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Title
A name given to the resource
Dini, Alberto
Alberto Dini
A Dini
Description
An account of the resource
One oral history interview with Alberto Dini who recollects his wartime experiences in Trieste.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
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Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Dini, A
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-01-05
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
AP: Bene signor Alberto, grazie allora, vorrei che lei mi raccontasse qual è il ricordo più remoto che riesce a recuperare, potrebbe essere un ricordo familiare, di cosa faceva con la sua famiglia, suoi genitori, aveva fratelli o amici. Qual è il ricordo più antico che riesce a recuperare?
AD: Il ricordo di che tipo?
AP: Qualsiasi.
AD: Eh è un po’ difficile.
AP: Mm, potrebbe essere un ricordo famigliare o il, che cosa faceva prima della guerra, andava a scuola?
AD: Sì certo, è un ricordo che forse è legato, è condizionato dall’argomento di questa intervista: le giornate che si trascorreva allora nel, all’asilo. L’età era quella, quando è scoppiata la guerra era giuso appena, appena, frequentavo l’ultimo anno del, dell’asilo. Eeeh l’aviazione aveva un suo ruolo allora: l’impresa di Italo Balbo, le, tutte le altre vicende legate ai primi, ai primi mesi di guerra dove era l’aviazione coinvolta e attrice di primo piano. E che anche noi bambini si giocava all’aeroplano mettendo uno davanti con le mani aperte e l’altro dietro con le mani sulle spalle e faceva l’aeroplano. Poi la fantasia andava a sbizzarrirsi e facendo, immaginando combattimenti impossibili eh, ecco questo era così come lei mi ha fatto la richiesta, la domanda sul, visto l’argomento poi che si svilupperà sull’aviazione che ho legato, ho ritenuto opportuno legare come presentazione, e come biglietto di presentazione.
AP: Ottimo. Cosa le veniva raccontato a scuola? Lei mi stava parlando dei momenti in cui la guerra è cominciata.
AD: Sì.
AP: Si ricorda quando è scoppiata la guerra? Se per esempio...
AD: Sì, la dichiarazione, il discorso della dichiarazione di guerra fatta da Benito Mussolini.
AP: Mi parli di quel momento, cosa si ricorda? Dov’era?
AD: Ero in cucina con i miei genitori eeeh si stava ascoltando quanto aveva da dire il capo del governo del momento, il Duce, noto come, come tale. Era venuta da noi una vicina che non era in possesso di un apparecchio radio, perché in quella volta l’apparecchio radio era ancora considerato un lusso. Eeeeh, al momento in cui il, il duce è arrivato a pronunciare la parola fatidica della dichiarazione di guerra presentata agli ambasciatori di Francia e Inghilterra (Gran Bretagna mi pare che l’aveva citata come tale) eeeh la signora che era venuta da noi scoppiò a piangere, quasi un presagio che poi appunto successe che il marito morì allo, nello sbarco in Sicilia delle truppe anglo-americane. Ecco quello è un ricordo che sarà sempre presente nei miei ricordi di guerra.
AP: Capisco. Cos’è avvenuto a scuola? Si ricorda cosa le hanno detto le sue insegnanti? La guerra le è stata spiegata in qualche modo?
AD: No. Era un fatto, quasi una necessità per l’Italia di entrare in guerra per avere allora non, non mi rendevo conto di cosa, come, quando, con chi, ehh era uno stato di guerra che presupponevo fosse uno stato di estrema gravità, ma soltanto sensazioni, niente di concreto.
AP: Ricorda cose, manifesti di propaganda, dei discorsi?
AD: Si manifesti ce n’erano, anche proprio che invitavano a tacere ‘Il nemico ti ascolta’ eeeh non mi ricordo altro così che però era significativo perché ‘Taci il nemico ti ascolta’ era l’immagine di un soldato inglese, tipico il profilo con l’elmo della forma particolare che era in dotazione all’esercito inglese che era questo invito alla riservatezza.
AP: Se lei dovesse provare a spiegare qual era l’atmosfera dei primi mesi o dei primi anni di guerra, che cosa, che cosa si ricorda? Paura, indifferenza, senso di attesa?
AD: Bah eeeh, la partenza, l’arruolamento più o meno forzoso di mio fratello per andare a volontario, perché fra me e mio fratello c’era una differenza di quindici anni dunque lui era in pieno, la persona che poteva risolvere [laughs] i problemi della patria andando pure lui a, a far la guerra. Dunque lui, mia sorella che si era sposata e col marito che era in procinto di partire, destinazione Africa settentrionale. Eeeh uno stato così di, ma quasi un intontimento, un almeno quello che provavo io, tutte queste novità, questi imprevisti, queste queste cose che si sviluppavano con un ritmo crescente, i notiziari di guerra, i bombardamenti, le notizie dei primi bombardamenti sulle città italiane o dei bombardamenti dell’aviazione italiana su malta, Tobruch eeeh nomi che erano abituali, usuali a sentire con la frequenza quotidiana di, di fatti di guerra di questo tipo.
AP: Quindi la realtà non era cambiata molto, continuavate a fare la vita di sempre.
AD: No, no, no. Poi c’era anche qualche altro parente che aveva così questo stato di arruolamento, di provvisorietà o di stacco di quello che era l’attività quotidiana per essere trasformata in un’attività legata all’ambiente bellico.
AP: Si ricorda qualcosa di come la vita di queste persone sia stata trasformata dall’inizio della guerra?
AD: Mah più o meno tutti quanti hanno avuto delle delle trasformazioni nelle proprie abitudini, nelle proprie usanze. Eeeeh un parente, uno zio, fratello della mamma che eeeh era stato coinvolto come, a malavoglia perché so che era una persona ormai vicino alla pensione, che era stato forzatamente imbarcato su una nave che al terzo viaggio poi questa nave venne silurata all’uscita da Pola e lui non fece ritorno, non ritornò a casa appunto perché vittima dello stato d’arme. Eeeeh anche indirettamente c’era sempre qualcosa che faceva riferimento alla guerra, tipo appunto il gioco innocente di due, di più ragazzini che facevano un aereo con le proprie, con i propri arti.
AP: Facevate delle esercitazioni, qualcosa del genere, ad esempio a scuola?
AD: No, esercitazioni no. C’era ecco per esempio il, l’incartamento delle finestre per evitare in caso di spostamenti d’aria di essere feriti da, dai vetri che si, avrebbero potuto, si sarebbero potuti rompere per lo spostamento d’aria o per un’esplosione nelle immediate vicinanze.
AP: Lei mi ha parlato fino a questo momento di questa sensazione di attesa, questo senso di sospensione quasi irreale eccetera, quando è terminato? Quando quando si è trovato con la guerra in casa, quando lei ha avuto esperienza diretta?
AD: È il momento in cui i soldati tedeschi sono arrivati a Trieste, dopo l’armistizio, calcolandoci traditori hanno invaso il Veneto e hanno creato uno stato denominato Adriatisches Küstenland che era una provincia agganciata al Reich, praticamente un’appendice di quella che era Austria ma non era più Austria e questo, l’annessione praticamente di trovarci stranieri senza aver varcato alcun confine. Quello è stata una visione palpabile di un qualche cosa di grave che stava incombendo su di noi.
AP: In quel momento come è cambiata la sua vita, si ricorda come?
AD: No, la mia vita non è cambiata, di molto, mmmh ecco la scuola era stata requisita per ospitare soldati tedeschi, e allora io dovevo andare ben più lontano di quello che ero andato fino ad allora, perché eeeh la scuola era proprio vicinissima a casa mia. Essendo stata occupata dalle truppe tedesche eeh ho dovuto spostarmi.
AP: E questo stato va avanti fino.
AD: Fino alla fine che poi è si, finito con un lungo bombardamento, quotidiano, che è durato più giorni, continuo, di cannone del Castello di San Giusto alla villa Geiringer nel piazzale della, dell’università dove tiravano, sparavano questi cannoni, rispondevano altri cannoni che erano sul crinale del Carso, eeeh soprattutto quando c’era prima, quando c’erano gli allarmi aerei che c’erano incursioni o previste o in corso e allora c’era l’artiglieria antiaerea se no i cannoni di normale dotazione alle batterie del castello di San Giusto, che sparavano verso il Carso per evitare l’avvicinamento dell’esercito Jugoslavo. Ecco son stati due o tre giorni praticamente in cui era meglio restare a casa e non uscire, per evidenti pericoli. Sono uscito da casa il pomeriggio del giorno, di un giorno, uno dei primi giorni adesso non ricordo esattamente, quando si è capito, per quelle cose che in tempo di guerra si captano anche se non si sentono, abbiamo captato che la guerra era finita perché il cannone non ha sparato più e allora siamo timidamente, furtivamente ci siamo avventurati in strada, e abbiamo visto quello che era uno spettacolo di combattimento strada, non strada per strada ma insomma un combattimento ravvicinato, vicino a casa mia c’era il tribunale dove c’era la roccaforte dei, dei tedeschi che cercavano di opporsi fino all’ultimo alla conquista del del truppe jugoslave.
AP: E lì ha capito che la Seconda guerra mondiale era arrivata alla fine.
AD: Era arrivata alla fine appunto: da un silenzio irreale, da un fracasso, da un frastuono assordante del del cannone e di altre armi leggere che appunto improvvisamente, come come gran finale o, forse sono irriverente, accostare agli spari io del, dei fuochi d’artificio che finiscono con due gran botti, qui i botti sono finiti quando sono entrati i carri armati neozelandesi che hanno fatto fuoco sul tribunale e ponendo fine con la resa dei tedeschi, ponendo fine alla guerra, perché per me la guerra è finita in quel momento.
AP: Ora però vorrei portarla un po’ più in dietro. Lei ha, mi ha parlato di quando ascoltava la radio, notizie di bombardamenti su altre città italiane.
AD: Sì.
AP: Qual è stato il primo bombardamento di Trieste che lei ricorda.
AD: 10 giugno del ’44. Il primo bombardamento sulla città.
AP: Si ricorda dov’era?
AD: Sì, perfettamente anche più volte così menzionato con amici o. Era una giornata di sole, era il 10 giugno del ’44, una giornata che io ero rimasto a solo a casa per permettere, cioè perché mia mamma era andata ad accudire le quotidianità dell’acquisto dei generi alimentari, quei pochi che si trovavano perché non non c’era molta disponibilità. Poi c’erano le tessere che garantivano un qualche cosa che non riuscivano a garantire, allora ero rimasto solo perché i maschi della casa erano tutti in giro per il mondo: mio fratello in Grecia prigioniero dei tedeschi in Germania, eeeh mio cognato disperso in Africa, mio papà disperso da qualche parte in Italia, ero l’unico uomo di casa a dieci anni, no otto, sempre otto. Eeeeh [pause] è stato così come, anche quello, mi sono immaginato che stava cambiando rapidamente qualcosa, mi sono affacciato alla finestra, che avevo avuto istruzioni di come fare, cosa fare eccetera eccetera, ho avuto la sensazione che qualche guaio stesse incombendo sulla città, di fatti improvvisamente si sono sentiti i rumori dei motori molto forti mentre prima le altre volte passavano altissimi, si vedevano più scie che aerei. In quel giorno, affacciandomi sono riuscito a distinguere l’aereo, dunque erano molto bassi, appena ho, mi sono reso conto di cosa stesse per accadere, sono uscito dall’appartamento, stavo al quarto piano, sono sceso fino al secondo, al primo, a quel punto uno spostamento d’aria m’ha fatto, m’ha buttato su tutta la rampa di scale, non mi sono fatto niente però ho mi sono reso conto che era caduta la bomba molto vicina e di fatti così era avvenuto. Quello è stato l’impatto con la guerra guerreggiata.
AP: E cosa è accaduto dopo? Dopo l’episodio dove è volato.
AD: Eh naturalmente la famiglia si è ricomposta nelle varie emergenze, come arrivava a casa uno o l’altro.
AP: Qual è stata la reazione di sua madre quando è tornata a casa?
AD: Ah di sollievo di trovarmi, di trovarmi in vita praticamente. Perché la casa non era stata colpita però lo spostamento d’aria m’aveva fatto fare la fine di un moscerino davanti a una tempesta.
AP: E da questo momento in poi gli allarmi diventano una cosa.
AD: Una quotidianità, la seccatura era quella quando capitavano di notte verso le due, due e mezza, tre di notte che magari con la bora urlante per strada, e dover balzare dal letto e correre verso una sicurezza piuttosto precaria che offriva la cantina trasformata in ricovero.
AP: Provi a descrivermi con parole sue cosa accadeva o cosa si ricordava, cosa si ricorda lei adesso dal momento in cui lei si svegliava o veniva svegliato, al momento in cui tornava a casa dopo il cessato allarme. Cioè cosa cosa accadeva? Suonava l’allarme, poi insomma doveva svegliarsi.
AD: Correre verso un, un’effimera sicurezza che era rappresentata dal rifugio fatto nelle cantine, sotto la casa praticamente, non si aveva l’impatto con la bora, col freddo, perché essendo all’interno della casa avveniva più o meno abbastanza attutito questo impatto. Però in cantina c’era la fucina delle malattie per tutti i ragazzini, che cominciava uno ad avere una malattia e la passava a tutti gli altri e quando aveva finito l’ultimo cominciava la nuova. Eeeh da ragazzini non si sentiva molto il fatto che la guerra poteva rappresentare un pericolo mortale per noi, era un’interruzione seccante di una dormita che si auspicava durasse molto poco, di fatti tante volte, cioè visto che sono a contare questa cosa qua, sono durati abbastanza, abbastanza poco tempo per non avere conseguenze di altro tipo che non una seccatura, e la voglia di tornare sotto sotto delle lenzuola ormai fredde.
AP: Quando eravate giù in cantina.
AD: In cantina si faceva scambio di giornalini, soldatini, di figurine, questo a livello di ragazzini.
AP: Provi, provi a raccontarmi un po’ di quella atmosfera.
AD: Eravamo.
AP: Era, lei era con altre persone?
AD: Sì perché in casa c’erano tanti tanti giovani, tanti ragazzi, tanti, un po’ di molte età, cioè non che fossimo tanti, c’era il ragazzino di dieci, come quello di cinque, come quello di otto che rappresentavo io la categoria, era e si faceva, se era di giorno si andava, si cercava di uscire sfuggendo all’attenzione del capo fabbricato, che era una persona incaricata da dalle autorità non so di che tipo se comunali, se di partito, ma comunque era qualcuno che doveva stare attendo che nessuno uscisse dalla casa durante l’allarme, i ragazzini sono sempre quelli che riescano a sgattaiolare dappertutto e io mi trovavo tra quelli che andavano a giocare a guardia e ladri invece del giardin pubblico si andava a giocare per le strade attorno alla casa. Oppure traffico commercio di albi di vario tipo, non c’era Topolino quella volta ma c’era altri albi abbastanza adatti all’educazione dei dei giovani.
AP: Quindi scambiavate fumetti?
AD: Fumetti, figurine, figurine di guerra naturalmente, o figurine di di, con scenari di panorami eccetera così, ambientali, ecologicamente oggi qualificati.
AP: Appropriate. Si ricorda di giochi?
AD: Il gioco, il gioco dell’oca, il gioco del tranvai, il gioco di shanghai, eh quelle cose lì, le asticciole che.
AP: Lei mi ha parlato di soldatini prima.
AD: I soldatini.
AP: Ha dei ricordi particolari di quei soldatini?
AD: Eh io sì, perché erano la riproduzione su metallo eeeh di un qualche cosa che lontano, da qualche parte stava succedendo realmente, e allora ci si immaginava un po’ di essere partecipi anche noi attraverso quella figurina di piombo vicino a chi in quel momento stava, stava vivendo in prima persona.
AP: E quindi li scambiavate, ci giocavate.
AD: Sì, ci faceva anche la guerra tirandoci un qualche cosa tipo rappresentato, un, una gomma per cancellare le le tracce della matita come proiettile per, una volta colpito il soldatino questo cascava era morto.
AP: Eccellente. I gli adulti, i suoi genitori che cosa facevano in quegli stessi momenti? Cercavano.
AD: Chiacchieravano, chiacchieravano da qualche parte in questo angolo di di sicurezza, chiacchieravano chiacchieravano dei problemi del momento, della difficoltà di trovare generi alimentari, del delle poche ore che gli erogavano l’acqua o la luce, perché mancava tutto a determinate fasce, non c’era niente.
AP: Mi racconti, mi racconti di più di queste privazioni e mancanze.
AD: Le privazioni sono cominciate col primo bombardamento, le privazioni dovute dai danni che erano, che le bombe avevano provocato sulla città o in determinati punti strategici della città dove c’erano queste queste installazioni: il gasometro, uno dei degli obiettivi che indirettamente erano stati colpiti e perciò l’erogazione del gas era un pericolo oltre che non aver la potenza di erogare su tutta la città. Poi a seconda dei bombardamenti la mancanza di acqua, perché era stato preso l’acquedotto, perché era stato lesionato, la corrente elettrica perché perché la corrente elettrica, non perché avessero danneggiato, ma perché era un bene molto prezioso che andava centellinato e allora fino a una certa ora della sera non c’era corrente elettrica, cominciava per fortuna verso verso l’ora di cena ammesso che ci fosse qualcosa da cenare eeeh e allora erano di moda le lampade a petrolio con lo specchio per avere doppia, doppia luminosità eeeh erano tutte queste così eeeh.
AP: Lei mi ha parlato della radio a casa, la radio commentava questi avvenimenti, parlava del bombardamento su Trieste?
AD: Parlava, sì, ma come puro fatto di cronaca, non con commenti. I commenti erano sul numero di delle vittime magari ma non sulle cause o come andare ad analizzare o trovare motivi per cui, niente era un un elenco di cose di danni dove erano stati colpiti, case o obiettivi militari. Militari niente neanche uno quando [laughs] abbiamo constatato però c’erano obiettivi su cose che potevano andare, le scuole per esempio, in qualche parte sono, oppure sui sui sul trasporti, era stato distrutto tutta la parte della ACEGAT cioè quella società che garantiva i trasporti urbani che era stata praticamente distrutta perché era sul porto, il porto aveva i suoi danni ma, ma erano ininfluenti sul sul funzionamento della vita quotidiana della città. Aveva fatto danni aveva affondato navi, aveva fatto i guai per una categoria che non riguardava la popolazione, cioè le necessità quotidiane della popolazione, e da quel tipo di bombardamento non non veniva coinvolto ecco.
AP: Erano un po’ danni collaterali.
AD: Ecco sì, anche se forse più, che erano più danni più sostanzialmente più dannosi quei bombardamenti su quelle strutture che non sulla casa del normale cittadino, quello lì era un danno di carattere affettivo o morale.
AP: Lei ha detto danno di carattere affettivo, morale eccetera.
AD: Sì quando uno non trova più la sua casa.
AP: Lei ha avuto un’esperienza di questo genere o ha conosciuto qualcuno che.
AD: No per fortuna no, non ho avuto la conoscenza diretta.
AP: Però riusciva a ad immedesimarsi nel.
AD: Beh oddio sì, perché quando si andava in giro. La prima cosa dopo il bombardamento con mia madre siamo andati a cercare se la nonna, la mamma di mia mamma, era era riuscita indenne o meno se avesse avuto danni dal bombardamento. Constatato che era in buona salute, però siamo passati per la zona che tratti di strada erano scomparsi sotto il macello delle bombe.
AP: Qual è stata la sua impressione nel vedere la città?
AD: Eh di meraviglia perché era una presa di contatto tangibile, di vedere da vicino perché poi in una zona verso Sant’Andrea dove c’erano delle rotaie del tram che erano volate sopra gli alberi. Eh e quello era anche un altro modo per valutare la gravità e la serietà di un qualche cosa che se fino allora non era stato visto, da quel momento diventava una cosa reale.
AP: Quindi per la prima volta lei si è trovato coinvolto.
AD: Sono entrato in contatto con una realtà tragica.
AP: In quella circostanza, com’è stata la sensazione di essere un bersaglio, cioè la consapevolezza che qualcuno.
AD: Non reputavo, non mi reputavo un bersaglio. Avevo una strana sensazione ‘A me queste cose non possono succedere’
AP: Me ne parli.
AD: E tante volte mi domando ‘Ma perché io ho avuto questa sensazione’, forse questa sensazione mi ha aiutato a superare dei tempi, del dei fatti o delle cose che eeeh altrimenti non lo so quanto avrei potuto sopportare.
AP: Quindi lei ha avuto.
AD: Perché i disagi che le dicevo prima, la mancanza di servizi, la mancanza di vitto, la mancanza di sicurezza dell’incolumità, la mancanza di tutto, delle materie prime per una vita appena accettabile.
AP: Quindi lei si è trovato in questa situazione di grande disagio materiale e morale ma allo stesso tempo si sentiva quasi protetto.
AD: Perché proprio a me doveva succedere?
AP: A me non capiterà?
AD: Un discorso presuntuoso?
AP: Mah sì.
AD: Però non lo so, mi è venuto che a distanza di tempo pensando e ripensando su quegli episodi là eeeh non non so dare una spiegazione.
AP: Quindi a distanza di tempo le colpisce questo, le colpisce questo stacco.
AD: In occasioni come queste di questa intervista che la mente è andata su un qualche cosa che mi ero dimenticato, lei me l’ha fatta riportare alla memoria.
AP: Certo.
AD: E così anche tanti altri per esempio le ore trascorse a far la fila per andare a prendere l’acqua quando mancava l’acqua.
AP: Mi parli di questo: dove prendevate l’acqua?
AD: Da da un fondo, un deposito di ferro vecchio si chiamava appunto ferro, un deposito di ferri inutilizzabili pronti per andare in fonderia e lì c’era un tubo con un rubinetto in cui si poteva pazientemente uno alla volta a soddisfare una, una discreta, un discreto numero di utenti attingendo le acque in secchi, bottiglie, damigianette eccetera eccetera, ognuno andava via col suo carico di acqua perché non c’era acqua.
AP: Che poi lei portava a casa con.
AD: E si portava a casa, ognuno la sua razione di acqua per le necessità anche di bere o di preparare da mangiare
AP: Certo.
AD: Era un po’ meno consigliabile adoperarla per pulizie personali.
AP: Prima di cominciare l’intervista lei mi ha accennato brevemente all’incontro con un aviatore tedesco, vuole parlarmene?
AD: Mah è stato un incontro così, camminando per strada si aveva l’occasione di incontrare gruppi di soldati tedeschi, ma, faceva parte della Luftwaffe, con la loro divisa azzurrina eccetera. Eeeeh la cosa che che a posteriore mi stupisce ancora, come un, ormai un esercito allo sbando, o vicino allo sbando come era l’esercito tedesco che potesse avere fra i suoi componenti ancora tanto fanatismo. Quando si incontravano il saluto non era un ‘Ciao’ come si sarebbe potuto supporre tra commilitoni, ma con il, la la classica frase ‘Sieg Heil’ cioè un saluto al loro Führer. Eeeh per cui anche andando in questo negozio dove c’è stato l’incontro fra mia mamma e il tedesco e molto marginalmente io come, forse come attore perché io avrei dovuto a dieci anni forse diventare membro della Luftwaffe e quello aveva dato un po’ di così sgomento a mia madre perché immaginava che il soldato tedesco avesse potuto avere queste doti di creare un soldato da un ragazzino di dieci anni, otto, anzi.
AP: E lei come si è sentito? Spaventato, lusingato?
AD: Lusingato!
AP: Sì?
AD: Ho detto veh guarda questo qui che io guardavo da sotto in su, perché la mia statura di allora e l’altezza del del tedesco, acuivano, aumentavano la disparità di dimensioni.
AP: Capisco.
AD: Ecco eeeeh così, si vivevano sensazioni strane cose che oggi sono inimmaginabili.
AP: Lei m’ha parlato proprio di sensazioni strane che oggi sarebbero inimmaginabili, se dovesse spiegarmi qual è la cosa.
AD: La stranezza?
AP: Qual è, provi a a spiegarmi la la stranezza.
AD: Il fatto di andare la sera quando non c’era più, cioè quando c’era, non c’era luce, e la luce, il fatto dell’assenza della luce favorevole, favoriva il fatto di andare al Boschetto armati di una sega fatiscente per buttare giù un alberetto per andare, per portarlo a casa per avere la possibilità di scaldarsi perché altrimenti niente scalda, riscaldamento. Questo, ben sapendo che se i tedeschi stessi o la Guardia Nazionale Repubblicana che era l’alter ego fascista dei dei carabinieri eeh sparavano. E allora bisognava essere velocissimi buttarsi a terra per evitare le pallottole che a volte fischiavano vicino alle orecchie e poi si raggiungeva casa cercando di evitare le pattuglie che controllavano l’osservanza del coprifuoco perché a una certa ora della sera, verso le 10, 11, scattava il coprifuoco chi veniva pescato fuori veniva arrestato e poi qualche volta a seconda della ripetizione del caso c’era anche la deportazione in Germania o almeno in Risiera.
AP: Mmmm e come vedevate questo fatto del coprifuoco, cioè è una cosa che avevate voglia di sfidare, che.
AD: No la necessità di provare, trovare del legname per fare fuoco.
AP: Quindi semplicemente una cosa che di necessità, occorreva sfidare.
AD: Però abbiamo trovato io e mio fratello, abbiamo trovato modo di fare l’albero di Natale. L’abete costava uno sproposito rispetto allora, dei prezzi di allora, del costo delle, se non si trovava del pane non si aveva di sicuro da spendere per un abete su cui fare poi l’addobbo natalizio. Abbiamo fatto l’abete facendo cosa? Un manico di scopa, con un punteruolo fare i buchi, prendere i rametti dello scarto delle delle ramaglie dove c’erano questi, questi alberi si prendevano senza timore di rappresaglie, si faceva, si appuntiva il rametto e si infilava dentro, poi con i soliti addobbi che si tramandavano di di di anno in anno eeeh eeh poteva sembrare un albero vero. E quello era il nostro albero di Natale per il natale del ’43 e il natale del ’44.
AP: Lei mi ha parlato di Natale questo mi porta con una certa facilità a riti celebrazioni religiose eccetera: lei si ricorda qualcosa detta da figure religiose, parroci? Cioè la guerra entrava in un sermone, una predica, qualcosa cosa del genere?
AD: C’era nel mese di maggio e presso qualche chiesa, lo so perché questo, dovevo seguire la mamma in via Rossetti alla chiesa delle Grazie dove c’era un prete che sfidava gli occupanti di allora, gli occupatori di allora per, con discorsi di attualità di conforto, ma nello stesso tempo di conforto per le famiglie che avevano senz’altro dei componenti della famiglia in guerra o zone di guerra o addirittura già scomparsi. E allora mi trovavo ad andare il mese di maggio, era, avveniva questa, questa appuntamento con questo prete eeeh in maggio, in giugno la chiesa venne distrutta in pieno da una bomba. Eeeh per il resto sì, si faceva il giro delle chiese a vedere i presepi come più o meno avviene ancora oggi. Ehm altri ricordi di di legati al mondo della chiesa o della fede non ce n’ho.
AP: Non si ricorda se per esempio qualcuno dava una giustificazione o tentava di spiegarlo in un modo piuttosto che in un altro.
AD: No no, a meno che io me ne sia accorto no.
AP: Lei prima mi ha parlato del primo grande bombardamento, ne ricorda degli altri?
AD: Sì, allora per combinazione il primo era il 10 giugno del ’43, il secondo al 10 giugno, ehm 10 settembre dello scorso, dello stesso anno, e poi ben più robusti in febbraio del ’45, il 5 febbraio, il 10 febbraio sono, case che hanno, le fiamme le hanno divorate per più giorni in piazza, in piazza Carlo Alberto, via Ghirlandaio, sono zone che, urbane non parlo dei danni sul sul porto, parlo delle delle abitazioni coinvolte ecco questa era, i ricordi che ho queste quattro date che probabilmente saranno state anche altre. Per esempio qualche volta venivano di notte e bombardavano lo scalo ferroviario di Opicina, Villa Opicina, o, o il deposito di petroli verso Muggia, eeh ecco quelli erano dei momenti insomma che [pause] che componevano le varie diversificazioni nel corso della giornata, nel corso della guerra che avevano tutte queste queste escalation di intensità di bombardamento, di ampliamento di zone coinvolte nei bombardamenti ecco.
AP: Quindi la cosa è andata peggiorando nel corso.
AD: Peggiorando senz’altro.
AP: E quindi mi parlava di questo scenario di case devastate eccetera.
AD: Era sempre sì.
AP: Quindi anche ehm i suoni, gli odori erano diversi.
AD: Io non, non ho avuto nessuna conseguenza da, però c’era un, un misto di polvere, di cose che che sono in fase di, si forse per una carenza di pulizie per difficoltà di approvvigionamento dell’acqua era così, anche quello una componente del, dell’aria che si respirava allora.
AP: E nel frattempo lei continuava ad andare a scuola, nel frattempo continuava ad andare a scuola.
AD: Sì, si continuavo, andavo a scuola, il mio anno scolastico nel 1944 l’ultimo di guerra perché dopo [unclear] è stata è finita la guerra eeeh sulla pagella che da qualche parte devo avere ancora, son segnati mi pare diciotto giorni di scuola in un anno scolastico, però avevamo la fortuna di avere una maestra che sapeva fare il suo mestiere e che nella valutazione di fine anno ha saputo dare una descrizione della diligenza dello scolaro attraverso quello che conosceva. Era degli anni precedenti, perché si era una specie di famiglia allargata, e allora queste cose, non richiedevano una compassata interrogazione.
AP: Venivano capite.
AD: Sì.
AP: Tra i suoi compagni di classe.
AD: Sì.
AP: Lei ricorda vittime di bombardamenti?
AD: No.
AP: Qualcuno ad esempio che è arrivato ferito o che poi non si è.
AD: No no, nessuno per fortuna.
AP: Per fortuna no. C’è un’altra cosa che mi incuriosisce, lei ha parlato di ricoveri privati, quindi cantine.
AD: Sì.
AP: Ha avuto esperienza di ricoveri pubblici?
AD: Sì.
AP: Cosa cambiava?
AD: Sì, vicino a casa mia c’era una galleria scavata appositamente per servire da ricovero in caso di bombardamenti, un ricovero antiaereo come denominato allora. Eeeh: l’odore dell’umanità.
AP: Mi spieghi.
AD: Un’umanità un po’ sporca, fatta da odore di disinfettanti, di melissa [emphasis] che era l’odore imperante allora, era il toccasana per tanti guai piccoli guai, dove l’umido era una cosa normale, le pareti gocciolavano e lì bisognava trascorrere gran parte delle ore aspettando che suonasse il cessato allarme e si potesse tornare a casa. La decisione di andare nel rifugio anti aereo era derivato dal fatto che mio fratello in una peripezia durante la sua prigionia aveva portato a passare per Norimberga in Germania e lì lui [coughs] era rimasto scioccato di vedere l’entità di danni dei bombardamenti degli americani su quella città e allora una volta arrivato a Trieste ci aveva imposto come l’uomo che si sostituiva alle mie, alle mie facoltà di capofamiglia, di uomo del di famiglia, aveva consigliato più che imposto, aveva consigliato, ma fermamente di andare in questi ricoveri per, per paura che si verificasse, si ripetesse la stessa cosa a a Trieste, ecco allora come si. Per il resto anche lì si tentava, come gli altri ragazzi, di inventare qualcosa che non era più lo scambio di figurine o di soldatini eccetera ma erano giochi dati non so, fatti coi sassi con, o di saltare, atleticamente preparatori verso un qualche cosa.
AP: E gli adulti facevano più o meno la stessa cosa?
AD: Chiacchieravano, commentavano, che forse la guerra sta finendo che ancora un po’ ci si, ci si ritroverà a vivere una vita civile e non più quella vita da sinistrato che si stava vivendo.
AP: Si fumava all’interno del ricovero?
AD: Si fumava? Sì, c’era chi fumava ma in quei ricoveri là veniva consigliato più o meno delicatamente o educatamente di non fumare perché l’aria già viziata di per sé stessa che andare ad ammorbare con odori di tabacchi non certo di prima scelta e allora il fumo il fumo era pressoché bandito.
AP: Capisco. C’era qualcuno che commentava sugli equipaggi degli aerei?
AD: Su su che cosa?
AP: Sull’equipaggio degli aerei cioè.
AD: No, veniva calcolato un mezzo per venire a fare più danni possibili verso un occupatore, non ho mai sentito l’aviatore come un nemico della mia patria, cioè come a me come italiano. Quello che veniva a bombardare era per bombardare i tedeschi che ci occupavano.
AP: Quindi lei non ha avuto la sensazione di.
AD: Non ho visto il nemico proprio, sì una persona pericolosa, un attraverso un mezzo forse più pericoloso, ecco ma non.
AP: Non ha avuto questa sensazione di essere in un certo senso odiato?
AD: Non ho mai sentito il pilota, i piloti come nemici.
AP: E nemmeno le altre persone, cioè non c’era nessuno che lanciava improperi o cose di questo genere.
AD: No no no, non non li ho mai sentiti. Imprecavano il fatto di essere stati svegliati di notte per correre al rifugio ma non verso qualcuno, una protesta così in senso lato.
AP: Impersonale.
AD: Impersonale.
AP: Capisco. C’è una cosa che mi incuriosisce anche relativa al dopoguerra, e quando è finita la guerra negli anni successivi lei è ritornato su questi fatti, magari con persone che erano suoi coetanei all’epoca o ha preferito dimenticarsene?
AD: No, no son tutte cose che son rimaste con me.
AP: Fino a?
AD: Pochissime volte sono state riesumate non so, nel corso di qualche, qualche chiacchiera fatta fra amici eccetera, eeeh si può dire la prima volta che, in questo momento era che io sto tirando fuori delle cose che via via che sto parlando mi accorgo di, che nella mia memoria.
AP: Sono rimaste.
AD: C’è un angolino di queste cose qua, altrimenti è una cosa che ho lasciato perdere ma non perché deciso di lasciar perdere, perché è stato spontaneo, come quella sensazioni di prima ‘A me non può succedere’ non non mi interessa, il fatto della guerra che io quello che ho avuto ho subito, ho vissuto sulla mia pelle, forse mi ritengo fortunato di averle vissute, mi hanno forgiato per il proseguo della mia vita, nella mia carriera lavorativa eccetera eccetera.
AP: Quindi ritiene che in un certo senso la sua vita sia stata trasformata da quegli eventi?
AD: Condizionata, senz’altro.
AP: In che modo?
AD: Appunto di sapermi adattarmi alle difficoltà della vita, perché quelle che ho vissuto durante la guerra sono difficoltà, di altro tipo, però le difficoltà sono sempre alla fine, bisogna interpretarle nella maniera favorevole, non sfavorevole. Se io ho patito la fame allora eee se un giorno mi dice, sono costretto a saltare un pasto non faccio un dramma, anche due, è una cosa che ricordo di allora e che si può vivere si più sopravvivere senza luce, senza gas, senza acqua, senza la pace.
AP: Capisco. Direi che è stata una bellissima intervista
AD: Spero
AP: Ho raccolto un sacco di materiale particolarmente interessante, le viene in mente qualcosa d’altro? Vuole aggiungere qualcosa?
AD: Dovremmo stare qui ancora un bel po’ perché chissà da dove, da che parte, anche di qualche angolo della mia memoria può venire fuori qualcosa.
AP: C’è qualcosa di, magari ho toccato qualche argomento prima, vuole aggiungere, le è venuto in mente qualche altro dettaglio?
AD: Frequentavo una congregazione di preti dove mia mamma mi mandava per stare in pace un po’ lei perché ero abbastanza vivace, ne combinavo di tutti i colori, una specie di Pierino oggi si direbbe, e allora, beata l’ora che aveva trovato questo sfogo mi mandava anche abbastanza vicino a casa e c’era un prete di origine boema che sapeva fare coi ragazzi, mi interessava, era sempre pronto per fare, partecipare lui stesso ai nostri giochi, ai giochi di squadra di ragazzi, all’interno della congregazione c’era anche un teatrino dove, si giocava e basta. Con la fine della guerra il giorno stesso in cui sono cominciati i bombardamenti, questo prete, posso fare anche il nome eventualmente, padre Placek [?] essendo boemo è un cognome di quelli, non l’ho più visto, e non sono mai riuscito a sapere che fine avesse fatto, forse quelli che erano i frequentatori della della congregazione più vecchi di me forse loro eeeh possono sapere che fine abbia fatto questa questa persona, io non l’ho mai voluto approfondire, forse per non ricevere qualcosa di sgradevole nel nel scoprire qualche cosa che avesse determinato la sua scomparsa.
AP: Un destino funesto. Capisco.
AD: Ma vede ci sono cose che.
AP: Se, se, se. Bene, direi che se non le viene in mente nient’altro potremmo, potremmo chiudere qui.
AD: No, almeno mi sembra di no poi magari in seguito. Dovrò dovrò pentirmi di aver interrotto questa conversazione.
AP: Allora in questo momento spengo il registratore.
AD: Nell’ultimo anno di guerra, nei cieli di Trieste si era presentata o meglio era stata notata la presenza di un pilota, di un aereo, forse una cicogna. Questo pilota era un po’ mattacchione, buttava bombe dove vedeva luci e spesso faceva anche qualche danno più serio ma erano bombe di piccolo calibro che venivano sganciate, la fantasia popolare l’aveva definito, l’aveva chiamato Pippo, a dire Pippo nel 1944, qualsiasi persona della mia età sa a che cosa si può riferire.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Alberto Dini
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Alessandro Pesaro
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-01-05
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Francesca Campani
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:52:49 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ADiniA170105
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Trieste
Italy
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1944-06-10
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Description
An account of the resource
Alberto Dini reminisces his wartime life in Trieste starting from the declaration of war until the end of the conflict. Describes life under the bombs, stressing disruption of utilities, devastated streets and chequered schooling history. Describes the bombing on the 10 June 1944, mentioning the sense of impending doom he felt immediately before being hit by a blow. Highlights the belief that nothing bad could happen to him and stresses the importance of his positive attitude as a coping strategy.
Mentions childrens pastimes such as mimicking aircraft dogfights, playing Mikado or cops and robbers, trading toy soldiers, cards and comics. Recounts wartime anecdotes: assembling a makeshift Christmas tree, wood-pilfering after curfew and the encounter with a Luftwaffe serviceman who foretold how he would have a career as a pilot.
Mentions how he tried to escape the vigilance of the warden to play hide-and-seek outside and reminisces on life in large underground public shelters: dripping walls, fetid sweat, damp air, and smell of rot. Remembers the omnipresent scent of Melissa (Melissa officinalis) then widely used as a cure for all. Narrates how his elder brother came home after he had witnessed the bombing of Nuremberg and urged his relatives to never use domestic shelters. Mentions Father Placek, a Bohemian priest who disappeared during the war and another member of the clergy who defied the authorities. Describes "Pippo" dropping small bombs, identifying the aircraft as a Storch (Fi 156). Maintains people had a non-judgemental view on bombing and saw the Allies as liberators. He never heard civilians cursing aircrew. Describes how he tried to forget the war until recently. In hindsight, he considers himself a lucky man because wartime hardships gave him a greater resilience that helped him later in life.
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
bombing
bombing of Trieste (10 June 1944)
childhood in wartime
civil defence
home front
perception of bombing war
Pippo
shelter
-
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Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Bencina, Angelo
Angelo Bencina
A Bencina
Description
An account of the resource
One oral history interview with Angelo Bencina who recollects his wartime experiences in Monfalcone.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-08-01
Rights
Information about rights held in and over the resource
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Bencina, A
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
AP: Sono Alessandro Pesaro e sto per intervistare Angelo Bencina per l’archivio digitale dell’International Bomber Command Centre. Siamo a Monfalcone, in provincia di Gorizia ed è il primo agosto 2016. Grazie per aver permesso quest’intervista. Sono inoltre presenti all’intervista il signor Tullio Sarcina, Pietro Comisso, Maurizio Radacich, Giulia Sanzina. Prima di cominciare vorrei farle alcune domande per essere sicuro che questa intervista venga registrata esattamente come desidera. È d’accordo che la sua intervista venga conservata presso l’università di Lincoln, esclusivamente per scopi non commerciali, che l’università di Lincoln ne abbia il copyright e che infine essa sia liberamente accessibile in qualsiasi supporto e formato per mostre, attività di ricerca, istruzione e come risorsa online?
AB: D’accordo.
AP: È d’accordo che il suo nome venga pubblicamente associato all’intervista?
AB: D’accordo.
AP: È d’accordo ad essere fotografato per l’International Bomber Command Centre?
AB: E sono d’accordo.
AP: Grazie. Possiamo cominciare. Come prima cosa, vorrei che lei mi raccontasse il più vecchio dei suoi ricordi. Che cosa si ricorda? Qual’è la cosa più antica che riesce a ricordare? Dov’era, cosa faceva?
AB: Innanzitutto bisogna calcolare che mi gavevo quatro ani perciò nel ’44 eh non xe che, insomma go tante memorie de attività che go fatto eccetera eccetera. Quel che me ricordo, la prima cosa che me xe restà impressa, disemo xe appunto il bombardamento de quel che me ricordo. Eh, sì, prima di tutto devo dir che mi abitavo, iero tra la stazion de Monfalcòn, vicin Via Randaccio disemo, Androna Randaccio e Via Romana. In pratica ierimo tra la stazion, la fabrica del gesso, la fabrica dell’oio, dopo iera la Solvay, iera la, in pratica, e dopo el cantier. In pratica, in pratica lì iera quasi tutti quanti. E quel che me ricordo più de tuto xe stà una sera che ga sonà, non xe che mi go sentì che ga sonà l’alarme ma i miei, i miei genitori, a un certo momento, i me ga ciapà, i me ga inbalado, disemo, e mi, qua go anche che ve go fato la cartina dove che abitavimo, in pratica semo circa a cento metri dalla stazion. Da lì se doveva andar alla Caverna Vergine, che xe altri cento metri su, oltre le sine, dove che iera un, intanto iera due rifugi, iera il rifugio della Caverna Vergine dopo là il rifugio iera dei pipistrei, Caverna dei Pipistrei, dopo più a sinistra iera altri ma quel lì xe una cosa che, in Via Romana iera altro, tutta roba della Prima Guerra Mondiale comunque. Quel che me ricordo mi xe questo: ciapado, imbalado, noi gavevimo una, dopo ve mostro lì se ve interessa, se andava da un passagio de un nostro vicin, se andava in Androna Randaccio, se piazzavimo, disemo, proprio davanti al piazzal della stasion, in quel momento lì, i me ga buttado, me papà, me mama iera lì, drio el mureto - che ve mostro anche quel iera fino a poco tempo iera proprio l’originale che xe el bar lì dalla stazion, quel fora - e lì semo stai sò ma mi me gaveva girà e quel che mi me ga restado ma molto impresso ancora oggi iera il ciel carigo de tondi rossi, de luci rosse e bianche, ecco quella roba lì xe quel che me ricordo che non, che me ricordo punto e basta. El resto neanche non me sono accorto che i me ga ciapà, me ga inbragado e semo andai in caverna, no. Ecco, quel se quel che mi me ricordo de quella notte. Per il ritorno neanche, probabilmente dormivo non so cosa, punto e basta. Un’altra roba che me ricordo sempre de quei giorni lì, però non iera de notte ma iera de giorno, andando sò da l’attuale, xe bon iera anche la vecia, xe, disemo la strada che dalla staziòn porta giù verso la fabbrica della pegola quella che xe lì a, ma porco cen, bon adesso non me vien in mente, Via Belforte e non la iera, non la iera disemo asfaltada, el iera de giorno però. In quel momento sentimo un rumor de aerei, vedemo cioè ierimo muli, muleria che zogavimo lì sò per la riva e iera dei apparecchi che gaveva due fusoliere, cioè non iera una sola ma iera due, e quel che ne restà impresso dove che andavimo, i buttava, iera tanti foglietti, non iera foglietti, iera come de argento, biglietti de argento che iera el ciel pien, pien, e luccicava perché era de giorno. E proprio qua davanti me xe passà un pacchetto cussì, che se vedi che non se ga sfoiado, e me xe cascà proprio addosso, dopo gò savu che i diseva che quelli serviva per confodere i radar eccetera eccetera, quella roba lì xe quel che me ricordo. Questo per quanto riguarda i bombardamenti de Monfalcòn. Dopo un poco, siccome mia mama la xe furlana, no, semo andai, questo qui non c’entra coi bombardamenti, penso, se gavemo, semo andai sfolladi in, a Saciletto de Ruda, eccola. Là invece semo stai abbastanza tempo fino a fine della guerra e lì me ricordo altre robe. Ad esempio mi me ricordo, a Saciletto che xe un castel, no, e quel che me ricordo ben ben xe che a un certo momento, bon, del castel me ricordo che verso, per andar verso Saciletto ghe iera un fossato, iera una porta tipo ovale, insomma come, rossa, era un canal, disemo sotto lì e l xe vegnu sò sta porta rossa, xe rivà un con la zampogna e se ga messo a suonare la zampogna. Se vedi che doveva esser sà gli inglesi o chi, quel che me ricordo lì. Dopo un’altra roba che me ricordo, ah sì, iera lì del, sempre nel vicin al castel, iera una piscina e senz’altro iera, iera i americani o inglesi, per mi la differenza no ghe iera. E quel che me ricordo iera che i beveva tanta di quella birra e dopo i faseva, iera la piscina carica dei bottiglie dei birra svode, e i doprava le bottiglie ma non, i ghe metteva un, allora acqua, quel che me ricordo mi, una goccia dei oio, un ferro incandescente, i faseva cussì, saltava la bottiglia, usava come bicier, questa xe quella roba che me ricordo mi. E dopo me ricordo, no, un‘altra roba, bon lì xe morto mio fradel che gaveva pochi anni, xe stà [unclear], xe stado sepellito a Saciletto, non go mai savu esattamente cos che gaveva, i diseva che iera cuore in cinque parti ma comunque. Un’altra roba che me ricordo, sì, un’altra roba de mia mama era, andava a Cervignan, da Cervignan a Saciletto e a metà strada la me ga contà quando che la xe arrivada a casa che, ela e una sua amica i se ga nascosto drio un alberon cussì grosso, che xe dove che xe la strada che da Cervignan Saciletto porta per andare a Gorizia anche. Era l’apparecchio che lo ga ciamà Pippo che le ga mitragliade e se ga salvà drio, drio l’albero ecco, anche questo me ricordo. E altre robe. Bon a parte, dopo la guerra lassemo star che voi non ve interesa naturalmente. Dopo la fine della guerra andavimo a caccia de balini robe varie perché andavimo, cioè gavevo un picon che pesava più de mi e noi lì in Via Romana iera campi e campi e andavimo a fero e poi vendevimo le schegge quel quel’altro. Quando trovavimo ad esempio una cova, la cova iera i balini de piombo, podeva esser quei della prima guerra, ma podeva esser anche roba della seconda e andavimo a venderlo in fondo a Via Romana, no. Un’altra roba, eh, un’altra roba gemo trovà anche armi e noi ierimo, disemo, se gavemo fatto la banda della Via Romana, la banda della Via del Pozzo eccetera eccetera ma dopo gavevimo noi ierimo giovanetti, cinque, sei anni, sette eccetera eccetera, però iera anche muleria anche molto più grande e lì se le davimo de santa ragione, non dico che se tiravimo coi mitra che gemo trovà anche dentro ma insomma andavimo lì. Più de un ghe ga lassà i diti o ghe ga lassà quell’altro, ma naturalmente eh bon. Adesso non vado avanti con le storie [laughs] perché altrimenti e andavimo sù per i monti a cercar roba anche dentro tra i busi, tra le grotte e ancora oggi se trova roba. Anche perché se come faso lo speleologo roba della prima poi ma la maggior parte perché della seconda non mi interessa. Dopo altre robe che me ricordo se quando che xe saltà in aria ad esempio la vecia strada per Trieste, allora faso ancora un passetto indrio. Qua iera, xe, iera stà i quarant giorni dell’invasion, cioè che iera vegniu i sloveni e siccome, e quel che me ricordo ancora xe che mia sia, cioè la sorella de me papà, io avevo due sorelle, el gaveva due sorelle, la xe stada anche e la ga ciamada perché la conosceva tre lingue come interprete tra italiani e sloveni la ga ciamada. Mio papà anche per noi, cioè noi, mio papà e le sue sorelle e la famiglia, lori saveva tedesco, italian e sloven perché i iera sotto l’Austria, i gà fatto scuole tedesche in pratica, no, e a causa de questo i ga podu anche salvar certa gente ecco tanto per, questo xe quel che me ga contà eh me papà e me zia eccetera eccetera. Un’altra roba della guerra meglio che lasemo perder perché altra roba cossa. Beh, andando in giro per i monti lì, andavimo specialmente a miccia, e andavimo a miccia allora se mettemo cominciado, allora il Monte Spaccà che iera una batteria da ottantotto tedesca, dopo la iera vicino a Ronchi a Villa Hinke anche lì iera una batteria tedesca da ottantotto. Dopo iera, quando perché noi andavimo alle terme romane che le iera, andavimo a far el bagno sotto no, e lì iera anche dei, una batteria tedesca doveva esser anche lì, dopo dovessi esser anche, no iera una batteria ma dovessi esser una mitragliatrice sulla rocca, no rocca, rocca e dopo xe la le Forcate e dopo xè la Gradiscata, sulla Gradiscata ancora oggi xe una piattaforma, lì doveva essere una mitragliatrice ancora oggi. Inutile che ve conto che nel andar in giro per il Carso cossa gavemo trovà eccetera eccetera, questo xe il meno quel che me ricordo mi. Perché in pratica fin al ’50 ecco andavimo sempre a cerca roba eccetera eccetera, se non altro per vender, per vender perché con diese lire ciollevimo il gelato oppure andavimo al cine. Ecco, tutto qui. Sta roba poi, ah sì bon, andavimo. Specialmente, dove che adesso xe la cartiera no iera el ponte, il ponte iera saltà, perché iera passà un carico de munizioni in un carro, però lì iera tanti de quei bossoli de cannon che andavimo sò, andavimo sotto anche, li tiraimo sù, svodavimo che iera della miccia bianca, me ricordo non capiso perché la iera bianca, e andavimo a vender i bossoli de otton per, sempre per ciapar qualcosa. E lì se andava avanti, cercar, cercar, cercar. Ah sì! Dopo, sa, nel ’46 go comincià ad andar a scola, anzi go la pagella del governo alleato addirittura prima elementare, se volè ve la anche ve la mostro perché penso de esser l’unico ad averla. E go tutto, perché mi tegno tutto, go prima seconda terza, e quel che me ricordo xè che i americani ne dava stecche de cioccolata, no stecche iera ehm scartossi grande come, no scartossi, scatolette come queste, le iera come se le gavessi cera color verde ma la iera talmente dura la cioccolata che metà basta, questo quel che me ricordo. Dopo finida la guerra, questo disemo periodo ’45, ’45-’46 sì, ’46 go comincià scola, dopo xè stado, ah, il cantier ga incomincià a metterse a posto e i ne ga portà, i ne portava in colonia, anche quel xè, in colonia, in montagna qua, le montagne vicin, e quel che me ricordo xè, mi non so ma quanto buona che iera la pasta sciutta che ne portava i militari, adesso non so se iera la pasta sciutta bona o la fame, comunque me ricordo anche quel. E dopo me ricordassi anche tanta roba ma lassemo perder perché non, non so.
AP: Il primo ricordo.
AB: Eh.
AP: Il suo bombardamento de notte.
AB: Esatto.
AP: Lei la se ricorda un circa le date, quando xe successo?
AB: La guardi, xe stà il primo bombardamento, adesso so che il primo bombardamento lo ga fatto il giorno de San Giuseppe ma adesso non so se xe quel, comunque xe notturno, xe la prima volta che me go ricordà de esser andado via, che me go girà e go visto carigo el ciel de ste luci, me ricordo le rosse senz’altro, sarà stà anche bianche altri colori non so ma le luci rosse se quelle che me xe stade proprio impresse. Son tornà più di una volta lì, no, e xe ancora sto muretto e dall’altra parte, ah sì quel me son dimenticà de dir, dall’altra parte xe cascà una bomba d’aereo. Fasè el conto, questo xe el muretto, no, però qua iera perché la strada de Androna Randaccio andava così, qua xe la osteria, go sentì, no mi go sentì, go ciapà e me ga buttà lì, la bomba xe cascada lì ma non la xe esplosa perché el terren iera mollo, mollo, mollo, perché se la esplodeva noi qua non se iera. E ogni volta che passavo, che passo fino a pochi anni fa perché adesso i gà messo aposto ma non xe che non me son accorto mi che xe cascà la bomba, me ga dito me papà, mio fradel, tutti quei lì no che iera cascà la bomba, iera una roba cussì però non la xe esplosa. Perché a cinquanta metri abitavimo lì noi no. E dopo, ah sì eh, e dopo noi gavevimo la casa li ancora sotto l’austria no, nel ’15, cioè semo diventai paroni nel ’15 ma semo vegniudi qua molto prima perché iera anche de Trieste, gavevimo parenti a Trieste. E quando che ga tirà, oltre a, i gà tirà anche i spezzoni, no, e un de quei spezzoni ga colpì, vicino alla stasion lì, ga colpì la nostra casa. E gavevimo una staletta noi, una stelatta in legno che dentro iera la cavra e un porcell, gavevimo cavra e porcell, addirittura quando che xe italiani ne ga fatto, i ne ga dito che noi semo agricoltori, gemo delle bestie, ne ga subito fatto pagar la tassa per quelle robe lì no. Eh bon, conclusion, le xe morte eccetera eccetera, go anche i documenti per i danni de guerra eccetera, eccetera, perché go ancora le carte de l’epoca, però non me ricordo neanche se ge ga dado perché voleva tante de quelle carte che non go ben capì se ge ga dà rivà a tirarle fora però il spesson lo go qua, perché se te vol te lo mostro adesso perché quel xe un ricordo. Noi non buttemo mai via niente! E’ questo, ailo qua.
AP: La me racconti la storia de questo oggetto.
AB: No, sto qua xe, questo qua ga brusà la staletta con le bestie e dopo un toco de casa. Mi non me son neanche, questo qua me lo ga dà me papà quando gavevo diese anni, lo me ga, lo tegniva, lo tegniva allora me gà spiegà cos che xe. Sto qua iera me par una robetta cussì lunga che li tirava sò per darghe fogo insomma, so che brusava brusava non so cos che iera dentro, sarà stà non so fosforo, cos che iera e questo iera quel che gavemo trovà tra le macerie lì della camera e lo tegnimo sempre come ricordo dell’epoca.
AP: La me ga parlà dei suoi genitori.
AB: Eh.
AP: I suoi, lei la iera piccolo, la me ga contà che la gaveva quattro, cinque anni.
AB: EH.
AP: Ma negli anni successivi i suoi genitori ge ga spiegà qualcosa della guerra, ge ga raccontado altre cose o i xe stadi zitti, che cosa ge ga raccontado? O come ge la ga spiegada?
AB: A dir la verità, me papà, alora, ierimo, roba della guerra so soltanto che me papà, me papà, me mamma, e me sia, allora una la iera a Milano, una mia sia, quell’altra mia sia [unclear] invece se vigniuda con noi e me papà, quando chi gavè, no della guerra non me ga contado niente.
AP: I xe sempre stadi.
AB: Mi so soltanto che lavorava in cantier, però dela guera non me ga contado niente. Però so soltanto che, finida la guerra, lui da Saciletto de Ruda fino in cantier andata e ritorno in bicicletta che sia piova che sia neve che sia perciò non iera tanto semplice la vita a quell’epoca, no. Altra roba della guerra, gavevimo un sio che faseva carabinier, lui ga sempre lavorà in quel cantier ecco. Altra roba non.
AP: La me ga contà prima de gente che ga perso.
AB: Come?
AP: La me ga contà de gente che ga perso diti, tirando su.
AB: Ah, eh, ma sì ma, allora, sì un de, ad esempio Mario, ma xè ancora vivo, Mario Satta che fa il tipografo, che iera uno dei nostri capi della banda de Via Romana ma più che capobanda lui iera me ricordo faseva lotta greco-romana, boxe eccetera eccetera e lì noi gaveimo in Via, gaveimo una grande cortivo che iera sei sette famiglie lì, ierimo tanta muleria gio, picia, dopo iera anche quei più grandi, e lì se davimo da far andar a cercar roba per vender e in più se faseva anche sport, ma sport tanto per dir. Buioi de latta che iera pomodori, una sbarra de ferro, incementà dentro con cemento per far sollevamento pesi, me ricordo che go fatto mi all’età de sette, otto anni, mi non so come go fatto, o diese gavevo, cinquantaquatro chili alsado ancora quel me ricordo. Dopo fasevimo boxe dentro tanto xe vero che go el naso spaccado perché go ciapà un bel carot. E dopo, dopo se zogava anche giochi un pochettin meno pericolosi tipo coi tapeti però quel che iera più de tuto, fasevimo i fusili col lastico, poi le cerobotane coi pomei, dopo le freccie con le ombrelle quelle lì iera gravi, andavimo a sgransi con le freccie e con le ombrelle per ciaparli. E lì se divertimo. Andavimo a fregar erba, ciamemo cussì panocie perché fasevimo anche allevamento de conigli ma ben sui trenta quaranta conigli, ma non solo mi, fasevimo tuti. Dopo fasevimo anche da Stolfa la coltivazion dei bachi da seta, anche quei. Andavimo a spigolar, andavimo a runcola, insomma se faseva de tuto per, questa xe. Apena finì la guerra però eh perché durante la guerra dopo semo andai in Friuli ecco ma dopo se gavemo, zogavimo a balòn le prime squadre, tipo la della Via Romana gavemo zogà tuti, dopo xe cioè e altra roba.
AP: Lei la me ga parlà de scola.
AB: Eh.
AP: A scola I ve ga contà qualcosa della guerra o niente? Come ve la ga contada?
AB: No, a scola, quel che mi me ricordo de scola xe che go sempre odiado Garibaldi! Mi go fato prima, seconda, terza, quarta e quinta. In terza se dava l’esame, non come adesso, se dava l’esame in terza e in quinta. I me ga chiesto de Garibaldi, ancora oggi mi lo odio. Perché per mi Garibaldi xe un mercenario ecco, allora sa quella volta non me andava zò, no perché quando che se rivai qua i ga incomincià a inculcarne in pratica. Inso mma, italian, italian, italian! Ma noi savevimo anche, noi ierimo austro-ungarici anche e mi go sempre sentì parlar ben de l’Austria-Ungheria tanto è vero che oggi mi fazo parte anche dei Freiwilligen Schützen, tra parentesi, no. Come che la conta, perché mi me dispiasi ma non me va, non me va italiani.
AP: E quindi anche gli italiani ghe ga contà qualcosa dei bombardamenti, della guerra?
AB: De, allora della guerra per forza, la fasi conto che ad esempio là sotto, el tunnel sotto la Rocca noi lo conoscevimo quando che andavimo a fregar roba perché lì era, el primo toco xe naturale e dopo il resto i lo ga fatto artificiale, no. Lì andavimo a veder se trovavimo. Sotto lì iera tedeschi, che lì dopo i portava le munizioni, anche le munizioni dove che iera ottantotto e in più so anche sora la Gradiscata perché lì, prima de andar alla Gradiscata iera una caverna che la ciamavimo al Caverna dei colombi e dentro iera cussì e sotto iera ancora, iera un pozzo che dentro iera anche delle pistole, quello me ricordo. E insomma, noi cercavimo sempre roba per andar a vendere ecco. Però tutti i busi che xe qua posso contarghele un per un eh! Ad esempio lì dalla stasion i ga, disemo i ga messo un’inferriata sora un buso perché iera pericoloso. Dopo xe, andavimo alla, ah sì fasevimo raccolto ma roba della prima guerra invece al mulin che iera al lago de Pierarossa, fasevimo raccolta de settantacinque. Li gavemo messi sotto el ponte in un buso così gavemo carigà, un bel giorno se trovemo che faseva lavori, le cose ne ga fregà tutti i settantacinque. Dopo lì dalla cava, ah lì dalla cava, altra roba che me ricordo, braghette curte, sò dalla cava, quella che xe in Via Romana, due bombe in scarsela, son andà in stasion lì dalla polizia, go trovà ste qua [laughs] ghe digo. Ga ciamà mia mare, go ciapà tante di quelle pacche che metà basta. Ecco, da quella volta non le go mai più portade a casa. Messe sempre da parte però. E dopo se ga trovà roba che ancora oggi esisti ma non ge la disemo a nessuno. Roba, roba della prima, roba della prima però. E posti iera roba della seconda. La xe là sepolta e che resti sepolta.
AP: Go un’altra curiosità.
AB: Come?
AP: Lei la ga fioi?
AB: Go due fie.
AP: Sì.
AB: No, la scusi, no due fie, due nipotine. Allora là xe la sacra famiglia se vedi no, ecco, quella là sotto xe mia fia con le due nipotine. Quello là xe suo marì. Sora xe mio fio, quelle là xe le mie nipotine, allora xe mio fio con la mula e mia fia col marì. I abita, son stà, son tornado, son tornado il giorno undici. I abita, allora, mia fia, la xe laureada in fisioterapia e la xe andada in Francia e comunque la se ga sposada in Francia, la xe sui Pirenei, dalla parte dell’Oceano Atlantico, in pratica xe proprio sul confin con la Spagna. La ga comprà una malga insomma col marì tutto quanto, una vecia stala la ga messa a posto e xe ventimila metri quadri. E la ga ciamà la malga la ga ciamada ‘ciapaquà’, forse non la sa cosa significa ciapaquà ma comunque ‘malga ciapaquà’. Due nipotine, una da sei anni, una da nove anni. Le sa el talian, perché ge mandemo su roba de, sa meglio de mi el talian el che, sa el talian, sa el spagnolo e sa el francese.
AP: Ecco, volevo domandarghe, a fioi e nipoti, lei ghe ga mai contado de queste cose?
AB: No, no mai.
AP: Cossa ghe diseva?
AB: No, no, no i me ga mai, a parte il fatto che sia me fia che me, suo marì i xe antimilitaristi, antimilitaristi insomma, i ga fatto baruffa perché ghe iera passà uno per i campi lì la sora de lori col fusil ghe ga dito de tutto, perciò non go togado quell’argomento. Ah, da pici, la parla da pici?
AP: Da pici o adesso.
AB: Allora da pici xe poco da dir perché insieme anche a Tullio lì, a sei anni gemo incomincià a far i scout, in pratica son boy scout ancora adesso. Perciò vita all’aria aperta tutto quanto eccetera eccetera. Go lavorà, allora femo così, go lavorà in Germania anche perché dovevo andar a far il militar ma mi il militar non lo volevo farlo no. Allora me ga mandà rivedibile una volta, rivedibile quell’altra, a un certo momento digo mi son andà a lavorar, son andà alle scuole avviamento che per mi xe le scuole migliori che sia mai stade anche se i le ga eliminade. Lì go imparà a lavorar, go avudo dei professori veramente boni veramente. Se son andà a lavorar in Germania che so far sia il piastrellista, sia il saldador, sia il tornidor, sia il falegname. Gavemo avu un avviamento al lavoro che xe stado qualcosa de bel. A un certo momento, bon, dovevo andar a far il militar. Bon, speta, speta, go trovà lavoro di qua, go trovà lavoro di là, [unclear], bon, speto un anno, speto due, allora un mio amico sempre, oh sempre scoutismo eh, mio amico scout el se ga diplomado in ragioneria, lui faseva la quarta bon allora cosa, me ga imprestà i libri a mi, mi me go messo digo si sa cossa far pet che me metto a studiar anche mi no. Bon. Allora sì, iera semplice studiar però el bel xe questo, sempre per quanto riguarda italiani no. Allora, bon, comincià a studiar. Allora noi gavemo fatto scuola de avviamento industriale, gavemo fato delle sezioni, dei disegni tecnici ma roba ma lavoro de tornio, allora ‘ti non te pol far perché non te ga fatto le medie!’ come non go fatto le meidie? eh non go fato le medie, bon ah, me ga toccà dar l’esame della terza media compreso el latin. Siccome me mancava tre anni prima de, bon allora l’esame de terza media, go dà l’esame della prima ragioneria, son andà direttamente in seconda, go fatto seconda terza e quarta, in quarta go dà l’esame de quinta e su ottantadue de lori semo stai promossi mi e quel che studiavimo insieme. Tiè! Son partì per militar, ah momentin. Quando fasevo scuola a Gorizia, andavo da Viertaler e ghe disevo, la guardi che i miei voti xe cussì, cussì, cussì, posso finir un mese prima? Sì se [unclear], sì. E allora finivo un mese prima, andavo in Germania a lavorar in fabbrica e tornavo un mese dopo. E cussì per i tre anni e cussì go imparà anche il tedesco za che iero, no. Go dà l’esame naturalmente, in quarta go dà anche l’esame de quinta e son andà militar. Son andà militar e bon, go fatto el militar a, allora a Orvieto il CAR e invece a Pordenon coi 132 Brigata corazzata ‘Ariete’, carrista. Sul mio carro gavevo, guarda caso, solo che altoatesini, se parlava in tedesco. Insomma, mi me piasi quella vita lì e po bon. Alla fine ga dito, vuole mettere, se voglio mettere firma, magari, sa, ghe go dito, ma non sotto l’esercito italian ghe digo no. Perché me gavevo, gavevo un tenetin de Roma, no, che ne voleva metter sull’attenti, allora lui voleva punirme mi e mi invece lui lo go punido nel senso che go dito non si presenta all’appello, non fa così, non fa colà, perciò che me capita sotto la naja uno cussì. E dopo, siccome go tutti i, anche tutte le carte, me son accorto soltanto due anni fa, che mettevo a posto le carte, che me volevo far el militar ma se me trovo un maresciallo che me metti sull’attenti. Sa cosa che xe successo? Che nel mio congedo i me ga scritto:’diploma de terza avviamento superiore’. Perché se i me scriveva che son perito, che son ragioniere perito commerciale, i me faseva far l’ufficiale, no. E allora go dito, ecco, che fortunato che son.
AP: Volessi farghe ancora due domande.
AB: Eh.
AP: Quando praticamente, tornemo per un attimo al tempo del, della seconda guerra mondiale, quando lei la vedeva scender queste luci
AB: Sì, sì.
AP: Lei cosa la pensava? Xe delle persone che ghe sta tirando addosso? Che xe una specie dei spettacolo?
AB: Ghe posso dir solo una roba, non savevo cos che iera. E non go capì che iera guerra, ecco. Cioè, mi me son accorto che iera la guerra quando che semo andai a Saciletto.
AP: Dove che la ga capido cosa iera successo.
AB: Esatto. E me ricordo ancora un’altra cosa, me ricordo che scavavimo dove che xe le mura del castel, el porton, non so se la xe mai stada là de quelle parti, ma ierimo mi e mio cugin, gavemo tirà fora dei birilli cussì, iera bombe a man, ancora oggi me lo ricordo ben. E dopo me ricordo ancora lì dal pontisel che iera un toco de coso de bazooka cussì. E lì me ricordo ancora che correvo drio ai carri armati e go ancora una cicatrice qua che son cascà dal bordo di un scalin de, non me ricordo.
AP: Carri armati che iera inglesi o americani.
AB: Oh, per mi iera, se iera quel con la zampogna mi pareva.
AP: Podeva esser inglesi.
AB: Podeva esser inglesi.
AP: E adesso l’ultima domanda. Lei la me ga dito che, quando che la iera picio
AB: Eh.
AP: ghe sembrava una roba che non la capiva, la vedeva queste luci.
AB: Esatto, non savevo, ecco esatto.
AP: Quindi iera soltanto un spettacolo. Adesso xe passà settant’anni.
AB: Lo go ancora come iero cussì. Ancora, uguale. Uguale.
AP: Percui lei non la ga cambià idea sulle persone, sugli aerei.
AB: No. Uguale uguale, come il pacchetto de strisce, disemo, che me xe cascà davanti cussì. Iera de giorno. E, iera che luccicava ma luci, iera una bella giornata de sol e iera sti argenti che luccicava che iera, iera che bel, che bel, che bel, pum! Un pacchetto de roba, iera lunghi cussì, cussì, un paccheto cussì, paf! Larghe così. Quel xe quelle robe che me ricordo più de tutte proprio. Proprio de, ciamemolo guerra perché se i rivava, se i disturbava i radar penso che iera ancora qualcosa, no.
AP: Certo. E adesso, cosa la pensa de chi volava sugli aerei? Perché questi qua ghe tirava bombe in testa.
AB: Eh bon, oh, [laughs], a dir la verità.
AP: La ga mai pensado a la guerra?
AB: No, no, no. Così no. Oh, mi me piasi, ghe digo subito che ad esempio me piasi, allora, me piasi Stukas. Allora i Stukas per conto mio per farli i ga, i li ga fatti drio agli albatros o drio agli oocai, mentre quegli inglesi senz’altro i li ga fatti perché per via della picchiata proprio l’altro giorno che i mostrava sta roba qua. Le rondini senz’altro xe stade, se stade dixemo pensade, cioè i Spitfire pensadi per le rondini perché le ga delle virate che xe qualcosa. E sta roba qua la go pensada anche quando son stado lì ultimamente in Spagna, in Francia dopo in Spagna che la ghe iera tante de quelle rondini, faseva tante virate mi me pensava de veder i Spitfire ghe digo subito. Roba della seconda guerra mondiale, vedo tutti i film, tutto quanto perché me piasi, no. Della prima poi xe tutto altro de quel che posso contar vita e miracoli, ma della seconda.
AP: Questo xe quel che la se ricorda.
AB: Eh?
AP: Questo xe quel che la se ricorda.
AB: Sì, della seconda, oddio a parte, a parte i film oppure i libri che legio.
AP: Certo.
AB: Ma libri della seconda se pol dir che no legio, stago leggendo adesso Rommel in tedesco la guardi lei. Ecco.
AP: Va bene, Angelo. Xe sta una bellissima intervista. Grazie, te ne ga contà delle cose veramente interessanti.
AB: Sì, neanche non, [laughs], ah, forse, dopo me vien in mente sempre a pici no, sotto i portici drio el campanil lì de Monfalcon ghe iera DDT e MCC, iera quando ch’i xe vegnudi e l dava el DDT la sà per disinfettar e vegnu fora la frase:’Duce, Duce torna, ddt, magari con Claretta’. [laughs] Vegnu fora, con cossa che.
AP: Questa xe bellissima.
AB: Quelle robe che, vabbè, eh oh!
AP: Bene.
AB: Queste xe la roba che, sì ma no ma.
AP: Allora, xe sta delle bellissime storie. Le la me ga contà delle cose che mi non savevo, quindi grazie, xe stà una bellissima storia e xe stà una storia che probabilmente anche agli altri ghe piaserà ascoltarla. E quindi semo veramente contenti che lei ne ga fatto far questa intervista, penso che sia riuscida benissimo e non posso che ringraziarla.
AB: E adesso posso offrirve qualcosa de bever?
AP: Molto volentieri.
AB: Allora cominciemo.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Angelo Bencina
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Angelo Bencina recalls wartime memories in Monfalcone: a cave being modified as a shelter; the descent of bright red and white target indicators at night; a bomb which nearly missed him and didn’t explode; Window radio counter-measures being dropped. Describes how incendiaries hit his parents’ house, which suffered heavy damage and explains that he has kept a spent fragment as a keepsake ever since. Retells the story of his mother being caught-up in a bombing attack with a friend and how they survived by hiding behind a large tree. Remembers American soldiers giving chocolate to him which was difficult to chew. Describes how he and his friends used to salvage shell cases and military equipment for their scrap value and with the money they would buy cinema tickets and ice creams. Stresses his anti-Italian sentiments and his appreciation for German culture, a position compounded by his admiration for the Hapsburg Empire and a keen interest in the history of the First World War. Mentions how he avoids talking of war memories with his relatives, who are avid pacifists.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Alessandro Pesaro
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-08-01
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:41:36 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ABencinaA160801
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Monfalcone
Italy
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
bombing
childhood in wartime
civil defence
home front
incendiary device
perception of bombing war
target indicator
Window
-
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Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Vivoda, Paolo
Pietro Vivoda
P Vivoda
Description
An account of the resource
This collection consists of one oral history interview with Paolo Vivoda who recollects his wartime experiences in Monfalcone.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-08-01
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Vivoda, P
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
PC: Sono Alessandro Pesaro e sto per intervistare Pietro Vivoda, detto Paolo, per l’archivio digitale dell’International Bomber Command Center. Siamo a Monfalcone, in provincia di Gorizia, è il 1 agosto 2016. Grazie Paolo per aver permesso questa intervista. Sono presenti all’intervista Giulio, Giulia Sanzone, Pietro Comisso, Maurizio Radacich. Prima di cominciare vorrei farle alcune domande per essere sicuro che questa intervista venga registrata come desidera. È d’accordo che la sua intervista venga conservata presso l’Università di Lincoln, esclusivamente per scopi non commerciali, che l’Università di Lincoln ne abbia il copyright e che infine essa sia liberamente accessibile in qualsiasi supporto/formato per mostre, attività di ricerca, istruzione e come risorsa online?
PV: Sì.
AP: È d’accordo che il suo nome venga pubblicamente associato all’intervista?
PV: Sì.
AP: È d’accordo ad essere fotografato per l’Archivio Digitale dell’International Bomber Command Center?
PV: Sì.
AP: Grazie, possiamo cominciare. Dunque Paolo, grazie per questa intervista, per cominciare vorrei chiederle: qual è il più remoto ricordo che riesce a recuperare? Qual è l’evento più distante nel tempo che si ricorda?
PV: Questo de la guera, senz’altro pol esser un avvenimento lontano, lontanissimo, [pause] probabilmente proprio quel giorno, ho una foto de esser su, sulle ginocchia de un soldato tedesco, sul camion dove vengono caricati i feriti; ho soltanto una foto di questo, e probabilmente in quel momento è parché no son mai stado poi, né prima né dopo, in ospedal de conseguenza [pause].
AP: Cos’era successo in quel giorno?
PV: Quel giorno l’è stado un spettacolo teatrale al teatro del cantier di, de Monfalcon, durante le ore de lavoro parché non era, non erano presenti i lavoratori ma i famigliari, spettacolo che, de magia, del, Dolfo, par mi era Dolfo ma gaveva un nome simile, il mago e quel che ricordo, che ricordo, l’è un ricordo forse ‘nche ricostruido, ricostruido da mia mamma perché de lei me ricordo benissimo le ferite, le ferite sulle gambe, sulla schiena, anche ferite con degli, grandi cicatrici, e dopo quando se parlava del quele cicatrici, dello spettacolo, del bombardamento, del, dela fuga, dela fuga nel bunker, via dal teatro nel bunker, non mi ricordo le persone però mia mamma diceva sempre che la nonna Boscal col nipote Paolo, metri, cinque, dieci metri dietro a noi dove son rimasti entrambi, vittime, due persone che abitavan nella casa di fronte, quindi. Una delle tante cose del tempo remoto, perché a Monfalcone, a Panzano cerca, nella parte dei cantieri ne iera tantissime de case rotte, per noi era le case rotte, case distrutte dai bombardamenti, e la mia per fortuna no, quelle vicine no, però a cinquanta, cento metri de via de casa mia ghe n’era tantissime de distrutte. Sotto casa mia c’era un grande bunker, uno dei grandi, duecento persone; mi ricordo che passavo tantissimo tempo nel bunker perché era proprio sotto casa mia, e quando sentivo un rumor de un aereo gridavo ‘Mamma, penchi, penchi’, e via in bunker, ‘ndavo anche solo in bunker, e avevo due anni, tre anni, questo me ricordo! Me ricordo anche che lì vicin era, veniva de guardia un vecchio soldato tedesco, de guardia del posto, che lui avendo un figlio della mia età me portava spesso caramelle, cioccolata, qualcosa da, de conforto a mi: el mio, el mio ‘chicchecco’. Ecco questa sé i ricordi, i primi ricordi che go, i ricordi dela guera, dopo comincia a essere i ricordi dopo la guera. Un altro ricordo che digo sempre, che quando sono nato mio, mio ‘pà è andato in Carnia a prende una capra, e la ga portada a Panzan e mi son cresciudo col late de capra, mi son [laughs] un cornuto dall’inizio [laughs], capre che poi gavemo, ecco quel el me ricordo ben perché le gavemo poi fin al 1950-51, quindi me le ricordo ben. Altri ricordi de quel momento non, non go perché iero troppo piccolo, dopo penso che ze stadi anche, iera ricordi de mio fradel, de mia mamma, de mio papà più che miei, no, quindi.
AP: Cosa, cosa la se ricorda de questi racconti? perché magari dopo la guerra o dopo che sé finida, magari se ricorda qualcosa [unclear].
PV: Sì, me ricordo che la sé finida, me ricordo dopo la guera che iera forse più guera che no prima, per noi no, va ben i bombardamenti iera pesanti, ma me ricordo quando mime son sveado per ‘no scoppio sotto casa nostra, quando che i meteva le bombe perc, per, per impaurir per intim, per farche timora ale persone che dimostrava simpatia per, per la Jugoslavia, per la, per Tito disemo; e g’aveva messo ‘na bomba sotto casa nostra dove che poi, due giorni dopo, la zente che doveva ‘ndar sé ‘ndadi via parché i ‘va capio. Me ricordo, me son sveado perché era tutte le lastre rotte, no iera più’na lastra intiera, e questo succedeva nel ’46.
AP: Quindi dopo la guerra.
PV: [pause] Giusto, nel ’42, nel ’47, sì nel ’46, perché poi ‘l nipote di questa signora nasse nel ’47, a Pola, quindi, giusto nel ’46 , forse era anche il ’45 ‘ncora eh, ‘pena ‘penna finita la guera. So che sé stadi tanti casi a Monfalcon de questo, de bombe, de scoppi, de, ricordo che mio fradel andava a scuola, diseva ‘Ah ma mi, tornavo casa de scola, l’ho visto, ‘l mat in bicicleta, se passà, tirà fora la pistola [mimics gunshot] ghe ha sparado a uno’, pe’ strada eh!, davanti de tutti, quindi ecco questo sé, no sé un ricordo mio ma sé quel che diseva lui, ‘vea cinque anni in più de mi, quindi. Ha visto, ha visto meo de mi quel che era la guera.
AP: Lei me ga parlà de sua mamma con delle cicatrici molto evidenti.
PV: Sì, sì.
AP: Sua mamma cosa g’ala contado de questa , de questo fatto?
PV: Ehh che zera successo in quel, in quela volta che semo ‘ndai a veder el teatro, e che mi ero in braccio de mia mamma, mio fradel era per mano, e prima de entrar nel bunker, stavamo entrando nel bunker, sé stado questo scoppio vicinissimo, dove che ela l’è stada molto ferida, mi me ricordo che ‘veva le cicatrici su una gamba, che da ‘na parte iera entrde delle schegge da l’altra che iera uscide, quindi me ricordo del genocio de mia mamma, e poi della schena de mia mamma, e poi quel ela raccontava che mi ero in braccio de ela, me fradel che iera per man sé rimasto completamente spogliado dallo spostamento d’aria, e poi quel che raccontava che dal cantier vien fora tutti, va in cerca de la gente, mio papà trova mia mamma, torva mio fradel e mi no ’l me trova: ‘l me trova due giorni dopo, no iero né fra i vivi né fra i morti; me trova due giorni dopo tutto, tutto fasciado, probabilmente mi no go dito niente, non, no so quanto che rivavo a cavar o quanto che savevo parlar, e mi no g’avevo niente, ero tuto fassado, ma probabilmente dovudo al sangue de me mama, non mio perché mi no go vudo niente, niente altro che, che questo puntin, penso che poi chi, chito che g’abbi dato importanza a ‘na roba del genere, ma no sé gnanca un graffio, perché no sé un segno esterno, e no sé una roba grossa, perché se g’avevo ‘na roba più grossa probabilmente no ero qua, ehh. Quindi, poi sé tutte ricongiutture che sé restade, mi no go mai dado tant’importanza, serto se fossi viva mia mamma oggi ghe domandassi qualcosa in più, ma perché, perché me sé stado destado un attimo de più interesse su questo, se no, se no.
AP: Certo. Quindi lei no la ga mai parlado con i suoi genitori de queste cose qua ?
PV: Sì, sì se ga parlado perché mi sta roba la so dovù da lori, no.
AP: Certo.
PV: Mio papà ga dita ‘Ciò no trovarte fra i vivi iera longhi, no te go trovà gnanca fra i morti’. E dopo iera vignù fora che quei che era drìo de noi, che mi cono, conossevo, mi no me li ricordo perché no me ricordo quela roba lì, ma la nona e ‘l nipote Paolo sono come mi, lori iera rimasti sotto al bombardamento; e l’è stadi anche più morti quella volta perché chi che era stado fora dal bunker iera spacciado.
AP: Un secondo fa lei la ga parlà de un puntino e la se ga indicà la fronte: de cosa se tratta esattamente?
PV: Una, una stella de metallo, un puntin de metallo. Questo sé venudo fuori dopo quarant’anni quando me sta, me sta diagnosticado due ‘carenze nel visus’ , quindi l’oculista me g’avea diagnosticado de metter su i ociai, e la mia dottoressa la ga voludo che fasso i raggi in testa, che non sia qualcos’altro, e iera vignù fora questo, questo stellina de metallo, questo, che sé in mezzo proprio all’osso, perché leggermente qua a sinistra ‘vemo l’osso spesso sei millimetri circa, in mezzo all’osso sé questa scheggia de metallo, che poi mi, chiedendo, digo come posso cavarmi questa scheggia, e l’unica, l’unica pol esser solo che quel bombardamento perché non, non son mai stado in altri momenti; e poi se te ciapi una qualsiasi roba in testa te resta la cicatrice se te ga un bel taio, ma no te resta dentro niente, questa invece iera proprio un, un niente che sé restado dentro ma che sui raggi se lo vedi, e che me g’aveva molto meraviglià quando sé vignuda fora sta roba, solo che mi g’avevo già ormai quarantacinque anni, sì me g’aveva meravigliado però sé finido là insomma, no, no ghe go dat tanta importanza, no me ga mai dado disturbi e ghe ho dita ‘Questa sé una scheggia americana, domanderò i danni, domanderò la pension ai americani, no’ [laughs], che poi no ho mai fatto niente ovviamente [laughs].
AP: Questo sé un aspetto interessante il, all’epoca, cioè, lei la sé stada una persona che se ga preso una bomba addosso, che cosa la pensava de quei eventi? O come ghe li ga spiegadi? Perché ela la sé stado ferido quando l’era ancora bambino, in genere i bambini da piccoli chiedi ‘Perché?’, chiedi giustificazioni: glila ga chiesto informazioni ai suoi genitori, o i suoi genitori, in qualche maniera, ghe ga spiegado cos’era successo?
PV: Ma se ne ga tanto parlà dela guera, poi la guera no ‘a iera finida nel ’45, ga continuado perché qua da noi ga continuado avanti ancora, gente che spariva, gente che, sé lapidi a Monfalcon del ’47 o ’48 che sé stai copadi qualchidun per motivi politici, per motivi pfff, sì più che altro politici. Monfalcon ga ‘na storia abbastanza, poco, poco conossuda penso, ma sé stado un sacco de gente che ga lassado Monfalcon e che sé ‘ndada nella futura Jugoslavia de Tito, nella democrazia futura, no; sé anche tanti ritornadi, e tanti no sé ritornadi perché no i podeva tornar, ma noi g’avemo g’avudo tantissima gente, quindi quel, la guerra no iera solo la guera de bombardamento, perché qua iera, no iera solo la guera del tedesco; quando mi go visto che sé stado portado via, ecco, mi me ricordo questo, ‘l mio tedesco l’era stado portado via da due neozelandesi, finida la guera, quindi quei giorni là, lui sè stado portado via perché frequentava una signora che era ‘na casa vicin, ma iera ‘na roba normale insomma, l’era ‘na roba, mi son nato nela guerra e quindi par mi la guera doveva esser la roba più normale de ‘st mondo, no; poi finalmente e per fortuna la ga anche finido.
AP: Certo. E adesso a distanza de settant’anni, la pensa ancora che sia una cosa normale? Magari ga cambiado?
PV: Noi no semo più entradi in guerra, però oggi noi gavemo soldati italiani che i sé in venti, venti, venticinque parti nel mondo per le guerre: l’è terribile [emphasis]! Però sé la realtà.
AP: Capisso.
PV: L’Europa no sé più in guera direttamente, forsi, forsi invece la sé, la sé diversa, perché vedemo cos che sé oggi in Europa, eh! [scoffs].Quindi la guera sé sempre. Sé una pochi de anni che digo che l’omo, l’omo sé veramente la, l’animale più bestia, no, le bestie no, sé animali, noi semo bestie, perché se continua a ricoparse come che fossimo, oppure co’ quela ‘Sé notizie?’, ieri sé stado sbarcado milleduecento persone, milleduecento ieri, un giorno l’è sta tremila persone, sbarca la nostra Marina o altre marine anche, in Italia de zente che scampa, ma semo nel 2016, no semo nel ’45.
AP: All’inizio dell’intervista lei la ga usado un’espressione curiosa, “penchi”, ‘penchi, penchi’, che cosa vuol dir? Il suo soldato tedesco.
PV: Eh, ‘l ‘Chechecco’.
AP: Sì.
PV: “Chechecco”. Tedesco par mi iera ‘chechecco”, no, nel mio linguaggioera ‘chechecco” perché co’ ‘na roba che mi gavevo imparado prima de dir altre parole mi g’veo imparado a dir ‘Pà’, questo no melo ricordo mi ma era un racconto de mia mamma che mi andavo dalla signora che abitava sotto de casa mia, che la iera friulana de Campolongo, de, sì me par de Campolongo, e che ‘ndavo a domandarghe ‘Tina, Tina pan’, mi no savevo dir né ‘bongiorno” né niente ma saveo dir ‘Tina pan’ ‘E non lo go ancora fatto, vien dopo’, ‘va ben, va ben, vado de Anna’; andavo de ‘n’altra signora, ‘Anna pan’: mi rivavo aportar casa un tocco de pan che lori i rivava a far e che noi, sì probabilmente iera fatto anche da noi perché mio papà a cio’ ‘l sal a Punta Sdobba co’ la bicicletta e i lo portava in Carnia, pe’ portar casa qualcosa de magnar, come che ha portà casa la capra, faseva anche questo. Però no zera de mia prima persona, sé robe riportade dopo, no, perché mi non le go viste.
AP: Certo.
PV: Eh! [pause] Però sé ricordi de quella volta, ricordi che poi magari mi li go anche lassadi andar, che orami pe’ fortuna no i ga presguido, no, mentre qualchidun, ecco quei ch’era ‘ndati a Pola, dopo anni, quando che sé tornadi, che i me contava, lori i ga continuado ‘na vita così, un poco avventurosa anche dopo, che per noi no la iera insomma.
AP: Bene, ghe vien in mente qualcos’altro?
PV: [pause] No.
AP: Bene Paolo, è stà una bellissima intervista, grazie! Go imparà delle cose che mi, personalmente, no savevo, quindi grazie per ‘verme contà delle cose così interessanti. I miei colleghi all’università sarà contentissime de ‘scoltarla, e quindi se no la ga niente de, d’altro de aggiunger podemo finir qua.
PV: Niente, ringrazio voi e fatene buon uso.
AP: Grazie.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Paolo Vivoda
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Paolo Vivoda remembers a bombing attack which started moments before the show of the stage magician Delfo, his mother barely made to the shelter and was injured, others died. Paolo lost contact with his parents, only for them to reappear two days afterwards, alive but covered in bandages. Describes the shelter under his house able to accommodate about 200 people and mentions a friendly German soldier who used to bring sweets and food to the children. Describes the heated political situation in Monfalcone after the war and mentions a recent CT scan which revealed a tiny, painless, metal splinter still embedded in his forehead.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Alessandro Pesaro
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:18:10 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Monfalcone
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-08-01
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Marco Dalla Bona
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AVivodaP160801
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
bombing
childhood in wartime
entertainment
home front
shelter
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/991/7644/PBuvoliA1801.1.jpg
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Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione
IFSML
Description
An account of the resource
Two item. An interview with Alberto Buvoli, who recollects his wartime experiences in Udine and in the Friuli area, and a propaganda flyer produced after an Allied bombing.
Permission to publish the collection has been kindly granted by the Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione (Udine, Italy).
The collection has been catalogued by IBCC staff.
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2020-02-19
Rights
Information about rights held in and over the resource
his content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. Some items have not been published in order to protect the privacy of third parties, to comply with intellectual property regulations, or have been assessed as medium or low priority according to the IBCC Digital Archive collection policy and will therefore be published at a later stage. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal, https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/collection-policy.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
IFSML
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Alberto Buvoli
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Alessandro Pesaro
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2018-07-02
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:30:12 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ABuvoliA180702
PBuvoliA1801
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Udine
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Description
An account of the resource
Alberto Buvoli recollects his wartime childhood in Udine, when he lived in the railway station area. Describes how furniture was moved to a safer place at the onset of the war and explains air raid precautions, such as leaving the windows open and putting paper strips on glass panes. Mentions the standard attack sequence consisting of strafing, bombing, and finally dropping incendiaries. Reminisces the smell of fires and the sight of spent incendiary devices.
Explains the differences between different kinds of shelters: tunnels;
re-purposed basements beneath substantial buildings; and small, private, concrete structures. Reminisces about heavy bombing which destroyed his home, how they were temporarily housed inside a tunnel and his subsequent life as an evacuee in the countryside. Narrates an episode in which German soldiers showed appreciation for piano music and later came back to enjoy the homely atmosphere of his flat. Describes the conflict as a relatively care-free period: his parents tried in every way to protect him from the horrors of war while farmers provided non-rationed supplies. Bombings were an unavoidable consequence in the state of war.
bombing
childhood in wartime
civil defence
evacuation
home front
incendiary device
perception of bombing war
shelter
strafing
-
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Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Inge Nicolis
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Alessandro Pesaro
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2018-06-15
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
01:02:06 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ANicolisI180615
PNicolisI1801
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Po River Valley
Italy--Milan
Description
An account of the resource
Inge Nicolis, the daughter of a Swedish engineer and an Italian woman, reminisces about her wartime experiences in Milan. She stresses the sense of having been thrown into a tragedy and the anguish of not being able to evacuate Milan on the grounds of her nationality. Provides details of her education and her difficult relationships with teachers and her school mates, on the grounds of cultural and religious differences. Describes the practical attitude of her caring and protective father, who was also a warden, and the behaviour of her mother, who was affected by the bombings, near to breaking point and resorted to different coping strategies. Describes everyday life in Milan mentioning civil defence practices, family conversation about ongoing war events, blackout, and her friendly relationships with local Gipsy communities. Provides a vivid account of one of the first bombings she eye-witnessed from the rooftop of her house and contrasts the incident with later attacks, which were much more severe. Reminisces widespread destruction and fear of danger, although tempered by a fatalistic attitude. Describes the atmosphere of horror of the Piazzale Loreto killings (10 August 1944), and later the sight of Benito Mussolini and other senior Fascists on public display at the same spot (29 April 1945). Links the experience of being at the receiving end of the bombing war with her strong pacifist stance and the disposition to side with the underdog.
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1944-08-10
1945-04-29
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Conforms To
An established standard to which the described resource conforms.
Pending OH transcription
bombing
childhood in wartime
civil defence
coping mechanism
fear
home front
Mussolini, Benito (1883-1945)
perception of bombing war
shelter
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/420/7646/ATencaMontiniN180613.1.mp3
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Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Nino Tenca Montini
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Alessandro Pesaro
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2018-07-13
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:35:31 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ATencaMontiniN180613
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Udine
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Description
An account of the resource
Nino Tenca Montini reminisces about his wartime experiences in Udine and in the Friuli region. Describes the family shelter as a concrete reinforced basement, sparsely furnished with wooden benches. Recalls the urge to escape the vigilance of adults and dash out to see the damage and pick up scrap and spent shells. Reminisces about a Cossack distraught by the death of his horse after a bombing. Recollects his countryside life as an evacuee in Gervasutta, Terenzano e Forni di Sopra, where he eye-witnessed the aftermath of the Forni di Sotto reprisal. Describes shelters in the countryside consisting of dug outs or bell towers, and reminisces the awe of watching low-flying bombers surrounded by anti-aircraft fire explosions. Reminisces about being strafed while on a country road and stresses the inaccuracy of popular depictions of shelter life in media: people were silent and pensive, not agitated. Elaborates on the legitimacy of the bombing war being sympathetic with aircrew. Considers himself lucky for escaping the war unharmed, expresses his closeness with the victims of present day conflicts and stresses his distaste for military life.
animal
anti-aircraft fire
bombing
childhood in wartime
civil defence
evacuation
home front
perception of bombing war
shelter
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/421/7647/AAn01688-180615.2.mp3
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Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with an eye-witness of Milan bombings
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Alessandro Pesaro
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2018-07-12
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:21:11 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AAn01688-180615
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Po River Valley
Italy--Milan
Description
An account of the resource
The informant describes two bombings he eye-witnessed in the Sesto San Giovanni and Niguarda area. During the first, he was in a basement adapted as underground shelter: he recollects women reciting the rosary and a queasy sensation in the stomach caused by explosions. During the latter he found himself in an open space in which trenches have been dug and saw the bombs falling. Describes how he gradually became used to violence and destruction; the sense of danger being tempered by his natural inquisitiveness. Stressed the inefficiency of anti-aircraft fire and the gradual escalation of the bombing war. Mentions the widespread sense of solidarity and mutual support: factory workers pilfering coal at great personal risk, and the role of the “Soccorso Rosso” clandestine mutual support network. Recalls an atmosphere of fear and episodes of violence, mentioning loathed Fascist militiamen and episodes of the resistance in Milan. Elaborates on how the bombings were the just retribution for starting the war.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
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Conforms To
An established standard to which the described resource conforms.
Pending OH transcription
anti-aircraft fire
bombing
childhood in wartime
civil defence
faith
fear
home front
perception of bombing war
Resistance
shelter
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/423/7650/AFiorotP180719.1.mp3
8e9001dbbd1a2e77b0d73becd348c95c
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Fiorot, Piero
Piero Fiorot
P Fiorot
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2018-07-19
Rights
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Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Fiorot, P
Description
An account of the resource
One oral history interview with Piero Fiorot who recollects his wartime experiences in Sacile.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Piero Fiorot
Description
An account of the resource
Piero Fiorot reminisces about his pre-war life in Sacile: schooling, fascist paramilitary training and indoctrination, curfews, rationing, and doing business in a tightly controlled, closed economic system. Contrasts the relatively tranquil life during the first stage of the war with the chaos following the fall of the Fascist regime and the brutality of the subsequent German occupation. Recounts wartime anecdotes such as dropping of propaganda flyers, clandestine listening of British broadcasts, evacuee’s life, German mop ups and killings, anti-aircraft fire, and damage caused by jettisoned bombs. Describes the tense atmosphere inside a shelter with people weeping and praying, and contrasts it with his care-free attitude. Stresses the strategic importance of the city, owing to its railway station and the nearby railway bridges. Describes the 1944 Sacile bombings and provides details on the 5 November 1944 attack in which a bomb nearly hit the private shelter of the Balliana family and many children lost their lives. Reminisces about the funeral and the sight of his schoolmates in white coffins. Speaks critically of the Resistance accused to provoke avoidable reprisal and mentions some victims of German brutality such as Raimondo Lacchin and Marco Meneghini. Describes Pippo dropping supplies and small antipersonnel mines, stressing how children were easily maimed until they were told not to pick them up. Mentions his friendly relationship with Heinrich and Peter Paul, two Luftwaffe pilots based at the nearby Aviano airfield who supported him in many circumstances; describes a fortuitous reunion with the latter. Provides details on the early post-war years and elaborates on the legitimacy of bombing. Recounts how British forces were generally hated and stresses the difficulty to reconcile the bombings with the idea of being liberated.
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Wehrmacht. Luftwaffe
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Sacile
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Alessandro Pesaro
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2018-07-18
Language
A language of the resource
ita
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1944
1944-11-05
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Conforms To
An established standard to which the described resource conforms.
Pending review
Pending OH transcription
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AFiorotP180719
bombing
childhood in wartime
perception of bombing war
Pippo
Resistance
shelter
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/438/7769/PToccacieliG1701.1.jpg
a9e9d5366fe91066a0b8f49b8d4cc729
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/438/7769/AToccacieliG171210.2.mp3
b6c7a5b2341b0666d2685dd1cd5e607b
Dublin Core
The Dublin Core metadata element set is common to all Omeka records, including items, files, and collections. For more information see, http://dublincore.org/documents/dces/.
Title
A name given to the resource
Toccacieli, Guido
Guido Toccacieli
G Toccacieli
Description
An account of the resource
One oral history interview with Guido Toccacieli who recollects his wartime experiences in Milan.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-12-10
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Toccacieli, G
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
AP: Sono Alessandro Pesaro e sto per intervistare il signor Giulio Toccaceri per l’International Bomber Commande Centre Digital Archive. Siamo a Milano, il giorno 10 dicembre 2012. Grazie signor Guido per aver acconsentito a questa intervista. Come prima domanda,
GT: Dica.
AP: Vorrei chiederle, qual’è il ricordo più antico?
GT: Più antico?
AP: Potrebbe essere qualcosa, un ricordo famigliare. Chi erano i suoi genitori? I suoi fratelli? Dove viveva prima della guerra?
GT: Ah. Vabbè, io sono nato a Bergamo perché mio padre in quel tempo lavorava a un campo d’aviazione di Ponte San Pietro che era il campo della Caproni. Lui era specialista in altimetri e volava con gli Sva, [laughs] ancora, era aerei di molto prima della seconda guerra mondiale, della prima guerra mondiale. Erano gli aerei della prima guerra mondiale. Quindi io sono, fino allora sono stato a Bergamo, fino all’età di cinque anni e qualcosa. Poi arrivato a Milano a sei anni, quindi era il 1935. Io dal ’35 sono, abito a Milano. E fino al trenta, dunque la mia vita cos’è stata? Ragazzino che andavo a scuola fino al fatidico 1940 quando è scoppiata la guerra. Dunque avevo undici anni esatti e facevo la quinta elementare.
AP: Che cosa ricorda di quel giorno?
GT: Della mia vita scolastica?
AP: No, di quando è stata dichiarata la guerra.
GT: Ah, ehm,
AP: Si ricorda dov’era?
GT: Anche sì, ero a Milano, esattamente in Via Ingegnoli che è una zona di, ora dicono Città Studi, era allora una zona vicino a Lambrate, alla stazione di Lambrate e lì è cominciata la, diciamo la vita da, in guerra. Il problema della guerra in quella zona era quello che inizialmente, dunque noi abbiamo subito il primo bombardamento, se a lei questo può interessare, nel ’42. Il primo bombardamento nel ’42, dove, se posso aggiungere, poi [laughs]. La mia nuova moglie che, nuova moglie, moglie da sempre, abitava in una località vicino a me a Piazza Bacone e perse la casa anche lei ma questo io l’ho saputo dopo [laughs] quando ho conosciuto lei da fidanzata. Comunque hanno cominciato lì, il primo bombardamento nel 1942. Ma non penso che fossero, non so se, potevano essere francesi o inglesi in quel momento che c’hanno bombardato, questo non me lo ricordo nel ’42. Se erano già, erano già inglesi che sono arrivati, penso che siano, sì, sì, dovevano essere inglesi e quindi lì abbiamo cominciato ad avere dei morti, no? Nella zona di Milano, nella zona che avevano bombardato, anche perché la nostra zona era particolare. Aveva vicino uno scalo ferroviario, quindi alcune fabbriche abbastanza importanti tra queste l’Innocenti che produceva poi armi per la guerra. E quindi da lì abbiamo incominciato a soffrire e fare la vita di quelli che tutti i momenti, in caso di allarme, si finiva nei rifugi [laughs] che organizzavano naturalmente nelle case allora, erano ponteggi nelle cantine proprio per evitare che questi crolli venissero a discapito nostro, ecco. E questo era la, quello che io conosco, il momento della guerra, dello scoppio della guerra adesso, quindi avevo undici anni però eh, quando è scoppiata la guerra quindi. Quello, il nostro problema maggiore era quello e poi è cominciato il problema, vabbè, della alimentazione, mancanza di cose è stato quello che, è stato il mio inizio, la mia, diciamo, la prima giovinezza diciamo, undici anni, un adolescente che si è trovato così però personalmente non tanto. In seguito poi naturalmente cos’è stato le cose meno, i familiari meno importanti, cioè più complicate furono che mio fratello dovette andare militare. E da quel momento, vabbè era una cosa, non ha fatto la, non è andato in guerra, mio fratello è del 1921 quindi nel ’40 aveva diciannove anni, è andato a fare il servizio militare fino. Dunque nel ’40 quando è successo che il primo armistizio che c’è stato? Nel ’42 mi pare, no, ’44, ‘44. ’43, ecco nel ’43. Sì, nel ’43, dunque, avvenne che mio fratello tornò a casa. Tornato a casa e c’è stato pochissimo tempo perché e lì è cominciata subito la Repubblica Sociale Italiana. Mussolini che era stato poi catturato e liberato da Skorzeny, il famoso tedesco che nel Nido d’Aquila sulla, dov’era? Sul Gran Sasso, ha presente che fosse sul Gran Sasso allora. E da quello è incominciato il problema diciamo del fratello che è scappato, si è richiuso in casa ed era considerato renitente allora. Perché poi la Repubblica Sociale richiamò tutti i militari che avevano lasciato. E un bel giorno, tornando da scuola, ero giovanissimo, facevo le medie allora, tornando da scuola trovai la casa circondata dalle cosidette Brigate Nere che erano state create dal fascismo proprio che era, chiamiamola la polizia politica dei, del momento del regime fascista. Riuscirono a scoprirlo perché c’era stata una, come si dice, una spiata ecco. L’avevano saputo. Io sono arrivato a casa, ho trovato tutta questa cosa, mi hanno fermato ehm, e ho visto mio fratello prendere, caricare su una camionetta e portarlo via. S’immagina il dramma in quel momento nella casa. Quindi siamo arrivati al ’44, ’43. Poi mio fratello fu mandato, ricordo benissimo il tempo di guerra, fu mandato a Carcare. Carcare, Savona, sui colli di Cadibona, sì. Fino a un bel momento quello che era successo fino allora, bombardamenti non ne avevamo poi tanti avuti ehm, fino al ’43. E nel ’43, esatto, cominciarono i bombardamenti, quelli pesanti a Milano fatti dagli americani, penso, o forse dalle forze alleate. E lì subimmo dei bombardamenti molto pesanti. Agosto del ’43 è stato un macello, 15 agosto, 16 agosto a Milano è stato un disastro. Milano è sparita in parte, il centro di Milano in qualche via che non esiste ancora più adesso perché [unclear], è scomparsa e da allora, ecco cosa è successo. Da allora mio fratello riuscì a scappare lo stesso da Carcare e fu nascosto dai miei zii in questo periodo e lì andò bene perché poi non successe più niente. Mentre noi eravamo sfollati in un paesino vicino a Milano in una scuola elementare ed eravamo io, mio, mia sorella, sì, mio padre, mia madre. Mio padre faceva avanti indietro perché lavorava ancora a Milano papà e quindi siamo rimasti là fino a che la guerra è terminata. Ecco, altri episodi che diciamo riguardino me personalmente non ne ho, non ho subito cose. L’unica cosa che posso raccontare è stato bruttissima. Finita la guerra sono arrivati gli americani a Milano e io poi, come tutte le altre persone, siamo andati a vedere quella brutta faccenda di Mussolini impiccato, cioè impiccato, era già ucciso in Piazzale Loreto.
AP: Continui.
GT: Dunque, quella è stata una cosa che ci ha colpito non tanto per, ragazzo cosa avevo, ormai avevo quindici, dunque, ’45, sai [unclear] gli americani a liberarci, ecco quello è stata la causa più, a liberarci, sì, ormai avevano liberato tutta l’Italia, i tedeschi erano scappati. Ah, le cose, il brutto che succedeva allora erano le retate che facevano le Brigate Nere, questi della X Mas mi ricordo che c’era il famoso Osvaldo Valenti che era un attore, allora era molto in voga, e coso. Poi, Ah, ho assistito a, dopo la liberazione, a diverse fucilazioni di cosidetti fascisti di allora, io non potevo conoscere tutte queste cose, ero un po’ fuori dal, di questi fascisti che avevano, non so, li avevano fucilati proprio in mezzo alla strada così cioè. Ragazze rapate, pitturate di rosso sulla testa che camminavano in mezzo a discredito di tutti [laughs] che, ecco, queste cose che la guerra mi ha lasciato dentro. I bombardamenti sì, è la cosa più paurosa anche perché un, devo dire un ragazzo non è che si spaventasse per questo. No, questo no, non ho subito terrore per i bombardamenti, no, non ho provato paura. Ecco questo è quanto posso dire del mio periodo diciamo dal ’40 al ’45, quando è stata la liberazione, insomma.
AP: Mi ha parlato prima di un rifugio.
GT: Sì.
AP: Vuole descrivermelo?
GT: Ah.
AP: Come era fatto?
GT: Il rifugio dove, di casa mia?
AP: Esatto.
GT: Cantina. Cantina, paletti di supporto di legno, basta. Tutto lì. Non c’erano cose particolari. Niente assolutamente. Si andava in cantina sperando che reggesse [laughs]. La casa non era grande d’accordo però e dentro, con le donne che magari pregavano [laughs] come in queste cose e i bombardamenti che arrivavano perché l’allarme arrivava molto spesso. Ah, poi nell’ultimo periodo, prima che finisse la cosa, arrivava un certo Pippo. Era chiamato un aereo che non so di che provenienza fosse, se inglese, francese, americano. Arrivava su Milano, sganciava una bomba e basta, e andava e questo è stato per un po’ di volte. Infatti lo chiamavamo Pippo. ‘Arriva Pippo, arriva Pippo’. Ecco [laughs] questo è un ricordo di quella, del bombardamento.
AP: Si ricorda come la gente viveva
GT: Ah poi, il bombardamento, sì, d’accordo posso aggiungere adesso mano a mano che mi ricordo, l’ultimo quello terribile è stato fatto nella zona di Gorla dove è caduto su una scuola. Sono cadute le bombe su una scuola, hanno fatto molti molti morti per i bambini, questo tra i bambini di scuola proprio. Quelle sono state le cose che hanno colpito di più diciamo il fatto che si bombardasse un po’ così e non certo. Gorla è sempre vicino alla stazione centrale, si può immaginare che magari ci fossero però eravamo già verso la fine della guerra. Non so se è stato il colpo finale che volevano darci per, dare a noi, dare allo stato italiano, a Mussolini soprattutto perché allora eravamo isolati dall’Italia noi eh, siamo stati. I tedeschi avevano preso il potere anche su Milano quindi, c’è la guerra, si era formato il Vallo lì in Toscana, Lazio, cos’era, come si chiamava?
AP: La Linea Gotica?
GT: La Linea Gotica forse sì. No, non era la Linea Gotica, forse eh? Dunque, dunque, era la Linea Gotica, possibile. Montecassino, c’era la Gotica, sì, Gotica [laughs]. Gotica, sì.
AP: Questo mi dà l’opportunità di una domanda.
GT: Sì.
AP: Qual’era la vostra percezione? Lei ha parlato di essere, di sentirsi isolato. Avevate la sensazione che le bombe erano dirette a voi? Allo stato italiano? Ai tedeschi? Come vedevate la cosa allora?
GT: Beh, ma, dunque, no, no, [unclear] lo stato italiano senz’altro. Senz’altro. Eravamo alleati dei tedeschi quindi, sì, sì, vabbè. No, avevamo la sensazione che si creasse proprio il panico, proprio di creare qualcosa tra, che, non so, probabilmente che i civili si ribellassero magari a tutto questo stato di cose. Perché ci bombardavano? Perchè venivano a bombardare le popolazioni? Poi abbiamo saputo pian pianino di cose ancora peggiori perché se pensiamo poi cosa è successo a Dresda [laughs], capisci? Quindi era proprio creare questo stato di, forse di sollevazione contro la guerra, certo, non eravamo certo un alleato comodo nè forte per i tedeschi, e quindi presero in mano il potere loro. Insomma praticamente certamente bombardavano anche noi, ma forse per eliminare, più qualche cosa, togliere diciamo una forza, farci smettere per togliere una forza ai tedeschi.
AP: Vorrei riportarla a quegli anni.
GT: Sì.
AP: Sempre tenendo presente quello che mi ha raccontato adesso.
GT: Sì.
AP: Lei si ricorda conversazioni di adulti a proposito dell’essere bombardati eccetera? Che cosa diceva la gente, ad esempio, in negozio, per strada?
GT: [sighs] Praticamente, no, la gente cominciava ad essere un po’ stufa della guerra, cioè stufa della guerra, non si mangiava eh, questo era il problema, quindi. Ma per un certo momento intendiamoci all’inizio li abbiamo odiati questi bombardamenti perché ci bombardavano. Sì, siamo in guerra, d’accordo però. Quello che ritenevamo forse noi della guerra era farla direttamente sì, ma non, non inserendo le persone, le popolazioni civili in questo coso, forse non era il caso. E l’avevamo chiamato questa era la cosa del terrore, proprio creare un terrore in modo tale che qualcuno si, qualcuno che contava si risvegliasse, somma sai [unclear] è stato, forse è stato quello che poi è successo ma [unclear]. Per cui poi il regime fascista è caduto perché qualcuno si era mosso in quel senso lì o forse perché, forse non aveva visto l’interesse particolare di fare una guerra assieme alla Germania non so, [unclear]. Poi io, sai, io sono sempre vissuto in una famiglia che diciamo. Papà ha avuto sempre delle, delle idee socialiste e quindi eravamo un po’ contro questo, poi accettando tante cose perché devo dire noi siamo stati, all’inizio siamo stati anche abbastanza bene. Ai ragazzi non dispiaceva anche andare a fare le adunate, si divertivano, cioè questo era quello che aveva lasciato un pochettino il regime fascista sulla mentalità delle persone. C’erano, alcune cose insomma, c’erano, erano fatte bene insomma perché difendevano i lavoratori, posto di lavoro, cioè tante cose che avevano, bè, questo era un po’, diciamo il fondo fascista di Mussolini, socialista di Mussolini che poi certamente non è, non è proliferato in quelle cose però è quello. Lo stato però, non eravamo con, all’inizio non eravamo proprio tanto convinti che fosse brutto, è scoppiata, sì la guerra è sempre brutta però, mah, poteva anche starci insomma ecco.
AP: E suo padre.
GT: Io non capivo proprio molto bene quella, non c’era quella comunicazione che c’è adesso, quindi era tutto. Dopo ci siamo accorti che era tutta propaganda quindi abbiamo subito un po’, continuato a subire quello che era, diciamo l’inseminazione data da vari anni di fascismo, dal 1922, e vabbè che non era mica tanto, ’29 sono nato io quindi [laughs].
AP: Suo padre come le ha spiegato la guerra, se gliel’ha spiegata?
GT: [sighs] Mio papà, dunque, la guerra lui non l’ha fatta. Lui era specializzato quindi la prima guerra mondiale papà non l’ha fatta, la ’15-’18 quindi. Lui come specialista ha sempre lavorato nelle aziende che fornivano materiale per la guerra. Quindi la guerra direttamente lui l’ha vissuta attraverso il lavoro che faceva, non è che. Ma all’inizio non, posso dirle che non è che fosse contrario, forse aveva, qualche cosa era rimasto di una educazione socialista quindi non era propenso, però neanche proprio completamente alieno devo dire, questo che un ricordo che possa avere io di papà.
AP: La cosa è cambiata quando sono cadute le prime bombe sui civili?
GT: Eh certo, eh certo, eh certo.
AP: Mi racconti questo passaggio.
GT: Eh, le bombe sui civili proprio hanno cambiato un po’ la mentalità delle persone insomma. Si sono proprio un po’ rivoltate dentro, no, in quello che si sentiva dire, ‘ma questi ci bombardano’. Sì, eh, un certo astio per forza, ci bombardavano loro, non potevamo avere però la colpa, la colpa di che cosa? Nostra che abbiamo fatto la guerra. Nostra che ci siamo, ci siamo messi in questa situazione, eh, questi erano i discorsi che facevano loro. Poi è stato anche poi il dramma che non eravamo, sapevamo di non essere, anche noi ragazzi, di non essere all’altezza. Prima di tutto perché ci si misurava con la capacità, diciamo, di fare la guerra dei tedeschi. Noi non l’avevamo questa capacità. Ehm, visto poi quello che era successo e che avevano riportato dei reduci dalla Grecia disastri, cose, l’organizzazione proprio italiana non fatta proprio, assolutamente una cosa così. E quindi, ma abbiamo cominciato a dire che avevamo sbagliato insomma noi italiani a fare la guerra, ad accettare questa, questa guerra così. La punizione, vabbè forse era troppo forte, i bombardarci e morire, eravamo in guerra, vabbè. Abbiamo detto: ‘E’ così, cosa vuoi, non potevano fare niente’. Dovevamo subire e abbiamo subito.
AP: Provi se, se non le dispiace, a ricordare questo senso di impotenza, l’idea di ricevere bombe dal cielo e non poter fare nulla. Provi a ricordare cosa provava quando era bambino.
GT: Eh, difficile. [pauses] Niente. Per me capitava come una, come una, qualche cosa, una disgrazia che doveva venire, qualche cosa. Un qualcosa che non me la, contro il quale non potevo fare niente dentro di me, non potevo fare niente, non potevo. Ma neanche, però neanche il desiderio di mettermi lì, da ragazzo, con un cannone a sparare agli aerei che scendevano, no, no, no. Però un po’ effettivamente bisogna dire una cosa, siccome questi bombardamenti all’inizio quegli inglesi noi li odiavamo un po’ questi inglesi, eh, pensavamo che fossero un pochettino. Non sapevamo cosa poi succedeva quindi questo poi, questo è un paragone che si, non si può fare perché dopo l’abbiamo visto e quindi dopo ci hanno aperto le cose. Non sapevamo cosa subivano gli inglesi, gli inglesi a Londra con le bombe che, Hitler mandava le V2. Eh, potevamo dire, però è una rivalsa contro quello che, ma non c’era, non c’era, non c’era una volontà politica che, aiutasse a pensare una cosa piuttosto che l’altra, eravamo un po’ allo sbando insomma, non eravamo vabbè, subivamo un po’ questo, del partito, queste cose che ti tenevano un pochettino proprio al di fuori di tutte queste cose. Odiavano questo, quello, bisogna odiarli, sì, famoso manifesto, il nemico ti ascolta [laughs], famoso manifesto, grandioso che faceva. Ridevamo perché dicevamo, la lana Churchill si ritira, dicevamo, la lana Churchill perché si ritira, taci il nemico ti ascolta, avevamo dentro tutte queste cose che venivano dalla preparazione che aveva fatto il partito fascista sul popolo italiano. Quindi abbiamo un po’ fatto fatica proprio a uscire fuori dalla cosa. La guerra all’inizio sì, vabbè c’è la guerra, è inevitabile, dicevano. A un ragazzo però, sapere cos’era la guerra, era stata un po’, era un po’ una cosa, non facile da, sì, da accettare sì forse, forse un gioco più grande di noi o forse volevamo partecipare [laughs], da ragazzi, sa, non è semplice, non eravamo adulti capaci di interpretare tutte queste cose che poi sono successe. Molto difficile.
AP: A proposito dell’interpretazione.
GT: Sì.
AP: Mi ha accennato ai bombardamenti dell’agosto 1943.
GT: ‘43, 15 e 16 agosto.
AP: Vuole raccontarmi qualche cosa di più?
GT: Vediamo.
AP: Provi a tornare a quegli anni, a quei mesi.
GT: ’43, sì fino allora non avevamo subito delle grandi cose a Milano, onestamente. Bombardamento che ci ricordavamo di più era quello di, era dell’inizio della guerra nel ’42. Ppi bombardamenti veri e propri non ne abbiamo avuti a raffica come sono venuti lì con questi enormi aerei che arrivavano a onde [makes a droning noise] e forse no. Sono stati i primi che hanno proprio creato proprio un panico assoluto nella gente che c’era. Proprio è stato, sono stati quelli del ’43. Milano ricorda solo, sì del ’43.
AP: Si ricorda le sue emozioni? Che cosa provava lei?
GT: Gliel’ho detto,
AP: Estate, estate del ’43.
GT: Non paura, chissà perché, personalmente come, non ho provato paura.
AP: Le altre persone attorno a lei, della sua famiglia?
GT: Certo, evidentemente, sì, certo. Vabbè, c’erano, [laughs], erano prese, erano preoccupate per i figli tant’è vero che c’è stata il famoso esodo da Milano, tutti cercavano di andarsene via. Ma sì, un paio di notti siamo andati a dormire nei prati perché bombardavano, sapevamo ehm. No paura non ne ho provato, paura vedendo gli altri che avevano paura, a me sembrava che avessero troppa paura. Però non ho provato nè paura nè, neanche senso di odio, sì, bombardavano e vabbè, è la guerra. Ecco, c’era una certa fatalità nel pensare quelle cose lì, una certa fatalità, infatti non ho riportato nessun trauma del fatto di aver fatto, il trauma che si poteva riportare. Ricordare la fame, ma sì, la ricordo ma non è neanche diciamo una causa di queste cose, non è neanche una cosa. Io personalmente non ho portato dei traumi per queste cose.
AP: Mi ha parlato di Gorla prima. Gorla.
GT: Gorla, sì, sì.
AP: La bomba sulla scuola.
GT: Questo ci ha fatto male, sì.
AP: Si ricorda qualcosa all’epoca? Come è stata annunciata?
GT: Niente, dunque, era stata annunciata che, niente, un bombardamento è avvenuto, hanno buttato giù, no, una solita cosa, hanno fatto un raid, no, come si chiama, aereo ha colpito Gorla. Presumo che dovessero colpire la stazione centrale, ecco, questo lo dico io .Abbiamo tutti pensato che la zona, essendo la stazione centrale un certo posto di smistamento per truppe cose, penso non sia stato un bombardamento però tipo, come si dice, come ho detto, annunciato prima tipo terroristico [emphasises] ecco, no, eravamo già un po’ più verso la fine di questo [unclear]. Io la ritengo, non so, un errore proprio grave di, o forse un ultimo rigurgito. Eh beh ma una bomba poteva capitare, poteva spostarsi di cinquecento metri. Non penso che fosse stato un obiettivo ecco, è caduta ma però Gorla come dico era stata la stazione centrale ecco [laughs] perciò c’era un obiettivo. Come le bombe che sono cadute nella mia zona l’obiettivo c’era, c’era lo smistamento di Lambrate quindi era un nodo ferroviario.
AP: Mi ha parlato prima della Innocenti.
GT: Sì, c’era la Innocenti lì eh. Quindi, lo smistamento, venivano fuori le armi dall’Innocenti e subito partivano con lo smistamento ferroviario.
AP: Quindi.
GT: Ecco, una cosa che non abbiamo, che ho dimenticato, ecco questo. Qualche, c’è stato un momento, adesso l’anno però eravamo già un po’ più avanti, dal 40, i mitragliamenti ai treni.
AP: Me ne parli.
GT: Ecco, questa è stata [unclear] quindi proprio c’era una perché i treni erano, in quel momento non c’erano, non treni militari, erano treni civili e questi caccia che arrivavano, non so se fossero americani, inglesi, non, mitragliavano i treni. Questo è stato proprio brutto perché queste cose le ho riviste magari in tanti film dove si vede che mitragliano proprio i treni e la gente scappa fuori. Questo è stata una cosa, ecco, quello lì. Ecco, c’erano questi contrasti che, non capivo quelle cose lì proprio per creare terrore soprattutto, eh, guardi, che hanno mitragliavano i treni. Non erano convogli militari quelli che ho conosciuto, quelli ho saputo io quindi.
AP: Se dovesse spiegarmi la differenza tra mitragliare un treno e bombardare, come la spiegherebbe?
GT: Dunque, la spiegazione che posso dare oggi. Bombardare, bombardare, mitragliare un treno dipende: è un obiettivo militare o mitragliare un treno così solo per mitragliare un treno, pensando che. Bombardare obiettivi militari o una città per fare terrore? Milano è stata bombardata per fare terrore. Non è stata bombardata per, perché c’erano cose particolari, non era. Differenza, vorrei capirla io, come viene, queste pattuglie che vanno su due caccia [unclear] che vanno lì, mitragliano un treno scoprendo che c’è, magari non sapendo che è un treno civile si bombarda, si mitraglia un treno. A Milano, nella zona intorno a Milano, ma che obiettivo è? Per me è per fare terrore, per far cessare, proprio per fare rimuovere la gente, ‘basta adesso, noi non ne possiamo più’, per me. Però strategicamente, non sono uno stratega.
AP: E Pippo come c’entra in tutto questo?
GT: Come?
AP: Pippo. Lei ha ricordato Pippo. L’aereo.
GT: Ah Pippo anche questo qui, che signi, ecco, il significato. Terrore. Può arrivare un bombardamento, crea panico, perché una bombettina non ha mai fatto, ma non credo che sia mai successo un morto per Pippo. Com’era? Come mai arriva questo aereo? Ma sempre per tenere in allarme, cioè, per provocare questa ansia nella gente che si muova, che faccia qualche cosa, che da dentro, si muova da dentro per far finire queste cose. Eh, solo quello, solo quello. Quella è una strategia che. Altro [unclear]
AP: A distanza di settant’anni, è cambiato la sua opinione verso chi la bombardava o chi la mitragliava? Lei pensa che ci sia una differenza tra quello che pensava da bambino e quello che pensa lei adesso?
GT: No, penso che sia stato proprio una cosa per creare proprio il terrore. Per creare terrore e far smettere la gente di, cioè provocare questa, dall’interno questa, questa rivolta, no, contro, contro chi dei nostri faceva la guerra, farla smettere, insomma, farla cessare, farla cessare.
AP: Lei mi ha accennato a sua moglie che ha perso la casa.
GT: Sì.
AP: Questa cosa vi ha unito in qualche maniera? Avete passato le stesse esperienze? Vi siete sentiti uniti? Ne avete parlato?
GT: No, no, no, in questo no perché, beh ma lì è stata un’altra tragedia, lei era una bambina, aveva nove anni, otto anni, nove anni. Hanno perso la casa perché è caduta a Milano in Piazza Bacone e la sua casa è crollata e lei si è salvata perché era in rifugio con i parenti [laughs], con e basta. Da lì è stata un po’ una tragedia per lei dopo, quello che ha subito lei ma era piccola.
AP: Si ricorda cosa era successo?
GT: Sì, dopo lei ha dovuto, eh, hanno perso tutto la casa, hanno dovuto andare presso dei parenti, insomma c’è stata tutta una concomitanza di cose negative per lei, per la sua infanzia voglio dire eccetera eccetera. Questo sì però è lei che, quello che poi ha provato lei io non lo so [laughs].
AP: Prima mi ha parlato di Mussolini e di altri a Piazzale Loreto.
GT: Sì.
AP: Vuole raccontarmi qualcosa di più?
GT: Beh, noi ci siamo trovati, dunque, a Piazzale Loreto perché ad un certo momento, è abbastanza vicino alla zona dove abito quindi [unclear] scesi in strada [unclear], siamo corsi tutti a Piazzale Loreto e abbiamo visto quello spettacolo abnorme, spettacolo orribile. Da ragazzo non l’ho subito però mi ha dato fastidio subito quindi Mussolini, Petacci, Bombacci, c’era un, beh, c’erano questi gerarchi fascisti che io adesso non ricordo mentalmente chi è che era appeso. La cosa più brutta che ho provato. Dunque poi a un certo momento è arrivato un camion, dopo le spiego perché è arrivato il camion, è arrivato un camion e hanno staccato, hanno incominciato a staccare. Quando sono arrivato io la Petacci era ancora con le gonne giù, cioè al contrario e quindi era praticamente nuda o seminuda. Dunque il camion. Su c’era un deposito di benzina, li avevano attaccati tutti sul deposito di benzina alla base di questo striscione di metallo che c’era su e hanno incominciato a tagliare la corda e li hanno calati a uno a uno. Quando sono arrivati a Mussolini, hanno tagliato la corda di netto, non li hanno presi, l’hanno, l’hanno fatto cadere sul camion apposta. E’ stato una roba, è stato una roba pazzesca, la gente che andava a sputare addosso, a calci, urlando cose inenarrabili, basta, dopo [unclear] questa era, una corrida, con tutti i matador [laughs]. Glielo dico visto adesso, con tutti i matador che sputavano, urlavano, imprecavano ancora contro un’ammasso lì poverino, una cosa, poverino dico perché in quel momento poteva fare, ma non mi ha fatto pena in quel momento. E’ stato troppo la ribellione [unclear] perché lì non è più una ribellione perché tu sei nero io sono rosso, tu sei verde, no, no, è una ribellione contro qualcuno che in fondo la guerra aveva fatto morire i figli, mariti eccetera e quindi una guerra che non, che forse l’italiano non ha sentito insomma, l’ha sentito attraverso la, esclusivamente la politica, la forza del fascismo nel fare propaganda, però questo da ragazzo io l’ho capito dopo eh. Il momento io ho vissuto delle cose basta poi il giudizio allora io non potevo darlo, guardavo e basta. Ora.
AP: Resti per favore
GT: Sì.
AP: Con le emozioni di quel momento
GT: Sì.
AP: A Piazzale Loreto.
GT: Sì.
AP: Si ricorda le grida? Si ricorda che cosa dicevano?
GT: Le devo ripetere?
AP: Se se la sente.
GT: Non credo che siano, ‘Porco! Sei un porco! Hann fatto bene! Bastardo!’ E cose del genere. Ne hanno dette di tutti i colori, adesso degli epiteti che non potevano [unclear]. ‘Ti sputo addosso, in faccia, hai fatto morire mio figlio!’ e tutte cose del genere. ‘Porco te e quella puttana della, della tua Petacci!’. [sighs] Poi un’altra cosa che mi ricordo, beh ma quello non [unclear], ho visto catturare Starace, no, che poi l’hann fucilato lì vicino. Dunque sì, in quel momento è sempre Piazzale Loreto, nella zona e a un certo momento proprio, sì, l’avevano catturato, era Achille Starace, segretario del Partito Fascista Italiano. Achille Starace a un certo momento, non so, lo avevano scoperto non so dove l’avessero preso, questo non lo so, lo portarono lì, lo fecero passare davanti a tutto questo spettacolo, lo portarono lì di fronte e [unclear] gli spararono, lo fucilarono lì, poco distante da dove era, il suo capo era appeso. Quello sì. [unclear] ma sono tutte cose che non si sono, diciamo, proprio susseguite in un modo così da una cosa all’altra, che poi ho visto anche lì come le ho detto prima ho visto uccidere dei, in Piazzale Aspromonte ho visto uccidere un certo, allora. Lo chiamavano Pasqualone, era il ras della zona del partito fascista di, di Lambrate, era proprio segretario del Partito Fascista lui, era un, omone, poi andava sempre con la pistola infilata per fare vedere, sempre camicia nera e lì l’ho visto fucilare anche lui poverino in Piazza Aspromonte, portato lì. E’ sempre brutto, è brutto, sono cose che, uno è difficile credere che sia o non sia, hann messo lì e [unclear] niente. Niente, sono cose che mi ricordo della guerra dal ’40 al ’45 poi sono arrivati gli americani. Ah, poi ho fatto un viaggio su un carro armato che arrivava da Via Padova. Arrivava da Via Padova che è una zona [laughs] est di Milano e a un certo momento mi, questi bei americani che salutavano [unclear], ero lì con diverse persone, un ragazzo, [unclear] un americano mi ha tirato su un carro armato, sono arrivato, avrò fatto trecento o quattrocento metri sul carro armato [laughs], ecco. Allora erano cose che poi non so, sì, in questo caso si ricordano perché giustamente come avete voi [unclear] elencato, si ricordano poco poco, è difficile proprio però perché [unclear] risalendo magari ce ne saranno state anche, non eclatanti no perché quelle me le ricordo di più. Insomma, la cattura di mio fratello è stata eclatante, l’uccisione di Mussolini eclatante nel senso della visione di un ragazzo. Quindici anni, salire su un carro armato americano ecco [laughs]
AP: Mi ha parlato di Osvaldo Valenti.
GT: Sì, Osvaldo Valenti, era della X Mas lui, sì, sì, sì. Ah beh sì, Osvaldo Valenti, quello lo conoscevamo come attore, no? Perché anzi, allora non c’era la televisione [laughs]. Lui e la Luisa Ferida che era la sua amante diciamo o sua moglie, non so cosa fosse. E c’era la famosa Villa Triste a San Siro e lì torturavano i partigiani però, ecco, quello sì, quello me lo ricordo. Poi c’erano le Brigate Nere in Via Rovello. Le Brigate Nere c’erano, sì. Ah, una volta, ecco, in tempo di guerra, verso l’ultimo periodo di guerra, mio fratello era tornato da militare e quando era poi scappato la seconda volta, tornato da militare, no, la prima volta, sì, no, la seconda volta perché poi è andato a fare il militare con i repubblichini e poi è scappato e ha portato a casa il fucile. Un giorno mio padre che se adesso fosse qui forse poverino, ha rischiato con noi, perché? Dunque, amico di un, in quel momento già c’erano i partigiani che aleggiavano ancora in città, no? Qualcuno che era dei partiti. Mio padre conosceva queste persone da vecchio povero socialista e un giorno mi dice: ‘Ma qui abbiamo un fucile in casa. Non preoccupatevi, lo diamo, do io, so io a chi darlo’. ‘E vabbè, ma come facciamo? Chi esce con un fucile?’. Di sera non si poteva, coprifuoco [laughs]. Allora ha inventato una cosa. Ha preso il tappeto che avevamo nella camera e ha messo dentro il fucile. Ha avvolto il tappeto e ha detto a mia sorella e a me di portarlo in un certo posto. Cosa che abbiamo fatto. Pensa il rischio che abbiamo corso due ragazzi con il tappeto con dentro un’arma di guerra, con i partigiani che c’erano in giro e i fascisti che cercavano queste cose. Quello me lo ricordo ma non l’ho mica digerita bene con mio padre che c’ha mandato a fare questo lavoro [laughs], per portare un’arma di guerra, fucile poi praticamente figuriamoci. Ecco questa è una cosa che mi sono ricordato di quelle cose lì poi. Periodo di partigiani non tanto perché, cioè sapevo che ce n’erano, che li prendevano, li catturavano e poi naturalmente li hanno fucilati diversi nella mia zona, li hanno fucilati al Campo Giuriati. E lì è stato una brutta cosa e abitavano lì, c’è ancora la targa adesso di questi partigiani insomma, fucilati al Campo Giuriati. Della guerra, del dopoguerra posso raccontare di più [laughs]. Allora incominciamo dalle bande.
AP: Si ricorda.
GT: Della nera.
AP: Si ricorda la sirena?
GT: La sirena, oh, mamma mia! [mimics the high-pitched prolonged sound of the alarm] eccola e poi quando era finite invece suonava [mimics a different alarm sound] continuava a suonare a lungo, questa suonava a [unclear] e l’altra invece dava un segnale di fine allarme. Perché c’era il preallarme, l’allarme e il fine allarme. Sì, questo sì e anche quello, quello era. Ah, bombardamenti, ‘arrivano, arrivano, arrivano!’, poi magari falso allarme. Che poi di contraerea a Milano non ce n’era, non sparavano neanche un colpo, qualcuno così poi, quindi, sì, le sirene, l’allarme, però dopo. Evidentemente ci siamo abituati anche a quello eh. L’allarme c’è però pazienza [laughs], speriamo che non bombardino qui ecco eh. Dopo un certo momento penso che tutti poi in guerra si rassegnino eh, come una cosa inevitabile ma ormai dopo è venuta, è la guerra, l’hanno fatta, ci hanno obbligato.
AP: E’ stato una bellissima intervista.
GT: Ma, non credo [laughs]
AP: Siamo molto contenti, io e i miei colleghi di aver fatto questa bellissima chiacchierata.
GT: La ringrazio.
AP: E’ stato un piacere parlare con lei. Se non ricorda nient’altro, non vuole aggiungere nient’altro, io concluderei.
GT: Cerco, cerco poi. Uno non è mai preparato a queste cose e poi, ma guardi che. No, non è perché ma uno magari soffre non vuole parlarne, no, no, no, gliel’ho detto, non ho. Non credo di aver subito degli shock perché ho subito la guerra da civile ho subito, da civile, da ragazzzo ho subito la guerra, non credo. Ho sofferto solo un po’ la fame, quello mi dava fastidio, non c’era niente da mangiare, a Milano poi assolutamente, i bollini, andare a prendere il pane con i bollini, con, quelle cose, razionato. E’ così dai [laughs].
AP: Va bene, signor Giulio.
GT: Ma io ringrazio lei.
AP: E’ stata una bellissima esperienza.
GT: Anche per me.
AP: E concludo.
GT: C’era una caserma. Quando io prima ho detto che arrivando a casa avevo visto la casa circondata dalle Brigate Nere e mio fratello fu portato, perché era renitente, era scappato nel ’43, mi pare, no? ’43 è venuto Badoglio.
AP: Sì.
GT: Quando venne Badoglio, ecco, e lo portarono nella caserma di Corso Italia. Corso Italia c’era la caserma dove mettevano dentro tutti quelli che avevano recuperato, scoperto che erano renitenti e li avevano portati lì. E lì li avevano fatto firmare poi l’adesione alla RSI. ‘O ti mandiamo in campo di concentramento in Germani o vieni’. E lui Firmò per la RSI perché e l’unica persona che ha potuto andarlo a visitare è stata mia sorella che è andata a visitare appunto mio fratello prima che lo arruolassero nella Repubblica Sociale Italiana e questo è stato uno dei, diciamo delle cose che mi ha colpito di più come ragazzo diciamo come ragazzo [unclear].
UI: Quanti anni aveva il suo parente?
GT: Eh?
UI: Quanti anni aveva sua sorella?
GT: Mia sorella è dunque del ’24, aveva cinque anni più di me. Quindi io avevo
UI: [unclear]
GT: Nel ’43. Aveva cinque anni più di me. Era, sì, sì, quello è. Quella è una cosa che non ti inventi adesso perché, no, no, non ho nominato la persona a chi abbiamo portato il fucile perché era partigiano [unclear]
AP: Va bene.
GT: No assolutamente, nomi diciamo di persone che
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Title
A name given to the resource
Interview with Guido Toccacieli
Description
An account of the resource
Guido Toccaceri remembers his wartime experiences as a schoolboy in Milan: the day war broke out, food shortages, his father working at an airfield near Bergamo, train strafing, basements used as makeshift shelters, being evacuated outside Milan with his family, fascist militia round-ups, tortures at ‘Villa Triste’, and disposing his brother’s rifle wrapped in a carpet. Remembers the 1942 and 1943 bombings, describes the Gorla bombing and elaborates on his legitimacy. Gives a first-hand account of Mussolini’s corpse being desecrated at Piazzale Loreto and the capture of a prominent fascist leader. Tells of his brother, a draft-dodger, captured by fascist militiamen. Describes a summary of executions of fascists, and female collaborators head-shaven and paraded in shame at the end of the war. Mentions a sense of helplessness, resignation towards the regime, which changed after the bombing escalated, and describes the attacks as the just retribution for starting the war and siding with Hitler.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Alessandro Pesaro
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-12-10
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:50:49 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AToccacieliG171210
PToccacieliG1701
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Po River Valley
Italy--Milan
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1942
1943
1943-08
1944-10-20
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
bombing
bombing of Milan (20 October 1944)
childhood in wartime
civil defence
evacuation
home front
Mussolini, Benito (1883-1945)
perception of bombing war
round-up
shelter
strafing
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/439/7792/AVendraminL180717.1.mp3
1fac857c4ece118fe4b997062d1f9ca7
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Vendramin, Lidia
Lidia Vendramin
L Vendramin
Description
An account of the resource
One oral history interview with Lidia Vendramin who recollects her wartime experiences in Sacile and surrounding areas.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2018-07-17
Rights
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Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Vendramin, L
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Title
A name given to the resource
Interview with Lidia Vendramin
Description
An account of the resource
Lidia Vendramin reminisces her childhood in Sacile including details on her primary schooling, family, and town life. Contrasts the public manifestations of joy the day the war was declared, with the shock and dismay of her parents, whose lives had been profoundly affected by the First World War. Describes the first bombings aimed at the railway lines and the subsequent, more severe attacks which targeted the whole town. Reminisces about her life as an evacuee at Nave and provides an account of night bombings on Aviano and Treviso, describing target indicators, flares, and the muffled noise of distant explosions. Stresses her sense of hopelessness, and the difficulty to make sense of meaningless violence and wanton destruction. Claims that parents tried everything to keep their children out of the horrors of war, and stressed how she had to piece together different bits of information to understand the events she had eye-witnessed. Mentions widespread solidarity among co-workers, who rushed to patch up a plant. Describes convoys packed with Jews and Italian prisoners of war en route to Germany and mentions various acts of kindness: women trying to pass food to the prisoners or collecting the notes they dropped on the railway tracks hoping to send news home; railwaymen sabotaging trains. Mentions some anecdotes connected about Pippo and the Resistance. Stressed how the droning sound of aircraft haunted her for years after the end of the war. Having been at the receiving end of the bombing war, it justifies her keen interest in the history of the second world war and human destructivity. Expresses sympathy for the victim of present day conflicts and elaborates on the present state of global politics and society.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Alessandro Pesaro
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2018-07-17
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
01:01:27 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AVendraminL180717
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Conforms To
An established standard to which the described resource conforms.
Pending OH transcription
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Sacile
Italy--Aviano
Italy--Treviso
Rights
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Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
bombing
childhood in wartime
evacuation
Holocaust
home front
perception of bombing war
Pippo
prisoner of war
Resistance
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/452/7941/APederielliM171212.2.mp3
e2651d9ab1831a92ac693f20ef9544b7
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Title
A name given to the resource
Pederielli, Marco
Marco Pederielli
M Pederielli
Description
An account of the resource
One oral history interview with Marco Pederielli who recollects his wartime experiences in Milan.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-12-12
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Pederielli, M
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
AP: Sono Alessandro Pesaro e sto per intervistare il dottor Marco Pederelli. Siamo a Milano, è il 12 dicembre 2017. Grazie dottor Pederelli per aver acconsentito a questa intervista.
MP: Pederielli.
AP: MI perdoni. La sua intervista registrata diventerà parte dell’archivio digitale dell’International Bomber Command Centre, gestito dall’università di Lincoln e finanziato dall’Heritage Lottery Fund. Grazie per aver acconsentito a questa intervista. Mi parli per favore del suo ricordo più antico, dei fatti più remoti che riesce a ricordare. Potrebbe essere un ricordo legato alla sua famiglia, ai suoi genitori o alla sua prima casa.
MP: Beh, il ricordo più antico, sicuramente ricordo di quando mio padre ci portò a vivere di fianco all’aeroporto di Linate in una villa a Peschiera Borromeo. Perché mio padre era un ufficiale dell’aeronautica, tenente poi diventato capitano che aveva militato nell’aeronautica da quando aveva vent’anni e fece una ottima carriera essendo entrato come aviere. Per cui, quando io non ero ancora nato, siamo di origini emiliane, Cento, provincia di Ferrara, la patria del Guercino, del pittore Guercino e mio padre fece questa carriera molto buona e andò a seguire tutte le guerre, le guerre di conquista che fece l’Italia negli anni ’30 in sostanza. Dunque Abissinia, dunque Somalia, Eritrea, queste guerre dove lui era rispettivamente capitano, maggiore, sergente maggiore, piuttosto che maresciallo prima di diventare ufficiale. Io non ero ancora nato perché sono nato nel 1938. Questo è molto importante perché 1938 è l’anno in sostanza della dichiarazione di guerra dell’Italia agli stati, agli alleati in sostanza, no? E, e allora in quel momento lì effettivamente mio padre venne mandato prima a Padova poi, no prima addirittura a Palermo quando ancora non, non aveva, non era stata invasa la Sicilia dagli americani insomma per cui stemmo a Palermo, poi a Bologna, poi a Padova e alla fine proprio nel diciamo, nel 1941-42 appunto ci trasferimmo a Peschiera Borromeo, vicino all’aeroporto, all’aeroporto Forlanini, all’aeroporto di Linate. E mio padre dunque comandava questo gruppo che faceva, che comandava tutto l’aereoporto e aveva trenta, quaranta avieri che lavoravano per lui all’aeroporto eccetera. E io ero così piccolo da, addirittura mi ero, mi avevano fatto una divisa, una piccola divisa da aviere e allora il mio primo ricordo è una volta che io, arrivò mio papà, vestito da ufficiale e io cantavo una canzonaccia dei soldati. Allora lui mi fermò e mi disse: ‘Marco, non hai salutato il tuo comandante. Ricordati che tu, che io, prima di essere tuo papà, sono il tuo comandante’. Allora io mi misi a piangere disperatamente, corsi da mia mamma perché appunto avevo ricevuto il primo, la prima, il primo, diciamo sgridata da mio papà, in sostanza, ecco. Questo è il ricordo più vecchio che ho della guerra. Poi arrivò il, sostanzialmente l’8 settembre, no? L’8 settembre come tutti sanno ci fu la, il voltabandiera dell’Italia in sostanza, no? Per cui tutta la parte sud dell’Italia era già stata invasa dagli americani, c’era, c’era sostanzialmente l’ordine che diede Badoglio, personaggio disastroso per, addirittura avevano, gli inglesi e gli americani avevano coniato un termine: ‘to badogliate’. Non se lei lo sa, ‘to badogliate’ vuol dire tradire in sostanza per cui anche i nostri nemici, cioè gli anglo-americani non capivano come fosse possibile avendo una, avendo degli alleati tedeschi chiudere così, senza nessun accordo, col re che è scappato come lei sa in, a Brindisi e con tutto, con tutto il disfacimento totale dell’esercito italiano per quello che poteva valere, perché per un po’ di tempo sembrava che l’Italia avesse una, addirittura Churchill era abbastanza amico di Mussolini, aveva cercato disperatamente di evitare che entrasse in guerra, mi pare, qualche cosa di questo genere almeno. Per cui a quel punto lì quando arrivò l’8 settembre del 1943, 8 settembre ’43, noi dovemmo lasciare la villa di fianco al. Mio padre, diciamo che non scappò ma non volle più continuare in questa situazione perché i tedeschi da una parte gli dicevano: ‘Ma, se non vieni con noi, se non ti iscrivi alla Repubblica Sociale Italiana, noi ti portiamo in Germania, caro Pederielli’. Erano amici e io mi ricordo anche di pranzi dove sono andato a cena con gli ufficiali tedeschi, ero un bambino piccolissimo, vagamente mi ricordo. E così sostanzialmente ci trasferimmo in una cascina dove c’erano anche i topi sulle, che era vicino all’aereoporto e i tedeschi sapevano dove era mio papà e ogni settimana gli dicevano: ‘Allora, vieni o no?’. E finalmente mio padre disse: ‘Va bene, d’accordo, sono anch’io nella Repubblica Sociale Italiana ma tanto aereoplani non ce ne sono più in sostanza. Non c’era più niente, lui non, l’Italia era completamente, negli anni, alla fine del ’43 l’Italia, anche le fabbriche del Nord Italia erano praticamente quasi finite insomma non. E continuavano i bombardamenti, bombardamenti degli alleati e sappiamo il famoso estate del ’43 dove Milano fu praticamente distrutta. Si salvò fortunosamente il meraviglioso Duomo di Milano ma tutto il centro di Milano che adesso è una delle cose più belle che si possano vedere, a Milano, in Italia sicuramente Milano è diventata la città più affascinante, più perfetta che esista, tutto funziona, a differenza di Roma, tutto è perfetto, la moda, l’alimentazione, sono, è una città strepitosa ormai Milano. E ecco e per cui praticamente questa situazione noi andammo. Dopo un po’, essendo mio padre entrato come ufficiale nella Repubblica Sociale Italiana, lui non voleva nessuna carica perché era troppo brutto il discorso di dire: ‘Ma tu stai dalla parte del giusto o dalla parte del sbagliato?’. Lui credeva di essere dalla parte del giusto perché aveva giurato per il re, aveva giurato per tutto, aveva fatto una carriera di vent’anni entrando a diciotto anni eccetera e invece quelli che venivano dal sud, per caso incontrava perché si poteva ancora passare la Linea Gotica così, gli dicevano: ‘Ah, ma tu sei dalla parte sbagliata’. Certo, loro erano dalla parte giusta perché erano, c’erano gli americani ma non perché loro avessero delle cose. Per cui sostanzialmente mio papà aveva abbandonato l’attività e si era dato all’insegnamento delle marconiste, quelle che dovevano, e aveva una sede dove c’è adesso la Malpensa, mi pare. E lui faceva questo lavorino insomma, andava in bicicletta a fare questa cosa con, questo glielo racconto perché poi le da anche un episodio, c’è un altro episodio, un altro piccolo episodio un po’ particolare. Sostanzialmente mio papà scelse di andare a vivere in una villetta a Gorla, che è una piccolissima, era una piccola frazione di Milano, che è su Viale Monza, sulla via che porta a Sesto San Giovanni, molto vicina alle fabbriche di Sesto San Giovanni che erano sostanzialmente tutte distrutte ormai, non. Diciamo che alla fine del ’43 la Pirelli, la Breda, la Fiat, la Isotta Fraschini erano ormai distrutte, non facevano più niente sostanzialmente, anche i tedeschi. Poi c’erano già i partigiani dentro alle fabbriche che facevano attentati o facevano delle, per cui non funzionava più niente in sostanza. Allora cosa successe? Che noi andammo a vivere in questa piccola villa e io avevo cinque anni, esattamente cinque anni ma sapevo già leggere, scrivere, tutto. Allora mia mamma mi disse: ‘Ma, peccato che cominci, che vai a scuola, che ti insegnano a fare le aste, vai e cerchiamo di farti fare l’esame, entra in prima quando tu avresti dovuto, quando tu avrai sei anni, in sostanza, andrai in seconda.’ E questa fu la mia prima fortuna perché io andai, quando avevo, sono nato in luglio, quando avevo sei anni e tre mesi, andai, mi iscrissi alla scuola di Gorla. Mio padre venne a vedere com’era, anche questo me lo ricordo benissimo, il rifugio della scuola di Gorla era una cantina, una cantina puntellata che quando papà la vide disse: ‘Ma qui cade una bomba, muoiono tutti.’ Però non c’era altro da fare. E così arrivò appunto il 1944, poi è l’anno cruciale perché è lì che si fece poi la fine della guerra sostanzialmente per noi è il 25 aprile del ’45 in sostanza, quando anche questa parte d’Italia viene presa dagli americani e dai partigiani che poi diventano numerosissimi perché tutti abbandonano il fascismo eccetera eccetera e non esiste più il fascismo ma il 25 aprile fu la data del 1945, no? E allora, in pratica, passo a parlare di cosa successe quel giorno. Allora, quel giorno successe che questo piccolo bambino che non conosceva ancora i suoi compagni perché non avevo fatto la prima per cui dopo cinque, sei, sette giorni di scuola non conoscevo i miei compagni di classe, non li conoscevo ancora. E andai in questa scuola che era appunto circa cinquecento metri da casa mia, da questa casa che avevamo affittato. Allora successe che i, andai a scuola regolarmente, accompagnato da mia mamma e verso le undici arrivò un’allarme, il piccolo allarme si diceva così quando era un piccolo allarme. Allora tutti i bambini vennero messi in fila per scendere nel rifugio e anche noi che eravamo in prima, che eravamo in seconda, le prime, le seconde, scendevamo per primi perché poi gli ultimi invece erano gli ultimi, anche la quarta e la quinta classe che erano i più grandi, magari qualcuno si è salvato, successo così. Però cosa successe? Che io scesi le scale, scesi le scale e quando fui davanti alla porta d’uscita, quando fui davanti alla porta d’uscita mi ricordai che mia mamma in un giorno bellissimo mi aveva dato un cappotto, un piccolo cappottino. Allora lasciai la mia classe, risalii le scale che la mia classe era la secondo piano, presi con una certa fatica il cappottino e ridiscesi le scale. Erano le undici e quindici. Undici e quindici scoppiò il grande allarme per cui tutti andarono in rifugio. E il bidello non faceva uscire, prima non faceva uscire nessuno ma quando arrivai io aveva aperto la porta e basta ormai erano tutti in rifugio i bambini. Io vidi la porta aperta e corsi fuori. Corsi fuori in questa strada, c’è una piccola strada con una cascina, era ancora molto, di fianco al fiume, il naviglio, che è un fiume che c’è, un piccolo fiumiciattolo e di corsa, io che non ero mai andato senza mia mamma, era sempre venuta a prendermi, l’ho, ho cominciato a correre verso casa che sapevo più o meno dov’era. Vidi chiaramente gli aerei e sentii dei rumori spaventosi, cominciavano a buttare le bombe, vidi, vidi proprio fisicamente le bombe che cadevano. Fisicamente le bombe, e rumori spaventosi che mi sono rimasti nella testa. Vidi chiaramente, vidi le bombe che cadevano, una cosa incredibile. E di corsa, di corsa, non è vero che cadevano da duemila, tremila metri, cadevano, erano molto basse queste bomba insomma [unclear]. E allora di corsa arrivai, dopo duecento metri di corsa davanti alla chiesa, c’era una chiesa lì, c’è ancora una chiesa e per fortuna davanti alla chiesa c’era un negozio di un droghiere, di un, una drogheria, un piccolo supermarket si direbbe oggi e il padrone mi conosceva, m’ha preso e dice: ‘Ma dove vai? Vieni, vieni, andiamo in rifugio, ti porto in rifugio.’ E allora, mentre mi diceva così, scoppiò una bomba davanti alla chiesa, sul sagrato della chiesa ma io ero già dentro all’edificio e finì del, finì nella cantina insomma dove avevano attrezzato una, un rifugio, piccolo rifugio. Che non cadde, non cadde niente e semplicemente questa bomba fece uno spostamento d’aria tremendo per cui quelli che erano rimasti in strada morirono, furono schiacciati dalle, dalla. E io mi salvai e quando finirono, perché subito a questo punto alle 11.45 finì tutto insomma, no? Una polvere immensa aveva coperto tutto questo quartiere che era un quartiere un po’ popolare con delle case, anche delle case popolari eccetera, caduto dappertutto, Viale Monza era completamente. Tant’è vero che mio padre, allora io arrivai, io uscii e cominciai a correre verso casa perché l’allarme era finito. E vedevo delle bombe, anche delle buche enormi perché c’erano anche molti campi in questa zona. E finalmente vidi mia mamma che in un, veniva, attraversava un prato per venirmi a prendere e così io, io l’abbracciai e andammo verso il rifugio che avevamo a casa nostra, che era un bel rifugio ben attrezzato. E lì cominciammo ad avere sentore che qualcosa di spaventoso poteva essere successo perché quella zona non era stata, circa cinquecento metri non era caduta qualche bomba in un prato, in un prato ma non. E allora cominciammo a vedere, ‘Ma sei tu e gli altri? Dove sono gli altri bambini?’ ‘Ah no, ma io sono uscito prima, sono uscito da solo’. ‘Ma come? E mio figlio, mia figlia dov’è?’ ‘Eh, sarà ancora a scuola, sarà andata in rifugio’. Dunque momento di, tragico perché i bambini morti sono duecento per cui erano, ogni casa aveva come minimo due o tre morti, due o tre. E allora, però non si sapeva niente. E nel mentre mio papà che aveva, che aveva il suo ufficio più o meno da queste parti mi pare, non so, un ufficio qualsiasi per dove facevano, addestravano le marconiste non era più all’aereoporto ma era. Aveva visto questa nuvola di fumo così e allora in bicicletta è andato, è arrivato fino in Viale Monza e l’hanno fermato, hanno detto: ‘Ma dove va? Dove va?’ E dice: ‘Vado a casa perché’. ‘Ma lasci stare perché sono cadute tante di quelle bombe su Gorla e su Precotto che la strada, l’altra zona vicino a Sesto San Giovanni, che è tutto distrutto’. ‘E i bambini, i bambini?’ ‘I bambini non sappiamo ancora ma non’. Allora lui arrivò dove c’è la piazza dove era tutto silenzio e lui non si rese conto, tutto saltando da un, da una maceria all’altra, silenzio. Allora arrivò, dopo un poco, in bicicletta arrivò nel rifugio: ‘E Checco, Marco, dov’è?’ ‘Ah, è qua, è qua.’ ‘Ma e gli altri?’ ‘Ah non so, saranno ancora’. ‘Ma’, dice, ‘Io non credo che ci siano, saranno usciti prima’ perché c’era un silenzio meraviglioso dunque. Insomma dopo un poco cominciarono a dire: ‘Ma, no ma, i bambini sono sotto’. E allora lui si vestì così [unclear] e andarono anche lui a, andò anche a lui a cercare di aiutare a tirare fuori i bambini ma si resero conto che i bambini erano tutti morti praticamente. Perché la bomba, una bomba o due bombe, erano cadute esattamente nella tromba delle scale e avevano ucciso duecento, centonovanta bambini. Se ne erano salvati circa una ventina, che magari erano usciti prima, io l’unica persona che qualche volta vedo è un, qualche volta ho visto cercandolo, è un certo Francescatti che fu proprio travolto e si, un braccio, rimase col braccio sotto e si salvò per, per miracolo insomma, no? E anche un, ebbe anche un grosso problema agli occhi ma è ancora vivo e l’ho incontrato un giorno e ha fatto la sua vita normale eccetera eccetera. Per cui sostanzialmente questo è stato l’episodio clou del bombardamento. Poi queste cose sono vere nel senso che erano trentasei aerei americani che erano partiti da Foggia, dal sud, erano venuti su, avevano bombardato e poi. Le voci sono strane. Io ho letto da qualche parte che temevano di non avere più carburante per ritornare per cui quando sono arrivati qua, dopo poco hanno visto che non avevano più carburante e hanno buttato giù tutto dove capitava eccetera eccetera. Questa è la cosa più probabile. Ma anche qui c’è una frase di questo genere dove dice, ricevettero un ordine dal comando supremo di sganciare le bombe qualsiasi e questo falso nome di questo personaggio che non era lui perché, comunque il nome è Stew [o Steward?], qualcosa del genere, del comandante in capo si stupisce molto, dice: ‘Ma perché buttiamo le bombe giù adesso?’ Ma è un ordine del comando generale e buonanotte. Comunque lui era americano infatti qua si vede che è un, è un americano che vive nel New Jersey e che scrive alla sua bambina, dicendo: ‘Ah, andiamo a fare la guerra’, no, era per liberarsi, eccetera eccetera, c’è questa giustificazione che poi sostanzialmente è un po’ quello che diceva lei prima in sostanza, no? Per cui lo facevano di malavoglia, anche loro sembra ma insomma poi dopo lo facevano insomma quello che. Comunque erano trentasei aerei, tra cui fortezze volanti e così, e basta insomma. E poi qui io ad un certo punto dico centotrentasei, in realtà erano trentasei. E aerei che sono partiti da lì dove c’è adesso tutta, in quel libro che le dicevo, addirittura c’erano i nomi, cognomi di tutti, ma era irrilevante quanti fossero, sono. Partivano da Foggia, da un posto tra l’altro molto vicino alla famosa zona del santo Padre Pio [laughs], dove c’è Padre Pio da Pietralcina insomma, dove avevano costruito un aereoporto dove bombardavano tutto eccetera eccetera. Ecco, questo è un po’ l’episodio proprio della guerra che poi ricordo io è questa qua in sostanza. Che dopo io mi sono sentito sempre un miracolato e, miracolato ha condizionato molto la mia vita perché per esempio io quando perdo qualcosa non ho mai, non mi interessa assolutamente perché grazie al fatto che avevo dimenticato, quando dimentico molte cose, pazienza, non gli do mai nessuna importanza perché dico, se l’ho perso vuol dire che forse era meglio perderla che averla insomma, [laughs] no? Per cui questo aspetto. E poi, beh, poi praticamente io non avevo amici lì perché i bambini erano tutti morti quelli della zona e per cui ho fatto il liceo, ho fatto la scuola media più in centro, ho fatto il liceo scientifico dove ormai la cosa. Ma in questi anni, e questo è importante dirlo, non, queste ricorrenze per i primi vent’anni sono state molto limitate. Hanno fatto un bellissimo, non so se l’ha visto, hanno fatto un bellissimo monumento, sono state le famiglie più rilevanti, che si conoscevano, che erano di Gorla, che hanno voluto questo monumento. Hanno portato tutti i bambini in questo ossario che è dentro la chiesa, questi duecento bambini con i loro nomi eccetera eccetera e con le maestre e così. Però non se ne è parlato quasi più per un bel po’ di tempo perché, sì, Milano sì, ma insomma mica tanto, forse solo quelli che avevano parenti, avevano bambini, avevano ma è stata una cosa, insomma un po’ analoga alle foibe diciamo la verità. Perché in fondo c’era il Piano Marshall, in fondo c’erano gli americani. Dirò un ultimo, per darle un’idea, no? Quando arrivarono gli americani a un certo punto, io avevo visto, io, quando stavo a Peschiera Borromeo vidi i tedeschi che se ne andavano. I tedeschi con i loro carri armati che andavano via perché insomma arrivavano poi gli americani, arrivavano, cominciavano i partigiani. Ma poi vidi ancora di più quando arrivarono gli americani su Viale Monza. Quando arrivarono gli americani che successe nell’anno, un anno dopo, no? Il 25 aprile, dunque dopo pochi mesi da questa strage, le madri che avevano perso i figli lì a farsi dare la cioccolata, a prendere sigarette, a tenere, applaudire gli americani. Questo è una cosa che mi colpì in modo impressionante perché insomma voglio dire, avevano perso i figli, avevano perso tutto quello che avevano, non avevano più la casa, non avevano più niente. Però poi gli americani furono bravi perché il Piano Marshall perché, aiutarono il paese a, per cui non si poteva dire che erano stati loro sostanzialmente. Magari si diceva più volentieri che erano stati gli inglesi perché magari gli inglesi erano più antipatici, gli inglesi erano più, sembravano più antipatici infatti. Infatti, questo antipatia per l’Inghilterra, che io non ho mai avuto per la verità, però diciamo che negli anni cinquanta, sessanta, cinquanta forse, sì, negli anni cinquanta, era un, era rimasto un po’ nella testa degli italiani insomma, l’Inghilterra era considerata qualche cosa di, così, non c’era grande simpatia per l’Inghilterra. Poi invece, quando cominciarono, cominciò, bisogna imparare le lingue eccetera eccetera, addirittura io diedi uno, ero il direttore del centro relazioni universitarie con l’estero della Bocconi, accompagnavo su eserciti di ragazze che si dovevano laureare in lingue e che avevano bisogno della ragazza, dell’au pair piuttosto che e allora divenni, divenni un grande, ero un anglofono veramente, conoscevo bene l’inglese, miei amici, anche adesso li vedo, abbiamo un’associazione dei longevi dell’Università Bocconi che sono persone eccezionalissime, allegrissime, lì c’è il, uno che creò proprio un’agenzia di viaggi dentro alla Bocconi per favorire e io accompagnavo le persone su le ragazze, organizzavo i corsi d’inglese all’estero per cui divenni molto amico dell’Inghilterra, andai un’infinità di volte in Inghilterra in treno e. Per cui è cambiato molto l’atteggiamento vero l’Inghilterra. E invece lì, in quel periodo lì era un po’, s’incolpavano abbastanza gli inglesi di questa cosa, era più facile perché Dio stramaledica gli inglesi questa, queste frasi fatte, queste cose qua ecco. Questo è un po’ come si viveva questa, questo dopoguerra, ecco. E poi vabbe, poi dopo a questo punto l’Italia fu uno dei paesi che riuscirono meglio a superare con, all’ONU, abbiamo i nostri personaggi come De Gasperi eccetera che andò là e disse: ‘Io, io non ho altro da chiedere che chiedere scusa al mondo’, eccetera eccetera con il suo cappotto rivoltato senza, era uno dei personaggi che insomma cominciò e così. Per cui questo è un po’ la storia dei rapporti. Io non, non lo so, anche episodi di, ne ho anch’io episodio veramente drammatico per esempio di mio padre che il 25 aprile proprio prima di, prima che prendessero Mussolini e lo impiccassero eccetera eccetera i partigiani naturalmente diventarono, tutti erano partigiani, tutti erano comunisti, tutti erano. E un bel, e lui veniva dalla Malpensa e fecero un posto di blocco qui a Niguarda, c’è l’ospedale Niguarda. E a un certo punto mio papà era in bicicletta, si fermò e c’era un signore della sua età e dice: ‘Ma lei cosa fa?’. Erano tutti lì fermi ad aspettare. E c’era mio papà che aveva un soprabito, e vestito con la divisa. E lui diceva: ‘Io sono un medico. Sto aspettando di andare al mio turno. Un medico qui all’ospedale di Niguarda, proprio qua a cento metri, a mezzo chilometro da qua’. E lui dice: ‘No, no’, dice, ‘io sono un ufficiale dell’aeronautica’. ‘Lei è un ufficiale della nautica?’. ‘Eh, sì’. Perché lui non aveva ancora capito che era finito, che ormai, che erano nelle mani dei partigiani, di quelli che si dicevano tali. ‘Ma vada subito a cambiarsi, a tirarsi via la, i gradi e la divisa lì che c’è una, c’ha magari anche una rivoltella?’ ‘Ma sì, la portiamo sempre’. ‘Ma vada lì che c’è un casottino, tiri via tutto, si metta lì che ne hanno appena ammazzati due ufficiali qua della Repubblica Sociale Italiana’. E mio padre che in fondo non era, non è mai stato fascista, addirittura era un casino per lui perché essendo un ufficiale avrebbe dovuto essere fascista ma lui era sempre riuscito a non avere la tessera perché proprio non. Mio padre all’idea di togliersi i gradi, buttare la divisa in una casottina eccetera e la sua carta d’identità, la sua cosa, lo colpì in un modo veramente grande e a quel punto disse: ‘No, io, basta, non voglio più essere un ufficiale dell’aereonautica, non voglio più’. Poi lo richiamarono e lo misero a Treviso e lì c’era il dopo, dopo qualche mese insomma no? Ma lui nel mentre aveva cominciato una piccola attività a fare le radio eccetera così e un giorno mi portò anche a Treviso e disse: ‘Dai, vieni che ti faccio fare un giro su questo Spitfire’. C’aveva, c’erano gli Spitfire che dice: ‘l’aereo migliore che abbiamo qua’, era un aereo inglese come lei ben sa, e io dissi: ‘No, guarda, io ho paura [laughs]’ e mi fa: ‘Ma come? No, dai!’. Però lui stette lì ancora due anni ma poi non gli piaceva più proprio. Non c’era l’atmosfera più e dette le dimissioni, gli dettero una buona uscita e lui cominciò una vita, una vita di meditazione, una vita strana, una vita. Lui, lui divenne, vabbè, divenne un commerciante perché così doveva mantenere la famiglia eccetera, vendeva vetri, cristalli, specchi ma soprattuto divenne un teosofo, uno studioso delle religioni, e fece anche un libro che io ho pubblicato, Al di là del velo, che è un libro di Teosophical Society, della Annie Besant, si iscrisse a questa cosa e divenne un sostenitore di questa cosa, non c’è religione al di sopra della verità, insomma così. Un movimento nato proprio in Inghilterra mi pare.
AP: Vorrei riportarla per un istante a.
MP: Mi scusi, forse ho fatto delle divagazioni ma poi ho intagliato tutto quello che abbiamo detto non è che [unclear]
AP: Non si preoccupi. Si ricorda Pippo? Mi parli di Pippo, se ha qualche ricordo.
MP: Beh, Pippo era un incubo per noi eh, perché era questo aereo che tutte le notti non ci faceva dormire per un certo periodo di tempo però perché era un aereo che veniva qui, questo dicevano che veniva dall’Inghilterra, non lo so se venisse dall’Inghilterra. Fatto sta che era un aereo che faceva due cose sostanzialmente: una molto brutta perché buttava giù delle cose, dei bengala che magari incendiavano le case; oppure buttava giù delle, delle caramelle piuttosto che delle cose che i bambini poi quando le prendevano in mano scoppiava, cose del genere. Questo lo faceva così come divertissement. Ma soprattutto buttava giù una bomba, mi sembra proprio una e la buttava dove capitava in sostanza. Per cui, adesso magari ne buttava giù anche due o tre, non so, però sostanzialmente ne buttava giù uno o due bombe. Che cadevano dove cadevano. Allora la gente era un po’ terrorizzata insomma, perché quando arriva Pippo non puoi dormire, non puoi andare, devi andare in rifugio, non devi andare in rifugio, devi fare. E io stesso, mi sembra vagamente una volta che andassi, fossi andato giù in rifugio e per un pelo, ero con mio papà non so come mai, per un pelo non mi beccai una cosa, una scheggia, una scheggia che andò a piantarsi, evidentemente era un bengala, questi, no, uno spezzone, uno spezzone ma insomma. Comunque insomma era una cosa che dava molto, che era fatta apposta per terrorizzare un po’ la gente, ecco. Generalmente la gente se ne fregava perché però avevano un po’ paura insomma perché, però era questo, no? Pippo era questo. Su Milano veniva Pippo, forse su Milano, su grandi città era, non lo so ma questo era quello che. Poi c’era Radio Londra che si sentiva, Radio Londra e poi c’era ma insomma, che non bisognava sentire, vietato sentire, cose così, c’erano tutte queste cose qui che io ricordo vagamente insomma, no. Queste sono un po’ le, i miei ricordi che non sono niente di eccezionale ma che però sono, sono vere [laughs].
AP: C’è un’ultima cosa che vorrei approfondire. Lei mi ha parlato della sua laurea.
MP: Sì.
AP: In un periodo in cui le persone che si laureavano erano una minoranza, come si lega questo fatto all’essere un sopravvissuto di quel bombardamento e lei come si rapporta con i suoi compagni di scuola che sono rimasti sotto quel bombardamento? C’è un legame tra le due cose?
MP: No, perché non, no, perché è cambiato tutta la vita, a un certo punto. Io ho continuato ad abitare a Gorla per un bel po’ di tempo, facendo il liceo, che lo facevo in Corso Buenos Aires, liceo scientifico. E lì eran tutti ragazzi che abitavano intorno a Loreto per cui non, non c’era nessun, non è che io avessi un marchio particolare che sei sopravvissuto a Gorla eccetera. Poi la cosa si, cioè come tutti non ne parlavano anch’io non ne parlavo, andavo abbastanza, il 20 ottobre andavo a queste cerimonie dove a un certo punto cominciavano a farla un po’ più regolarmente. I primi tempi non se ne parlava quasi, soltanto proprio queste famiglie di Gorla che si sono unite e hanno fatto, e hanno creato questo bel monumento, e hanno. Ma sono proprio quelli che erano più di Gorla, proprio che erano, proprio erano come un paese lì, e allora loro erano più vicini a questa cosa ma non. Io sono andato a vivere sostanzialmente come, sì, abitavo lì ma non c’era nessuno che non, e poi dopo quando sono andato via da Gorla, mi sono iscritto alla Bocconi perché cioè mio padre lavorava in un ufficio vicino alla Bocconi e allora abbiamo preso la casa là insomma ma non, non ho più neanche, non c’ho neanch’io, ci pensavo solo il 20 ottobre in sostanza, ecco, non.
AP: C’è un’ultima cosa. Lei mi ha parlato di un fatto molto interessante. Le stesse madri che prima piangevano i figli scomparsi, poi hanno accolto festosamente gli americani che distribuivano sigarette e cioccolata.
MP: Sì, questo è sicuro.
AP: Vuole riflettere un po’ su questo? Cosa?
MP: Beh, è molto strano, cioè i miei genitori non erano, loro hanno vissuto un po’ di più, ecco, forse il discorso è un po’ questo. I miei genitori, facendo parte, mio padre della, di coloro che avevano combattuto veramente insomma, no, con, dalla parte dei tedeschi, e in quest’alleanza che, dell’Asse insomma per cui non, non hanno, non volevano assolutamente festeggiare questo arrivo degli americani, in sostanza. In sostanza lo, l’hanno, lo festeggiavano più quelli che erano i comunisti, che erano i, quelli che sono diventati subito partigiani, che sono diventati, per cui siccome lì è una zona molto, molto rossa perché Viale Monza, Sesto San Giovanni eccetera. Per cui i miei erano più, più agnostici, capivano che insomma alla fine questi hanno buttato giù le bombe, poche balle, insomma, no, per cui. Invece la gente più povera, più, che era diventata subito tutta fascista, tutta, scusa, tutta comunista, praticamente quelli lì, effettivamente credevano l’arrivo di questi liberatori, liberatori, erano tutti liberatori, per cui tutti erano diventati liberatori. Erano diventati liberatori i russi, erano diventati liberatori tutti e allora effettivamente c’era questa, come hanno fatto un po’ in Francia, no, che hanno abbracciato quelli che sono arrivati anche se avevano fatto parte della Repubblica di Vichy insomma, no, però erano. E allora questa la ragione per cui, quando c’è stato questo arrivo di tutti questi carri armati che venivano dal sud e sono passati per Viale Monza, questi qui erano pieni di cose che davano, da mangiare, di caramelle, di chewing-gum, di calze da donna, di tutte queste cose nuove, di Coca-Cola, piuttosto che. Evidentemente è un mondo nuovo che si apriva allora, allora c’era questa volontà di, di. Invece sono altre persone che non hanno più bevuto la Coca-Cola, non hanno mangiato il chewing-gum, proprio quasi per rifiuto di entrare subito in questa, poi sono entrati tutti naturalmente ma, cioè non erano molto popolari in sostanza questi americani, ecco diciamo. Gli inglesi non lo erano per natura perché non, venivano considerati un po’. Ma anche mio padre stesso, che pure è un uomo aperto eccetera, lui non è mai stato a Londra per esempio. Io due o tre volte, io andavo a Londra come, l’altra volta, ‘dai andiamo, ti porto, vieni’, allora [unclear], siamo andati con lui in due o tre paesi a fare dei viaggi, a Parigi, anche in Egitto eccetera, ma Londra lui diceva, ma no, Londra. Cioè, c’era sempre qualcosa di minimamente ostile insomma verso l’inglese ma non so, forse perché lui essendo, avendo visto l’inglese come nemico forse non, anche in Africa quelle cose lì. Eppure mio padre per esempio, deve anche lui la sua vita a una combinazione perché ha portato una volta un maresciallo, un Graziani, cosa del genere, sul suo aereo a Gibuti a incontrare il comandante inglese della Somalia britannica, prestando il suo aereo, cioè andando con il suo aereo e il suo aereo è stato sostituito da un altro che è andato a Addis Abeba, è stato circondato dalle truppe abissine e sono morti tutti e lui si è salvato. Per quello ha preso anche una medaglia d’argento perché è andato a trovare questi qui che erano stati come anche è successo a Kimbu che gli italiani sono stati come circondati dai, per cui. Mio padro ha avuto tre medaglie d’argento, in quei tempi lì, insomma lui evidentemente era uno che c’aveva creduto insomma no per cui insomma. Non credeva nel fascismo come le ho detto ma aveva creduto in questo stato che sostanzialmente, insomma non dimentichiamo che l’Italia nel ’33 ha attraversato l’oceano Atlantico ed era diventata la nazione più potente dal punto di vista aereo con non so quanti, cinquanta idrovolanti, una cosa del genere. Ho visto l’altro giorno alla televisione un episodio dove su tutta New York tappezzata di bandiere italiane con Italo Balbo, capo di questa grande spedizione di centocinquanta aerei, mio padre doveva andare poi dopo non so come mai non è andato ma, che hanno attraversato l’Atlantico con gli idrovolanti insomma no. Per cui insomma essere stato un ufficiale, un aviatore dal ’20, mio padre era del ’09, diciamo dal ’22, ’23 al ’40, è stato una cosa insomma, e di aver fatto una carriera molto prestigiosa insomma, partendo da zero è stato, non è andato all’accademia mio papà ma per cui insomma questa cosa l’ha molto. Per cui non aveva molta simpatia per gli inglesi, diciamo così [laughs] ecco.
AP: Le viene in mente qualcos’altro? Vuole aggiungere qualcosa o possiamo concludere qui?
MP: Ma io, se lei, io, abbiamo fatto una chiacchierata proprio, eh, non so cosa può tirarne fuori lei ma secondo me quello che può tirarne fuori è. Perché questo libro qui effettivamente va bene perché è un libro che è stato fatto con grande amore insomma anche se non, anche se non riporta esattamente le cose però un po’ i disegni fatti, un po’ le poesie messe, un po’ così questa, queste illustrazioni. La prima stesura era stata una stesura un po’, molto, molto brutale, io ho detto a Eugenio: ‘Ma no, qua non va bene insomma, far vedere i morti eccetera eccetera’. Invece effettivamente così è una favola, una favola triste e ma diciamo che è quello che si vuole avere. Perché non è, non è memoria, non è storia ma è memoria, questo è importante avere memoria, [unclear] non è storia perché questo, la storia è quella che si fa scientificamente eccetera, questa è una memoria per cui. Qui, anche questo sono io [laughs] e poi. No, no, va bene. Ecco.
AP: Mi sembra eccellente. Concluderei qui.
MP: Sì, direi che va bene così.
AP: Grazie per questa intervista.
MP: Sì, forse una cosa che potrebbe essere più sottolineata è che le famiglie che hanno avuto le perdite più gravi che si sono, si sono unite in una, in una specie di associazione dove, con la quale hanno raccolto fondi nel dopoguerra con il marmo, per comprare il marmo, per comprare tutto quello, per comprare il grande scultore che ha fatto un’opera molto bella è questo è un atto molto importante. Il primo sindaco di Milano che si chiamava Greppi è stato quello che sostanzialmente ha, ha sostenuto questo fatto di erigere questo monumento e non vendere quell’area lì molto grande che molti hanno detto: ‘Ah, adesso facciamo l’area, facciamo dei palazzi eccetera’, loro hanno detto: ‘No, qui sono morte duecento bambini e in questo rione sono morti trecento persone nelle varie case eccetera, facciamo un monumento di ricordo’. Ecco, sono stati un po’ loro che hanno. Perché proprio come le dicevo, sono quelle cose che in un certo periodo storico non era politically correct parlarne troppo, diciamo così, ecco, questo un po’ la. Forse questo vale la pena ecco. Perché lei potrebbe al limite avere una copia di quel documento lì, di quel monumento lì. Lei ce l’ha?
AP: Sì.
MP: Ah, lei ce l’ha. Basta.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Marco Pederielli
Description
An account of the resource
Marco Pederielli describes his father’s career as a Regia Aeronautica officer, providing details of his service in North Africa. Describes his personal situation after the fall of the Fascist regime, when he reluctantly joined the Aeronautica Nazionale Repubblicana as a Morse code instructor. Chronicles the 20 October 1944 Milan bombing describing aircraft approaching at a low altitude, bombs falling down on Gorla, and the subsequent widespread destruction. Explains how he left the school early and therefore did not go in the shelter where all his schoolmates perished. Mentions Pippo dropping small bombs at night which often maimed or killed children. Describes scenes of mothers who had their children killed during the bombings and cheering American personnel at the end of the war, gratefully accepting small gifts. Stresses the difference in perception between the Americans and British personnel, the former loved and hailed as saviours, and latter being generally disliked. Describes the difficult memorisation of the Gorla primary school bombing and how the monument was built in a period when the aerial warfare war was still a sensitive topic. Describes his father’s post-war career on Spitfires and his subsequent interest in theosophy. Elaborates on the legitimacy of bombing and reminisces how people of different political persuasions welcomed the Allies at the end of the war. Reflects on how being at the receiving end of the bombing has changed his outlook on life.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Alessandro Pesaro
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-12-12
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:50:52 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
APederielliM171212
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Po River Valley
Italy--Milan
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1944
1944-10-20
Coverage
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Civilian
Rights
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Publisher
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bombing
bombing of Milan (20 October 1944)
childhood in wartime
memorial
Morse-keyed wireless telegraphy
perception of bombing war
Pippo
shelter
Spitfire