini, io e i miei fratelli che avevamo niente da mangiare quindi cosa cercavano in questo nostre case? Non c’era niente, si viveva e basta ecco. Ehm, quelli ricordo che hanno abbassato la testa perché mia mamma gli ha detto: ‘Ma vergognatevi, cosa venite a fare qua? Ma non vedete in che condizioni siamo? Non vedete come viviamo? Non abbiamo niente! Quindi andate fuori, andate fuori dalle scatole!’ Ecco, una cosa così insomma. Beh questo lo ricordo perfettamente. E ricordo perfettamente che c’era in quel periodo un aereo che tutti noi lo chiamavamo Pippo, questo aereo che, come vedeva una luce, come vedeva, non so di notte anche eh, perché di notte quando noi lo sentivamo in lontananza quando arrivava e, e allora tutti a nascondersi. Qua noi, i rifugi soprattutto per noi erano le stalle che c’erano anche perché di riscaldamenti non ce n’erano, ehm, la vita anche fuori era pericolosa e quindi il fatto di raccogliere legna oppure erano momenti in cui arrivavano bombe da tutte le parti e quindi le stalle servivano anche per scaldarci perché ricordo che da bambini con i, con quelli più anziani, andavamo, ci trovavamo un po’ nelle stalle, un po’ di qua, un po’ di là perché con, con il bestiame c’era un clima, un clima che era tiepido insomma,
FA: Certo.
SB: E quindi ci sembrava anche. Ehm, e comunque gli ordini che c’erano tassativi anche da parte dei nostri genitori, dei nonni perché allora erano famiglie patriarcali eccetera: prima di tutto, quando veniva buio non bisognava accendere la luce; se c’era una necessità di accendere la luce solo per quel momento, tappando bene tutte le finestre eccetera perché altrimenti le luci erano visti dall’alto e lì c’era il rischio di avere bombardamenti. Ehm, dicevo prima che, poverini, quelli del borgo che sono sfollati da noi ma da noi sono arrivate bombe ad esempio, sono arrivate bombe che, che so, bombe impazzite, non lo so, non, oppure lasciate da un aereo che era stato colpito che sono cadute anche qua nel nostro territorio quindi, che però non sono esplose. Ce n’è una ad esempio, ehm, nella zona dell’agriturismo della Valbona che era caduta ed è scomparsa, sarà entrata in falda e non, anche le ricerche dopo non sono mai state, non hanno mai dato un frutto positivo. Ecco, quindi era una vita, una vita tremenda, sono stati momenti di paure e poi tutti hanno avuto un lutto in un senso o nell’altro, ad esempio, ehm, gente che si era nascosta, ehm, in, dove noi abbiamo i fossi sotto la strada ci sono le tubature e lì sono, sono scoppiate bombe vicine e abbiamo almeno un caso di due fratelli che si erano nascosti lì sotto e sono esplosi assieme alle bombe perché lo spostamento d’aria li ha disintegrati lì sotto il ponte. Ehm, quindi eh, quindi era una vita, una vita estremamente, noi non ci rendevamo conto perché i più piccini cosa facevano? Piangevano perché avevano fame. Piangevano perché sentivano sparare da tutte le parti, scendevano le bombe eccetera eccetera. Ecco noi abbiamo in quei momenti solidarizzato molto con i, gli sfollati che di fatto da qualche anno, ehm, prima del ’45, fino al ’45 perché poi con la liberazione abbiamo, abbiamo, tutto si è sistemato eccetera. Ehm, ma per anni hanno partecipato alla nostra vita, noi abbiamo avuto tantissimi, erano sfollati nell’oratorio di Travacò, nell’oratorio di Travacò c’era un borghigiano, Schiappini, che poi noi abbiamo un suo scritto, ce lo ricordava lui questa roba. Avevamo un vecchio prete, Don Morone all’epoca, che era veramente un prete e viveva per gli altri, e siccome aveva, aveva le scarpe rotte e d’inverno girava con le dita dei piedi fuori dalle scarpe questi borghigiani hanno fatto una colletta e hanno dati i soldi a questo prete che era venuto a Pavia per comprarsi le scarpe. E se lo son visto poi ritornare ancora nonostante questo con i piedi fuori dalle scarpe e gli hanno chiesto: ‘Ma, prevosto, come mai? Gli abbiamo dato i soldi per comprare le scarpe?’ E lui fa: ‘Guarda, [crying] ho incontrato uno che stava peggio di me [crying] e quindi le ho comprate per quello, non l’ho fatto’. Questo per dire i momenti che erano e la gente che c’era in quel momento.
FA: Certo.
SB: Noi , di questi borghigiani c’era la famiglia Maggi che era la madre, no che era la, era nella famiglia di Borgo Basso, di Via Milazzo, di Borgo Ticino ed erano scappati qua, erano scappati qua per fuggire appunto dai bombardamenti ed erano presso una famiglia, una famiglia guida che a trenta metri da casa mia. Con i bombardamenti questa donna era, stava per partorire e con questi bombardamenti poi ha partorito ma ha perso il latte, ha perso il latte. Mia madre aveva avuto mio fratello proprio in quel momento e allora la famiglia che lo ospitava erano venuti da mia madre, da mia madre per vedere, siccome era una donna un po’ rigogliosa diciamo, un po’ formosa, e diciamo e aveva un seno molto abbondante, ehm, gli hanno chiesto se avesse allattato anche quell’altro bambino. Mia madre l’ha fatto, ha detto: ‘ Io ne allatto uno e allatto anche l’altro se mi viene il latte’, infatti così è stato. Quel bambino oggi è il reverendo Don Maggi del, parroco del duomo di Pavia, è stato rettore del collegio Borromeo eccetera, Ernestino Maggi con il quale siamo ancora in ottimi rapporti e che lui, e che lui, beh lui, ehm, aveva due anni meno di me, ricorda poco. Ehm, quindi quando cinquant’anni dopo abbiamo fatto, adesso ritorno un attimo a quello che dicevo prima, quando abbiamo fatto quella rimpatriata concordando con il presidente del comitato di quartiere Borgo che è il Vittorio Chierico che tra l’altro è uno storico appassionato e che quindi, ehm, ha raccolto tante memorie e anche fatto diversi testi su queste cose, ehm, abbiamo fatto una rimpatriata qua a Travacò. C’era anche monsignore Bordoni che è stato, era parroco di Pavia ed era il direttore del giornale il Ticino della diocesi di Pavia e che lui, ehm, ha vissuto in mezzo ai bombardmenti, in mezzo, dentro le macerie perché fra l’altro, ehm, ha ricordato anche lui a tutti noi il suo lavoro di parroco nel soccorrere i feriti eccetera eccetera. C’era don, la famiglia di don Ernestino, c’erano tutti i borghigiani e in quell’occasione lì c’erano anche, ehm, tutti i famigliari che ricordavano queste cose. È stata una bellissima giornata, noi l’abbiamo passata assieme a, per ricordare tutte le nostre vicende comuni e guarda caso comunque dicevo prima qualche borghigiano tipo Abbà, Amleto Abbà, che non c’è più neanche lui, era partigiano qua da noi, ce n’erano anche altri e, ehm ecco, e lì abbiamo intervistato, noi come amministrazione comunale, tramite anche l’assessore alla cultura eccetera, ehm, i partigiani presenti anche il gruppo di Travacò ehm e abbiamo, e abbiamo messo queste interviste in un opuscoletto edito dalla nostra biblioteca. Ecco, vorrei dire che comunque il primo sindaco dopo la Liberazione di fatto è stato Luigi Fregnani, uno dei partigiani borghigiani che era di Travacò quindi è stato il primo sindaco nominato dal CLN e poi con le prime elezioni che ci sono state successivamente dopo la Liberazione ehm. È importante aver ricordato questo perché poi c’è stato un seguito di fatto. Il seguito è stato che il, queste interviste che noi abbiamo fatto ma anche per avere dei ricordi pensando che le cose finissero lì insomma ecco ehm e pensando che questi ricordi potevano servire in futuro qualche cosa. Succede che questa intervista, cioè che questo opuscolo finisce in mano a un graduato dei carabinieri che stava lavorando attorno alla storia dei carabinieri a Pavia, nella zona eccetera. E ehm, e questo qua a un certo punto, ma sto parlando di un paio di anni fa, neanche, un anno e mezzo fa, ormai eravamo, siamo diventati amici per altre cose, eravamo già amici, mi chiama e mi dice: ‘Ma senti, ma voi avete fatto quell’opuscolo lì, avete, ma vi rendete conto che, sotto, io sto trovando cose che hanno tutti riferimenti a Travacò’. Allora, ehm, abbiamo di fatto, ehm, visto un po’ tutta la nostra storia, e abbiamo fatto ancora altre ricerche e stiamo per pubblicare un libro sulle cose che abbiamo scoperto. Allora, intanto abbiamo scoperto che Travacò era strategicamente importante per la lotta di liberazione per i, i movimenti e i passaggi sia di armi sia di partigiani da Milano verso l’Oltrepò, arrivavano a Pavia, traghettavano il Ticino, erano a Travacò ma erano anche pronti ad attraversare il Pò ed essere un collegamento con i partigiani dell’Oltrepò delle colline eccetera. Noi qua avevamo il maresciallo Corippo che era il maresciallo all’epoca di Borgo Ticino che e avevamo il maggiore Olinto Chiaffarelli che era il comandante della caserma dei carabinieri di Pavia che in quell’epoca, e questo è quello che abbiamo scoperto dopo, in quell’epoca erano, si sono messi in aspettativa perché quando il Mussolini ha creato la Repubblica di Salò, voleva anche che tutti i carabinieri e tutte le organizzazioni militari eccetera aderissero alla Repubblica di Salò. Questi carabinieri, quindi il nostro maresciallo e Olinto Chiaffarelli, allora era, mi pare che fosse colonello o maggiore, adesso non ricordo bene, che comandava la caserma di Pavia, si sono messi in aspettativa, hanno detto: ‘Noi non aderiamo alla, ehm, alla Repubblica di Salò perché abbiamo fatto un giuramento. Noi abbiamo giurato al re’, perché in quel momento il re si era separato dal Duce, dal governo, e lì è scoppiato il finimondo perché tutti erano allo sbando, erano allo sbando le nostre caserme, erano allo sbando tutti i carabinieri, polizia eccetera perché chi aderiva da una parte, chi aderiva dall’altra eccetera eccetera, loro hanno detto: ‘Noi abbiamo giurato al re, non aderiamo a quella parte e ci mettiamo in aspettativa e quindi ci togliamo’. Ecco, questi due, quindi il maresciallo Corippo e il comandante Chiaffarelli con le loro famiglie erano a Travacò. Allora noi abbiamo avuto, ecco l’intersecazione della storia nostra con i carabinieri, erano a Travacò il comandante Chiaffarelli con la famiglia era alla Cascina Orologio, cinquanta metri distanti dalla Marzia, lì c’è una grossa cascina verso l’argine e erano alloggiati lì con la famiglia e la, il Chiaffarelli alla Cascina Carnevala, è quella cascina se lei torna indietro per Pavia dalla zona della Battella,
FA: Sì?
SB: Che esce in borgo, vede una bella cascina dove c’è la curva a gomito,
FA: Sì?
SB: Ecco, quella è la cascina Carnevala e lì c’era ed era una cascina [laughs] del podestà fascista che c’era all’epoca. Però c’era la famiglia di Chiaffarelli lì. Noi tutte queste cose adesso poi le produciamo nel nostro libro che facciamo. Ehm, poi avevamo un altro carabiniere di Travacò che era Colombi e avevamo e c’era un altro carabiniere, che era Vittorio Caraffa, che era a Mezzano, era sfollato qua in un’altra famiglia. Allora, questi carabinieri di fatto, allora il comandante di Pavia Chiaffarelli era il comandante addirittura di tutta l’area Nord, verso Milano eccetera, della Resistenza. Il comandante Corippo era, era quello che aveva anche lui compiti direttivi, ehm, e, ed era in contatto con i nostri capi partigiani del luogo. Tant’è vero che i capi dei partigiani qua erano di fatto Corippo e Crepaldi e Crepaldi ehm, che era, ehm, un milanese che aveva fatto il militare a Pavia in quell’epoca, poi si era fatto la morosa a Travacò, poi si è sposato anche lui con una di Travacò eccetera. Ehm, quindi c’è tutta una storia allora noi abbiamo scoperto attraverso queste indagini poi con l’estensione dei carabinieri intanto il gruppo di, dei carabinieri di Travacò comandati da Corippo il giorno 26 aprile, ehm, il giorno 26 aprile stavano aspettando l’ordine per contrastare i tedeschi che comunque erano già in ritirata. C’era una colonna di tedeschi nella zona del vallone e bisognava, e bisognava che questi fossero accerchiati e accompagnati per la ritirata verso, verso il Brennero, non so da che parte, perché stavano lasciando comunque l’Italia però attenzione, stavano lasciando l’Italia ma con la rabbia dentro e quindi dove incontravano, incontravano qualcuno, sparavano eh quindi uccidevano ancora, anche durante la ritirata. È arrivato l’ordine di, ehm, e Corippo aveva dato l’ordine a, di tenersi pronti perché il 24 o il 25, no, o il 25 o il 26, ehm, avrebbero dovuto attraversare il Ticino e quindi contrastare questi tedeschi che erano in ritirata. Noi abbiamo avuto un morto lì perché il nostro gruppo ha partecipato a quella, c’è stato uno scontro con, con i tedeschi ed è morto il carabiniere Colombi di Travacò. Quindo Travacò ha dato anche lui un contributo di vite umane e anche per la liberazione. Ehm, ecco queste sono le cose che poi abbiamo scoperto dopo ma c’è ancora una cosa: allora, stranamente, stranamente, questo l’ho sempre sentito anche dagli stessi partigiani, i tedeschi che hanno occupato questo territorio erano, erano ehm, solidarizzavano con le nostre famiglie cioè non hanno mai, a parte un fatto che è succeso che poi lo dirò, ehm, non, ehm, c’era stato un ordine - questo l’abbiamo scoperto dopo - un ordine dall’alto, parlo per la lotta di liberazione naturalmente, che Travacò e il suo gruppo partigiani di Travacò non doveva disturbare i tedeschi, non doveva scontrarsi con i tedeschi, non dovevano creare condizioni di contrasto. Il perché non l’ha mai saputo nessuno, l’abbiamo scoperto noi. E l’ho scoperto dopo perché noi abbiamo scoperto che Travacò era il luogo dove c’era la maggiore quantità di armi per la lotta di liberazione perché nei boschi di Travacò, ehm, lasciarono giù con gli aerei le munizioni che il comandante Chiaffarelli tutte armi che catturavano ai tedeschi eccetera eccetera venivano calate qua e poi distribuite, distribuite nelle case, nelle stalle, nelle botole, ad esempio sotto il tavolo del comandante Corippo, sotto il tavolo, c’era una botola. Corippo aveva due bambine piccole, il maresciallo aveva due bambine piccole e in quella botola lì c’erano armi, c’erano una quantità di armi non indifferenti. La moglie di Corippo ha avuto il coraggio e la prontezza di sedere le bimbe sopra il tavolo, di mascherare un po’ perché se avessero visto quella botola lì si fucilavano subito le persone e quindi, ci sono stati rastrellamenti e anche sparatorie con le mitraglie dove c’è il fieno nelle cascine eccetera perché pensavano che diversi partigiani si nascondessero nelle cascine e questa è la verità. Noi avevamo ad esempio anche quattro inglesi qua, che venivano ospitati clandestinamente nelle famiglie, erano ricercati dai tedeschi e, ehm, e le famiglie facevano a turno a, di giorno nei boschi a portare, a portare il cibo a questi qua, di notte dormivano nelle case che le ospitavano. Allora questo ordine di strategia l’abbiamo poi capito il perché. Perché qua non, doveva succedere nessun conflitto perché questo luogo era sacro ai fini della resistenza e ai fini dei passaggi da qua all’Oltrepò, dall’Oltrepò. Il Luigi Fregnani che poi, il borghigiano che poi è diventato sindaco ci ha confermato che lui aveva il compito di traghettare da Pavia o di collaborare con i traghettatori che da Pavia venivano a Travacò e che da Travacò andavano nell’Oltrepò e viceversa, e viceversa. Quindi abbiamo potuto poi ricostruire le cose che, ehm, che abbiamo avuto il piacere di conoscere, compreso il fatto che due partigiani, molto vicini di casa, non sapevano uno con l’altro che tutte e due avevano armi perché allora, se fosse trapelata una notizia o qualcuno che si fosse sbilanciato, sbilanciato, avrebbe rischiato la vita, non solo sua ma anche di tutta la famiglia. Quindi lì c’era l’intelligenza militare dei carabinieri, che, ehm, avevano creato dei compartimenti stagni in modo più assoluto, uno non sapeva cosa faceva l’altro, arrivava un ordine e ognuno doveva muoversi secondo gli ordini che arrivavano. Quindi per dire che, ehm, questa roba ha funzionato e noi siamo riusciti a scoprire dopo che almeno una quindicina di siti, almeno una quindicina di siti appunto c’erano nascoste armi, qualcuno nella mangiatoia, qualcuno nella stalla, qualcuno nella botola nell’orto, qualcuno nel cascinale, qualcuno, eccetera eccetera e quindi Travacò era comunque una, sarebbe stato una polveriera ma, ehm, per rifornire gli altri in battaglia e non tanto, ehm, perché qua di battaglie non ne dovevano accadere da quello che abbiamo capito. Quindi, ehm, ecco queste sono state le, ehm, la vita vissuta da noi e dalla gente di quei momenti e ehm, e anche, ehm, e anche dai nostri, dai nostri compaesani e dai nostri borghigiani che hanno partecipato con noi a questa vita, non dico. Ah noi abbiamo avuto delle persone che addirittura, noi abbiamo avuto il medico condotto, il dottor Ruozzi tanto per citarne uno, che, ehm, che ha, ehm, che curava a rischio perché era anche stato portato via accusato di curare i partigiani eccetera e quello ha avuto il coraggio di dire ai tedeschi: ‘Io sono un medico e io faccio il medico, non chiedo, ehm, una fede politica per curare uno o l’altro, curo tutti quelli che vengono da me’. E quindi il dottor Ruozzi è stato anche lui uno, ehm, un eroe, così come è stato eroe il partigiano Lavina che, [laughs] quello faceva parte del nostro gruppo partigiani che appena c’è stato sentore che era imminente la liberazione, lui aveva lavorato un po’ di anni in Germania, sapeva parlare il tedesco, il tedeschi lo usavano un po’ anche come interprete però era un partigiano di quelli anche abbastanza tosti e con una mitraglia, una mitraglia che un essere umano non riusciva a portare, con la forza della disperazione, dicendo parole in tedesco ha fatto uscire tutto il comando tedesco che c’era qua da noi con le mani in alto, perché lui ha fatto credere, parlando in tedesco che c’era, ehm, che il comando era accerchiato, che dovevano arrendersi. Qunado hanno visto che, invece, era una persona sola e che poi sono arrivati anche gli altri partigiani, ormai era tardi, e quindi sono stati beffati anche loro in questo modo, non ci sono state sparatorie perché quelli si sono arresi e, ehm, e tutto è finito lì. Ecco, io altro non saprei cosa dire ma ci sono anche tanti altri episodi ma la roba verrebbe un po’ troppo lunga.
FA: Vorrei farle una domanda, un paio di domande. Voi da qua, dal vostro punto di vista, dei suoi ricordi, vedevate quello che succedeva giù al borgo quando, quando bombardavano?
SB: No, no, no. Noi, ehm, diciamo perché, la vita era praticamente bloccata. Uno non si azzardava ad andare in Borgo se non per necessità perché ad esempio in Borgo c’era il farmacista Ricotti, la farmacia Ricotti del Borgo era un po’, ehm, era la nostra farmacia, allora per le necessità sì però, ehm, e quindi ci venivi, no, e quindi toccavamo con mano che la gente che è venuta qua non aveva neanche più la casa in Borgo perché il Borgo, ehm, più vicino al Ponte, tutto attorno al Ponte, era tutto giù.
FA: Certo.
SB: E quindi, e quindi, non ci siamo resi conto, dopo ci siamo resi conto, quando c’è stata la Liberazione, allora abbiamo visto. Ci siamo trovati con, con una tristezza esagerata, con tutto da ricostruire, con tutto da fare, con tutto da organizzare e lì ci sono voluti anche gli anni ma però la vita ha ripreso il suo corso e, e tutto ha cominciato a funzionare, e, funzionare.
FA: Certo. Un’ultima cosa. Ehm, gli sfollati che arrivavano a Travacò, ehm, erano organizzati diciamo secondo un sistema assistenziale condotto da qualcuno oppure erano un flusso autonomo, diciamo casuale?
SB: No, no, no. Allora nelle nostre zone di sistemi assistenziali non ne esistevano perché tutta la popolazione aveva bisogno di essere assistita si può dire. Qua non c’era niente per nessuno, tutti erano in miseria, tutti avevano, eccetto qualcuno naturalmente, no? Ehm, quindi era un po’ un’assistenza fai da te, di solidarietà, erano, uno aiutava l’altro. Se un vicino di casa non, aveva un bisogno c’era, c’era sicuramente la famiglia che lo aiutava quindi era un’assistenza che funzionava così. Solo dopo con la ripresa, dopo la Liberazione, allora le prime amministrazioni si sono dovute occupare anche dei problemi di assistenza,
FA: Questo problema.
SB: Perché anche questo era uno degli aspetti principali insomma perché se no, non si sopravviveva eh.
FA: Sì, quindi non era, per dire, il comune di Pavia o l’esercito, i carabinieri che li mandavano. Si spostavano secondo la loro esigenza.
SB: No, no, no, no. E poi ricordo che hanno costituito il patronato e noi bambini a scuola avevamo il contributo del comune per acquistare i libri, i quaderni eccetera, c’erano. Ecco, si sono organizzati, sono state organizzate dopo le varie assistenze, le varie organizzazioni che poi si occupavano di seguire queste miserie perché in effetti era una miseria generale insomma.
FA: Va bene. La ringraziamo allora per questa intervista.
SB: Per quel che può servire, grazie a voi, anche se m’avete fatto un po’ ritornare nella mente cose che avevamo già cancellato.
FA: La ringraziamo.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Sandro Boiocchi
Description
An account of the resource
Sandro Boiocchi remembers wartime memories at Travacò, in the Pavia area. Mentions various episodes: food shortages, the black market, fascist and German roundups, Pippo flying at night, bombing of bridges, giving shelter to evacuees. Tells how stables provided warm shelter but were also used as hidden storage for weapons. Mentions seeing an aircraft taken down in the woods, with a dead pilot still inside the cockpit. Remembers the blowing up of an ammunition dump and the following blast wave, which shattered their windows and doors. Describes the strict instructions issued by parents and relatives to black out the windows extremely well in order not to serve as a target for bombings at night. Tells of when his mother stood up against a group of Germans and fascists intending to search their house for food and how she told them off. Recounts episodes of selfless generosity and moral integrity . Explains how, following a direct order from the partisan leaders, actions against the German troops were forbidden in the Travacò area, of strategic importance for the resistance and where huge amounts of weapons were stacked. Tells of Carabinieri opposing the Fascist regime, having pledged allegiance to the king. Tells how, in absence of authority, the population resorted to informal mutual assistance networks.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Filippo Andi
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-02-25
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:43:10 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ABoiocchiS170225
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Po River Valley
Italy--Pavia
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1945-04-26
Rights
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childhood in wartime
evacuation
fear
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Pippo
Resistance
shot down
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Dublin Core
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Title
A name given to the resource
A survivor of the Voghera bombings (informant A)
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
An00976
Description
An account of the resource
One oral history interview with an informant who recollects her wartime experiences in Voghera.
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Publisher
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FA: Eeeh, signora [omitted] vuole raccontarci cosa si ricorda dell’esperienze vissute durante gli ultimi due anni di guerra a Voghera?
GB: Sì, volentieri potrei raccontare qualcosa anche magari dei primi mitragliamenti che sono successi.
FA: Certo.
GB: Nel ’41, ero ancora piccolina avevo solamente sei anni, eeeh il primo, il primo mitragliamento su Voghera credo che sia stato fatto nel mese di maggio o giugno, mi trovavo in mezzo ai campi, perché i miei genitori erano agricoltori e praticamente sono arrivati questi caccia e mi hanno, praticamente ero vestita di rosso e allora per paura che mi, mi mi vedessero meglio perché essendo giorno a volo radente diciamo, eeeh mi hanno coperta, buttata in un fosso e coperta per far si che non, non colpissero insomma. Ecco ricordo che c’è stato la sventagliata va beh comunque, non è, per noi non è successo niente. Mentre invece nell’agosto del ’40 ricordo molto bene, sì va beh le incursioni aeree che sono succedute nel ’44 le ricordo tutte, però quella del 20, del 25 cos’è, il 25 di agosto, lo ricordo bene perché l’ho, l’ho visto dal, l’ho visto io con i miei occhi da un rifugio che era stato costruito in mezzo in, in nella campagna e quindi ero seduta all’esterno un po’ all’esterno, quindi ricordo molto bene le bombe che sono scese e che hanno colpito la la città. Il perché lo ricordo anche molto bene è perché la mia famiglia aveva una cascina dall’altra parte della città, io abitavo di qui verso la parte di via Verdi, adesso è inutile dirlo loro perché non conoscendo, comunque abitavo dalla parte di via Verdi la cascina invece l’avevamo oltre, verso già Torremenapace in quella zona. Allora i miei genitori con mio fratello erano andati a lavorare dalla parte di là, io invece ero a casa con mia cognata che era di La Spezia e ricordava molto bene ed era sempre molto terrorizzata quando sentiva l’allarme.
FA: Certo.
GB: Perché ricordava molto bene il bombardamento del mare subito a La Spezia. Quindi io ero lì in mezzo al al, ero lì in mezzo adesso non racconto chi era perché, non è non, lo registra? No allora no eh [laughs], perché c’eran le pesche e con l’allarme c’era una fabbrica di, un cappellificio e tutti gli operai uscivano e naturalmente scappavano in mezzo alle alle piante e rubavano le pesche. Allora io ho detto a mia cognata ‘Senti tu stai qui ma io vado a vedere perché così almeno mi vedono non portano via le pesche insomma eh!”.
FA: Certo.
GB: Cercavo di [laughs] va beh, ecco perché anche oltretutto ho assistito poi un po’ al bombardamento e mi, per concludere, nel senso che, eh l’allarme è stato dato ed era un allarme che praticamente c’erano diversi tipi di allarme che non ricordo quanto erano, perché se era uno solo non era proprio importante, forse non so se erano tre colpi forti per dire perché eran fatti, ancora oggi ricordo il rumore del degli aerei, dei bombardieri, io mi sveglio di notte, e c’è un aereo di quelli da da carico che volano leg, adagio, lenti e proprio quel whooo whooo mi mi, sto ancora male adesso, pensi quanti anni sono passati, eppure però, ho mi, ho ancora proprio il ricordo nitido di questi aerei che andavano, che passavano che andavano e poi dicevano che andavano a bombardare la Germania o altri posti. Comunque per tornare al, al ’44 ho visto proprio tutte le bombe scendere, ho visto proprio le bombe scendere, e eeeh siamo rimasti divisi come dico, e infatti i miei, i miei parenti i miei genitori e mio fratello erano preoccupatissimi perché avevano paura che avessero colpito la nostra parte noi altrettanto non, mentre invece poi abbiamo saputo che praticamente era il centro che era stato colpito, e i miei genitori sono poi arrivati a casa alle dieci, dieci e mezza di notte perché questo bombardamento è stato fatto verso le quattro del pomeriggio, adesso, più o meno.
FA: Quindi in pieno giorno.
GB: In pieno giorno, in pieno giorno, eeeh ed è di lì che abbiamo saputo appunto che c’erano stati 187 morti, eeeh tantissimi 200 e più feriti, ehm quindi insomma è stato per, un bombardamento proprio veramente disastroso diciamo. Che qui attorno c’erano stati altri bombardamenti anche a Pavia, aveva avuto un bombardamento ma, molto importante ma però con pochi morti, qui invece la gente era andata tutta in cantina, si erano rifugiati in cantina e quindi, poi c’è stata gente per esempio, conosco un signore che la mamma ha perso un occhio, eeeh non vede più da un occhio, poi gente che è rimasta invalida, che è rimasta invalida. Mi dispiace che sia mancato un signore da poco tempo, in cui praticamente aveva perso papà e mamma eeeh e lui, e lui insomma, quindi conoscevo tante persone dell’epoca che, adesso ormai purtroppo praticamente. Questa questa signora di, la mamma di questo signore praticamente adesso è un po’ fuori di testa e quindi praticamente magari non ricorda neanche bene o quello che dice poi.
FA: Certo, quindi un fatto che ha segnato la città insomma.
GB: Sì ah insomma un fatto che ha segnato molto ma molto la città, perché veramente ha proprio distrutto quasi tutto, pensi che la qui la caserma la metà è stata è andata distrutta, mio marito che abitava qui a cento metri da qui praticamente si sono trovati, lo spostamento d’aria, un tedesco da qui è finito nel portone, dentro il portone ed è morto. Quindi, il bombardamento è stato importantissimo, ecco cioè molto devastante.
FA: Molto violento sì.
GB: Molto forte. È stato colpito anche l’ospedale e quindi non so, ecco è tutto quello che posso dire ecco, non è molto.
FA: Certo, ha memoria anche di bombardamenti seguenti a questo? Ce ne sono stati altri?
GB: No, ce ne sono stati qualcun’altri, si va beh ricordo nel, nel ’40, al 25 di aprile del ’45 quando il famoso Pippo, che di notte girava e se vedeva le luci lanciava il razzo, lanciava si, non è, non si dice razzo.
FA: Sì spezzoni.
GB: Gli spezzoni. Lanciava gli spezzoni, me lo ricordo perché è stato, anche questo io non, non l’ho vissuto per il fatto che era di notte ma mia mamma me l’ha sempre raccontato molto e tutto, è stata, ha colpito, la famiglia, una nostra famiglia amica e la gente finita, finita la guerra ha sentito Pippo sono andati sulla porta, loro per far festa, lui ha lanciato lo spezzone, è caduto sul cornicione di un palazzo e praticamente in una, cominciato, non mi viene la parola, il cemento armato, ha picchiato sul cemento armato del del muro, son partite le schegge e ne son morti cinque, e con sei o sette feriti, quindi praticamente, ma rimasti invalidi, eh! È morta la, una mamma che lei era terrorizzata dai bombardamenti e in questo bombardamento in cui io ho visto e che posso raccontare, lei col bambino valigia in mano da una parte e bambino per mano dall’altra, come sentiva l’allarme, dentro nel rifugio.
FA: Nel rifugio.
GB: Perché era terrorizzata, poveretta aveva ragione perché realmente poi c’è rimasta, perché quella notte lì è stata colpita da una scheggia alla giugulare e in un attimo se ne è andata.
FA: Prima ha parlato di di rifugi, avevate un, ha detto un rifugio in campagna?
GB: Sì ma era fatto nella terra viva eh. Era nel terreno vivo e poi c’era dentro tutte le balle di paglia in cui ci si sedeva sopra.
FA: Quindi sostanzialmente una buca.
GB: È una buca, una buca, sì.
FA: Che era una pratica comunque diffusa, ho sentito in.
GB: Sì, sì, anche noi l’avevamo, l’avevamo fatto anche noi perché dicevano che bisognava averlo però noi non ci siamo mai andati dentro, perché mio papà l’aveva fatto in un punto un po’ troppo umido e allora andar là dentro si stava proprio male male. Solo che tante volte invece, avevamo, anche questo me lo ricordo eeeh per esempio avevamo fatto, eeeh avevamo battuto il grano, il coso, c’erano tutte le balle di paglia, e le balle di paglia erano state messe in modo che facesse da rifugio, facesse da rifugio, quello lì mi ricordo che sono, che anche lì mi sono rifugiata una volta in seguito a un bombardamento, o a un mitragliamento ecco.
FA: Certo.
GB: Adesso, ma però per dire non mi ricordo né la data, né niente. Di questo ho proprio memoria perché è quello che mi ha impressionato più di tutti ecco diciamo.
FA: Quindi anche insomma, essendo, nonostante fosse una bambina, si ricorda le impressioni.
GB: Sì avevo nove anni, ‘che son del ’35 quindi avevo nove anni, e quindi lì, mi ricordo già un po’ di più anche insomma forse, poi, nel senso che la mia famiglia praticamente io avevo tre fratelli e tutti e tre i fratelli erano militari, erano in guerra ecco, due però avevano avuto la fortuna di rimanere qui in Italia, uno in Marina a La Spezia, che questa mia cognata e l’altro invece era nell’aviazione ma era nel, non come aviatore ma come aviatore, aviazione di terra, cioè.
FA: Personale militare di terra.
GB: Sì, personale di terra eeeh a Parabiago, quindi era vicino a casa, mentre invece l’altro mio fratello purtroppo no, purtroppo dopo aversi fatto, dopo essersi fatto l’Africa ha fatto, ah l’Africa in dal ‘40 al ’41 poi è tornato a casa perché aveva preso la scabbia e non l’han più rimandato in Africa quando è finita la convalescenza che è guarito, non l’han più mandato in Africa, ma è andato in Grecia, dalla Grecia poi praticamente stavano rientrando in Italia e invece di entrare in Italia è andato in con, nel ‘43 è andato a finire nel campo di concentramento e quindi dal 1939 è tornato a casa 1945 a settembre. Questo, ha avuto fortuna di tornare a casa.
FA: Certo.
GB: Tutto lì, però cioè eravamo anche un po’ diciamo sotto pressione come famiglia, i miei genitori erano sotto pressione perché praticamente con tutta la campagna da curare tutto, non avevano, se lo dovevano fare loro due.
FA: Certo.
GB: Perché non avevano nessuno.
FA: Certo.
GB: Han sequestrato i camion ci han messo i camion praticamente che non si potevano più adoperare, perché han tolto le ruote per far si che non lo adoperassero, li avevano messi, cioè erano dentro nei nei garage e praticamente avevano messo su sotto i, la la per tenerli su han fatto i muri le pile di mattoni e poi dopo c’han tolto i.
FA: Certo, quindi un, avrei un’ultima domanda, quindi insomma Voghera era abbastanza frequentata dalle incursioni aeree.
GB: Sì sì poi, no no ma perché, perchè avevamo anche praticamente come sa, a parte il fatto la caserma, che senz’altro era importante per dire, perché c’era tanti soldati, però le incursioni aeree ce ne sono state parecchie ecco ma per ricordare però perché era dovuto soprattutto al fatto del nodo ferroviario, perché come nodo ferroviario era molto importante, perché praticamente distruggere i due ponti voleva dire eliminare il contatto, in modo di poter cos, quindi niente, tutto lì. Io non ho solo ricordato questo perché è quello che ricordo di più che è anche quello che fa fatto più morti.
FA: Più danni certo.
GB: Più danni.
FA: Va bene allora la ringraziamo per questa intervista.
GB: Ma si immagini
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
A survivor of the Voghera bombings (informant A)
Description
An account of the resource
The informant reminisces about her wartime experiences in the Voghera countryside, at the time when her three brothers where enlisted and it was hard for her parents to run the farm.
She remembers how she narrowly escaped an aircraft trying to machine gun her by covering with a blanket and throwing herself into a ditch, and then describes the 25 August 1944 bombing on Voghera. Narrates how she was at home with her sister in law when the alarm sounded three times, the signal for imminent danger. She dashed outside trying to stop people pilfering fruit at her parent’s farm, as they routinely did during alarms. Recollects the aftermath of the attack, with hundreds of death and injured people and stresses the fact that Voghera was a local railroad hub with a significant military presence, thus a legitimate target. Reports an anecdote of five people died the last day of war, killed by a bomb dropped by Pippo. Describes shelters dug by country people in the ground and protected by hay bales; compares these makeshift solutions with proper shelters in urban areas. Stresses the fact that the bombing war has haunted her for the rest of her life, being still scared by the droning sound of aircraft at night.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Filippo Andi
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-04-19
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Francesca Campani
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:13:25 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Po River Valley
Italy--Voghera
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1944-08-25
1945-04-25
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AAn00976-170419
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Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
bombing
childhood in wartime
fear
home front
perception of bombing war
Pippo
shelter
-
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271a5ea25e85262493c6a3a7bf23639b
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
A survivor of the Voghera bombings (informant B)
Description
An account of the resource
One oral history interview with an informant who remembers his wartime experiences in Voghera.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-08-29
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An01183
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Sono Andi Filippo e sto per intervistare [omitted]. Siamo a Voghera, è il 29 agosto 2017. Ringraziamo il signor [omitted] per aver permesso questa intervista. La sua intervista registrata diventerà parte dell’archivio digitale dell’International Bomber Command Centre, gestito dall’università di Lincoln e finanziato dall’Heritage Lottery Fund. L’università s’impegna a preservarla e tutelarla secondo i termini stabiliti nel partnership agreement con l’International Bomber Command Centre. Signor Marchese, vuole raccontarci i suoi ricordi, le sue esperienze durante gli anni di guerra, sotto le bombe a Voghera?
GM: Dunque, io all’epoca, all’inizio della guerra avevo undici anni, undici anni però ero già sveglio insomma eh. E la dichiarazione di guerra non è, ce, ce l’aspettavamo insomma, c’era, era attesa. Però i primi diciamo due anni, la leggevi sui giornali e basta la guerra, la leggevi, perché la cittadina come Voghera non è che fosse informata o, guarda poi leggevi i giornali (?). Dal ’43, dal 1943 invece è diventata un po’ pesante nel senso che Voghera, io avevo un diario avevo che non ho più ritrovato purtroppo nei traslocchi che ho fatto a Voghera c’erano state circa ottanta incursioni durante il periodo dal ’43 al ’45, ci sono state circa ottanta incursioni fra bombardieri grossi e cacciabombardieri, cacciabombardieri c’erano tutti i giorni, mitragliavano, qualunqua cosa si muovesse mitragliavano e i bombardieri bombardavano i ponti della ferrovia, pero’ di danni alla popolazione sono stati abbastanza relativi. Fino a che siamo arrivati a quel bombardamento che tutti dicono fosse stato terroristico del ’44. Nel mese di agosto del ’44, che effettivamente è stato pesante perché, a parte il fatto che diverse correnti di pensiero dicono che i morti siano arrivati a cinquecento addirittura e io, sono un po’ sopravvissuto a quello lì perché come ripeto un quarto d’ora prima ho fatto proprio il percorso dove sono cadute tutte le bombe e mi trovavo diretto a casa, erano le sette di sera, però era già tutto il giorno che ricognitori giravano in alto [unclear] tutto sopra la città e la gente diceva, ma come mai continuano a girare sti aerei qui sopra? Uno, si davano il cambio fino verso sera. Una giornata bellissima di agosto, un sole bello, e la gente, però la gente, sì, ci faceva caso ma faceva gli affari suoi faceva. Poi verso le, ecco io verso le sette io sono uscito dal lavoro, ho fatto il centro di Voghera, ho imboccato il Corso XXVII Marzo e come sono arrivato a metà Corso XXVII Marzo, a due passi da casa, è scoppiato il finimondo. Tutta la strada che avevo fatto dietro era bombe, bombe, crateri e bombe perché, dalla chiesa, dalla Via Emilia, Piazza Meardi dove hanno distrutto il Bar Ligure, è tutta una scena, tante case lì dove c’era la casa di riposo tra l’altro, c’era la casa di riposo, la casa per i poveri dove il comune distribuì i pasti e tutta la zona dietro, dove ci sono, adesso c’è il palazzo della SIP, su quello quadrato lì era raso al suolo proprio, Piazza Meardi tutta rasa al suolo, dove c’era il Bar, dove c’è adesso il Cafè Cervinia e compagnia bella. È durato una bella oretta la caserma dei, un pezzo della caserma, un pezzo di Corso Genova e io alla prima bomba che ho sentito scoppiare, sarà stata a cinquanta metri d’aria da me, perché è scoppiata in Via Pietro Giuria allora mi sono messo coricato per terra vicino e poi, e poi addio, il finimondo, bombe, bombe, bombe, bombe, finchè poi non si vedeva più niente, un odore acre di esplosivo che non riuscivi a respirare e un, che non si vedeva una persona a un metro di distanza dalla polvere, dalla e lì era di corsa sono arrivato in casa a cercare i miei cercare, effettivamente era ancora, era in casa mia mamma, mia sorella e mio papà che era a letto con, ammalato era, ammalato. Allora [ho detto?, unclear], ragazzi eran lì che ci siamo abbracciati e lo spostamento d’aria ci faceva girare da una parete all’altra ci faceva, lo spostamento d’aria delle bombe che cadevano. Poi, poi bum, è finita su, era la prima ondata perché poi è venuta una seconda ondata di bombardieri, B-12, hanno fatto posto, hanno sbagliato, fortunatamente la seconda andata hanno scaricato le bombe tutte oltre di là alla ferrovia, nei campi. Questi qui hanno, i primi dodici hanno, quelli lì, la seconda ondata o l’hanno fatta apposta o si sono sbagliati, non lo so, hanno sbagliato penso. Al di là della stazione, della ferrovia c’erano i campi c’erano e sono cadute tutte là perché altrimenti se cadevano anche quelle in citta’ era, era il finimondo. Ecco e lì abbiamo cominciato veramente ad avere paura insomma lì e allora lì e sai gira, esci, vai in casa, passata, cercare di vedere, di dare una mano a qualcuno ma era un problema perché c’era, non si poteva passare da nessuna parte, macerie dappertutto, macerie. La Croce Rossa che, la Croce Rossa [unclear] portati via a piedi no, con la barella con le ruote delle biciclette dopo [unclear] per cercare di dare una mano e compagnia bella ma come ripeto il disastro più grosso è stato lì Piazza Meardi che fece [unclear] i morti e lì si è andata avanti tutta la notte a scavare, scavare, scavare.
FA: A lavorare.
GM: E noi a casa, a riparare un po’ i danni perché, anche a casa nostra, i spostamenti e compagnia bella era, c’era di tutto in casa c’era perche’ poi tra l’altro due bombe mi sono cadute proprio in cortile,
FA: Ah!
GM: In cortile, dove la casa era in cortile c’era la cucina e il resto dell’appartamento era verso la strada, due bombe sono cadute proprio davanti alla cucina, la cucina era sparita, c’era di tutto in casa, ecco, e lì ci siamo tirati su le maniche e via, e siamo partiti, e siamo ripartiti.
FA: Eh certo.
GM: Pero’ poi è stato veramente un segnale che come sentivi poi un aereo, come sentivi, perché le sirene non suonavano neanche più perché arrivavano prima gli aerei delle sirene d’allarme. Come sentiva un aereo la gente terrorizzata scappava nelle cantine, nelle, dove poteva insomma, ecco.
FA: Dove trovava. Quindi lei durante quell’incursione lì dalla strada poi è rimasto in casa [unclear].
GM: Poi sono rimasto in caso finché è finita perche’ c’erano i miei e abitavamo al pianterreno e ci siamo abbracciati no, e lo spostamento ti faceva andare da una parete all’altra [unclear] poi figura quando sono cadute le due proprio davanti a, dietro, noi eravamo verso la strada, dietro lì al, dove c’è la cucina, figuriamoci
FA: Eh sì..
GM: Ci siamo ritrovati lunghi distesi per terra, immersi dal fumo, facevamo fatica a vederci, talmente era fumo, un odore che non si poteva neanche respirare [unclear] e beh, passato poi cominciato a dire [unclear] a vedere il disastro che è successo, io sono riuscito ad andare fuori ancora, a fare il pezzo di strada a vedere come, ho scusa ho toccato, a vedere c’erano già i soccorsi, a scavare nelle macerie, a scavare, a tirar fuori i cadaveri, tirar fuori gente ferita che si lamentava, siamo andati avanti tutta la notte ecco, tutta la notte.
FA: Lei ha aiutato?
GM: Eh, Un po’ ho aiutato, un po’, ero giovane, avevo quattordici anni oramai, quattodici, quindici anni [unclear] anche insieme a dei miei amici eh, insieme a amici che anche loro fuori andavano, davano una mano. Mi ricordo che lì verso Piazza Meardi adesso c’è una villa nuova che era stata ricostruita perché ci era caduta proprio una bomba, l’aveva distrutta e c’era il mio amico che era arrivato là per primo [unclear] mandato i soccorritori, aveva un due anni piu’ di me a scavare là che si sentivano lamenti lì sotto. E mi è rimasta impresso una cosa: che sono riusciti a tirare fuori quella persona lì e quella persona lì ha messo una mano nella schiena di quel mio amico lì che aveva una camicia bianca, ci è rimasta la mano sporca di sangue, è rimasta. Allora, poi lei lo mette insieme bene, eh?
FA: Prima della pausa stavamo dicendo appunto di quel ragazzo, suo amico che
GM: Ecco, la sera stessa che è stato lì a scavare, scavare in quella, quella via lì, ha tirato fuori una persona viva ma sa, capirà, e gli ha messo una mano qui per tirarlo fuori sulla schiena, gli è rimasta la mano sulla camicia sporca di sangue insomma perché era ferito e compagnia bella e quella è rimasta impressa nella mente perché non sono cose mica da ridere.
FA: Eh certo!
GM: Poi posso raccontarle un fatto mio personale perché un mio carissimo amico, che tra l’altro aveva la mia età, perché noi al mattino si usciva sempre presto? Per andare a cercare da mangiare, ecco, eravamo nel ’44, era inverno, penso ottobre, novembre, era tanta di quella neve, c’era tanta di quella neve per terra però un sole bellissimo e noi, eravamo usciti, abitavamo vicini, siamo usciti nel Corso XXVII Marzo e venivamo su. Sono arrivati i cacciabombardieri, cacciabombardieri che prendevano in filata il Corso XXVII Marzo e sparavano, e sparavano, e poi sparavano fino al ponte della ferrovia che va a Medassino, no?
FA: Sì.
GM: Ecco. Che poi c’era quello della [unclear] sul treno fermo, c’era col, un vagone cisterna pieno di vino,
FA: Ah!
GM: Eh! Comunque quello lì ecco, lì eravamo insieme, eravamo all’altezza, a metà Corso XXVII Marzo, dove c’è il Bar Bon Bon adesso, circa, che allora non c’era e noi eravamo rasente il muro, neve, bel sole limpido, insomma ci sono sti cacciabombardieri, allora, corri i caccia per terra, vicino al muro perché [unclear] e sparavano tutto lungo la strada. Quel mio amico lì si è spaventato. Di fronte c’era una portina aperta del condominio di quel palazzo lì e lui diceva: ‘andiamo di là, che c’è la portina, andiamo dentro, siamo riparati’, no, non muoverti, non vedi, non senti che arrivano, arrivano, arrivano?’ Non mi ha ascoltato, è partito in mezzo alla strada, l’han centrato in pieno, centrato in pieno, è rimasto là, è rimasto secco. Io non mi sono più mosso di lì, coricato per terra, ecco quello lì è il fatto che mi è rimasto più impresso di tutti, ecco.
FA: Certo.
GM: Perché? Perché oramai ci avevi fatto l’abitudine. I bombardieri c’erano tutti i giorni, lì sparavano dappertutto sparavano e noi? Il problema era quello di cercare di schivarli e loro, lì la superavi la paura perche’ avevi talmente tante cose da fare, corri, andare a cercare da mangiare, andare a cercare da scaldarti, andare a cercare, ecco il problema era quello lì.
FA: Ci si era abituati insomma.
GM: Oramai da cinque anni. Cinque anni è stata lunga, e poi quello che ha fatto più impressione è (vedere o vivere?) cinque anni al buio senza una luce fuori, all’ultimo giorno quando si sono riaccesi i lampioni e allora tutto, dopo cinque anni vedere accese le strade illuminate [unclear] e poi una cosa che rimane impressa perché appunto un giovane ci facevi anche l’abitudine eravamo anche un po’ incoscienti quando venivano i bombardieri che bombardavano i ponti, andavamo, scappavamo nei prati lì vicino perché era, e coricati per terra a guardare quando si aprivano quei portelloni, vedere le bombe scendere, ecco quello lì è stato uno spettacolo indimenticabile. Non te lo dimentichi più perché vedere sti portelli, perché erano abbastanza bassi e tutte ste bombe che cadevano, che cadevano ecco, allora lì [laughs].
FA: Sì.
GM: Ecco, sono impressioni che ti sono rimaste, ecco [unclear].
FA: Certo.
GM: Ecco. Adesso se ha qualche domanda, io non,
FA: Sì, certo.
GM: Non saprei più cosa dirle.
FA: Lei in casa avevate un rifugio antiaereo?
GM: No, le cantine.
FA: Le cantine.
GM: Le cantine. Cantine rimesse un po’ in ordine, no, dal comune, anzi, avevano, le cantine non erano più singole, avevano buttato giù le pareti e avevano fatto un corridoio lungo. Un corridoio lungo, poi l’hanno verniciato di bianco, compagnia bella, e quando suonava l’allarme, tutta la gente scendeva ma era diventato un corridoio lungo, sarà stato lungo come il palazzo ecco. Prima, anziché tante piccole cantine, un corridoio lungo,
FA: E certo.
GM: E diventava un, era diventato un rifugio era diventato, ecco.
FA: Per tutto il palazzo.
GM: Per tutto il palazzo.
FA: Certo. Si ricorda se c’era qualche rifugio pubblico, magari in centro?
GM: Rifugio pubblico, dunque, c’erano del, mi ricordo che, nei prati, e nei dintorni e in Piazza Meardi, sia dalla parte di qui che dalla parte di là della caserma, avevano scavato delle trincee a zig zag, delle trincee a zig zag dove la gente si rifugiava dentro, abbastanza profonde. Ti potevi rifugiare li dentro perché non erano diritte, che potevano essere prese in filata ma a zig zag che quanto meno ti riparava dalle schegge o
FA: Certo.
GM: Ecco, quelle me le ricordo bene. E ne avevano costruite abbastanza, in periferia ce ne erano tante, in periferia [unclear] e la gente scappava e si infilava lì dentro. Perché poi sai, erano tutte case vecchie, la cantina teneva per varie cantine, li mettevi una bomba sopra e allora tanta gente preferiva e come sentivano gli aeroplani, partivano o in bicicletta o a piedi e andare fuori,
FA: Andare fuori,
GM: Un po’ fuori che non era grosso così, c’erano i campi, i prati ecco, e si andava lì e si
FA: E si scappava [unclear]
GM: E si scappava e si stava fuori finché si poteva ecco.
FA: Ho capito. Una domanda un po’, diciamo un po’ personale. Secondo lei, e secondo quello che vedeva nella popolazione, insomma,
GM: Sì, sì, sì.
FA: Che sentimenti provavate nei confronti di chi vi bombardava?
GM: Mah, eh, dunque guardi [pauses] noi avevamo, il sentimento più brutto ce l’avevamo coi nostri governanti, di quell’epoca, che ci avevano portato in quella situazione lì. Che tu avevi fame, non c’era da mangiare, rischiavi la pelle tutti i giorni e il sentimento maggiore di rivalsa era quello. Tu pensavi che quelli facevano i loro mestieri. Però sul bombardamento sulla città pensavamo fossero dei criminali, eh, perché non era il caso, ecco, non era il caso. Se loro ti dicevano, pensavano o la propaganda ti diceva che si erano sbagliati, diceva, vabbe, questi non sono errori che si possono fare, ma bombardare proprio indiscriminatamente una città che faceva trenta, trentacinquemila abitanti, non c’era niente, non c’era, è stato un bombardamento terroristico che anche la gente si era abbastanza risentita.
FA: Risentita.
GM: Era abbastanza. Poi però ha prevalso il sentimento che eravamo a fine ’44, ancora qualche mese e poi la guerra era, finiva, noi sapevamo la notizia già dai partigiani e compagnia bella, che ah beh allora, vengano, se dobbiamo finirla vengano ancora anche, lo facciano ancora per un’altra volta che almeno basta.
FA: Sì.
GM: I liberatori, li chiamavamo i liberatori.
FA: Sì insomma, alla fine, diciamo, c’era più la voglia di,
GM: Bravo.
FA: Di essere liberati, che finisse la guerra
GM: Bravo, ecco, di farla finita, di farla finita perché oramai. Poi la propaganda sa, Radio Londra si sentiva tutto, Radio Londra era un appuntamento fisso, e sentivi insomma, ti raccontavano le cose, [unclear] bene o male, speriamo che arrivino in fretta, speriamo e difatti insomma poi cominciato i movimenti partigiani e compagnia bella. E allora anche per i fascisti, per i tedeschi non è che siano state rose e fiori, insomma.
FA: Era molto attiva qua su Voghera la Resistenza?
GM: [unclear] Tutto qui Oltrepò, era, ce n’era veramente perché, è stato, l’Oltrepò Pavese è stato il primo ad avere le bande partigiane, sono state nel ’43, e poi sai volevano, li conoscevi quei ragazzi che c’era la leva obbligatoria, la leva obbligatoria del maresciallo Graziani, da tredici anni a trentasette anni, eh. Chi non si presentava veniva fucilato. Sai, allora, nascosti sempre nascosti.
FA: Quindi o si era, o ci si presentava oppure si [unclear] andava in clandestinità
GM: Eh, non ti presentavi, è quello. La maggior parte non si erano presentati, tanti amici che avevano qualche anno in più, sono scappati subito su verso le montagne e poi sono stati su fino alla fine della guerra,
FA: Guerra.
GM: Che sono arrivati i soldati, sono arrivati gli americani, gli inglesi. I primi ad arrivare a Voghera mi sembra sono stati i brasiliani, brasiliani, sono stati i brasiliani, sono stati, dico bene?
FA: Sì.
GM: [unclear] Questo qui, è [unclear] stato un mio carissimo amico, aspetta, [unclear] dove è andato a finire che le vostre ricerche, sarà qui, eccolo qui, questo qui è il soldato brasiliano, uno dei primi che è arrivato a Voghera, questo qui. Mi ha dato l’indirizzo, mi ha persino scritto l’indirizzo dove abitava in Brasile, guardi. Ivan, Ivan. Mi portava a spasso poi con la jeep. E ci dava le sigarette da mangiare. Ci davano da mangiare,
FA: Eh, sì.
GM: Parlamoci chiaro, ci davano da mangiare.
FA: Quindi, poi c’e’ stato insomma un rapporto di, di amicizia.
GM: Perché, perché loro, sì, perché loro avevano i magazzini che noi siamo rimasti impressionati perché e guardavamo lì, figuriamoci. Vedere mangiare da loro, fare dei pentoloni di cioccolata che noi la cioccolata non avevamo mai sentito, figuriamoci, era [unclear] per quello che avanzavano, cioè ne distribuivano che ne avevano nei pentoloni, ne facevano di più apposta, c’eravamo noi in fila coi pentoloni a ritirare e portare a casa, ecco.
FA: Eh certo.
GM: Questo. Ecco questo è un particolare che [unclear] nella politica e nella politica ne abbiamo avuti perché i miei erano contrari, insomma io avevo un zio, beh un fratello di mia mamma, che era nel Comitato di Liberazione Nazionale a Tortona, perché mia mamma era [unclear] di Tortona, lei [unclear], e allora, le notizie le sapevamo tutte le notizie dei movimenti partigiani e compagnia bella.
FA: Certo.
GM: E poi, io sono stato, guardi questa, guardi bene questa cartolina e le date.
FA: 39.
GM: Ultimo avviso, perché si doveva essere tutti in divisa e io avevo finito, io, se non mi presentavo, perché non c’andavo mai, e mi han mandato l’ultimo avviso e se non mi presentavo non potevo più iscrivermi a scuola.
FA: A scuola.
GM: Non potevo più andare a scuola, capisce?
FA: Quindi lei non partecipava, diciamo, alle attivita’ dell’ [unclear]
GM: Eh no, perché mio padre era socialista quindi mio zio che era, figuriamoci, eravamo un pò, poi però abbiamo un vicino di casa che era un maggiore della milizia, un maggiore della milizia come vicino di casa che ci conosceva e allora sa, lo sapeva che non la pensavamo come lui, ma insomma
FA: Però non.
GM: No, no, no, ecco.
FA: E i bombardamenti dei ponti avvenivano di giorno?
GM: Di giorno, tutti di giorno. Tranne di notte che c’era il famoso Pippo. Pippo, quello tutte le notti era una cambiale, c’era sempre, fino al 25 aprile, l’ultimo giorno ha sganciato in Via San Francesco d’Assisi, che aveva visto qualcosa, aveva visto, degli spezzoni, e ha ammazzato una persona il 25 aprile proprio. C’era rimasta una persona che era [unclear]. Quasi tutte le sere girava tutta la notte. Se vedeva una luce, bombardava. E non c’era
FA: Quindi anche lui era ormai una presenza abituale.
GM: Quasi quasi era, oramai era della famiglia, [laughs] perché c’era sempre, c’era. Ecco, ecco se ha altre cose che, io non saprei cosa dire dell’altro adesso, perché son tanti gli aerei,
FA: Eh beh, certo.
GM: cose che la sera, quando si dove andare a, non so, a cercare con i ragazzi, amici, no, con dei carrettini, rischiando il coprifuoco, rischiando, perché c’era il coprifuoco, non si poteva andare. Io avevo uno zio che faceva il ferroviere e abitavamo vicino alla ferrovia no, [unclear] la ferrovia dietro, e lui guidava, faceva il macchinista e guidava sempre il treno Voghera-Genova coi tedeschi, ci fascisti e avevano i vagoni dove loro requisivano tutto, grano requisivano e quando era di servizio lui se lo diceva, lui, si, noi ci preparavamo vicino la scarpata della ferrovia rischiando la pelle perché e lui apriva un vagone, ci buttava giù un sacco, due sacchi di grano, quello che c’era sopra insomma e allora noi piano piano si raccoglieva, si portava a casa poi si divideva fra le famiglie,
FA: Certo.
GM: Se era grano poi ci mettevamo a pestare e farci la farina per farci il pane ecco queste così ma rischiavi la pelle oppure andare al di là, sotto il passaggio al di là della ferrovia a far legna da bruciare per scaldarti.
FA: Eh certo.
GM: E allora tutte le piante che c’erano, [laughs] tutte le notti ne partivano qualcuno. Queste sono, ecco, queste cose qui e tutto era per mangiare perché altrimenti [unclear] andare nei campi dove raccoglievano le patate, no, dopo quelle raccolte andare là, ne lasciavano sempre qualcuna indietro, eh.
FA: Eh certo.
GM: O spigolare come dicevano, no.
FA: Il granoturco.
GM: Il grano, il granoturco. Tutto quello che si trovava, si portava a casa.
FA: Sì, insomma, era
GM: Perché cinque anni sembrano pochi ma sono lunghi da passare. Ai primi, uno, due anni, poi c’avevi le tessere coi bollini, ragazzi. Una volta la settimana ti dicevano, per andare con il bollino numero, puoi ritirare un po’ di zucchero, un’altra settimana un po’ di sale, un’altra [unclear]
FA: Quello che c’era
GM: Quello che c’era insomma. Però è passato e siamo qui ancora adesso.
FA: Quindi insomma una vita così, un po’, con le bombe a fare da contorno ecco.
GM: Ma, contorno bombe e spaventi tanti.
FA: Eh certo.
GM: Perché spaventi tanti perché parliamoci chiaro, non solo le bombe, i rastrellamenti, i tedeschi, i tempi di guerra si sa come sono. Non sai mai come,
FA: Cosa succede.
GM: Tu vai fuori la mattina non sai mai se vai a casa la sera, non sai mai eh, perché lì i rastrellamenti o compagnia bella, o i bombardamenti perché come ripeto, i caccia c’erano tutti i giorni. I cacciabombadieri anche loro c’erano tutti i giorni. I bombardieri grossi no, quelli tre, quattro, dieci volte tranne, quella lì poi è stato il 23 agosto ma le altre volte andavano sui ponti e basta, andavano sui ponti e se ne andavano. E allora c’avevi quasi fatto l’abitudine, c’hai fatto l’abitudine.
FA: E il ponte, sono riusciti a buttarlo giù?
GM: Sì, sì, buttavano sempre giù, c’era, li rimettevano su di fortuna, li ribombardavano ma lì era ma tante volte ecco. Li han sempre buttati. Solo quei tre ponti che c’era la linea, Milano-Genova e Milano, Voghera-Genova, no, Voghera-Milano e Voghera-Piacenza, sono due linee diverse e dopo, poi c’era il ponte della linea Voghera-Varzi e poi il ponte stradale. E quel ponte lì
FA: Sempre.
GM: Un giorno sì, un giorno no. Era, ecco lì, Voghera bombardavano sempre solo quello. Tranne quella volta lì. Oppure i cacciabombardieri, vabbe’ che loro vedevano un carretto, sparavano, scendevano, mitragliavano, se ne andavano, ecco.
FA: Ho capito.
GM: Ecco, la guerra, per noi qui a Voghera, è stata quella, logico, perché se poi andiamo nella Resistenza e compagnia bella ne abbiamo conosciuti tanti compresi (?) tanti amici che purtroppo non ci sono più. Ma insomma lì è un altro discorso, lì andiamo nella politica, allora lasciamo stare la politica, lasciamo stare. Va bene?
FA: Certo. Va bene. Grazie mille, la ringraziamo molto per questa intervista, per la sua testimonianza.
GM: Ci mancherebbe altro, guarda io, li ho detto, di balle non ne ho raccontate, le ho detto, se poi lei legge questo qui che avevo detto , lì [unclear] a Salerno, sono più o meno le stesse cose che le ho detto, ma sono, sono cose che non ti vanno più via dalla mente, ti segnano, non ti vanno più via dalla mente. Però arrivi adesso, ne parli con amici molto più giovani e non, cioè non si rendono conto di
FA: Della gravità
GM: Del, dei momenti che hai passato così, diciamo, beh, che uno che si alza al mattino, e noi eravamo una famiglia, due, padre, madre e quattro fratelli, due sorelle e due fratelli, poi mio fratello era nei partigiani perché lui era più vecchio di me. Primo pensiero, ragazzi, per andare a cercare per mangiare a mezzogiorno, eh. Passare cinque anni così non è facile, eh.
FA: Eh no.
GM: E allora sta idea(?), sono esperienze che ti formano, ti formano la vita.
FA: Certo. Va bene, grazie mille.
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Title
A name given to the resource
Interview with a survivor of the Voghera bombings (informant B)
Description
An account of the resource
The informant recollects his wartime memories in Voghera. Emphasises how bombings, strafing, and Pippo flying at night became part of everyday life and how the population tried to cope. Gives a vivid and detailed account of the August 1944 bombing, which was labelled “terrorist” by many. Narrates how he barely managed to survive it and recollects the unreal contrast between the sunny weather and widespread devastation. Mentions various episodes: helping extricating dead and wounded people from the rubble; draft dodgers; inter-connected cellars and dug-out trenches used as makeshift shelters. Stresses the feeling of resentment and anger harboured towards the dictatorship; enduring the bombings while waiting for the end of the war and the arrival of the Allies. Remembers the first time the street lights were turned on after five years of wartime blackout. Tells of his uncle, a railwayman, pilfering grain. Mentions Brasilian soldiers handing out chocolate at end of the war.
Creator
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Filippo Andi
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-08-29
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
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The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:29:53 audio recording
Language
A language of the resource
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The nature or genre of the resource
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An01183
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Italy--Po River Valley
Italy--Voghera
Temporal Coverage
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1944-08
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childhood in wartime
home front
perception of bombing war
Pippo
shelter
strafing
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Title
A name given to the resource
Chiesa, Celestino
Description
An account of the resource
One oral history interview with Celestino Chiesa who recollects his wartime experiences in Pavia.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-10-02
Rights
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This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
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Chiesa, C
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Transcription
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FA: Sono Filippo Andi e sto per intervistare Celestino Chiesa. Siamo a Pavia, è il 10 febbraio 2017. Ringraziamo il signor Celestino per aver permesso questa intervista. È inoltre presente la moglie. La sua intervista registrata diventerà parte dell’archivio digitale dell’International Bomber Command Centre, gestito dall’università di Lincoln e finanziato dall’Heritage Lottery Fund. L’università s’impegna a preservarla e tutelarla secondo i termini stabiliti nel partnership agreement con l’International Bomber Command Centre. Signor Celestino, vuole raccontarci la sua esperienza a Pavia in quegli anni?
CC: A Pavia sono arrivato nel ’38, prima sono nato in collina e poi purtroppo è morta la mamma, eravamo quattro fratellini piccoli, è venuta una zia, è stata là un po’ poi ci ha portato a Pavia tutti assieme. Poi nel ’39 purtroppo il primo fratello è annegato in Ticino, andato a prendere il bagno, è andato sotto, l’han trovato quattro giorni dopo in Po. E l’hanno, è stato fatto il funerale, e io m’han messo negli Artigianelli. Ero con mio fratello, mio fratello messo nei Colombini diciamo perché non lo so perché non, c’hann divisi, io sono stato entrato nel ’39. Il ’39 ho incominciato a fare la vita, in Istituto c’era tutto, c’erano le officine, c’era lo studio, c’era il divertimento, le gite, tutto! Si viveva indipendentemente dal mondo. Il mondo era tutto lì. Certo, c’era la fame perché era incominciata la guerra, mangiare non ce n’era, dar da mangiare a cento bambini una cosa difficilissima. Eh, riuscivano ma facendo un po’ di fatica si mangiava poco, pazienza. Abbiamo sopportato per cinque anni tutta la guerra. Sono uscito nel ’45, al 28 aprile compivo i diciotto anni, a diciotto anni si usciva dall’Istituto. L’esperienza è stata per me positiva, veramente perché ho imparato il mestiere metalmeccanico, fresatore ma un po’ di tutto, fresatore, tornitore, specificamente il fresatore. Ho lavorato alla Necchi, ho lavorato in altre officine. Sempre con, diciamo, molto ben gradito, mi venivano a cercare a casa perché valevamo molto. Ci dicevano: ‘Ma non ha altri artigianelli da mandare qui a lavorare? Perché sono tutti bravi ragazzi prima e poi bravi operai’. E io ho portato un ragazzo che ha fatto una bella figura perché era bravissimo, il Bonini, e lui, il Carluccio lo conosci, e lì, io sono diventato anche il capo officina lì, lì alla BCD poi ho smesso perché non si riusciva a fare carriera, eravamo una famiglia un po’ pesante. E allora abbiamo preso un bar con la moglie, abbiamo gestito il Bar Castello di Pavia, in Piazza Emanuele Filiberto. Eh ci siamo stati sette anni mi pare. Poi, causa malattia tutti e due, abbiamo smesso. Insomma io sono andato in pensione, ormai avevo raggiunto l’età delle pensioni perché ho lavorato ventitre anni nell’industria, ho fatto più di vent’anni nei bar e così, e sono arrivato circa a quarantaquattro anni di lavoro consecutivo, cambiando spesso, fatto un’officina per mio conto, una piccola officina che si lavorava ma non sono riuscito a sfondare e allora sono andato ancora a lavorare ma non facevo fatica a trovare lavoro. Mai. E sono riuscito, non dico a far carriera però stavo bene. Comunque col bar abbiamo continuato l’attività e siamo arrivati alla fine che io sono andato in pensione e la vita, la mia vita consiste un pochino. Da giovane ho giocato tanti anni a pallacanestro, a basket tanti anni e con risultati molto, sono andato anche nel Pavia di serie A. Ho fatto una partita sola però ho avuto la soddisfazione di provare la serie A e poi abbiamo fatto il Palio dell’Oca e sono riuscito come capo del rione Centro a vincere due volte il palio, è una soddisfazione anche quella, e poi la vita ha continuato. Adesso dopo finita la pensione sono andato in un centro anziani e ho fatto, man messo segretario, e siamo andati avanti per circa vent’anni poi purtroppo l’età avanza, adesso sto per compiere i novant’anni. Ho smesso anche a quello lì ah, beh! Adesso mi riposo.
FA: Giusto così.
CC: Non so. Se serve qualcos’altro non lo so.
FA: No, se vuole, può raccontarci gli anni di guerra, durante il periodo degli Artigianelli.
CC: Sì, gli anni di guerra nel ’44 più che altro perché prima no, prima abbiamo, non c’era né bombardamenti, c’erano gli aerei ma non è che bombardavano Pavia. Milano sì, stando a scuola si sentiva, o dicevano, Milano hanno bombardato completamente dal ’43 poi è venuto l’8 settembre, è finito, è caduto il fascismo, e allora cadendo il fascismo hanno incominciato gli aerei a bombardare. Bombardavano tutti i ponti, tutte le strade principali, tutti i movimenti che vedevano, venivano giù, mitragliavano. Io ho preso quelle mitragliate lì. Ero, stavamo andando a vedere una partita di calcio, Pavia-Novara. Nel Novara giocava Piola, il grande Piola, e siamo andati volentieri ma siamo arrivati a Porta Milano ma abbiamo visto due aerei che arrivavano da circa Milano, zona diciamo Nord, e arrivare verso Pavia, a allora se bombardano, bombardano lo scalo merci perché ci sono dentro i treni tedeschi e difatti hanno lanciato due bombe nello scalo merci. E noi abbiamo visto gli aerei, siamo fuggiti un po’ da tutte le parti, un centinaio di bambini, di ragazzi, si figuri. Siamo andati un po’ da tutte le parti. Io che avevo un terrore degli areoplani, veramente avevo una paura matta, son corso verso il Naviglio, verso, da Porta Milano dove c’era il consorzio allora verso il Naviglio ma sono arrivati prima loro. Mi sono trovato per terra, la mitragliata m’ha preso a circa un metro ma s’è persa dal tetto, preso uno spavento che non finiva più, poi mi è passato, pazienza. Siamo andati avanti ma il terrore degli aereoplani l’ho sempre avuto. Non ho mai volato neanche adesso.
FS: Non hai ancora imparato a andare.
CC: È stato tremendo.
FA: Le è rimasto impresso.
CC: [laughs] Eh, i bombardamenti lì a Pavia, il ponte per una settimana per distruggere il ponte coperto non riuscivano a centrarlo. Colpivano da una parte o dall’altra, han preso una parte della città, la parte del borgo, dopo il ponte, han distrutto, ci sono stati parecchi morti, però il ponte non riuscivano a colpirlo o lo colpivano, frantumi, diciamo, pezzo di qui, pezzo di là, fin quando sono riusciti poi dopo una settimana sempre a mezzogiorno. Stavamo andando a mangiare quel poco che c’era, bombardamento, allora in cantina, come rifugio, andavamo in cantina così, era rifugio antiaereo, pensi che in qui, nel rifugio c’era tutta la segatura perché scaldava segatura quelle stufe grosse. Si metteva la segatura, riempiva e si scaldava con quello lì, e c’era tutta la segatura in cantina, noi eravamo sopra la segatura ma se s’incendia bruciavamo tutti, chi ci pensava? Beh comunque vada, è passata, passata e i bombardamenti, non, sì, si sentivano da lontano perché dal ponte a noi, gli Artigianelli c’era una distanza che, non, qualche scheggia è volata fino in cortile, le bombe erano talmente forti, eh. C’era un, uno, un nostro fratello lì, Borghesi, che stava scopando il cortile erano tutte delle schegge ma non l’han preso lui, no, è rimasto sano. È durata per otto giorni, una settimana intera, tutti bombardamenti, sempre a mezzogiorno e ci siamo salvati diciamo.
FS: [unclear] che venivano gli inglesi da noi a Pavia, chi erano? Gli aerei, gli aerei erano americani?
CC: Americani, americani.
FS: Americani.
CC: Americani, non lo so se, comunque se, mi dicevano che erano americani. A Pavia poi di notte c’era il Pippo, cosiddetto Pippo che lanciava giù una bomba dove c’erano le luci. ‘Spegnete tutte le luci!’ urlavano, perché se vedevano una luce lanciavano giù le bombe, le bombette piccole. Tant’è vero che mia zia che abitava in Piazza Petrarca ha preso quella bomba proprio la facciata del, adesso c’è il cosiddetto, l’Annunziata, la sala dell’Annunziata e ha preso una facciata, hanno mostrato il buco. Mia zia che abitava lì di fronte in Piazza Petrarca dallo scoppio è caduta dal letto [laughs]. Si è spaventata a morte anche lei, zia carissima perché era tanto brava quando avevo fame, andavo a trovare qualcosa da lei, c’era poco da mangiare. Io per fortuna ero ben voluto e alle volte mi mandavano col furgoncino a portare i panni a lavare in un posto lì vicino, San Paolo perché c’è il, come si chiama quel fiume lì, la Vernavola e lì c’era uno, no, a San Paolo che faceva da lavanderia, lavava tutti i panni e io lo portavo col furgoncino però avevo qualche soldino, fermavo tutti i panettieri e cercavo da mangiare. La fame era troppa. Ho pianto due o tre volte per la fame, senza farmi vedere, ma la fame era troppa. In tempo di guerra, la tessera su tutto, si staccava il tagliandino per andare a fare la spesa, la tessera con tutti i bollini. Tutto il mese, bollino e dopo, da mangiare c’era pochissimo. Poi lì fuori negli Artigianelli abbiamo, ho, mettevo, trovano subito il lavoro loro, man trovato in posto, ho incominciato ad andare a lavorare, e per divertirci, quel che girava non c’era niente, allora cosa ho fatto? Abbiamo fatto una compagnia del teatro, messo in piedi una compagnia, andavamo in giro negli oratori, nelle parrocchie a fare le recite e ho conosciuto mia moglie. Venuto lì, conoscete le, eravamo là [unclear] a far la e passano loro in tre, tre ragazze, e dico, ma guardano ‘Ma perché non entrate? ‘Non abbiamo i soldi per entrare’, perché facevamo pagare il biglietto. Beh, venite dentro, ci sono ancora tre posti, ve li offro io. E sono entrati. Era bello, recitavamo bene e lei lì da cosa nasce cosa, ci siamo incontrati e dopo sessantasei anni sono ancora qui, assieme alla moglie [laughs]. Insomma, se posso.
FA: No, una domanda, quando venivano, ha detto che venivano?
CC: I bombardamenti.
FA: Verso mezzogiorno ha detto
CC: Verso mezzogiorno.
FA: Ma suonava la sirena?
CC: Sì, suonava, la sirena suonava sempre quando c’erano gli aerei in giro. Poi facevano il primo segnale come per avvertire che stavano arrivando gli aerei poi alla fine un altro colpo di sirena per annunciare che non c’era più pericolo, andavano via. Suonava sempre la sirena, per l’allarme.
FA: Si, si.
CC: Anche lì naturalmente prima di venire, un’oretta prima circa, suonava l’allarme. C’era la sirena che c’è lì in piazza, dove c’è la, cos’è il palazzo del governo, cosiddetto qui a Pavia, lì c’era la sirena, su in alto e suonava forte, si sentiva tutta Pavia.
FA: A Palazzo Mezzabarba?
FS: No.
CC: No.
FS: Piazza Italia.
CC: Lì, dove c’è
FS: Piazza Italia.
CC: Piazza Italia.
FA: Ah, la provincia.
CC: Lì c’è quel palazzone lì.
FA: Ah. Ho capito.
CC: Ecco, là sopra c’era la sirena. Suonava fortissimo. Si sentiva in tutta la città.
FA: Ah, per tutta la città.
CC: Sì, sì.
FS: Anche io a quindici chilometri sentivo.
CC: E allora quando stavano arrivando suonava per avvertire che andate in rifugio non lo so, mettetevi in salvo perchè stanno arrivando. Non si sa se bombardano o no, nessuno lo sa, cosa fanno quelli lì, che arrivano gli aerei? Eh beh, lì, suonava sempre la sirena, anche quando sono venuti per il ponte. Avvertivano sempre. Poi bombardavano, disastro ma. Poi alla fine
FS: Hanno bombardato.
CC: Ma durava una mezz’ora, circa una mezz’ora di bombardamenti. Poi dopo, alla fine suonavano le sirene per dire che è tutto finito, potete, potete uscire, mettervi [unclear]
FS: Anche la scuola qui hanno bombardato.
CC: Sì, questa qui la Pascoli.
FS: Coi bambini.
CC: Sono, ma non, no, lì c’era un aereo che stava precipitando perché era in avaria e aveva tutte le bombe su. Per scaricarsi, è venuto, cercava di andar fuori città.
FS: In mezzo alla campagna.
CC: Non in mezzo, è arrivato qui vicino alle scuole ha lanciato giù le bombe. Le scuole qui del Pascoli, Via Colesino, siamo noi, han distrutto metà scuola, però non c’erano i bambini erano appena usciti. Per fortuna non c’è stato
FS: Però le case popolari,
CC: C’erano le case popolari sono state settantotto morti mi pare, lì nelle case popolari perché ha scaricato le bombe quasi, poi è precipitato m’han detto verso Calebona. Un’altra volta c’era abbiamo visto, eravamo in cortile, abbiamo visto un aereo che arrivava da est e volava, aveva una fiammella e girava, man mano che andava la fiammella diventava grande. È arrivato su, verso sud, verso Genova e si sono visti tutti i paracaduti, insomma si sono buttati tutti poi l’aereo è scoppiato, abbiamo visto da lontano, scoppiati i paracaduti. Si sono, sono scesi e tutti gli aviatori lì
FS: è sempre [unclear]
CC: Gli aerei, un aereo americano e si sono persi per i campi, li hanno aiutati a salvarsi, a nascondersi, e l’aereo è precipitato lì. Mi ricordo bene perché io stavo per correre già in rifugio perché avevo una paura, e allora stavo per correre in rifugio quando ho visto quella scena lì, mi sono fermato a guardare anch’io, tutti gli ombrellini, i paracaduti che [unclear], scendevano. Poi dopo un momento è scoppiato l’aereo, andato in frantumi, si capisce che era, stava incendiandosi, si sono buttati, si sono salvati, uno solo che è morto perché non aveva il paracadute, è precipitato a San Martino, Martino Siccomario, è morto quello lì. Gli altri si sono salvati perché li hanno aiutati tutti i contadini lì, cercato di metterli in salvo, di farli andare anche nell’Oltrepò, sono riusciti a salvarli. Non ne hanno preso uno.
FA: Lei è andato a vedere poi dove è caduto?
CC: Siamo andati a vedere tutti i resti, abbiamo trovato tante di quelle pallottole, rotoli di pallottole, pezzi di aereo, uno ha trovato una cuffia addirittura da mettere su. E s’è frantumato, è andato tutto a pezzi. E siamo andati, quello era di giovedì, la domenica siamo andati a fare la passeggiata, abbiamo visto tutto il disastro che c’era. L’è una roba da far paura, cose che succedono purtroppo.
FA: Dove siete andati a fare questa passeggiata? Dov’è che avete visto?
CC: A San Martino.
FA: Ah, di là.
CC: Oltre San Martino verso il Po. Siamo andati, perché l’aereo è caduto quasi vicino al Po, più avanti di San Martino, ma dalla parte interna però non sulla strada.
FA: Ho capito.
CC: E abbiamo trovato tanti resti. Uomini non ce n’erano perché si sono salvati, li hanno fatti fuggire tutti, cercato di salvarli. Allora c’era già la psicosi degli alleati, così i fascisti sono corsi ma non hanno trovato, non hanno fatto in tempo a trovare nessuno. È stato un attimo.
FA: E invece ha visto in che condizioni diciamo era il Borgo Ticino?
CC: Eh, Borgo Ticino, non solo, prima qui a Calcinara han preso perché bombardando il ponte han preso una parte di Calcinara prima, una parte di Porta Nuova, lì c’era la batteria di colombi (?) sul Naviglio l’han distrutto e perché non riuscivano a colpire bene. Dicono che il Ticino fa un curva venendo in città dalla, dalla.
FS: Ponte dell’Impero.
CC: Sì, più ancora, Ponte della Ferrovia. Il Ponte della Ferrovia in un primo bombardamento l’hanno distrutto in un attimo, subito in pieno, sono rimasti i piloni e basta. Poi, invece questo qui
FS: Ponte Vecchio.
CC: Il Ponte del, cosiddetto dell’Impero, perché l’han fatto far su Mussolini, la prima arcata verso il borgo l’hanno centrato in pieno, è caduta e basta. Ponte interrotto, non venivano più. Però venivano col Ponte Coperto, non riuscivano a buttarlo giù. Dopo la settimana finalmente [unclear] a continuare a bombardare, han preso il Borgo anche lì, la parte del borgo dopo il ponte, han distrutto anche lì, ci sono stati morti anche lì. Un giorno sono andati anche più avanti del Borgo Ticino, verso
FS: Verso il Po.
CC: Canarazzo (?), no prima, e lì un aereo ha lanciato giù una bomba perché lì c’erano tutta la gente andava a nascondersi sotto un tunnel di un ponte. La bomba ha proprio centrato quel tunnel lì e c’erano dentro un quaranta, cinquanta persone, tutte frantumate, oltre tutto c’era dentro un professore che veniva a insegnare nella nostra scuola degli Artigianelli, noi abbiamo fatto le medie agli Artigianelli poi abbiamo dato l’esame fuori come privatisti, io ho fatto quello, la terza media l’ho fatta dando fuori i [unclear], lì abbiamo fatto l’esame sono passato, ho preso la terza media. Altro non ho potuto andare avanti perché ci si fermava alla terza media, era fin troppo a quei tempi là, nel ’50, ’45.
FS: ’45.
CC: Nel ’43, nel ’42 ho il diploma di terza media, nel ’42.
FA: Ho capito. Si ricorda il suono della sirena?
CC: Il?
FA: Il suono della sirena.
CC: Fortissimo, non saprei come dirla, proprio come un urlo.
FS: Una tromba prolungata.
CC: Sembrava un urlo, [mimics the sound of the siren] che calava, proprio sembrava una cosa che calava, ma fortissimo e durava.
FS: Mi veniva la pelle d’oca.
CC: Trenta metri, trenta secondi il preallarme, poi
FS: L’allarme di più.
CC: L’allarme, e poi alla fine quando avevano finito risuonava ancora per dare il segnale che era tutto finito. Ricordo perfettamente quel, ma un rumore che assordava le orecchie perché faceva [mimics the sound of the siren]! Ma fortissimo.
FA: Molto fastidioso insomma.
CC: Fastidioso, molto. Però avvertivano di mettersi al riparo. Possibilmente. Il riparo, a Pavia rifugi non ce n’erano, le cantine, andavi in cantina era il rifugio. Mettevano dei pali per rinforzare un pochino ma se colpiva la bomba andava giù tutto [laughs].
FS: Però non ha fatto tanti danni a
CC: Eh no, Calcinara, ha distrutto Calcinara e ce n’erano di gente lì. Proprio completamente rasa. Poi il Borgo Ticino lo stesso dopo il Ponte ha distrutto completamente un bel po’
FS: Il Carducci
CC: Fino a metà borgo
FS: Nino, racconta del Carducci, che c’erano tutti i soldati esteri.
CC: Ah? No, ah sì, ah sì perché noi essendo in Istituto eravamo in collegio, si viveva solo lì, la nostra vita era dentro lì sempre. Ci si alzava presto, si andava in chiesa a dire, sentire la messa, poi s’incominciava, si andava a fare colazione, poi si andava subito in officina a lavorare, subito. Poi, fino a mezzogiorno, si mangiava poi si andava ancora al lavoro, si faceva la ricreazione un’oretta poi si andava al lavoro. Fino alle quattro, alle quattro si andava sopra e a studiare c’era la scuola, prima un po’ di studio poi venivano i professori da fuori a insegnare per fare la terza media e arrivammo lì. Lì in Istituto c’era la Via Fratelli Cremona che confina con la scuola Carducci e a un certo punto, nel ’44, circa, hanno messo dentro, i tedeschi hanno messo dentro i mongoli, prigionieri russi, chi lo sa da dove venivano, prigionieri che hanno fatto in Russia. Li hanno messi lì e hanno messo tutto il filo spinato in mezzo alla via, tutta la via, tutto intorno al Carducci, per non farli fuggire. Poi li mandavano su, a fare i rastrellamenti nelle colline.
FS: Nelle colline.
CC: Quella gente lì. Gente di poca fede perché erano, hanno lottato per il nazismo ma non erano se andavano indietro poi li fucilavano, li fucilavano tutti. [Eh, se li. Noi eravamo dentro, loro avevano le pagnotte e noi eravamo là, ‘Ma dammi una pagnotta, abbiamo fame!’. Cercavano di tirargli ma non si poteva [laughs].
FS: Perché loro avevano.
CC: Perché noi abbiamo tutti i finestroni, abbiamo tutti i finestroni che davano sulla Via Fratelli Carboni, stando su in alto, la scuola diciamo, scuola e dormitori. e vedere quella gente lì con le pagnotte, avevamo fame, facevamo i segni ma per noi era gente brava, non era cattiva. Mongoli non lo so, dicevano mongoli.
FA: Ma quindi li avete visti proprio bene loro, in faccia?
CC: Sì, sì, sì, eh, si parlava, cioè si cercava di dire qualcosa, non si capiva niente però.
FA: Erano scuri o erano, come carnagione?
CC: No, giallastri.
FA: Olivastri.
FS: Avevano tutti
CC: Olivastri.
FS: Avevano tutti una coda.
CC: No, no.
FS: No?
CC: Quelli no, quelli erano, quelli che erano giù a, con i mitraglieri per difendersi dagli aerei ma mai ciapà un aereoplano.
FA: Si ricorda dove erano le, queste difese antiaeree?
CC: Le, giù al Ticino, appena giù dal ponte c’erano le postazioni delle mitragliere. Per gli aerei, ma non, ma.
FA: E chi c’era dentro, italiani o tedeschi?
CC: No, no, no, non tedeschi, mandavano indiani più che altro.
FS: Ecco.
CC: Cioè gente che era con i tedeschi. Ma perché erano loro che prima siamo stati lì fino alla fine della guerra perché nel ’45 quando è finita la guerra, ’45 era 25 aprile. Sono arrivati i partigiani a Pavia con diversi prigionieri tra i quali un nostro amico che era negli Artigianelli, è scappato, è andato nelle fiamme bianche, che chiamavano, sono paramilitari tedeschi, ragazzi, è andato su a fare i rastrellamenti. Poi l’han preso alla fine della guerra, l’han fucilato anche lui. Un certo Scolari, mi ricordo il nome. Un altro [unclear] l’hanno messo in castello prigioniero poi, era di Voghera, poi l’hanno mandato a casa sua. Non c’han fatto niente ma questo qui l’han preso a Stradella, vicino al cimitero li han messi là, sette, otto partigiani, li hanno fucilati. E c’era dentro quel nostro amico. Aveva diciassette, sedici, diciassette anni, poverino, mi ricordo, ricordo sempre, Scolari si chiamava.
FA: Scolari.
CC: [sighs] purtroppo.
FS: No, la guerra, speriamo che non avvenga più. Tremendo.
CC: Eh, la guerra, la guerra, è tremenda la guerra. [unclear] è venuta la liberazione, la festa. Tutti gli aerei [unclear], tutti gli aerei, sopra il 25 aprile quando hanno arrestato Mussolini, l’hanno ammazzato proprio il giorno che io compio gli anni. Il 28 aprile l’hanno fucilato a Dongo. Poi l’hanno portato a Milano, l’hanno appeso. Figura orrenda, da non dire perché è stata una bestialità quella, per mio conto. Non posso vedere quelle cose da nessuna parte.
FA: Certo.
CC: Io sono per il quieto vivere, per andar d’accordo con tutti, per avere l’armonia con tutti. Non l’odio, cosa vuol dire l’odio? Non vuol dire niente l’odio, assolutamente no. Vivere in pace con tutti. Come adesso, quello che succede. No, son cose da non dire.
FA: Certo. Avrei ancora una domanda.
CC: Sì.
FA: Si ricorda nel, quando andavate in rifugio, suonava la sirena, andavate in rifugio, come si confrontava con i suoi compagni?
CC: Ma no, eravamo, si giocava. Eravamo, andavamo giù quando suonava l’allarme, bisognava andare in rifugio. E tutti assieme in mezzo alla segatura, si giocava, sì, sì, si scherzava, si giocava, non avevamo paura, no, no, giù da basso non avevamo paura, ci sentivamo tranquilli, non lo so, niente.
FA: Niente.
CC: Mi ricordo una volta sola che siamo andati, meno male che siamo andati quando è suonata l’allarme perché? Perché c’era l’invasione delle cimici. Eravamo in camerata, le cimici si arrampicavano, venivano su, a metà si lanciavano giù addosso al letto quelle cimici rosse.
FS: [laughs] Poveri ragazzi.
CC: Eravamo molestati in un modo tremendo. Meno male che tu dici ‘Suona l’allarme, andiamo in rifugio, queste bestie almeno non ci sono’. Poi cos’hanno fatto? Hanno chiuso e hanno mandato dentro il disinfettante, l’hanno chiuso, sigillato, messo dentro il gas per farli morire. Ma ce n’era un invasione, ma enorme, di una quantità, tutte le cimici. Ma si arrampicavano, s’arrampicavano sul muro, arrivavano su, a metà sul tetto e blump! Si lanciavano giù. Una roba incredibile, una roba da , davano fastidio perché mordevano, eh sì. Ma nel rifugio noi non avevamo niente, stavamo bene, si giocava, non avevamo neanche per la mente.
FA: Anche gli adulti erano tranquilli diciamo o loro più?
CC: Sì, ma gli adulti, no, no, tutti tranquilli, ma gli adulti al massimo eravamo noi, io avevo diciassette anni già, nel ’44, che hanno bombardato nel ’44 a settembre, sempre tutta una settimana di bombardamenti per il ponte, ma va
FA: Ma i padri, i preti venivano sotto anche loro?
CC: Sì, sì, tutti, tutti, i nostri assistenti insieme a noi perché dovevano curarli sti bambini. Perché noi avevamo in camerata, avevamo un assistente in ogni camerata. Camerate erano di circa venti alunni, penso una camerata, forse c’è sul libro, una camerata di venti ragazzi e c’era l’assistente che curava tutti i ragazzi. Perché lì si andava a dormire alle nove, nove e mezza, e poi al mattino si alzava alle sei e mezza, andavamo a lavarci, pulirci, fare la, e poi si faceva il letto, e dovevamo fare il letto, per forza di cose. Poi fatto tutto andavamo giù in chiesa, a dire la coroncina, poi c’era la messa. Poi si andava a fare colazione, la giornata era così, a far colazione, via colazione, si andava al lavoro nelle officine. La sera alle quattro c’era lo studio, si andava a mangiare, poi si giocava, un po’ di ricreazione. Ricreazione in cosa consisteva? Non si poteva giocare a pallone, a calcio, no, solo pallacanestro, pallavolo, c’era un coso per la pallavolo, o altri giochi, la palla avvelenata, che era tremenda, un gioco tremendo, pallina, ci si lanciava uno contro l’altro perché ci si stava negli angoli, poi magari correvo per evitare, tac! Una [unclear] oh ma faceva male. In principio avevo una paura tremenda poi ho imparato, ero il più svelto di tutti.
FS: Svelto.
CC: Poi un altro gioco i battenti, mettevano, si giocava una specie di staffetta coi battenti, bastoncini piatti e si mettevano un po’ qui
FS: [laughs]
perché si picchiava sul sedere
FS: [laughs]
e allora coi battenti te lo riparavi. [laughs]. Giaco, sempre addosso ai nostri assistenti, i più grandi, batti. Eh, che bello. E insomma.
FS: Questa è la sua gioventù.
Poi lì a, negli Artigianelli si stampava il Ticino, c’era la tipografia che era la più bella di Pavia, stampava il Ticino e noi piccolini, prima quando sono entrato
FS: [unclear]
s’andava, c’era una camerata e si piegava il Ticino, si piegava in quattro parti perché poi si faceva il pacco, si legava e veniva spedito alle parrocchie, tutta la diocesi, si preparava tutti i pacchi.
FA: Era il giornale della diocesi? Era il giornale della diocesi?
CC: Sì, c’è ancora adesso, c’è ancora adesso il Ticino. Lo vendono in edicola.
FS: E anche nelle parrocchie.
CC: Sì, anche nelle parrocchie. E lo consegnano ancora.
FS: Parrocchie e
CC: Ma adesso non lo so dove lo fanno. Forse, no lo fanno al Pinne, il Pinne fa questi libri, un nostro amico, qusto qui che ha fatto questi libri è Pisati
FA: L’ho conosciuto sì il Pisati.
FS: Pisati, l’ha conosciuto?
FA: Sì.
CC: Ha conosciuto il Pisati?
FA: Sì.
CC: È bravissimo. Pisati è un mio carissimo amico.
FA: Più giovane però. È più giovane.
CC: Sì, più giovane. Lui ha ancora la ditta, sono due o tre soci mi pare. Ma è bravo Pisati e io ho avuto bisogno tante volte dopo. Eravamo al bar e facevo stampare tutti i manifesti, tutto quello che avevo bisogno.
FA: Va bene.
CC: Questo qui, noi si fa il giornalino e l‘lntrepido lo stampa.
FA: Sì, sì, sì.
CC: E il giornalino a gratis sempre. Le spese di una stretta di man. Bravissimo Pisati, ragazzo d’oro.
FA: Va bene. Allora la ringraziamo per questa intervista.
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Title
A name given to the resource
Interview with Celestino Chiesa
Description
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Celestino Chiesa remembers his wartime memories as a schoolboy in Pavia, while he was attending the Artigianelli boarding school: food shortages; rationing; Pippo bombing at night; machine-gun nests along the Ticino river; a friend joining the Fascist militia; the bombing of Ponte Vecchio and Borgo Ticino. Stresses how the bombing of Pavia started after the 8 September 1943 armistice. Talks of when he was caught in strafing, and how the memory of the event still unsettles him. Retells of an aircraft jettisoning its bomb load before crashing and how he visited the wreckage site later on. Remembers the constant high-pitched sound of the siren. Describes the time spent in the basement, sitting on a sawdust pile, playing with his friends stressing how they weren’t afraid at all. Mentions his mixed feelings about the public display of Mussolini’s body.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Filippo Andi
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-02-10
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:36:23 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AChiesaC170210
Coverage
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Civilian
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Po River Valley
Italy--Pavia
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1943-09
1943-09-08
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Publisher
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bombing
childhood in wartime
home front
Mussolini, Benito (1883-1945)
Pippo
shelter
strafing
-
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064673f6b5c2f1b27d262972362b71cc
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Title
A name given to the resource
Intropido, Carluccio
Carluccio Intropido
Carlo Intropido
C Intropido
Description
An account of the resource
One oral history interview with Carluccio Intropido, who remembers his wartime experiences in Pavia.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-01-25
Rights
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Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Intropido, C
Transcribed audio recording
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Transcription
Text transcribed from audio recording or document
FA: Carlo vuole raccontarci la sua infanzia, gli avvenimenti.
CI: Volentieri, volentieri, son cose che mi sono capitate nella mia vita per cui non c’è niente da nascondere. Sono Carlo Intropido, sono nato da una famiglia contadina in un periodo di pace appena dopo i tre giorni della merla, nel freddo inverno del 1931 ed è per quello che son sempre pien di freddo. Il destino ha voluto di restare orfano prima di padre poi di madre, all’età di 10 e 11 anni. Sono stato parcheggiato in un istituto, vero? Molto accogliente, lì si lavorava, si studiava, e si imparava un’arte: era il 1941, proprio all’inizio della seconda guerra mondiale. I tempi erano quello che erano, si soffriva anche un po’ di fame, il cibo mancava però il lavoro c’era, e io mi sono sempre dato da fare, ho imparato l’arte del fare il falegname. E la vita d’istituto era tranquilla: di giorno si studiava, si lavorava, alla domenica si andava a far la gitarella. Quel giorno avevamo deciso di fare quattro salti da Pavia a Certosa, la famosa Certosa di Pavia, un gruppetto, una ventina di ragazzi, quasi tutti coetanei, avevamo su la nostra bella divisa, pantaloncini corti e maglione azzurro. Ci siamo incamminati, giunti all’inizio di via Brambilla, che è la strada che porta da Pavia a Milano, vero? Abbiamo notato quattro caccia americani, inglesi, ma oramai noi eravamo abituati perché tutti i giorni è la stessa cosa, tutti i giorni c’era una confusione di aerei, pochi o tanti, che sorvolavano Pavia e andavano a bombardare Milano, quindi per noi è una cosa quasi normale. Purtroppo, improvvisamente quello di testa, vero? Ha virato a sinistra, è sceso giù in picchiata, gli altri lo han seguito. Son passate proprio sopra di noi vero? E hanno sganciato le bombe, nel frattempo noi impauriti ci siamo scaraventati giù per la scarpata tra la strada e la ferrovia, proprio dove le bombe son cadute. Io personalmente ho visto le bombe a pochi metri dalla testa che scendevano e andavano a colpire la ferrovia, è stato un po’ di panico. Passati i primi, i primi quattro passaggi vero? Ci siamo quasi tutti immedesimati, abbiamo attraversato la strada, dall’altra parte della strada c’è il Navigliaccio, un corso d’acqua che da Milano arriva verso Pavia e va a finire nel Naviglio vero? Lì abbiamo traversato e non sappiamo come perché è, era un ponticello che attraversava il fiume, fiumicello a trasporto di un fosso, è una condotta d’acqua larga circa un metro e noi l’abbiamo attraversato tutti senza paura. Forse è la paura che c’ha c’ha dato il coraggio di fare questa azione. Ci siam ritrovati tutti insieme, dall’altra parte e abbiam deciso di proseguire la nostra, la nostra gitarella. Siamo andati oltre il, l’ospedale policlinico San Matteo che è lì vero? Siamo andati verso il campo della Madonnina dove c’era il campo sportivo di calcio, dove lo frequentavamo anche noi, tutti gli oratori di Pavia. Arrivata poi l’ora un po’ tarda, nel tornare il nostro assistente ha deciso di tornare sui nostri passi e vedere un po’ che cosa era successo. Siamo andati ancora sulla zona e con grande sorpresa abbiamo visto la scarpata dove noi eravamo precipitati per nasconderci era tempestata di spezzoni incendiari, ce n’era qualcuno ancora qualcuno ancora acceso proprio, tant’è vero che qualcuno l’abbiamo portato anche a casa, così tanto per ricordo. Fa niente se [unclear]? Abbiamo saputo, tornando a casa dopo, che un gruppo sempre del nostro istituto, ragazzi di età più avanzata della nostra hanno subito un mitragliamento, quasi al centro della città, nella zona dove c’era il consorzio agrario. Si vede che gli aerei in picchiata nello sganciare le bombe han fatto anche dei mitragliamenti, proprio i nostri amici han dovuto subire questa circostanza, nessuno si è fatto male, tutto è andato bene, per buona fortuna. Vedi adesso io ho perso la la memoria, fa niente beh la sosta dopo lo ricongiungi te, fa niente se faccio delle soste.
FA: Sì, va benissimo.
CI: Devo pensare, adesso dove sono arrivato io.
FA: Allora prima della pausa ci stava dicendo del mitragliamento.
CI: Nei giorni successivi, mentre stavamo in ricreazione in mezzo al cortile nel nostro istituto, in via Fratelli Cremona, abbiamo notato un nutrito stormo di aerei diretti verso Milano, era ormai un’abitudine, tutti i giorni passavano, quel giorno però capitò un caso strano: un aereo incominciò a fumare, proprio sopra il nostro cortile, ovviamente in alto dove si trovava. Questo aereo improvvisamente ha fatto una virata, si è girato e ha fatto ritorno da dove stava per arrivare, da dove stava arrivando. Improvvisamente il fuoco ha invaso l’aereo, oramai era quasi fuori dalla nostra vista, era sopra Tre Re circa diciamo, vero? Paesino appena fuori Pavia. Abbiam notato una cosa strana, mentre precipitava, dei paracaduti si allontanavano dall’aereo e scendevano, uno a destra e uno a sinistra, uno a destra e uno a sinistra. Abbiamo saputo dopo che questi paracadutisti sono stati protetti, raccolti dalla cittadinanza e poi accompagnati in Svizzera, hanno evitato di essere catturati dai tedeschi che occupavano in quel periodo l’Italia. Uno solo è stato catturato: combinazione è caduto in mezzo a un reticolato, si è ferito, quello è stato catturato. Qualche giorno dopo il nostro accompagnatore ha voluto portarci nella zona dove era caduto l’aereo, questo aereo era carico di bombe e prima di cadere a terra è scoppiato, son scoppiate tutte le bombe per cui ha invaso un’estensione enorme quindi c’erano sparsi oggetti frammenti. Abbiam notato un motore collocato su un gelso, chissà com’era finito sopra lì io non riesco a capirlo, vero? Comunque girando qualcuno di noi ha trovato degli oggetti interessanti, un mio amico ha trovato una cassettina metallica con dentro dei, dei prodotti sanitari, delle bende, dei cerotti, dell’alcool, e così via. Io personalmente ho trovato un cappellino militare, di quelli fatti in pelo in pelle col pelo, con l’aletta davanti, col copri orecchie che si poteva staccare e riattaccare al centro in alto, l’ho preso, me lo son nascosto e poi l’ho portato a casa. Questo cappellino ha fatto per me una storia perché quando sono andato a militare qualche anno dopo a 21 anni, la mia mansione era fare il motociclista e io tranquillamente toglievo il berrettino militare e mi mettevo su il mio bel berrettino di cuoio, di di pelo, era per me un po’ un hobby. [long pause] Non so più cosa dire dopo, perché non sono più fresco con la memoria, se mi metto lì a scrivere scrivo e via, ma così all’improvviso mi sfuggono le cose, vero? Militare, personalmente volevo ricordare, ah ecco, una, è acceso? Una cosa vorrei dire che mi è rimasta impressa, per me quei militari aeronautici inglesi o americani che erano, per me sono stati degli eroi, perché se sganciavano le bombe appena ha incominciato l’aereo a far fumo, purtroppo ci andava di mezzo mezza città e tutto il borgo Ticino, invece non hanno scoppiato le bombe ed è per quello che sono scoppiate prima di toccare terra l’aereo in picchiata, quindi per me sono stati degli eroi, forse l’han fatto di proposito, forse è stato nel panico, io non lo so, comunque sia hanno salvato mezza città con la loro azione eh così [long pause]. Ah ecco adesso qui incomincio l’altra, l’altra faccenda, non sono fresco oggi di di, casomai poi lo rifacciamo. Un’altra cosa vorrei dire, tanto per mettere le cose in chiaro: Pavia come altre città, salvo l’intervento di piccoli casi, non è stata liberata dai partigiani come si vorrebbe far credere, Pavia è stata liberata dai pavesi, cittadini pavesi, che son rimasto nell’anonimato, perché erano gente preparati nell’arte della guerra in quanto c’erano, c’era un tenente pilota che era un mio caro amico, vero? Pilota di caccia, che era, non era nei partigiani ma era uno sbandato lì nascosto in collegio dove aveva anche una radio trasmittente e trasmetteva con la RAF e mettendo in contatto i partigiani dell’Oltrepò pavese e del di altre zone collinarie e dei partigiani in giro per l’Alt’Italia. Questo qui, insieme a due cappellani militari, che conoscevo anche io perché erano nascosti nel nostro istituto, con l’appoggio della, della curia vescovile, hanno iniziato ad occupare la prefettura con il buon accordo del prefetto che allora non si chiamava prefetto, si chiamava, come si chiamava? Beh comunque era il personaggio che rappresentava la nazione, l’Italia insomma, allora c’erano ancora i fascisti praticamente, c’era ancora la repubblica, la repubblica di Mussolini, la Repubblica di Salò vero? Insieme ad altre persone che io non conosco hanno iniziato a liberare prima la prefettura e dopo gradualmente hanno armato 10 o 12 ferrovieri i quali avevano il benestare da circolare, avevano il permesso in quanto in servizio per la ferrovia sotto il comando tedesco quindi loro erano liberi di circolare mentre gli altri, tutti gli altri cittadini non potevano circolare, c’era il coprifuoco alle sette di sera tutti a casa, non c’era più nessuno che si muoveva da casa. Loro potevano, quindi sono stati arruolati sempre in buon accordo, vero? E hanno poco a poco disarmato tutte le altre caserme, dalle più piccole alle più grandi, è rimasto poi alla fine il castello. Il castello era un po’, c’erano i prigionieri, i partigiani, era un po’ il comando dei tedeschi, e lì è stata dura, però questi nostri bravi liberatori di Pavia competenti del mestiere c’han saputo fare, son riusciti a convincere una batteria antiaerea che si trovava in periferia di Pavia, nei pressi del ponte dell’Impero, han fatto credere che il castello era occupato dai partigiani, vero? E li hanno invitati con dei cannoncini antiaerei a bombardare il castello, quindi a bombardare direttamente i loro colleghi tedeschi, c’è stato un po’ di parapiglia. Nello stesso tempo son riusciti anche a deviare una colonna militare tedesca che era in fuga da Vercelli verso Pavia dove erano diretti forse per fare anche un concentramento, a deviarli dicendo che Pavia era già tutta occupata, tedeschi non ce n’erano più quindi quel battaglione ha cambiato direzione, non si sa dove sia andato. [pause] Allora, qualche giorno dopo la liberazione di Pavia, sono arrivati i partigiani, io ricordo mi trovavo sul piazzale del Ponte Vecchio di Pavia, lì proprio di fronte alla alla pasticceria eeeh.
FA: Pampanini.
CI: Pampanini, proprio di fronte alla pasticceria Pampanini, gelateria Pampanini vero? Dove esiste ancora tutt’oggi, vero? E ho notato un gruppetto di persone un po’ mal vestite, un po’ malconce ma armate fino ai denti. Si son messi in fila, il comandante ha dato l’ordine e son partiti verso il corso Vittorio Emanuele, così si chiamava, adesso è corso Strada Nuova. E sono entrati in Pavia come conquistatori, purtroppo la città era già stata liberata, Pavia è stata liberata senza nessun incidente, senza nessun morto, neanche un colpo di fucile, neanche i partigiani han dovuto sparare un colpo. Ovviamente dopo han fatto qualche piccola vendetta, qualcuno c’è andato di mezzo ma cose da poco diciamo e così si pensa che Pavia sia stata liberata dai partigiani, non è vero! Poi cos’è che dovrei dire? Cos’è dopo? Ah niente finisce qui.
FA: No una domanda Carlo, ha qualche ricordo dei, degli altri diciamo bombardamenti avvenuti sulla città, magari sulla zona del Borgo Ticino?
CI: Sì! Allora posso raccontare che quasi tutte le notti suonava l’allarme, è acceso? Quasi tutte le notti suonava l’allarme e c’era da precipitarsi in cantina, noi avevamo una cantina nella parte vecchia dell’istituto, era una vecchia cantina tutta puntellata, e ci trovavamo lì, vero? Fin quando suonava il via libera. In quelle circostanze, son capitate delle volte che i muri tremavano, noi eravamo ragazzi io avevo 14 anni, vero? E è capitato anche si sapere il giorno dopo che nei bombardamenti che han fatto per distruggerei i ponti a Pavia, che hanno dovuto continuare per sei o sette turni. Perché nel primo turno han buttato giù il ponte della ferrovia completamente, nel secondo è caduta un’arcata del Ponte dell’Impero, mentre invece il Ponte Vecchio non è mai stato centrato perché gli aerei seguivano la direzione del fiume ma non riuscendo a colpirlo han deciso di cambiare manovra, l’han preso per il traverso per cui le bombe hanno colpito anche le case prima e dopo il ponte distruggendo anche il ponte ovviamente, l’han distrutto completamente, quello è stato l’ultimo. In un altro bombardamento, una bomba sfuggita alla alla dalla zona destinata, caduta in mezzo a un bosco dove proprio si trovava un gruppo di rifugiati, nascosti in una tomba, in un tombone, vero? Due bombe son cadute, una a destra e una a sinistra di questo tombone, li han schiacciati dentro tutti come delle sardine, è stato un disastro. Questo fosso di chiamava “Acuanegra” per cui è ricordato come la tragedia della tomba dell’acqua negra, in Borgo Ticino.
FA: Carlo si ricorda che rumore faceva, che rumore faceva la sirena?
CI: Bah, che rumore faceva? Come si fa a riprodurre una eh una sirena? Non avrei, non ho una, per dar indicazione che ricorda il suono della sirena, cioè non c’è niente che lo ricorda perché le sirene non ce ne sono più come suonavano allora, non le ho più sentite dopo, non ho più avuto l’occasione dopo le sirene che usavano per i bombardamenti, preavvisi per i bombardamenti, non l’ho più sentita.
FA: Era, era diversa la sirena che segnalava l’arrivo dei bombardieri e quella che segnalava…
CI: No no era sempre la stessa.
FA: Sempre la stessa.
CI: Suonavano suonavano, quando suonava l’allarme vero? Era il segnale che arrivavano i bombardieri, quindi c’era da fare il fuggi fuggi, poi quando c’era la la, il passato pericolo, la sirena suonava ancora e si capiva che si poteva ritornare in piena libertà.
FA: E coi suoi, coi suoi compagni all’istituto cosa provavate, cosa, si ricorda qualcosa, cosa vi dicevate?
CI: Eh eravamo giovani e quando si è giovani le decisioni le si prendono un po’alla leggera, senza paura, non è che ero un coraggio, era una cosa naturale, e poi in quel periodo c’era la paura della guerra. La guerra anche non l’abbiamo passata al fronte è sempre guerra, certe cose eh si sopportano tranquillamente senza pensieri, poi quando si è giovani, si è spensierati non si pensano a quelle cose lì. Si pensa a divertirsi, giocare e stare bene in particolar modo in quel periodo noi pensavamo sempre a mangiare qualcosa, eravamo sempre pien di fame, i nostri pasti quasi quasi sempre si concludevano in un piatto di patate o di castagne secche cotte nell’acqua. C’è qualcos’altro che mi vuoi chiedere? Adesso lo sentiamo casomai lo rifacciamo.
FA: Eh prima della pausa Carlo, stavamo dicendo, si ricorda i nomi dei due cappellani militari che nominava prima?
CI: No no, erano segreti purtroppo, non mi ricordo, adesso è passato tanto tempo e non mi ricordo comunque sono sicuro che i nomi non li sapevo, sapevo solo quello del nostro ex-Artigianello, il tenente pilota, si chiamava Mario Cecchetti, vero? Ma dei cappellani non, non ho nessun ricordo dei nomi. Mi ricordo che uno era molto affabile, veniva a giocare anche a pallone insieme a noi, e ci ha anche raccontato che appena, appena c’è stata la disfatta lui è stato catturato un po’ dai fascisti ed è stato costretto a seguire come cappellano militare i fascisti che andavano a fare i rastrellamenti sulle montagne dei partigiani, ha raccontato che questi ragazzi, tutti ragazzi di 14-15 anni inconsapevoli di quello che facevano, non sapevano neanche usare le armi, non sapevano tirare la spoletta delle bombe a mano, non sapevano sparare il fucile e lui ha fatto da maestro un po’ a questi ragazzi a malincuore però ha dovuto farlo, la situazione era quella, appena ovviamente ha potuto è scappato ed è venuto a nascondersi lì agli Artigianelli. L’altro invece era un po’ più scorbutico, un tipo un po’ strano, un po’ stravagante, vero? Non diceva mai niente. Io mi ricordo che andavo a dire messa nei periodi che la chiesa era libera, andava a dire la sua messa e basta, e poi stava sempre nascosto. E poi ovviamente abbiam saputo che, ma solo noi l’abbiam saputo, questa è una storia che io penso che a Pavia non la si sappia neanche. La so io perché di prima persona vero? Ho potuto constatare le cose insomma, mi son capitate vicine, ho potuto parlare con questa gente che erano lì insomma.
FA: E vivevano con voi nell’istituto.
CI: Vivevano con noi, vivevano con noi, si erano nascosti lì da noi.
FA: E dove si nascondevano diciamo?
CI: Eh si nascondevano in nell’ala vecchia dell’istituto dove c’era un po’ di guardaroba, c’era un po’ di, quasi quasi era una zona un po’ isolata e non frequentata né dai ragazzi ma neanche dai superiori diciamo, lì tenevamo per esempio un mulino nascosto dove si macinava il grano che i contadini ci regalavano per la nostra sopravvivenza, avevamo un mulino che si macinava, si macinavano anche le castagne secche per far la farina, poi ci si arrangiava. E loro vivevano, c’era un piano terra, un primo piano, vivevano lì insomma ecco. E poi erano quelle cose che noi ragazzi non è che ci tenavamo a, non era il caso di andare a indagare come vivevano, cosa facevano, però erano lì con noi, noi eravamo protetti. Voglio dire una cosa: ero, tempo dei tedeschi, dell’occupazione tedesca, di fronte a noi c’era le scuole Carducci. Piano terra frequentavano ancora le scuole i ragazzi, al piano di sopra c’erano i mongoli, i mongoli erano prigionieri tedeschi ma li usavano per fare le, le sbandate nell’Oltrepò pavese a dare la caccia ai partigiani assieme ai fascisti, questi questi ragazzi vero? Erano anche loro prigionieri, dovevano fare quello che loro gli ordinavano, mi ricordo che aprivamo le finestre delle nostre camerate e loro ci lanciavano delle caramelle, gliele fornivano i tedeschi ovviamente come come pasto, in aggiunta al pasto erano delle bustine con dentro delle caramelle gommose, dieci o dodici caramelle con il cielo da una parte e dall’altra, trasparente delle delle come delle bustine diciamo e loro ce le lanciavano dentro le nostre finestre. Una volta c’è un altro ricordo, è la storia di Pippo. Pippo era un piccolo aereo che tutte le sere immancabilmente sorvolava Pavia. Si poteva mettere l’orologio a posto, non sbagliava, non sbagliava di un minuto, vero? Appena vedeva una luce lui sganciava una bombetta, ne ha sganciata una anche invia Fratelli Cremona proprio sotto le nostre camerate. Ha fatto un cratere di un metro circa di diametro con una profondità di 15, 20 centimetri, lì c’era un ciottolato di di sassi, vero? Una cosa da poco, però sganciava queste bombette, forse erano bombette piccole, era un preavviso, noi non abbiamo mai saputo se era un servizio dei tedeschi o se era contro i tedeschi, non lo abbiamo mai saputo, veniva a controllare le luci, quando vedeva una luce sganciava la sua bombetta, veniva tutti i giorni, tutti i giorni, tutti i giorni. Lo chiamavamo Pippo [laughs].
FA: Tutte, tutte le sere.
CI: Tutte le sere, tutte le sere. Aveva l’orario fisso [unclear]: arriva Pippo. Tac non sbagliava di un minuto.
FA: Quindi stavate al buio?
CI: Ah si eh sicuramente, e poi era l’orario del coprifuoco, nessuno si muoveva non c’era in giro nessuno e anche anche le luci, anche perché c’erano i sorvoli, i sorvoli degli anglo americani che andavano a bombardare Pavia, in quel periodo, quindi si cercava di tenere la città nascosta, di tenere le luci, senza luci, anche i lampioni della città erano spenti.
FA: Tutto spento.
CI: Malgrado tutto Pavia non è stata una città di bombardamenti, non so il perché, l’han bombardata esclusivamente per i ponti proprio alla fine alla fin fine, quando oramai la guerra per noi era quasi finita, gli americani stavano arrivando, erano già arrivati su verso il centro Italia per cui i tedeschi erano quasi in fuga e i ponti li han buttati giù per bloccare la fuga dei tedeschi praticamente. Ma oramai eravamo alla fine, alla fine del conflitto.
FA: Va bene, d’accordo, allora se non ha altro da aggiungere, la ringraziamo per l’intervista.
CI: Ma di quelle ce ne son tante, però cos’è che potrei dire, ricordi, ricordi. [pause] Ah volevo dire che di questi, di questi signori che hanno partecipato alla liberazione Pavia, son rimasti tutti nell’anonimato. Io sfido chiunque a dirmi un nome di chi ha liberato Pavia nessuno lo sa, perché eran tutti, eran tutti gente o militari, vero? O gente del clero che han preferito rimanere fuori dalla storia quindi si son resi tutti anonimi, non, nessuno lo sa chi erano, nessuno lo sa.
FA: D’accordo.
CI: Come come qualcuno è arrivato, io ho letto nel giornale, anche recente vero? Di qualcuno quando si parla della liberazione di Pavia, ho sentito qualcuno scrivere addirittura che i partigiani sono entrati con l’aiuto di un gruppo di finanzieri, forse si son sbagliati con ferrovieri perché le cose dette e ridette vengono magari anche confuse, io son sicuro che erano ferrovieri e non finanzieri ma però se ne dicono tante quindi accettiamo anche questa per buona. Un’altra storia ti posso raccontare, la storia di Mussolini, una mia storia anche quella, te la racconto? Allora mi trovavo assieme ad altri due amici a Rovescala. Allora si usava andare fuori città a mangiare pane e salame, oramai la guerra era finita da un po’ di anni, con questi miei amici siamo andati a mangiare pane e salame nell’osteria del Grison, in Rovescala, provincia di Pavia. Lì c’era un gruppetto che suonavano l’ocarina, sai cos’è l’ocarina?
FA: No.
CI: È una specie di flauto fatto in terracotta, ha un suono tutto particolare vero? Erano in quattro o cinque che suonavano l’ocarina, vero? E noi si mangiava e si parlava. Il discorso è caduto, non si sa come, sulla storia della fine di Mussolini e si diceva quello che ovviamente si sentiva in giro “L’han fermato a Dongo”, vero? Un gruppo di partigiani proprio dell’Oltrepò pavese hanno avuto l’incarico di andarlo a prendere, ed è vero che Mussolini l’han nascosto prima in una casa, poi in una seconda casa, lì sull’altura di Dongo e mentre parlavamo lì in osteria tranquillamente, stavamo discutendo di questa cosa, si avvicinò un signore di mezza età sulla quarantina, e ci dice: “Volete sapere la storia veramente com’è andata a finire? Ve la racconto io”. E noi siamo rimasti lì di stucco, vero? Ha incominciato fa “Io sono uno dei due che ha fatto la guardia a Mussolini nell’ultima notte. Allora Mussolini e la Petacci han chiesto, han chiesto alla, alla padrona di casa una coperta. Sono andati, la padrona di casa gli ha offerto la sua camera da letto, son andati a dormire e han cercato di chiudere la porta ma noi abbiamo avuto l’ordine di guardarli a vista, di tenerli, di controllarli a vista e ci abbiam detto “No no la porta rimane aperta”. Mussolini è stato così convincente con la sua abilità che ci ha convinto a tenerla chiusa, lui ha detto “Per la privacy, mia moglie…” e ci ha convinti tanto noi eravamo lì in una casetta isolata, vero? Abbiam lasciato chiuso e stavamo lì quasi quasi sonnecchiando a dir la verità. A un certo momento abbiam sentito un tonfo, abbiamo aperto la porta e lui non c’era più e c’era la finestra aperta. Ci siam precipitati fuori e l’abbiam visto che stava scendendo giù da una scarpata, ci abbiam dato l’ALT, due o tre volte, lui non ha risposto e ha continuato ad andare, abbiamo, uno di noi” e non ha detto né io, né l’altro, “Uno di noi” ha detto “Ha sparato un colpo di rivoltella non per colpirlo ma per fermarlo, purtroppo lui è caduto per terra, sono andati là e il colpo gli aveva preso proprio il collo, ovviamente c’è stato un subbuglio, anche gli altri partigiani che erano in zona sono arrivati lì, vero? E l’abbiamo portato su, era morto oramai, rantolava ancora ma oramai era era finito. L’abbiam portato su, abbiam fatto una fatica tremenda e dopo un po’ è arrivato un comandante partigiano, ci ha fatto giurare a tutti di non saper niente, ha portato via Mussolini, la Petacci e non sappiamo dove sono andati a finire. L’abbiam saputo dopo che li ha portati in una zona lì vicino e li ha fucilati. Ma non è vero, era già morto Mussolini, hanno ammazzato la Petacci, ma Mussolini era già morto. La rivoltella che ha ammazzato Mussolini, si trova parcheggiata a Casteggio, in una teca, ci si può informare e andare alla ricerca per vedere se è vero”. Questo è il racconto che ci ha fatto. Oh ovviamente poi è rimasto lì un po’ come per dire “Oh porco cane cosa ho fatto!?” ho detto una cosa che ero sotto giuramento e non devo, però non fa niente oramai non c’è più nessuno”. Perché questa storia ce l’ha raccontata eh tardivamente diciamo, non subito dopo, adesso non ricordo bene ma molto probabilmente tutti quelli che han partecipato forse non c’erano neanche più. E quindi ha detto “Mi raccomando ragazzi, dovete giurarmi che questa cosa non la raccontate a nessuno, e io ho rispettato il giuramento, non l’ho mai detto a nessuno. L’ho detto adesso ultimamente in questi ultimi anni perché oramai non c’è più nessuno di quelli, di quelli che hanno partecipato a quelle azioni lì non c’è nessuno, quindi non vado ad analizzare nessuno. Quindi lo posso raccontare: che sia vero, che sia non vero io la mano sul fuoco non ce la metto, però è quello che ho sentito raccontare.
FA: D’accordo.
CI: Dato che di storie sulla morte di Mussolini ne dicono tante, vero? Ma tante tante, quella vera non la si sa, nessuno la conosce, questa fa parte di una delle tante.
FA: Va bene, va bene, la ringraziamo Carlo.
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A name given to the resource
Interview with Carluccio Intropido
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An account of the resource
Carluccio Intropido recalls his early life as an orphan studying in Pavia at the Artigianelli, a boarding school providing technical training. He recalls that children used to watch aircraft en route to Milan, until Pavia was bombed owing to the strategical value of their bridges. Recalls being caught under a bombing attack during a field trip, narrowly escaping death. Describes an aircraft on Pavia being hit and aircrew bailing out. One injured and captured, while others were spirited away to Switzerland by local people. Describes school children taken to the crash site and recalls an engine stuck atop a mulberry tree and debris scattered all around. Remembers people salvaging items, among them a first aid kit and a leather aircrew cap, the latter being used when the informant was later enlisted as an army despatch rider. Praises aircrew as heroes for refraining to drop bombs on Pavia when the aircraft was hit. Recalls the liberation of the city mentioning Mario Cecchetti - an insurgent manning a clandestine radio station - and two military chaplains hidden inside the school. Stresses how it was liberated in a non-violent way, mainly through ruse and suasion, and downplays the role of partisans. Describes how people taking shelter in a ditch (Tomba dell’acqua negra) were crushed by nearby explosions. Emphasises a light-hearted approach to war, describing hunger was feared more than the bombing. Recounts anecdotes of the ‘Mongols’ billeted at the school, troops captured by the Germans and deployed for anti-partisan operations. Recalls Pippo and describes its regular passages as being so accurate that people could check the clock against it. Emphasises its role as a black-out checker, in the context of curfew regulations but he was not sure if it was an Allied or Axis aircraft. Describes a post-war encounter with a person who claimed to know an alternative version of Mussolini’s death; he was killed during an escape attempt followed by a staged execution the day after.
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00:47:21 audio recording
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Spatial Coverage
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Italy
Italy--Po River Valley
Italy--Pavia
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2017-01-25
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AIntropidoC170125
PIntropidoC1701
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bombing
childhood in wartime
fear
Mussolini, Benito (1883-1945)
perception of bombing war
Pippo
Resistance
shelter
shot down
strafing
-
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7231d73624122158e1222380cee96971
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Title
A name given to the resource
Bozzi, Francesco
Francesco Bozzi
F Bozzi
Description
An account of the resource
One oral history interview with Francesco Bozzi who recollects his wartime experiences in Greece and in the Po River valley area.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
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2017-07-12
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Bozzi, F
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Title
A name given to the resource
Interview with Francesco Bozzi
Description
An account of the resource
Francesco Bozzi reminisces about his military training followed by service in Greece. Describes harsh living conditions while in Germany-occupied Crete after September 1943: hard labour, scarce food, punishment, brutalities, being wounded while digging a tunnel, bombings, and Allied attacks of Italian convoys packed with soldiers. Describes being hospitalised in Italy and mentions the disruption of transport, destroyed bridges, strafing, and aggressive behaviour of partisans. Mentions a cache of arms discovered by chance after the war.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Filippo Andi
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-07-12
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The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:29:20 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Type
The nature or genre of the resource
Sound
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The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Greece
Greece--Crete
Italy
Italy--Po River Valley
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An unambiguous reference to the resource within a given context
ABozziF170712
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An established standard to which the described resource conforms.
Pending OH transcription
bombing
forced labour
Resistance
strafing
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/448/7918/ASaraniR170325.2.mp3
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Title
A name given to the resource
Sarani, Rinaldo
Rinaldo Sarani
R Sarani
Description
An account of the resource
One oral history interview with Rinaldo Sarani who recollects his wartime experiences in Pavia and the surrounding area.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
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An unambiguous reference to the resource within a given context
Sarani, R
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-03-25
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Rinaldo Sarani
Description
An account of the resource
Rinaldo Sarani reminisces about the bombings of Pavia describing widespread damage at Borgo Ticino and people being extricated out of rubble. Stressed the importance of bridges: ponte della ferrovia, ponte vecchio, ponte dell’impero, ponte della Becca. Describes how inefficient anti-aircraft fire was, being mockingly dubbed “pensioner’s flak“. Reminisces about various wartime episodes: Pippo flying at night, the danger of minefields, partisan actions, killings, fascist militiamen brutalities, the Mongols (which were part of a German foreign division), makeshift shelters, and people being tortured in Broni. Describes a bomb dump explosion and how people disassembled ordnance to salvage explosives used for fishing, often with tragic consequences. Elaborates on the Fascism and recollects a person being helped by Rachele Mussolini.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Filippo Andi
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-03-25
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:42:32 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Identifier
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ASaraniR170325
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Po River Valley
Italy--Pavia
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An established standard to which the described resource conforms.
Pending OH transcription
anti-aircraft fire
bomb dump
bombing
home front
incendiary device
Mussolini, Benito (1883-1945)
Pippo
Resistance
shelter
strafing
-
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A name given to the resource
A survivor of the Voghera bombings (informant C)
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One oral history interview with an informant who recollects his wartime experiences in Voghera.
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An01104
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A name given to the resource
Interview with a survivor of the Voghera bombings (informant C)
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An account of the resource
The informant recollects his wartime experiences in Voghera. Claims he has always had the gift of sensing impending events, the first episode being when he told his mother that aircraft are approaching before the siren had sounded, and therefore managed to go out moments before a bomb hit the house. Describes himself and his mother running among bombs falling, being denied shelter in a doorway on the grounds it was already packed, and how many people were killed in the same bombing. Mentions wartime anecdotes: riding an American tank, the death of Franco Forini, a friend mutilated by live ammunition as he was gathering for scrap and his mother picking up grain left in the fields after the harvest. He praises her humanity, resolution and cheerfulness.
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Filippo Andi
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The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:11:17 audio recording
Language
A language of the resource
ita
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The nature or genre of the resource
Sound
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AAn01104-170712
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Po River Valley
Italy--Voghera
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A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-07-12
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Pending OH transcription
bombing
childhood in wartime
home front
Resistance
shelter
superstition
-
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18e25109faaf00af56b8af032caef7ad
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A name given to the resource
Cabrini, Luigi
Luigi Cabrini
L Cabrini
Description
An account of the resource
One oral history interview with Luigi Cabrini who recollects his wartime experiences in the Pavia area.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
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Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-01-15
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Interview with Luigi Cabrini
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An account of the resource
Luigi Cabrini describes his daily life in a rural community stressing the labour-intensive nature of farming in wartime. Mentions Pippo bombing at night, and reminisces a chequered schooling history in Pavia and Voghera owing to strafing, bombings and disrupted train services. Mentions the difficult coexistence with feared German troops, stressing brutalities and violence. Reminisces giving shelter to one British personnel who became the lover of a farm hand.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Filippo Andi
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-01-15
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:20:47 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ACabriniL170115
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Po River Valley
Italy--Pavia
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IBCC Digital Archive
bombing
childhood in wartime
fear
home front
love and romance
Pippo
strafing