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Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Martina, Gilberto
G Martina
Gilberto Martina
Description
An account of the resource
One oral history interview with Gilberto Martina who recollects wartime experiences in Chiusaforte and in the Carnic Alps.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2018-06-11
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Alps
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Gilberto Martina
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Erica Picco
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2018-06-11
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:30:29 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
United States Army Air Force
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Alps
Italy--Carnia
Italy--Chiusaforte
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1945-02-17
Description
An account of the resource
Gilberto Martina reminisces his childhood in Chiusaforte and in the Canal del Ferro area: disrupted schooling, fear of Germans, subsistence farming, saboteurs, and one of his mates being killed by a bomb found in a pile of litter. Stressed how the town was a strategic target owing to its position on a main Alpine railway, describes the regular sights of aircraft flying to Germany, and reminisces how villagers spent most of their time inside an underground shelter. Describes the 17 February 1945 bombing in which aircraft were so tightly packed that one was taken down by anti-aircraft fire, collided with another one mid-air and both crashed nearby: ten aircrews were buried in the local cemetery, two survived and visited Chiusaforte when the remains of their fellow crew members were later repatriated. Claims that Allied air forces were more hated than the Germans for inflicting widespread damage and senseless suffering; describes an episode when villagers spat on American and British troops at the end of the war; elaborates on the tormentors / liberators duality.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AMartinaG180611
PMartinaG1801
Conforms To
An established standard to which the described resource conforms.
Pending OH transcription
anti-aircraft fire
bombing
childhood in wartime
fear
final resting place
mid-air collision
perception of bombing war
shelter
shot down
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/137/1345/AMarianiE171209.2.mp3
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Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Mariani, Enrica
E Mariani
Description
An account of the resource
One oral history interview with Enrica Mariani who recollects her wartime experiences in Milan.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-12-09
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Mariani, E
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
EP: L’intervista è condotta per l’International Bomber Command Centre. L’intervistatrice è Erica Picco. L’intervistata è la signora Enrica Mariani. Nella stanza sono presenti Zeno Gaiaschi, Emilio Mariani e Roberto Sanvito. Ehm, ci troviamo in [omitted] a Milano. Oggi è il 9 dicembre 2017 e sono le 15.30. Va bene, possiamo cominciare. Allora, signora Enrica, ehm, io vorrei cominciare da prima della guerra e vorrei chiederle come era composta la sua famiglia, se aveva fratelli, sorelle, dove vivevate e qual’è il suo ricordo più distante, prima della guerra, che cosa si ricorda, come era la vita?
EM: Sì, difatti, mi ricordo perché mio papà, diciamo, lavorava in una fabbrica dove facevano, come si chiama? Le cose per i militari insomma, ecco. E, e allora, diciamo, allora c’era il Duce e volevano fare la tessera dei fascisti insomma. E invece mio papà non l’ha fatta. Non l’ha fatta e allora loro l’hanno lasciato a casa e allora dato che noi avevamo, mia mamma faceva la portiera in Via Pietro Borsieri 12 e allora c’era il ragioniere della casa che veniva lì e ormai li conosceva e allora c’ha trovato un posto al, dove, al Verziere. Al Verziere perché così almeno lui essendo di notte faceva la ronda, essendo che non era fuori e così almeno nessuno diciamo [unclear]. Viene che una serata insomma mia mamma aveva tre figli allora, cioè io, mio fratello, quello che c’è morto e questo qui che c’è adesso, Emilio, ecco. E diciamo questo qui era appena nato perché era del, è del ’38, dunque perciò. E allora c’ha detto mia mamma: ‘Te porta di sopra i bambini’, perché avevamo le camere da letto di sopra, ‘te porta di sopra i bambini che tanto manca due minuti alle dieci, credo che non dicano niente se io chiudo la porta, il portonÈ, perché allora facevano dalla mattina alle sette al pome, alla sera alle dieci. Viene che c’è una, dei signori lì della, dei fascisti, che fanno la ronda, perché una volta c’era in giro la sua ronda, la ronda di loro insomma. E allora vedono mio papà a chiudere e allora c’hann detto: ‘Ma lei perché chiude? Non, lei è il portiere?’ Lui c’ha detto: ‘No, io sono il marito, però mia moglie c’ha i tre bambini, è andata di sopra’. Insomma, lì c’hanno puntato la rivoltella e l’hanno portato di sopra. Sono andati su perché avevamo le camere da letto al primo piano, che si entrava anche dal primo piano e mia mamma allattava mio fratello, questo qui l’ultimo. E allora ci è venuta la febbre, ci è venuto un po’ di cosa, sa io, va bene, ero piccola ma però insomma, avevo otto, otto anni, nove però ero già svezzata [laughs] perché ecco, e allora e così. Dopo l’hanno portata, portato di sopra allora visto che mia mamma conosceva della gente lì nella porta che erano dei graduati dentro al, a quel, al fascista, al fascismo e allora [unclear] sono andati giù e li hanno richiamato quelli lì. Han richiamato quelli lì e allora insomma è andato un po’ più a posto insomma così ma oramai mia mamma aveva, si era spaventata e ci era andato indietro il latte. Dopo questo qui dovevamo prendere [unclear] poi dopo c’è arrivata la guerra dunque quella la, quella la, la cosa lì come si chiama, le cose lì che hanno mandato fuori insomma i cedolini delle cose così no eh ma bisognava aspettare che mandavano fuori la roba nei negozi. Insomma è che, che ne ho fatte tante di corse ma non ho mai preso niente [laughs]. Dopo la mia mamma così, dopo mio papà nel ’39 l’hann chiamato su a militare, l’hann chiamato a militare ma lui dato che la, il militare l’aveva fatto anche quando aveva diciassette anni in Libia, ma era nella Croce Rossa. Nella Croce Rossa e allora c’è stato un coso insomma che mio papà non aveva dentro più i denti perché con il calcio del fucile hanno buttato fuori tutta la roba e allora insomma. Lì viene che allora dopo è venuto a casa e dopo si è sposato con mia mamma insomma così però nel ’39 l’hann chiamato su lo stesso che già aveva trentanove anni. E allora l’hann chiamato su lo stesso, era nella Croce Rossa che la Croce Rossa allora era al Castello Sforzesco. E poi c’avevano fatto un tesserino che c’era scritto proprio che lui, alla sera, se lo prendevano in giro, doveva andare in servizio, insomma così. Dopo insomma così, e dopo invece mio fratello quel, il secondo, non questo, il secondo, che a furia di andare, portarlo giù in, ehm, in cantina, con il freddo, una cosa, quell’altra, insomma è che c’è venuto una cosa al polmone. E insomma nel ’41 è andato. Nel ’41 è morto, allora mia mamma, sa insomma i dispiaceri perché, ehm, allora mio papà invece dopo si è ammalato lui e l’hanno portato al Niguarda. Al Niguarda perché a Baggio, dove c’era la cosa dei soldati, dei militari, doveva arrivare quelli della Russia, che erano mezzi. E allora lui praticamente era in un, in un posto insomma civile perché allora una volta il Niguarda era civile, non era come Baggio che c’erano tutti i militari. Beh insomma andato così, comunque non ha preso niente e amen. E allora io, quando c’è morto mio papà nel ’42 avevo dieci anni, è morto al 19 di marzo e allora la mia mamma ha dovuto venir via dalla portineria. Ha dovuto venir via e allora la, i miei zii insomma mi fanno: ‘Senti, adesso devi andare a fare qualche cosa’. E difatti sono, è venuta una mia zia in, lì a scuola e c’ha detto: ‘Guardi’, dice, ‘che mia nipote, c’è morto suo papà’. E difatti m’hann fatto il libretto di andare a lavorare e difatti sono andata a lavorare sotto i bombardamenti, sotto la, insomma tutto e allora abbiamo portato via mio fratello, mio nonno è venuto giù [clears throat]. Portato via mio fratello questo qui perché bombardavano sempre e allora io, anche se ero in giro, cercavo di scappare dentro nei negozi e così [laughs], ma lui altrimenti restava a casa da solo. E allora insomma l’abbiamo mandato via. [unclear], oh, faceva di quelle fatiche, che dovevo sempre andare o da sua sorella di mia mamma che abitava dopo Pavia o dalla, da mio nonno che era su a Bizzarone, provincia di Como, ecco, proprio sul confine della Svizzera, era lì. E allora con lui e il bambino e poi anche c’è andato su anche una mia cugina, era insomma e sono stati là e così. Oh, ma ne ho fatte di cose. E poi c’era dei ragazzi, io dico ragazzi perché difatti erano giovani, perché altrimenti li prendevano e li mandavano in Germania. E allora cosa fa? Li portavo fuori la da mio nonno e andavamo sulla linea della Svizzera e rompavamo la, come si chiama, la rete e poi li facevamo passare. Dato che noi oramai sapevamo gli orari che passavano, che c’erano i tedeschi. C’erano i tedeschi e passavano e, però dato che se vedevano noialtri bambini, ragazzi insomma così, non dicevano niente anzi, si fermavano: ‘cosa fate qui?’, insomma quel poco che dicevano. Ma eravamo lì che si tremava [laughs] perché adesso qui se si accorgono che li abbiamo mandati di là dopo. E insomma fatto un po’ di tutto, ecco, e tutto per prendere qualche cosa, per tirare avanti perché la fame è brutta eh. E non e che.
EP: Assolutamente.
EM: Ecco e [unclear] allora sono andati, e poi io dopo sono andata a, in un, una mia zia mi ha detto: ‘Guarda’, dice, ‘che c’è una sartoria, Neglia, che aveva [unclear], c’è ancora qui a Milano, che cerca le, una ragazza insomma così, se vuoi andare?, eh sì, [unclear] perché [unclear] e allora sono andata lì da loro. E lui aveva il fratello che era capitano dei, ah Madonna, come se ciama quel lì, di quelli che andavano in montagna, come si dice? Che scappavano in montagna, orca
EP: I partigiani?
EM: Ecco, sì, eh, non mi veniva. Eh, cosa vuole, l’età, ottantasei sono eh. E, e così difatti, era un capitano di loro. Però lui, io andavo là al mattino prima delle otto, eh, allora picchiavo la claire e lui sapeva che ero io. Allora si alzava, quando era qui a Milano si alzava e poi andava insomma così e allora noi io dopo andavo dentro io e tiravo su la claire e insomma aprivo i negozi. Ma viene che suo fratello mi dice: ‘Guarda, vai a casa mia’, che era arrivato lì, ‘che c’è una cosa da portare qui’. Però non mi aveva mica detto cosa c’era dentro. E allora lui abitava in piazza, lì vicino Piazza del Duomo che adesso la vietta lì me non la ricordo più. E vicino a Piazza del Duomo allora andavo, dunque da Via Plinius [Via Plinio], qui in Corso Buenos Aires, andare là bisognava fare quasi tutto a piedi perché i tram, poi tutte le volte che io dovevo prendere il tram suonava l’allarme, ecco allora a pie [blows her nose] scusi ma.
EP: Ci mancherebbe.
EM: A piedi, e allora vado là e sua moglie m’ha dato sta, in mano una cosa lunga così. Mi fa: ‘Guarda che c’è dentro di fare gli abiti’ ma sì, difatti c’era dentro, era tutto coperta di stoffa. Quando sono arrivata in negozio lui la desfa, la sfatta e poi fa così e lo apre, il coso che c’è dentro, il bastone. Non c’erano mica dentro i soldi [laughs] che se qualcuno sapeva, guardi, quante volte sono andata a finire che se mi beccavano non so dove andavo a finire eh. Perché loro, quella gente lì, non c’interessava se io avevo dieci anni, o se ne avevo quindici, o se ne avevo, perché loro eh, mandavano tutti dove là in Germania. E la, così e allora, beh, le cose sono andate così. Ma viene che, dopo, tornando indietro ancora quando mio papà è morto, c’era mio nonno, no, ci fa mia mamma: ‘Eh cosa vuoi’, dice, ‘tutti abbiamo la casa’, come per dire, ognuno c’ha la sua casa, ognuno c’ha i suoi interessi. E allora c’ho detto: ‘Va benÈ, io ho sentito, anche se avevo undici anni, dieci anni, non mi scappava niente, come non mi scappa niente adesso, e così. E allora sono. Poi viene che finisce così insomma la guerra è finita, quello che è e io ero abbastanza stanca di [unclear] perché ormai la guerra è finita nel ’45 dunque io avevo quasi quindici anni. E allora ho smesso di andare lì da Neglia perché ho detto qui a fare la sarta, a dire la verità, stare lì tutto il giorno non mi andava. E difatti sono andata alla, in una ditta che facevano le cartoline, i cosi per i sposi però insomma sono andata dentro lì e sono stata dentro mica male. Però la mia, insomma ho dovuto farne di tutti i colori, guardi, con mia zia, la sorella di mia mamma è stata operata d’un fibroma che era nel ’44. ’44 e lì mia mamma quando andava a trovarla, diceva il dottore: ‘Eh’, fa, ‘cosa vuolÈ, dice, ‘signora, sua sorella andrà fuori quattro anni (?)’. Mia mamma ha capito, ha preso la suora [laughs] meno male che c’erano lì dei parenti e l’hanno tenuta perché aveva una forza che non era tanto grande ma. E così e poi allora l’ha portata a casa. Allora io non ho potuto più andare a lavorare perché dovevo farci da infermiera, perché mia mamma, lei se vedeva una cosa guai sveniva. Perché lei se poi vedeva un dottore, con su il camice bianco, basta, era fatta. E allora insomma siamo, ho fatto l’infermiera e amen. Dopo sono andata ancora a lavorare dentro nella ditta che ero prima perché sapevano come lavoravo e tutto. E poi dopo quando, dopo mi sono sposata a vent’anni, vent’uno ho avuto mio figlio, ecco, però ne ho fatte.
EP: Una bella vita intensa.
EM: Sì. Ecco. Perché mio marito era un partigiano.
EP: Ah.
EM: Partigiano. E allora cosa faceva? Andava a che, a mettere i, come si chiama le, mettere su i fogli lì.
EP: I manifesti.
EM: Ecco, i manifesti, tutte quelle cose lì e sempre lo prendevano e allora la sottoscritta doveva andare là, pagare per farlo venir fuori. Sono andata avanti un pochino così, dopo mi sono stancata, ho detto, no, adesso vado con mia madre e porto dietro il figlio, come dì, ti te se arrangi, ‘e te t’arrangi’ perché un bel momentino ero stufa di lavorare sempre per dare la cosa agli altri e io ero sempre indietro, ecco. Perché dovevo, andavo a lavorare con le ciabatte e un grembiule nero, sempre, festa, giorno di lavoro io ero così perché per forza dovevo pagare quello che mi. Eh, cosa vuole, andando in giro a fare, diciamo le figure, io no e allora.
EP: Allora, io andrei un po’, ehm
EM: Sì.
EP: A chiederle alcune cose che lei ha tirato fuori finora, che mi sembrano molto interessanti. Ehm, prima tra tutte, un po’ la storia di papà, del suo papà. Come è successo il fatto? Quando è successo che, appunto, è venuto a mancare? Un po’, se può raccontarmi un po’ come è successa questa cosa.
EM: Sì, è successa che lui, dato che dormivano giù nella, nelle caverne lì, dei castelli, e c’era molta umidità e così e poi non mangiava troppo perché eravamo noi altri e se cercavano se aveva qualcosa di lasciarlo in casa. E così ha preso la, aspetta, come si chiama, la polmonite doppia e allora ha continuato così e insomma in, quattro settimane, quattro settimane è andato. Tanto poco che adesso, io compio gli anni al 16, al 19 è morto lui. Tornando al [unclear], al 15 c’è morto un fratello di mia mamma, lì nella porta, che andava, è andato su a trovare con mio fratello, a trovare la bambina che era su anche lei con mio fratello, là da mio nonno e è andato sotto il treno. Nel venire a casa è andato sotto il treno, lì alla Camerlata in, ecco. È andato sotto il treno perché lui, dato che era con la bicicletta e non se la sentiva così tardi di venire a Milano con la bicicletta, e allora è andato giù e c’ha detto al capo: ‘Guardi’, dice, ‘io, m’avete messo su la bicicletta perché domani mattina ce l’ho bisogno per andare a lavorarÈ. E lui, c’ha detto, sì, sì, in quella che dice ‘sì, sì’ fa così, il treno lì della Nord si chiudono i portelli, il basello si chiude. Caspita! E lì è andato sotto. Ecco, vede, ecco così e allora insomma uno per un perché, un altro per un’altro, hann preso tutti le cose lì nei polmoni. Eh, l’unica diciamo sono io e mio fratello.
EP: E a proposito di suo fratello Emilio, lui si è salvato perché è stato portato via.
EM: Sì, perché lo abbiamo portato via.
EP: Può raccontarmi un po’ come era la vita, appunto, di chi era sfollato? Come si organizzava?
EM: Quando era sfollato, allora mia mamma lei non, non andava fuori perché aveva il difetto che era nata senza, la cosa lì nella bocca, senza, come si chiama quello lì, il palato. E allora hanno cercato di mettercelo tante volte ma non sono mai riusciti. E allora dato che non parlava molto bene e allora ero sempre io quella che, che andava in giro perché lei non, se no dovevo esserci assieme perché lei se li domandava qualche cosa, noi oramai eravamo abituati a sentirla e allora capivo quello che voleva ma gli altri no. E allora insomma siamo andati, sono sempre diciamo corsa io, per questo, per quello lì, per quello là e via [laughs]. È stata qui fino a 82 anni. Pensi che quando ci è morto mio papà, si è, le si è staccato un embolo e l’aveva proprio qui, si vedeva, eh, proprio la goccia dell’embolo. Il professore che adesso si chiama Granata e adesso non c’è più perché era già un po’ anziano prima, c’aveva detto che doveva stare qui ancora sei mesi. È stata qui fino all’88 [laughs], guardi lei, dal ’42 all’88.
EP: In barba alla morte.
EM: Ecco, e c’era il suo, lì nella porta c’era un dottore che son venuti grandi assieme. E allora c’ha detto, ‘vedi’, che si chiamava Angela mia mamma, c’ha detto: ‘Vedi Angela, te sei fortunata che c’hai qui una ragazza che fa tutto lei’. E fa, ‘Pensa tÈ, fa, e io così c’ho detto: ‘Fermi dottore, lei mia mamma ci sono io ma dietro di me non c’è più nessuno [laughs] e allora io mi devo arrangiarÈ.
EP: Ehm, e quindi quando c’è stato da portare via suo fratello Emilio se ne è occupata lei di fatto.
EM: Sì, sì, portato su io, sì, sì, con la. E poi andavo su ogni tanto a trovarlo e dovevo fare Milano-Malnate. Malnate andare giù e prendere la tradotta, perché una volta c’erano le tradotte, non c’era la, la tradotta che andava su a Bizzarone, però si fermava prima, un paesino prima, a Uggiate. Da Uggiate a sù, là da mio nonno dovevo farla sempre a piedi [laughs]. Tante volte avevo la valigia con dentro quello che mia mamma ci mandava perché là non c’era niente e allora lei lavorava a Zaini e allora, il cioccolato insomma e il suo principale le diceva perché la conosceva, ci diceva: ‘Guarda, fa così, quando tiri su la roba per fare, per pulire i cosi dici, lascia lì qualche cosa e tiri su’, e difatti portava a casa i pezzi così di [laughs], fatti su dentro nel sacco. Ecco se non aveva quello lì non so se, forse forse se mi veniva anche a noialtri il male ai polmoni.
EP: Ehm, un’altra storia di quelle che ha raccontato, mi sembra un po’ interessante da approfondire. La storia del capitano partigiano, questo capitano partigiano che viveva di fatto clandestinamente.
EM: Sì, sì. Sì.
EP: Come l’ha conosciuto? L’ha conosciuto appunto nell’attività?
EM: Era il fratello di Neglia, sì, il fratello minore.
EP: E lei sapeva un po’ di cosa si occupava, cosa facevano con gli altri partigiani?
EM: No, lui, no, lui, così. Era solo che di notte, perché, guarda, tante volte avevano da discutere no tra loro perché insomma bisognava anche, mettersi d’accordo, perché sulle montagne qui in giro ce ne erano tanti, non è perché, e poi noi altri adesso così che io poi che ero sempre in giro. Guardi che la c’è la, come si chiama? Aspetta, ci sono i scelbini, noi dicevamo i scelbini a quelli dei, della camicia nera, guardi che ci sono i scelbini, di lì, di là, perché essendo in giro li vedevo eh, eh ma lo sa che andavano anche nelle case eh. Così anche noi lì al 12 in Borsieri che abitavamo lì, oh venivano lì a, dicevano sempre: ‘Signora, ma c’è il tale dei tali? Adesso, c’è quello lì, c’è quello là?’ Noi dicevamo sempre: ‘No, non l’abbiamo mica visto, ma poi era militarÈ. Noi facevamo sempre finta di non sapere niente. Invece erano cose che, invece erano lì. Sa che tanti, abbiamo tirato indietro le, i cosi lì come si chiamano, i, [sighs] quello lì dei vestiti.
EP: Gli armadi, le credenze.
EM: Ecco, gli armadi, perché noi là avevamo le cose, ah, come si chiamano? Che andavano d’un altra, cose bugiarde, no? Ecco, si chiamavano le cose bugiarde perché allora così tiravamo indietro l’armadio, li nascondevamo di dietro, eh, però con una cosa che loro stavano alti perché se quelli là guardavano sotto [laughs], li vedevano. Insomma, guardi, siamo andati in tanti di quei rischi che non so come faccio a essere qui ancora. Adesso non perché ma ne ho passate eh! E poi c’avevo detto dopo un, c’era venuto giù mia zia, sorella di mia mamma, di parte di Pavia, e loro erano sfollati là ma allora, mio zio, mia zia così con la, con mia cugina, erano sfollati lì, avevano la casa, fatto bene diciamo ma è bene che ogni tanto venivano giù, no? Per, così. E allora io ci dico: ‘Zia, guarda, adesso te devi andare a casa, stai attenta che se viene su il Pippo’ – perché c’era un aeroplano che – ‘che suonano l’allarme, non andare giù dal treno’. Sai dove ci sono le cose così, quelli lì sono, è ferro. Te vai sotto a quelle cose, alla, ai sedili, ai sedili vai sotto lì perché lì non passa la. Sì, sì, sì, sì, poi invece quando è stata lì dopo Pavia, è suonata l’allarme, ha visto gli altri accorrere, corre anche lei e difatti c’è andato dentro la pallottola di qui, è venuto fuori di là. Ma a me, dico la verità, non è mai capitato niente perché io stavo lì e dicevo, tanto se scappo, quelli là mitragliano. Eh è inutile che io vado a farmi mitragliare, per che cosa? Mi buttavo sotto, allora ero magra, ero [unclear].
EP: E si ricorda un bombardamento particolare?
EM: Ah sì, nel ’43. Nel ’43 noi abbiamo dovuto perché è venuto giù gli spezzoni incendiari, no, lì al Borsieri. Allora ci hanno fatti andare fuori dall’altra parte perché avevamo i picconi, le cose così, perché c’erano le case vicine, ma combinazione la, insomma era [unclear], che come, mhm. Insomma fuori dal 12 siamo andati con i picconi così, e abbiamo fatto neh e siamo andati al 14, ecco, perché altrimenti non si poteva, non si poteva venire fuori di qui. Perché i piccoli, incendiari, andato giù fino al secondo piano. E allora c’era tutto un, il fumo [unclear] perché nella casa c’è il mobilio, c’è e hann bruciato tutto e allora. E quante volte che chiudevo la porta, ‘mamma, vai’ e allora con la bottiglia dell’acqua, perché non si sapeva quanto tempo si stava giù, la bottiglia dell’acqua e il pane che se avevamo avanzato perché non sapevamo quando arrivavamo su [laughs]. Ecco, e allora, insomma così. E quando io stavo chiudendo l’uscio, proprio spezzone incendiario, proprio, mi è venuto proprio quasi a filo, tra me, tra me e l’altra signora che è la mia vicina di casa, ecco proprio lì è andato giù. Meno male, perché se mi viene sulla testa, non ero mica qui a raccontarlo.
EP: E nel quartiere Isola avevate un rifugio o c’erano i rifugi dentro i condomini?
EM: Dentro i condomini, sì, sì, come adesso. Adesso ci sono le. E noialtri, lì al Borsieri, al 12, sono venuti fuori i tedeschi a guardare, prima che succedeva, proprio il casino, ecco, perché il casino proprio è incominciato nel ’42, eh, quasi ’43 insomma, perché allora sì, venivano su, suonava l’allarme, erano già lì che mitragliavano qui alla, alla Bicocca [laughs]. Adesso non è per, e allora, , io tante volte se era di giorno, non mi muovevo neanche di casa, andavo lì sotto a quegli usci lì, cose, ecco.
EP: E negli spazi in cui andavate a rifugiarvi in condominio, c’erano un po’ tutte le persone del palazzo.
EM: Sì, sì, sì. Tutte.
EP: Che cosa succedeva dentro? C’era.
EM: Eh beh, sa, c‘era un signore che aveva la chitarra, no, e allora per farci stare lì, noialtri ragazzi insomma e così, e suonava e poi si cantava, no, tanto per [unclear] che ogni tanto si sentiva [mimics the noise of a low-flying aircfraft] da qui ci si spostava di là perché era la, la [unclear]
EP: L’urto proprio.
EM: Sì, l’urto del, perché lì in Via Pietro Borsieri sono venute giù tante eh perché con la scusa che c’era la, la Brera [Breda], c’era la ferrovia e allora cercavano, cercavano ma hanno preso solo le case, non hanno né loro, quelle lì che facevano le, i motori per gli apparecchi e tutto, quelli lì non l’hanno presa. Ma hanno preso le case.
EP: E si ricorda qualche canzone che cantavate nei rifugi? C’erano delle canzoni particolari o non so?
EM: No, tutte cose che se mi sentivano, mi portavano dentro [laughs]
EP: [laughs]
EM: Perché era, adesso aspetti eh, [pauses] cantava: ‘la donna del DucÈ, in milanese però, ‘la donna del Duce, la fa una piruletta, e sotto c’era scritto, che era una bestia’. [laughs] Se mi sentivano, mi portavano via [laughs]. Ma lui con la chitarra ma dopo, dato che di sopra c’era uno che era nella Unpa, proprio che guardava quelli che quando non c’era gli apparecchi, quello veniva in giro, guardava che se vedeva la luce, noi sulle, la, le finestre avevamo le doppie, ehm, come si chiama? Le doppie cose così, no, nere, per non far vedere la luce e poi il straccio nero di sopra alla cosa, eh! Insomma [laughs] tutto per non far vedere perché se andavamo fuori e poi fare in fretta perché loro, uno dentro in casa che tirava subito la tenda, e insomma. Guardi, ne abbiamo fatte di tutti i colori.
EP: Beh, sicuramente il quartiere dove stava lei era un quartiere particolarmente vivace.
EM: Sì, sì, sì, sì, oh, eccome, eccome anche. Pensare che prima che, quell’anno lì che c’è venuta la guerra, no, ma c’era la ottobre, a ottobre non si sapeva ancora quello che c’era. Sì, sapevamo che c’era la guerra però. E allora era lì, era il giorno della festa della fontana, Santa Maria alla Fontana, ecco, perché noi era la nostra chiesa. E allora l’ultima volta che ho, che così, è venuto in giro, sai, venivano in giro i carrelli con su il, ah come si chiama, che hanno fatto vedere anche un po’ di tempo fa. Sul carrellino c’era una cosa che
EP: Una manovella che [unclear]
EM: Una manovella e dopo suonava dentro il, perché era fatto tutto di chiodi, no, però c’era
EP: La musica.
EM: La musica, insomma ecco, e allora prendevamo sotto il portone eh, si ballava, [laughs] eh, cosa
Volevo fare?
EP: [laughs] È giusto.
EM: E d’altronde non si faceva mica niente di male. Adesso invece non vanno in nessun posto. Vanno lì nelle cose però non sanno nè ballare nè divertirsi, noi invece con la stupidata ci divertivamo [laughs].
EP: Ehm, e mi dica un po’ signora Enrica, lei ha fatto le scuole sempre lì, in Isola?
EM: Sì, sì, sì.
EP: E come era la scuola lì?
EM: Ah, la scuola lì è sempre stata una scuola abbastanza buona insomma, ecco perché anche adesso la Rosa Govone ci sono tutte le, diciamo dalla prima fino alla terza media. Mio figlio l’ha fatta lì anche lui.
EP: E lei ha finito tutte le scuole lì?
EM: No, gioia, io ho finito che avevo dieci anni, basta. Dovevo mangiare e guardare i signorini lì, eh! Poi dopo [unclear] solo mia mamma non si aveva la, diciamo, i soldi o quello che è di andare, come tanti che stavano bene, si sono, sono sfollati di qua, di là e sono arrivati solo quando, eh, troppo bella! Noi invece con la roba, ‘ci sono le uova là’, si va bene allora [makes the noise of steps] via, quando si arrivava lì sulla roba, basta, dieci, dodici e poi dopo non c’era più niente.
EP: Ehm, lei si ricorda quando è stato dato l’annuncio che si entrava in guerra?
EM: Sì, è nel ‘39.
EP: E lei dov’era? Si ricorda un po’ la situazione com’era?
EM: Sì, sì, la situazione era che tutti dicevano che era la fine del mondo. Ci sono stati dei, [clears throat] come si chiama, dei conti qui a Milano che sono andati a finire a niente perché hanno venduto tutto e poi sono stati fregati perché la fine del mondo non è mica venuta [laughs]. Sì, a quelli che sono stati sotto i bombardamenti. Beh, quelli lì per forza, come quando è finita, prima di finire la guerra che qui a Gorla, alla, seicento e rotti bambini sono stati sotto. Mi ricordo eh, perché mi viene su ancora la pelle d’oca adesso [laughs]. Eh sì!
EP: [sighs] Ehm, quando appunto è stato dato l’annuncio, di, che si entrava in guerra,
EM: Ah sì.
EP: Come ne parlavano gli adulti? Appunto, c’era questa cosa che lei diceva un po’ la fine del mondo.
EM: No, ma ognuno.
EP: Ma voi ragazzini, ragazzi, bambini, cosa vi dicevano, cosa vi spiegavano?
EM: No, no, niente.
EP: Niente.
EM: La, le nostre, i nostri genitori, lei non sono come quelli di adesso. Non dicevano niente. Se sappiamo qualche cosa è perché si sentiva. Perché avevamo le orecchie che [laughs], come si dice, ecco. Ma altrimenti loro non dicevano mica niente, dicevano solo: ‘No, te fuori alla sera dopo l’orario non ci vai!’. Ma il mio papà tante volte mi diceva: ‘No, eh!’. ‘Senti’, cioè mia mamma gli diceva, ‘se vuoi prendere le sigarette mandala adesso che sono le sei, non alle otto’. Perché insomma non c’era in giro nessuno, però, e allora dovevo andarci a prendere le sigarette, facevo in fretta [laughs], perché. No, no, i genitori, i nostri genitori non dicevano mica niente. Noi non, adesso io che sono la prima, sono venuta a saperlo dopo, adesso faccio per dire che una persona doveva avere il bambino quello che è, ma non per lei eh! Ah, perché se no mi tirava dietro anche qualche cosa eh, non si poteva parlare come fanno adesso. Adesso ci sono le bambine lì di sei, sette anni, ‘ah, mia mamma è incinta, ah, mia mamma deve averÈ, oh! Adesso non è per, ma non si può a quell’età lì, adesso, eh! Io momenti che mi sono fatto il fidanzato, che avevo diciotto anni, a momenti momenti mi curava ancora [unclear], teste qui in casa, te va lì come, stava lì sul portone, sulla porta di casa, ecco. Chiacchierava con la gente ma ogni tanto veniva dentro a vedere perché non si poteva stare come adesso che vanno in campagna assieme, no? [laughs] C’erano tutte le regole.
EP: Eh, era diverso.
EM: E con le regole siamo andati anche abbastanza bene. Adesso non perché, perché adesso è proprio, eh, troppo adesso.
EP: Vorrei ritornare ancora un momento indietro e chiederle cosa, cosa succedeva al confine con la Svizzera. Lei prima raccontava che aprivate dei varchi nelle reti.
EM: Sì, sì, dei varchi nelle reti. Dopo lì mio nonno abitava proprio vicino alla, dove c’erano dentro i tedeschi, la, la, come si chiama? Che adesso, che adesso per esempio c’è dentro la Finanza insomma ecco, con la perché adesso ormai non c’è più. C’è dentro la Finanza, di sopra ci sono tutti i letti, tutte le insomma, è proprio una casa insomma, come se fosse. E allora dato che io, oramai con mio nonno così, eravamo proprio lì, si può dire a portone a portone, allora quando passavano con i cani, no, noialtri ragazzi, ‘ah, che bello, Tom, Tim’, insomma si chiamavano e allora loro venivano lì con il cane, insomma non c’hann mai fatto niente. Però se vedevano un adulto, allora [mimics a growling watchdog] ringhiavano, perché era, invece noi no. Dopo lì mio nonno era con una sua, era in casa di una sua parente, una sua cugina. E allora diciamo quella cugina lì aveva dei figli, delle figlie, e [unclear], andava, li lavavano, li stiravano le camice, eh sì tanto anche per prendere qualche cosa. Allora quando ci vedevano giù non, noi facevamo anche a posta, io, mio cugino, insomma così, eravamo quasi tutte della stessa età, e allora si, ‘Ohi, questo, Tom, Tim’, loro stavano lì a chiacchierare, intanto, magari avanti venti passi ma dato che lì è tutto un bosco, avanti venti passi c’era magari mio zio con mio nonno che facevano quel mestiere lì, ecco, allora noi facevamo le spie, ecco [laughs], facevamo le spie, se lo sapevano non so la passavamo liscia, eh! [laughs]
EP: Ehm, e lei cosa ne pensava da bambina dei tedeschi? Le facevano paura o [unclear]?
EM: Sì, sì, anche i ragazzi della mia età, eh, ragazzi proprio, che li davano, facevano i piccoli italiani. E difatti io, mio papà è venuto là una volta perché io facevo la, quando facevo la terza, no, mio papà c’era ancora. È venuto lì perché c’avevo una maestra che era una fascistona e insomma, a me mi lasciava sempre indietro perché io non sono mai andata vestita di piccola italiana. Prima di tutto, mio papà non voleva, perché non aveva lui la tessera del [laughs], secondo è che non avevamo i soldi abbastanza perché eravamo in tre, eh insomma, mia mamma quando faceva la portiera prendeva centosessanta lire al mese. Adesso prendono i milioni e non ne hanno abbastanza ancora [laughs]. E dovevano stare lì dalle sette del mattino fino alle dieci di sera. Adesso fanno otto ore sì e no, oh, pare che facciano tutto loro. Mia mamma aveva tre scale là da fare e senza i ballatoi e tutto. Oh, non è, però insomma, ce la siamo cavata. Anche se io, se mi veniva in, ho cercato ma non li trovo, delle fotografie di quando avevo quell’età lì, no, [unclear] avevo i calamai fino a qui eh, altri quella di.
EP: Ehm, in quartiere Isola sempre, tornando a Via Borsieri, ehm, c’erano i tedeschi? C’erano i fascisti? Giravano i fascisti?
EM: Tutti fascisti.
EP: Tutti fascisti. C’era uno che si chiamava, era. C’era quell’altro che si chiamava, che aveva la sorella e quello lì non mi ricordo più come si chiamava. Li hanno uccisi tutti quando è finita la guerra, lì sulla, la cosa della, lì c’è in Via Sebenico, c’è la chiesa, ecco, e prima c’è un lavatorio. Lì sono pochi anni che hanno messo tutto a posto, perché prima c’erano dentro tutte le mitragliate di quelli che hanno ucciso. E sempre all’orario che venivo a casa io dal lavoro. Io già stare in fondo, perché allora venivo giù, col tram. Il tram faceva solo, qui in Via Plinius, la Via Plinius così, qui prendevo il tram, veniva giù in Via, qual’è che Via l’è quella via, Via, Via, Via, eh, non mi ricordo, che viene la stazione, basta, dopo non venivano di qui. Basta, girava tutto di là e andava a metà strada, a metà Viale Zara, dunque io ero tutto fuori, eh, ho detto: ‘Piuttosto di fare di là, faccio di qua e arrivo subito in casa’. Allora sempre a piedi, sempre, se avrei qui cinque centesimi, cinque centesimi, di tutta la strada che ho fatto, sarei millionaria.
EP: [laughs] E il 25 aprile se lo ricorda?
EM: Eh, sì, perché venivo a casa dal lavoro e sono arrivata lì alla stazione centrale perché il fratello di Neglia aveva avvisato, ‘Manda a casa tutti, perché interveniamo’, insomma così. E allora, ma quella che abitava più distante ero io perché da Via Plinius venire qui in Borsiere è un bel pezzo. Insomma, sono venuta via di là alle dieci. Sa a che ora sono arrivata a casa? Che è tutta strada diritta? Ma non ho potuto fare la strada diritta perché quando sono stata lì in Via, arca miseria, insomma lì in Duca d’Aosta, no, che la [unclear], qui c’è, ehm, petta come si chiamava quello lì, l’albergo che c’è lì così, proprio di fronte, di fianco alla stazione centrale, lì c’è un albergone grande. Questi sparavano su, quelli là sparavano giù, eh, e non ho potuto passare perché mi è venuto incontro un ragazzo che abitava lì verso Borsieri in Casteglia e mi fa: ’Signorina, dove sta andando lei?’. E vu dì: ‘Io dovrei passare e andare a casa, abito in Borsieri’. ‘Orca miseria’, fa, ‘allora’, fa, ‘tagliamo dentro di là’. E siamo andati fuori, dove c’è la, come si chiama quella là, quella zona lì. Arca miseria, quasi Porta Nuova, abbiamo girato dall’altra parte, insomma, e siamo andati lì. Arriviamo lì a Porta Nuova, non si può passare, perché lì c’erano le scuole, ci sono, sono ancora le scuole, e c’erano i, le camice nere, che prendevano tutti i ragazzi, così, e li portavano dentro perché insomma si vede insomma che avevano paura, non so di che cosa comunque. Allora lì c’era, dove c’è la finanza adesso, in quella via lì, ecco. Allora lì di dietro c’era giù la casa e allora cosa abbiamo fatto? Cammina cammina, e ci siamo arrampicati su sulla casa e siamo andati giù in Corso Como. Arriviamo lì in Corso Como, allora c’era il passaggio che la ferrovia, no, il coso lì e un po’ il ponte che andava giù in Corso Como. Arriviamo lì, eh, e chi, dalla Borsieri, dal fondo della Borsieri, sparavano dentro e questi qui sparavano fuori perché c’era lì la, quelli lì della, perché lì prima, una volta, lì di dietro insomma, c’era la Finanza perché arrivava roba di così, era tutto lì insomma, era smistamento ecco. E allora ma c’erano lì i tedeschi e allora, quello là sparavano fuori, questi qui sparavano dentro. E allora stavamo lì, no, a pensarci su, adesso qui, se facciamo tutto il giro da Carlo Farini e così, ma dopo là in Postrengo [Pastrengo], come si fa a passare? E allora in quella è arrivato due signori, no, un po’ abbastanza, e allora c’hann detto: ‘Ohè, anche noi abitiamo di là del pontÈ. Sì, va bene, allora tutti in quattro, prima uno e poi quando non si sentiva più a sparare, passava quell’altro perché c’erano le cose fatte dei muretti così, così, così insomma per le bombe, per la, perché se mitragliavano lei li correva in giro a quei muretti lì e insomma si cercava di. E difatti sono arrivata a casa alle otto di sera. [laughs]
EP: [laughs] Una lunga giornata.
EM: Una lunga giornata. Sono venuta via di là alle dieci del mattino. Mia mamma che non, era lì che continuava ad andare avanti indietro, non sapeva più cosa, cosa averne in tasca, ti te se, te non sai più cosa ce n’hai in tasca ma io che sono stata lì.
EP: Prima di andare verso la nostra conclusione, volevo chiederle, come mai chiamavate le camicie nere scelbini?
EM: Eh perché, ehm, come si chiama, portavano come un fazzoletto, come una cosa, che, e poi avevano su il coso del fascio, che la roba proprio, perché la, loro la. Allora disevano, uhè, ghe scelbini, perché se ghe disevo, miscimis, [laughs] capiven. Invece a dire scelbini [laughs], noi sapevamo che erano loro.
EP: E adesso le faccio due ultime domande che riguardano proprio chi bombardava. All’epoca, lei che era una ragazza, insomma una ragazzina, insomma
EM: Sì, una ragazzina, ma [unclear]
EP: Sì, che cosa pensava di chi bombardava, di chi buttava giù le bombe?
EM: Eh, si pensava appunto di dover dire: ‘Ma caspita’, vu dì, se vengon, ma si diceva, se vengono dall’America e così, e passavano sopra la Svizzera, eh, per venire qui. Perché io, quando dormivo al letto, con mia mamma, ecco, io, prima che loro suonavano l’allarme, io ero già su eh, li sentivo, io. Se c’è una cosa, io, avere la testa sul cuscino, io la sento. Ancora adesso, eh. Vede, tante volte mio fratello mi dice: ‘Ma come fai a sentire?’ Eh, la sento! Arriva la, tante volte sento che svegliano. Arriva la croce rossa, ma come fai a sapere? Eppur, mi alzo, dopo si sente. È una cosa che subito sento.
EP: E a distanza di tanti anni, che cosa pensa adesso?
EM: Eh, penso che, che era meglio che non facevano niente perché di cose, e poi ancora adesso, quando apro la televisione che sento certe cose, guardi, adesso non perché ma adesso non fanno più quelli che facevano prima, però sono lì eh! Sono lì! Perché prima, quando in tempo di guerra, i giovani se li prendevano che avevano venti, ventuno anni, no, così e la mandavano a Villa, spetta come si chiamava, a Villa d’Este, sa dov’è la Villa d’Este qui a Milano? Vicino al, mamma mia, che memoria che [unclear], ce l’ho ma non sono più capace di, a Musocco, ecco. Musocco, sulla destra, eh, andando così a metà strada di Musocco c’era una, una caserma, una casa, lì, quello che è, e allora una volta di lì passava un fossetto, un fosso insomma, e lì dicevano la Villa d’Este perché ogni tanto trovavano qualcuno e lo buttavano fuori dalla finestra, dentro nell’acqua perché, tutto perché? Perché volevano, ma non tutti sapevamo che, perché sai sentivano per televisione, per radio, no? La radio bisognava sentirla ma nascosti, lì tutti con le orecchie così perché se mi vedevano, mi sentivano, guai! Venivano in casa, distruggevano tutto, eh. Altroché, bisognava stare attenti come si faceva. Se una persona guardava due volte, mettiamo, uno di loro, il fucile veniva giù dalla spalla e facevano quello che dovevano fare. Altroché.
EP: Va bene. Io la ringrazio moltissimo signora Enrica perché possiamo interrompere adesso.
EM: Sì, sì.
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Title
A name given to the resource
Interview with Enrica Mariani
Description
An account of the resource
Enrica Mariani recollects her wartime experiences in Milan: her brother dying of bronchitis after spending too much time in the shelter and her father working in an armaments factory. The aggressive fascist militiamen and the long hours she spent in the shelter listening to a man playing the guitar and singing songs mocking the regime. She recalls her partisan husband, who was repeatedly jailed for spreading subversive propaganda material. She describes the 1943 bombings when she narrowly escaped an incendiary. She remembers working at a very young age as a seamstress, following her father’s death and her mother leaving her job as a doorman. She stresses the social divide among evacuees: the better off were afraid to lose their wealth while working class people had a fatalistic, resigned attitude toward war. She discusses helping people fleeing to Switzerland by breaching the border fence, as to avoid detention as military internees in Germany and describes draft-dodgers living in hideouts. She recalls how she was able to sense incoming aircraft well before the alarm sounded.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Erica Picco
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-12-09
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
01:03:49 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AMarianiE171209, PMarianiE1701
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Po River Valley
Italy--Milan
Italy--Bizzarone
Switzerland
Italy
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1943
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
bombing
childhood in wartime
evacuation
fear
home front
incendiary device
perception of bombing war
Pippo
Resistance
shelter
-
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Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Bergomi, Ferruccio
Ferruccio Bergomi
F Bergomi
Description
An account of the resource
One oral history interview with Ferruccio Bergomi who recollects her wartime experiences in the Milan and Mantua areas.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-02-23
Rights
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Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Bergomi, F
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
EP: Ok, comincia. L’intervista è condotta per l’International Bomber Command Centre. L’intervistatore è Erica Picco. L’intervistato è il signor Ferruccio Bergomi. Siamo in [omitted] a Milano, oggi e’ 22 febbraio 2017, sono le ore 16. Presenti nella stanza sono Zeno Gaiaschi e la signora Redaelli Rita, moglie del signor Ferruccio Bergomi.
Va bene possiamo cominciare. Innanzitutto per cominciare, per avvicinarci al tema di questa intervista le chiedo quale è il ricordo più lontano che ha della sua infanzia, prima ancora della guerra.
FB: Ah prima ancora della guerra? Ce ne sono molti. Mi ricordo ancora tante cose. Prima della guerra, nel ’40 dice?
EP: Si. Prima che cominci la guerra dove era, cosa faceva…
FB: Ho capito.
EP: …chi erano i suoi genitori.
FB: Perché io son nato in via Pellitti, al 3 che è qui a Precotto. Son nato qui in via Pellitti al 3. A un anno e due mesi mia madre è venuta in questa casa qui perché ha comprato un negozio di frutta e verdura. Perciò io che son qui è già ottantuno anni. Pensa un po'. E mi ricordo che dove son nato là in via Pellitti, mi ricordo solo, non avevo neanche un anno, una macchinina piccola. Sai quelle come quelle di Topolino con i pedali che guidavo nella via. Basta mi ricordi lì, perché dopo son venuto qui. Quello lì è quello più lontano che mi ricordo, poi qui c’è altra roba.
EP: Quindi i suoi genitori avevano un negozio di frutta e verdura.
FB: No.
EP: Solo la mamma.
FB: Mio padre lavorava alla Breda, mia madre lavorava alla Pirelli quando è venuta a Milano. Poi andava a fare un altro lavoro in Porta Venezia. Perché le al suo paese che sarebbe Cannetto Sull’Oglio, provincia di Mantova, nel mantovano, là c’era la ditta, la prima ditta italiana delle bambole, la Furga perché in Italia è stata la prima ditta la Furga. E lì lavorava dentro, imparava tutto della bambole, non bambole così. Allora aveva imparato, io mi ricordo che da piccolo qui che avevo cinque o sei anni, avevo in casa, ha presente le teste di legno per i cappelli? Ecco, lei faceva, modellava i cappelli, modellava in questo negozio qui di via, di Porta Venezia come secondo lavoro. Dopo è venuta qui, è venuta qui, ha comprato la licenza di questo negozio e andavo al mercato ogni mattina, al mercato all’ingrosso eh, al verziere, che sarebbe là a Porta Vittoria dove c’è la Palazzina Liberty, ecco là c’era il verziere. Adesso è Marinai d’Italia, piazza Marinai d’Italia non lo so. Beh comunque ogni mattina andava, lei. Ma io ero piccolo ed ero qui. Se devo raccontare la mia gioventù qui che giocavo, cosa facevo, noi qui era un disastro. Perché qui prima di tutto le macchine passavano in Viale Monza, perciò qui passavano solo cavalli, cavalli e perciò noi giocavamo sulle strade. Ci son due vie qui, quelle di lì via Ottaviano Vimercati e la via Pericle erano due vie private, due pezzi di via. Noi giovano in mezzo alla strada. Si giocava, mi ricordo sempre, con la rella che sarebbe la lippa, quel bastone che si tirava, e giocavamo con i miei amici, tante volte si rompeva un vetro, e i miei amici siccome erano più poveri di me siccome io avevo il negozio, mi assumevo la responsabilità io che avevo rotto e allora mia madre pagava. Poi si giocava con le cicche, le palline, le biglie su per strada. Si faceva una buchetta e chi tirava dentro più vicino vinceva. Ma eran tutti giochi da ragazzi che adesso gh’en più, non ci sono più perché? Perché con la modernità adess è tutta roba elettronica, eh! Noi facevamo con le scarpe, le scarpe di, che ci metteva le scarpe di cartone, facevamo dei ritagli con un buco stretto, un buco più largo e a forma che passava la biglia, la pallina e da distante si tirava. Allora si dava un numero, tre palline, due, dipende da come era stretto il buco si aveva più, si prendeva più cicche insomma, ecco. Quello lì era un gioco, ma ce ne erano diversi, vediamo se mi ricordo qualcosa d’altro che si faceva, ne facevamo un mucchio. Io poi mi ricordo che in piazzetta qui, qui c’è una piazzettina piccola, mi ricordo, perché qui erano tutti prati, erano tutti prati eh, lì c’erano tutti i fossi, fossi alti, profondi 40 cm, c’erano rane, si andava sempre a rane, qui c’erano le rane, i butaran, i sanguét, se l’era l’alter? Le tarantole, c’era un mucchio di talpe, la talpa che faceva i buchi così. E si andava a rane, pensa si andava a rane. Qui dove abito io, sotto qui, c’era un negozio di merceria. La mamma di questa signora qui, gli piacevano le rane, perciò noi andavamo a pigliar le rane e poi le portavamo qui e lei ci dava una lira. Però cosa succedeva che lei voleva tutte le rane a una misura giusta, cosa dobbiamo fare? [laughs] Si dicono delle cose. Qui esempio c’era una stalla, perché lì c’era una cascina e c’era la stalla. Allora nun andavam a tœu de specie de, ‘ndu El gh’era tuti, lei non sa, ‘ndu el gh’era tuti i melgasc, i melgasc sarebbero le foglie delle pannocchie, che poi num li ciamun a Milan i lœuv, i lœuv, e lì c’erano delle specie di cannucce piccole, e allora num gonfiaum la rana dedree e la tiraum tutt’istèss per prenderla, cose che si facevano e che adesso non si, quelle cose lì neanche da dire, per dire no? I bambini d’oggi più che elettronica, ma d’ingegnosità delle cose [emphasis], num andaum a studia el balun, el carelot, num el ciamavan carelot, una specie di, come dire, c’avevamo il manico così poi c’erano delle sfere sotto così, si spingeva, ma [unclear] insomma si cercava di passare il tempo in quella maniera lì. Un’altra cosa che mi ricordo, ero in piazza, che ero un po' un monello, monello nel senso che ero un ragazzo vivo. Mi s’eri vun che l’era minga bun de star fermo, l’era tut un moviment, l’era tut un moviment, come tutt la vita. Sto fermo adesso perché ormai, riessi pù a far nagòtt. Comunque là mi ricordo che qui c’erano i prati, siccome all’inverno i fossi erano larghi così, profondi così, quando si andava sotto gelo, gelava l’acqua e noi sciavamo su lì, capisce?, dopo non ce ne accorgevamo che qualche giorno la temperatura andava giù e non teneva più il ghiaccio e allora andàum dentro in de l’acqua. Ma qui, quello che è qui, che ce l’ho ancora adesso sul palato, qui si scivolava perché c’era del ghiaccio in piazza, si scivolava. Io avevo uno zufolo, sarebbe quello, ma era quello di latta, ma nel cadere mi si è infilato qui no, può immaginare,no?. Mi han purtà all’ospedal e là m’han dà set u vot punt. Mi mader andava fœura de mat, poi io son figlio unico, può immaginare, ne fasevi de cott e de cru, ne fasevo. Un’altra cosa che mi ricordo, qui c’erano tutti i prati, da Gorla le persone venivano alla Pirelli a lavorare, col semenza, a piedi o in bicicletta qualche volta, lì a piedi venivano un sentiero che c’era una via lì che poi si fermava, venivano. Io abitavo, abito sempre in questa casa, ma abitavo sopra il negozio, che il negozio era in questa casa, abito sopra di là c’era il balcone. In tempo di guerra gh’era una fam che finiva pù, alura sul balcun gh’aveum dü oc, due oche. Io mi ricordo che mia madre, io tenevo la bocca aperta, no! lei teneva la bocca aperta e io le mettevo la polenta per ingrassarla. Queste oche quando passava la gente per strada, ehm, come dire facevo chiasso no? Allora la gente rideva ‘Oh guarda le oche sul balcone!’. Sembra una stupidata, ma c’era, era la verità. Anche quello lì è un ricordo. Poi vedem se gh’e n’è di alter, gh’e n’è mucc de ricordi, ogni tant me sogni de not poi dopo adess la testa la va via, mi ricordi al moment poi dopu mi ricordi pù. Se volevi di, gh’era un’altra roba che volevi di. Poi in tempo di guerra no? Tempo di guerra noi eravamo qui, ragazzi di sette e otto anni. Qui c’era la stazione di Greco, c’era lo scalo merci, gh’eran i tedesch, arrivavan tuti i vaguni pien de roba e num, si i tedesch, se vedeven quei grand che rubavan la roba i sparaven, ma che sem num che serum set, serum fiœu, sparaven si ma per aria, sparaven no adree. Perché ehm e num andaven a cerca de ruba qualcosa perché si rubava. Li c’era la contraerea, contraerea, poi gh’era la Pirelli subit. Noi qui, io qui son stato sotto la scuola perché quel giorno lì si vede che gli apparecchi che bombardavano, l’intenzione era di bombardare la Pirelli o lì. Ma a quell’epoca là non erano precisi come adesso che mirano l’obiettivo e sbaglien no. La bastava set u vott segund, set u vott segund cun l’appareil vor di un chilometro. Ecco perché c’è stato quel disguido lì. Lì loro hanno sbagliato a aspettà e veni giò. Comunque tempo di guerra qui, in via Ruccellai in fondo c’era la contraerea. Noi avevamo come dire i sciuscià, set u vott an, noi qui vedevamo gli apparecchi che là mitragliaven e nun andavum giò, andavum là perché la quando si mitragliava le pallottole erano di ottone, saltavano via cinque o sei metri, noi le raccoglievamo e le andavam a vendere ai strascee, per guadagnar qualcosa, per guadagnar qualcosa. Sa come noi, ghe ne sta’, ghe ne sta’. Io vorrei dire tutto, ma non so se si più. Questa è grossa però. Qui c’erano tutti i negozi sulla piazzetta, di lì c’era un prestinaio. Questo prestinaio, aveva anche, eran tutti dei bazar qui. Mia madre poteva vendere per esempio il pane, la posteria vendeva a parte la rivendita di pane anche loro, tutta la roba, le licenze erano lunghe. C’era mia madre che aveva la frutta e verdura, erba e frutta, poi c’era la posteria, gh’era la pusteria e da la part de la gh’era el prestiné. Dunque el prestiné, che era il padrone della casa, il Bigiogera, ch’el ciamaven il Bigiogera, gente molto come dire, molto cattolica, molto, e difatti il figlio è diventato prete, Don Bigiogera, qui a Precotto c’è la via anche, gli hanno dedicato una via a Don Bigiogera, come gli hanno dedicato la via, dopo le dirò, a Don Carlo Porro che è stato quello che è venuto a tirarmi fuori dalla cantina. Ben, ritornando, noi eravamo dei monelli. Qui c’erano tutti i prati. Cosa succedeva, loro lì avevano l’orto e nell’orto avevano conigli, avevano tutto. Lì gh’era el mur, el cancel, gh’era l’ort, noi cosa facevamo? [laughs] Eravamo in tre, ci davamo il turno, andavamo con tal trifœuj, trifœuj l’era l’erba per i conigli. Noi andavamo lì sempre verso la una quando la gente ce n’era poca, poca e loro erano a mangiare lì dove facevano il pane, non in negozio, erano là seduti, allora dü andaven delà ’eh sem chi sciura Bigiogera‘, perché loro ci davano sempre, e vün rimaneva in negozio e rubavum i sigaret, i pacchetti di sigaret. Se mettevum via, ma un pacchet eh! Ma siccome a quell’epoca lì lei aveva come panettiere uno scaffale a parte dove vendevano le sigarette, così. Ma in tempo di guerra vendevano le sigarette anche una, due, tre, sciolte le vendevano, capisce? Eh, figurati quando mancava un pacchetto, poi loro avranno avuto, secondo me, l’incasso a parte, tanti pacchetti dovevano trovare tanti dané in cassa, invece mancava sempre qualche, mancava sempre qualche soldino perché nun ghe rubavam el pachet, poi andavam in di praa e se mettevum a fumà. Dunque una volta ho toccato a me, loro già si vedeva che subentrava qualcosa già, disen impussibil, allora chela volta lì tucava a mi perché fasevam il turno, tucava a mi star dechi a mett i sigaret, quei li fan minga a temp a anda delà che mi son dechi, ste fet deli Ferruccio?’, ‘a mi nagott!’, g’avevi in man du pacchet de sigarett, vuna lu misa sotto de chi l’alter li musica sota chi…’ahhh brut …vedemm vedemm cusa te ghet li’… ‘mi nagott’ …alsi i brasc e burle gio il pacchet de sigarett. ‘Ghel disi a to mader’...u ciapà una batuda che la finiss pu. Chi gh’era l’ort, l’alter pachet l’u minga mulaa, allora in de l’ort e denter in de l’ort gh’era come se ciama, num ghe disen el pulé, il posto dove c’erano le galline, el cassinot era coperto di lamiera, una lamiera sopra l’altra, chel pacchetto chi me ricordi el nascudenvum sotto che la lamera li. Che la nott lì ghe vegnu giò un acqua che finiva pu e nun ghavevum il penser che ghe l’ha il pacchet de sigarett. A la mattina andem là e il pacchet de sigarett l’era bagnà da matti. Nun ciapem el portun in del prat e metter li a sugà e me ricordi che dopo quand l’era un po asciutto prendevamo e fumavamo, figurett quand un pacchett de sigartett quand tel bagnett e po tel fumett l’era diventa come dire forte. Nun avevun sett u vott an, un mal de testa riusivumm pu a sta in pee, un mal de testa che finiva pu. Chel fatto lì l’é andada insci, ma ho ciapà una batuta dopo non abbiamo più fatto niente. Il tempo di guerra tutti quei prati lì dove c’è la ferrovia erano della Finzi, della Finzi, che avevano la proprietà fino a qui, ma lur andaven anca a caccia denter lì tant la proprietà era vasta perché da qui fino a Gorla erano tutti prati. Lì c’erano tutti dei rovi che si vede che c’erano anche dei conigli che scappavano dechi e delà dei rovi… e nun em vist un di un cunili ‘curega adree!’ Curega adree, va denter in di sti rovi. Mi vu denter, me sunt stremì. U vist un pipistrell a gamba all’aria... e u dì ‘ma se l’è?’ ‘l’è un ratt’. Difatti la faccia è di un topo, con una gamba così in letargo si vede che era lì. Mi ricordo quel fatto li, me sunt stremì, perché qui all’estate fuori dove c’era la cascina lì c’era il lampiun e gh’eran tutti i pipistrell che giraven d’estat. E anche quel fatto lì. Comunque finita la guerra qui d’esempio qui gh’era la rœggia lì che veniva dechi, c’era l’acqua che andava dalla Pirelli e dalla Breda di là che veniva e andava a finire sulla Martesana, ma l’acqua prima della guerra, in temp de guerra l’era no spurca, ecco il perché noi lì c’eran le rane, butaran, c’era di tutto, mentre invece dopo la guerra ha incumincia cun i detersivv, cun i robb, l’acqua la sé spurcada e sparissen tanti robb. Comunque qui c’erano i fossi, noi andavamo a giocare. Si vede che, quando nel ’45, in aprile ha smesso, la gente, i fascisti hann butà via tutt i pugnal, buttavano via tuttii pugnali e rivoltelle gh’era denter de tutt in quei foss lì, noi andavano a prenderli perché eravamo lì a pigliare le rane dopo vedumm cosa el gh’era. Si raccoglievano, eh si! Ma c’è un fatto che voglio raccontare, era il 25 aprile, si la guerra l’era finida, io siamo a casa e vedo tutta la gente che va in Viale Monza , e mi disi ‘in due vann tutta stà gent’, alura vaga adree anca mi, da Viale Monza di qui fino a Loreto a piedi, ma tutt un mucchio di gente, va va va in Piazzal Loreto. In Piazzal Loreto ho visto, al principio di Corso Buenos Aires, venendo da Viale Monza a destra sull’angolo c’era un distributore di benzina e li c’eran tutti a gambe all’aria: Starace, Mussolini, la Petacci, tutti i caporioni gerarchici, set u vott a gambe all’aria che mi hanno fatto un’impressione sporchi di sangue. Te podet immaginass, mi quand u vist sunt scapà via, sun vegnu a cà, mia mader la me cercava ‘ma in du te se stà?’, ‘in due te se stà’, ma mi… bott de legnamè anca lì, la vureva no che andavi là, figures ti, andavi là dopo magari ehm, la me dava un qualcosa per andà al cinema. Ma pero’. Comunque anche lì. Un altro fatto finita la guerra noi andavamo da qui, l’è no cum adess che vann in piscina a imparà a nuotare e una roba, ghe n’era no de piscin chi, gheren sul in centro, i piscin chi gheren no, ho un imparà a balà, no balà, a nuotare. C’era un posto qui a Gorla dove c’è la Martesana, c’erano una specie de rœggia, la ciamavumm l’Acqua Alta, le davamo un nome, e li c’era un bel spiass, questa era profonda 50 cm. Si andava lì per imparare a dieci anni a nuotare, si nuotava a cagnott , nun disevumm a cagnott perché è come i cani. Dopo quando abbiamo imparato un po' siamo andati nella Martesana, che ha il naviglio piccolo. Lì, in quella piazza lì, non c’era mai nessuno in quella piazza lì. Quella mattina lì un mucc de cararmà, saren sta vott o des cararmà. ‘Ma chi in che la gent chi?’ Num gaveum des ann, ‘chi eren gli american?’. Num se s’erum curuius, se serum suscià, insomma gaveum des ann, serum curiuss serum dedree per anda suu un cararmà, senti un negher ‘scric, spirg, sprag, scracc’ [mimics English gobbledygook]. Nun una paura che finiva pù, u dì chi me la fu adoss. Insomma mi ha sgridato, e mi gu fa ‘menelich’, allora u fa inscì. U dì chel lì tira fora una spada, el me massa. E invece l’ha tirà fora una slepa che ciculatt lunga inscì , po' me la dada e ma fa inscì, me dì va va. Anche lì i ricordi eh insomma, avevo 11 anni, nem fa pecc che Bertold. Num in temp de guerra l’è no cume adess te pudevet no andà fora cà, nun andavum a scola, mi sun andà chi, vegnuvum a cà e mi mader cul negozi cume la faseva a curamm, me pader l’era a laurà me mader gh’era me nona, mi seri semper fora in mess al praa, sula strada però gh’era no i pericul che gh’era adess, adess te podet no mett un pè fora cà se te stè eminga guardà te tiren sota e bundì che tu vist. E insciii l’è pasada fin a des an, dopo cosa l’ha vorr savè ghe né tante, ah un’altra roba la stasiun de Grec ho detto che c’erano le merci, pasaven de chi i carr cui cavai, i cavai gh’aveven i carett dedrè lung avert, e caricavano le balle di, grosse di, come si chiama, di lana, di lana ancora vergine. Noi cosa facevamo? Il temp de guerra ghe n’era minga de materass chi. Andavamo in ultimo, il cavall l’era davanti e il carr l’era lung e nun serum dedree, gaveva la frusta. Nun cusa faseum? Con un cultellin tajavum un angul e tiravum fora sta lana grezza, e pian painin da chi andavum fina chi sul Vial Munsa, quando si arrivava lì, che ciamavum Villanova, adess se ciama pù Villanova, dove c’è, dove c’era il Gaetano Pini, di lì dovevano lasciare stare perché di lì c’erano quelli delle case popolari che andava avanti loro nella via perché noi con loro eravamo sempre in guerra, noi da qui l’è semper star paes cun paes, perché era un paes, era sotto Milano ma l’era ancora un paes, paes cun paes. Gh’era sempre, tiravum la sassaiola, quando noi dovevano andare a Gorla, se eravamo quattro o cinque andavamo, ma andare uno solo o due non rischiavamo, perché l’era semper una guerra, bott, eren bott che se ciapava, e po' dopu se schersava. Se posso dire quella cosa lì, voi dopo la potete tagliare dopo?
EP: Si lascia così com’è. Quindi se lei
FB: No, non è che sia una cosa, però insomma. L’è mei de no, l’è mei de no, se schersava semper. Quelli di Gorla cun quei de Precott, perché insomma m’il disi…
Unidentifiable speaker: No, no.
FB: Si m’il disi. Se scherzaven e me diseven ‘i pilot de precott van in gesa a vott a vott, vegnen fora a du a du, cun la merda tacà al cù’ [laughs]. A quell’epoca lì era così insomma. E poi dopo si va avanti e qui fino a dodici anni. Dopo a nove anni è successo questo, che sono rimasto sotto la scuola, facevo la quarta allora, quando è suonato l’allarme, quel giorno lì abbiamo appena appena fatto in tempo, noi siamo stati l’ultima, ad andare in cantina nel rifugio sotto che porta al rifugio gh’era il maester, ho sentito ‘zin zin’, tutte le luci così con gli spostamenti d’aria, perché noi lì se le bombe andavano su là serum mort tucc cume a Gorla. A Gorla li hanno presi tutti sulla scala, eran tre piani, perché come dico non era ancora da finire l’allarme che erano già qui a bombardare, han bombardato. Lì da noi qualche anno fa, des anna fa, han fa lo stabiliment lì visin a 50 meter, e avevan trovato ancora una bomba di quelle lì che avevano sganciato in tempo di guerra, l’era alta du meter con un diametro inscì. Comunque sono venuti tutti, vint, trenta, quaranta meter dala scola, in torno [unclear[ e noi sotto lì tutt’un buio pulver e bumb. Chi cosa sem? Gh’é passà cinq u des minut, ho visto che dal finestrino ha rotto il vetro del noster, don Carlo Porro quando ha visto che [background noise] ed è venuto a prenderci, io ho visto la luce là, sun stà vun dei primi a vegni fora, ho camminà sui test di tutt i alter e sun andà e sun vegnu fora. Uscendo dalla scuola appena fuori dal cancello, c’era una bomba, si vede un buco di una bomba di un diametro grosso pù se gross de che la stansa chi, con un cavallo, un cavallo morto sull’orlo lì. Questo in Viale Monza, dall’altro, Viale Monza una volta c’era qui Viale Monza e qui c’erano i binari del tram. C’era il tram perché il binario del tram, una volta cosa c’era? C’era il tram che faceva scalo, faceva, come dire, fino a Sesto San Giovanni alla Marelli e si fermava e lì c’era il deposito e si fermava, da lì veniva a Milano e veniva a Porta Venezia, e lì faceva anche lì lo scalo. Mentre l’altro, ce ne erano due, l’altro andava fino in Piazza Domm, in Piazza Domm el girava, el turnava de chi, el faseva la stessa linea del vun, però se fermava no a Sest, ma andava a Munsa, fino a Monza quello là. Invece questo qui aveva, la, la. Comunque noi io mi ricordo perché ho fatto, andavo a Sesto a scuola, quarantases, quaratasett, la prima cummercial, la secunda cummercial, andavamo a Sesto e mi ricordo ci fermavamo al rondò e proprio davanti, no al rondò, se fermuvum al Campari, davanti al Campari la fermada, lo stabilimento del Campari, quello originale, adesso l’hann rimudernan, han fat el labutratori, mi sun no cus an fa, ma me ricordi che un an, perché poi lì c’è una via a parte che portava portava alla scuola, quella scuola lì era una scuola della Breda. Mio padre lavorava alla Breda, allora tutti i figli che avevano li mandavano lì, se potevano. Perché ero andato qui in Via Settembrini a Milano ma il posto non c’era già più, eren tutt uccupat e alura sun andà lì, quella via lì mi ricordo, quell’anno lì ha nevicato, quaranta ghei, mi ricordo che andavamo e facevamo le belle statuine, in pee ci buttavamo dietro, c’erano quaranta ghei de nev, tanto per dire. E quello per divertirci, non per nient’altro. E lì è passà anca lì. Vedem se ghe n’è anca mo, perché ghe n’è tant. Mi ormai ho perdu la memoria.
EP: Io volevo chiederle, in particolare, cosa succedeva dal suono della sirena in poi. Cioè, cosa facevate, come vi organizzavate proprio?
FB: C’eran i maester che portavan giù le classi, quando ha suonato. Ma non appena ha finito da suonare, erano già qui a bombardare. Ecco il perché, come dico, là li han presi anche sulle scale, perché là non è come qui che c’era un piano rialzato, chi l’è pian rialsà, là c’eran tre piani. Là come ha suonato si son messi a scendere in cantina in rifugio, eh, eh! Li han presi in pieno là. Chi ne masaven anche nun se le bombe andavano su. Cosa te vorret, gli spostamenti, quelle bombe lì grosse così. Noi qui, in questa casa qui dove abito c’era il rifugio, perché per le strade in tempo di guerra c’erano i portoni con le frecce che segnavano il rifugio. Quando suonava, uno si trovava in strada, quando suonava l’allarme dove si trovava in un portone che c’era la freccia, ma segnavano certe case, certe no. Perché qui, questa casa qui, è fatta di cemento armato sotto, perciò se la bomba cadeva dal tetto non riusciva ad arrivare fino alla cantina, magari l‘arrivava terz pian, prim pian, terz pian, segund, prim, e al pian terreno si fermava perché cun el cement che gh’era la cantina non riusciva. E quelle erano le case dove c’era più riparo, meno pericoli insomma. Eh ma tanta gente che veniva, quando si suonava, ogni volta che suonava l’allarme scapaven tuc. Una volta poi i cortili come noi qui questa casa qui di ringhiera con il cortile, era aperto, la gente ad esempio aveva i bisogni per strada, adesso te gh’et i bisogn per strada bisogna che te vet in un bar, che te bevet un caffè o qualcosa e poi quando le chiedi la chiave quella arriccia el nas perché sembra che, invece una volta tutte le case con i cortili tu entravi dentro e c’era proprio i cosi, gh’eran le turche però c’erano i servizi, una volta. Adesso invece...
EP: Invece riguardo alla giornata proprio del bombardamento a scuola, se può raccontarmi meglio che cosa è successo, in particolare dal momento in cui è avvenuto il bombardamento a quando poi alla fine è tornato a casa.
FB: Ecco, allora nell’uscire ho visto sto cavallo morto con la bomba. C’era il tram con i vetri tutti rotti. Sull’angolo della mia via c’era una donna morta che aveva in mano ancora del pane. Lei non so lei da dove è venuta adesso, ma dalla via Bressan a Viale Monza a venire in fondo, quando han saputo che qua han bombardato la scuola, tutta la gente qui, le mamme, venivano. E io son stato uno dei primi che veniva. Dondolavo un po'. Allora qui c’era la salumiera che aveva la figlia che aveva la mia età. La m’a incontrà a metà strada, ‘Ferruccio, la mia Giulia?’ ‘Ah mi so nagott, mi so nagott’, ero un po' intontito praticamente. Son quasi arrivato qui nella piazzetta a casa, mi son ricordato che ho dimenticato il cappello, stavo per tornare, pensa tì!, ‘te set mat, te set mat’. E difatti dopo mia madre mi ha preso. C’avevo un altro amico che giù si vede che qualche calcinaccio così, mes matun, l’ha preso nella testa. E qui in Via Ruccellai c’era la Croce Rossa, l’han portato lì e l’han medicato lì. Ma dopo s’en vist pù. Dopo la quinta elementare l’abbiam fatta qui dal Fantaursu. Il Fantaursu era una ditta che al mattino facevamo la scuola, al mezzogiorno c’era la mensa e certe volte la sera ballavano. Pensa tì che scola! Mi ricordì ch’el maester lì chissà che dispiaser. El sembrava ciuc tuti i dì. Chissà chel dispiasé ch’el gh’avrà avu chel om lì. Veniva da Monza. Comunque fino alla quinta così. Dalla prima alla quinta, no un momento. Prima e segunda l’u fata a Precott la scola, la terza in Via Russo a Turro, la quarta son tornato qui a Precotto, la quinta l’ho fatta qui in via Ruccellai. Quegli anni lì, da quando han bombardato la scuola, la scuola l’han fada pù dopo. Chel an adree l’han minga fada. Poi cosa c’era ancora?
EP: Eh volevo chiederle in generale aldilà della volta della scuola, se è stato altre volte in rifugio per degli allarmi, se le è capitato in altri momenti di stare nel rifugio e in generale che cosa succedeva dentro al rifugio.
FB: Ah, ecco. Adesso glielo dico. Prima di tutto in tempo di guerra tutti i tuoi beni che avevi, avevi la borsetta sul comò e quand suonava l’allarme la prima roba era di prender i tuoi averi e di andare giù. Noi avevamo qui una cantina che quando siamo stati giù nei tubi della fogna, di grezzo grossi così, noi eravamo qui seduti perché c’erano le panche di legno e sui tubi c’erano dei topi lunghi così, che erano lì così che ci guardavano. Perché qui finita la guerra, i ciaparat venivan avanti un mes coi gabi a prender topi, avevano fatto un buco in giardino lì. C’era il giardino, avevano fatto un buco in giardino, ma grosso, grossissimo. Prendevano i topi e li annegavano dentro là. Ma i andà avanti un mes. E dopo un mese, dopo un mese avevamo messo dentro quattro, cinque gatti alla mattina. Alla sera abbiamo aperto la porta e i gatti lì erano tutti lì aggrappati alla porta perché erano mezzi, mes scagnà insomma, mezzi morsicati perciò var tì i topi che c’erano, perché la fogna noi non è come adesso che è giù. Comincia dal terzo piano la fogna, la pattumiera, tu al terzo piano davi la pattumiera, arrivava al secondo, primo, piano terra e cantina. La cantina era una stanza, la pattumiera andava tutta lì. Perché i ruer quand veniven, i ruer veniven con el gerlo e butaven su la patumiera e gh’eran i topi così che veniven fora. L’era un disaster, un disaster. Mi ricordo sempre che io avevo giù una cantina che era grossissima, non c’erano cantine, c’erano solo le cantine di là e mia madre metteva tutte le cassette di legno. Quando andavamo giù con gli zoccoli, io andavo giù con gli zoccoli, quando salivo ero più alto dieci centimetri perché la cacca dei ratti si metteva sotto. Mi alzavo tanto così. Guarda che son ricordi che mia madre una volta mi fa ‘ho visto due topi [background noise], uno andar di qui, uno di là, mi fa vuoi vedere che di là nella casettina ci sono i piccoli?’
[Indistinct chatter and various peole talking]
EP: Riprendiamo l’intervista.
FB: In cantina, la pattumiera andava fino in cantina. El ruer con il carretto veniva a prendere tutta la e li portava su con il gerlo e li vuotava. Poi dopo la guerra ha cominciato a… Noi qui abbiam chiuso la pattumiera perché qui c’eran due pattumiere, una qui e una di là. Ecco perché c’è quel detto lì ch’el disen, se lei le fa caso, noi nei ballotoi qui, noi qui abbiamo i gabinetti fuori, la pattumiera e poi in fund gh’è la ringhiera. Allora quando si diceva scherzando ‘dove te abitet?’ ‘Abite in Via Cucumer la porta senza numer, in fund a la ringhera tra il cess e la ruera’. E infatti qui è proprio così, perché se tu vedi fuori qui ci sono i gabinetti, di là gh’è la ruera e là in fund gh’è la ringhera. Questo per dire, poi qui i locali son due locali. Una volta faseven stansa e cucina, non ce n’era d’altre cose perché i servisi gh’eren fora. I nostri servisi eren fora. Di là in fund gh’aveven i doppi servisi, perché gh’aveven du urinari. [laughs] [unclear] Così, poi di qui cosa c’era ancora.
EP: Volevo chiederle una volta finita la guerra che sensazioni le sono rimaste di lei bambino che ha comunque vissuto queste esperienze. Nel momento in cui è finita la guerra lei si ricorda proprio il giorno della Liberazione, si ricorda che cosa è successo.
FB: El venticinq april.
EP: E un po' come era il clima dopo la guerra. Nei primi periodi.
FB: Io dico la verità, come ho detto prima, il 25 aprile c’erano i carroarmati là, ma dopo io mi ritengo fortunato perché mia madre aveva il negozio e io per quanto la fame non l’ho minga patida, si c’era la fame perché lo zucchero l’era una melassa, una melassa marun per dire, il pane bianco non c’era, c’era la crusca per dire. Poi mia madre faceva della borsa nera eh, nel senso che aveva il negozio a quarantasette anni è andata due volte da Milano al paese che là avevano le zie e le sorelle e là uccidevano il maiale, là mi ricordo che il pane in cortile lo facevano loro nel forno, mi ricordi amò che gh’era el pus, l’acqua la veniva su del pus, mi ricordi che guardavi in fund e gh’era anche della erbina, perdio che vita! E da là portava a casa le uova con due valige, pane bianco, un po' di maiale così, sempre a borsa nera e dopo chi la vendeva? La vendeva un pù, l’era l’epoca inscì dopo la guerra. Perché dopo la guerra c’erano le tessere per andare a far spesa. Mia madre la gh’aveva muc de tessere de dà. Mi ricordo che apriva la cler del negozio alle quattro e aveva le patate, perché andava a prendere le patate in tempo di guerra dal verziere, e le davano si e no mezzo quintale di patate, lei apriva la cler, si era in due in famiglia mezzo chilo, se eran in quattro un chilo, tu non potevi dire dammene un chilo e mangiarne un chilo, li suddivideva sennò non ce ne erano per tutti. Eh insomma, la vida l’è fada inscì. Io dopo la guerra mi ritengo fortunato che come figlio e figlio unico non avevo come tanti, io mi ricordo che anche dopo che avevo quindici sedici anni mi ricordo che c’è stato l’alluvione del Polesine nel ’51, mi ricordo che è venuta qui una famiglia che ha abitato qui nella cascina in una stanza di sette o otto metri, erano in sette. Il maggiore aveva diciassette anni mi sembra, io tutte le canottiere, le camice andavano a finire a lu. Lu gliele passava agli alter fratei, per dirti no. Poi quando andavamo fuori io avevo sempre qualcosa, lui non aveva niente, allora andavamo in compagnia, non mi ha mai chiesto niente, pagavi semper mi, ero contento così e anche per la compagnia, non è che mi importava, per dire. Poi le cose son cambiate, perché dopo comincia il benessere del, come dire, del ’60, poi c’è stato il boom. Comunque il negozio di mia madre lavorava, dopo la guerra un disastro. In tempo di guerra mi ricordo la scena, c’era una specie, mia madre la vureva no che andavi lì, c’era una specie di barboni, e io andavo lì e le portavo sempre qualcosa [pause] la vuleva no, perché ogni volta che andavi lì poi son andato dal parrucchiere e gh’aveva tutti i pioc in testa, [laughs] avevi i pioc in testa, mi han tagliai i cavei e m’a mis el petroli in testa. Io ricordo che a quello lì gli avevo portato delle ciliegie, pensa te, e ne aveva mangiate due chili e l’è mort. I scires, butava minga fora il gandulin, mangiava i scires cul gandulin. Figuret cun la fam ch’el gh’era. Ma lui sarà morto anche, non per quel fatto lì, ma comunque quella volta lì, non mi ricordi neanche come se ciamava. Qui cerano due cascine, finita questa casa qui c’era una cascina, poi c’era un’altra cascina di là e quella c’è ancora ristrutturata. Di là c’erano le stalle e anche di qui c’erano le stalle. Mi ricordo e una volta l’era inscì.
EP: E i suoi genitori cosa pensavano della guerra, gliene parlavano, se ne parlava a casa di che cosa stava succedendo sui fronti, di cosa stava succedendo a livello anche di situazione generale.
FB: Guardi per la verità ne ho mai sentu discuter de la guerra. Eravamo tanto presi per le nostre cose che la guerra la gh’era e basta. Poi io ero figlio unico, ero lì, non è che avevo dei fratelli che, loro erano qui e io avevo degli zii qui, perché mia madre è venuta qui dal paese nel 1920 o 22 su di lì, perché là al paese non c’era sbocco, perché al paese era morto mio nonno. Mio nonno aveva una osteria là grossa, ma una volta l’era el massuan, uccideva i maiali, faceva un po' di tutto, l’osteria così. Sta persona andava a prendere il vino, andava a prender l’uva per pigiarla e l’han trovato a Ca’ de Botti, è un paese fuori Cremona, tra Cremona e, han visto il carretto con il cavallo che non c’era nessuno, son tornati e han visto lui che era là in mezzo a un prato lung e distess. Non si sa cosa è successo. Dicono che, mi ghe credi poc, sai quell’epoca là poi, dicono che nel coprire il carro dell’uva c’era il temporale si sono imbizzarriti i cosi, è caduti è passato sotto le ruote ed è morto dissanguato. Comunque una cosa che finita lì, difatti mia nonna con sette figli, a dar de mangià a set fieu, mi mader era la magiur, cheschi l’è mort nel quatordes, nel quatordes o sedes? Ha prosciugato tutto quello che c’era là, casa o non casa, io mi ricordo che dopo son venuti qui e han venduto la proprietà nel ’26 o ’28 là al paese, c’era un bel cortile. Io in tempo di guerra ero là, perché dentro la casa c’erano dentro le mie zie, le mie due zie, loro che erano là dentro, in tempo di guerra. Mi ricordo che andavo là dopo la scuola. Chi parlavi en milanes e là quand su andà là quando ritornavo a settembre parlavo il dialetto mantovano. Perché adesso ti dico una cosa, la verità, nun che serum chi a Milan in periferia prima che parlaum l’italiano fino a quasi dodes an parlavum tutti el milanes. Era difficile per noi parlare l’italiano pensa ti! Non come i merdionali che parlen el so dialet, ma l’italian. Mi prima di imparà qualche parola di italiano diseven di chi stravacat che finiven pù, diseven. [laughs] Perchè non riuscivo. Eravamo talmente, invece i miei figli si capisen un pù el milanes. Noi abbiamo sempre parlato milanes in casa, l’italiano el milanes, però tante cose i miei figli parlen no. Loro solo italiano.
EP: E per avviarci a salutarci, le faccio questa ultima domanda che riguarda i bombardamenti proprio. Volevo chiederle riguardo appunto ai bombardamenti cosa pensava all’epoca di chi stava bombardando. Si è mai chiesto da bambino come mai stava succedendo tutto questo.
FB: Quella è una bella domanda. Io so che c’era la guerra, cosa buoi? Mi chiedevo come mai bumbarden chi e minga là sul frunt?, in là sul frunt e cosa centriamo noi che siamo qui? Per dire! Le spiego una cosa. A Gorla che han preso e han ucciso quei duecento così, lei può immaginarsi i parenti delle vittime, le famiglie, i parenti, per generazioni, fino alla quarta generazione, in passà vin, quanranta, fin a sessant’an, lì c’era il partito comunista al boschetto, erano il 98% tutti comunisti, ma per forza i aveven su con gli americani che gli aveven burbardà, e erano tutti comunisti. Difatti lì c’è ancora la sezione adesso, perché tutte le altre generazioni, sa dopo passano gli anni e con gli anni i figli dei figli non han provato queste cose, non han sentito, va a finire che dopo la cosa diventa così. Ma i primi quarant’anni infatti qui a Greco c’era, come entravi dal cimitero, l’entrata così di qui e di qui c’erano tutti i monumenti dei bambini, tutti i monumenti dei bambini. Son stati lì su no quanti anni. Il pensiero era quello. Qui, non avevo nessun fratello che mi è morto, nessuno, cosa vuoi, la guerra è guerra. Però i bombardament l’è i bombardament. Io posso pensare, per forza i siriani ghe l’han su, ma gh’an minga neanche tant tort. Là continuano a bombardà, ma là ammazzan tuta gent che ghe centra nient, gh’è centra nient cun la guera. E poo i ammasen, per forza dopo gliel’han su con questo e con quell’altro. Bisogna anche guardare questo e non soltanto i fatti lì. Comunque mi a dir la verità, la guerra si è stata la guerra, eravamo bambini, si era mai fermo s’eri semper fora, l’eri un sciuscià, guarda a Napoli, se stavi a Napoli, eravamo ragazzi di strada praticamente e perché mi mader nel negosi la podeva minga stam adree, venivi a ca, mangiavi e andavi fora, tornavi alla sera, fasevi el bagn, el bagn nel mastel in curtil, con un sidel addos fasevi un bel bagn. Poi c’era qui in cortile c’era la tromba, mi ricordo la tromba. E la gente qui nella tromba c’era una coperta, c’era uno spiazzo che la gente andava giù a lavare quand gh’era giò vun, gh’era giò vun, quand gh’era giò l’alter gh’era giò l’alter. Andeven giò a lavà, in ca gh’era no la lavatris. Laveven giò, ma io vedevo che la tromba pompava così e veniva su dell’acqua pulita, gelata, buonissima, perché qui in queste zone qui noi giocavamo alle belle statuine. Sa cosa vuol dire le belle statuine? Con la creta, te andavet giò con la creta, dieci centimentri sotto gh’era la, come se ciama, la creta e si giocava così. Ecco perché qui, ciaman Precott anche per quel, perché qui c’eran delle, come dire, fabbriche di mattoni, per forza han trovato il terreno adatto per poterle cuocere e allora. Va bene.
EP: Va bene. Io la ringrazio moltissimo perché è stata un’intervista molto ricca. Possiamo interrompere la registrazione.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Ferruccio Bergomi
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Ferruccio Bergomi recalls his early life as a street urchin in the Precotto neighbourhood in Milan - describes monkey business, horseplay, fierce rivalries, melees, pilfering sundries and street games with friends. Gives an eyewitness account of the Precotto primary school bombing, when he was trapped under debris and eventually rescued by Carlo Porro. Compares this event to the Gorla primary school bombing, stressing how the explosions started immediately after the alarm had sounded, a fact that explains the high number of victims. Describes the appalling conditions of a private shelter, highlighting the menacing presence of big aggressive rats. Mentions his experience as an evacuee in Mantova. Recollects the end of the war, the arrival of the Allies in Milan and gives an exhaustive account of the life in a tenement with communal balconies. Recalls the day he saw Mussolini and other fascist leaders strung upside down in Piazzale Loreto. Describes briefly his post-war life, stressing how hardships lasted well into the fifties. Reflects on the morality of the bombing war, using Syria as a comparison. Stresses that the Gorla and Precotto districts were disproportionately inhabited by Communist voters, explaining this fact as resentment for being bombed by the Allied.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Erica Picco
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC DIgital Archive
Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-02-23
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Greta Fedele
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
01:03:00 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ABergomiF170223
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Po River Valley
Italy--Milan
Italy--Mantua
Italy
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1944-10-20
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
bombing
bombing of Milan (20 October 1944)
childhood in wartime
evacuation
fear
home front
memorial
Mussolini, Benito (1883-1945)
perception of bombing war
-
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256939ba01c61bf2c5e2007b8c645f83
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A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
EP: Ok. L’intervista è condotta per l’International Bomber Command Centre. L’intervistatrice è Erica Picco. L’intervistato è il Signor Guido Dell’Era. Nella stanza è presente Sara Troglio. L’intervista ha luogo in [omitted] a Milano e oggi è il 25 febbraio e sono le undici del mattino. Possiamo cominciare. La prima domanda che le faccio, come si è detto, partiamo da prima della guerra.
GD: Si’
E le chiedo, cosa faceva lei prima della guerra? Studiava? Quanti anni aveva? Come organizzava la sua quotidianità? Quali erano le sue impressioni riguardo a quel periodo?
GD: Prima della guerra, io ero studente. Sono stato studente fino a diciott’anni. Diciott’anni fino quando ho preso il diploma di geometra conseguito presso l’istituto, dunque, Carlo Cattaneo di Piazza Vetra a Milano. Per raggiungere l’istituto dovevo prendere il tram su Viale Monza, la linea Milano-Monza, scendevo a Porta Venezia, da lì prendevo un altro tram per portarmi verso il centro di Milano. Questo è il percorso che facevo, e l’ho fatto per parecchi anni, finché avevo finito la scuola. Il periodo significativo, cioè che ricordo bene è stato il 25 aprile del 1943, quando è stato defenestrato Mussolini e anche lì bisognava vedere le reazioni del popolo. Ricordo la stazione centrale, c’erano due fasci enormi di bronzo, sono stati proprio abbattuti [emphasis] completamente, e si sentiva proprio l’odio verso Mussolini perché indubbiamente, tutti quanti nel giugno del ’40 sembrava che fossero osannanti Mussolini, ah meno male perché, ci sembrava che fosse un motivo logico perché i tedeschi stavano invadendo tutta l’Europa, ‘come mai Mussolini non entra? ah deve entrare’. Sapevamo tutti quanti, lo sapevamo noi che eravamo giovani, che parecchie armi erano finte. C’erano i carri armati di legno per scrivere agli atti. Quando Mussolini ha invitato Hitler in Italia e ha fatto vedere che erano carri carmati di legno, i cannoni di legno, cosa incredibile. Siamo, per cui siamo entrati in guerra nel modo peggiore, tutto perché c’è questa fretta di voler agganciare, agganciarsi ai tedeschi perché, se per caso i tedeschi avessero vinto, noi saremmo rimasti fuori, invece partecipando è stata poi la nostra rovina. E adesso, diceva, scusi?
EP: Le chiedevo appunto, prima della guerra.
GD: Ah, prima della guerra, sì, sì.
EP: Prima proprio dello scoppio.
GD: Appunto, facevo questo dopo scuola. Poi c’è stata l’interruzione nel giugno del ’44 quando mi avevano chiamato per andare a fare lavori agricoli leggeri in Germania. Per cui sono rimasto da quel momento senza tessera, senza niente, ero un isolato, un disertore praticamente perché non mi ero presentato alle armi. E c’era il pericolo effettivamente che se per caso avessero beccato un qualche volantino contro il Fascismo c’era la galera, tant’è vero che un mio compagno di scuola, delle elementari questo di Sesto San Giovanni, Renzo Del Riccio è stato fucilato nell’agosto del 1943, fucilato in Piazzale Loreto, perché Loreto è diventato così famoso in seguito prima di questo omicidio, di questo fatto eh [pause]. Dunque della Svizzera ho già raccontato mi sembra, no.
EP: Ci racconti ancora, ci racconti meglio.
GD: Ho tentato di entrare, ah sì, ero entrato già in Svizzera attraverso il valico ferrovie dello stato sceso a Bienzone un paesino che c’è in Valtellina ho valicato questo pezzo di non dico di Alpi, di montagne, sono arrivato nel, in Svizzera e mi ha colpito molto avendo qui abituati agli oscuramenti a vedere questa vallata tutta illuminata proprio mi ha colpito in un modo terribile perché di la non c’era la guerra di conseguenza bisognava tutto. Dopo due giorni ci hanno rimandato indietro perché non potevamo. Comunque con noi c’era una famiglia, una piccola famiglia costituita da padre, madre e questo bimbetto, si sono fatti cura gli svizzeri di telefonare a Zurigo dove viveva questa nonna, l’hann chiamata e hanno preso il bambino praticamente è rimasta la bambina. Di cinque persone, beh tre sono rimaste, due prigionieri russi che erano con noi, il bambino e noi due invece, noi tre siamo venuti indietro. Io ho potuto riprendere la scuola, mi ero rivolto al presidente, al preside della scuola, ho detto, guardi che io sono nato a febbraio però se lei mi fa un documento come risulta dalla carta da me falsificata, è stato molto gentile tra l’altro, è stato molto comprensivo, e ho potuto finire la scuola. In quel periodo mi ricordo che erano venuti anche a fare propaganda, addirittura c’era uno, me lo ricordo come se fosse ieri, piccoletto, grassoccio con i baffettini, che faceva propaganda per le SS italiane, pensate un po’ che roba. Perché purtroppo in Italia in quel momento lì c’erano quelli che andavano alle SS, quelli che andavano alla Muti, quelli che andavano alla Resiga, insomma [pause] e in questo frangente mi ricordo che.
Unknown person: Scusi, io vado signor Guido, ci vediamo dopo. La chiave è lì al solito posto.
GD: Va bene, grazie ciao. Scusate che mi fermo ogni tanto perché devo fare un po’ mente locale.
EP: Ci mancherebbe altro.
GD: Sono passati troppi anni. E poi, dunque, un momentino, quando ho detto che ho lavorato per due o tre anni in un impresa di costruzioni a Sesto San Giovanni poi mi sono fatto la domanda all’ENI. Combinazione stavano facendo un pezzo di gasdotto e io ho spostato dei materiali di che [unclear] da parte voi ma esistono su alla SNAM, la SNAM non si sapeva cos’era di preciso e allora cosa ho fatto ho presentato domanda in Corso Venezia 16 e mi hanno assunto. Andavano a vedere però se una persona era a posto, se era idee politiche o altro, questo lo guardavano eh, il servizio del personale della SNAM. Poi, non so, l’ho già detto, sono stato all’AGIP mineraria in via Gabba, poi via Gabba siamo, tornati, andati tutti a San Donato Milanese quando San Donato Milanese è diventato grosso quartiere non solamente residenziale ma anche di uffici, hanno fatto il primo palazzo uffici, secondo palazzo uffici, vabbè insomma sono arrivato là. Io sono andato in pensione nel milenovecento, cento, sai che non lo ricordo, beh trentacinque anni dopo, dal ’50 all’86.
EP: Vorrei riportarla al periodo appunto dello scoppio della guerra.
GD: Sì.
EP: Innanzitutto volevo capire meglio la sua famiglia, se era figlio unico, se ha altri fratelli.
GD: Sì, figlio unico.
EP: E in famiglia, l’avvento della guerra com’è stato vissuto, ne avete parlato a casa, come, come è stato vissuto?
GD: Mah, cosa vuole, allora non si poteva parlarne a casa, perché eravamo un po’ inquadrati tutti quanti, no. Beh, io sono stato Balilla, sono stato Avanguardista, tutte queste, marinaretto anche a Milano va bene comunque [laughs] e abbiamo seguito questo però Mussolini era un grande uomo finché è venuto fuori tutte le magagne che sono venute fuori. No, io ricordo per esempio che il primo, nel giugno, non so esattamente se il trenta quando, il primo allarme d’aereo ecco, il primo allarme è stato una cosa scioccante mi ricordo dormivo e c’era mia mamma che veniva a scrollarmi ero in sonno profondo, ero giovane e dice ‘Guido guarda che c’è il bombardamento, c’era l’allarme allora abbiamo incominciato ad assuefarci agli allarmi aerei c’era la prima sirena, la seconda sirena, il pericolo grave, il pericolo non grave, c’era tutto un sistema. Milano, ecco questo, era circondata da batterie di contraerea. Erano cannoni che ci hanno forniti i tedeschi perché anche noi [unclear] andavamo a prendere le inferriate delle case, come a casa mia per fonderli e fare l’acciaio, figurati un po’ che l’autarchia . E quando venivano gli aerei entravano in funzione le batterie e sparavano, sparavano non si sa. Sembrerà che ci fossero anche i tedeschi a aiutarci a usare le batterie. Ho saputo poi che gli aerei, i cannoni arrivavano fino a ottomila metri d’altezza e gli aerei cosa facevano, stavano su una quota superiore per cui non si prendevano mai. Infatti in tutto il periodo di guerra mi sembra che Milano abbia abbattuto tre aerei, tre aerei, pensate un po’. Quando, quando è arrivato, quando sono arrivati dal, sempre dal sud arrivavano, a bombardare Precotto, eh quello me lo ricordo bene, i bombardamenti di Precotto, eravamo io e mio padre sul terrazzo di casa, un po’ incoscienti vediamo cosa c’è, abbiamo visto in cielo un gruppo di aerei ma erano parecchi eh sembrava che, da sotto sparavano ma, mah, dico chissà cosa sono poi abbiamo sentito come il sibilo delle bombe che scendevano e le esplosioni perché per la prima bomba che noi abbiamo scoperto qui da noi era a chilometri di distanza davanti alla chiesa di Precotto era scoppiata la prima bomba. Eh niente c’era un tram, mi ricordo, un convoglio tramviario che era stato bloccato perché c’era l’allarme ma non solo ma perché era stata bombardata la strada. Allora cosa ho fatto io, come mia madre era andata non so per quale motivi in comune, allora io parto alla ricerca di mia madre, speriamo che non sia su questo tram che è stato colpito. E sono arrivato fino a Porta Venezia. A Porta Venezia c’erano ancora le, i baracconi delle fiere lì, tiro a segno, altre giostre, ed era lì che c’erano tutti, guardate cosa è successo, a due chilometri di distanza è stato un bombardamento orca miseria lo sapevo io portavano adesso con i telefonini si sa tutto quanto ma allora e dico guardate che è successo sta roba ma no e dico purtroppo è così allora a piedi torno poi mia madre era riuscita a venire a casa da sola, siamo venuti con dei miei amici siamo venuti a piedi. Ecco un’altra cosa per esempio quando c’era l’allarme a scuola maggior parte cercava di fuggire, di non andare nei rifugi [unclear] per venire a casa, perche’ insomma e facevamo a piedi dal Carlo Cattaneo, Piazza Vetra fino qui a casa. Quando si arrivava a casa arrivava, finiva l’allarme e arrivava il tram, questo è un particolare. Serviva a noi per fare un po’ di ginnastica. Ecco. Vabbè
PD: Permesso, buongiorno
EP: Buongiorno.
GD: Patrizia, Ciao, Patrizia. Mia figlia.
PD: Buongiorno.
EP: Piacere. Possiamo riprendere?
GD: Sì, se volete possiamo parlare anche semplicemente di fatti politici. Perché prima abbiamo parlato, no del momento la caduta di Mussolini è stata il 25 aprile del ’43 e anche lì sfogo della gente perché insomma. E mi ricordo a Porta Venezia c’era ancora uno con i fascetti lì [laughs] ma scusi ma cosa sta facendo lei e gli dico guardi che non c’è più Mussolini dovrebbe averli al contrario [laughs] quello si è preso, è scappato via di volata, vabbè. Ecco invece nel bombardamento di Precotto cosa visto una cosa gravissima, sembra che sia stato un errore logistico cioè anziché prendere le ferrovie dello stato hanno preso il Viale Monza e purtroppo ci sono stati duecento e rotti morti al Gorla. A Precotto invece è stata colpita anche lì la scuola di Precotto infatti c’è ancora la foto, l’ho fatta fare io quella targa ‘scuola bombardata il 20 ottobre del 1944’. I bambini che mi dispiace perché avrei detto a un mio amico se vuoi venire lì per l’intervista era un bambino d’allora [unclear] però insomma fatto sta che grazie alla partecipazione di questo Don Carlo Porro si chiama questo, è intervenuto e altri cittadini che erano li, avevano aiutato hanno passato l’inferriata della cantina e hanno fatto uscire tutti i bambini. Come sono usciti i bambini, è crollato il rifugio antiaereo, che poi momento rifugio antiaereo per modo di dire perché cos’erano delle travi di legno con dei puntelli sotto, no, non c’era niente di particolare. E tant’è vero che Don Carlo Porro è stato insignito della medaglia d’oro al valore civile. Ecco poi andando avanti nel, in questo percorso che facevamo, mi ha colpito una ragazza giovane stesa sul marciapiede. Come pure anche un cavallo, pensate un po’ che roba, quel cavallo ce lo siamo ripresi, ripresi io e un altro mio amico che combinazione era di guardia alla stazione di Greco e dice ma ti ricordi eh? Mi ricordo quel cavallo, poveretto, era squarciato, tant’è vero che l’hanno accoppato subito, per non farlo soffrire [pause]. Ecco, il Viale Monza era, era come, vediamo, può girare la pagina c’era in fondo, ecco Viale Monza era così, ecco linea tramviaria, il percorso andata e ritorno e gli alberi. Era uno spettacolo, in estate sembrava di entrare quasi in una cosa, nell’aria condizionata perché questi rami che si riunivano in cima perché erano alberi molto alti quelli che poi fra l’altro gli alberi sono stati rubati [emphasis] in tempo di guerra perché non c’era niente. Non c’era carbone, non c’era niente. Ogni tanto si prendevano la fune, sotto con l’accetta, rompevano e facevano cadere l’albero e poi saltavano addosso come tanti topi a rosicchiare [laughs]. Insomma allora non c’era proprio più niente.
EP: Mi racconti un po’ meglio com’era il quartiere, com’era organizzato, come conducevate la vostra vita di ragazzi a quell’epoca.
GD: Allora questa zona qui di Milano, da Precotto arrivava fino a Sesto, era tutti terreni agricoli. I terreni agricoli venivano coltivati da dei contadini che risiedevano a Precotto [unclear] perché c’erano delle famiglie intere che venivano qui al mattino, i cascinotti , venivano a lasciare gli animali, facevano i loro lavori e poi alla sera ripartivano questo su con il cavallo, con le cariole perché c’è sempre un chilometro di percorso eh da qui a Precotto. I terreni erano coltivati dunque innanzitutto c’erano i bachi da seta perché ciascuna famiglia aveva un po’ il reparto apposta per i bachi da seta che rendevano qualche cosa, li portavano a Monza dove c’era il, come si chiama lì, il ricupero dei bachi da seta perché il baco da seta era un insetto un po’ schifosetto ma però eh era produttivo eh difatti in Cina per esempio la seta che ha uno sviluppo mica da ridere. Poi l’altra parte dei terreni erano coltivati a verdure. Infatti mi ricordo che c’erano gli asparagi, addirittura, insalate varie e il venerdì sera venivano raccolte questa frutta nei cesti, venivano lavati nei fossi che erano abbastanza fornito bene perché era l’acqua del Villoresi, sai, il Villoresi che usciva da Sesto e veniva qui da noi, si dischiudeva fino a Precotto. Venivano lavate le verdure e venivano portati il sabato mattina al mercato di via Benedetto Marcello, Via Benedetto Marcelo è abbastanza vicino a noi, e allora col carro portavano e vendevano i loro ortaggi e poi rientravano la sera, era una giornata abbastanza. Poi, momentino, poi molta gente invece lavorava negli stabilimenti che sono qua nei dintorni, tant’è vero che la fermata che c’era qui da noi in fondo alla nostra via la chiamavano l’agraria perche la Breda faceva macchine agricole ai tempi, poi si è messa a fare i cannoni, le macchine per, immagina l’agraria. Per cui tra le varie fermate c’era Sesto San Giovanni, agraria, Villanuova, che era a metà strada, e Precotto. Poi nel, quando hanno cominciato i lavori della metropolitana, ecco questo è un altro particolare, quando hanno iniziato i lavori della metropolitana, che qui in fondo c’era la rimessa della metropolitana, hanno scoperto ancora un paio di bombe che erano inesplose e c’era un maresciallo Bizzarri che si chiamava del genio militare, che era comandato qui a Milano, io l’ho visto personalmente proprio, veniva con una sua camionetta di carabinieri, scendeva con la sua chiave inglese, col petrolio perché lubrificava la parte filacciata, si metteva a cavallo e con la chiave inglese girava, un lavoro pericolosissimo. Non so quante bombe ha disinnescato, probabilmente lo troverete da qualche parte questo maresciallo Bizzarri perché è un personaggio troppo importante. E finiva il suo lavoro e senza prendere nessuna precauzione. Noi eravamo ragazzotti ancora e quella volta lì che era venuto eravamo tutti in giro a vedere. Imprudenza, eh, perchè successivamente i lavori che hanno fatto successivamente di disinnesco, adesso chilometri e chilometri li lasciavano completamente liberi eh. Era pericolo.
EP: E il gruppo di voi ragazzi, eravate compagni di scuola dell’istituto geometri e ragionieri?
GD: Beh qualcuno sì. Sì ma erano gli operai figli di contadini no. A parte che noi eravamo in quattro gatti erano pochi bambini qua, a Percotto c’erano, qui da noi. Le palazzine erano state costruite nel ’28, ’29, ’30 per cui non c’erano grandi famiglie. Ecco stavo dicendo che hanno sviluppato, dai terreni agricoli sono diventati, io ho una cartolina tanto che tu lo scriva, hanno lottizzato e fatto dei terreni fabbricabili tant’è vero che su una cartolina c’è scritto ‘acqua, luce, gas e il tram ogni mezz’ora’. [laughs] Questa, la pubblicità di questa cartolina probabilmente c’è anche sul. Ecco, non, altro non. Ah momento, ecco si’.I ragazzi cosa facevano, andavano al naviglio a fare il bagno ecco, il naviglio era diventato una piscina . Oppure peggio ancora e pericoloso le cave, la cava di Precotto, la cava di Crescenzago venivano utilizzate dai ragazzi, da me in particolare, a fare il bagno ed era pericolo perché l’acqua fredda poteva anche creare qualche malessere, ah. Oppure si andava al Villoresi, ma il Villoresi era molto pericoloso perché aveva una velocità d’acqua abbastanza veloce, il Villoresi. Vediamo se c’è ancora qualcos’altro che, ah ecco. Più che i bombardamenti erano i mitragliamenti. Quasi tutti i giorni dalla fine del ’44 all’inizio del ’45 arrivavano due o tre cacciabombardieri da sud, io li vedevo da casa mia, viravano all’altezza dei campi qui di Precotto e si dirigevano verso le Ferrovie dello Stato e mitragliavano, probabilmente su segnalazione del controspionaggio che c’era. E si direbbe i due piloti, guardi era una cosa incredibile, li vedevi che scendevano d’altra parte non c’era più contraerea, quelli venivano giù tranquillamente e mitragliavano ed ogni tanto si sentivano sbuffare il vapore perche’ le caldaie perforate fatti per dire [unclear], ma guarda un po’, tant’è vero che poi sono stati, della resistenza sono stati fucilati tre ferrovieri che facevano parte dei comitati antifascisti.
EP: E durante i mitragliamenti, voi ragazzi cercavate di stare a guardare o vi mettevate al riparo?
GD: No, ma io e mio padre eravamo un po’ incoscienti restavamo sul terrazzo del, perché li vedevamo [unclear] e poi giravano, perché era un percorso fisso non c’era ecco un momentino il Viale Monza tra l’altro era sbarrato, era chiuso da due muraglioni, uno sulla destra, uno sulla sinistra in modo che i metri che dovevano fare, a parte che c’erano pochi metri, dovevano fare questa esse, questo percorso forzato e lì era di sentinella, c’erano dei militari prevalentemente fascisti erano questi e mi ricordo che una volta mi sembra che su quel, su questo qui c’è scritto, era il due o tre gennaio del ’45, credo, si son messi hann visto che arrivavano questi aerei così bassi, si sono messi di sotto a sparargli sopra quelli cosa hanno fatto? Hanno virato ancora e hanno cominciato a mitragliare Viale Monza, la guerra italiana, ah povero. E il 25 aprile poi è stato l’esplosione finale che è la caccia. Ma io ricordo per esempio che i tedeschi avevano tentato, non si sono arresi ai partigiani e hanno tentato di sfondare verso la Svizzera e infatti su Viale Monza vedevo [unclear] un sacco di mezzi dei tedeschi che andavano poi a un certo momentino hanno fatto marcia indietro e son tornati e sono andati in Piazzale Fiume dove c’era la sede principale della Wehrmacht. Ecco un altro particolare per esempio. In tempo di guerra tutte le filovie di Milano erano sparite, erano state depositate al parco di Monza su dei mattoni, su dei supporti perché le gomme le hanno portate via i tedeschi. Pensate un po’ la guerra cosa faceva. Andavamo a rubare, andavano a rubare le ruote delle filovie di Milano per usarle su. Ah rubavano anche le biciclette i tedeschi, eh, intendiamoci. Ultimamente erano abbastanza accaniti contro di noi. Forse avevano anche ragione perché noi li abbiamo traditi eh, i Tedeschi, proprio uguale..
EP: Io vorrei tornare un momento alla, a quando eravate a scuola. Prima accennava al fatto che arrivavano a fare propaganda a scuola.
GD: Sì, sì sì.
EP:Con che modalità cercavano di, insomma ?
GD: Ma io mi ricordo nell’atrio dove ci sono la tromba delle scale no, e c’era lì questo tizio qui vestito da SS. ‘Eh ma dovete se volete partecipare, ah no, volontari vi trattiamo bene’ ci lusingavano un po’ sul mangiare perché c’era poco da mangiare allora e mi ricordo che a un certo momentino nel pieno di questa propaganda qualcuno dall’ultimo piano ha buttato giù volantini antifascisti oh [laughs] lo spaghetto, lo spavento generale e quello si è trovato completamente spiazzato eh, stava facendo propaganda per andare eh, e hanno buttato giù i manifesti. C’è stato indubbiamente qualche testa calda perché il capo era pericoloso eh. Ah poi gli americani dicevano ‘noi bombardiamo perché voi italiani vi dovete ribellare ai tedeschi’ ma come si faceva a ribellare. Chi si faceva. Non avevamo nessuna arma. Mah! E poi quando c’è stato il 25 aprile c’erano, andavano a cercare di prendere beh hanno fermato anche i grossi gerarchi sul ponte di Orla adesso non mi ricordo i nomi quali erano che poi la maggior parte sono stati poi fucilati, eh. Beh, sul Lago Maggiore per esempio, la, credo che sia la famiglia Petacci mi sembra che li abbiano fucilati si buttavano nel lago e venivano presi di mira. E insomma, cose tremende. Eh, insomma. Comunque per carità la guerra.
EP: Quando è scoppiata la guerra, qual’è stato il più grande cambiamento che lei ha potuto vedere, cioè dal momento in cui appunto si discuteva di intervento, non intervento, cosa fare, c’era dibattito all’interno, tra di voi ragazzi magari?
GD: No, non c’era nessun dibattito il 10 giugno del ’40. Non c’era, eravamo tutti inquadrati. Successivamente, allora, sentivamo Radio Londra, sentivamo la Svizzera, quelli si sentiva. Io avevo una piccolo radio a galena che allora e sentivo appunto questi giornali radio che arrivavano dall’estero. Faceva anche piacere sentirli, perché speriamo che finisca [pause]. Mah!
EP: E nel ’44, quando c’è stata appunto la chiamata che c’accennava prima,
GD: Sì.
EP: cosa è successo alla classe, ai compagni di classe?
GD: Eh non lo so perché io poi ho ripreso andare a scuola nel, alla fine di ottobre, ho saltato qualche mese o due mesi. Quando sono andato dal preside che mi sono presentato il quale così così poi mi ha lasciato questa carta bollata e sono riuscito ad entrare. E niente, ci siamo visti, eh allora come va. Come quando per esempio adesso non ricordo esattamente l’anno, c’è stata la campagna contro gli ebrei, ecco. Diceva, ‘allora quest’anno, guardate che il compagno Finzi, il compagno Coen’, nomi tutti ebrei, ‘non saranno più in classe con voi perche sono stati dirottati verso la scuola’. Era una scuola verso il centro di Milano e sapevamo che erano stati invece portati, non portati via ma comunque ma facevano parte di questo gruppo di persone che erano malviste dal fascismo. Anche lì. [pause] Ecco quello che mi ricordo che qualche anno dopo, magari una decina d’anni, sono andato a vedere i miei compagni di scuola quali proprio avevo perso di vista e ho visto che la maggior parte, laureati tra l’altro eh, professor Coen, la Finzi, erano diventate delle personalità perché indubbiamente la cultura di quei ragazzi lì era molto superiore alla nostra, noi eravamo più bambocci.
EP: E sulle leggi razziali, appunto, si diceva qualcosa tra compagni, vi chiedevate che cosa stesse succedendo?
GD: Appunto non sapevamo per casa, non sapevamo che Finzi era ebreo, che Coen era ebreo, non lo sapevamo. Poi dai registri segnati si sapeva che, ma indubbiamente influiva negativamente su di noi ma per quale motivo, se c’era un motivo, uno non si rendeva conto per quale motivo veniva ritirato dalla scuola e portato da un’altra parte. Non è che ti dicessero ‘guardate, li portiamo là perché adesso sono ebrei, sono di religione contraria dalla nostra’. Tant’è vero che bisognava essere, non mi ricordo, si, ariani credo, no, infatti sui nostri documenti ti scrivevano addirittura ‘razza ariana’ [pause]. Che brutte cose.
EP: Riguardo ai rifugi antiaerei
GD [laughs]
EP: [laughs] lei ha avuto esperienza di immagino?
GD: Io ho avuto l’esperienza di Precotto, quando è stata bombardata la scuola. Il rifugio era fatti di puntelli di legno, poi al massimo c’erano delle travi che venivano con dei cunei, rinforzati. Però si direttamente com era successo a Gorla, non servono a niente. C’era qualche rifugio in fondo Via Brera poi lo stavano costruendo, ma è finito la guerra e il rifugio è rimasto ancora lì. Tant’è vero che è stato riutilizzato il ricovero da un mio amico architetto, il quale anzi l’ha comprato e li vendevano gratis e quasi perchè a lungo andare un blocco di cemento non so, due, tre metri di spessore, allora cosa ha fatto quello ha costruito sopra, così maggiore sicurezza [laughs]. Tant’è vero che c’è stata dopo un esplosione in quella casa perché c’era un tizio che caricava gli accendini nel sottoscala, è stata un esplosione, e la casa è rimasta su, fortunatamente. Per esempio anche, al centro di Milano, in Piazza, rifugio di Piazza del Duomo di Milano è stato costruito dalle imprese Morganti, le imprese che ci sono qua dietro, ma probabilmente non è neanche riuscito ad entrare in funzione, credo, bisogna andare a verificare le date. Perché siamo entrati impreparati, inutile fare tante storie. Lo stabilimento c’è la fatto c’è un rifugio anche quello qua dietro in Via Adriano esiste una specie di siluro che scende dove è stata fatta la Esselunga, ecco quello lì è un rifugio antiaereo. Allora devo dire adesso, figuriamoci. Ah sì, il proprietario lì è morto qualche anno fa mi sembra, l’ha tenuto come emblema della sua vita. Per cui non eravamo assolutamente preparati. [pause] Poi la pericolosità dei rifugi antiaerei perché se non c’era lo sbarramento, lo spostamento d’aria fanno crepare tutti quanti che sono dentro, eh. I muri molto sostenuti erano quelli della stazione centrale, perche lì indubbiamente ci sono i muri che sono. [pause] Insomma.
EP: E dentro i rifugi cosa facevate?
GD: Ah niente, c’è chi pregava, chi stava seduto, si portava le candele perché il giorno che manca l’energia elettrica o come frequentemente succedeva [pause]. Non so se c’è qualche altro episodio da raccontare, mah.
EP: Avevate paura?
GD: Eh beh certo ah.
EP: Come facevate per cercare di scongiurare la paura?
GD: Ma io ricordo per esempio che c’erano tutti i campi, come ho detto prima. Gli stessi operai della Marelli quando succedeva l’allarme correvano tutti nei campi si rifugiavano dentro i fossi che asciutti, no. C’era proprio la. Insomma siamo entrati in guerra impreparati [emphasis]. Sì però non vuol dire niente, anche se fossimo stati preparati la guerra è sempre una cosa che [pause] Ha annotato qualcos’altro?
EP: Volevo chiederle se la sua famiglia è stata coinvolta in qualche modo nella guerra. Se ha avuto dei parenti che sono partiti per il fronte.
GD: Beh, Qualcuno sì.
EP: Com’era vissuto in famiglia questo distacco?
GD: Non era qui, perche io sono, mio madre e mio padre, mio padre era di Milano, mia mamma di Agnadello, un paesino vicino appena fuori ,già in provincia di Cremona comunque, dove tra l’altro era la nostra cappella quando saremo morti andremo tutti li. Ma lì avevo avuto, mia mamma aveva avuto innanzitutto un fratello a ventun’anni è morto il giorno dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, pensate un po’ che roba. È morto all’ospedale di Chioggia, per ferite riportate. Poi c’era un altro parente che in Russia è sparito, un altro in Libia, anche lì avuto, tra dispersi e morti ce ne sono un po’ da tutte le parti. E poi ci sono quelli che sono morti in Germania, i deportati in Germania. Io avevo una signora, non so se la conosce, la signora Murri, l’avete conosciuta, perché questa signora racconta molto volentieri per quanto perché ha avuto il papà che è stato deportato in Germania ed è morto, è morto là. Deve sentire raccontare quando hanno, sono riusciti ad individuare il treno, i vagoni, perché i vagoni erano piombati, li inseguivano con questi vagoni non so fino a dove sono arrivati, e parlavano attraverso le pareti chiuse di questa gente. Questa è una cosa molto molto interessante. Tra l’altro lo racconta molto volentieri alle scuole, il suo passato molto molto duro. Abita qui vicino tra l’altro.
EP: E riguardo appunto la fine della guerra.
GD: Sì.
EP: Lei si ricorda quando è stato dato l’annuncio che la guerra stava finendo, era finita, che cosa aveva fatto voi?
GD: Eh, beh certo.
EP: Cosa avete fatto voi? Quali emozioni c’erano? Che tipo di reazione c’è stata?
GD: È stata un emozione generale perché la prima volta quando sembrava che l’8 settembre del ’43 fosse finita la guerra perché lì, si era sentito il marescaglio Badoglio, ‘le nostre truppe reagiranno da qualsiasi parte provenga’, ma cosa vuol dire, tu invece di, ti metti li a sparare ai tedeschi, a parte che un è atto non giusto tra l’altro e tutta la gente in mezzo alla strada è finita la guerra, ah bene l’abbiam preso con un sollievo enorme perché. La stessa impressione che ho avuto io quando sono andato in Svizzera a vedere i viali illuminati e qui invece invece l’oscuramento. C’era addirittura un aereo che lo chiamavano Pippo che di notte veniva a mitragliare o a lanciare le bombette le case che erano illuminate, pensate un po’ che roba. Ma non abbiamo mai saputo se erano italiani oppure no, probabilmente erano italiani. Pippo l’avete sentito nominare anche voi? [laughs] E c’erano i fabbricati, i capi fabbricato, ogni zona aveva il proprio capo fabbricato, il quale veniva a dire se il rifugio era a posto, cosa veniva, i rifugi a posto. Sì i puntelli, vabbè. Certo che se la bomba ti arriva lì dentro non c’era niente da fare, non c’era niente.
EP: E cosa pensavate voi ragazzi di chi stava bombardando, all’epoca?
GD: Quello che si pensava. Se eravamo a scuola, cercavamo di uscire senza andare nel rifugio della scuola e incamminarci a piedi per arrivare a casa. Si sentiva proprio il desiderio di raggiungere la propria casa. Perché la casa sembrava che, raggiungendo la casa, basta siamo a posto. Il senso della casa era incredibile [pause].
EP: E ripensare oggi a quegli eventi, ripensare a chi bombardava, alle, diciamo, vicessitudini politiche della guerra, che opinione ne ha adesso, a distanza di tempo?
GD: Sui delitti politici, dice?
EP: Sulla situazione che proprio era del periodo di guerra, di chi bombardava, che opinione le è rimasta?
GD: Ah, beh, certo ricordo per esempio tutte le case che venivano bombardate, c’era scritto no, ‘casa distrutta dagli anglo-assassini’, anglo-assassini proprio, ma a caratteri cubitali. E però siamo noi che li abbiamo provocati, eh. [pause] Poi le informazioni non è che giravano come adesso, adesso l’informazione se succede un fatto, , non so, Porta Ticinese, si sa subito, allora si sapeva, mah sembra che abbia fatto, aveva bombardato, non so, una certa zona di Milano. Comunque abbiamo fatto cinque anni infiniti, noi abbiamo passato la nostra gioventù in tempo di guerra. Tra l’altro bisognava stare attenti a chi uscire di sera, non si poteva, c’era il coprifuoco. Ci si muoveva tutto così di nascosto, io avevo un amico qui al confine con Sesto e uscivamo di sera di nascosto, cercando di non farsi vedere da nessuno perché c’era sempre il pericolo di trovarsi o arrestato o pigliare qualche pallottata, qualche pallottola di arma da fuoco. [pause] Qualche, io ho sentito qualche, avevamo un inquilino che era reduce dalla Russia, anche lì è stata una cosa tremenda, a piedi, non so quanti chilometri, facevano tra i tutti, tutti quanti cercavano di arrivare in Italia. Un’altra sensazione quando sono arrivati i prigionieri dalla Germania per esempio. Sono arrivati i prigionieri, [pause] la gente che non si sapeva, allora c’era la corrsispondenza erano distribuiti ai militari dicevano ‘oh è arrivata posta oggi’, tutto, la, cartoline no. E io mi ricordo la corrispondenza con mio cugino che era in Iugoslavia, ecco anche lì, che poi ti sparavano, anche di là ti sparavano, mo’ [pause]
EP: Va bene, Signor Dell’Era, io la ringrazio moltissimo del contributo.
GD: Se c’è ancora qualcos’altro ma non, penso proprio di no. [pause] Certo che a pensare la guerra è la cosa peggiore che possa mettere al mondo un uomo, un politico, oh, per carità, lasciamo stare. Ma il fascismo si era comportato bene fino alla fine della guerra. Noi eravamo inquadrati, facevamo i Balilla, facevamo gli Avanguardisti, facevamo, c’era disciplina, ordine, c’era amor di patria , tutto quanto, in apparenza almeno. [pause] Nella nostra zona abitava, ha abitato, oh madonna come si chiama quello lì, Bertinotti, abitava nella via vicino a noi, come si chiama. Poi c’è stato fino alla guerra, c’era Vanoni che era venuto qui a fare una visita a Precotto, non so per quale motivo e giocava, e ha giocato a carte, a carte che non si poteva neanche, in una osteria di Precotto, e lì è stato, non so forse l’ha preso Scala nel suo, ci deve essere, non avevo Vanoni, che gioca a carte, che non si poteva. Invece, Io invece ero a scuola invece con Cossutta, ecco anche lì la [unclear] della gente. Cossutta era un fascistello eh. Quando andava a scuola allo Zucchi di Monza, teneva concerto, teneva il filo lui, ah che, aveva gli stivaletti scuri, perché faceva parte dei piccoli gerarchi fascisti. Poi cos’ha fatto, ribaltato, è diventato il più grande comunista d’italia, anche lì. E’ morto poco tempo fa. La metamorfosi della gente. I politici fanno presto a cambiare idea, eh, e’ difficile che siano coerenti tra di loro.
Allora di questo libro qui posso darglielo, va bene? Questo è importante. Qui c’è tutto eh, c’è scritto tutto di equipaggi, tipo di aereo, la formazione, la provenienza, per cui.
EP: Grazie mille.
GD: Niente.
EP: Grazie dei preziosi materiali e della sua testimonianza.
GD: Eh no, se posso essere utile, qualcosa.
EP: Lo sa. Grazie.
GD: Niente, di niente.
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Title
A name given to the resource
Interview with Guido Dell’Era
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Guido Dell’Era recollects daily life in wartime Milan, stressing inadequate war preparation. Describes a disciplined, regimented society which later turned to disillusionment. Recollects the declaration of war, the fall of the fascist regime and the end of the conflict. Contrasts with the situation in Switzerland, emphasising the lack of wartime black-out precautions there. Describes the 20 October 1944 bombing, its effects on the Gorla and Precotto primary schools, and his own role in the subsequent memorialisation of the event. Stresses the ineffectiveness of anti-aircraft fire, the different shelters and what life was like inside them. Mentions the impact of racial laws on his schoolmates. Recalls memories of Italian military internees in Germany. Describes wartime life: execution of partisans, pastimes of children, strafing of marshalling yards, antifascist propaganda, SS recruitment, graffiti on bombed buildings, bomb disposal units, Pippo, and curfew. Mentions fascists who changed camp after the war ended and became active public figures in other political parties. Describes briefly his post-war life working for oil and mining companies.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Erica Picco
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-02-25
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:50:44 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Po River Valley
Italy--Milan
Switzerland--Zurich
Italy
Switzerland
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1944-08-10
1943-09-08
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ADell'EraG170225
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
animal
anti-aircraft fire
anti-Semitism
bomb disposal
bombing
bombing of Milan (20 October 1944)
childhood in wartime
civil defence
home front
Pippo
propaganda
strafing
Waffen-SS
-
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Title
A name given to the resource
Bottani, Paolo
Description
An account of the resource
One oral history interview with Paolo Bottani who recollects wartime experiences in Milan.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Rights
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This content is available under a CC BY-NC 4.0
International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Bottani, P
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-12-02
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
EP: Come prima domanda le chiedo di cominciare da prima della guerra, prima che cominci il conflitto, eeh mi racconti un po’ della sua famiglia, eeh dove eravate e di che cosa si occupavano i suoi familiari.
PB: Sì eh prima della guerra naturalmente ero piccolino quindi la memoria un po’ un po’ un po’, un po’ annebbiata diciamo così. Però mi ricordo bene che la mia famiglia era una famiglia di operai, eeh immigrati, mio papà proveniva dalla provincia di di Piacenza e mia mamma dal cremasco, eeeh erano operai purtroppo mio papà viveva un momento difficile per le sue idee politiche, non voleva iscriversi al partito fascista che era per la maggiore a quei tempi e non gli davano il lavoro perché lui non era iscritto al partito, quindi questo m’è rimasto impresso benché piccolino, perché la famiglia di conseguenza ne ne soffriva. Mia mamma invece era volgitrice di motori elettrici alla Ercole Marelli di Sesto San Giovanni. Avevo una sorella che era impiegata presso una ditta di cosmetici, la Beiersdorf. Ecco questo è quello che mi ricordo del periodo anteguerra. Nel 1940 poi, mi hanno iscritto alla prima elementare come tutti i bambini ed ho frequentato qui a Precotto la prima classe, elementare. Mi ricordo che eravamo tanti bambini, oggi si lamentano delle classi affollate, noi eravamo in quaranta, quindi la maestra della quale mi ricordo il nome, Angela Arpiani, era una brava signora torinese e ci aiutava parecchio perché eravamo abbastanza discoli eh: che i genitori al lavoro, noi eravamo a casa da soli, non c’erano le badanti o le babysitter o, eravamo in giro per le strade, qui a Precotto era una zona rurale, c’erano campi, e noi ci ci divertivamo ad andare per i campi. Quindi la prima e la seconda elementare direi che, essendo pure in guerra, perché la guerra è cominciata nel ’40, non abbiamo subito parecchie eh diciamo difficoltà, a parte la faccenda di mio papà che non lavorando era costretto a fare dei lavoretti così un po’ in nero, si dice oggi, per poter portare a casa qualcosa, e poi aveva l’orto che lo lavorava e ci dava la possibilità di, di vivere ecco. Il brutto comincia verso la fine del ’42 l’inizio del ’43, cominciarono i bombardamenti, cominciarono le difficoltà della vita. Ecco lì ho cominciato a mettere nella mia mente le difficoltà proprio, di vivere, molti disagi come per esempio il freddo, la paura, il freddo la paura, e la fame, e la fame, cominciava a scarseggiare il cibo. Il freddo era terribile perché difficilmente avevamo la legna per bruciare, andavamo in giro a raccogliere qualche pezzettino di albero, di di ramo rotto degli alberi, portarlo a casa noi bambini per poter scaldarci, però era la fiammata del momento e quindi il calore era molto, molto scarso. Poi eeeh i geloni: col freddo la conseguenza logica per noi bambini erano i geloni sulle mani sui piedi, eeeh oggi non vedo più i bambini con i geloni, ma io mi ricordo facevano male, molto male questi geloni. Specialmente quando la mamma ci lavava, ci faceva il bucato come si dice nel mastello in casa, eeeh i geloni venivano fuori, col calore, un dolore immenso proprio. Poi c’era la paura del, dei bombardamenti delle sirene: ecco io una cosa che ancora ho in mente adesso quando sento una sirena, scatta dentro di me come una una un uno stato psicologico che mi richiama quei momenti là che dovevo scappare, è rimasto in me. Perché la sirena era sinonimo di bombardamento ‘Scappa, scappa!!’ perché arrischi la vita. E quindi questo qui è continuato per alcuni anni fino al ’45 e devo dire però, nel ’42 finita la seconda classe, mia mamma e mio papà decisero, visto che cominciavano a bombardare Milano, di spedirmi, di mandarmi a casa di mia zia a Crema, come sfollato. Quindi non non, vi immaginate anche lo stato di disagio trapiantato in un’altra località, nuovi nuovi bambini da conoscere, un modo di vivere che era differente dal mio purché simile, per carità, però molto differente. E così sono stato a Crema per, per un paio d’anni, però a Crema bombardavano, quindi la situazione era pressoché identica Milano Crema, non sapevi più dove andare, ecco. E mi ricordo che una volta mi hanno portato a casa, per vedere la mamma, mio zio, e nel ritorno, quando siamo ritornati a Crema, la difficoltà è che il treno arrivava fino a Cassano poi c’era il ponte sull’Adda, naturalmente bombardato, e quindi noi dovevamo traversare su una passerella larga poco più di di, circa un metro, sopra il fiume con un corrimano da un lato solo e dovevamo attraversare questo fiume di sera, al buio, e mi ricordo ancora il vortice delle acque che correvano sotto e m’ha creato uno stato di paura veramente notevole, però era l’unico mezzo per poter andare a prendere il treno dall’altra parte per poi proseguire per per Crema. Quindi anche quello lì uno stato di disagio. Dicevo prima, Crema veniva bombardata come Milano più o meno perché c’era il ponte sul fiume Serio e ogni due per tre erano lì gli aeroplani, e lì ho provato una sensazione durante il bombardamento. Dunque Crema non era attrezzata coi rifugi come Milano, a Milano quasi tutte le case avevano i rifugi sotterranei negli scantinati, Crema invece non c’era questa, non credevano che venissero a bombardare, erano meno preparati. E quindi si rimaneva in casa, si rimaneva in casa, rimanendo in casa lo spostamento d’aria, io mi aggrappavo a mia zia in un angolo della casa perché sentivi la casa che ‘Ooooooh cade cade cade!’ ci aggrappavo a mia zia perché avevo la sensazione che la casa, la casa cadesse, veramente una sensazione terribile. A crema poi invece ho subito un mitragliamento, e lì l’ho scampata proprio per poco: venivano i caccia, lì passavano le colonne tedesche che da Cremona andavano a Milano e una volta noi eravamo bambini, giocavamo per strada eeeeh è arrivato un paio di caccia, ma così all’improvviso senza neanche suonate le sirene, che se suona le sirene noi scappavamo. Arrivano sti caccia ‘Aaaaaaaaaa papapapam’ cominciarono a sparare, noi non sapevamo più dove andare, le pallottole ci battevano ai fianchi del del, sulla strada, e io un bel momento mi sono buttato dentro ad una porta che ho trovato e poi il caccia è passato, via andato con la sua bella scaricata di pallottole, e fortunamente [sic] non ha colpito nessuno ecco. Poi dopo, quando sparano le mitragliatrici, diciamo rifiutano i bossoli delle delle delle pallottole, noi bambini andavano a raccoglierli, andavamo a raccoglierli perché dopo li vendavamo, perché era ottone e quindi l’ottone aveva un significato anche saltar fuori la mancetta per per comperarci qualche caramellina, quando c’erano eh. Quindi l’esperienza di crema è stato un po’, un po’ pari a quella di Milano ecco, l’unica cosa che che che, la difficoltà scolastica perché da una scuola all’altra quindi ho avuto delle difficoltà. Poi, come dire, ecco una cosa che ho imparato, ho imparato il dialetto cremasco cose che invece qui parlavo in milanese ecco e quindi mi è servito anche quello. Quindi i miei genitori vedendo che bombardavano Crema e bombardavano a Milano allora tanto vale che tu ritorni a Milano. Ecco e allora mi han riportato, terminata la la quarta classe, mi riportano a Milano e mi iscrivono alla scuola qui di Precotto. Ironia della sorte, io dovevo andare, perché a Precotto non c’era più posto, alla scuola di Gorla dove c’è stato quell’eccidio di duecento morti. Fortuna, destino, mia mamma è andata a brontolare col col provveditore, il direttore, un certo Peroni (mi ricordo anche il nome) certo Peroni, è riuscita a farmi tornare a Precotto, perché noi venivamo dalla parte opposta della scuola, quindi era molto distante, andando a Gorla raddoppiavamo la strada, allora il il direttore là si è un po’ convinto e ci ha concesso di ritornare a Precotto eh ecco e quindi questo qui mi è andata anche bene. Ecco la vita a Precotto durante la guerra: era terribile, la paura era tanta, la paura era tanta, come dicevo prima le sirene poi a Milano suonavano alla gran più bella, però noi ormai bambini eravamo abituati a a questo genere di vita, perché nonostante tutto noi bambini giocavamo, perché c’era pericolo, c’era la fame, c’era il freddo però si giocava, con quello che c’era, coi giochini lì di poco conto che si potevano racimolare allora, e giocavamo. Poi eeeeh è venuto quel triste giorno del del bombardamento della scuola: ci siam recati a scuola eeeh va beh è venuto non so se devo raccontare il fatto ma penso che sia ormai risaputo, beh comunque mi han tirato fuori dalla scuola eeeh sano e salvo, tutto imbiancato, tutto impolverato. Ecco l’unica cosa che posso dire che è anche un qualche cosa che fa un po’ ridere, mia mamma era al lavoro a Sesto, io sul viale Monza che stavo andando a casa, non c’era in giro nessuno, ecco una cosa che mi ha messo anche paura, ero solo per strada, non c’era nessuno neanche un’anima proprio, tutti richiusi per per il timore del bombardamento, ed ecco che appare un un un signore in bicicletta, non so neanche chi fosse, io l’ho considerato un angelo custode dopo, che mi fa, io non so mi esprimo in dialetto ‘Uè tì nani in doe te vè?!’ cioè ‘Tu bambino dove vai? ‘Eh sun drè andà a ca’’ ‘ Cià ven chi che te careg in mi su la cana della bicicletta e te porti a cà’. Perché io ero a quasi, quasi un chilometro la mia casa da quella zona lì. E così mi ha portato a casa, arrivo a casa, mia mamma non c’era, mio papà neppure, tra l’altro non erano neanche al corrente che era bombardata la scuola. Arrivano, no arrivo io veramente, arrivo io e mio zio ‘Oh vin chi poverino vieni qua che ti met tuto sporco, bagnato’. Io avevo una sete terribile perché il bombardamento ti lascia la polvere in bocca e il sapore di zolfo. ‘Vieni qui che ti do un bicchierino di Fernet’ [laughs] io quella volta lì m’han dato da bere il Fernet, una porcheria solenne, non ho bevuto più il Fernet in vita mia. Ecco, dopo questa esperienza che grazie al cielo ne sono uscito, ecco i miei genitori mi rimandano a Crema [laughs] perché qui le scuole non c’erano più eh, tanto è vero tanti miei amici qui a scuola uno andava presso una mensa, quell’altro presso uno stabilimento, quell’altro presso l’oratorio della chiesa, cioè le varie classi le hanno smistate. Io invece mi hanno mandato a Crema e ho completato gli studi elementari lì a Crema, ecco. Questo qui è a grandi linee la la mia esperienza di guerra, però quello che mi ha segnato maggiormente è stata la lontananza dalla, dalla mia famiglia per un certo periodo, il freddo la paura, la paura, la paura anche del del Pippo che di notte veniva a sorvolare la città e tutti avevamo timore le finestre, chiudevamo tutto, spegnevamo la luce che temevamo che questo Pippo qui sganciasse qualche, qualche bomba ecco, quindi questo qui è a grandi linee eh, il dopoguerra. Il dopoguerra è stata, è stato bellissimo, cioè siamo rientrati, però mi sono rimasti i segni tanto è vero che quando suonavano le sirene degli stabilimenti, io abitavo vicino a Sesto e a Sesto c’erano tanti stabilimenti, io scattavo come una molla e e partivo per cercare rifugio però dopo sapevi che oramai è finito, però è rimasta dentro ancora quella quella quella sensazione lì di scappare, fuggire, fuggire la paura era terribile, il bombardamento è brutto eh, i bombardamenti son brutti. Quando andavamo in rifugio in braccio a mia mamma che bombardavano qui a Milano, tremavo come una foglia, era il mese di agosto eh ero lì che tremavo ‘Eh ma tu sta fermo Paolo sta fermo, sta qui tranquillo’ e io tremavo tremavo tremavo, probabilmente l’effetto della paura, col senno di dopo eh non lo so, e così, e comunque la guerra l’è l’è, è una brutta roba dai diciamo così. Poi nel dopoguerra invece non è che le cose andassero meglio eh, grazie al cielo mio ha trovato da lavoro, da lavorare come autista e quindi qualche cosettina si muoveva, però il freddo c’era, perché ancora il riscaldamento non non era avviato, non c’era ancora la legna per bruciare, il carbone cominciava ad arrivare pian pianino, quindi nel ’46 è stato un anno piuttosto pesante ancora che ha risentito dell’essere stato in guerra. Io a scuola mi hanno iscritto ad una scuola di avviamento al lavoro, a Sesto, e andavo a piedi eran quasi tre chilometri, tutti i giorni a piedi andata e ritorno, a piedi andavamo perché mezzi c’erano ma costavano, c’era il tram di Monza che portava là. E quindi andavamo a scuola ma più delle volte d’inverno ci lasciavano a casa perché non avevano la legna per riscaldare le le classi, per cui per noi era una, era una pacchia nel senso che i bambini basta dire di non andare a scuola e tutti contenti ecco. Se devo dire un particolare che del bombardamento eh, quando è suonato l’allarme che i maestri ci hanno indicato la via del rifugio in maniera anche veloce ‘Su su bambini muovetevi che che il pericolo è incombente’ ecco in quel momento lì è scoppiata, e mi ricordo bene, una gioia infinita tra noi ragazzi ma non perché suonasse l’allarme, era era in procinto un bombardamento, no no perché noi smettevamo di fare lezione e quindi eravamo felici beati e contenti, come tutti i bambini del resto eh, vivono la guerra ma anche sanno giocare ecco e questo qui, ho sempre giocato, ho sempre giocato ecco, studiato poco perché va beh, ero a casa sempre da solo nessuno mi mi spingeva a studiare per cui ecco io penso che che.
EP: Vorrei farle qualche domanda sul, su proprio quando è scoppiata la guerra: lei si ricorda che cosa si diceva, che, quali erano i discorsi un po’?
PB: Sì sì mi ricordo che c’era dell’euforia, eran tutti contenti, mi ricordo di questo, sì sì, mi ricordo, vedevo le persone anche i genitori, a scuola, parlavano dell’entrata in guerra dell’Italia, però lo dicevano con una forma ‘Tanto si vince, porteremo a casa la ricchezza, staremo meglio’ e quindi c’era una euforia, c’era euforia, c’era euforia. Fino al ’42 eh, poi ha cominciato a spegnersi e poi dopo è successo quello che sappiamo un po’ tutti immagino.
EP: Ehm riguardo invece appunto l’esperienza del bombardamento, lei si ricorda che cosa succedeva dentro il rifugio, quali erano un po’ le cose che si facevano?
PB: Ah sì sì guardi, siamo rimasti in rifugio, da quando è suonato l’allarme, è scattato l’allarme, saran passati due o tre minuti, perché la scuola di Precotto era su un piano terra no e quindi entrare in rifugio, a parte qualche fatto un po’ unico che non è riuscito ad arrivare in rifugio ed è morto, però noi bambini siamo riusciti a scendere abbastanza velocemente. E dicevo prima, in forma anche abbastanza gioiosa, cioè non pensavamo certamente che venivamo bombardati, eravamo contenti perché, dicevo, abbiamo smesso di far lezione e via era felicità no, e quindi eravamo gioiosi, quindi nel rifugio giocavamo, ah i soliti spintoni ‘Ti ohe, aaah bim bum’ le solite cose dei bambini. Poi a un certo punto, dopo pochi minuti eh, perché è successo quasi subito, si spegne la luce, oibò, si spegne la luce poi cominciano, un boato enorme, tremato tutto cominciato a cadere i calcinacci, polvere, odore di zolfo, bambini che piangevano, altri che che si lamentavano, uno era sporco tutto di sangue, e allora lì è cominciato a essere un po’ una faccenda più più seria ecco. Io come dico però, nonostante tutto, non ho perso la calma, sinceramente, dico la verità, ero abbastanza tranquillo, paura sì, ma tranquillo, e poi dopo pian piano dopo dieci minuti circa, la sapete immagino la storia di quel sacerdote che che, don Carlo Porro, il quale ha intuito che han bombardato la scuola, è corso subito, e assieme a tre o quattro volontari, ha aperto un pertugio perché ha capito che eravamo ancora sotto, ha aperto un pertugio e lì ha cominciato a sfilarci. Io sono stato il penultimo a uscire, ci mettevamo in coda, i maestri, devo dire i maestri abbastanza coraggiosi, devo dire, sì perché sono stati capaci di mantenere la calma e soprattutto di creare un po’ di ordine, quindi ci hanno incolonnati e si è creato una specie di scivolo con le macerie, siamo arrivati al soffitto del dello scantinato e lì c’era questo pertugio, ci prendevano le braccia e ci tiravano fuori come tanti salami no. E lì, poi dopo non succedeva nulla, io mi ricordo che il signore che che c’era lì vicino ‘Ecco ades te sè fora’ parlo in dialetto scusatemi eh ‘Te sè fora, va cur cur a ca’’. E io mi dicevo ‘Mah cur a ca’?! Cur a ca?! Ma dove vado?’ era tutto bombardato, non sapevo più dove fossi. Quindi vai di qui, vai di là, dove sono? Dove vado? Non c’era nessuno, ma in un bel momento mi sono ritrovato in una via che conoscevo, via Bressan, e di lì sono entrato su viale Monza e poi ho incontrato quel signore in bicicletta che mi ha portato a casa, però primo momento, sono rimasto veramente scioccato perché, mi hanno detto ‘Vai a casa, vai a casa corri vai a casa che c’è ancora pericolo’ [coughs] però vai a casa, era era difficile perché non si capiva più nulla, poi sul viale c’erano il tram, che era stato divelto dalla dalla, dai binari del tram, era lì mezzo su mezzo giù, un cavallo poveretto con uno zoccolo tagliato via, perdeva sangue, si lamentava, tutte scene di questi tipo, no? Terribili, però persone nessuna, ecco ripeto, una delle cose che mi ha colpito, la solitudine che mi son trovato quando mi han tirato fuori dal dal rifugio, ero proprio solo, c’era nessuno, no ‘E adesso cosa faccio io?’, dopo ho trovato quel signore lì che mi ha portato a casa ecco.
EP: Ehm tra, tra i bambini della classe, lì nei giorni, nei momenti successivi al bombardamento, ne avete riparlato, è stato un argomento anche?
PB: No. Come dico, io non ne ho riparlato coi miei amici perché m’han portato a Crema. Ecco a Crema, lì la direzione, i maestri, la propaganda fascista, diciamolo così, eeeh mi hanno accolto come, non dico come un eroe ma come uno che che, che che ha compiuto un atto bello, doveroso no, perché ‘Eh bombardato, eh qui, gli americani assassini!’, cioè la solita propaganda del regime, e quindi mi han fatto ergere a eroe, detto così in parole, e quindi non ho potuto parlare con, con i miei amici, dopo nel ’46 li ho rincontrati però oramai era finita la la, e quindi non ne ho parlato perché mi hanno portato via subito, per cui, e ho avuto quella esperienza qui del, di Crema.
EP: E appunto anche dopo la guerra c’è stata occasione di rincontrare le persone che avevano avuto quella esperienza?
PB: Sì ma non ne parlavamo, no, non ne parlavamo. Probabilmente c’era un silenzio, un silenzio anche timoroso di dover rievocare situazioni tristi, di paura, di di sofferenza, probabilmente questo, no non ne abbiamo mai parlato, no, no.
EP: E riguardo eeh la fine della guerra proprio, lei si ricorda i giorni finali, che, se se ne parlava, che cosa si diceva.
PB: Sì sì sì. Io mi ricordo, dunque ero a Crema, purtroppo, purtroppo, ero lì sfollato, mi ricordo che il 25 aprile una, un gruppo di partigiani, tra l’altro mi hanno colpito anche veramente, armati fino ai denti, con, sembravano dei dei banditi del del, messicani con le con le con le strisce di cartuccere, i mitra, i mitraglieri, e portavano delle donne, ex collaboratrici fasciste che le avevano rapate e pitturate di rosso la testa, ecco passavano per la via lì, così, ecco questo qui mi ha colpito, mi ha lasciato un po’ un po’ come dire, non mi è piaciuta la cosa ecco, non mi è piaciuta, proprio una brutta, un brutto ricordo di quella lì, che poi mi han detto poi che queste donne qui le portavano al campo sportivo e lì le hanno uccise tutte ammazzate, fucilate ecco. Quindi mi ricordo ero lì a Crema ho vissuto questo momento brutte del dopoguerra, della presenza di questi partigiani che erano accaniti, proprio veramente, forse perché sono un tipo tranquillo non non mi, non mi ha sfagiolato tanto ecco quella presa di posizione lì verso quelle donne, anche se colpevoli per carità, io non non voglio giudicare, però quel trattamento lì, così meschino no, non mi è piaciuto ecco dico la verità questo. Poi dopo nel periodo della fine della guerra c’è stata la la la come dire, la restituzione delle armi, mio zio aveva lì tre moschetti che aveva nascosto quando l’8 settembre molti militari hanno lasciato il reggimento per ritornare a casa, quando è stato l’armistizio dell’8 settembre, e mi zio aveva accolto tre militari, di Vigevano erano, eeh li han cambiati, gli han dato i vestiti da borghese e lui ha tenuto lì tre fucili e la la divisa, quindi sono andato con mio zio a restituire al comando partigiano, perché c’era l’obbligo di restituzione delle armi occultate durante la guerra, ecco, così mi ricordo questo. Qui a Milano non c’era quindi non non non ho presente, perché la situazione di Crema per per quanto fosse abbastanza indicativa però in dimensioni più ridotte, ecco sì, essendo una cittadina piccolina. Però ecco, un’altra cosa che mi ha colpito, eeeh i tedeschi che prima erano arroganti eh, perché io ho sempre avuto paura dei dei militari tedeschi, anche questa qui è una cosa che, quel modo di parlare loro che per noi era era incomprensibile, duro, forse magari a loro insaputa, però creavano in noi bambini uno stato di timore, di paura, e quando vedevamo i tedeschi, sempre armati di tutto punto eh, io parlo di Milano, vedevamo i tedeschi eeeh scappavamo perché avevamo paura, erano duri proprio, al contrario di quando sono arrivati gli americani, che gli abbiamo incontrati e ci davano qualche cioccolatino la ciuinga, cevingam [chewing gum] lì quello che è, quindi era un altri tipo di rapporto, ma ecco un’altra cosa ho avuto paura dei soldati tedeschi, poveretti come dico magari non non ne avevano intenzione di farci paura, però il loro modo di vestire, di essere armati, il loro modo di parlare così secco duro e ci ci condizionava ecco. E poi ho visto questi tedeschi sempre lì a Crema su una camionetta con questi partigiani qui che li insultavano, li picchiavano, li li, li li come dico si sfogavano un po’ verso questi tedeschi qui, giustamente, ingiustamente lasciamo domineddio a, a giudicare.
EP: Ehm riguardo a chi ha compiuto il bombardamento vero e proprio, che cosa pensava lei da bambino di questi bombardamenti
PB: Guardi a onor del vero noi non pensavamo, non sapevamo neanche chi fossero, certo eravamo come dire spinti dalla propaganda a pensare che chi veniva a bombardare erano degli assassini, ecco questo ce lo avevano inculcato bene eh, perché se voi morite, se voi soffrite, è per causa di quelli là, non di noi che vi abbiamo portato in guerra, ecco questo qui è, è quello che noi eeeh provavamo. Ecco però non sapevo, sapevamo che erano inglesi [emphasis]. Sì, e allora tante volte passavano le formazioni di aerei sopra Milano e andavano, che andavano in Germania a bombardare, noi eravamo lì a contarli ‘Uno, due, tre, quattro, cinque’ era bel tempo, il sole bello, e ci divertivamo a contare gli aerei che andavano, però quei giorni che sono venuti a bombardare eeeh la scuola di Precotto eravamo a scuola non abbiamo potuto contarli [laughs] li abbiamo contati dopo.
EP: Ehm successivamente, cioè una volta adulto, ripensando a quei fatti, che opinione le è rimasta?
PB: Beh l’opinione rimasta è che io odio la guerra, ecco qualsiasi forma di guerra proprio, non riesco a capire la necessità di fare una guerra proprio, io da piccolino ho capito che è stata una guerra inutile, proprio inutile! Quanti miei amici che sono morti ancora piccoli, quanti papà che son morti in guerra, al fronte, quanti, quante mamme nella sofferenza nella fame, quindi cosa ha lasciato? Cos’ha lasciato? Valeva la pena? Cioè è questo che mi pongo. Da adulto ho detto, ma vale la pena? Perché le guerre si differenziano, si differenzieranno dal modo in cui uno la fa ,però è sempre, la finalità è sempre quella, inutile inutile, crea solo dolore, morte, basta non crea niente la guerra non crea niente, non crea proprio niente, questo qui mi è rimasto molto impresso, tanto è vero che io son contrario eh son pacifista a oltranza.
EP: Va bene, io sono.
PB: A posto.
EP: A posto, la ringrazio moltissimo
PB: Ma di nulla.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Paolo Bottani
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Erica Picco
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-12-02
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Francesca Campani
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:33:25 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ABottaniP161202
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Po River Valley
Italy--Milan
Italy
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1944-10-20
1943-09-08
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Description
An account of the resource
Paolo Bottani recalls wartime memories of a working-class family in Milan. Describes the widespread enthusiasm for the declaration of war, followed by a relatively calm period. Mentions alarms as greeted initially with joy because classes stopped and the care-free attitude of children who used to salvage shell casings for their scrap value. Recounts the first bombing he witnessed when in Crema and gives a detailed account of the Precotto primary school bombing, where he was trapped underground and brought to safety by the effort a rescue party. Describes the aftermath of the bombing on the surrounding areas and explains how the authorities presented him as evidence of the Allies’ brutality. Recalls his life as evacuee: fear, hunger, cold and painful frostbites; disrupted communication; destroyed bridges replaced by precarious footbridges, strafing. Recollects events at end of the war and describes head-shaved female collaborators paraded in shame. Mentions a life-long distress reaction to sirens and connects his strong pacifist stance to the experience of being bombed.
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
animal
bombing
bombing of Milan (20 October 1944)
childhood in wartime
civil defence
fear
home front
perception of bombing war
strafing