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Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Ventriglia, Adriana
A Ventriglia
Description
An account of the resource
One oral history interview with Adriana Ventriglia (b. 1940) who recollects wartime experiences in Milan.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-05-07
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Ventriglia, A
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
ST: L’intervista è condotta per l’International Bomber Command Centre. L’intervistatrice è Sara Troglio. L’intervistata è Adriana Ventriglia. Nella stanza è presente Sara Buda e il marito della signora, Maurizio Ghiretti. Ha luogo in [omitted] a Milano. Oggi è il 7 maggio del 2017 alle ore 11. Signora Ventriglia, per iniziare io le chiederei un po’ com’era la sua famiglia, dove vivevate all’inizio della guerra.
AV: Certo. Beh, all’inizio della guerra eravamo, cosiddetti sfollati. Quando ci sono stati i primi bombardamenti, siamo sfollati nel Lodigiano, nella campagna del Lodigiano. Nel ’43, di quello non ricordo nulla. Io sono nata nel 1940, nell’ottobre, per cui sì, ricordo la campagna, ricordo un pochino la casa, ho dei flash, ma di bombardamenti non ricordo assolutamente niente. Ricordo invece quando poi siamo tornati a Milano dopo il ’43 e quando c’erano i bombardamenti noi eravamo in Via Bronzetti al 33. Eravamo mia madre, mio padre e le mie tre sorelle, io ero la piu piccola, quindi ero molto piccola, diciamo che avevo un massimo di cinque anni, che quando era finita la guerra avevo cinque anni. E non ho un ricordo di angoscia, di paura, forse perché ero molto piccola, forse perché i miei genitori hanno fatto di tutto per non trasmettermi la paura che sicuramente loro avevano, ma ho dei ricordi molto tranquilli di quel periodo. E quando, per esempio ricordo il Pippo, che era il famoso aereo da ricognizione che girava sopra Milano, e so che il Pippo, io non avevo ovviamente paura, ma so che il Pippo veniva guardato con preoccupazione. Per esempio, la mia sorella maggiore, Licinia, quando c’era il Pippo che sorvolava, andava nervosamente in balcone a mangiare, mamma diceva, pane e formaggio per la paura e per l’ansia. Io invece dei bombardamenti ho un ricordo quasi, non dico allegro, ma molto sereno, perché quando succedeva che dovevamo andare in cantina nel rifugio, mamma faceva vestire tutte quante e poi mi ha raccontato che vestiva mia sorella Cicci e Cicci, di notte, e Cicci si rispogliava un’altra volta e si metteva a letto e lei la doveva rivestire di nuovo. E mi prendeva sotto il braccio, non in braccio ma sotto proprio il braccio e mi portava giù per le scale, tutti quanti giù per le scale insieme ai vari abitanti della casa, tutti giù in cantina e giù in cantina si stava buoni e zitti. Della cantina ricordo molto bene l’odore di umidità e devo dire, tra, sa quel momento per me l’odore di umidità, non so come mai ma io l’ho sempre associato a qualcosa di simpatico. A me la cantina piaceva, forse perché era un diversivo, chissà mai no. Comunque, senso di angoscia mai, senso di pericolo mai. Io ho capito cos’era la guerra dopo, quando sono diventata più grande. Quando poi ho sentito che mia madre cercava dappertutto mia nonna, che era stata deportata e lei sperava ancora che tornasse. Sono cominciate le mie prime domande quando avevo sei anni. Prima assolutamente la guerra non, non mi hanno trasmesso i miei, sono stati capaci di non trasmettermi nessuna paura. Questi sono i ricordi che ho dei bombardamenti e direi che si chiude lì non ho, non ho altro.
ST: Se posso, come mai siete rientrati a Milano nel ’43?
AV: Era successo che mio padre, che noi eravamo a Ospedaletto Lodigiano, tutta la famiglia allargata perche noi famiglia eravamo, avevamo, mia madre aveva preso in affitto una, sopra una, piccolo appartamento sopra una trattoria ricordo bene il cortile c’era l’orto e invece mia nonna e anche mia zia erano andate vicinissime, cinquecento metri, ospiti in una cascina, avevano preso in affitto una stanza in una cascina. Mio padre, una volta la settimana, mio padre, che faceva l’archivista della Prefettura, una volta la settimana prendeva il treno e veniva a trovarci. Una volta c’è stato un mitragliamento dagli aerei e hanno mitragliato il treno, mio padre è rimasto ferito, mia madre gli è andata incontro con, lui l’avevano portato su un carretto perché allora c’era poco altro con la gamba ferita e da quel momento mia madre ha deciso che saremmo tornati tutti a. Siamo andati in Via Bronzetti 33 perché mia nonna nel frattempo era stata portata, perché eravamo venuti via tutti, mia nonna era stata portata da mio zio in, alla frontiera svizzera e l’avevano presa, lui quindi era tornato indietro tranquillo, tutti noi credevamo, pensavamo che la nonna fosse in Svizzera e quindi la mamma, poi in realtà la nonna il giorno dopo era stata rimandata fuori, poi è stata arrestata in treno e deportata ma. Quindi noi siamo andati nella casa della nonna, in Via Bronzetti 33 e, non so se questo c’entri tanto con il discorso dei bombardamenti ma io l’ho saputo vent’anni, trent’anni dopo che eravamo tornati indietro che la data era dopo il luglio, dopo la caduta del Fascismo e dopo la formazione della RSI, ma noi avremmo potuto essere stati tutti deportati, ma mia madre, siccome aveva fatto un matrimonio misto, senza conoscere la storia perché poi i particolari si sanno sempre dieci anni, vent’anni dopo, credeva di poter stare tranquilla perché lei aveva fatto matrimonio misto. In realtà [laughs] eravamo nella casa della nonna che è stata deportata e avremmo potuto essere stati tutti tranquillamente deportati, magari un po’ dopo perché matrimonio misto nelle leggi prevedeva intanto un atto successivo a quello del prendere anche le persone che avevano fatto matrimonio misto ma vabbè è stato un atto di pura incoscienza da parte di mia madre ma così è stato, è andata bene.
ST: Posso chiederle quindi la sua famiglia era composta, sua madre era quindi di origine ebraica?
AV: Mia madre era ebrea e mio padre era cattolico, era un buon cattolico napoletano e noi eravamo stati tutti battezzati, non subito, la mia prima sorella è stata battezzata dopo sei mesi ma poi via via siamo stati tutti battezzati. Quindi eravamo figli di matrimonio misto, battezzati. Quindi per la legge italiana c’era un certo tipo di legge, quindi saremmo stati non tanto noi figli non tanto sotto la legge perché eravamo stati battezzati alla nascita. Per le leggi tedesche il discorso era un po’ diverso.
ST: Posso chiederle se successivamente quando lei ha iniziato a crescere in famiglia si è riparlato della guerra, dei bombardamenti?
AV: Sì, altroché. Ci sono tutti i racconti della mia mamma, mio padre è morto nel ’54 e non ricordo racconti da parte sua. Però la mia mamma appunto raccontava, raccontava di come reagivano le mie sorelle. Il racconto della sorella maggiore che andava in balcone me l’ha fatto la mamma. Il racconto della prima sorella che si svestiva insonnolita perché non capiva perché dovesse vestirsi in piena notte, anche quello me l’ha raccontato mia madre. Ma direi che, il discorso dei bombardamenti forse era un discorso corale e non sento, non ricordo grande angoscia per quanto a proposito la nostra prima casa quella dove abitavamo nel ’40 quando siamo venuti via era stata bombardata, eravamo in via, vicino a Piazzale Susa, e infatti non non, quella casa non c’era più per quello che siamo andati poi nella casa della nonna. Ma, non, anche nei racconti di mia madre c’era qualcosa di superato, ma probabilmente perché il tutto è stato poi sovrastato invece, per molti anni, dall’angoscia della perdita della nonna, della mamma di mia mamma. La ricerca nei primi anni, sperando che tornasse, l'andare per le varie organizzazioni, scrivere, si parlava soprattutto di quello. Direi che io sono stata segnata più da questo che non dai bombardamenti. I bombardamenti erano una casa che avevamo vissuto tutti a Milano, per cui erano una specie di grande tempesta che era arrivata, l’avevamo passata tutti, qualcuno c’era rimasto sotto ma insomma non, ripeto non c’era angoscia in casa nostra per i bombardamenti. Tra l’altro allora, soltanto dopo ho percepito, ho fatto un po’ i calcoli, erano i bombardamenti degli alleati, non erano i bombardamenti dei tedeschi prima. E, anzi no nel ’43, sì nel ’43 erano gli alleati, certo certo. Ehm, che erano i nostri liberatori [laughs] per cui forse per questo non si protestava tanto.
ST: Quindi lei come bambina pensava a un bombardamento tedesco o non si dava spiegazioni?
AV: Da bambina, non c’era nemmeno il concetto di tedesco o di italiano, a cinque anni hai la famiglia, hai, non hai questo, forse in un’altra casa avrei potuto sentire le differenze, ma non, assolutamente no. Non, sono tutte, queste delle differenze, delle nazioni, sono tutte cose che ho sentito, ma che ho capito, non sentito, ho capito soltanto da adolescente, poi da adulta, prima assolutamente no.
ST: Si ricorda per caso durante i bombardamenti ad esempio, le sirene o comunque cosa succedeva?
AV: Ecco, quello che sapevo benissimo, giusto me l’ha fatto ricordare. Certo, le sirene le sentivo benissimo. E non solo, che andando in giro per la città, perché io andavo lì intorno, c’era, c’erano gli scantinati delle case, che avevano di fianco dei segni, grandi segni bianchi con delle grandi freccie bianche, che indicavano il rifugio, cioè in caso di bombardamento indicavano. Io anche allora sapevo che in caso di bombardamento era lì che si andava e questi segni sono rimasti poi per decenni sulle case, poi pian piano sono spariti, poi via via sono stati cancellati e al posto delle, di quelle finestrine basse che davano nelle cantine che c’erano nelle vecchie case, nelle nuove case non ci sono più, erano, son state messe poi le inferriate, poi tutto è stato dimenticato. Ma, certo le sirene me le ricordo bene io, certo.
ST: Ehm, lei si ricorda per caso, chi è che le aveva spiegato cosa bisognasse fare in caso di bombardamento, se…
AV: A me nessuno ha spiegato nulla perché ero piccola, ero protetta, ero molto protetta io. Ero la più piccola e quindi mi gestivano in caso di problemi. Non, io nulla sapevo, nessuno mi diceva niente, no, no.
ST: E si ricorda cosa facevate lei e le sue sorelle durante le ore che si passavano nel rifugio?
AV: Ho dei ricordi vaghi. Ricordo tante persone che si conoscevano tra di loro e non era neanche tanto buio, c’era un semibuio, forse una lampadina. Un po’ si chiacchierava, un po’ si taceva. Non ricordo di mio, poi ho saputo da altri racconti ma di mio non, non ricordo altre cose,se, cosa facessero, se qualcuno dormiva per esempio ma, sono cose che non ho, di cui non ho ricordo proprio. Ero piccola, cioè cinque anni. Di solito, beh oggi forse i bambini sono diversi perché cominciano prima ma allora i bambini erano molto, come dire, molto protetti dall’esterno, gli si raccontava molto poco, non aveva importanza di spiegargli le cose, dovevano fare quel che dicevano i genitori e basta, ecco, per cui. Poi le nozioni quindi non se ne hanno, si hanno solo delle impressioni, dei sentimenti, non molto altro.
ST: Quando, relativamente a quell’evento che raccontava di suo padre che venne mitragliato, che subì un mitragliamento al treno su cui stava viaggiando, anche di quello in famiglia come, rimase soltanto la paura di sua madre oppure ci fu anche un discorso attorno a quel fatto? Ci fu della rabbia, magari legata ai bombardamenti?
AV: No, non ricordo. Mia madre è rimasta molto spaventata ma non ricordo rabbia, ricordo molta paura. Mi ricordo quando la mamma a Ospedaletto Lodigiano era uscita, era andata a prendere il papà, ma era solo paura, non c’era rabbia. Devo dire che di rabbia nei confronti dei bombardamenti a casa mia non ne ho mai sentiti. Probabilmente proprio perché, ma è una mia ipotesi, venivano proprio percepiti da, come bombardamenti di qualcuno che ci veniva a liberare dai tedeschi. È possibile, però è una mia idea. Comunque sicuramente io non ricordo rabbia nei confronti dei bombardamenti, no.
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Title
A name given to the resource
Interview with Adriana Ventriglia
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Sara Troglio
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-05-07
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:15:50 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AVentrigliaA170507
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Po River Valley
Italy--Milan
Italy--Lodi
Italy
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1943
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Description
An account of the resource
Adriana Ventriglia remembers the bombings of Milan. She provides details about her evacuee life in the Lodi countryside and describes how her father was injured in a train strafing. Mentions her early life in a mixed family, the impact on anti-Semitic laws, and how her grandmother was deported, never to return. Recalls life under the bombs, civil defence precautions and the atmosphere inside a shelter. Stresses how her parents tried to spare her as much hardship as possible and describes war as a relatively care-free period. Mentions Pippo and describes how her sister tried to cope with its menacing presence.
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
African heritage
bombing
childhood in wartime
civil defence
evacuation
faith
fear
Holocaust
home front
perception of bombing war
Pippo
strafing
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Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Buffadossi, Marialuigia
M Buffadossi
Description
An account of the resource
One oral history interview with Marialuigia Buffadossi (b. 1925) who recollects her wartime experiences in Milan and in the Lake Como area.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Buffadossi, M
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-05-28
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
ZG: È partito.
SB: Ok. Allora, l’intervista è condotta per l’International Bomber Command Centre. L’intervistatore è Sara Buda. L’intervistata è la signora Marialuigia Buffadossi. Nella stanza sono presenti la sorella Annunciata Buffadossi, la signora Nava Spizzichino, amica, e Zeno Gaiaschi dell’Associazione Lapsus. L’intervista ha luogo in [omitted] presso la parrocchia omonima. Oggi è il 28 maggio 2017. Siamo a Milano. Dunque, cominciamo da prima della guerra, giusto per capire un attimo qual’era il suo mondo. Ci racconta un pochino, appunto, come era composta la sua famiglia, che cosa facevano i suoi genitori, e poi appunto ci dice anche quando è nata lei.
MB: Io sono nata il 19 ottobre del ’25. Mio padre lavorava come muratore presso una ditta, una ditta milanese, eravamo poveri e mia madre era casalinga, faceva, cuciva camicette, allora si usava cucire per certe ditte camicette, così e lei guadagnava qualche cosa in questo senso. Io lavoravo, no io lavoravo, io ho fatto le scuole elementari presso la, abitavo, allora abitavo in via Confalonieri 11.
SB: A Milano.
MB: A Milano. Purtroppo era una casa, la chiamavano la casa di sass, perché era una casa storica. L’ambiente era l’ambiente di operai. Poi avevamo nel cortile due persone che passavano per ladri abituali, però io andavo tanto tranquilla, mi trovavo, andavo spesso perché ero, non dico non molto religiosa ma frequentavo l’ambiente religioso. La mia parrocchia era Santa Maria alla Fontana, molto distante da Via Confalonieri perché molto distante. Ma io la mattina mi ricordo che andavo alle sette meno un quarto in parrocchia e non avevo paura assolutamente, andavo tranquilla. Io ho fatto le elementari e poi quando avevo, dopo cinque anni delle elementari bisognava fare l’esame di ammissione e sono stata ammessa alle scuole magistrali inferiori perché il mio desiderio è sempre stato di fare la maestra, ma purtroppo i miei non potevano mantenermi a studi così pesanti perché allora l’ordinamento era quattro inferiori e tre superiori. Hanno potuto fare, farmi fsare il corso magistrali inferiori che io ho finito, dunque ho finito nel 1940, nel 1940, ecco. Poi ho trovato un posto da un avvocato che aveva quasi promesso ai miei che mi avrebbe fatto studiare. Ma insomma anche lui era un avvocato civilista e anche lui non era tanto un avvocato di grido. Questo avvvocato però aveva la moglie che era figlia dei, adesso non ricordo più come si chiamano, era di San Marino la moglie, e quindi lei spesso andava a San Marino e lui faceva le pratiche perché allora di divorzio non se ne parlava neanche, faceva le pratiche perché a San Marino potevano avere il divorzio insomma. Il mio avvocato era bravo perché diceva:’se lei’, io facevo la stenografa, la stenografa un po’ così, ‘se lei non capisce una parola, me lo chieda che io non guardo il suo vocabolario, gliela spiego io’, insomma. E la moglie poi mi voleva un bene immenso, immenso [emphais]. Ecco, questo è tutto. Io quando ero impiegata dall’avvocato ero in Via Podgora che era vicino al tribunale. Loro d’estate andavano via e io rimanevo lì da sola. Avevo una paura santissima perché a quindici anni stare da sola, però insomma stavo ecco, perché avevo la fortuna di aver trovato il posto. Inizlamente non mi aveva messo a posto con le marche, ma poi mi ha messo a posto con le marche, le marche con l’INPS, perché. E siamo arrivati nel ’43. Nel ’43 una mia amica mi ha proposto di entrare in banca perché era all’ufficio del personale e allora nel febbraio del ’43 mi ha fatto fare la domanda e mi hanno preso al Credito Italiano dove io ero all’ufficio del personale quindi in una posizione di privilegio diciamo.
ZG: [unclear]
MB: Nel ’43 siamo stati un po’, qualche tempo, mi hanno assunto, mi ricordo, alla fine del mese di febbraio quindi non hanno neanche aspettato neanche un momento insomma, neanche il primo di marzo, sono stata assunta il 22 di febbraio mi ricordo e poi la banca, siccome c’erano i bombardamenti molto pesanti qui a Milano, la banca ha fatto sfollare il suo personale a Cernobbio vicino nella, in una, si chiama, no filanda, in un, alla Bernasconi insomma che era una, praticamente, uno stabilimento tessile e io sono rimasta lì, non mi ricordo bene, ma insomma sono rimasta lì parecchio. Sono sicura che sono, avevo diciassette anni quando sono entrata in banca ma sono rimasta lì fino almeno un anno, un anno e rotti. E mi ricordo che, quando ho compiuto diciotto anni, andavamo a mangiare in un albergo, prendavamo mi pare 32 Lire di trasferta perciò era una vita meravigliosa, guadagnavo più di mio padre perché insomma prendevo la trasferta. E siamo andati a mangiare e mi ricordo che il mio, il capo ufficio mi ha offerto lo spumante. Quindi noi, effettivamente io stavo bene, stavo bene perché l’unica cosa era il pensiero che i miei fossero a Milano coi bombardamenti. Quando ero dall’avvocato mi ricordo che c’era la, c’era uno, lo chiamavano Pippo, quando io tornavo, bombardava Milano, quando io tornavo alla sera insomma ero spaventata perché Pippo avrebbe agito in modo, io mi ricordo che il Pippo ha agito, non sono certa se era il Pippo ma ha agito un giorno, era il 28 di ottobre, mi pare che sia San Fortunato, ha agito nella mia parrocchia di allora. E mi ricordo che la sera abbiamo sentito il bombardamento, siamo andati a vedere, c’era tutta la porta che fiammeggiava perché era stata colpita. Ecco, poi non mi ricordo bene quando siamo tornati, tornati a Milano. Ad ogni modo è stato un periodo per me che, insomma ero una ragazzina, guadagnavo bene e non è stato un periodo di sofferenza, ecco diciamo. Questo, poi nel ’45, quando c’è stata la liberazione, noi eravamo, sì, io ero ritornata a Milano e mi ricordo quando Mussolini è stato dall’arcivescovo di Milano e, perché praticamente la resa è stata fatta nell’arcivescovado e poi mi ricordo che, quando Mussolini è stato, io non l’ho visto eh, dico la verità perché non sono andata in Piazzale Loreto, invece una mia amica è andata in Piazzale Loreto, ha visto quel, insomma, quello sfacelo, in cui si è verificato la resa del, la resa dei fascisti il giorno della liberazione, insomma, e quando Mussolini è stato attaccato per le gambe eh, in Piazzale Loreto. Ecco, questo è. Io non ho avuto un periodo di sofferenza. Ah, mio padre tra l’altro era capo fabbricato del nostro condominio e la notte quando i primi tempi prima di andare in banca, di notte suonava l’allarme mia mamma non era una che si spaventava e spesso stavamo lì sopra. Noi abitavamo al quarto piano, però quando scendavamo, andavamo in cantina, allora non, era una cantina normale, eh sì insomma, non subivo tante pressioni perché mia mamma non era eh una che ci spaventava. Questi sono i ricordi che ho. Ah poi, quando ero in banca, scendavamo in, nel caveau diciamo e io non ero mai contenta perché avevo il tempo, perché poi mi sono messa a fare privatamente la preparazione alle magistrali superiori, non ero mai contenta perché avevo la possibilità di studiare durante la giornata ecco. Questo, sarà anche una colpa ma insomma io sono riuscita nel 40, poi ho finito nel ’47, nel ’47 mi sono diplomata perché una mia amica che, una mia compagna di scuola delle magistrali, delle magistrali inferiori, era molto intelligente e lei è riuscita a fare l’ordine di studi e mi preparava in matematica dove io ero proprio malandata, matematica e latino. Insomma nel ’47 è vero che ho fatto un periodo dove la guerra era già finita ma insomma sono riuscita a diplomarmi. Questo mi è stato di vantaggio per. Ah, andavo, mi ricordo che andavo da questa migliore amica che mi aveva fatto andare in banca, andavamo alla sera studiare gli ultimi tempi, insomma siamo riusciti aiutandoci a vicenda, siao diventate maestre tutte e due. Però poi abbiamo fatto i concorsi ma naturalmente ai concorsi non abbiamo concluso niente perché io nel concorso ero arrivata a 31 e, insomma, ero, mi mancava uno 0,10 per poter avere la media del sette e quindi non potevo lasciare un posto in banca dove guadagnavo bene per andare a fare la maestra e così sono rimasta in banca 35 anni e, guadagnando bene ma non realizzando i miei sogni perché io sognavo solo di fare la maestra. Quando sono uscita dalla banca, allora mi sono iscritta all’università e ho finito all’università per vent’anni, magnificamente bene. Ecco, questo è la storia della, non ho avuto una vita difficile, devo dire la verità, però insomma, questo è tutto.
SB: Beh allora inizio a parlare io e le faccio delle domande [laughs]. Ecco, allora, io vorrei ripercorrere un attimo insomma dall’inizio, no.
MB: Sì.
SB: Vorrei capire quindi. Quando è scoppiata la guerra, lei aveva quindici anni, giusto?
MB: Sì.
SB: Ehm, e lavorava digià.
MB: Lavoravo digià perché sono, eh sì, nel ’40 mi ha preso l’avvocato.
AB: Sì mah.
MB: Sì, sì.
SB: Lei si ricorda, nel senso, il suo primo ricordo di guerra, appunto, che fosse effettivamente avere visto qualche cosa, oppure aver sentito parlare qualcuno, risale, lei si ricorda se appunto era ancora una studentessa oppure lavorava? Chi gliene ha parlato per primo? Lei come ha scoperto che stava iniziando la guerra?
MB: Eh, si sentiva, lo dicevano per radio. Lo dicevano per radio quando Mussolini ha dichiarato l’entrata in guerra, doveva essere in giugno mi pare. Doveva essere in giugno e si è sentito per radio, per radio s’è sentito. Sì, quello non mi ricordo, non mi ricordo bene ma l’ho sentito per radio.
SB: E dopo di quell’appunto cosa è successo? Qualcuno le ha spiegato, i suoi genitori le hanno spiegato che cosa sarebbe successo?
MB: No, mi ricordo che mio padre, quando avevo sei, sei, sette anni, mi ricordo di questo: ’scrivi bene il nome di Duce, scrivi bene il nome di Duce!’ [emphasises], ecco quello mi ricordo bene. Della guerra non mi ricordo come mi hanno spiegato, non mi ricordo.
SB: Ma qualcuno le ha spiegato qualcosa, come ci si doveva comportare, che cosa sarebbe cambiato?
MB: No.
SB: No.
MB: No, no, non mi ricordo.
AB: Sono cominciate le tessere oltre tutto, le tessere per prendere il mangiare.
MB: Non mi ricordo. Sapevo, insomma, sapevo che cosa sarebbe successo nel senso, ero preoccupata per i bombardamenti appunto, per questo Pippo che, dicevano che avrebbe bombardato Milano e mi ricordo che, quando uscivo la sera dalla, perché l’orario era pesantuccio, quando uscivo dall’avvocato, dalla casa dell’avvocato, insomma avevo paura che durante la notte ci fosse un bombardamento, ecco. Quello. Ma non mi ricordo.
SB: E quindi nel ’40 però lei, insomma quando è iniziata la guerra lei ha continuato a lavorare.
MB: Sì sì sì, ho continuato a lavorare.
SB: E diceva che rimaneva da sola in questo ufficio.
MB: Sì sì, rimanevo da sola, sì sì, rimanevo da sola. Da sola nel periodo estivo perché i datori di lavoro andavano, andavano in vacanza, specialmente in agosto. Lui andava, andava sempre, io ero presente, insomma stavo nello studio ecco, nello studio.
SB: E ha mai pensato appunto alla sua condizione, lì da sola, che cosa avrebbe fatto se fosse successo qualche cosa? Ha mai pensato che potesse avvenire un bombardamento mentre lei era lì?
MB: No, non mi ricordo. Non mi ricordo. Avevo paura a stare lì da sola insomma ma, però non mi ricordo.
SB: E quindi poi, ehm, è andata in banca nel ’43.
MB: Sì.
SB: Prima del ’43 non si ricorda qualcosa di particolare rispetto eh
MB: Prima del ’43 mi ricordo quando hanno bruciato la chiesa e poi...
AB: Le tessere che ti aveva dato la tua...
MB: Ah, la mia, la mia, la moglie del mio ehm avvocato mi dava le tessere annonarie, perché lei andando giù aveva possibilità, andando giù a San Marino e lei non consumava le tessere, per me era manna, le tessere annonarie allora erano considerate sì, mi ricordo che mi dava le tessere annonarie, al suo posto. Non mi ricordo altro. Non mi ricordo altro. Le dico, no, non mi ricordo.
SB: Quindi in quel periodo però viveva ancora con i suoi genitori, in via Confalonieri.
MB: Sì, sì, ma io sono sempre vissuta con i miei genitori. Sì vivevo, io sono sempre vissuta con i miei genitori. E ho anche un fratello e una sorella, che ha sette anni meno di me e mi ricordo che mia sorella era venuta a trovarmi a Cernobbio e mi ricordo che abbiamo fatto il lungolago e io le spiegavo che da Cernobbio, da Cernobbio eravamo preoccupati, eravamo preoccupati,
I: Dell’ora,
MB: Poi
I: Ti ricordi l’ora, quando c’era un’ora differente perché
MB: Ah sì. C’era l’ora
I: In avanti, erano [unclear]
MB: C’era l’ora legale, adesso la storia dell’ora, c’era sempre la differenza di un’ora.
I: Perché la Svizzera aveva un’ora, aveva l’ora legale, noi invece avevamo l’ora solare. E io mi ricordo, e glielo avevo fatto presente a lei, che non, forse non aveva realizzato, e mi aveva fatto fare il tema, ti ricordi?
MB: Ecco, lei aveva fatto un tema su questa storia dell’ora, del cambiamento dell’ora
I: Sul viaggio che e avevo notato la differenza tra, tra noi e loro che erano sulla riva del lago erano nelle vicinanze della, della Svizzera.
MB: Poi Un’altra cosa mi ricordo. Che quando studiavo, che quando studiavo, preparavo alle magistrali superiori, per guadagnare tempo, io, io avevo soldi perché guadagnavo e le davo una lira ogni pagina di appunti che lei mi copiava.
I: Sì.
MB: Sì, ecco, quello me lo ricordo. Perché insomma, io stavo, come soldi stavo bene nel periodo di guerra.
SB: E senta, quindi ehm, poi nel ’43 lei è andata via. No, scusi, nel ’43 è entrata in banca.
MB: No, in banca e poi sono stata sfollata con la banca.
SB: E come, come hanno gestito questa cosa? Come ve l’hanno comunicata?
MB: Ah, ce l’hanno comunicata che saremmo andati, saremmo sfollati con la banca e ci davano le 32 Lire come sulla trasferta. No, noi in quel periodo lì, c’erano le mie colleghe che addirittura a mezzogiorno andavano in barca a fare il pranzo e ce n’era una poi che è diventata la mia capa, che lei andava, no. Per noi in tempo di guerra, sfollati con la banca è stato un periodo che insomma andavamo bene, ecco.
SB: E siccome appunto non, non è certo che tutti sappiano, questa trasferta, ci può spiegare esattamente che cos’era? Come funzionava?
MB: E la trasferte
SB: Voi partivate al mattino?
MB: No, noi
SB: O stavate?
MB: Stavo là.
SB: Quindi avevate un alloggio lì?
MB: Avevamo un alloggio e mi ricordo anche che inizialmente eravamo, eravamo dalle suore a Como, dalle suore di Como e poi ci siamo trasferite, io mi sono trasferita con, sì, con questa mia amica a Cernobbio e siamo andati nella casa di uno chef dell’Hotel, della Villa, dell’Hotel, orpo
I: La Villa d’Este. La Villa d’Este.
MB: della Villa.
I: D’Este.
MB: della Villa D’este. E mi ricordo che avevamo addirittura appese alle pareti le cose egiziane.
I: Gli arazzi.
MB: le cose egiziane, era una cosa, cose egiziane e lì stavamo, andavamo a mangiare nell’Hotel della banca, nella banca, in un albergo segnalatoci dalla banca e a dormire da questi, da questi, da questi che avevano la famiglia e lui era lo chef della Villa D’Este e avevamo tutte le, pareti tappezzate dai, ecco. Quindi io non posso dire che in tempo di guerra sono stata male, stavo, stavo anche bene, però insomma. Poi cosa gliene devo dire. Niente.
SB: Ma quindi senta, questa trasferta che lei chiama così, ehm, fondamentalmente era un sussidio.
MB: Sì era un sussidio che la banca dava perché avevamo lo svantaggio di essere, di essere sfollati. Quindi, siccome il posto in banca era, era un posto bello, diciamo poi era l’ufficio del personale e quindi insomma era un sussidio. Era un sussidio, era la trasferta perché noi non stavamo, mi ricordo che erano 32 euro [sic], era l’America. Per me è stato un periodo non pesante, non pesante, guarda.
SB: E se posso permettermi, siccome appunto per noi tutte queste cose richiamano neanche delle memorie. Noi la lira ancora abbiamo difficoltà. Rispetto a una paga diciamo base, queste 32 lire come pesavano?
MB: Eh, oh, dunque, io prendevo 500, ehm, 500 lire al mese. Anzi quando l’avvocato, quando ho avuto il posto in banca ho detto all’avvocato che mi avrebbero dato 500 lire al mese e lui mi ha detto: ‘gliele do anch’io’ e io ho detto: ‘eh no, però, anche se lei mi da le 500 lire, io preferisco il posto in banca che poi aumenteranno’ e lui invece mi poteva, con sforzo perché son convinta con sforzo dare le 500 lire. Dopo, 500 lire come stipendio e poi 32 lire di trasferta, insomma noi andavamo bene.
SB: E quindi, voi però pagavate un affitto a Cernobbio.
MB: Eh sì, a Cernobbio pagavamo l’affitto e c’è stata una questione perché non ci volevano dare, dare l’appartamento quindi ci siamo trovate in un certo momento che eravamo in difficoltà perché le suore ci avrebbero tenuto ma però a Cernobbio eravamo molto più comode eh perché non avevamo la strada come a Cernobbio. Sì, sì. Insomma. Sa, a diciotto anni avere una libertà così, avere i soldi a disposizione, eh insomma, non era male eh, non era. Son stata una di quelle fortunate perché insomma a diciotto anni. Mi ricordo che ho fatto il compleanno e il mio capo mi ha, mi ha offerto lo champagne, che sarà stato Moscato, così, ma insomma era importante.
SB: E senta, c’erano molti sfollati dove stava lei?
MB: Dove stavo io a...
SB: Si a quando appunto stava dalle suore che poi...
MB: Quando stavo dalle suore, sì, ah tra l’altro dalle suore c’erano, c’era anche le figlie dei funzionari, di qualche funzionario di banca perché erano vicine, più vicine alla famiglia. Sì c’erano, c’era gente sfollata, sì sì. C’era gente sfollata, sì. Sì, c’era gente sfollata ma io ero una di quelle sfollate d’oro perché insomma stavo bene ecco. Non ho avuto problemi, io la guerra nella realtà non l’ho sentita come, non l’ho sentita tanto perché insomma era un periodo d’oro. Abituata a essere figlia, figlia di, mio padre faceva il muratore quindi guadagnava, poi è passato al comune di Milano ma guadagnava poco perché al comune di Milano allora pagava poco. Mi ricordo che, pagava poco, ha preso di più quando è andato in pensione che, quando è andato in pensione prendeva una pensione da non dire, vero?
I: Sì, prendeva di più di quando lavorava.
MG: Eh allora insomma. Eravamo gente povera.
SB: Ma quindi senta lei è stata per un periodo importante lontana dalla famiglia.
MG: Sì.
SB: E questa cosa come, come l’ha vissuta la sua famiglia?
MG: No direi che mi ha fortificato. Mi ha fortificato e il vantaggio ce l’ho adesso. Ce l’ho adesso che sono vecchia che riesco a cavarmela, a cavarmela, malata come sono, riesco a cavarmela e ancora a dirigermi da sola perché sono
I: Indipendente
MG: Ecco. No, a dirigermi da sola. Quindi il vantaggio di quel periodo mi ritorna, mi ritorna adesso ecco perché non so convincermi di dover andare [unclear], per esempio sono allergico alle badanti eh. Diciamo la verità.
SB: Molto indipendente.
MG: Sì, sono, sì, sono
SB: Da sempre.
MG: Ho il senso dell’indipendenza oggi come oggi è sbagliato perché insomma ci si deve convincere che..
SB: Ancora tornando un attimino indietro perché ci sono delle cose che mi hanno interessato molto del suo racconto. Intanto, lei ha detto appunto che lavorava in questo ufficio dell’avvocato e stava lì da sola. Ed era già il ’40. E lei diceva oltrettutto che faceva degli orari che andavano in là la sera.
MG: Eh sì, mi pare che finivamo la sera, finivamo alle sette, mi pare.
SB: Come faceva poi a tornare a casa? C’era il coprifuoco, non c’era il coprifuoco?
MB: No, non, il coprifuoco
I: Dalle nove eh, non alle sei.
MB: Come?
I: Il coprifuoco cominciava alle nove, non, non alle sei.
SB: Quindi non le è mai capitato di trovarsi in giro?
MB: No, non mi è mai capitato di trovarmi in giro in periodo del coprifuoco e già c’era il coprifuoco. No, non avevo problemi, temevo solo il Pippo la sera ma non.
AB: E ma tu sei stata poco con i bombardamenti. Io [emphasises] li ho provati i bombardamenti.
SB: E adesso infatti poi faremo un’altra intervista apposita. E senta di questo Pippo chi gliene aveva parlato?
MB: Ah ma c’era sul giornale, c’era sul giornale Pippo arriva, c’era sul giornale. Tutti lo sapevano che girava il Pippo. Che girava il Pippo e che bombardava. E poi io mi sono, no io, noi ci siamo accorti quando ha colpito la mia chiesa che era la giornata di San Fortunato, che deve essere non so se il 28 di settembre o il 28 di ottobre.
SB: Ci può raccontare di più di questo episodio? Si ricorda qualcosa?
MB: Eh mi ricordo che noi siamo, noi eravamo lontani dalla parrocchia, ma siamo andati in parrocchia e abbiamo visto questo gran spettacolo che sembrava uno spettacolo pirotecnico ma invece era, era stato un bombardamento, che aveva colpito la parrocchia. E poi, no, mi ricordo così, guardi.
SB: Si ricorda dei rumori o dei, degli odori, o di qualcosa appunto che? Nel senso appunto questa chiesa era lontana, no?
MB: Sì.
SB: Però appunto una bomba che cade, però io m’immagino, non so.
MB: Non mi ricordo, non mi ricordo che
SB: Si ricorda se ha sentito la sirena?
MB: Mi ricordo della, della sorpresa. Ecco, mi ricordo quando suonava la sirena, quando suonava la sirena perché erano previsti i bombardamenti. Quello della sirena sì, mi ricordo. E che, quando suonava di sera, ci trovavamo nella condizione di andare, di andare giù in cantina. Eh ma mia mamma non era una paurosa e perdere la notte, certe volte non andavamo neanche. Invece mio padre...
AB: Io [emphasises] non andavo. Tu, tu andavi, scappavi con mio papà e con il Peppino.
MB: Invece mio padre era un pauroso, era il capofabbricato ma era un pauroso, mio padre. Mia madre invece no.
AB: Era il primo che andava
SB: E questo scantinato, in questo scantinato, era predisposto per?
MB: Erano le cantine di adesso, no
AB: No.
MB: No, erano le cantine di adesso, le cantine nostre, erano cantine nostre, c’erano anche le panche mi pare che
AB: Avevano messo delle panche, ma scorrazzavano i topi.
MB: Avevano messo le panche ma erano le cantine nostre, che poi abbiamo utilizzato come cantine, perché si scendeva così, mi ricordo che scendevamo così. Non mi ricordo altro.
SB: E questo momento che eravate nelle cantine durava tanto, durava poco?
MB: Eh no, durava molto
AB: Durava un tre ore, eh sì.
MB: Certe volte anche un due, tre ore, che poi suonava la sirena, che era finito.
AB: Che finiva.
SB: Si ricorda cosa facevate mentre aspettavate che risuonasse la sirena?
MB: Quando ero nella cantina della banca, mi ricordo che facevo letteratura latina [laughs], quello me lo ricordo. Così non perdevo tempo poi. Mentre invece lì non, sì eravamo tutti amici, insomma, eravamo ventenni e, sì, parlavamo, parlavamo, dispiaciute di aver perso una parte della notte. E poi, ognuno aveva da lavorare. Ecco.
SB: E vi intrattenevate? Vi è mai capitato di intrattenervi con delle canzoni o con dei giochi o con?
MB: No, no.
AB: Si chiacchierava e basta e si sonnecchiava.
MB: No, no, chiacchierare e sonnecchiare, e no no, perché eravamo in una zona di gente operaia che insomma, perdere la notte poi spostava, eh, ti spostava di fatica. Sì, sì, non, non eravamo in case, in case raffinate. È che eravamo già fortunati che avevamo, ah, noi avevamo il gabinetto fuori. No no, noi avevamo il gabinetto dentro, ma la nostra è una casa di ringhiera e tutti i nostri vicini erano tre o quattro appartamenti che avevano il gabinetto in comune, no? Non avevano il gabinetto in comune?
AB: Non avevano il gabinetto in comune quelli della ringhiera.
MB: Noi invece eravamo dei privilegiati perché avevamo il gabinetto in casa. Che poi, mio padre faceva il muratore e c’aveva messo la doccia ne, c’aveva messo la doccia.
AB: C’aveva messo la doccia, sì.
MB: Quindi. Sì, io mi ricordo che ci lavavamo nel bagnino, no,
AB: Sì, [laughs], di zinco.
MB: Non avevamo bagno, era un bagnino di zinco e ci lavavamo così.
SB: Un’ultima domanda.
MB: Sì.
SB: Lei ha detto che suo papà era capofabbricato.
MB: Capofabbricato perché allora a ogni, a ogni stabile stabilivano un capofabbricato che voleva dire, quando c’era d’andare in cantina, era un po’ responsabile della casa.
SB: Quindi era un, diciamo un ruolo che era venuto fuori...
MB: Per la storia della guerra. Sì, capofabbricati.
AB: Perché mio padre era del ’92 dell’Ottocento e nel ’40 aveva 48 anni.
MB: L’avevano richiamato.
AB: Doveva essere richiamato e siccome aveva tre figli, insomma, richiamato sarebbe stata proprio la fine della famiglia. Allora gli avevano fatto la proposta, capofabbricato doveva impegnarsi in un certo senso, accompagnare giù la gente anziana, perché noi stavamo, c’erano quattro, cinque piani, cinque piani la nostra casa, accompagnare giù,
MB: Fare a piedi.
AB: Sì, sì, fare le scale, e guardare, ordinare la coda della gente che entrava in cantina. Ma mio padre era più pauroso dei [laughs], dei cosi e scappava con la valigia che avevamo, una valigia con dentro i tesori, cioè l’oro, l’oro insomma per modo di dire, una stoffa, c’era un panno di stoffa, neh, e se si andava giù mi padre scappava via con la sua valigia e ci piantava lì noi.
SB: Questi però sono i suoi ricordi [laughs]
AB: Questi sono i miei ricordi.
SB: Adesso io.
AB: Vede che mia sorella non si ricorda bene.
SB: No certo, no certo. Per questo vogliamo dedicarci anche a lei.
AB: Mi spiace che interrompo ma siccome io ho questi ricordi e i miei sono più verdi dei suoi.
SB: No, no, no, è importante, certo. Solo che adesso vogliamo approfondire ma dobbiamo concludere questa intervista qui e...
AB: Sì, sì, no, no, giusto. Lei ha i ricordi.
SB: Certo.
AB: Ricordi di persone che a Milano non c’è stata tanto. Perché in tempo di guerra lei era via, era sfollata.
SB: E senta, allora io avrei un sacco di domande [laughs], avrei molte domande.
MB: Eh, dica, dica.
SB: Vado [laughs]?
MB: Sì, sì, vada, vada.
SB: Allora intanto volevo chiederle ancora sul Pippo. Chi era? Cos’era?
MB: Era [unclear]
AB: Dicevano che era italiano.
SB: Aspetti, se no, se no ci mischiamo purtroppo [laughs].
MB: Era uno che guidava l’aereo, era un, uno che guidava l’aereo e che bombardava.
SB: Quindi era una persona?
MB: Sì, sì, senz’altro era una persona. Lo chiamavano Pippo.
SB: E senta, e si ricorda di chi, dicevano, di quale nazione facesse parte? Se avesse uno schieramento, se? Perché faceva questa cosa?
MB: No, non mi ricordo, non mi ricordo.
SB: Non c’erano, non c’erano spiegazioni riguardo a questo?
MB: No, non. Mi ricordo, sta notte ze la notte del Pippo ma non mi ricordo.
SB: Ma era una frase che dicevano prima, perché si sapeva già che sarebbe passato a bombardare o?
MB: Sì, sì, dicevano prima. Quando venivo a casa dal lavoro, dall’ufficio dell’avvocato, si diceva: ’vedrai che stasera arriva il Pippo’.
SB: Ah sì?
MB: Eh, Dicevano così. Facevo perdere le notti, ma non mi ricordo se, se lo credevano, lo ritenevano italiano o lo ritenevano inglese, non mi ricordo.
SB: Ho capito. E senta, invece il rifugio del caveau, che diceva?
MB: Ah del caveau. Era il caveau della banca quindi si stava abbastanza bene. Mi ricordo che stavamo seduti. Io avevo questa mia collega che faceva, aveva, era già maestra lei. Così, perché eravamo state assunte, erano state assunte in sostituzione dei richiamati. Io sono stata assunta in sostituzione dei richiamati e poteva darsi che finita la guerra ci mandassero via e questo era il nostro, eh. E invece ci hanno trattenuto, ci hanno trattenuto tutte e nel ’47 la banca ha cominciato ad assumere anche i nuovi o quelli che ritornavano, perché mi pare che i richiamati avevano la possibilità di tenere il posto. Erano richiamati ma quando avrebbero ripreso, avrebbero avuto il posto. E noi eravamo, noi eravamo in sostituzione dei richiamati, per quello che si entrava con una facilità abbastanza. Tra le mie colleghe ce n’erano poche che erano diplomate. Ragioniere no, erano quasi tutte maestre, avevano compiuto i diciotto anni e c’erano tutte ragazze che avevano finito il professionale. Allora c’era professionale, commerciale e magistrale.
SB: E senta, questo caveau, era allestito per ospitare, diciamo, durante i bombardamenti? Si ricorda?
MB: Ma io so, so che c’erano delle panche.
SB: C’erano delle panche.
MB: C’erano delle panche. Non si stava in piedi. Sì, sì, si stava nelle panche. E noi, io le dico personalmente, sarà stato sbagliato ma mi pareva la manna perché avevo la possibilità di preparare, di preparare qualche cosa di, di esame, insomma. Perché io ho cominciato poi nel ‘47 ad andare a lezione dalla mia compagna di scuola, la quale mi ha preparato in matematica e in latino, preparava.
SB: E senta, si ricorda, sempre su questo caveau, qualcuno vi avrà detto, ‘quando suona l’allarme si va di qua’. Si ricorda se qualcuno gliel’ha mai detto?
MB: Non mi ricordo, non mi ricordo.
SB: OK. Ma eravate tante persone o? Cioè questo caveau era, perché m’immagino era un posto solo per tutti gli impiegati.
MB: Ah no, credo che fosse la banca dove adesso tengono i tesori, dove tengono le cassette di sicurezza, credo che fosse così. Io mi ricordo che ero seduta, avevo il posto, ero seduta e la banca appunto ci lasciava andare perché era suo dovere quando suonava l’allarme.
SB: Va bene. Io magari un’ultima domanda riguardo a quando è finita la guerra. Dopo la guerra, ha mai ripensato, le è mai capitato di ripensare, in particolare ai bombardamenti, ehm?
MB: No.
SB: O magari a chi appunto bombardava?
MB: Perché per me è stato un periodo in cui avevo il benessere economico. Non dico che non ero più povera ma insomma avevo uno stipendio, stipendio di bancari anche allora contava eh. E poi insomma nel ’47 io avevo 22, 25, 35, 40, io avevo 30 anni e insomma avevo il mio posto, avevo, guadagnavo. Guadagnavo insomma, ero tra i lavoratori, allora erano i migliori, erano i miglior pagati. Facevamo gli scioperi, ma eravamo i migliori sulla piazza.
SB: Quindi insomma, al bombardamento lei non associa ricordi o sentimenti di qualche tipo.
MB: No, no. Non sono stata. Ah ecco, c’era stato una mia collega che era stata sotto i bombardamenti. Quella ne aveva risentito sotto i bombardamenti militari di Via Disciplini, l’hanno trovata, ecco, quella era stata colpita, sì. C’era gente che aveva subito i bombardamenti ed era rimasta incastrata in cantina. Ecco, quelli ne avevano risentiti ma io no, io non ho risentito, psicologicamente non ho risentito. Ecco.
SB: Va bene, allora, io la ringrazio.
MB: Niente. Adesso deve dire qualcosa lei, no?
SB: No, no, no. Eravamo io e lei. La ringrazio e.
MB. Niente.
SB: A posto.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Marialuigia Buffadossi
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Marialuigia Buffadossi remembers her wartime life in the Lombardy region. Born in a low-class neighbourhood with poor-quality housing, she first worked as shorthand clerk for a solicitor, and then was employed by a major bank. Remembers her employer’s wife, who had San Marino citizenship and was, therefore, able to obtain un-rationed supplies. Describes her evacuee life in Cernobbio, stressing her handsome salary and enjoyable social life in various resorts on the shores of Lake Como. Remembers how she was troubled by not knowing the fate of her relatives still in Milan. Describes taking shelter inside the bank vault, where she passed the time studying for a teaching qualification. Recalls Pippo and maintains that it was the name of the pilot. Describes the bombing of a church and the subsequent fire. Mentions different attitudes toward bombing: her father, a warden, was fearful and timid; her mother took a resolute and fearless approach, to the point of avoiding the shelter in the basement. Affirms that having been an evacuee greatly increased her resilience, and also strengthen her desire to lead an independent life.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Sara Buda
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-05-28
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:52:56 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ABuffadossiM170528
PBuffadossiM1701
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Po River Valley
Italy--Cernobbio
Italy--Milan
Italy
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1943-09-08
civil defence
evacuation
fear
home front
perception of bombing war
Pippo
shelter
-
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Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Ghiretti, Maurizio
M Ghiretti
Description
An account of the resource
One oral history interview with Maurizio Ghiretti (b. 1940) who recollects his wartime experiences in the Parma region.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-05-07
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Ghiretti, M
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
L’intervista è condotta per L’Interantional Bomber Command Centre. L’intervistatrice è Sara Buda. L’intervistato è Maurizio Ghiretti. Nella stanza sono presenti Sara Troglio per l’IBCC, la moglie Adriana Ventriglia. L’intervista ha luogo in [omitted] a Milano. Oggi è il 7 maggio 2017, ore 11:35. Allora, buongiorno.
MG: Buongiorno.
SB: Ehm, vorrei partire da prima della guerra. Intanto, appunto, se mi dice la sua data di nascita e il luogo.
MG: 5, la mia data è il 5 aprile 1940. Non ricordo, i miei primi ricordi iniziano nel ’43 e l’unica cosa che, insomma, ricordo con una certa, anzi, la prima che ricordo, è la caduta del Fascismo. Per una, questo perché, perché in casa mia, anche se io ero piccolino, tutti gli avvenimenti, quelli successivi di cui ho un po’ di ricordi, venivano esplicitati, quindi non cercavano di tenermi ovattato al di fuori di quel che accadeva e ma soprattutto questo fatto, la caduta del Fascismo mi è rimasta in mente perché di fronte a casa mia c’era una casa con una grande scritta inneggiante al Duce e dopo il 25 luglio del ’43, il giorno dopo o due giorni dopo adesso non posso ricordare, di notte era stata imbrattata con feci umane ecco, tanto per dare un’idea e io mi ricordo la padrona della casa che con la scopa e il secchio stava cercando di pulire la facciata della sua casa, ecco. Quindi questo fatto è. Un altro episodio che ricordo è quello invece dell’8 di settembre perché in casa mia, dopo l’annuncio, io mi ricordo l’annuncio alla radio, noi non possedavamo la radio ma si andava ad ascoltare, ma per lo meno i grandi andavano ad ascoltare la radio in un bar vicino e l’appello del nuovo primo ministro, che era Badoglio, no? Il generale Badoglio il quale aveva detto che insomma la guerra continuava eccetera eccetera ma che avevano chiesto, l’Italia aveva chiesto un armistizio. E questa cosa qua me la ricordo anche perchè mio padre disse che, mentre tutti festeggiavano, la guerra è finita, la guerra è finita, mio padre invece era pessimista e disse che ‘e i tedeschi? Adesso dovremo vedere la reazione dei tedeschi’. Due o tre giorni dopo sono piombati i tedeschi. Ah proposito, i miei, io non vivevo a Milano, io allora vivevo in un paese a otto chilometri da Parma, Monticelli Terme, quindi i miei ricordi sono lì, in questo paese, ecco. Non, non ho ricordi cittadini, comunque ricordo, ricordo poi i mitragliamenti, i bombardamenti che però vedavamo da lontano soprattutto di notte.
SB: Io vorrei partire, vorrei fare un salto all’indietro.
MG: Sì.
SB: Vorrei capire intanto appunto cosa faceva la sua famiglia prima della guerra e come era composta la vostra famiglia.
MG: La mia famiglia era composta da padre, madre e una zia che viveva con noi perchè il marito in quel momento era in guerra, era militare. E il nonno, quindi eravamo
SB: Il nonno padre di?
MG: Il padre di mio padre e la zia era la sorella di mio fratello.
SB: Stavate appunto a Monticello...
MG: Sì, erano artigiani.
SB: Cosa facevano appunto...
MG: Parrucchieri.
SB: Parrucchieri.
MG: Sì, la mamma, il papà. La zia non faceva nulla, no, la zia non faceva nulla e neanche il nonno, il nonno ormai, comunque, non so. In gioventù aveva fatto il fuochista, non so, in una fabbrica, quindi non.
SB: [laughs] Ok, quindi a un certo punto cambia qualcosa. Quando, qual’è il suo primo ricordo riguardo a un cambiamento radicale della situazione attorno a lei? Quando cambiano le cose?
MG: Eh, il, le cose cambiano in quel periodo appunto, dalla caduta, dal luglio del ’43 e poi con l’8 di settembre. Perché immediatamente dopo le cose si fanno piuttosto complicate. Intanto vabbè lì nel paese arrivano i tedeschi perché lì c’erano degli alberghi e quindi gli alberghi sono occupati dai tedeschi e quindi abbiamo proprio i tedeschi in casa. Le cose cambiano perché ci sono i rastrellamenti notturni e quindi gli uomini, mio padre ed altri, sempre e comunque quasi sempre avvertiti, io non so da chi ma probabilmente dagli stessi tedeschi, non dai [emphasises] tedeschi ma probabilmente da un [emphasises] tedesco, perché la cosa strana è che, tutte le volte che di notte c’erano dei rastrellamenti per prendere gli uomini e mandarli in Germania a lavorare, guarda caso, tutti gli uomini che conoscevo io compreso mio padre in casa non c’erano e si nascondevano. Dietro la nostra casa c’era una cosa strana, noi avevamo anche un orto, avevamo un, non so, non so neanche come dire, vabbè insomma un edificio che si raggiungeva solo con una scala a pioli e se uno tirava su la scala a pioli lì non si vedeva nulla e questi uomini se ne stavano lì nascosti, tutti quelli del vicinato no, se ne stavano lì nascosti quindi non hanno mai portato via nessuno. Poi c’era il problema, il problema del cibo, c’era il problema del riscaldamento, perché allora c’erano le stufe. Io mi ricordo che d’inverno, questo per sentito dire in famiglia, mio padre con sua sorella, con i cugini di notte sono andati a rubare una pianta intera in un campo vicino e siccome nella notte aveva nevicato, quando loro hanno trascinato la pianta nel cortile era rimasta tutta la scia e ma di notte loro hanno, dunque hanno, hanno tagliato la pianta, l’hanno portata nel cortile, hanno tagliato tutti i rami, hanno messo via tutta la roba, al mattino poi non so verso le dieci tanto sto inventando, arriva la padrona del fondo dove, dove avevano rubato e lei non era, non era Sherlock Holmes ma aveva visto la scia [laughs], perché era proprio, noi avevamo il, un, come si chiama, ho detto il cortile, ma anche che il,
SB: Orto.
MG: non un giardino
SB: Orto.
MG: l’orto che confinava proprio con questa,
SB: [unclear]
MG: il possedimento della signora, quindi insomma, nella neve si vedeva benissimo cos’era successo ecco. E poi vabbe’ il cercare anche il cibo, devo dire che comunque in casa mia non c’erano grandi problemi perché i miei zii erano proprietari terrieri quindi insomma le cose, tanto per dirne una, io non, ho sempre mangiato pane bianco e anzi siccome i bambini trovano che in casa d’altri si mangi meglio, io contrabbandavo il pane bianco con la casa di un vicino il quale mi dava pane con la crusca e per me era più buono il pane con la crusca. Queste sono sciocchezze di bambini. Eh!
SB: E quindi andando avanti.
MG: E andando avanti, poi, vabbe’ allora sempre la storia qua dei tedeschi in casa, e poi, a partire dal ’44 i bombardamenti e i mitragliamenti degli alleati che lì, allora c’erano questi alberghi con le truppe tedesche, e poi c’era qualche fabbrica di conserve di pomodoro, con le vecchie fabbriche con il camino ecco. Allora io sono stato varie volte testimone dei mitragliamenti. Suonava l’allarme perché quasi sempre quando si sentivano e arrivavano degli aerei insomma suonava l’allarme e mi ricordo una volta, ero in campagna con uno dei miei zii e c’era un solo, un solo aereo, era un aereo da ricognizione mi pare, però di solito sparavano, sparavano non so bene se sparavano alle mucche, agli animali ma, o se sparavano anche alla gente. Fatto sta che comunque quella volta eravamo in campagna ha suonato l’allarme e non so per quale ragione mio zio mi ha detto no, non è l’allarme, è l’asino di un vicino, di un altro coltivatore lì vicino, invece era proprio un piccolo aereo e ci ha anche sparato. Vabbè, ci siamo tuffati in un fosso e buonanotte, non è successo nulla. E poi invece, altre volte mi sono trovato nella piazza del paese proprio mentre mitragliavano gli alberghi e lì io sono proprio scappato, però anche lì non ci sono stati né morti né feriti. Altre volte, invece, vedavamo, per esempio c’era una fabbrica che era a un chilometro e così di giorno hanno tirato varie bombe, c’è stato qualche morto, tutte cose che naturalmente io ho sentito ma nel frattempo, tutte le volte che quando io ero a casa, tutte le volte che c’era, c’era così, suonava l’allarme eccetera, o mio padre o mia zia mi prendevano e mi portavano, sempre attraverso il famoso orto, giù, e ci rifugiavamo in una, aspetta, c’era un canale con tante fronde, no, e lì pensavamo di essere al sicuro, insomma, tranquilli. Però, così, mi ricordo che il senso del, paura, non so, paura, mia zia era terrorizzata, mio padre pure, mia madre non gliene fregava niente, lei non si è mai mossa da casa, mai [emphasises] mossa da casa. Era, non so per quale ragione, ma aveva detto che a lei proprio non le interessava, se doveva morire [laughs] preferiva morire in casa propria. Poi un’altra, altri ricordi sono i bombardamenti invece di notte, che avvenivano per bombardare i ponti. Avevamo un ponte su un fiume poco distante, il fiume Enza, che in linea d’aria sarà stato a due chilometri, tre chilometri, adesso, più o meno, magari anche quattro, dai. Poi i bombardamenti a Parma e i bombardamenti probabilmente sul Po. Il Po però era molto distante, non so, sessanta chilometri almeno, ma di notte io mi ricordo che sempre scappavamo da casa in mezzo alla campagna, via, e, dopo aver sentito le sirene e poi la cosa impressionante, quella mi è rimasta in mente, era la luce dei bengala, perché i ponti venivano illuminati a giorno, no. Beh, il ponte non lo vedevo ma vedevo il bagliore, no, lontano, e anche quando bombardavano i ponti sul Po, la stessa cosa, o altri ponti su altri torrenti, che ne so io, fiumi della zona, e se lo facevano di notte, si vedeva, si vedeva questo bagliore, perché veramente buttavano giù un sacco di bengala, da lontano si vedeva. E poi io mi ricordo anche che qualche notte i miei dicevano che stavano bombardando Milano, però a centotrenta chilometri di distanza, non lo so, era estate però, sempre per via dei bagliori, poteva, loro dicevano Milano ma chi lo diceva che era Milano poteva essere,che ne so io, Piacenza, o poteva essere Brescia o un’altra città, adesso, o Cremona, non lo so insomma ecco. Però questo, questa attività dei bombardieri insomma io me la ricordo piuttosto bene.
SB: Ok. Ehm dunque, mi ha colpito le cose che diceva riguardo alle sirene. Nel senso che, io mi sono sempre immaginata che le sirene avessero un suono univoco ovunque, mentre invece lei ha detto che in alcuni casi c’erano delle sirene che potevano essere assimilate al suono.
MG: Ma potrebbe essere.
SB: ad un suono.
MG: Sì, ma io ci penso adesso. Può anche darsi che mio zio non volesse impressionarmi.
SB: Lei ha ricordi di questi rumori.
MG: Perché Oddio suona la sirena, ah è l’asino di, adesso io non mi ricordo più, il nome della persona che aveva veramente. Be’ adesso io non so se assimilare. La sirena era una roba non so, non saprei spiegare, non ha nulla a che vedere con le sirene, con le sirene che sentiamo adesso negli appartamenti o nelle macchine, quando rubano le macchine eccetera. Aveva, gracidava. Suono un po’, un po’ strano.
SB: A me interessa molto perché è, nel senso, persone della mia generazione non hanno mai sentito una sirena, gli aerei [unclear]
MG: [unclear] credo che andava a manovella eh, mi pare. Non era una cosa elettrica, a manovella, c’era una persona, appena sentivano. C’è da tenere presente che lì nell’Emilia Romagna, dove abitavamo noi, eh beh, la maggior parte degli aerei che venivano a bombardare verso il Nord, soprattutto in direzione Milano, passavano di lì. Magari quelli che andavano, non so, verso il Veneto no, perché erano più lontani ma gli altri nella zona nord-occidentale passavano tutti di lì, e quindi. E tutte le volte naturalmente che si sentiva, facevano andare ‘sta, questa sirena ed eravamo, [unclear] io se penso ai grandi, quando passavano che, non rimanevano in zona ma tiravano diritto e dicevano ah quei poveri disgraziati a cui tocca oggi, però insomma finiva lì. Era, era una cosa quasi normale. E la fuga con la zia, perché poi alla fine poi era sempre la zia che mi portava via, io mi ricordo che quando finalmente sono arrivati i liberatori il 25, il 26, io non mi ricordo, è che io, perché allora gli ultimi tempi la zia tutti i giorni fuggiva e non c’era niente da fare. Andavamo là in questo posto, sotto le frasche, e quando si sparse la voce che gli americani, non, sì, gli alleati, perché poi lì sono arrivati, mi pare che fossero i brasiliani, che erano arrivati i liberatori, allora io dissi alla zia; ‘beh ma qua non torniamo più’, eh no, non torniamo più, [unclear] non torniamo più, e a noi dispiaceva un po’ perché giocavamo noi, noi bambini, lì, era un modo come un altro per passare, per passare la giornata insomma.
SB: Quindi, c’erano dei momenti comuni con degli altri bambini
MG: Sì.
SB: che avevano luogo nello stesso luogo in cui voi vi rifugiavate.
MG: Sì, quelli che scappavano andavano tutti lì, nel, dove c’era questo canaletto, con queste fronde, no, gaggìe, si chiamano, no, gaggìe.
SB: E quindi vi ritrovavate lì, tutti i bambini del paese.
MG: Non tutti perché dipende, ognuno aveva la sua, la sua zona, ma quelli dove abitavo io era la più vicina, eh sì, diciamo, per lo più erano donne, donne che chiacchieravano. Naturalmente i loro discorsi sull’arrivo degli alleati era ‘ci, non arrivano mai, ci mettono troppo tempo’ e quando mitragliavano, bombardavano, erano maledizioni, perché insomma. Si capiva che loro dovevano anche bombardare, ma quando bombardavano, per esempio quando era giunta la notizia che a Parma avevano bombardato, quella volta di giorno, e in un rifugio dove si erano rifugiati gli abitanti di un gruppo di case, mi pare che ci sia stato più di sessanta morti perché la bomba ha colpito proprio l’ingresso del rifugio, e è scoppiata dentro al rifugio. Quindi, insomma, liberatori sì ma nello stesso tempo soprattutto, poi quando era giunta la notizia che la maggior parte degli edifici più belli della città erano stati bombardati, edifici che non avevano nessun, eh, non erano un obiettivo militare eccetera, la stazione più o meno, [laughs] è rimasta quasi, quasi illesa ecco insomma non è che ricordi proprio bene ma voglio dire insomma. Ecco allora quando c’erano queste cose c’era un po’ di, e poi non si poteva. Altri discorsi contro invece gli occupanti non sempre gente ne parlava perché c’erano anche i sostenitori degli occupanti, dei tedeschi, quindi insomma bisognava stare anche attenti, all’erta.
SB: E quindi, tornando a questi momenti, mi interessa molto il fatto che il momento del salvataggio, cioè nel senso della corsa al nascondiglio fosse anche un momento ludico, se ho capito bene.
MG: Sì, sì, per noi bambini sì. Sì, sicuramente.
SB: E c’era in quello che facevate qualcosa di connesso all’esperienza che stavate vivendo?
MG: Non ricordo.
SB: Canzoni, o
MG: No no no no, anzi no, guai, quando passavano gli aerei guai se parlavamo perché dicevano che ci sentivano, [laughs] le donne, le persone grandi ci dicevano che ci sentivano, ‘zitti, zitti’, cose di questo genere insomma. Ricordo, ecco, oh un altro episodio. Durante il tentativo di bombardare la fabbrica e di colpire quel famoso camino lunghissimo camino, io ero con mio padre e quando hanno incominciato a sganciare le prime bombe, dunque era a un chilometro di distanza, mio padre pensò bene, eravamo in aperta campagna ma c’era un tombino, c’era una canaletta per l’irrigazione con un tombino e mio padre mi prende e si cala dentro il tombino. In quel momento lì passa un prigioniero di guerra, non so di che nazionalità era, era alleato, non era americano, doveva essere stato o inglese, o, o, sì probabilmente era inglese oppure australiano, il quale in un stentato come militare dice a mio padre, in uno stentato italiano, ‘guardi, che se tirano una bomba qua vicino a terra, molto meglio star [laughs] nel, su un piano insomma e non dentro a un tombino ecco perché è pericoloso’. Questa cosa e’ un altro dei fatti che proprio mi è rimasto indelebile. E allora fuori subito. Perché c’erano dei prigionieri alleati che vivevano, erano stati mandati ad aiutare i contadini a lavorare nei campi anziché starsene tutto il giorno dentro le baracche perché a trecento, sì, no a un chilometro e mezzo c’erano delle baracche, dove c’erano questi militari e allora alcuni di loro preferivano invece andare a lavorare, anche perché in questo modo mangiavano meglio. Un’altra cosa che ricordo sono sempre questi prigionieri, questi qua invece so che erano inglesi, invece che avevano accettato di fare la prima, non mi viene la parola, adesso ci siamo, lo scolo delle acque come si chiama?
SB: Fogna.
MG: La fogna. La prima fognatura io me li ricordo che, un pezzo insomma è stato fatto da questi, da questi soldati inglesi che erano prigionieri. Ricordo, questo invece me l’ha raccontato mia madre, che una vicina è uscita con una mica di pane, era proprio, in campagna facevano del pane grosso così no, e l’ha dato a questi militari e qualcun’altro, qualche altra donna l’ha redarguita: ‘come, dai il pane ai nemici?’ eccetera eccetera e lei ha risposto che, siccome aveva un figlio militare e che non sapeva che fine avesse fatto, sperava che trovasse, suo figlio trovasse qualcuno insomma di buon cuore e quindi lei si è sentita [unclear]. Questo fatto mi ha raccontato mia madre che mi è rimasto, mi è rimasto in mente. [pause] Altro fatto è l’arrivo appunto degli alleati che provenivano dal reggiano e lungo, avevano preso la strada verso Parma e la gente era accorsa con, e agitavano, molti agitavano delle fronde di biancospino come saluto. Sembrava quasi il Gesù della Domenica delle Palme [laughs], fatto che mi è rimasto impresso, quello lo proprio, l’ho visto io insomma, ecco, non mi è stato raccontato. E c’era un’euforia, un’esaltazione, naturalmente. Poi ricordo la fuga, la fuga sì in un certo senso, l’abbandono degli alberghi da parte dei tedeschi. Nel frattempo prima dell’arrivo degli alleati erano arrivati alcuni partigiani. I partigiani avevano cominciato a scendere, a scendere dalle montagne, e niente l’ultima, così, l’ultimo tedesco mi ricordo, questo mi ricordo benissimo perché questa volta invece eravamo andati in cantina, non eravamo scappati fuori, ma eravamo giù in cantina perché si sapeva che le cose stavano precipitando e a un certo, un gran silenzio e a un certo momento si sente uno sparo. Era un partigiano che aveva sparato e allora un tedesco motociclista è ritornato indietro, strombazzando con la sua moto, facendo vedere che non aveva assolutamente paura, ha fatto il giro della piazza del paese e poi se ne andato. Questo poi mi ha raccontato mio padre, io poi ho sentito il rumore della moto ma naturalmente è mio padre che me l’ha detto, guardava fuori dalla cantina dal finestrino che era il tedesco in motocicletta, con grande sollievo perché la paura era che bruciassero, facessero, come hanno fatto in altri posti, uccidessero, che invece qui per fortuna. Ecco un’altra cosa invece che ricordo, però naturalmente io non, per sentito dire, è la fucilazione di quattro partigiani condannati a morte da un tribunale della Repubblica Sociale a Parma e li hanno fucilati nel cimitero di Monticelli. Basta, altre cose non, non le ricordo.
SB: E quindi ad un certo punto si è tornati a una sorta di normalità, oppure no?
MG: Sì, una normalità in cui però erano forti, forte le contrapposizioni tra i comunisti e i, insomma tra le forze, quelle che poi diventeranno forze democristiane e i vecchi fascisti da un lato, e le forze social-comuniste dall’altro immediatamente. Mi ricordo la grande euforia per il referendum e soprattutto la grande euforia per la vittoria della Repubblica contro la monarchia. Ah poi ecco, sempre invece durante, nel ’43, ecco nel ’43, forse io ho detto che sono arrivati i tedeschi ma li non, negli alberghi subito dopo l’8 di settembre ma questo è un errore perché, tra, negli gli alberghi tra il gennaio e il, mi pare il marzo, insomma i primi mesi del ’44. Faccio, ritorno indietro un attimo. I tedeschi sono, certo che hanno preso il potere ma lì in quel paese i tedeschi si sono installati qualche mese dopo l’8 di settembre e prima dei tedeschi nel, in uno degli alberghi avevano deportato donne e bambini ebrei, in attesa di essere trasferiti a Fossoli. E io mi ricordo, mi ricordo benissimo, anche perché mi ricordo, vabbe’ a parte il fatto che a casa se ne parlava e poi nel, ero nel negozio della mamma e è venuta una signora ebrea per farsi lavare i capelli perché permettevano a uscire, a parte il fatto che questa signora aveva dei bambini quindi. Io non so se questa signora o era la moglie del rabbino di Parma o era la cognata ecco, comunque appartenevano a, be’ adesso le famiglie non mi ricordo più il cognome come si chiamavano. Io mi ricordo benissimo perché così con questa signora e lei mi aveva detto che c’aveva dei bambini, però quando lei mi ha detto che i suoi bambini erano più grandi di me, insomma la cosa non mi ha interessato più di tanto perché insomma ecco. Questo, questo è un altro dei fatti che io ricordo. Mi ricordo che quando li hanno portati via nel marzo del ’44, per portarli a Fossoli ma lì non si sapeva dove, e allora la gente si, questo mi ricordo proprio nel, si chiedeva che fine avrebbero fatto e mi ricordo che qualcuno ha detto: ‘eh, sì, figurati, li porteranno in Germania, chissà mai cosa gli faranno’, ecco. E basta, poi. Poi dopo sono arrivati i tedeschi, negli stessi edifici.
SB: E senta, quindi in questo periodo in cui ci sono stati questi ebrei in questo, questo edificio. Intanto loro avevano l'obbligo di residenza lì?
MG: No, erano, sono italiani.
SB: Erano sorvegliati.
MG: sorvegliati.
SB: [unclear]
MG: Sorvegliati, però sorvegliati non da tedeschi ma da italiani.
SB: Da italiani. Ed è capitato che ci fosse, suonasse l’allarme durante il periodo in cui loro erano li’? Non se lo ricorda, se qualcuno nel paese
MG: Ma credo che
SB: Si chiedeva cosa facessero questi ebrei, se potessero uscire dal palazzo, se potessero andare a nascondersi da qualche parte oppure no?
MG: No, questo non lo so.
SB: Non se lo ricorda.
MG: No. Ma non mi pare che, perché quel che, l’idea che ho io e che lì i mitragliamenti e i bombardamenti, nei dintorni insomma, a cominciare da Parma, siano avvenuti qualche mese dopo. Cioè proprio primavera-estate del ’44.
SB: Ho capito. E senta, ultima domanda. Qualcuno ha mai, si è fermato mai a ragionare su queste persone che mitragliavano, che bombardavano, qualcuno ha mai, si è mai lasciato sfuggire un commento in famiglia oppure, sia durante che dopo? Cioè come si parlava di queste persone che bombardavano, che mitragliavano?
MG: Si riteneva, si riteneva che fosse necessario. Era lo scotto che noi dovevamo pagare per esser liberati. Poi vabbe’, quando, noi in molti casi naturalmente l’abbiamo saputo dopo. Molti dei bombardamenti tendevano a terrorizzare più che colpire obiettivi militari, su questo non c’è dubbio, perché quando hanno bombardato Piazza della Scala e il duomo eccetera qui a Milano, e così in tantissime altre città, era proprio cioè il tentativo di demoralizzare la popolazione, ma sicuramente cioè quella popolazione non c’era bisogno di bombardarla, era sicuramente demoralizzata, all’infuori dei fascisti che erano legati alla Repubblica di Salò insomma. Io però non mi ricordo, sì che in casa, in casa appunto l’idea che così, l’impressione che mi è rimasta, è proprio quella del, è lo scotto che dobbiam pagare perché i nemici vengano, i nemici che abbiamo in casa vengano cacciati insomma, per esser liberati, ecco. Quindi, chiaro che chi ha avuto la casa, io non episodi di questo ma, in città chi ha avuto la casa bombardata o chi ha avuto dei congiunti che sono rimasti sotto le bombe, sicuramente hanno avuto un atteggiamento diverso insomma.
SB: Senta quindi da quello che mi dice, lei comunque ha approfondito l’argomento dopo la fine della guerra. Ha avuto un percorso professionale o,
MG: Sì.
SB: Si è trovato appunto a studiare, a riprendere queste esperienze che ha vissuto da un punto di vista storico, da un punto di vista di approfondimento.
MG: Le mie personali?
SB: Sì, nel senso lei ha delle conoscenze che appunto non potevano scaturire dalla sua esperienza ma che
MG: Sì, sicuramente.
SB: Sono venute dopo. Ha approfondito queste tematiche.
MG: Sì, sì. Soprattutto non so, l’attività partigiana, perché molte cose per sentito dire, non in casa. Ripeto in casa mia, io non, casa mia tutte le cose che accadevano, vita, morte e miracoli, non hanno, non mi hanno mai nascosto nulla. Qualsiasi cosa accadeva, ne parlavano in modo naturale, non c’era ‘ah è piccolo, non dobbiamo spaventarlo’, no no, tutte le cose venivano dette, commentate, naturalmente sempre con molta attenzione. Poi ripeto sia durante l’occupazione che dopo l’occupazione, anche per ragioni politiche su certe cose insomma così era meglio. Perché probabilmente in città la cosa era diversa dove, ma lì nei piccoli centri dove tutti si conoscevano quindi bisognava muoversi, io sto parlando dei grandi naturalmente.
SB: Certo.
MG: Ma anche noi bambini comunque eravamo schierati, eh, io mi ricordo. I comunisti e gli altri. Mi ricordo benissimo. Io ero tra gli altri [laughs]. Non appartenevo a una famiglia comunista, anche se il nonno, sì, era stato comunista e aveva preso l’olio di ricino ma insomma ormai a quell’età lì non se ne occupava più ma gli altri membri della famiglia non erano comunisti.
SB: Va bene, allora io la ringrazio, se non ha null’altro da aggiungere.
MG: È stato un piacere.
SB: E interrompo.
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Title
A name given to the resource
Interview with Maurizio Ghiretti
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Maurizio Ghiretti describes his early life at Monticelli Terme, a small town near Parma. He remembers various episodes of wartime hardships: food shortages, a tree taken down at night for firewood, men hiding in concealed rooms to avoid roundups, and how his father and other men escaped capture because they were forewarned by a German soldier. Describes how they ran for shelter in a nearby ditch covered by bushes, and how they passed the time there. Explains the perception of bombings among civilians, stressing how they were generally seen as the price to pay for being liberated. Mentions the effects of different operations on various cities in the Po river valley and describes bright target indicators descending on nearby bridges. Recounts hearing a siren which, in his uncle’s words, sounded like a donkey braying. Recounts of Jewish women and children being guarded in a hotel before being sent to the Fossoli concentration camp. Remembers various anecdotes of Allied prisoners of war, some working as farmhands, others building the first sewage system. Stresses how his parents never kept him in the dark about the war situation and he was always abreast of what was going on, to the point that even the children took political sides. Describes the fall of the fascist regime mentioning propaganda murals being desecrated with faeces. Recounts the end of the war when cheering crowds welcomed the Allies by waving hawthorn brushes at them, which reminded him of Palm Sunday. Mentions briefly the post-war political situation.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Sara Buda
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Lapsus. Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-05-07
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:38:57 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy--Po River Valley
Italy--Parma
Italy
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1945-04-25
1943-07
1943-09-08
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AGhirettiM170507
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
bombing
childhood in wartime
civil defence
Holocaust
home front
perception of bombing war
Resistance
round-up
strafing
target indicator
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/811/10791/AEdwardsM171030.2.mp3
142ddf72834f10eaaf105dc74359073d
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Edwards, Megan
M Edwards
Description
An account of the resource
An oral history interview with Megan Edwards (1923). She was a telephonist during the war. She is the widow of Arthur 'Eddie' Edwards (1339587 Royal air Force) who flew operations as a pilot with 102 Squadron.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-10-30
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Edwards, M
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
RP: This interview is being conducted on behalf of the International Bomber Command Centre. The interviewer is Rod Pickles, the interviewee is Megan Edwards. The interview is taking place in Mrs Edwards home in Weymouth, Dorset on the 30th of October 2017. Also present is Caroline Print. Good afternoon Megan and thank you for inviting me to your home. Could you tell us for starters, you’re going to give us the history of your husband and what we would like to know is when and where you met, and what persuaded him to join the RAF, if you know that. So, when did you meet?
ME: We met in a geography lesson in [unclear], our local school, the teacher was doing her best to give us a geography lesson but at the back of the class was a path leading from a meadow where a farmer used to drive his cows every afternoon back to the [unclear] to be milked and this one particular afternoon they were very noisy cows and they were just all the time they brought to the path and poor Mary Porter, Ms Pot as we used to call her, she nearly had to give in because the cows out bellowed her and we were, well, we were all in hysterics, the children and there was suddenly this boy in front of me just [unclear] off and turned around and smiled at me and that was it and he’d been in my life ever since. We were at sunny school together, we were at Cayton’s Camps together, we were at [unclear] together, we churched together cause he was originally in the choir, then he blew the organ, then he rang the church bell and then he used to come and sit behind me and I had a pretty gold bracelet with a heart-shaped lock on it and it acted like a mirror so when he sat behind me I could pick up my bracelet so I could sit and watch Arthur Edwards all through the service, which was quite something when you are only, what, ten or eleven, something like that and then when he needed to earn some money for his pocket, he became my father’s Friday boy cause my dad was the local baker, so he was always around and he was always around to pick up the pieces and whatever I wanted to do if it was a date with another chap, he’d take me along, then leave and then pick me up afterwards but he was always there.
RP: Where was this?
ME: This was in the Forest of Dean and then his mom had a baby girl when she was just about forty and prior to that her husband had broken his leg in the mine and no money come in, no parachute leave because they had a piano which was counted as [unclear] so Arthur had to leave, the, three months I think it was after his sister was born, he didn’t even have time to take his full certificate, he had to go and earn his own living, and he went to London where he was in a hostel and worked for the Fifteen Shilling Tailors for a short while, didn’t like it particularly, sawing on buttons wasn’t his metier at all so he applied to join Sainsbury’s and he trained in the Sainsbury’s setup, learning to pat butter, learning to slice meat, pack your [unclear] proper packets with the flats all down, quite an intensive course in those days and then he got posted down to Brighton when the Germans started their bombing raids on the south coast. By this time I think his mother was [unclear], maybe things that picked up at home I don’t know but suddenly Arthur was back home, determined I think then to volunteer for the RAF, I mean he would’ve been what then, seventeen, coming eighteen? And he used his skills if you can call them that learned at Sainsbury’s and he went into one, a large local shop [unclear] time until he could volunteer, I think maybe he’d been spurred on by another local lad, who in the thirties was in the RAF, and at that time there were two quite well known songs, one was [unclear] Airman, and the other one was Amy, wonderful Amy, Amy Johnson, I think, maybe that had something to do with it, I don’t know, because when I was growing up, I wanted to be a pilot, but I don’t think I would have suit it cause I was always air sick when I flew anyway so that wouldn’t have helped. Anyway, he volunteered on his eighteenth birthday with a lad that sat by him in school and they both went the same day and the other went to the instructor eventually and Arthur obviously went to aircrew and he trained in, I think, Turner Field in America originally and I think it was going to be fighter pilot and then he had an attack of appendicitis which had dopped him all through his teenage years but then the thing to do was to scatter it with glucose or something and once the pain had gone away, that was the end of that, well at Turner Field this one day he had this awful pain and decided he had to go sick and so they would take him away in a hospital and do an operation and as the ambulance doors were closing, the pain just went but he thought, I’ve had enough of this, I’ve it scattered enough times, I’m just gonna let them do the job, which he did but of course that put him back on his course so but the course he was originally on had finished by the time he got out of hospital and convalesced so he was then taken up to [unclear] in Canada and then out to [static interference noise] [unclear] near Neepawa and that is where he got his in Neepawa and then came back to Harrogate where they were all sorted, they were, by the time he got back to Harrogate, the need for fighters had diminished and it was bombers that were needed.
RP: What year was this?
ME: Uhm, he’d volunteered in ’41, by the way nothing to do with him during those [unclear], just
RP: He just disappeared
ME: Just, well yeah, he disappeared and there was nothing, nothing really sort of settled between us, I mean, yeah, you know, if he was on leave, yes, he’d be around some times, but I wasn’t duly bothered, except when he was, well, I remember, I received two and I don’t know why, two aerograms from him because in those days you had like a A4 sheet of paper which you put your letter on and took it to the post office and then they sort of brought it out in miniature, so it was about that size, when you got it, and I had two of those but they were facsimiles each other, I mean I don’t know how I managed to get two but somebody was making a point I think, anyway by that time, I’d been round and round the orchard a few times anyway and uhm decided
RP: Did you pick up many apples on the way?
ME: Yeah, they were good ones, they weren’t rotten,
RP: Oh, it’s alright.
ME: Just the fact that they were too young was the excuse but typical teenager, you don’t know what you want to do when you are a teenager really, I mean, you love and yeah everything’s gonna be beautiful, but doesn’t work out that way, anyway I was by this time a telegraphist [unclear] and I can remember one day I tried to exchange was Dursley, all our phone calls went to Dursley so that if a call ring the callbox needed a phone call you put them through to [unclear] which is to Dursley, well this particular call box was [unclear] as I recall, and Dursley came through to me on the other line and said, Calford, there is somebody wanting you on 3115. So I thought, I missed the fact that the previous caller had obviously put the phone down and Arthur walked straight into the box and picked it back up again and I was probably busy doing something I missed that clearance so that Arthur was through to Dursley so when I went in on the line, and I said, covert exchange, what the hell do you think you are doing? Arthur, oh my goodness me, Arthur Edwards, well, I’m an innocent here, because I didn’t do anything, I was just not too observant, [unclear] the clearance from the other call, anyway, invited me out, had ascertained beforehand from my next door neighbour beforehand who was a [unclear] pilot who I’d grown with as well was [unclear] with going out with anybody so this lad [unclear] and said no I don’t think so, she had a bit of a relationship but it’s collapsed I think so I should think she is free as air so he got straight to the callbox then you see, what the hell do you think you’re doing? [unclear] cause you know he’d been a couple of years in Canada so and wasn’t [unclear] how he expected me to react I do not know. However we did get together and that was, that must have been sort of towards August ’43 I would think and then by January ’44 he [unclear] onto OTU yes, he came home on leave as we got together and I was in [unclear] telephone exchange then and because the contrast between Bristol telephone exchange and the country exchange was enormous but when D-Day arrived, I walked into the switch room there was no activity at all in that switch room, it was as quiet as a grave, and previous to that, we’d been like hats in a toy shop, there were lights everywhere, you couldn’t, you didn’t have enough hands and enough [unclear] to be able to answer anything that you needed to answer, but you knew that day [static interference noise] when you walked in why you would be working so hard because it was all the preparation for D-Day and I mean we in Bristol, you know, there was lots of activity round Wiltshire, Devon and Cornwall, it was just that activity for those three months and more prior to D-Day and yeah, so he came, he came down to Bristol just before he started ops in May and he had a leave in July which was when we decided we would get married because by then he’d worked out that his ops would have finished so it was a better time to do it but it didn’t work out quite that way, we had arranged it was gonna be October the 7th and we, had I known, I’d, well, I may not have been a bride that day because I can’t think what the name of the op was but it was the one where they were carrying gallons and gallons of petrol in jerry cans across to Brussels, the name of that place, it’s a main airport now, something like [unclear] Melstock or something, can’t remember but they were supplying the British army with petrol, that, 4 Group were asked to do that and it was just jerry cans in the fuselage and they had to practically hedge-hop because they had to be under the German radar so that they wouldn’t be noticed and I think that was from about September the 25th until when he came home when we were married on the 7th so that he should’ve been I think home on the Tuesday and he wasn’t, didn’t come to the Thursday, which was two days before we were getting married, and I came off [unclear] which I’d just done from you dad, and when I walked in the living room there’s a huge bunch of black grapes [unclear] where they come from? Cause, I mean, fruit during the war was a real luxury, I mean, you could get lemons, and I liked them and actually used to be very, very naughty cause I’d take them to the pictures with me, and [unclear] and all around you could, you [unclear] people, smacking their lips you know, [unclear] lemon, which I thought was funny, I was enjoying it but they weren’t, anyway
RP: I can tell you the name of the airport is Melsbroek
ME: Melsbroek,
RP: Melsbroek
ME: Yeah, that’s right, it
RP: 25th of September 1944
ME: That’s right, it was
RP: So, where was he flying from at that time?
ME: He was flying from Pocklington
RP: Ah, right, that’s where he’s based
ME: It was 102 squadron
RP: He was based at, he was based at Pocklington
ME: He was based at Pocklington
RP: On 102, yeah?
ME: Yeah, 102, Ceylonese, Ceylon Squadron. And I’ve got a feeling I can’t really remember the name of the secretary in the association, Tom something beginning with a W and I know Rog didn’t like him, Arthur said, the engineer, he didn’t like him, he told somebody and I was talking to Air Commodore Graham Pitchfork last weekend because I know there’s a tape in RAF A archives which Arthur made about his time in the RAF. There’s one in Canada but I don’t want to impose that task for my son at the moment but I could get him to copy it but I spoke to Air Commodore Pitchfork and he said he, you know, if you like to contact him, he can probably manage to get that one out on loan if you want it, I mean, and there you got Arthur’s own version of [unclear]
RP: I remember, yeah, I know the name cause I’ve read some of his articles, is Graham Pitchfork?
ME: Graham Pitchford. I’ve got his telephone number if you want it.
RP: I know the, yeah, I know the name.
ME: Yeah and because I remember going to an RAF association open meeting at Hereford, the wives used to go sometimes, it was mainly the lads but the wives were invited sometimes, and that day it was the Air Commodore and he was really upset the thing that a lot of the history was being lost and being confined to skipt.
RP: Yeah, well, books like that will recover it and we will make sure we contact these people, don’t we?
ME: Yeah, as I said, it’s a tape.
RP: Yeah, that’s fine.
ME: That is Arthur and he must have done it between 1996 and ’99, because when we came back up from West Wales, we joined Gloucester RAF Association and we weren’t too impressed so we went across to Hereford cause we, distant forest from the Forest of Dean
RP: Yeah
ME: By this time, we’ve gone back to forest anyway
RP: Oh yes
ME: And they were really, really nice up there and I know it must have been, I would’ve said, ’97 to ’99, he was dead by June ’99, so that should pinpoint the date,
RP: Yes
ME: If they [unclear] the date order
RP: Ok.
ME: As I said, Graham Pitchfork said, get in touch with him and he did his best.
RP: Well, thanks for that, yeah, we will make a note
ME: [unclear]
RP: I’ll make a note of afterwards, so, yeah
ME: Yeah, fine.
RP: So, after having taken all that petrol, what did he do after that? Did he resume normal flying then, after the petrol?
ME: Uhm, yes, he still then had a couple of ops to do, didn’t he? Because they weren’t considered ops, they were only [unclear] or something, so he still had some more to do, so he, we got married on the 7th so he must have had a week’s leave, so that was back on the 14th or something, and he’d still got these couple of ops. It’s all in there, it’s all in that book actually, they set off on this raid and I can, whether it was to Cologne or not, I’m not sure and as they were flying, they were seeing aircraft turning round and going back but as I said, he probably realised that failure is not part of Arthur’s vocabulary and no, he wasn’t going to abort. He didn’t abort when he lost his escape hatch, he didn’t abort when with the bee, [unclear] but [unclear] could understand why these aircraft were turning back, and then he suddenly realised that they’d lost an engine, and that the [unclear] of that engine was so [unclear], and then they lost another and Roger [unclear] said you know and I’m happy about this, so the, something’s happening and I think we should turn back but Arthur said, just [unclear], just stop, not, we’re doing what we set out to do, but then he lost another so Rog comes down in the cockpit with his parachute over his shoulder and said, what? If you don’t turn back now, then I’m walking home. So, Arthur realised something was really up and yes, they did turn back, cause they hadn’t got to target, so they got their bombs on board and then because the army was still going up through, they weren’t free to drop their load anywhere, it had to be over the sea, I think they were down for about three thousand feet something when they managed to drop it and they just got into Manston because the engines were pouring and all the oil had sort of thinned out
RP: Yeah
ME: Yeah, so,
RP: Yeah, sounds like the major problem
ME: [unclear] it sort of was [laughs] they put themselves down and Roger looked at the aircraft and he was quite disgusted cause it was covered in oil from propeller to tail and he’d nursed that aircraft through all those ops, you know. Anyway, Arthur went up to the control tower to report that to base to say that they had landed away from base, they were at Manston and [static interference noise] came back down and he said to him, that’s it. That was the end of their tour. So,
RP: How many ops was their tour?
ME: Say again.
RP: How many ops did they do on, was it thirty? It was thirty [unclear]
ME: It was something thirty-nine and a bit.
RP: Was it more?
ME: Yeah, was like thirty-nine and a bit, I think, it’s on the nose of the aircraft
RP: Right.
ME: The daylight ones were in white, I think, the night ones were in brown I think, they various symbols for what they did and it’s all recorded on the nose of the aircraft which was why when Tim wrote that book he could tell when that picture was taken, bit amazing, I don’t know how he worked it out but he did.
RP: It’s good, isn’t it? Amazing!
ME: Yeah, uhm, anyway, I guess Arthur took himself off to the officers’ mess but Rog, the flight engineer, and Walker, the rear gunner, and [unclear] it must have been Mason, wireless operator air gunner, they decided, right, they were going out on the town, so people in Manston gave them a real good night out cause they realised that they just come off an op so they didn’t pay for any drink that night but they were well and truly away with the fairies I would think there is a word that they would use but I’m a lady so I won’t use it. Anyway, they decided then because they’d finished all, all the way off [unclear] they were going down onto the beach so these three [unclear] down to the beach and they heard a lot of commotion, an awful lot of shouting and the police arrived because the beach was a minefield, wasn’t it?
RP: Oh dear!
ME: They had just escaped from that aeroplane and went down on the beach. Anyway, the police took them away, put them in jail, bedded them down, gave them supper and they slept it off and I think [unclear] went down the next day and retrieved them. But they had to wait then for major things to be done before they could fly back
RP: So, they flew the aircraft back to Pocklington.
ME: They took the aircraft back to Pocklington, yeah.
RP: So, he’s finished the tour, so what did Arthur Edwards do then? Where was he
ME: What did Arthur Edwards do then? What didn’t Arthur Edwards do? Arthur Edwards, something was going on like, oh, he had [unclear] weeks leave, he kept having cables to say, your leave has been extended right and they were sent another new squadron, a transport squadron, to fly casualties out from the Middle East and it was, that was gonna be converted Halifaxes I believe, according to Tim in the book, it turned out to be Dakotas and they only went as far as the Middle East, they were all round the Middle East. Then they went from there to India, then to Burma, then to Malaya, and that is when he was in Malaya that he became personal pilot to
RP: [unclear]
ME: Air Vice Marshal
RP: Bouchier, did you say?
ME: Bouchier, was a photograph I have here somewhere and
RP: So, this was flying Dakotas before that when he was, in the Middle East he was flying Dakotas
ME: He was flying Dakotas, it was Dakotas with Transport Command, because I can remember they were in a place called Mithila, in Burma, I remember, uhm, that’s right and then, oh, and there was an op that they were going to do at [unclear] in Singapore and they were going to fly down to Singapore, they were glider towing [unclear]
RP: Because they, it’s all part of Operation Tiger, wasn’t it?
ME: That’s right. But they would not have enough fuel to get back and they were going to have to ditch and hoped that the navy would be at hand to pick them up.
RP: But in the end Operation Tiger was cancelled.
ME: It was cancelled, that’s right, so,
RP: A very large bomb went off in Japan and ended
ME: Exactly, that’s right, well then, Arthur went then and they were at a place called Iwakuni
RP: So, going back to his Halifax days,
ME: Yeah
RP: You mentioned the DFC, when did he, when was he awarded the DFC?
ME: On the February after he’d gone abroad.
RP: So, he’d finished the ops and then he was awarded, so, when did he actually receive it then, if he was abroad?
ME: By post.
RP: Really?
ME: It was sad
RP: There was no presentation?
ME: It was so sad because the King had started to be ill and he wasn’t doing the presentations, so they were sent out by post which was very sad. The same thing happened with his uhm, QC, oh what’s it, Queen’s Commendation for Valuable Services, QVSIA, he didn’t go to the palace for that, it was presented to him in the [unclear] hall Gloucester by the Duke of Beaufort.
RP: But this was obviously, Queen Elisabeth.
ME: That was when he was flying with the Guinea police air wing.
RP: So, if you go, if we go back to where we were,
ME: Yeah,
RP: Operation Tiger is cancelled and he’s in India
ME: Yeah
RP: So, what happens then?
ME: Well, that is when I got a feeling that the Air Vice Marshals was asking for a pilot and that’s when he volunteered to be that pilot. So, he flew then from Burma to Iwakuni and they, all stations up through the Pacific, which were manned by the Americans, weren’t they? And I don’t think they could believe their eyes, when they realised what luxury the US Air Force had compared to what our lads had and on their way, when they got to Singapore, where they had a night stop obviously, a burglar entered Air Vice Marshall Boucher’s quarters and took everything. So, that Arthur would then going around sort of not actually beg, borrowing and stealing, but trying to get the Air Vice Marshall kitted out to get him up to Japan, he took his uniform and everything and Arthur said, he arrived in Japan in [unclear] of clothing, you know, for an inspection of the Commonwealth troops so I don’t expect he was very pleased at that.
RP: So, he was away quite a while then from England, from you.
ME: Oh yeah, he was away from the February until August ’46.
RP: Gosh!
ME: Yeah, well
RP: That’s February ’45 or
ME: That was February ’45 until August ’46. Yeah, well, you just accepted that.
RP: So, what, you mentioned he joined Guinea police, so what year did he leave the RAF?
ME: He left the RAF in ’46, then he went in civilian life for ten years and then he decided he wanted to join the Guinea police.
RP: So, did you all move out to Guinea then?
ME: Just me,
RP: Yeah
ME: I didn’t have any children.
RP: [unclear]
ME: No. Just me, he went first and I went nine months afterwards and yeah, he had some nail-biting moments then I can tell you or when he was in Burma, he flew part of the peace commission across to Ceylon because it was Mountbatten in charge of that area then and he flew the peace mission from Rangoon across to Ceylon, oh what’s the other place in Ceylon? Kandy, is it?
RP: Kandy is in Ceylon.
ME: Yeah, possibly, yeah, uhm, and they were about to set off, uhm, with all the [unclear] and that that were necessary to take with them for signing papers and as they were walking to the aircraft, one of Arthur’s crew said, oh skip, we’ve got, we’ve got a problem, and Arthur said, what, what kind of a problem? He said, well, one of the PA’s, one of the naval officers, it’s a lady. And there were no facilities for ladies, for toilets on board because they have tubes, don’t they?
RP: Oh yes
ME: Right, yes.
RP: Yes [laughs]
ME: So, Arthur had to send another of his crew to the store to get a bucket, ready for the use of.
RP: Life was tough then.
ME: Yeah [laughs], it was, but, uhm, yeah, he was, what can I say,
RP: But you mentioned he recorded this tape in the late Nineties so between the time he’d finished flying and then, did he ever talk much about his war experiences?
ME: Occasionally.
RP: Cause most of them have, most people didn’t,
ME: No
RP: it’s only later in life that they
ME: Occasionally, not often, I mean, I knew, he told me about the bee, because he was telling me somebody else about that but, I mean, that was years and years afterwards and the escape hatch obviously.
RP: What was the one about the bee then?
ME: The bee was the one when they were on this op they started off and everything was ok and then suddenly his instruments weren’t working so he called Rog up and Rog came in and he had a good look round to see what the problem was and he couldn’t solve anything and he said, I cannot make out why you’re not getting anything from your instruments. So, Arthur had to fly in formation with another aircraft all the way to the target and back, no instruments of any kind at all, to tell him where he was, what he was doing and what height he was at or anything and, as I said, when they got back down and the ground crew took a look, it was a bee in the instrument panel.
RP: Doing what [laughs]?
ME: [unclear], it just caused something.
RP: Right.
ME: That was the explanation Arthur had from, it was a bee that had caused the problem, and I think, well, you know, what on earth?
RP: I can only think it must’ve been quite a large one.
ME: Well yeah, could’ve been a hornet I suppose [laughs], it could’ve been a hornet, but he said it was a bee. And I did try to find it in, but it may well be there I don’t know because Rog may have told uhm, you see, because Arthur was already killed before Tim wrote that book
RP: Oh, alright.
ME: So, a lot of the things he got from Roger match
RP: So,
ME: And I would have thought that Roger would’ve said about that one.
RP: Yeah, so, Arthur never read this then. Arthur has never read this book.
ME: Arthur has never that book
RP: Alright, I see.
ME: That is what is so sad,
RP: Yes.
ME: He’s never read that book and
RP: Because he could well have added to it of course.
ME: Oh, yes, of course he would. Ok. Because all [unclear], because I’ve got a lot, I have got a lot of information about the book, what, why it was written,
RP: Oh, we can have a look at that,
ME: Yeah and then he, you see, afterwards, when Arthur was killed, I was, uhm, yeah, I was in a flat in Gloucester then, uhm, which Mason, [unclear] and that is when Roger rang me and said, there’s this chap in Yorkshire who’s writing a book about the, is it ok if I give him your telephone number, because he’d like to contact you? And Rog he still contacts me
RP: Ah, that’s good.
ME: He rang me a fortnight ago to say, when is it convenient for us to come down to see you at Christmas? [unclear] come to see me at Christmas they’ve always kept in touch.
RP: That’s [unclear]. Would you happen to know if he’s been interviewed?
ME: Pardon?
RP: Would you happen to know if anyone has interviewed him?
ME: Nobody has. And I think he deserves to be.
RP: Well, I’ll take his address from you afterwards.
ME: Yeah, I, he deserves to be because that
RP: Oh absolutely. Well, if he’s done that book, he certainly does. He must have a good memory.
ME: Well, it’s the fact that, I’m not denigrating miners or anything because I was brought up in a mining community but he was only secondary school, he was a miner’s son, lived in Pontefract, uhm, he didn’t have any body, uhm, oh what do they call it? When they check read a script, he’d nobody to do that for him, what he got there is what you see, I mean, as I said to Arthur’s niece, grammatically there are a few flaws, and she said, it doesn’t matter Megan, he has recorded his [static interference noise]
RP: That’s a page of history, that’s the main thing.
ME: Yeah, that’s it.
RP: That’s exactly what you want.
ME: Yeah, so uhm, and you see, his niece’s husband, Martin, was RAF, air sea rescue, uhm, he was in the Iraq war, uhm, when he retired from the RAF, he went to fly for Monarch, so a fortnight ago he had a shock during
RP: [unclear] go well there?
ME: No, he didn’t. He said to me, Megan, it’s a good job, I didn’t realise when I put that aircraft down on Friday on the runway and I’m glad I didn’t know that was the last time I was landing an Airbus but he didn’t, he only knew during the night by an email, but now he’s had an interview for WOW and another one for Titan.
RP: Yeah, well, they are always interviewing.
ME: Yes.
RP: Ok, I think we can leave it there cause I think we’ve surely captured the essence of Arthur and I thank you for all the information that you’ve given us, it’s been lovely listening to you, thank you.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Megan Edwards
Creator
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Rod Pickles
Publisher
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IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-10-30
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Identifier
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AEdwardsM171030
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Pending review
Pending revision of OH transcription
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:38:31 audio recording
Language
A language of the resource
eng
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Royal Air Force
Royal Air Force. Bomber Command
Civilian
Royal Air Force. Transport Command
Description
An account of the resource
Megan Edwards talks about her husband, Arthur Edwards, who served in the RAF with 102 Squadron. Tells of how they met at school and always kept in touch through the war, until they married on October 7th, 1944. She remembers working at the Bristol telephone exchange on D-Day. Arthur took on various jobs before volunteering for the RAF in 1941. He initially went to America to train as a fighter pilot, but then was moved on to bombers. He was stationed at RAF Pocklington on 102 Squadron, with which he flew thirty-nine operations. Remembers when Arthur and his crew had to abort what was to be their last operation and land at RAF Manston because of a widespread oil leak. From 25 September to 7 October, Arthur and his crew dropped fuel canisters over Brussels to supply the British army with petrol. Tells of when a bee got stuck in the instrument panel, jamming it. Towards the end of the war, from February 1945 to August 1946, Arthur was posted to Transport Command, flying Dakotas to the Middle East and the Far East, in preparation for Operation Tiger. Mentions him being awarded the DFC by post and the Queen’s Commendation for Valuable Service in the Air. Arthur left the RAF in 1946, went back to civilian life for ten years and then joined the Guinea police air wing.
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Great Britain
England--Kent
England--Yorkshire
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1944-09-25
1944-10-07
102 Squadron
aircrew
bombing
C-47
Distinguished Flying Cross
Halifax
pilot
RAF Manston
RAF Pocklington
Tiger force
training
-
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Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Cosolo, Gualtiero Silvio
Gualtiero Silvio Cosolo
G S Cosolo
Description
An account of the resource
One oral history interview with Gualtiero Silvio Cosolo who recollects his wartime experiences in Monfalcone and in the surrounding areas.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Cosolo, GS
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
PC: Sono Pietro Comisso e sto per intervistare Gualtiero Silvio Cosolo per l’archivio dell’International Bomber Command Centre. Siamo a Turriaco, Gorizia, è il 26 08 2016. Grazie Silvio per aver permesso questa intervista. Prima di cominciare, vorrei farle alcune domande per essere sicuro che questa intervista venga registrata come desidera. È d’accordo che la sua intervista venga conservata presso l’Università di Lincoln, esclusivamente per scopi non commerciali, che l’università di Lincoln ne abbia il copyright e infine essere liberamente accessibile in qualsiasi formato per mostra, attività di ricerca, istruzione, come risorsa online?
GSC: Sì, vi do il consenso, molto volentieri.
PC: È d’accordo che il suo nome venga pubblicamente associato all’intervista?
GSC: Non ho nessuna contrarietà.
PC: È d’accordo di essere fotografato per l’archivio digitale dell’International Bomber Command Centre?
GSC: Sì, anche se non vengo bene perché ho le rughe ma a ottantaquattro anni non posso pretendere di più. E vorrei, se possibile, che mi faccia una bella fotografia.
PC: Grazie Silvio, possiamo cominciare. Allora, Silvio, mi dica qual’è il suo più vecchio ricordo a riguardo dei bombardamenti aerei della Seconda Guerra Mondiale.
GSC: Eh, questo qua è veramente un fatto singolare perché la prima esperienza che ho avuto, adesso io ho letto in qua e in là so che il bombardamento è stato effettuato il 17 marzo o giù di lì insomma del 1944 tra, il primo. Io mi son trovato proprio al centro di questo fatto perché frequentavo la scuola Ceriani, l’avviamento Ceriani di Monfalcone e quando è cominciato il, i bombardamenti naturalmente veniva suonata la sirena d’allarme e noi scappavamo tutti quanti perché ogni mattina succedeva questo, che passavano gli aerei che andavano a bombardare e suonava la sirena e noi scappavamo via con tutti i mezzi che avevamo. E non conoscendo la città di Monfalcone io distrattamente ho, credevo di far bene scappare verso la chiesa, verso il cantiere, così.
PC: Chiesa di Sant’Ambrogio?
GSC: No. Oh, perbacco. Verso l’Hannibal per esempio. La chiesa che finisce…
PC: Marcelliana.
GSC: Marcelliana, che era una chiesa dove si andava a fare le rogazioni cioè andavamo in processione da Turriaco a piedi naturalmente per le stradine per ogni anno si faceva questo voto. Io con la mia bicicletta mi trovai proprio nel momento che bombardavano il cantiere. E, o lo spostamento d’aria o la mia volontà di sopravvivenza, sono caduto nel fosso che era attorno il cimitero di Monfalcone ormai dismesso adesso e addirittura quando hanno cominciato mi cascava qualche pezzo di terra, qualcosa e sono stato testimone, mio malgrado, dei primi morti che hanno portato lì alla Marcelliana. Che l’impressione mi è durata per tantissimi anni, a veder questa carneficina, questi operai che venivano a brandelli, insomma è stato una, credo sia stato il più tremendo dei bombardamenti che aveva subìto e vedere tutto questo sangue, tutto questo, questi pezzi di, mi ha fatto almeno per dieci, quindici anni, ho avuto sempre questa impressione. E io mi son trovato proprio in questo frangente. Fortunatamente mi sono limitato a darmi una spolverata però ho visto quello che un ragazzo di dodici anni non avrebbe mai dovuto assistere. Ecco questa qua è stata la mia prima esperienza dopodichè non mi ricordo quanti altre volte hanno bombardato il cantiere, ma insomma a me era sufficiente aver assistito la prima volta. Questo è quanto. Le interessava di sapere qualcosa altro?
PC: Riguardo ai bombardamenti, quando avvenivano lei andava in rifugio antiaereo? Aveva un luogo preciso dove andava a rifugiarsi?
GSC: Allora questo qua anche che qualche tempo fa ho cercato di andare sul posto dov’era l’entrata della galleria, cioè l’uscita nella galleria che partiva dalla Piazza della Repubblica o come si chiama di fianco alla farmacia. C’era questo buco, questo bucone che non ho mai saputo per quale motivo era stata costruita, se durante la prima guerra mondiale o per la seconda. So che dopo questo bombardamento noi, specialmente delle scuole, correvamo sempre a rifugiarci dentro con biciclette tutto quanto dentro a questo. E mi ricordo questo posto che le prime volte mi faceva impressione perche c’era una farmacia dentro o qualche pronto soccorso poi c’era qualcosa che per dissetare quelli che avevano, no, niente di speciale. Ma adesso che rivivo in pratica questi momenti avrei piacere di visitarla a fondo perché mi è stato promesso. Quando ho fatto la mostra lì alla mutuo soccorso, c’era un responsabile, tra l’altro sarà anche suo amico perche s’interessava anche di reperti raccolti nella galleria, no, e mi aveva promesso che quando sarà mi inviterà a vedere e mi farebbe molto, molto piacere. Comunque eh quello che mi viene in mente quando mi prendevo questi appunti, potrei dare un suggerimento, se fosse necessario, a sollecitare chi di dovere cioè le autorità. Perché non valorizzare questo reperto storico per creare una galleria vera e propria. Potrebbe essere una galleria d’arte, si potrebbe trasformare in altre attività perché il posto anche sicuramente, anche se non è tanto accogliente però si può fare. Io, nel mio libro se posso parlare di questo, addirittura sfrutto le gallerie del Klondike, dell’Alaska e Siberia per, perché stanno realizzando un progetto della costruzione di una città che puo’ ospitare novecentomila, un milione di persone per sopravvivere alla futura e prossima fine del mondo. E se lo fanno loro e lo spiego anche perché usufruendo di qualche condotto che proviene del nucleo della Terra che ha seimila metri, un ingegnere italiano ha scoperto la maniera di usufruire di questa energia per creare l’acqua, l’aria e tutto ciò che occorre per fare, per dare la sopravvivenza a questo popolo. È un progetto futuribile naturalmente e naturalmente come tutte le novità, come tutte le cose anormali, sarà messo in forte discussione, sarà contraddetto magari, che non si può così non si può colà. Io nel, in questo libro spiego tutte queste cose e può darsi che mi diano anche del pazzo.
PC: Una domanda mi veniva in mente. Lei praticamente era un ragazzino esposto a questa esperienza drammatica dei bombardamenti aerei. Nel tunnel, visto che mi raccontava che c’andavate con tutti gli altri ragazzini della scuola, cosa facevate mentre eravate lì dentro?
GSC: Eh, sicuramente quella volta non si diceva casino, perché era una parola troppo grossa, però cagnara sì. Facevamo cagnara perché per noi dato che… Forse sono stato l’unico a avere un’esperienza diretta del primo bombardamento, li altri ridevano, la raccontavano, spintoni. Noi, specialmente i bisiacchi, che provenivano dai paesi della Bisiacaria, Turriaco, Pieris, San Canzian, non eravamo ben accolti dai monfalconesi, che erano, i monfalconesi erano sempre ben vestiti, fighetti, e quando che arrivava i bisiacchi, noi eravamo [background noise] o le papuze o i socui se posso dirlo e come vivavamo a casa così portavamo avanti il dialetto che avevamo imparato dai nostri anziani, dai nonni. E quando arrivavamo in classe, ‘oh, xe rivà, ga dit, ga ciot, ga fat,’ come che parlavasi quella volta. E c’era questo contrasto e i ne cioleva un pochetin pel fioco proprio perché parlavisi il bisiacco. Adesso magari tutti quanti vorrebbero essere bisiacchi, tutti quanti vogliono avere la radice bisiacca come fosse un marchio di fabbrica. E invece io sono testimone del contrario, che invece c’era un certo disprezzo come una razza inferiore ecco i bisiacchi. Non parlo di più perche’ ho tantissimi amici di Monfalcone, eh, con cui ho avuto e ho rapporti amichevoli e così, non voglio tradire questa mia amicizia, questa ammirazione che ho per loro.
PC: Dunque lei mi parla della gente di Monfalcone. Le persone di Monfalcone invece? Voi eravate ragazzini ma gli abitanti civili, le donne, gli uomini che erano rifugiati lì dentro invece cosa facevano nelle ore di attesa?
GSC: Diciamo che tutti quanti erano preoccupati, contrariamente a come si comportavano i ragazzi. Perché avevano della gente forse esposta, paura dei bombardamenti, specialmente quelli che lavoravano, era il 90% che lavorava in cantiere e naturalmente i genitori, i vecchi genitori erano preoccupati di altri bombardamenti, altre cose, perché anche la via romana, mi sembra è stato bombardato e mi ricordo la salita, della salita per andare alla stazione, sempre mi ricordo di un palazzo che è stato bombardato e c’erano stati anche dei morti. Eh, si volevo aggiungere una cosa, mi son dimenticato prima che noi ragazzi per frequentare la scuola dovevamo, se c’erano i bombardamenti o le, scappavamo via quando erano le sirene d’allarme dovevamo frequentare per recuperare le ore che perdevamo alla mattina, dovevamo tornare e il pomeriggio. Allora in questi casi qua dovevamo preparare il vasetto della pasta, della minestra da casa, e dove si fa sulla strada, no. Allora attraversavamo la galleria, andavamo su per il colle della Rocca, su due tre pietre facevamo un po’ di fuoco e mettevamo il vasetto della minestra per scaldare e approfittando di quella oretta che ci rimaneva al riparo delle pietre, di qualche pietra, di qualche coso, si ripassava le lezioni. Faccio per non è per un vanto però per far sapere ai nostri ragazzi che si lamentano sempre, e perche la, e la corriera e l’autobus e tutte queste cose qua, invece noi dovevamo adattarci a questo, a questo genere di cose per la sopravvivenza naturalmente e la scuola ne soffriva perché quello che io ho imparato è forse zero rispetto a quello che ho imparato dopo da solo con la mia volontà, leggere e frequentare corsi e tutto quanto, beh per recuperare quello che non avevo imparato a scuola. Naturalmente erano i tempi che erano. Perché quando ci portavamo a Monfalcone con il carro bestiame, coi operai andavamo fino al cantiere, dal cantiere a piedi fino a scuola. E dopo si finiva a mezzogiorno e dovevamo tornare a casa nei vari paesi a piedi e dov’era eh lungo la ferrovia, lungo la ferrovia e per venire a casa da Monfalcone ci volevano due ore almeno. E figurarsi in strada noi giocavamo anche perché i ragazzi malgrado tutte le condizioni avverse, rimangono sempre ragazzi con voglia di divertirsi e di scherzare.
PC: Quindi lei mi diceva, ma mi faccia capire bene, com’era effettivamente viaggiare con il pericolo di, che ci possa essere sempre un attacco aereo, lo spostarsi in quegli anni lì? C’era tensione, c’era paura? C’erano degli ovvi disagi?
GSC: Il disagio era proprio costituito dal fatto che bisognava tornare a casa a piedi e non era sempre tanto piacevole, specialmente d’inverno o con la pioggia, con tutti i tempi. Una cosa che invece era faticoso perché anche viaggiare sa, anche un treno anche se era merci ma in dieci minuti, un quarto d’ora arrivavamo a Monfalcone e non erano grandi viaggi, dove che, sì, poteva, poteva esserci questi fatti di bombardamenti. Ci si sbrigava subito. Quello che era invece più faticoso era andare con la bicicletta che siccome che mancavano le gomme, i copertoni delle biciclette, avevamo delle, dei tubi del vino, le canne da vino a mo’ di copertoni. Per cui era come le biciclette di Enrico Toti, non so se ha idea di, e la fatica era tantissima, specialmente in febbraio quando c’era il vento che durava un mese anche e noi andavamo sul crocevia di Begliano a aspettare la fila degli operai che si recavano al cantiere, e per attaccarsi alla coda perché davanti c’era sempre il più muscoloso che portava avanti la fila, come si vede adesso anche nelle gare ciclistiche c’è sempre uno che si alterna, che tira la coda. Noi facevamo lo stesso là però tutto ciò la fatica era enorme perché per ragazzi di undici, dodici anni, sa, maneggiare queste biciclette era un po’ difficile. Ma pericoli, pericoli, no, però s’incontravano delle scene naturalmente crude, nel senso che una volta proprio sul crocevia di Begliano c’era un rallentamento anche nella fila degli operai perché sulla strada erano quattro morti, quattro partigiani morti, che li avevano uccisi a mitraglia, a mitragliate, i repubblichini e li avevano lasciati lì. Mi ricordo tutti questi cadaveri, tutto l’asfalto pieno di sangue e anche quello è stato un fatto doloroso. Questi qua erano partigiani che li avevano imprigionati prima alle prigioni di Pieris e poi durante la notte li hanno liberati però c’era qualcuno che li aspettava per fucilarli. Questo qua è stato forse la cosa più brutta che mi è successo. E poi si vedevano delle camionette bruciate perché i partigiani quella volta erano molto attivi e non è che attaccavano le caserme però facevano azione di disturbo, come mettere qualche, far saltare obiettivi che erano importanti per i tedeschi e infatti sono delle cose che succedevano molto di frequente fino alla grande battaglia di Gorizia che è stato così, se posso raccontare?
PC: Mammamia!
GSC: L’8 settembre del ’43 mio padre che era in cantiere è stato avvertito insieme a altri compagni, sono riusciti a scappare dal retro del cantiere perché li hanno avvertiti che fuori c’erano dei camion che caricavano tutti gli operai che uscivano dal cantiere per portarli in Germania, così com’erano, in tuta o con abiti da lavoro e mio padre con altri sette, otto, sono riusciti a scappare e sono arrivati fino a Selz con la bicicletta e poi sono andati su in montagna, sono andati verso i paesi della Slovenia, della Yugoslavia quella volta, però Opacchiasella, mi raccontava questi particolari mio padre. Sai, tutti quei paesini lì e lì hanno combattuto ma non battaglie di grosse perché loro facevano azione di disturbo, nelle stazioni disturbavano i telefoni e le linee, azione più che altro di disturbo. E quando si preannunciava la grande offensiva dei tedeschi, tutta la gente dei nostri paesi era preoccupata perché si sentivano i rumori dei carri armati, di tutte le armi, cannoni, tutti quanti, si sentiva per tutta la notte che andavano sù. Risultato che seimila tedeschi armati fino ai denti si portavano verso le montagne per scatenare l’offensiva contro questi partigiani, che non erano tanti ma però davano disturbo. E c’è stato un fatto che mi ha addolorato e cioè mia madre che piangeva tutto il giorno perché si rendeva conto della gravità della situazione. Fortunatamente i capi dei partigiani, quella volta di buon senso, hanno avvertito tutti i capi famiglia, gli uomini che avevano famiglie e figli, li mandavano a casa, e difatti una sera e cioè la vigilia proprio della grande battaglia mio padre è venuto a casa e starei qua delle ore per raccontare quello che era successo ma naturalmente si può immaginare in che stato si trovava quest’uomo, in quali condizioni, magro, con la barba lunga, pieno di pidocchi, vestiti alla meglio come si poteva, con scarpe piene di paglia per poterli indossare. E dopo naturalmente viveva in, da clandestino e a casa mia avevano trovato saltuariamente un posto dove riunire il gruppo di partigiani cioè quelli che operavano per reperire viveri, armi e tutto quanto per mandare su. Per cui erano cinque o sei persone che si riunivano a volte in una casa una volta in un’altra e la mia casa che si trovava su questa strada, la via principale, e mi mandavano a stare dentro e avvertire se venivano, se passavano camion di tedeschi perché quasi ogni giorno c’era il rastrellamento, arrivavano due o tre camion in piazza, saltavano giù i tedeschi e i repubblichini coi mitra spianati e facevano ognuno una via e prendevano sempre qualcuno perché qua erano quasi tutti i ragazzi partigiani. E io facevo da vendetta. Non sapevo l’importanza però oggi mi rendo conto che anch’io ho contribuito in qualche maniera perché mi davano dei bigliettini da portare a Tizio, Caio, Sempronio, che erano partigiani che facenti parte del Comitato di Liberazione e mi rendo conto che anch’io ho portato il mio granellino sul mucchio della libertà e sono fiero di aver partecipato. Quello che si fa è naturalmente a fin di bene.
PC: Volevo farle ancora una domanda per ritornare alla guerra aerea. Lei mi ha raccontato di questa esperienza terribile di vedere queste scene dei, gli operai del cantiere smembrati, portati. Cosa pensa, adesso dopo tutti questi anni, dei bombardamenti aerei? Cosa le è rimasto? Prova un senso di rabbia o di, per chi li provocava o magari ha capito quello che poteva essere lo scopo di quegli atti anche così violenti e brutali come potevano essere i bombardamenti aerei?
GSC: [sigh] Naturalmente la guerra è una cosa che non porta sicuramente dei benefici. Cioè forse sbaglio. I benefici ce li hanno chi costruisce le bombe, chi costruisce le armi, è un business, e quando le guerre non ci sono, le inventano, perché proprio è un business. In fatto di paura naturalmente nel nostro paese qua esistevano, esistono ancora ma sono inglobate nelle case che sono state costruite dopo, delle trincee, delle grandi trincee che erano state costruite durante la guerra del ’15-’18 e avevano degli stanzoni grandi dove qualcuno s’era [pause] aveva creduto opportuno per salvare i bambini dai bombardamenti, di farli dormire in queste trincee e noi avevamo qua vicino al campo sportivo una trincea che si prestava benissimo per cui stavano 25, 30 bambini, in qualche maniera, e noi bambini e i vecchi andavamo ogni sera lì a dormire in questa, in questi stanzoni. Proprio la preoccupazione era di Pippo si chiamava, noi l’avevamo battezzato Pippo, che era un aereo da bombardamento che passava su tutti i paesi, ma girava proprio tutta la notte e dove vedeva delle luci buttava giù i spezzoni, naturalmente qua a Begliano nelle casette avevano buttato e era morta una ragazza di diciotto anni e quello ci ha fatto tanta impressione. Proprio da lì era scaturita questa idea di farci dormire nelle trincee, perché anche durante la notte era pericolo, gli operai che andavano o che venivano a casa avevano i fanali coperti da un pezzo di carta di giornale con un buchino giusto che passava un lumicino di luce per poter, e anche queste qua, questi fatti naturalmente comportava dei pericoli, perché io non so come riuscivano a individuare delle piccole luci da mille metri non so appunto, viaggiava questo apparecchio, questo Pippo. E però faceva paura, guai aprire la finestra, guai aprire la porta, guai fuori perché c’era sempre questo star sul chi va là delle bombe. Altri fatti, non so, da menzionare, così come, non so, l’uccisione per esempio, ma quello forse è un’altra cosa. Avevano ucciso per vendette perché non lo voglio dire perché potrebbe essere interpretato nella maniera sbagliata, però succedeva anche nei paesi. Per esempio, questo lo posso dire, un certo Walter, che era una spia dei nazisti, dei repubblichini che erano quelli dell’esercito del duce dopo l’8 settembre. Quello è stato ucciso in ospedale, cioè gli hanno sparato in ospedale e visto che non era ancora morto l’hanno ucciso, sono andati là i partigiani e l’hanno ucciso e mi sembra di ricordare che hanno ucciso anche sua madre che lo assisteva. Walter, Walter si chiamava. È una cosa che ti faceva non piacere ma era come un senso di giustizia dato che questo Walter, questo famigerato Walter era uno spione e tutti quanti applaudirono a questo fatto perché era come Zorro che difendeva i più deboli e per noi era stato un fatto molto grave.
PC: D’accordo. Silvio, la ringrazio infinitamente, se ha qualche altro.
GSC: Forse ho chiacchierato più del.
PC: No, ma va molto bene. Io la ringrazio della, dell’intervista e grazie di nuovo, anche a nome della Lincoln.
GSC: Non è facile naturalmente, parlare, descrivere con, perché se uno legge qualcosa di preparato è difficile io ritengo.
PC: Andava benissimo.
GSP: Ritengo.
PC: Andava benissimo.
GSC: Io ho questo, ma forse non interessa. Io ho cominciato avere i ricordi della mia vita quando avevo due anni e mezzo. Qua ho cominciato con i primi ricordi, e sono andato avanti descrivendo un po’ quello che succedeva nei paesi, quello che succedeva nella mia famiglia, sono anche storie personali, ma posso tranquillamente vantarmi perché non c’è qualcosa di offensivo per nessuno. Sono arrivato fino al, non è la conclusione perché qua ho messo continua però sono arrivato fino al ’45, concludendo che la guerra aveva provocato 40 milioni di morti. Se lei ha.
PC: Con molto piacere, con molto piacere.
GSC: Un quarto d’ora, venti minuti.
PC: Sicuramente.
GSC: Da leggere.
PC: La ringrazio infinitamente.
GSC: Puo darsi che trovi qualche spunto per continuare il suo lavoro.
PC: Grazie mille.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Gualtiero Silvio Cosolo
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Gualtiero Silvio Cosolo recalls attending the Ceriani vocational school in Monfalcone, at this time the air raid siren went off every day and the children would run to the nearest shelter. Describes the 7 March 1944 bombing and the gruesome sight of dead shipyard workers, an event which scared him for years to come. Remembers the sense of oppression when he first went to a public shelter. Contrasted the behaviour of boys laughing out loudly and messing around, and the composure of adults who looked worried and thoughtful. Recalls the rivalries among boys from different towns and neighbourhoods and describes the blackout precautions of the dockyard workers. Recounts memories of his dad and friends who evaded roundup and managed to escape to Slovenia and later took part in the Battle of Gorizia, a series of actions between Germans and partisans. Recounted acting as a lookout when partisans used his home as a meeting place.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Pietro Commisso
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-08-26
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:34:54 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ACosoloGS160826
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Monfalcone
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1944-03-07
1943-09-08
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
bombing
childhood in wartime
civil defence
home front
Pippo
Resistance
round-up
shelter
-
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Dennull, Ingrid
Ingrid Gertrude Erika Dennull
I G E Dennull
Description
An account of the resource
One oral history interview with Ingrid Dennull, who recollects wartime experiences in Dresden and Berlin
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
The file is not to be available outside of the IBCC/University of Lincoln
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2018-06-22
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Dennull, IGE
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Ingrid Dennull
Description
An account of the resource
Ingrid Dennull reminisces about her wartime experiences in Berlin and then as an evacuee and teacher in East Prussia. She recounts various episodes related to the Dresden attack and its aftermath: seeing from a distance the target indicators, dubbed “Christmas trees” falling over Dresden; evacuees lodged in schools and farms; mentions people from Wroclaw and Silesia among the casualties; herself hiding in a barnhouse together with other women from Russian troops. Ingrid remembers various episodes from wartime Berlin: blackout measures; disposing of incendiary bombs; food rationing; strictly opposing entering the League of German Girls; disruption of train lines; her time spent in a shelter; a friend of hers being killed in an air attack at the end of the war in Potsdam. Gives a vivid account of her trip from Dresden back to Berlin. Tells of her father, a member of the Confessioning Church, serving in the military postal service in France and elsewhere. Tells of how many people she knew privately opposing Hitler, but publicly supporting him. Recounts her life and time as a teacher in postwar Berlin. <br /><br />In accordance with the conditions stipulated by the donor, this item is available only at the University of Lincoln.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Peter Schulze
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
01:34:49 audio recording
Language
A language of the resource
deu
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Germany
Germany--Dresden
Germany--Berlin
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1945-02-13
1945-02-14
1945-02-15
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2018-06-18
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ADennullIGE180622
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Conforms To
An established standard to which the described resource conforms.
Pending review
Requires
A related resource that is required by the described resource to support its function, delivery, or coherence.
PS: Dieses Interview wir für das International Bomber Command Digital Archive geleitet. Der Interviewer ist Peter Schulze, die Befragte ist Frau Ingrid Denull. Heute, wir sind in Berlin und heute ist der 22 Juni 2018. Wir bedanken uns recht herzlich bei Frau Denull, dass sie bereit ist, sich interviewen zu lassen. Ihr Interview wir Teil des International Bomber Command Digital Archive, das an der Universität Lincoln angesiedelt und vom Heritage Lottery Fund finanziert wird. Also, liebe Frau Denull, können Sie mir erstmahl erzählen wo Sie geboren und aufgewachsen sind, ehm, Ihre Familie und Umgebung in der Sie geboren sind, die ältesten Erinnerungen, die Sie haben.
ID: Die ersten Erinnerungen, als Baby kann ich natürlich nicht, darüber kann ich nichts sagen. Die richtigen Erinnerungen beziehen sich auf einen Urlaub an der Ostsee den mein Vater organisiert hatte und ich dort versucht habe das Schwimmen zu erlernen. In Berlin ist es ganz schlimm gewesen dass meine Mutter plötzlich an Diabetes 1 erkrankte und [unclear], die musste morgens, mittags und abends spritzen auch der, ehm, Ernährungsplan wurde vollkommen umgestaltet, es gab so viel Gemüse so gut es ging, bis in die Kriegszeiten hinein ging das alles ganz gut. Meine Mutter hatte, is gut [unclear] worden in dem Krankenhaus Lazarus in Berlin. Ich selbst bin mit sechs Jahren eingeschult worden in Pankow und habe dort vier Schuljahre erlebt und bin dann in die Mittelschule im selben Ort überwiesen worde. Dort, das ist dann nachher in meiner Erinnerung was die Schulzeit angeht nicht so schön, die erste Stunde [unclear] immer ausgefallen ist und dabei, bei Hitler angeordnet worden ist dass immer mehr Sport betrieben werden musste. Ich war eine verhältnismäßig gute Schülerin mir hat es nichts, es ist mir nicht schwer jefallen. Mit acht Jahren bin ich sehr schwer an Nierenwassersucht erkrankt und war zehn Wochen im Krankenhaus. Dort musste ich hungern aber ich habe alles überstanden. Ich bin sehr zufrieden dass meine Lehrerin mich nicht hat sitzenlassen sondern mich sehr gefördert hat und ich weiter den Schulunterricht so weiter folgen konnte. [pauses] Der Einschnitt, was mein früheres Leben betrifft, ist ja die Anmeldung zu den Jungmädeln. Mein Vater war Beamter und ihm wurde nahegelegt, zu einer Nationalsozialistischen Organisation mich anzumelden. Dort wurden Heimabende durchgeführt aber schnell fand man heraus dass ich gar nicht für die Heimabende so wichtig bin sondern ich spielte Flöte und wurde der Jugend Musikschule zugeteilt dass ich immer nach Berlin fahren würde, ich kriegte sogar das Fahrgeld für eine Tour, dass ich da Volksmusik durchjeführt habe. Weiterhin, was die Jungmädelzeit angeht, [pauses] ist ein Einschnitt dass ich mich stark gewährt habe dem BDM überführt zu werden. Das ging nur dass ich mich bereit erklärt habe, einen Gesundheitskurs durchzuführen. Das habe ich gemacht und blieb dann bei den Jungmädeln auch auf Fahrten immer, ehm, die ich begleiten musste, das war nicht schlimm, es waren keine Grossen Unfälle dabei. Was, die heutliche Umgebung in Pankow war so dass ich von meinen Eltern angehalten wurde, Sonntags immer zum Kindergottesdienst zu gehen. Ich bin Evangelisch und mit vierzehn Jahren konfirmiert worden. Das, ein Unterschied gab es zwischen der Beteiligung in der Kirche und zur selben Zeit war denn Appell auf dem Marktplatz in Pankow. Ehm, von den Jungmädeln ist noch zu sagen dass ich die Fahrten eigentlich nicht mal mitmachen konnte weil mein Vater ja das viele Geld brauchte um Mutter vom Krankenhaus, in dem Krankenhaus Aufenthalt zu bezahlen denn nur von der Krankenkasse ist die Mutter ausgesteuert worden, des gib’s heute nicht mehr, aber alles andere wurde bezahlt, Plaster und Zahnsachen, alles wurde bezahlt, nur alles was Diabetiker angehen, wurde ausgesteuert. Die Zeit vergeht und ehm, [pauses] ab ersten September sind wir auf dem Schulweg angehalten worden zuhause su gehen weil der Krieg ausgebrochen ist. Am ersten September war keine Schule und die Verordnung mit der Verdunkelung wurde einjeführt, es ist noch lustig in meiner Erinnerung dass die Straßenbahnfenster zujemalt wurden sind, ein kleiner Schlitz gab etwas ganz spärlich Licht in die Straßenbahn. [sighs] Meine Schulzeit ist dann beendet worden in Berlin und ich kam auf die Lehrerinnenbildungsanstalt nach [unclear. [unclear] war ein Polnisches Dorf das die Deutschen ja im Wartheland besetzt hatten. Die Lehrerinnen waren verschieden bis und Allgemeinbildung sehr bemüht. Wir haben viel gelernt, ich bin sehr zufreiden über die erste Zeit bis dann ein SA-Mann die Leitung übernehmen sollte und wir Fahnenappelle hatten. [pauses] Auch Gedenkstunden wurden abgehalten. [pauses] Was ist, jetzt weiss ich nicht, was Sie interessiert. In den Ferien bin ich ja nach Berlin jekommen und diese Zeit waren dann manchmal Bombenangriffe. Die, [pauses] in Pankow wo ich groß geworden bin ist nicht viel passiert zunächst. Nur in den späteren Kriegsjahren denn wurde aufgerufen das wenn Brandbomben auf der Strasse lagen die entsorgt werden mussten. Da habe ich auch Handschuhe anjezogen und wie angedacht war, die Bomben in die Vorgärten geworfen. Ich weiß es nicht, aber ich bilde mir ein, noch heute, sie liegen dort, im tiefen Sand die Brandbomben aus der Kriegszeit. Ich legte dann im April ‚44 die erste Lehrerprüfung ab. Dass bedeutete dass wir als ausgebildete Lehrkräfte unser Praktikum in ländlichen Gebieten ausführen sollten. Inzwischen war die Evakuierung durchgeführt von den Berliner Kindern und ich kam nach Ostpreußen, nach Siegfriedswalde, einem kleinen Ort in Ostpreußen. Heute heißt es anders. Das ist meine erste Schule. Ich bin später mit Leuten dorthin jekommen und habe die Schule auch später noch besucht. Der Lehrer ja war ja, Hauptlehrer war einjezogen und ich hatte die Klasse 3 und 4 und die ganz kleinen Anfänger. [pauses] Es ist in ein Interview vielleicht interessant, dass ich mit den Goten [?] Sport machte und die gerne Brennball spielten. Und ich hab es noch heute in Erinnerung, wenn um zwölf die Kirchenglocken läuteten, legten die die [unclear] nieder, den Ball nieder, sie hockten und knieten und beteten erstmal ein Weilchen bis die Glocken zu Ende waren und spielten dann wie als wäre nichts gewesen war ihr Spiel weiter und hatten dann Sport. Ich wurde, es gab wohl eine Verordnung die ich nicht genau kenne, dass ich als so junge Lehrerin nicht in, alleine auf’n Dorf unterrichten sollte sondern in einer Stadt, Heilsberg, in einer Katholischen Knabenvolksschule von einem Rektor pädagogisch betreut werden sollte. Das hat auch so dann, ist auch so gekommen dass ich nach Heilsberg in die Katholische Knabenvolksschule kam. Da ist auch eine Erinnerung, dass mich der Direktor der Klasse vorgestellt hatte und dann gegangen ist und ich nun weiter für die Schulklasse verantwortlich war. Die Schüler beteten und es ist ein furchtbares, ein Schock gewesen, dass sie jetzt jesagt haben: ‘Erlöse uns von den Bösen, oder Übel, Heil Hitler, Jesus Christus, gestern und heute‘. Dass dazwischen Heil Hitler jerufen wurde, dass hat mich so schockiert, ich wusste gar nicht wie ich mich benehmen sollte. Jedenfalls habe ich denn dies zur Kenntnis jenommen, die Kinder waren daran jewöhnt, fanden gar nichts dabei, ich war so schockiert, ich weiß gar nicht was ich im ersten Moment da jemacht habe. Die Evakuierungszeit ging zu Ende [pauses] und wir kamen weiter wieder nach Berlin zurück, wie war, jetzt weiß ich nicht mehr.
PS: Erinnern Sie sich an das Jahr?
ID: In Berlin bin ich bis 1944 jewesen und wurde dann erneut evakuiert ins Erzgebirge. Weil dort auch angeblich Berliner Kinder evakuiert waren. Aber ich wurde vom Schulrat einjeteilt in die Volksschule nach Reichstädt, Kreis Dippoldiswalde. Und dort habe ich dann diese auch wieder, und da [unclear] das war ein langes Dorf, sieben Kilometer lang, im Oberdorf hatte ich die größeren Schüler und im Niederdorf habe ich die kleineren Schüler gehabt. Das ging ziemlich planmäßig bis die Russen kamen. 1945 kamen die Russen und eine, die Leute haben, die Bauern haben denn die Fahnen, die weißen Fahnen rausgehängt dass sie sich ergeben. Der, das [unclear] war aber auf‘n Feld und hat nicht die Fahne rausjehängt und der wurde dann gleich von den Russen erschossen. Die Russen zogen ab und dann kamen die Polen, die haben viel geräubert und zwischendurch war wieder Russische Besetzung. Wir, ehm, etwas für Fremde Lustiges, möchte ich hier einfügen, die Kinder waren ja gewöhnt, mit Heil Hitler zu grüßen und den Arm zu heben, und da hab ich den Kinder gesagt, sie sollen ihre Milchkannen immer in die rechte Hand nehmen, damit die gar nicht erst in Versuchung kommen, [laughs] den Arm zu heben. Das haben die gerne gemacht und auch sich daran gewöhnt. Die, ach, ich hab ja vergessen zwischendurch, den großen Luftangriff zu erwähnen. Ich hatte ein kleines Gerät, mit dem ich Rundfunk, wenn man einen Draht an die Heizung machte, dann ist der Kontakt, mit dem man konnte Radio hören. Und da konnte ich immer hören, Bomber über Hannover, Braunschweig, Berlin undsoweiter. Und eines Abends war kein Kontakt da und meine, und wir waren um den [unclear] zu erhalten, guten Empfang zu erhalten im Dachgeschoss des Hauses und, uhm, ich guckte raus aus’m Fenster und sag, ach Frau Kriche, Frau Kriche, der Wald brennt! Frau Kriche guckte auch, da war ja alles, alles hell, wie Tannenbäume, und das war aber kein Wald sondern zweiundzwanzig Kilometer entfernt war die, waren die Tannenbäume die die Engländer auf Dresden jeschüttet haben und dort war dann der wirkliche, der Brand am 13 Februar 1945 war des, ganz, ganz schlimm. In den nächsten Tagen kamen denn schon die Nacht die Leute auf Leiterwagen, in Decken gehüllt, die ausjebombt waren in Dresden und nun auch in den Bauernhöfen verteilt wurden. Ich wohne in einer, ehm, nicht im Betrieb [unclear] Bäckerei. Die Frau, die Bäckerfrau die hat zwei Leute aus Dresden auch aufjenommen, nee, müssen. Und ich war, die Ausjebombten wurden auch in den Schulen verteilt. Die Schule war jeschlossen und ich war dabei, entweder zur Betreuunung die vielen Leute die in der Schule oder irgendwo untergebracht wurde, dass sie eher irgendwie betreut wurden. Und denn habe ich Listen geschrieben, wer woher kommt, dass die weitergeleitet wurden, dass die Leute denn auch richtig betreut würden. Ich komme wieder zu nach vorne, was mich angeht, dass ich versucht habe, mich zu schützen in den, mit den anderen Frauen nachts in den Scheunen, dass die Russen kamen. Aber die Russen haben Heugabeln genommen und dann haben die Kinder aber geschrien und so wussten die Russen jenau wo wir Frauen versteckt waren. Da habe ich mich versucht abzu, ganz ist mir auch jelungen abzuhauen von den Frauen und [pauses] ich weiß gar nicht mehr ganz genau wie ich das jeschafft habe, der Mann der bei mir, uns im Hause, der Ausjebombte aus Dresden, der hat mir ‚ne Zeltbahn und ‚ne Decke mitgegeben, dass ich mich in einer fast Baum oder Felsenhöhle unter verkrochen habe. Der Mann brachte mir einmal am Tag was zu essen und als es wieder ruhiger wurde und ich wieder im Hause denn jewohnt habe, da habe ich mich bemüht, was zu schaffen, dass die Leute, die Leuten hatten ja erst keine Lebensmittelkarten, nur was die Bauern hatten wurde verteilt und die Leute, die keinen Bauernhof hatten, die waren nett, die haben alle verteilt und vergeben [?]. Ich bemühte mit zu arbeiten mit den anderen jungen Frauen, es war ja Mai Heuernte und denn, die, ich war ja nicht so flink, die Bauernmädchen haben mir sehr geholfen dass ich immer in der Reihe mitgehen konnte und dann habe ich für den Mann der bei uns wohnte Sauerapfel in die, [pause] ehm, Tasche getan, sagt man denn in die Schürzentasche getan, der wollte die zum rauchen, der hat sie des aufgehängt und hat daraus da Tabak gemacht und auch jeraucht. Ich bin eines Abends hat mich ein Russe verfolgt und dann hab ich, hab ich jehauen und bin weggerannt un die Leute haben nachher ja jeschimpft dass ich bei ihnen Unterschlupf gefunden habe. Dass der mir nichts anjetan hat, dass ich verschohnt geworden bin von dem starken Russen. Ich, ich bin kein guter Läufer, aber ich hab des jeschafft dass ich irgendwo mich verkrochen habe im Keller, ich weiß nicht mehr alles genau, wie des nachher weiter gegangen ist, jedenfalls hat der Russe von mir gelassen [cries] Dass man rumjehorcht hatte, es gehen wieder Züge, die Leute auf Güterwagen, wie die Russen so alles arrangiert haben dass die Züge wieder weiter fuhren. Da habe ich mich bemüht, einen Passierschein zu kriegen dass ich wieder in meiner Heimat kam nach Berlin [gasps]. Dresden Neustadt war im Abteil ein Deutscher, der auch nach Berlin wollte und mir mit meinem Koffer ein bisschen jeholfen hat und wir mussten in Riesa alle nachts raus, der hat mir geholfen mit Quartier in Riesa und bis zum anderen Tag wieder weiter. Da hab ich es mit anderen Leuten jeschafft, wie es damals üblig war, auf das Dach des Güterwagens zu kommen. Hier waren glaub ich fünf oder sechs Leute, ich weiß nicht mehr, die auf dem Dach jelegen haben und Richtung Berlin weitergefahren sind. Und mit einmal schreit, schreit es und der Zug bremmst. Ich hab es nicht jesehen aber jehört dass ein Mann da an einer Brücke den Kopf gegen gestoßen ist und der Kopf weg war. Die Leute haben des alles erzählt, wenn ich es jetzt sage, es war, ich habe es nicht gesehen aber es war furchtbar, der Gedanke dass ein Mann ‚n Kopf verliert weil der Zug da unter der Brücke jefahren ist. Das sind die furchtbaren Erlebnisse unterwegs. [gasps] Ich, langsam langsam merk ich dass der Zug, kenn’se, so auf der Landkarte sehen’se Lichterfelde, mussten wir alle aussteigen und zu Fuß, das ist ja dann schon Groß-Berlin und in, wie ich dahinjekommen bin, dass ich an eine U-Bahn jekommen bin, dass weiß ich gar nicht mehr. Jedenfalls bin ich mit U-Bahn bis Pankow Vinetastraße gefahren und Vinetastraße waren die Strassen, waren Leitung alle kaputt, alles war runter, das war der 9 August 1945. Da traf ich eine Tante, wie der Zufall es will, die hatte den selben Tag Jeburtstag aber ich hab des gar nicht beachtet nur ich hab sie gefragt, steht denn das Haus noch? Ich wusste ja nicht jenau ob meine elterliche Wohnung noch ist, ich wollte ja in die Gegend nach Hause und das stimmte, das war nicht, hatte nur einen Artillerietreffer. [gasps] Ich schreite zurück, die Bombenzeit war und meine Verwandten waren in Berlin ausgebombt und wohnten bei ihrer Schwester in einer zurechtgemachten doch wiederbewohnbaren Wohnung in Berlin Ramlerstraße. Aber meine Tante [pauses] wohnte auch dort, die hat aber richtig kalkuliert, die Wohnung in Pankow wird besetzt, Vater ist bei der Feldpost in Frankreich, Mutter ist verstorben, die Tochter die da wohnte ist evakuiert, die Wohnung war leer, und da hat meine Tante richtig gehandelt, sie ist mit der Oma [unclear] nach Pankow in die Wohnung gezogen. Und wie ich jetzt erzählt habe dass ich, nach’m, als der Krieg zu Ende war, dort auch untergekommen bin ist schwierig jewesen, ich sollte ja keinen Zuzug nach Berlin geben aber meine Großmutter ist mit mir bei der Polizei jewesen und hat durchjedrückt, dass wir drei zusammen wohnen oder dass jemand anders beeinträchtigt wurde. Und da kriegte ich zuerst keine Lebensmittelkarten, weil ich keine Arbeit hatte, kriegte ich keine Lebenskarte, [unclear], und weil keine richtige Wohnung nicht angegeben war, wurde ich auch auf dem Arbeitsamt erstmal nicht registriert und dann kriegte ich, und auf dem Arbeitsamt haben sie mir, ich kriegte einen Ausweis und mit dem bin ich denn zum Schulrat nach Pankow jegangen. Und versuchte als Schulhelfer wie es damals war dass man erste Lehrerprüfung hatte und als Schulhelfer einjesetzt wurde denn die Nazionalsozialistischen Lehrer waren ja alle entlassen und man suchte Lehrer. Der Schulrat war irgendwie nett, ‚Aber ich hab schon so viele aber in Ihren Unterlagen steht doch Sie haben doch in Reinickendorf Ihre Ausbildung weiterjemacht. In Reinickendorf, versuchense mal dort‘. Un das habe ich jemacht. Da bin ich in Reinickendorf eines Morgens ganz früh und habe mir die Adresse ausjesucht und der Schulrat der dort war der sagte: ‚Ich schreibe Sie ein, aber der ganze, wer weiß ob Sie anjenommen werden, Sie waren auf der Lehrerbildungsanstalt, das ist ja ein, konzentriert gewesen nationalsozialistisch ausgerichtet‘. Ich sage: ‚Wir hatten ja normalen Unterricht, ich habe ja, des Abitur, ehm, nicht mit Latein sondern für das Fach war Pädagogik und, na ja, die Ausbildung‘. Jedenfalls hat der Magistrat mir eine Stelle zugewiesen im Bezirk Reinickendorf, Auguste-Viktoria-Allee bin ich eingewiesen worden. Da bin ich den ersten Morgen am 13 September 1945 bin ich von Pankow ganz früh los gelaufen, dass ich da vor der Schule jestanden hab, dass der Hausmeister aufjemacht hat und ich mich da vorjestellt hab. Da wurde ich eingewiesen für die dritte, vierte Klasse, da sollte ich rechnen, rechnen geben, heute sagt man Mathematik aber damals sagte man rechnen. Und ich habe aber [pauses] vorher [gasps] in der Nacht in der Evakuierungszeit [pauses] wo ich evakuiert wurde, musste ich die Wohnungen aussuchen wo die Kinder gemeldet waren die zu der Schule gehörten, ob die evakuiert waren. Wenn die nicht evakuiert waren, dann mussten sie sich immer alle zwei Tage in der Schule Schulaufgaben abholen und da war ich ja auch. Und denn, da habe ich einen Lehrer kennengelernt der dann in der Nachkriegszeit, wie ich des wusste, kann ich nicht mehr sagen, jedenfalls Herr Stock war inzwischen Rektor an der Hausotter-Schule in Reinickendorf und wohnte im Grindelbergweg [sic] und dort habe ich ihn aufjerufen. Und der, der erzählte mir, er kann mich doch jebrauchen, und der hat erreicht, dass ich nicht nach Auguste-Viktoria-Allee den weiten Weg nach entfernt fast in Wittenau machen musste sondern dass, sie haben da keine Vorstellung, ist Pankow und Reinickendorf det nebenander die Bezirke und ich wohnte hier und hier war die Schule [unclear] wo der Rektor war. Da hab ich des von da, brauchte ich nur vierzig Minuten dass ich da die Schule und da habe ich eine gute Zeit erlebt mit dem Rektor der sich große Mühe gegeben hat dass ich auch für die Prüfungen undsoweiter, ehm, weiterjebildet werde und ich hatte eine erste Klasse, laut zweihunderfünfzig kleine Mädchen. Wenn Sie alte Schulgebäude kennen, das waren immer Bänke, zwei Plätze und unter einem langen Balken waren die mit einander verbunden. So, nun hatte ich aber nicht so viele Plätze, musste ja, habe ich eingeteilt dass die Mädchen zwischendurch auf der Mittelbank, dies Verbindungslinie gesessen haben und so schlau war ich ja, die können nicht zwei Stunden da sitzen, des habe ich denn nach meiner Erinnerung so ungefähr, nach ‚ner halben Stunde, dreiviertel Stunde haben wir ein Lied gesungen und dann wechselte, die letzte Reihe kam dahin, alle ein Platz weiter dass die sich immer da in Bewegung fanden. [sighs] Ich hab ja gesagt dass ich, wir denn in Pankow wo ich wohnte, nicht ausgebombt waren und ich hab im Schreibtisch vom Papa altes Papier jefunden, ich hab noch heute so’ne Idee, immer Papier, die Blöcke aufzuheben. Jedenfalls hab ich die kleingeschnitten dass die Mädchen von zu Hause irgend’n Stiff oder irgendwas mitbrachten dass wir anjefangen haben, [unclear] zu schreiben, damals noch Deutsche Schrift. [pauses] Eine Episode, erste Klasse sogenannte Schreibschrift wurde damals eingeführt für die Kinder und ich habe an der Tafel, ich hatte ja Kreide [unclear] ausgebombt war, wir hatten ja Kreide in Pankow, habe ich versucht einen Elefanten an die Tafel zu malen und den Rüssel so einzuschwingen dass es E war und die Kinder mussten alle sich bewegen, und det E nachmachen undsoweiter. Die setzen sich wieder hin und in dem geht die Tür auf und der Rektor kommt rein und sagt: ‚Frau Denull, Sie sind hier im Parterre, Sie sind die erste die Glass kriegen‘. Es war ja alles kaputt, wir hatten ja Pappe und im Sommer war ja etwas frei dass Licht reinkam aber der hatte ‚n Glaser, das ist viel zu weit, brauch’s ja nicht zu erzählen, jedenfalls dreht der sich um, guckt an die Tafel und mach ein komisches Gesicht, ‚Frau Denull, Sie kommen in der großen Pause zu mir ins Amtszimmer‘. Ich denk, die Kinder die waren so anständig, die sind aufgestanden gleich als er da reinkam, guten Morgen und so. Die Kinder haben mir ja angenommen dass ich wat jemalt habe aber der [unclear] der wusste nicht wat an der Tafel war. Da können Sie sehen wie ich zeichnen kann, ich kann nicht zeichnen. Die Zeit vergeht regelleer, [pauses] ich bin ja mit der Klasse weiterjegangen, hatte eine sehr nette Kollegin die hatte die Parallelklasse erste Klasse. Wir haben gemeinsam Lehrspaziergänge jemacht aber 1947 war hier in Berlin im Herbst eine Epidämie mit Spinaler Kinderlähmung. Es, ich war erkältet aber es fehlten schon andere Lehrer und ich habe mich doch zur Schule geschleppt und der Rektor der hat mich nach Hause jeschickt und ich legte mich im Bett und meine Grossmutter, die ist dann zum Arzt jegangen und als er denn kam, da sagte er: ‘Bewegense mal den rechten Arm’. Ich konnte nicht, ich hab im Bett jelegen und konnte nichts bewegen, weder Beine noch Arme. Dann hat er des hochgehoben und hat wat ausgefüllt, dass ich ins Krankenhaus kam. Und ich muss meinem lieben Gott danken, der Herr war katholisch, der hat mich ins Berliner [unclear] Krankenhaus überwiesen. Das war auch ein Schock, es war ein schöner Tag, ich konnte ja nun nimmer sehen und so aber bewegen konnte ich mich nicht aber hören konnte ich ja und musste Haupthaus und wo die Krankenstation sind, ist über’m Hof, da wurde ich abgestellt auf’n Hof mit’ner Bahre und wurde gesagt, ja, die Frau die kommt nach Zimmer eins, im Parterre aber da muß es desinfiziert werden, da war Ruhr, da war’n Ruhrkranke, [unclear] es dauert Moment dass Sie, [unclear], Kontrolle dass sie keine Keime hat, und da wurde ich eingeliefert und gleich den nächsten Morgen wurde ich punktiert da haben sie mich umjedreht und aus’m Rückenmark das [unclear], da musste ich, habe Ich ja auch gemacht, ganz vierundzwanzig Stunden ganz steif liegen und ich habe denn was in Mund gekriegt, ich weiß nicht mehr jedenfalls ist es wieder zurückgegangen. Ich kann, die Muskeln die haben, dei Schwestern, waren ja Nonnen, die haben irgendwas gemacht, ich weiß, des weiß ich alles nicht mehr ganz jenau, jedenfalls konnte ich mich allmählich wieder bewegen. Auch nun was Lustiges, ich habe immer gerne jesungen, und ob det Wanderlieder waren oder die neusten Schlager oder Kirchenlieder, jedenfalls habe ich immer jesungen und da war ich für die Nonnen die evangelische Nachtigal. Ich wurde dann verlegt im ersten Stock im Krankenhaus, Dreibettzimmer, eine Frau war Richtung Fenster und in der Nische war’n Bett und ich war so [unclear]. Dann kam in des Bett der Nische habe ich drei mal erlebt dass die gestorben sind. Die haben des nicht überlebt. Aber ich war ja schon in Bewegung und lebte auf Infektionsstation, wenn Besuch war, denn konnte man sich verständigen undosweiter. Ich bin ja eigentlich Nichtraucher aber die Frau, die hat durch irgendwelches Sachen doch Zigaretten jehabt und Streichhölzer. Jedenfalls hat die mich jebeten ich möchte die Zigarette eher anstecken und ihr in den Mund stecken. Die war ja, auch fast gelähmt, ganz wenig konnte die sich bewegen aber ich wusste ja nicht wo ich mit dem rest hin sollte [laughs]. Das sind so Episoden. [pauses] Ich weiß nicht was ich Ihnen jetz noch sagen soll.
PS: Kann ich jetzt?
ID: Ich bin ja wieder jesund jeworden. Und wieder, ja. Was ich von dem Rektor jesagt hab, das man so Probestunden abhalten musste, da kriegt ich immer sehr gute Beurteilungen, [unclear] Bombenlehre, da hab ich auch sehr viel praktisch gemacht, mit den Kindern zur Post jegangen und was eben Praktisches nicht nur eben in der Schule aber [unclear] als ich vom Krankenhaus raus kam, als ich die Spinale vorbei hatte, da waren ja auch wieder Lektionen zu halten und da war ich immer schlecht, nichts habe ich richtig gemacht, ob nun eine Rechenstunde war oder Deutsch oder irgendwas, und da ist mein Schock gekommen dass ich die zweite Lehrerprüfung nicht bestanden habe. Ein, mein frührer Lehrer in Pankow ist in der Nachkriegszeit Dozent für die Junglehrer die in der Nachkriegszeit weitergebildet werden würden in Reinickendorf und der hat bewirkt dass ich nach Reinickendorf versetzt werde von, nach Berlin Wedding versetzt werde von Reinickendorf nach Wedding wo der der Schulrat kannte und der Schulrat der befürwortet hatte dass ich dahin kam. Und dort habe ich denn meine zweite Lehrerprüfung gemacht. [laughs] Das war ja immer noch, ich wohnte ja noch in Pankow und war ja Grenzgänger, den kennse den Ausdruck? [laughs] [pauses] Inzwischen habe ich ja mir ein Rad besorgt und bin den mit’m Rad zur Schule jefahren. Wollankstraße war Pankow die Grenze und denn war Wedding, hinter der Brücke, da fährt die U-Bahn Wollankstraße lang und hinter der Brücke währe ich doch vom Westdeutschen Zoll anjehalten, dass ich da Kaffee, den Schweden, aus Schweden kriege als bedürfte er in Osten, nein im Westen verkaufen will. Ich sag: ‘Können Sie mal nachgucken’. Das [unclear] jetzt so erlebt dass man nicht, dass der Ostpolizei dauernd kontrollierte, des war aber [unclear], das wollte ich ooch noch erzählen. Ich bin immerhin mit dem Rad gefahren, ich bin ja, als die S-Bahn ging dann auch bin ich mit der S-Bahn gefahren. Ich mußte von Pankow [unclear] in Bornholmerstraße umsteigen um nach Reinickendorf zur Schule zu kommen damals. Und hab in der Aktentasche so meine Sachen, wurde meistens nicht kontrolliert und eines Morgens werde ich kontrolliert. Bin in so’n Häuschen da rein, so’n Volkspolizist, packen Sie bitte alles aus, so ich, meine Bücher, des können Sie wieder einpacken, [pauses] und was ist das? Sie haben hier eine Waffe! Herr Kollege kommen Sie, wir müssen ein Protokoll anfertigen, hier ist die Frau, die hat eine Waffe! Ja, Waffe, was soll, soll ich Ihnen vormachen? Nee, nicht schiessen, nicht schiessen, werfense des nicht weg!. Und da hab ich ihm vorgemacht wie man eben den Ton kriegt dass er dat hier und der Kollege kam, dann sagte: ‘Sch, reiß den Protokoll kaputt, das ist ne Stimmgabel!’ Hat der, jedenfalls war der Protokoll war wieder weg. Ich konnte meinen Weg fortsetzen. Die Volkspolizei. Denn habe ich, die Mundpropaganda war, ein Antrag gestellt auf Übersiedlung nach Westberlin, als Herr Chruschtschow in Amerika war, das war Mundpropaganda, die sind nicht so streng bei der Volkspolizei und das habe ich dann jemacht mit Erfolg, dass ich denn am 28 November 1959 von Ostberlin nach Westberlin übersiedelt bin, mit [sighs] Klavier, Nähmaschine, vier Bücher, ne [unclear] Stehlampe, Oberbett, Unterbett, etwas Wäsche, des war was ich rüberbrachte. Ich hatte mich bemüht, bei einer, als Untermieter bei einer Zahnärztin, die hat einen Raum, wohnt aber woanders, da wollte ich unterkommen. Nun komm ich von West, von Ostberlin nach Westberlin mit den Möbelwagen, da war noch zwei anderen die nach Zehlendorf von Ostberlin gekommen sind auch dann, ja, aber die, weil die Zahärztin die hat sich [unclear] überlegt, die können Sie nicht aufnehmen, also, wie mir zumute war können Sie sich denken. Ich mit meinem wenigem Klimbim wo sollte ich nur auf der Straße, da hab ich angerufen beim wo ich in der Schule war in Wedding beim Rektor der möchte dem Hausmeister Bescheid sagen, das hat auch telefonisch jeklappt, so viele hatten ja war ja nicht Telefon so dass der Hausmeister den Filmraum aufmachen sollte, der den einzigen Sicherheitsschloss hat, die anderen Schulklassen hatten ja jewönliche Schlüssel und der Raum, da haben die Männer denn, des ist viel zu lang, das hat dann geklappt dass mein Klimbim da untergebracht war. Ja, nun, wo sollte ich denn nun hin? Da habe ich mich aufs Geratewohl in die Bahn, Bus jesetzt, Bus fuhr, nee, Bahn fuhr erst noch, ist egal, jedenfalls bei dem früheren Kollegen meines Vaters der ein Häuschen hatte in Lübars und die Leute die haben mich denn da aufjenommen. Bis ich bald einen Antrag stellte beim Berzirksamt Wedding [pause] nach einer eigenen Wohnung. Jetzt komm ich durcheinander, die Wohnung, [pauses] ich wohn, Moment mal, ach so, der Papierkrieg ist ja, der Bürokratische [unclear] wichtig, wo mann sich denn nur angemeldet, als Untermieter in der Schule. Ich wohnte ja so bei denen, wie war das denn? Denn habe ich durch Bekannte ‘ne Untermiete in Charlottenburg gekriegt, wa sich nicht den [unclear] und dort richtig gemeldet war. Und hier in Charlottenburg habe ich denn den Antrag jestellt nochmal auf, ehm, ne eigenen Wohnung. Und bei der Untermieterin, die war in Charlottenburg hier in der Kantstraße ne große Wohnung, die hatte noch zwei andere Untermieter. Wir waren einig wann wir kochten und wann nicht undsoweiter. Und det die Post war im Flur auf der Gardrobe und ich war ja nun zwischendurch bemüht, wenn ich was rumgehorcht hatte, wo ich überall mir selbst ne Wohnung suchen konnte, und am 31 Januar 1960 war Herr Lübcke der Bundespresident das erste Mal zu Besuch hier in Berlin und da hatten wir Schulfrei und da bin ich in Berlin, in Reinickendorf und Wedding, überall wo Reklame stand, Wohnungen, Wohnungen, Wohnungen, kleine Wohnungen und da hab ich mich auch bemüht an mehreren Stellen, war so üblich dass man mehrere versucht hat, mehrere Stellen zu nehmen, ich komme ziemlich spät nach Hause und finde einen blauen Brief auf der Garderobe und fasse ihn so an, das ist aber komisch, hat doch die Wirtin den Brief vorher vorsichtig aufgemacht und wieder zujeklebt. Die wusste vor mir dass mir eine Wohnung angeboten wurde vom Bezirksamt Charlottenburg, die wollte mich ja gerne behalten. Junge Beamtin, regelmäßig Miete, aber ich hab des denn sehr schnell gemacht dass ich mit Freundschaft [pauses] so viel Geld hatte, das hat’n Ausdruck, man musste Geld hinterlegen, dass ich diese Wohnung hier gekriegt habe, des war noch im Bau als ich mir das angeguckt habe, Entschuldigen Sie ich muß mal ganz schnell auf die Toilette. Und ich hab mich, jetzt hatte ich nur eine Couch hier, einen Tisch und mein Vater war inzwischen pensioniert in Hamburg, der war Postbeamter und kam wenn ich Ferien hatte nach Berlin. Und ich hatte, als ich hierher gezogen bin, mich anjemeldet bei der Fahrschule und [unclear] telefoniert ist bei der Verwandtschaft hab ich erzählt dass ich da hinging und mein Vater hat die ganze Verwandtschaft hinzugeredet die ist viel zu nervös, die kann nicht autofahren, dass ich bloß nicht ‘n Auto kaufe. Weihnachtsferien kommen, [pauses] und es war üblich daß ich mein Vater mit den Bus, der Busbahnhof war Stuttgarter Platz früher, heute ist er groß ausjebaut worden, damals war das Stuttgarter Platz. Ich hab dort geparkt und hol’ meinen Vater vom Stuttgarter Platz wie üblich, ja kurz, mein Vater [unclear] Straße, krumme Straße, kurzen Weg, da sag, nein, heute gehen wir bis zur Ecke, und dann mal richtig vorschriftsmäßig und da ist mein Vater, da wo ich mein Auto habe stehe, nun bleib mal bitte stehen, ich mache auf, du kannst dich hier hinsetzen. Ist es schon bezahlt? War die erste Frage von meinem Vater [laughs], der hat sich dran jewöhnt, und hat hinterher zwölf Mal die Sommerferien mit mir in Frankreich verbracht. Der hatte immer ausjearbeitet, die Franzosen haben auch Ferien, dass wir ausweichen können und immer schöne Straßen haben, der hat sich dran jewöhnt. Wat muß ich noch erzählen? Ja, es kommt, noch was wichtiges kommt noch.
PS: I will Sie, ich wollte Sie gerne eigentlich ein bisschen zurückbringen auf die, die Kriegszeit. Zum Beispiel, können Sie mir ein bisschen mehr von den Luftangriffen erinnern und
ID: Luft?
PS: Wie Sie die Luftangriffe erlebt haben.
ID: Wenn, es war sojenannte Vorwarnung [mimics the sound of the pre-raid warning], überall waren Sirenen auf’n Dach, dass die Leute sich fertig machten in Luftschutzkellern zu gehen. Ich hab es meistens bei nacht erlebt. Meine Angehörigen haben jesagt dass es auch viele Tagesangriffe waren. Dann [laughs] es war üblich dass man sich alles Mögliche übereinander zog, das war Zwiebelkleidung. Und im, im Luftschutzkeller [pauses] da war ein besonderes Erlebnis dass ich immer erzähl in Berlin war und meine Mutter in Koma war, dass sie ohnmächtig wurde war üblich dass ich ihr Zucker im Mund schob und dann kam sie wieder zu sich und einmal war schon Entwarnung, det Entwarnungslied, aber die blieb im Koma. Die Leute die bei uns im Haus wohnten, die sind alle schon in ihre Wohnungen gegangen nur die bei uns in der Etage wohnten, die Frau Kergel ist bei mir jeblieben, wir wussten ja nicht erstmal was wir machen sollten. Sie lag nur da, fast leblos und da sagt die Frau Kergel: ‘Ich geh rüber zu Luthers die den Garten da hatten’. Wo wir wohnten war ein zweistöckiges Haus aber so’n hoch [unclear] und hier waren, ehm, andere Häuser mit Gärten. [unclear], ich weiß wo die die Schubkarre haben, der, wo die Garage ist, da ist die Tür offen da hol ich die Schubkarre. Da haben wir meine Mutter in die Schubkarre jelegt, ick hatte noch’n Kissen [unclear] und dann sind wir, des ist, wen wir zu Fuß gehen, vielleicht sieben, acht Minuten, aber mit der Schubkarre war natürlich länger bis zum Pankower Krankenhaus, Galenusstraße und da haben wir die reingeschoben und da kam die Schwester und ein junger Arzt und die haben sie denn weitergenommen: ‘Wir kümmern uns um die Frau Denull’. Und wir warteten und musste ziemlich schnell wieder aufgewacht sein und die haben versucht, ihr, dass sie gehen kann. Und ich hab dann meine Mutter unter’n Arm genommen und Frau Kergel hat die Schubkarre genommen und nach Hause, dass wir nach Hause jelaufen sind. Da war ja, ja, das war denn nachher nochmal, in der selben Nacht war nochmal Alarm aber, das hat nicht lange jedauert, da ist nichts weiter passiert.
PS: Wo war das, ehm, in welchen Jahr war das?
ID: 1941 oder ’42.
PS: Sie erzählten mir dass Sie als Mädchen die Brandbomben entfernen mussten.
ID: Die? Die waren ungefähr so lang. [unclear] zwei geteilt, die waren ja, die lagen auf der Strasse so wie hier Bürgersteig ist, und wo wir wohnten war so’n Vorgarten, da hatten die Leute anjefangen Tomaten und sowas, Salat zu [unclear] und zwischen wo der Sand war, da hab ich das hingeschmissen, die anderen Leute, Stück weiter auch.
PS: Ehm, in welchen Jahr war das? Wie alt waren Sie?
ID: Na siebzehn, ja, klar, ’42 unjefähr muss det gewesen sein.
PS: Erinnern Sie sich, was Sie von denen dachten, die die Bomben abwarfen? Damals, als Sie ein kleines Mädchen waren. Haben Sie sich je Gedanken darüber gemacht?
ID: Nein, eigentlich wenig. Mann war so in seinen Kreis, Lebensmittelkarten, wo gib’s was, wo [unclear] an, was, [unclear]. [pauses] Brot vor allen Dinger, auch Fleischmarken, das war denn, nee, das in der Nachkriegszeit, doppelte Ration Tunfisch für Fleisch. Solange Krieg war, war die Versorgung für die Bevölkerung sicherjestellt, der, Hunger und sowas kam erst und ins besondere Knappheit erst in der Nachkriegszeit, hier in Berlin. Aber trotzdem versuchte man in der Nachkriegszeit hamstern zu gehen. Oder Wald roden. Aber det, nee, fragense mal jenauer noch vom Krieg, was wollense noch wissen?
PS: Also Sie stellten sich nicht zu viele Fragen wer das war der, der Sie bombardierte und, ehm, warum sie das machten?
ID: Deutschland Wirtschafts zu ruinieren, so viel hat man, na ja, so wurde propagiert.
PS; Sie hatten mir etwas von den Flüchtlingen aus Dresden erzählt.
ID: Ja.
PS: Wann war das? War das als Sie evakuiert waren?
ID: Nein, nein, die Bombennacht 13 Februar 1945. War die Bombennacht und danach sind die Dresdner Ausgebombten verteilt worden in der, es war ja eine große Stadt und da sind ja sehr viele Breslauer, Schlesier umgekommen, die von dort geflüchtet waren und in Dresden war ja eigentlich trotzdem in Deutschland, Köln, München, Berlin, Hannover, Hamburg vor allen Dingen, schon überall verbombt war, Dresden war so wie ausjenommen. Die Schlesier sind nach Dresden geflüchtet, unter denen auch sehr, da sind sehr viele auch umgekommen [unclear] in Bahnhofsnähe. Die von den, wo es so brannte, wo die flüchten konnten, die sind nach Draußen, auf die Dörfer.
PS: Aber das war damals als Sie in
ID: Als ich in, während ich in Reichstädt war.
PS: Reichstädt. Das war der erste Ort, wo Sie evakuiert waren.
ID: Das Dorf. Der zweite Ort.
PS: Der zweite Ort.
ID: Ostpreußen war der erste.
PS: Ostpreußen war der erste.
ID: Astpreißen. Astpreißen. [pauses] Meine schönste, ich war vierzig Jahre Lehrer. Das eine Jahr, Ostpreußen, ist das schönste Lehrerjahr in meinem Leben. Ostpreußen war schön, man hatte keine Disziplinschwierigkeiten, viel später mit Türken und so. Fragense mal genauer.
PS: Ehm, beschreiben Sie mir ein bisschen Ihre Rückkehr nach Berlin am Ende des Krieges.
ID: Das war wo, wo ich mit dem, erst mit dem Zug bis Riesa und von Riesa auf’m Dach mit dem Zug gefahren bin, das ist 1945, Anfang August jewesen.
PS: Aber wie haben Sie die Stadt aufgefunden? Also
ID: Wie, hier war alles kaputt. Es lag teilweise auch noch der Schutt von den Ruinen auf den Bürgersteigen. Man ging eher auf’n, auf’n Fahrdamm aber nicht überall. In Pankow weniger, in der Stadt hier, hier, Krumme Straße, überall, da lag das alles noch auf’m Bürgersteig. Auch hier, die Suhr Allee, wo in der Mitte denn nachher die Straßenbahn fuhr. Alles kaputt.
PS: Haben Sie sich damals gefragt, wie das alles, was das zu alles gebracht hat, ich meine, die Zerstörung Berlins und
ID: Ja, mein Umkreis war immer noch eng mit den Angehörigen, mit den Nachbarn. Man hat sich nicht so viel um so politische Ereignisse so gekümmert.
PS: Können Sie mir etwas von ihrem Vater erzählen. Sie hatten mir angedeutet, Ihr Vater war Gefangener in Frankreich.
ID: Nee.
PS: Nein?
ID: Nicht jefangen. Mein Vater konnte sehr gut französisch, der hat beim Ersten Weltkrieg dreiundreißig Monate in französischer Gefangenschaft und hat sehr gut, hat sich dafür interessiert, der konnte französisch, es hat kein, wenn wir verreist waren hat niemand gemerkt dass er kein Franzose ist, der sprach hervorragend französisch. 1936 im Frühjahr hat die Post geworben französischsprechende Beamte für das Olympiastadion zur Verfügung zu stellen die dort als Dolmetscher so tätig waren, und das hat mein Vater auch gemacht und am sonsten ist er Bahnpost gefahren, als ich klein, nach Hamburg in der Hauptsache. Und als es nun Krieg war, da hat mein Vater gesehen dass er noch in dem Alter war dass er eventuell als Soldat eingezogen werde könnte. Da hat er sich bemüht bei der Feldpost nach Frankreich zu kommen und das ist ihm gelungen. Mein Vater hat ein, ich hab ein schönes Bild davon, dass er das Feldpostamt, das Hauptfeldpostamt in Hamburg, in Paris aufjebaut hat, mit sehr sehr vielen französischen Frauen die zum Teil eben etwas Deutsch konnten und sonst eben des weiterleiten, die Post die kam in der Zentrale über Flugzeug nach Paris und wurde zu den anderen Soldaten weitergeschickt. Eine Episode, eine von den Damen haben, als mein Vater später mit mir in Paris spazieren gegangen sind, und ich eine, ehm, Ansichtskarte suchte, ich hinter mir hörte, Monsieur Denull, Monsieur Denull, Monsieur Denull! Mh, wer ist denn das? Eine von den Arbeiterinnen oder Telefonistinnen vom Feldpostamt Paris. Mein Vater war nur in Paris zunächst sehr sehr zufrieden, französischsprechender Deutscher in Zivil. Der hat sehr viel auch seinen Kollegen geholfen, die irgendwat ausjefressen hatten beim [unclear] dann wat zu erledigen und so. Aber es kam dann ein Befehl dass er ‘ne Uniform geschenkt bekommt. Nun war er in Paris als, hat aber immer noch sein Kontakt aufrecht erhalten wo er was besorgen konnte. Er hat dann ganz wenig versucht für meine Mutter Insulin zu besorgen konnte, Depotinsulin, aber das hat nicht viel, war ganz wenig aber er hatt, is dabei gekriegt worden dass er in Frankreich Wurst gekauft hat und nach Berlin jeschickt hat. Und wurde von Paris nach Nantes an ein anderes Feldpostamt versetzt. Und dort der Krieg ging weiter und da hatte, ja, und da hat die Deutsche Behörde ihre Postbeamten zurückbeordert zu, wie nennt man denn, Arbeitsurlaub in Berlin. Da ist mein Vater wenige Monate, ich weiß nicht wie viel, hier nochmal Bahnpost gefahren, überwiegend Hamburg. Und dann ist er aber wieder, von der Feldpost einjezogen, weil man in Nordeuropa neue Feldpostämter einrichten wollte und er war, schon ein beschriebenes Blatt, der konnte det, der machte det, wurde er nach Oulu und Rovaniemi versetzt, nach Finland. Und dort hat des, des [unclear], da ist er ja Sommer und Winter gewesen. Feldpostämter einrichten, das war seine Hauptgabe [?] und von, und als die Russen aber Finland okkupierten, ist er denn nach Böhmen versetzt worden zur Feldpost. Und im damaligen Tschechoslowakei bei Budweis ist er in Amerikanischer Gefangenschaft gekommen und war nicht lange.
PS: Und er ist dann zurückgekommen.
ID: Nach Berlin wollte er nicht. Berlin war Russisch besetzt. Da, die Männer, die kommen alle nach Sibirien. Dat hat er sich bemüht, bei einen, ist auch mit Erfolg, ist es gekrönt worden, ein Postbeamter der Gast, der eine kleine Landwirtschaft hat. Der, der hatt da den Postverkehr erst gemacht und die Briefe zu den Bauern jebracht und sowas alles gemacht. In dieser Zeit da hat es wieder anjefangen das etwas normaler wurde mit Schriftverkehr, da gab es ein Ministerialblatt, hat er mir erzählt, in dem stand, dass in Hamburg ein Postsparkassenamt eröffnet werden sollte im damaligen, das Deutsche Reich bestand aus Alten Reich und Österreich. Es gab vorher nur in Wien ein Postsparkassenamt. Als der Krieg zu Ende war, haben die Allierten Behörden und die Deutschen Behörden verabredet dass in Hamburg und in München je ein Postsparkassenamt eröffnet werden sollte, die [unclear] unjefähr die Mitte, was nach München gehört und was nach Hamburg gehört. Und da hat mein Vater das ergriffen dass er sich bemüht hat nach Hamburg das Postsparkassenamt mitzueröffnen. Dass es, als es dann fertig, am Gänsemarkt war das irgend eine Ruine die aufgebaut worden ist für des [unclear], da waren tausend Frauen und vier Männer [laughs]. Das ist dann, da ist mein Vater dann geblieben, das, das hat er mir immer gerne erzählt. Er war nur alleine, die ersten Jahre war keine Möglichkeit nach Berlin oder so zu Besuch zu kommen oder [unclear] wir hatten Verwandten im Westen, er hätte ja kommen können aber hat er nicht jemacht, dass er Weihnachten immer Schalterdienst gemacht hatte für die Postbeamten die Familie hatten. Dann war er bei der Auskunft Sportsparkassenamt [?].
PS: In Hamburg.
ID: In Hamburg. Und da ist er dann auch pensioniert worden.
PS: Sie hatten mir ganz kürzlich von den Verdunkelungs Maßnahmen erzählt, ganz am Anfang.
ID: Ja. Als der Krieg ausjebrochen war. Die, ehm, die Bevölkerung wurde aufgefordert überall wo Schulen mit Licht waren, Verdunkelungs zu machen. Viele haben sich einfach Vorhänge gemacht und Decken. Mein Vater hat denn, als er bei, doch, doch, da war er ja auch zuhause, Stangen genommen und Pappe. Meine Mutter musste dann so ein Rouleau machen, so. Aber, und als denn des mit dem [unclear] war, da, da haben wir ja alle Pappe jehabt, da habense Pappe vor die Fenster jemacht. Aber viele Leute haben [unclear] so wie Papa jemacht, da haben die Männer ein bisschen handwerklich geschickt waren, die haben [unclear] und wenn dann war ja immer so eingeteilt für mehrere Häuser war ein Luftschutzwart, der ging dann während Alarm war und guckte dass niemand irgendwo Licht hatte [laughs] denn wer da gekriegt worde, ist der dann bestraft worden.
PS: Und Sie suchten meistens Schutz vor den Luftangriffen in Luftschutzkellern?
ID: Ja, ich, davon müsste jemand mehr erzählen, der irgendwo in der Gegend wohnte, wo die Leute keinen Luftschutzkeller hatten, sondern inso’n Bunker gegangen sind. Es gab mehrere Bunker, der berühmteste ist hier am Jesundbrunnen wo da jetzt Ausstellungen sind und. Ich war auch mal in einem Bunker. Ich wollte verreisen, ja nach Reichstädt da [unclear] wollte ich, und da bin, ist Alarm jewesen und da mussten wir alle von der Straße weg in einen Bunker in Friederichshain, den hab ich kennejelernt.
PS: War da sehr viel Platz für sehr viele Leute, oder wie funktionierte das?
ID: Die, es war manchmal so voll dass diese nicht reingelassen haben, dass die auf der Straße kambiert [?] haben. Ganz schlimm muß das jewesen sein. Aber wenn, wenn Sie mich fragen, ich war nur nicht in der Gegend.
PS: Erinnern Sie sich als Hitler an die Macht kam?
ID: Da war ich im Krankenhaus, da hab ich im Krankehaus jelegen. Davon kann ich nichts sagen.
PS: Sie erinnern sich nicht and die Stimmung von damals? Also wie die Leute das so erlebt haben?
ID: Kann ich nichts von sagen, ich war acht Jahre lang, alt, kann ich nicht sagen.
PS: Sie haben das nicht so mitbekommen?
ID: Nein. Aber allgemein kann ich doch so berichten, wenn später so große Aufmärsche waren und ich meine Freundin so abgeholt habe. Da wo wir hingegangen sind. Die Eltern, ich kenne keinen von den Bekannten von meinen Schulfreunden und die Eltern, niemand war für Hitler, niemand. Man redete und man versuchte nichts anzu [unclear] öffentlich zu machen aber untereinander war keiner für Hitler. Wirklich, als ich so zehn, twölf, dreizehn Jahre war, die Leute sprachen alle gegen Hitler aber nur in der Wohnung. Offentlich ging man hin und war, grüßte mit Heil Hitler.
PS: Erinnern Sie sich an den Tag, an dem der Krieg zu Ende war? Also, der Tag der Kapitulation?
ID: Da war ich ja in Reichstädt, ja im [unclear] wo wir da gewohnt haben, mit den Leuten, Gott sei dank ist der Bombenkrieg in Berlin zu Ende. Wenn man von den eigenen Leuten gesprochen hat dass in Köln überall ooch zu Ende war [gasps] redete man nicht so. Von den eigenen, wer da getroffen war, keine Bomben mehr vielen und so. Und dass im Schloss die Leute, die Leute die da in Reichstädt im Schloss wohnten die sind, dass die nach dem Westen getürmt sind. [pauses] Der Lehrer der ja noch, als ich da in Reichstädt in der Schule war, die anderen Fächer da unterrichtete, der wurde entlassen, der wurde dann als Waldarbeiter den [unclear] worden von Russen.
PS: Noch eine Frage zu Ihrer Familie. Aus wie vielen Mitgliedern bestand Ihre Familie?
ID: Vater, Mutter, Kind. [laughs]
PS: Haben Sie noch Erinnerungen an Ihre Onklen, Tanten, ehm?
ID: Och ja.
PS: Großeltern?
ID: Besonderns wie wir zusammen gewohnt haben in Pankow mit der Großmutter und der anderen Tante die da ooch abgemeldet ist. Mama’s Schwester [gasps] Es gibt auch Sachen die ich gar nicht richtig begriffen habe damals. Meine Mutter wurde von, als meine Tante auch evakuiert war, von der Firma nach Kattowitz, die war alleine und da war jemand von der Partei da und hat jefragt ob die viele Kinder hatte. Ja, sie hatte zwölf Kinder. Ja, dann kriegen Sie ja das Grosse Mutter Kreuz. Also, die hat sich nichts dabei jedacht dass sie dat gesagt hat aber als meine Tante nach Hause kam und Oma nun erzählte wie sie, um Gottes willen, dass sie bei Hitler Großmutter, da hast du ja dem richtiges erzählt. Dass die Oma des jemacht hat, die hat sie dabei nichts jedacht als sie jefragt worden ist. Aber drei sind noch jeleben, meine Mutter [unclear], Bruno, ist der andere Sohn von Oma, also der Bruder von [unclear] und Hertha die mit ihr jewohnt hat und die denn noch viel jesorgt hat dass je da zusammen jelebt haben und wir zusammen auch jelebt haben. Eine sehr gutmütige, eine gutmütige Tante. Ich war frech manchmal zu ihr [laughs]. Das ist die nährere Verwandtschaft. Die Generation von meiner Mutter, dieser Teil ihrer Schwester Hertha, die hatten viele Kusinen. Mein Großvater, der schon ’35 jestorben ist, mütterlicherseits, ehm, der hatte viele Jeschwister und die hatten die vielen Kinder und vor allen Dingen die Mädchen unter einander, die trafen sich öfter und die haben dann erzählt dass mich, als ich Baby war, sich drum jerissen hatten, mich spazieren zu fahren ,weil meine Mutter ja schon so krank war. Na ja.
PS: Ich wollte Sie ein Moment fragen, Sie hatten mir etwas von den Bund Deutscher Mädel erzählt.
ID: Ja, BDM.
PS: Ja.
ID: Die, ab vierzehn Jahre waren die Mädchen organisiert im Bund Deutscher Mädchen und die jüngeren waren Jung Mädel.
PS: Und Sie sind aber nicht zum BDM gekommen.
ID: Ich wohl, habe mich durchgesetzt, da wollte ich nicht hin. Die haben so viel Parteiabende jehabt und Schulungsabende für Hitler und Jenossen.
PS: Also waren Ihre Eltern sehr dagegen?
ID: Ja, sehr. Papa war bei der, ich war bei der, ich weiß nicht wie weit die über Deutschland ganz Bescheid wissen, die Bekennende Kirche, das ist auch so’ne Sache. Das bezahlte man eben die Kirchensteuer ging vom Gehalt ab und Bekennende Kirche wurde dann jeschickt, da gehste rein, das ist in Pankow jewesen die Filiale wo Bekennende Kirche war, und nebenan war ein Kino und da gehste rein und du gehst hinten raus wo der Kinoausgang ist, da gehste raus. Das ist, das ist eine Sache was ich jelernt habe, rein gehen und woanders rausgehen, nicht bei Juden kaufen. Meine Mutter hat mir, hat viel jenäht, meine, na ja, ist viel zu weit, und Druckknöpfe und Gummiband das konnte man eben, kaufte meine Mutter früher immer beim Juden und ich wurde dann, als ich größer war, in die Schönhauser Allee geschickt, da gehste rein und kaufst drei Päckchen Gummiband, ich brauch des für und aber sag der Frau die soll dich woanders raus lassen. Ich bin nicht den Laden beim Juden rausgegangen sondern durch den Hauseingang.
PS: Kommen Ihnen irgendnoch andere Erinnerungen and die, ehm, an die Bombardierungen? Ist Ihnen etwas eingefallen das Sie mir vielleicht noch erzählen möchten über die Zeit der Bombardierungen?
ID: Na ja, dass durch die Bombardierungen sind auch die Bahnlinien, ehm, getroffen gewesen und die Züge fuhren ja nicht denn so, des war ja bombardiert.
PS: Und, wenn Sie jetzt zurückdenken an die Zeit, wie sehen Sie die, welche Erinnerungen haben Sie von den Bombardierungen von damals?
ID: Ich [unclear] auch wenn ich bei Bekannten bin, dass bloß nicht wieder sowas vorkommt, dass die Menschen immer versuchen anders zu leben, warum ist es wieder, da war, als der Krieg zu Ende war, der erste September Weltfriedenstag, aber ich weiß nicht wie lange. Es ist ja immer wieder Krieg gewesen, irgendwo auf der Welt ist immer wieder Krieg, furchtbar. Wenn die mich fragen, was war, das es sowas nie wieder vorkommt hier. Ich habe im Bekanntenkreis hier wohl Leute, [unclear] die hab ich als junge Leute kennengelernt aber die fragen mich immer wieder auch was früher war. Gibt andere wenn ich irgendwo höre, davon wollen wir nicht wissen.
PS: Aber haben Sie irgendeine Meinung über, von denen die Sie, die die Bomben?
ID: Die betroffen waren?
PS: Ja. Nein, die die Bomben abgelöst haben, also die
ID: [unclear]
PS: Die Engländer und die Amerikaner, also.
ID: Die Deutschen haben auch in England abgeworfen! In Canterbury zum Beispiel, in Pankow in der Kirche, in der Nachkriegszeit oder wann hatte det anjefangen? Also im Eingang, Sie kennen ja Kirchen, ehe es im richtigen Kirchenraum geht, da ist, was früher war weiß ich nicht und jefähr zweimal so groß wie [unclear] war ein Holzbrett und da wurden immer Nägel [unclear], eine Spende für Canterbury.
PS: Canterbury?
ID: Ja, in Pankow von der Kirchenjemeinde wurden Spenden jesammelt für Canterbury. Und immer wer was gespendet hatte, der sollte da einen Nagel reinmachen.
PS: Nicht Coventry?
ID: Coventry, mann, mann! [laughs]
PS: So, ich würde jetzt aufhören, das war alles sehr interssant was Sie mir erzählt haben.
ID: Ja, aber ich glaube, das wichtigste fehlt Ihnen aber ich kann nur von meinem Standpunkt, nicht weiter was weg in Brandenburg oder Potsdam war. Ja, meine Studienkameradin ist in Potsdam umjekommen bei einem Luftangriff, ja.
PS: Ah. Hat man sie, können Sie mir etwas ein bisschen mehr darüber erzählen? Also, es war eine Klassenkameradin von Ihnen?
ID: Ja, von der Lehrerbildungsanstalt.
PS: Ah.
ID: Die ist eine der ersten die gestorben ist und zwar in Potsdam.
PS: Erinnern Sie sich wann das passiert ist?
ID: April ’45. Ganz zum Schluss, wie man nur sagt, der Krieg hat ’39 anjefangen und ’45 war er zu Ende.
Ps: Erinnern Sie sich an die Umstände? Also, Sie haben das nur so erfahren?
ID: Die ist, die Bomben ist im Keller, da wo sie eigentlich Schutz gesucht haben, dort ist die Bombe reinjekommen. Wo meine Großmutter ausgebombt ist, in der Treskowstraße im Prenzlauer Berg. [sighs] Wie die Alten, ja so noch weiter [unclear], hier in der Straße sind denn waren ja auch wo Oma ausgebombt ist. Und im Keller war ein Durchbruch zum Nebenkeller. Bei ihrem Keller konnten sie nicht mehr raus, das war alles schon verschüttet, kaputt und brandte aber durch den Nebenkeller haben sie sich jerettet und meine Großmutter hatte nur ein Bein. Die anderen habe ihr jeholfen durch den Keller da durchzukommen mit einem kleinen Köfferchen wo Papiere drin waren. Des ist was ich da jesagt hab das se den für ihrer Schwester da jekommen ist, die nicht ausjebombt war. Anjebombt wurde das Haus war wohl kaputt aber die konnten wieder des bisschen renovieren dasse leben konnten.
PS: So, ich würde jetzt wirklich Schluss machen. Alles das was Sie mir erzählt haben.
ID: Ich hoffe, dass Sie nicht zu unzufrieden sind.
PS: Nein, nein, ganz und gar nicht. Ganz und gar nicht, wirklich.
ID: Kann ich Ihnen jetzt was anbieten?
PS: [laughs] Einfach ein Glass Wasser. Aber erstmal möchte
ID: Saft?
PS: Danke, aber ich möchte mich erstmal sehr recht herzlich bei Ihnen bedanken auch im Namen des Archivs und ich würde sagen ich mache jetzt.
ID: Wenn ich etwas nützen kann, gerne. Aber ich glaube es ist immer nicht, die Hauptsachen dass die fehlen, dass ich des nicht kann, auch das Wesentliche wie Sie’s gerade haben möchten zu kommen.
PS: Sie haben mir sehr viele interessante Sachen erzählt. Ich bin Ihnen recht herzlich dankbar dafür. Ja, und jetzt glaub ich, kann ich Schluss machen. Noch vielen Dank.
ID: Ich danke auch.
PS: Danke.
anti-Semitism
bombing
bombing of Dresden (13 - 15 February 1945)
civil defence
evacuation
faith
home front
incendiary device
shelter
target indicator
-
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07d4d1b10ba1360e6db9e71f8d917a73
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Petenati, Jutta
Description
An account of the resource
The collection consists of one oral history interview with Jutta Petenati, who recollects her wartime experiences in Berlin.
The collection has been cataloged by IBCC Digital Archive staff.
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2018-06-22
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Petenati, J
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
IBCC Digital Archive
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
PS: Dieses Interview wir für das International Bomber Command Digital Archive geführt. Der Interviewer ist Peter Schulze, die Befragte ist Frau Jutta Petenati. Wir sind in Berlin, im Amfortasweg 13 und heute ist der 22 Juni 2018. Wir danken Frau Petenati sehr herzlich dass sie bereit ist, sich interviewen zu lassen. Ihr Interview wir Teil des International Bomber Command Digital Archive, das an der Universität Lincoln angesiedelt und vom Heritage Lottery Fund unterstützt wird. Also, Frau Petenati, können Sie mir erstmahl erzählen wo Sie geboren sind, wann und mir ein bisschen von Ihren ältesten Erinnerungen erzählen, die Sie haben.
JP: Geboren bin ich natürlich in Berlin, aber ich bin, und das ist schon bei mir auch schwierig, bei mir ist vieles schwierig, ich wäre zu Hause, meine, da meine Eltern aus Pommern kamen, sind Sie in der Ackerstraße wo die Zeitzeugenbörse jetzt war, Sie haben sicher, kennen den Namen, da haben wir, da haben meine Mutter, mein Vater haben da eine kleine, ein Zimmer, war nur ein Zimmer, da wäre ich eigentlich, wäre ich geboren werden, aber der Arzt, der Frauenarzt in, dort in der Ackerstraße praktisch, der hat meine Mutter nach Steglitz geschickt, weil hier ein Krankenhaus ist, wo das besser für die Entbindung ginge. Und da ist meine Mutter, dann mit mir im Bauch noch, also schwanger, hier nach Steglitz gefahren und in diesem Krankenhaus, das ist jetzt geschlossen, ja? Ich habe das alles recherchiert, hab’s mir auch vorher angesehen und dieses Krankenhaus ist lange schon geschlossen, da bin ich geboren, also ich bin in Steglitz geboren, aber nur weil ich gerade mit meiner Mutter hier war, es ist so schwer zu erklären für jemandem der nicht, dem ich‘s erklären soll. Und dann kam der Pfarrer aus der Evangelischen Kirche, meine Mutter ist sehr mit der Kirche verbunden gewesen, bis zu ihrem Tode und hat, ist sogar in das Krankenhaus gekommen und hat mich getauft, denn meine Mutter hatte zuhaus in Stadtmitte, in der Ackerstraße, da wo meine Eltern wohnten, keine Möglichkeit in einem Zimmer ne Taufparty zu machen, det ging gar nicht damals, aber ich bin getauft worden auch in dem Krankenhaus. Det ist alles für mich sehr schwer aber meine Mutter ist dann als Baby mit mir, eh, ich habe da noch ein Photo, nee, det ist jetzt hier nicht dabei, hat meine Mutter denn einen Kinderwagen gekauft, nicht, und hat mich da als Baby da reingepackt und dann ist sie mit mir, in, ehm, bei sich spazierengefahren, um das Schloss, wir, bei uns wird jetzt das Schloss, dat liebe ich, und wenn ick bloß wieder hin kann, in unser Berliner Schloss, ich weiß nicht ob sie Unter den Linden das neue gebaute Schloss, deshalb verfolge ich, meine Mutter hat mir immer erzählt, sie ist mit mir im Kinderwagen um dat Schloss, wo es ja stand, das war ja noch in der Nazi-Zeit, rumspazieren gefahren und hat gesagt: ‚Ah, so ein schönes, grosses Schloss!‘. In Pommern waren nur so kleine Güter, nicht, also das habe ich schon als Baby erlebt. Und dann, ehm, ja dann ging es jetzt weiter nachher bin ich noch in der Ackerstraße in die erste Klasse mit sechs Jahren eingeschult worden und war dann, ehm, eben wieder immer in Steglitz. Bis dann diese, ja, es dann weiterging. Und, ehm, meine Mutter wollte aber aus der Ackerstraße raus, die hatte keinen guten Ruf, meinten meine Eltern, nicht, und da haben sie eine Wohnung, die hatte wenigstens noch ein kleines Zimmer, an der Chausseestraße, wo die Friedrichstraße ist, wo Bahnhof-Zoo da auch, Anhalter-Bahnhof da und der Zoo Bahnhof da, da, ehm, hatte meine Mutter dann eine kleine Wohnung ergattert, wo wir dann wohnten, wo ich auch die ganzen Jahre wohnte, dort, in Stadtmitte nannte sich das damals ja, weil es ja in der Mitte genau war, nicht, und ja, und da haben wir den die Nazi-Zeit noch erlebt und, und natürlich auch den Krieg, nicht, denn, ehm, jetzt kürzer gesagt, ich bin dann immer weiter zur Schule gegangen, weil ich leider von der sogenannten, später nannte man das Stasi, das ist eine Abkürzung für eine Russische Bezeichnung, eine Sowjetische-Russische, lange die ich nicht aussprechen kann. Ich habe sie nur mal geschreiben gesehen, die wird ja immer auch heute noch, Stasi denn später genannt. Und die hat, die hat, ehm, damals dann, für uns weil’s ja noch die Nazi-Zeit war, weil Hitler ja kam, von, ja leider, leider Hitler kam, ehm, und da hat’s, ehm, da hat mein Vater ja so dagegen gestimmt aber konnte mein Vater nichts machen, denn er ist in Frankreich gefangen genommen als er im Krieg, als Siebzehnjähriger freiwillig in Krieg gezogen, wo viele Junge Leute det jemacht haben, ehm, weilse meinten, sie müssten dem Vaterland helfen und da ist er denn gefangen genommen, weil er ist nicht fertig gekriegt hat, auf’n Franzosen in den Schützengräben zu schiessen und ist dann gefangen genommen, war noch mehrere Wochen im Kranken, ehm, eingesperrt und ist dann wieder nach Berlin gekommen, nicht? Und ist dann in Berlin und hat dann eine, eine Arbeit auch gekriegt und hat dann inzwischen gemerkt was für‘n Unsinn das war, dass die Jungen Leute sich gegenseitig so Krieg machen mussten, nicht? Und mit Franzosen und Deutsche dann und, ehm, aber dann, als dann, ehm ‚45 da die Russen das Sagen hatten für uns in Stadtmitte, denn das war ja dann schon eingeteilt, weil denn die Engländer, die Amerikaner und die Franzosen dann kamen,aber vorher waren schon die Sowjets da, die erste Vierteljahr ‚45 gleich und das schon vorher so furchtbar schwierig weil, bei dem Bombenkrieg, der begann in der Hauptsache so schon ‚53 denn da, ehm, nicht ‚53, uhm, ‚43, da hat, ehm, da war es so, dass das Haus, was ich vorher schon leider anfing, getroffen wurde und aber nicht gesprengt worden sondern es waren Rauchbomben sind runter, ich habe selbst Rauchbomben mit vom Dachboden geholt und runtergeworfen also die sind in das Haus gegangen und das Haus ist von oben bis unten ausgebrannt, alle Wohnungen waren kaputt, durch die Rauch, ehm, durch die Feuer, eben die Feuer gemacht haben. Polizei war sogar ‚43 noch mal da, wurde gerufen weil det brannte, det Haus, unser Vorderhaus aber es war damit nüscht zu machen mit Wasser und wir hatten auch schon nicht mehr so viel Wasser. Die Pumpe war schon leer, wir hatten auf den Straßen Pumpen die man denn wo man Wasser rauskriegte aber die eine war schon, gab’s kein Wasser mehr und ehm, da war’s eben so schlimm dass dann die, ehm, die, das Haus so als Ruine stehenblieb. Wir wohnten hinten, wir sind, unser Haus ist noch stehengeblieben, kriegte aber einen, das Wort kennen Sie vielleicht nicht, Blindgänger rein, kennen Sie den Namen?
PS: Ja, ja.
JP: Ja, der hat, ist nicht explodiert, da haben die Nazis Gefangene von sich, Leute, ich habe mir det mal angesehen, wir mussten aus‘m Haus raus und mussten den ganzen Tag in einer Turnschule bleiben aber ich bin nochmal zurück zu unserer Straße gegangen, da war zwar abjesperrt aber ich war immer ein bisschen neugierig weil ich wissen wollte, wat nun da los is, und hab gesehen, dass diese noch in ihren Kitteln, dass die Nazis diese reingeschickt haben, die sollten, hab ich dann später erfahren erst, entsorgt werden, also die wären in die Luft jeflogen, war denen ja egal den Nazis, ehm, aber des ist nicht explodiert, es ist ein Blindgänger geblieben und det war direkt bei uns, wo der kleine Luftschutzkeller angelegt war, aber da war nur ein [emphasizes] Sandsack ins Fenster gelegt ooch bei den anderen, ehm, also wenn der explodiert wäre, wären wir in dem kleenen Keller alle weg gewesen, alle tot gewesen. Und da hat mein Vater gesagt, das geht nicht, dass wir hier blieben bei den nächsten Angriffen und hat dann gesagt, wir gehen woanders hin und er hat sich dann informiert, na ja, das war nun die Ruine vorne und man kriegte’n Schlüssel dass man durch die, die war denn, ehm, ruhig geworden aber stand noch da, man konnte durch um nach hinten reinzugehen und, ehm, da war das eben so schlimm schon als, ehm, ja, weil denn ja dann kam der Krieg dann, ja, begann der ja mit Polen ‚39 und Hitler hat denn ja gesagt, die hätten anjefangen und nicht, det hin und her, haben Sie vielleich mitgekriegt und dann ging es ja weiter, Hitler wollte ja die ganze Welt an sich bringen, nicht? Und, ehm, und da hab ich wohl gewagt zu sagen, weil ich in der Schule, ich bin in die Schule weitergegangen, ins Seminar weil ich nicht, kein Abitur hatte, wollte ich eigentlich Abitur machen aber dat ging damals ‚45 gar nicht, ehm, und da hab ich gesagt, na ja, versuch ich Kindergärnterin, ist auch mit Kindern zu tun. Und da war ich in der Schule und, ehm, jedenfalls war meine Mutter hat zuhause alles jemacht, die hat nicht, war nicht berufstätig, waren ja früher waren die älteren Frauen meistens zu Hause, nicht? Bei den Kindern, wenn’se hatten, meine, ich hab da noch zwei Brüder gekriegt die nach mir kamen aber es war eben, ehm, diese Jahre schon sehr schlimm aber wir haben wenigstens, wir haben Essenskarten gekriegt haben die Nazis ooch noch gegeben aber da kriechte man immer, ein janz bisschen nur, wir haben, die haben, die Frauen haben gesagt, zum Leben nüscht gut und zum Sterben das bisschen Essen wat da uff den Marken gab. Das war noch der Nazi-Krieg und dann war ja, denn könnten wir jetzt sprechen von, ehm, von nochmal vom, vom Bombenkrieg wat ich da, dann, weil ich Kindergärnterin werden wollte habe ich meiner Nachbarin immer geholfen, die hatte vier kleine Kinder die noch nicht zur Schule gingen, ihr Mann war auch im Felde, also eingezogen und da ist sie immer nicht fertig geworden, wenn die Alarm kamen für die Flugzeuge die sich Berlin näherten dann hat sie det nicht jeschafft mit den vier Kinder, da habe ich mir zwei Kinder, det Baby hab ick immer jenommen, hab ihr noch geholfen, noch zu wickeln schnell und die an der Hand ein kleines Kind und da hat mein Vater inzwischen gesagt, also, wir gehen, wenn Voralarm kommt, werden wir sofort in die S-Bahn nach unten gehen, da im Tunnel, der Tunnel ist ganz unten, der war neu gebaut am, damals hieß es Stettiner Bahnhof, der Stettiner, jetzt heißt, die Stelle heißt jetzt Nordbahhof. Und da werden wir hingehen und, ehm, da hatte ich nun meiner Nachbarin geholfen die, ehm, aber ich bin da schon in der Zeit von der Stasi beobachtet worden weil die mitgekriegt haben, weil ich in der Schule sollte ich, mein Vater hat nicht so viel verdient und hat da in der Schule einen kleinen Zuschuss zu dem Schulgeld gekriegt und da hat die mich gefragt, ob ich in der FDJ wäre, det ist die Freie Deutsche Jugend gewesen, ich weiss nicht, ob Sie den Namen kennen, Freie, FDJ hießen bei uns, ob ich drin wäre, da habe ich jesagt, nein, und da sagte, ich musste, ich hatte schon die Ahnung, wenn ich jetzt offen spreche, det ist ne Kommunistin den det waren ja von den Russen in Stadtmitte die ersten Monate, haben die nur das Sagen gehabt, ja für uns alle, nicht? Die Sowjets. Ich hab immer gesagt, nicht nur Russen, ich hab Sowjets-Russen, waren ja Sowjets-Russen, ehm, und da hab ich, weil ick mich so, ich meine, die hat mir eine Rechnung, er hat mir für die Kasse [unclear], wenn Sie mir nachweisen, dass ich in die FDJ gehe, also unbedingt, Zwang schon, gleich einen Zwang auf mich, ehm, da habe ich gedacht, im Stillen, nee, also du lässt dich nicht gleich wieder zwingen, jetzt wo der Krieg gerade ausgegangen ist und da bin ich mit dem Zettel rausjegangen, vor die Tür, hab’s halb zerrissen, bin nach Hause gefahren und mein Vater kam von Dienst und da habe ich gesagt, Papa, so war des, also ich muss sehen, wie ich ein bisschen Taschengeld dazu kriege zum Betreuen der Kinder da, die drei die ich da von Nachbarn noch betreut habe, der sagte, da hast Du richtig jemacht, Mädchen haste richtig gemacht, ich sage, ich lass mich doch nicht gleich wieder, ehm, wieder einbinden und da habe ich gesagt, nein, das mach ich nicht. Es ist ja wie bei den Nazis, hab ich gewagt zu sagen, das haben die mitgekriegt und daraufhin bin ich denn ganz abgeholt worden und in den GPU Keller gesperrt worden. Wiel ich das gesagt habe, ja, wiel ich gesagt hab, also hier det ist ja jetzt, also, wie bei den Nazis, das war schon waren denn die Nazis, ehm, die Nazis, nicht mehr die Nazis sondern es war ja nun schon die DDR mit ihren schlimmen Sachen im Hintergrund, wat keen Mensch wusste, keiner kannte hier und da war das dann dass ich immer nach, hier nach Steglitz gefahren bin mit der S-Bahn als man noch konnte dann, nicht in Berlin noch die vier Sektoren den wurden, gestellt wurden und da habe, ehm, ich dann meinen Mann später kennengelernt, der hier auch in Steglitz geboren wurde, nicht. Wo wir, ich ja nur den eenen Tag auch jeboren wurde. Und der hat dann das auch gemerkt, dass ich immer beobachtet würde, denn die Frau, die Nachbarin der ich immer mit den Kindern geholfen hatte, ich hab, bin mit meinen Vater, während schon die Bomben fielen, wir haben det jesehen, ich hab die Bomben gesehen, zwar noch leuchten, aufleuchten der da kommen, denn der, der immer aufjepasst hat draussen war der, nah, Ich wees jetzt nicht die Namen alle so jenau, der hat gesagt, Mädchen, du kannst jetzt hier nicht rennen, ich sage, ich muss, ich hab nur die meine, Frau Müller hiess die meine Nachbarin, die Kinder mit fertig gemacht und da hatte ich die zwei und da hab ich mal gedacht, also jetzt wirst du später, weil ick gedacht habe wenn ick mal heirate wollte ick mehrere Kinder haben, habe ick mir so vorjestellt aber als ich die zwei Kinder hatte nur und gerannt bin um, ehm, mich mit, zu meinen Eltern, die sind schon vorher jerannt in die Gleise da unterhalb vom Bahnhof, da hab ich gedacht, nee, also du wirst dir am höchsten nur zwei Kinder anschaffen nicht wieder mehrere, du, hier, wenn wieder ein Krieg kommt denn habe ich hier dat eene Kind hier, dat andere an der Hand, hab ick so im Stillen jedacht, keiner versteht det meine Überlegung aber die kam einfach nicht durch aber, aber wir bei uns ist, da unten ist nie eine Bombe gekommen, die sind rings herum, die Haüser gingen kaputt, unser Haus war nun schon länger kaputt vorne und da wollte mich dann ein Offizier ooch noch vergewaltigen, ein Russischer Offizier, ich hab mich so geweigert und habe noch nie in meinem Leben sowas gemacht. Ich habe, dem sind seine Papiere, war sogar’n Offizier war, der kam, ich war bei meinen Nachbarn, bei anderen Nachbarn wo ich die Kinder auch betreut habe und kriegt da immer so ein bisschen Taschengeld da haben die, die haben mich immer bis zur Tür der Ruine von unserem Haus gebracht, aber über’m Hof bin ich ja alleine jegangen weil ich ja’n Schlüssel hatte, und das wollt ich gerade und da tauchte eben da Mann mit Leder, diese Offiziere hatten so Ledermäntel an bis unten so hin, auch di anderen Hüte, die einfachen Russen hatten die Hüte so, diese einfachen und der hatte einen richtigen Käppi oder so wie det denn nur heisst, und der kam auf mich zu im Dunklen, da war ja kein Licht und der tastete mich an, ich dachte, Ohgottogott, wat denn nu? Wer ist das und so und, ehm, da merkte ich dass das wat der wollte, nicht. Und da hab ich denn ich versucht, ich bin alt, ich habe versucht Russisch zu sprechen, ich alt, also, nee, weil er meine Brust gefühlt hat, du nicht alt, sagte er denn, und wollte mich vergewaltigen. Und ich hatte schon den grossen Schlüssel von der Ruine in der Hand, um durch zu meinen Eltern zu laufen [coughs], aber ich hatte nur und in dem Moment ist dem Offizier, Papiere sind ihm runtergefallen und er bückte sich seine, er hat hier so Taschen drin gehabt, er bückte sich und er kam denn so ein bisschen höher, da hab ich meine Knie, ein Knie genommen und hab den dahin getreten, wo man keen Mann treten würde aber mit aller Gewalt, da habe ich jedacht, es ist det alles egal also und habe den so getreten aber der hatte im Moment so‘nn Schreck, ja, gekriegt dass er, dass ich noch geschaft hab den Schlüssel zu drehen und bin über’n Hof gerannt, hab meinen Vater gerufen der, und wir wohnten da im sechsten, eh, vierten Stockwerk oben noch, nicht, und der ist denn immer hinter mir noch herjerannt, aber hat’s nicht mehr geschaft, mein Vater hat des dann gehört, gemerkt, mein Rufen, mein Geschreie und er hat gesagt, der kommt hier nüscht mehr rein und wenn er rein kommt, wenn er es schafft, denn schlag ich ihn tot, ja, mein Vater war ooch so, nicht? und der hat’s nüscht geschaft, der hat nun überall jekloft der Offizier, ehm, wollten sie mich immer haben, und noch später haben denn irgendwelche, andere Offiziere, das waren einfache Russische Soldaten, die wollten meine Freundin und mich mal abholen und da haben wir eine ganze Nacht bei Verwandten unter’m Bett gelegen die janze Nacht, nicht, weil wir alle Angst hatten, weil sie die Adresse gehört hatten wo wir wohnten, meine Eltern und ich, ja, war. Na ja das war dann auch durch, durch die Bombengeschichte und wenn wir dass wir nicht, meine Freundin und ich nicht explodiert waren mit den Bomben, mit den, denn wir haben denn am Bahnhof Wasser holen müssen weil’s kein Wasser mehr gab, zu Essen gab’s ja sowieso nüscht aber auch keen Wasser mehr bei uns dort, da sind wir über so Haufen geklettert und das waren aufgeworfene Bombenkrater, richtig kleine, aber die waren eben nicht explodiert, hätten, wären die explodiert als wir da rübertanzten, meine Freundin und ich wären wir in die Luft jejangen, nicht? So war so vieles, ehm, ich hatte noch’ne andere, beinahe ooch‘ne Vergewaltigung aber später, will ich jetzt gar nicht erzählen, als ich bei anderen Freunden, die ich suchen wollte ob’s den einigermassen geht weil ich gehört habe dass die Mutter beim Wasserholen an der Pumpe erschossen geworden ist, und tot ist, nicht, da, wollte ich mich um die Mädchen kümmern aber das war, hing ja alles mit den Bomben, mit dem Krieg und mit dem Feuer und, [pauses] ja, und so ging’s dann weiter, ich, des, die Russen haben denn mit ihren Träcker, die haben dann, sind ja denn, die waren um Berlin, haben ja Berlin eingenommen von allen Seiten, nicht? Waren in den anderen Bezirken, da wo Sie jetzt, wo Sie sagten wo Sie jetzt im Hotel waren, nicht?
PS: Moabit.
JP: Wie bitte?
PS: Moabit.
JP: In Moabit, die anderen, aber in unseren Bezirken waren immer, da hat’s ein bisschen länger gedauert, nicht, desswegen hatten wir noch weniger zu Essen weil da nur gerne ständige Russen sind zwar mit ihren Träckern jekommen und haben, weil‘se nach außen ein gutes Bild mal haben wollten, haben sie denn ein bisschen Brot gehabt und abgeschnitten und hier verteilt und mein Vater hat det nicht vertragen und dann war mein Vater und musste oft zum Arzt weil er krank ja auss’m Krieg zurückgekommen war, weil er auch mit dem Magen so hatte, Magen und Darm, da hat, ehm, der Arzt gesagt, das Brot wat die Russen jebacken haben hat eine andere Zusammensetzung, nicht, die wird anders gemacht wie unser Brot, und das durfte mein Vater nicht essen. Jetzt hatten wir überhaupt nüscht zum Essen, nicht. Da bin ich, da find der schwarze Markt an und dann den fing dann so an und da habe ick meiner Mutter von ihren schönen Geschirr Sachen zwei schöne Teller, kleine Teller und Tassen, habe ich mir eingesteckt und habe jedacht, hauptsache, dass Vater mal eine Scheibe Brot wat von den Amis vielleicht essen kann, die tauschen ja da und, aber da waren immer Aufseher Soldaten, Polizisten die die Leute da, ehm, also ich wüsst nicht wat, nun musste ich da immer sehr aufpassen, weil ich da immer geguckt mit wem ich nur auch tauschen konnte, wat ich gar nicht wollte, nicht, und denn kriegte ich, Gott sei Dank, ein Amerikaner war, der Amerikanische Soldat, die sind ja ooch aus Amerika mit ihren angekommen zum Teil und der hatte Weissbrot, so’ne Stange, na ja, so’ne Weissbrotstange und die hab ich denn rasch gekriegt und dem det jegeben, hab ich’s noch einmal gemacht, ich bin Gott sei Dank dabei nicht erwischt werden, geworden aber mein Vater hat wenigstens mal eine Scheibe Brot, irgendwat essen können, nicht. So war das weil wir einfach gar nüscht essen konnten oder jekriegt haben, nicht, weil die Amis, die haben dann aber, als ich als Kindergärnterin doch in der Schule arbeiten konnte, die haben dann so Suppen gekocht für die Kinder und haben die in ziemlich zeitlich haben die das in die Schulen geschickt dass die Kinder wenigstens ein bisschen was zu essen,ein bisschen Suppe kriegten weil die ja auch nüscht was zu essen hatten, nicht. Das war schon eine schlimme Zeit auch noch danach bis, nicht, det so ganz ganz langsam ging das dann. Aber ich war denn nun eingesperrt in diesen GPU Keller und das davon will ich gar nicht erzählen, das wäre ein ganzer Roman für sich weil’s da unten, es waren überwiegend Männer, in kleinen, in so kleinen Kabinen drin ohne Fenster und wir haben, wo ich drin war, ick war ja erst fünfzehn, ich wurde gerade ja sechzehn, fünfzehn, ja sechzehn wurde ich gerade erst, da war eine ältere Frau die da schon drin war, die sagte: ‚Ach, jetzt kommt ein Kind!‘ Ick sah wohl sehr frisch noch aus immer, meine Haut is irgendwie, war immer ganz schön, nicht, so, nahm ich an und haben die anderen auch noch gesagt und, ehm, dann hat sie dann gesagt, sie ist ooch eingesperrt worden, weil sie nicht ihre Wohnung dafür, für die Amis geben wollte, nicht. Aber ich bin, meine Sache die ich da gesagt hatte, dass die mit vorher schon, der Satz da mit dem, ehm, dass die Stasi nachher genauso sind wie die Nazis, det ist in meiner, ich hab ja noch meine Akte, ich hab ja noch’ne Akte, nicht, bei den, bei der ganzen jetzt, bei dem Jan, der Jan war gerade im Fernsehen gestern, glaub ich, gestern oder vorgestern, die das nicht schließen wollen, die Akten die noch da sind, denn es sind ja furchtbar viele die in der DDR die haben ja, alle, also wie viele alle Akten haben und wie viele, aber bei mir war es besonders schlimm auch weil, ehm, alle wussten dass die Stasi mich beobachtet, nicht? Und die wollten mich mal zum, wie nennt man des, zum Spitzel machen, aber weil sie gemerkt haben, ich hab eben noch sprechen können und habe eben einiges offen gesagt und aber det ist ihnen denn nicht mehr gelungen weil mein Mann damals, wir waren verlobt aber der sagte, nee, ich habe Sorge dass du, die dich ein drittes Mal abholen, denn landest du in Sibirien, wie‘se die viele dahingeschickt haben und da haben wir denn in aller Eile geheiratet, 1952 schon, nicht, eine Ost-West Heirat gemacht praktisch, denn die Ostler konnte ich ja nicht einladen oder die die zur Kirche kamen, kamen, meine Kinder noch aus dem Kindergarten, die waren denn da und meine Freunde die, einige sind heut noch da, mein Schwager, meine Schwägerin sind verstorben, viele sind davon verstorben, da sind nur vier aus der einen Gruppe, nur noch vier Lebende übrig geblieben jetzt durch mein Alter, nicht, durch ihre Krankheiten und so, ehm.
PS: Ich wollte ein bisschen züruck gehen noch auf die, auf die Kriegszeit. Ehm, können Sie mir noch ein bisschen von Ihrem Vater erzählen und die Einstellung die er hatte, also, bei der Machtergreifung Hitlers und wie die Stimmung so zuhause war und wie man darüber redete?
JP: Ja, mein Vater hatt, ich habe mich selbst später immer darüber gedacht, einen besonders guten Instinkt für Politische Dinge, nicht, dass er eben gesagt, ich weiss dass er gesagt hat, denn seine Schwester, er war mit, meine Grosseltern hatten zehn Kinder, det war ja früher, die hatten alle ja so viele Kinder, und das waren acht Mädchen und zwei Jungs, und der jüngste davon war mein Vater der, nicht, und die Mädchen, die älteren, die waren ja nur älter, meine Tanten waren das ja dann, die haben mir das auch erzählt, nicht, Vater hatte, unser, ja, ehm, der hat immer habe ich schon vorher gesagt, nicht, wenn Hitler kommt gib’s Krieg. Und die haben manche gesagt, det kann doch nicht sein denn det der Hindenburg doch nichts machen, ja, aber der hat’s auch jemacht, hat sich ja ooch, die ganzen Politik war, wenn ich im Nachhineien recherchiert habe, ist alles sehr sehr schwer geworden, nicht, und das denn der Hitler dann trotzdem kam und durch ihn ja genau wie dann nachher Stalin, nicht, dass vierzigtausend Menschen tot waren und weggeschickt wurden und und und, so viele weggebracht wurden und das war alles so schwierig, aber mein Vater hat das immer gesagt, nicht. Und hat gesagt, wenn Hitler kommt, gib’s Krieg. Im Stillen, ich habe ihn doch wiedersprochen als ich’s mal gehört habe, dass er’s in der Richtung gesagt hatte. Ich habe auch in einer Zeitung dieses mal geschrieben oder wurde mir gesagt ob ich’s mal für die Zeitung schreiben würde, was mein Vater gesagt hat, nicht, wenn Hitler kommt, gib’s Krieg. Das warum es nicht mehr gedacht haben aber die waren alle, Hitler macht alles gut, baut Autobahnen, wat er jemacht hat, ooch nach außen hin, alles nach außen und, ehm, aber mein Vater hatte da wirklich einen besseren Instinkt, ich hab damals gar nicht det so mitgekreigt woher er, vielleicht weil er det so furchtbar fand, schon in als er mit Deutschen und Franzosen, und wo er beinahe erschossen wär aber wo er nicht schiessen konnte auf den Franzosen, nicht, denn beide sassen ja gegenüber. Er hatte mal gesagt, als Heilig Abend war, da er, da war auf beiden Seiten in den Schützengräben mal ein bisschen Ruhe, moment durch, da haben beide, beide sich gegenseitig, also [unclear], also gesehen und haben sich nicht beschossen, beide, nicht, beide, Franzosen und die Deutschen damals, am Anfang. Später hat sich dieser Französische, mein Schwager hat später eine Französin geheiratet, das hat sich alles dann gebessert, bis heute noch, eine Französin, zwei Französinen, auch Nichten von mir die leben noch, ehm, aber meine Onkeln und Tanten sind schon alle tot. Ja, das war also ertsmal det Leben bis zum Krieg und.
PS: Was, also, was machte ihr Vater während des Zweiten Weltkrieges?
JP: Ja, dass mein Vater dann, ja nun, dann zu hause war und nicht mehr, ehm, nach Russland geschickt wurde, da wurden die Deutschen Soldaten ja dann ooch zum Kämpfen hingeschickt, nicht. Aber er, durch seine Krankeit, die er nun durch die Magengeschichte hatte, ist er noch untersucht worden und wurde nicht mehr eingezogen. Er war denn zuhause und hat dann wenigstens ein bisschen helfen können. Ich war immer unterwegs, ick hab so viele andere Sachen gemacht. Im Roten Rathaus, jetzt hier unser Rathaus, det Rote Rathaus am Alex da, nicht, am Zoo, da, nicht am Zoo, ehm, na ja wo jetzt bei uns der Oberbürgermeister sitzt, nicht, auch der Müller, der Müller ist nicht so gut, kommt nicht so gut an, der Müller hier, unser jetzige Oberbürgermeister. Und da war unten eine Kantine, unten in diesem Roten Rathaus, immer schon solange wie det Haus ja, det rote grosse Haus ja noch schon stand und da, ehm, war ein Soldat, da bin ich als Mädchen, wir Mädchen von der Hitler Jugend wir hatten die Kleidung zwar aber wir waren, ick war nirgenswo drin, hab mich da immer, also bin nicht in die FDJ und denn nicht, in die, da, in die andere Richtung jejangen, habe mich immer da weggedrückt denn da bin ich da mit einer Schwester durchgegangen und da hockte ein jüngerer Mann am der, ringsherum waren so viele Deutsche Soldaten erschossen worden, nicht. Weil, als die Russen auf Berlin zuströmten und am Alex, hintern’m Alex waren schon die Russen und wir nun noch in diesem Roten Rathaus, nicht. Und, ehm, und der sagte dann, der sass da, ick sage, oh Gott, ick sage, können sie denn noch aufstehen? Nein, sagte er, ich muss, ich habe Schüsse in die Beine gekriegt, nicht. Und mit dem hatte ich auch viele, ehm, der ist dann später habe ich auch Kontakte noch aufjebaut, ich hab dem da jeholfen da unten aber der hat jesagt, leise jesagt, nicht, dieser verdammte Krieg, nicht, Der macht ja soviel hier die Toten, wir mussten, ich musste immer helfen mit der Schwester, diese Erkennungsmarken die diese Soldaten hatten, ich weiss nicht ob’s bei ihnen det immer, ob’s die Soldaten det ooch hatten, solche Nummern sind es oder was, nicht. Die Schwestern mussten det immer abmachen damit sie des später für die Verwandten dahin gehen, damit mann wüsste wo der Tote jeblieben ist und ich hab dabei helfen müssen, oh Gott, und ich so als so junge [unclear] mit fufzehn Jahren nicht so, in diesen Zustand, nicht. Also wat man uns so, oder ja, ick hab’s jemacht weil ick gedacht hab, man muss da überall helfen und det hab ich eben gemacht, nicht, ich meine, meine Mutter, sie hatte mal gesagt, du kommst so selten zu uns nach Hause, ein Glück dass wir noch leben. Ich sage, ja ich bin nun mal zufrieden wen ich, wenn ihr aber ich sage ich brauche ein bisschen Wasser, sagt meine Mutter, ich habe dir ein Töpfchen warem Wasser, unten auch im Keller denn meine Eltern waren ooch im Keller, ein bisschen Wasser aufgehoben, ich sage, ich muss moich wenigstens mal waschen, ich bin so durchgeschwitz nicht, det. Da hat’se so ein Töpfchen Wasser mir aufjehoben um damit ich mich waschen konnte. Das waren alles diese Dinge, ehm die und mein Vater, ehm, irgendwann hiess es dann die Lager die die Nazis hatten, det waren die Nazis, die hatten noch während des Krieges in den letzten Jahren so Lager angelegt mit Esswaren, ja und die wurden dann, die Russen haben gesagt die werden geöffnet, können die Leute ja gehen und mein Vater ist nicht dahinjejangen, meine Mutter sagte, nun geh du alle hohlen da wat zu essen, weil det die Lager jetzt da aufjemacht werden aber meine Mutter hat so viel mit ihm jeredet weil er sagte, nein, ick will’s nicht, ich kam gerade, wieder von meiner Arbeit und, ehm, denn hat er sich überreden lassen und ist denn doch hinjegangen und kam mit’m kleenen Säckchen, ick seh den heute noch, meinen Vater, so, mit Zucker, [laughs] sagt er, für euch, denn könnt ihr euch mal wieder Bonbons machen auf der Pfanne, nur Zucker auf die Pfanne, da kann man so Bonbons machen, det haben wir schon als Kinder jemacht aber ein bisschen wat anderes noch rein, nicht. Aber det haben wir jetzt versucht mit dem bisschen Zucker wat er, nur ein bisschen Zucker weil er für an die Bonbons gedacht hat. Also, aber nüscht anderes, nicht, da hat er gesagt, ich kann mich nicht da zwischen die anderen, die alle so gierig sind, ick sag, na ja, die haben ooch alle Hunger, Nicht? Hatten sie ja ooch. Es ist, und wir hatten keinen Garten, wer einen Garten hat, nicht, mein Mann war ooch noch eingesperrt, war von den Amerikanern im Westteil, der war im Westteil, nicht im Ostteil, ehm. aber weil er auch noch sehr jung war und der hatte nur mit sich durchgekämpft nach Berlin weil er nach Hause wollte wieder nicht, nach Hause und da hat er ein Paar Mohrrüben irgendwo rausjezogen und det hat jemand gesehen, die schon bei der Stasi war und hat gesagt, hat ihm gesagt, sie würde ihn anzeigen, mein Vater war, mein Mann war so ärgerlich darüber, nicht, für ein Paar Mohrrüben. Ah ja, weil vorhin wir sagten, was von dem im Wald, euhm, Blaubeeren oder irgendwo, natürlich wurde, haben wir jemacht, nicht. Da gab’s später ooch schon Blaubeeren, meine Nichte die hohlt mir ja immer zwei Mal im Monat ein, die war gestern hier und hat, und hat jesagt, du, ich hab dir Blaubeeren mal mitgebracht, die hast du doch immer so gerne jegessen, Blaubeeren, habe ich im [unclear] Wald später, ganz viel später, da wohnte och eine Kusine von mir, die ist lange ooch schon tot, da bin ich auch immer in den Wald jegangen und habe aber nur weil, weil eben Blaubeeren auch verkauft wurden, weil nicht alle Leute da sich bücken wollten und Blaubeeren jesammelt haben, hab ich auch gerne gemacht und hab’s gerne auch sogleich unten am Stiel jegessen. Aber Blaubeeren gib’s auch, habense auch angelegt, ist aber auch ewig her, hochgebaut, Blaubeeren, det wusst ick nicht, det hab ich erstmal durch meine Nachbarn, die hatten mich mitgenommen denn die hatten noch’n Auto und sind beim Auto, haben mich da mitgenommen und da waren wir in so einer Blaubeer, ja, Kaserne mit drin, nicht, und haben uns det angesehen. Ja, das war’s im Moment. Fählt Ihnen noch was ein? Irgendwie?
PS: Sie erzählten mir etwas von den Rauchbomben, die in Ihr Haus eingebrochen sind. Können Sie mir das noch ein bisschen?
JP: Ja, vielleicht die Sache noch, vorne die Ruine hatte ich ja gesagt, die brannte, da brannte es ja schon. Und da habe ich gesagt, da war ich ja ooch noch gerade mal fufzehn oder nicht mal, vielleich mal, nee, etwa vierzehn, da habe ich zum meinem Vater, haben wir beide jesagt, mein Vater auch sagte, Oh Gott, oben im Seitenflügel, bei uns gab’s ‚n Seitenflügel unten, hinten wo wir den Gartenteil wohnten unten Seitenflügel, und im Seitenflügel wohnte noch’ne Tante mit ihrer Tochter, auch, also, ehm, oben im vierten Stock, im Seitenflügel. Und da sagte mein Vater, Ohgottogott, der Seitenflügel grenzt ja an der Ruine so dran, nicht, die vorne war, nicht. Sagte, um Gottes Willen, meinst du dass, ick sag, ja, ick sag, wir gehen einfach, wir rennen hoch, während noch die Feuerbomben runter kamen, wir gehen hoch und gucken nach oder machen irgendwat, mein Vater mit seinen schlimmen Magen, und er konnte ooch schwer atmen, dachte, oh Gott, det kann Opa doch, also Papa war der damals, ehm, aber er hat sich mit hochgequillt und ein Glück dass, die Wohnung haben wir gerettet, hab ick mitjerettet weil die Gardinen hab ick runtergerissen weil die schon Feuer gefangen hatten, die Gardinen die da hingen, nicht, bei meiner Tante, die hatte schöne Gardinen und da hab ich die rasch runtergerissen und hab nun in der Küche geguckt ob’se noch’n Tropfen Wasser wenigstens hab aber da war in dem Töpfchen nur noch Muckefuck haben wir gesagt, für Bohnenkaffee, gab’s ja keene Bohnen mehr, ehm, Bohnen gab’s nicht und da hieß es Muckefuck, det wurde immer irgendwat durchjerührt, durchgebraten, gemahlt, durchgemahlt, da wurde der Kaffee denn damit jetrunken, da war noch so von dem Muckefuck so ein bisschen Wasser drin, den hab ick det jenommen und hab noch irgendwo ein bisschen wat machen können um des kleinere Zimmer, det war anderhalb Zimmer die Wohnung, und dat haben wir noch jeschafft, dass das nicht brannte mehr, weil wir das ja runtergerissen hatten und dann wieder bloß Stein war, Steine und also nichts mehr Brennbares war und mein Vater, konnte es, der hat kaum noch geatmet, ich hab, bin vorsichtig die Treppen wieder runtergebracht, nicht, weil der keene Luft mehr kriegte. Ja, das war alles solche kleinen Sachen noch dazwischen, wo ich immer noch davon erzählen könnte, nicht? Aber, das, das, meine Tanten die waren ooch, die waren in der Nazi-Zeit in den, gerade in den letzten Jahr habense sehr viele rausgeschickt aus Berlin, mit Kindern, so mit Klassen, nicht? Det habense noch jemacht und meine Tante wurde dann mit ihrer Tochter, mit meiner Kusine, auch nach Pommern, war ja da noch Deutsch damals, da noch evakuiert für kurze Zeit. Aber später sind ja sehr viele auch nach England, ganze Kinder, nicht, Schiffe, Jüdische, vor allem Jüdische Kinder, nicht, sind nach England aber ganz viel später, nicht. Als, na ja, det erinnere ich mich ooch so dass Kinder irgendwo noch hin und her geschickt nach Japan, nach, ehm, Sweden, Sweden hat ooch Kinder denn aufgenommen weil, ja, ist ja heut auch noch nationaler [unclear], die Sweden und eie haben ooch Kindergruppen aufgenommen, ganz viel später, weil sie in Deutschland wenig zu essen, oder kaum, später kriegten wir ja dann besseren Karten aber auch nicht viel, ich, die zur Schule gingen, kriegten nicht viele Abschnitte, und meine Mutter, weil’se zu Hause gearbeitet hat, meine Mutter hat zwischen durch immer mit die Mauersteine mit aufgebaut, hab ick ooch ein Paar mal mitgemacht, die Mauersteine die überall lagen auf den Straßen wurden ja in Ketten, die haben so Ketten gemacht, haben sich mich, haben wir uns auch mit rein [unclear], gereicht, und haben die Steine, die, da wurde später mit jebaut mit diesen Steinen, nicht, und det war alles sehr sehr schwer, muss ich sagen, das zu machen. Ganz, eine Sache könnte ich ja noch sagen, wenn ich nach hause, mal nach hause kam, zu gucken, ob meinen Eltern wenigstens gut ging, als ich da im Roten Rathaus war und zur Hilfe und so noch woanders war und zurück kam, da war ich, ehm, ja wat wollte ich jetzt da sagen? Jetzt habe ich den Faden verloren, was hatte ich gerade vorher gesagt?
PS: Vorher redeten Sie von den Mauersteinen.
JP: [coughs] Von den Steinen [coughs], ja, ja det haben wir ja gemacht mit den, ach so, ja, ich hab bei meinen Eltern jeguckt ob des in Ordnung ist aber eine gute Freundin von mir wohnte im Nebenhaus von mir, der Vater war da Hausmeister und die Tochter, waren wir gut befreundet, Und da hab ich gedacht, guck nach wat, wo, ob’s ihr auch gut geht und da bin ich rüber, schnell rüber jelaufen, war ja im Nebenhaus, und da kam sie und sagte, nee, Gott sei dank, aber hier, die Russen, jetzt sind’s die Russen die uns beschießen, nicht mehr die Amis oder Engländer und Franzosen, sondern es sind schon die Russen, die uns hier, die Leute beschießen. Ick dachte, det kann doch nicht sein, nicht, und wir und da halten uns gerade, stehen nebeneinander und da sah ich wie ein so’n Flugzeug ankam und ich habe auch noch den Russischen Stern gesehen, glaube gelb oder rot, rot war der, rot war dieser, denn ich habe das noch vorbeiblitzen sehen, da kam der Schuss von dem, wurde auf uns geschossen und meine Freundin ist jetroffen worden, fiel neben mir hin auf die Erde, also, natürlich können Sie sich ja vorstellen wie einem dann zumute ist, nicht. Dann lag sie da und ich hatte schon nur so ein bisschen gesehen bei dem Helfen im Roten Rathaus mit den Schwestern, wenn einer so liegt und ich habe, dass man hier anfässt und so, hab ick ooch jemacht, hab gedacht, oh Gott, sie ist gleich tot, und sie war auch sofort tot als sie neben mir lag. Also, ich war so fertig, also, wie selten auch denn dieser Schreck in dem Moment, nicht, det andere war so ein bisschen noch anders aber diese Sache und dachte ich, Oh Gott, jetzt musste ja ihrer Mutter, die sind hinten in ihrem kleenen Garten, wo der Vater Hausmeister ist und ooch noch da ist, aber ich, blieb mir nüscht anders übrig, ging zu der Mutter und hab ihr des jesagt und die kam denn an und fiel mir nun in die Arme und weinte das ja klar, nicht, ihre Tochter da, nicht. Und da ist die, ich hab ja gesehen, auf den Straßen lagen überall sehr viele tote Menschen auf der Erde, nicht, weil durch die Bomben, durch die ganzen Schiessereien und jetzt da auch zum Schluss da kam eine Kutsche, so’n, nicht’en Kutsche, sondern zum ziehen aus Holz, so’ne alte Karre, so’ne Karre, da lagen schon tote Menschen drauf, nicht, da haben’se meine tote Freundin, also da kann ich heute schon kaum erzählen, oben auch raufgepackt weil sie ja nun tot da lag, nicht. Ihre Mutter, also ihre Eltern haben nie im Leben gewusst wo ihre, die sind in Massengräbern gekommen, sie haben nie mehr in ihrem Leben für ihre Tochter einen, wo sie hingehen konnten, ein Blümchen hinlegen konnten weil sie ja nicht gewusst, dass war auch’ne Sache, die ich, da würde ick heut noch anfangen zu heulen wenn ich sie so, [unclear] sie ist auch inzwischen verstorben aber, ehm, andere Freundinnen sind von mir verstorben aber det [unclear] die nun in dieser Form neben mir dahinfällt, nicht. Ick hab immere jedacht, für wen will der liebe Gott, weil ich ja immer auch abends gebetet habe, meine Mutter war für die Kirche, ich bin auch jetzt noch in der Kirche tätig, und die, da habe ich immer jedacht, wat will der liebe Gott, ick helf doch schon, wat ick alles machen kann, nun mach ich doch, und aber warum auch andere, det hat doch [unclear] auch gemacht, hat doch ooch jeholfen, und warum kriegt die die Kugel? Aber die Gedanken kommen mir denn, nicht. Na ja, das war ooch eine sehr, gehört ja ooch mit den Bomben, mit den Bomben, aber det war nun von Sowjetrussen die geschossen haben.
PS: War das also ‚45 oder ‚46?
JP: Wie bitte?
PS: War das ‚45 oder ‚46?
JP: Nein, das war schon, das war schon, da war ich ja schon fünfzehn, ja, das war schon die Sowjet, war schon die, kurz bevor die Russen, denn det, da ja die Russen haben uns alle, wurden wir eher eingenommen praktisch dann der Bezirk Stadmitte, nicht, sowieso, das war nach ‚45, nee, als wir im Roten Rathaus war ich ja zwei mal, ach, ick muss immer überlegen. Kurz im, ja, jetzt weiß ich wieder, kurz bevor Hitler, det war Mai, bis der sich det Leben jenommen hat, der hat sich ja ooch verbrennen lassen der Hitler, nicht, wissen Sie ja warscheinlich. Und in der Nähe war ja det Führerhauptqaurtier nannte sich das, nicht, wo Hitler war mit seinen Leuten da. Und Unter den Linden, die Wilhelmsstraße runter, da war ja det Führerhauptquartier, von uns gar nicht weit so entfernt vom Roten Rathaus und, ehm, da sind wir, wurde uns gesagt im Roten Rathaus, ihr müsst jetzt raus, ihr Paar Mädchen, wir waren nur zwei oder drei Mädchen die da helfen sollten, ihr müsst raus, die Russen stehen vor dem Alex, ihr werdet sonst gleich, von denen gleich erschossen, und gleich oder irgendwas, ihr müsst hier raus. Und hab ich zu meiner Freundin gesagt, eine gute Freundin von mir, ich sag, und wo sollen wir hin? Verdammt noch mal, wohin jetzt? Wieder nach Hause, wo ringsherum die Russen sind und da habe ich gesagt, weiss’te, wir versuchen und dann sind wir denn am Schloss vorbei, damals war det Schloss noch, ehm, wurde ja schon durch die DDR kaputt gemacht, vorher stand ja noch ein Teil noch, nicht, und da vorbei und gegenüber ist die Universität, unsere Universität gewesen oder ist sie ja noch, die Wilhelm oder wie heißt sie jetzt? Ach, mein Gott, die Namen ist ja immer alles.
PS: Humboldt?
JP: Humboldt Universität, nicht. Ja, Humboldt war der hochgelehrter, na ja, und die Universität war ja nun schon lange da und ich wusste dass da viele schöne Bücher waren, ick hatte mal ja durchjeguckt und da sind, ich sag, denn geh wir erstmal da rein, nicht, und hören wat nun los ist, wat nun passiert ist, ob wir nun uns durchkämpfen müssen, ob ich nach Hause aber, meine Freundin, die ihre Mutter lebte ja in Kreuzberg, in Kreuzberg, ja, das war ja nun schon der Westteil gewesen, da hätte man jarnicht hinjekonnt, nicht. Da sag ich, dich nehm ich mit, wir versuchen zu meinen Eltern in die Schlegelstraße, Chausseestraße, Friedrichstraße, da wohnen ja meine Eltern, det kannte, wusste sie ja auch und da sind wir losgegangen, nee, da waren wir erst in der Universität und hatten noch die eine Nacht vor sich, det war, ehm, als Deutschland dann, am 8 Mai war ja die richtige, die Unterschrift auch von für Deutschland die Kriegsende aber am ersten Mai haben die Russen schon jefeiert, wir haben schon jehört, wie gross Theater, also Musik und oje und so, da sah ich als wir mal in der Nacht haben wir da auf den, unten im Keller haben die Leute dort im Haus, in der Universität, die wichtigen Bücher alle nach unten in die Keller gebracht und da haben wir eene Nacht ‚n Paar Stunden, na ja, kurze Zeit Stunden waren vielleicht zwee Stunden oder so auf den Büchern versucht zu schlafen, wo sollten wir auch die Nacht noch verbringen, nicht? Und als wir dann an dem Morgen raus kamen, am ersten Mai, da kam uns ein Deutscher noch angezogener Soldat angelaufen, woher der det wusste, habe ich nie rausjekriegt, habe immer mal nachgefragt hinterher aber woher, der kam nun an und hat gesagt, jetzt ist der Krieg aus, Hitler hat sich umjebracht. In dem Moment, kurz vorher war Hitler tot, der ist tot, da habe ich gesagt, hast du gehört? Meiner Freundin, Hitler ist tot, Gott sie dank ist der nun tot und, ehm, wir versuchen jetzt nach Hause, also zu mir nach Hause zu kommen, und dann sind wir, Unter den Linden sind wir dann vorbei an der Universität zur Friedrichsstraße, an der Ecke fängt die ja an, nicht, die Friedrichsstraße und dann sind wir, rechts und links mann hörte immer, angeblich sollen die Russen schon auf unser, wo die Kuppel oben drauf später jebaut wurde, dass sie die Deutsche Fahne da rauf jemacht haben, die Russen und die Deutschen Soldaten haben‘se da wieder runtergerissen, also det habe ich später mal jehört, det hab ick nich jesehen aber als wir in Friedrichsstraße waren, kommt der Bahnhof Zoo, ehm, kommt der da, Friedrichsstraße einem entgegen und da hingen zwei, ja, det hab ich ooch noch jesehen, zwei Deutsche Soldaten, noch in Uniform, aufgehängt an einem Ast oben, da stand drauf: „Er war, sie waren Feiglinge“ aber det wart noch aus der Nazi-Zeit, war ja kurz vorher noch und dann waren wir auf der Weidendammer Brücke, ich weiss nicht, ob sie die kennen, die Weidendammer Brücke, nicht? Die ist ja ooch ziemlich bekannt im vorigen Jahr, hat irgendein, in, soll, na ja ist egal wer det da war, wer, da hat einer gesungen, im vorigen Jahrhundert hat es irgendein Sänger oder, na ja, ist egal, die ist ja sehr bekannt die zum, und da wollten viele auch eine Gruppe aus’m Führerhauptquartier, die haben sich nun versucht alle abzusetzen weil sie ja nun wussten, Hitler ist tot, Krieg ist aus, wo müssen wir nur hin? Ooch die Nazis zum Teil noch, nicht, oder eben noch Deutsche höhere Soldaten. Und die kamen von allen Seiten und auch Zivilisten waren dabei, auch jüngere und ältere und das war ooch eine Sache die habe ich immer erzählen müssen, weil mich heute das noch, ich seh das heut noch vor Augen, und zwar als wir auf der Wiedendammer Brücke waren, war eine Barriere gebaut worden, die hatten die Nazis noch kurz vorher, so’ne Barriere gemacht, so’ne flache, nicht sehr hoch und die Russen auf der Seite, die haben da geschossen, haben, warscheinlich wollten sie uff die Barriere schiessen, um die wegzuhaben oder so, nicht, weil’se da hoch, rein wollten. Die Russen und da waren eben, waren, ehm, nun die vielen Leute die alle auf der Wiedendammer Brücke waren, waren voller Menschen, da hörten wir immer Schüsse von allen Seiten, also rechts haben noch Deutsche Soldaten geschossen, links haben die Russen geschossen, und da wurde, musste in dem Moment kurz vorher geschossen worden sein, da fasse ich meine Freundin so an, ick sag, komm, wir gehen um die Barriere rum, in dem Moment sehe ich dass neben mir war ooch ein Schuss gefallen oder zwee Geschüsse, ich wüsst ja nicht ob es mehrere waren, lag ein Deutscher Soldat auf der Erde und hatte seine Pistole raus jezogen und hat zu mir gesagt, weil ick daneben stand, der lag auf der Erde, ich stand und daneben stand meine Freundin, die jammerte, oh, die hat ooch ein Paar Schüsse abgekriegt aber nur aüssere Schüsse hier, also [unclear] irgendwas, und der da lag, der Soldat nahm die Pistole und sagt zu mir, Mädchen, zu mir, ja, ick guckte entsetzt ihn an, er sagte, hier, nimm hier meine Pistole, nimm die und erschieß mich, also det habe ick ooch nie vergessen, denn weiß Gott wo er die Schüsse reingekriegt hat, nicht? Er konnte, da dachte ich im Stillen, der kann ja noch sprechen, det wess ick noch, nur mein Gedanke, der kann ja noch reden, nicht, weiter hatte ich gar nicht im Kopf, ick war in dem Moment so fix und fertig, ick konnte auch nicht mehr, denn kamen mehr Leute die dann [unclear] machen, guckten und so und ich hab meine Freundin nur jenommen, die hatte ooch, da waren Belgische Soldaten, nicht Soldaten, die waren ooch von den Nazis eingesperrt, det habe ich ooch erst später erfahren, die hatten da, kamen [unclear] so zwee so, diese, inzwischen waren sie die Lager auch alle geöffnet von den Nazis, die die da eingesperrt hatten, die brachten ooch so’ne Schubkarre, so‘ne einfache, da hab ick dann meine Freundin, die nun ooch nicht loofen konnte, mit ihren schlimmen Beinen, hab ich zu [unclear] und hab gesagt, so, wo fährts du mit ihr dahin? Dann muss ich ins Bund, jetzt nennt man das Bundeswehrkrankenhaus, ich weiss nicht ob sie’s kennen, Scharnhorststraße runter und so, is det Bundeswehrkrankenhaus ist ja denn gebaut worden, nicht. Det heisst det Stand, hieß aber Polzeikrankenhaus in der DDR-Zeit und davor ooch schon so und ick sage, da weiss ich, da hat eine Tante von mir in der Küche mal gearbeitet, da ist det grosse Krankenhaus, da dachte ick im Stillen, also fährst sie mit ihr dahin, da wird der vielleicht’n Arzt sein, nicht. Hab ick ja ooch gemacht aber ich bin rechts und links wo viele Tote lagen, Schüsse waren und da wurde viel geschossen, dass ich dadurch gekommen, erst später wie haste dat geschafft, war ja ein weiter Weg noch, ziemlicher Weg, die Invalidenstraße runter und die Scharnhorststraße denn rechst runter zum Bundeswehrkrankenhaus wie’s jetzt heißt und, ehm, da waren, da waren früher immer in den Zimmer so zehn bis zwölf Betten drin in einem Raum, in einem Raum, nicht so Einzelzimmer sondern so grosse und da war noch ein Bett zufällig grade frei, da habe ick denn meine Freundin raufjepackt und bin denn eine Tag später bin nach Kreuzberg, durch, hab mich durch, konnte ja noch nicht irgendwo fahren, bin irgendwo mitgefahren und hab der Mutter gesagt die in Sorge um ihre Tochter war, na ja, und die ist später mit’na Kutsche, rüber, auch mit einem Pferdefuhrwerk ins Krankenhaus, nicht am gleichen Tag aber sie ist da verarztet worden meine Freundin und die Mutter hat sie denn abjeholt und hat’se zu sich wieder nach Hause jeholt. Aber das war auch ein Erlebnis wat ooch für mich sehr anstrengend war, ick seh den immer noch wie der sag, Mädchen, nimm meine Pistole und erschieß mich. Ich hatte damals een Interview im ZDF, det hatte ich mal erzählt und det hat zufällig eine Reporterin vom ZDF gehört und die hatte mich ooch gefragt, ob ich mal des noch mal ihr erklären, noch mal aber an gleicher Stelle, na ja, hab det noch mal sehr viel später mal gemacht und sie hat des denn irgendwo ooch in die Zeitung gegeben.
PS: Nur noch ein Paar Fragen für Sie. Ehm, die Zeit die Sie im Luftschutzkeller verbracht haben.
JP: Wie bitte?
PS: Sie haben doch auch Zeit im Luftschutzkeller verbracht.
JP: Wer, ich?
PS: Nee, ich, habe ich ja vorhin schon gesagt, wir hatten die Nazi-Zeit, det war ja noch die Nazi-Zeit, hatten in den eigenen Kellern, denn jeder hatte unten, ick hab hier ooch so’n kleenen Keller nur, da haben sie wo Fenster drinnen waren, nur Sandsäcke wurden da einfach reingemacht, da hat ja mein Vater gesagt, also, da kam noch nicht der Blindgänger, der ist ja später da gekommen und, ehm, da waren wir ganz kurz nur weil mein Vater gesagt hat, das ist hier kein Luftschutzkeller, hat er gesagt, war ja auch nicht, war ja unser, eigentlich unser Hausekeller, nicht. Da ist die zwei Säcke da, wat sollen die denn? Die jehen nicht gegen Bomben, denn der hat ja nun mein Vater, hat mein Vater ein bisschen mehr Ahnung wat Bomben machen und da hat er gesagt, wir müssen uns einen anderen Weg suchen und det haben wir jemacht weil er gesagt, mein Vater hat denn gesagt, dann laufen wir zum NordBahnhof oder Stettiner Bahnhof und nach unten endet es, tief unten, wo die Gleise da unten runter fahren, da ist, det ist ganz gut dort, da wird nicht so schnell ‚ne Bombe reinkommen. Hatte er Recht gehabt, da ist nie ‚ne Bombe reingekommen, rechts und linksrum, vorne und hinten ist überall bombardiert worden, Humboldthain ist ooch noch da gleich da nebenan, wo’s so, gehts, ist so’n Spaziergang habe wir als Kinder immer jemacht, über‘n Humboldthain gelaufen na ja, also das ist eben, ehm. Das wolten’se?
PS: Ich wollte Sie auch fragen.
JP: Mit dem Luftschutzkeller, den, ich persönlich hatten wir ja gar nicht, denn unten wo die Gleise waren, war ja kein Luftschutzkeller, nicht, und oben im Keller, es gab sicher, es gab schon Art grössere Keller wo auch die Fenster vielleicht zu waren oder irgendwie woanders hörte man in einem, das habe ich später erfahren, wat ick nicht so gut finde, da war eine die hat keinen, in ihren sogenannten Luftschutzkeller, det war ein grösserer, mit‘m anderen Nachbarnhäuser, also nicht bei uns, sondern woanders, wat ich nicht so kannte, die, da wollte eine Jüdin, die war bekannt dass sie Jüdin war im Haus und die wollte ooch in den sogennannten Luftschutzkeller und da war einer noch von den Nazis und hat’se nicht reingelassen weil sie Jüdin war, nicht. Und dat sie die Tür, der vor der Nase zugemacht, det fand ich unmöglich als ick det hörte. Das so weit, nur weil sie Jüdin ist, dass sie nicht da rein sollte, nicht und. Aber einen richtigen Luftschutzkeller habe ich nicht erlebt, konnte, ging gar nicht weil dieser kleene Keller da keen Luftschutzkeller war, mit’n Paar Sandsäcken vor’m Fenster. Ja, da hatte mein Vater schon recht, der ist denn mit meiner Mutter und meinem kleenen [unclear] Bruder noch zur S-Bahn Tunnel dahingelaufen und hat zu mir jesagt, aber du musst mitkommen, ich sage, ja, ick helfe nur meiner Nachbarin, Frau Müller mit den vier Kindern schaff die det nicht, mit den beiden, das hatte ich ja schon erzählt, dass ich die beeden dann, nicht. Und da kamen schon die Bomben, die kamen da schon an, nicht, und, Ja. [pauses] Tempelhof war auch für uns immer sehr interessant. Ich bin ja einmal mit, aus [unclear] mit einer Klasse nach Tempelhof weil die, aber das waren Amerikanische Piloten, nicht? Die Schokolade runtergeworfen haben, weil unsere Kinder ja keene Schokolade kannten praktisch, und in meiner Schule in der ich ja viele Jahre, fast dreissig Jahre gearbeitet habe, wo ja Draegert auch Rektor war eine Zeitlang, der da in der Schule da, ehm, ja, det war schon damals ein bisschen anders, nicht? In der Zeit war det alles ein bisschen schwieriger, ich war, ja bin neunzig hab ja denn aufgehört in der Schulze zu arbeiten und bin denn in diese Reformsachen da gegangen und. Aber Luftschutzkeller, wenn das, sicher gab’s welche. Die haben zum Teil Bunker, auch Bunker, aber nicht jetzt S-Bahn, wo wir, wo mein Vater gesagt hat, es für uns am nächsten, es gab Bunker die waren, da waren abends wurden auch, ja, des weiss ich, ja da hab ich auch mal‚ Dienst gemacht, ein Paar Abende oder ooch sogar die ganze Nacht und zwar, ich wüsst bloß nicht wo die waren, am Humboldthain glaub ich war auch ein Bunker, det waren alle zu, vorne und hinten, da war auch keine Bombe reingekommen, da mussten abends, sollten abends die Frauen mit kleinen Kindern ein, damit die Nacht Ruhe wenigstens haben und nicht in der Nacht raus mussten, nicht, wie meine Nachbarin mit ihren vier Kindern. Da haben’se det so angelegt dass die dann die ganze Nacht da bleibten mit Aufsicht, deswegen war ich da auch als Aufsichtperson, furchtbar eng war das ja auch weil det so in so’n Bunker war aber da wäre keine Bombe reingegangen, also det könnte man als Luftschutzkeller, Bunkerluftschutzkeller sehen aber da war ich nur um die, weil da ist, soll auch keine Bombe reingegangen sein, nicht. Da gib’s mehrere, hier bei uns war ooch so’ne Bunkergeschichte, aber nicht so’ne schwere Bunkergeschichte, hier drüben, wo die aber gesprengt wurde dann.
PS: Hatten Sie, hatten Sie Angst als Sie in dem Keller waren?
JP: Also ich.
PS: Als Sie da Zuflucht gesucht haben?
JP: Also ich, ich muss sagen ob ick in nicht meinem Leben so’n ängstlicher Mensch war, die Angst war nicht so gross, wie bei manchen, ick hab immer versucht, wat besseres zu machen oder, ja für irgendwat zu tun, also richtig Ängste, richtige Ängste, die hatte ich nur sehr viel später beim Sterben, den ich nicht geholfen habe, beim Sterben. Mein Mann ist in meinen Armen gestorben, das steht noch ein kleenes Photo von ihm da, und ich habe auch, ich weiss nicht ob das vielleicht wichtig ist, im kleinen Zimmer, wo ja mein Büro eigentlich war, ist ja hier keen Büro, sondern da drüben war ja mein Büro, da hab ich’s ja aber det ist so volljepackt da komm ich, und bin ich seit langen nicht mehr rangegangen und dort, ehm, wat wollt ick wohl sagen? [pauses] Jetzt ist mir der Faden weg. Wat hatten Sie gerade jefragt?
PS: Ich hatte Sie gefragt ob Sie Angst hatten.
JP: Ach so, Angst, [pauses] nee, jetzt hba ich grade überlegt aber Angst, det war ja sehr viel später dass ich da neben im Büro, an dem Tisch sass, ick weiss auch nicht wie, ich wollte ja was ganz wat anderes sagen, drüben, über dem Schreibtisch wo ick ja immer sass, hab ich mal so die Photos alle so anjemacht, so Sippenphotos auch, det haben manche mal mitfotografiert, da über, drüben im kleinen Zimmer, ist mal ganz interessant, da sind eben, die, oben fängt det an, bis Grossmutter unten, nicht? Aber deswegen habe ich eben grade so überlegt, mit Ängsten, viele davon hab ich ja auch noch erlebt, wie’se lebten, zum Beispiel mein Bruder der ist mit 46 Jahren ooch an Krebs verstorben, da war ich auch bei und hab ihn, ja, das waren nicht Ängste, det war ooch, eigentlich nur, ick hab seine Hände gehalten und mein Mann als er im Sterben lag, hab ich in Armen gehabt, ja, und manchmal, aber det erzähl ich nicht so gerne, weil manchen denken, aber meine Putzhilfe die sagt zu mir, so was gibt es bei Menschen, ich sage ich habe einmal als mein Mann starb, hat die Ärztin mir gesagt, ich sage ich bleibe übernacht im Krankenhaus, wo mein Mann schon lag, nicht lange, und man wusste am Anfang gar nicht dass er Krebs hatte, das hat man damals nicht immer gesagt, heute wird immer den Kranken gesagt, aber damals nicht, ehm, und da hat, hab ich gesagt, ich bleibe aber hier im Falle dass mein Mann nachts, dass es gut vergeht und da sagt’se, ja da mache ich ihnen nebenan, da ist gegenüber, wo die Babys gezeigt wurden, nicht? Und zufällig ist mein Sohn da in diesen kleenen [unclear] noch geboren worden, es passt bei mir manches wat so zusammen gehört und da hat sie mir noch ein Bett fertig gemacht so ich hab nur noch ein Kissen für mich zu Hause, von zu Hause geholt und habe dann hat’se mir Schlaftabletten gegeben, die ich nie genommen hatte, so zum Einschlafen, nicht, weil sie sagte, ich müsste mal weil ich die ganze Zeit überhaupt nicht geschlafen habe auch mal schlafen, die hab ich ooch genommen und bin denn auch eingeschlafen und nach circa, ich weiß dass, dass ich habe ich mir auch so gemerkt, nach zwei Stunden bin ich wach geworden, trotz der Schlafmittel und auf der Liege da, wo ich liegen sollte, da bin ich wach geworden, bin runtergehüft von der, die war ein bisschen erhöht, wo ich drauf lag, nicht, wat die Schwestern mir da fertig gemacht hatte, rüber und bin zwei Türen musste ich aufmachen, meine Tür, die zum Gang war und die Tür wo mein Mann lag, in seinem Einzelzimmer, zwei Türen musste ich aufmachen weil ich rübergestürtzt bin und ich habe, ich habe gehört, ja, wenn ick det so erzähle, manche denken hier, die ist doch sonst eigentlich völlig vernünftig, ich hab gesagt, mein Mann hat mich gerufen, weil ich einfach, immer gedacht, gehört habe, innerlich, er ruft dich, Jutta, komm! Jutta, komm! Die beiden Wörter, Jutta, komm! Also, det ist so in mich reingegangen, det war eigentlich keine Ängste, des war nur, ja, wat, wie bezeichnet man det? Ich bin auch nie zum Psychologen, sollte ick später ja auch mal gehen, als ich das mal erzählt habe, ich sage, mein Mann hat mich, als er merkte dass es ihm, dass er sterben musste, hat er mich gerufen. Wenn ich det, konnte ich kaum reden, sagen, weil det so blöd klingt, aber ich habe es innerlich gehört, dass er mich gerufen hat, und das war ja auch so. Als ich die seine Tür aufmachte, meine Tür und in aller Eile rüber gelaufen bin, war bloß ein Stückchen und da hab ich gemerkt dass seine Atmung ganz andere war als ich abends noch rausging war’se noch einigermaßen vernünftig seine Atmung, aber da war die Atmung eine andere. Ich wusste dass diese Atmung nur eintrifft wenn derjenige stirbt aber det habe ick ja erst emerkt als ich dann an sein Bett kam, nicht. Und dann habe ich mich gleich neben ihn hingesetzt und hab ihn und er hat denn nur meine Hand genommen, hat denn nichts mehr gesagt, so, aber weil ich immer jedacht habe, er hat doch gesagt, Jutta, komm! Nicht. Aber er konnte ja eigentlich gar nicht mehr sprechen. Also dass war aber auch keine Ängste, sondern eben nur eine Hilflosigkeit irgendwie, nicht. Und ob das stimmt oder nicht stimmt, na ja, ich habe nach’ner Weile dann den roten Knopf da gedrückt und habe, dann kam, dass die Schwester oder Ärztin kam und hab ihr das gesagt, dass die Atmung ne andere ist, und da sagt‘se ja, ist jetzt seine letzte Atmung, nicht. Und dann sag ich, denn gehen sie wieder, ich bleibe hier. Und dann habe ich noch’ne Viertel Stunde mit ihm im Arm so gesessen, nicht. Aber selbst wenn ich bei sterbenden Menschen war, wenn‘s auch mein Mann war, also, Ängste in dem Sinne hatte ich eigentlich nicht. Andere haben vielleicht mehr Ängste gehabt und ist auch so, dass die den det nicht machen oder jenet auch heut unter anderem noch weil sie, nicht, weil sie immer zu mir, wat ick immer hier, ick sollte [unclear] nicht los lassen und eine Zeitlang hab ich’s ja schon besser da, ist ja kaum benutzt, aber ich bin denn ja nochmal hingeknallt, hingefallen, da hab ich so ein bisschen Ängste jetzt entwickelt, dass ick denk, nochmal will ich nicht wieder hinfallen und det ist hier so schlimm, hier mit meinem Oberschenkelhalsbruch, weil det bis oben ja die Op ging, weil ich ja denn gleich ins Krankenhaus gebracht wurde, nicht. Ehm, aber ich war nie besonders wie manche, ich, wenn ich so höre, ich hatte aber Angst, weil, habe ich nie gesagt, weil ich eigentlich mich auch gar nicht so entsinnen kann, vielleicht waren die Ängste immer mehr innerlich bei mir, denn mein Arzt, der ist jetzt nicht mehr, der ist jetzt im Ruhestand, den kenne ich über dreissig Jahre und der hat mir so Tabletten, die ich immer nehmen soll über Depression gegeben, vielleicht dass er gemerkt hat dass ich vieles innerlich so verarbeite aber ob det, aber det sind keine Ängste in dem Sinne, meiner Meinung nach. Warum haben Sie das gefragt? Haben Sie Leute gehabt, die es gesagt haben, ich hatte aber Angst?
PS: Ja, ja, also, es ist natürlich sehr unterschiedlich.
Jp: Ja, na ja, immer wenn es schlimm ist war, denn habe ick sofort überlegt wat kannste machen? Gut dass ich immer noch, ja, da war und wat machen konnte, ich wenn ick, damals schon da auf der Weidendammer Brücke auch Schüsse rechst und links, hätte ich ja jar nichts machen können, nicht. Aber da konnte ich ja wenigstens ooch für meine Freundin noch machen, nicht. Da hatte ich ooch keene Ängste mehr, denn in dem Moment, da dachte ich, du must hier schnell weg und bloß los und aus Arbeitsscheu oder irgendwie blos los, drum nicht ich hab jetzt Angst und wat nun passiert dass habe ich nie gehabt eigentlich. Selbst im Roten Rathaus als die dann gesagt haben, also so grosse Ängste hatte ick da ooch nicht, allerdings war mir da unangenehm, dachte ich, Mensch, wenn die Russen hier ufftauchen und auf uns über’n Kopf schiessen, also ist ja aber da hab ich immer gedacht, dann wären wir ja hoffentlich weg sein aber richtige Ängste hatte ich da ooch nicht. Det war det einzige wo ich gedacht hätte, also bloß raus und so, nicht. [pauses] Doch det trinken sie jetzt, Sie haben ja jar nicht getrunken.
PS: Nein, nein, machen Sie sich keine Sorgen.
JP: Aber, die [unclear] Flaschen sind zwei, grosse Flaschen sind noch geschlossen.
PS: Ich wollte Sie nur noch ein Paar letzte Fragen stellen.
JP: Ja.
PS: Ehm, [clears throat] wenn Sie zurückblicken auf die Zeit, welche,
JP: Wie bitte?
PS: Wenn Sie in Ihren Erinnerungen zurückdenken an die Zeit, ehm, was dachten Sie damals von den Engländern und von den Amerikanern, die euch bombardierten?
JP: Wie, was, ich, über die sagen sollte? Oder, wie?
PS: Ja.
JP: Wie meinen Sie?
PS: Wenn Sie in Ihren Erinnerungen zurückdenken an die Zeit,
JP: Ja.
PS: Was dachten Sie von den Alliierten, die euch bombardierten?
JP: [sighs] Na ja, ich war natürlich ooch ein bisschen beinflusst durch meinen Vater. Vorher als ich, da war ich, da hatte ich vorher schon angefangen zu sagen, noch sehr, war ich zwölf Jahre oder so, nicht, und habe immer gehört dass Hitler Autobahnen baut und wat der alles tut, und dass mein Vater so über Hitler schimpft, da habe ich mit ihm, mit meinem Vater mich gestritten beinahe und hab gesagt, warum schimpftst du immer, nicht, der macht doch wenigstens was, bis mein Vater, er hat mir später mal gesagt, das wäre für ihn sehr schwer gewesen altergerecht, so jung wie ick war, mit zu erklären wat er damit meint, das der Mann, Mensch uns nicht gut tut, nicht, das mir auch richtig zu erklären. Er hat’s immer versucht und das habe ich dann, das habe ich erst langsam gemerkt dass er recht hatte aber Angst dabei hatte ich auch nicht. Dat einzige, wat ich immer nicht verstanden habe, mit viele jungen Frauen bei den Amis zum Beispiel die sich dann, weil’se wussten das se wat zu essen kriegen, und Schokolade oder Mitgebrachtes, oder auch mal mit dem Auto mit denen mitgenommen werden da hab ick immer gedacht, dat machst du nicht, mit den Amis musste nicht, Engländer war zu weiter weg, Olympia Stadion war ja ooch für uns so weit weg, für mich sehr weiter weg, Amis waren, die Nachbarn, also [unclear] nicht, da hab ich manchmal mitgekriegt, da dacht ich neh det machts du, das wirst du nicht machen, du musst doch nicht als Deutsches Mädchen nun dir einen Amerikaner anlachen bloß weil der da nun det kriegst oder jenes kriegst, es ist auch meistens gar nicht gut gegangen, eine Kusine von mir die hat einen Ami dann auch so sich angeangelt und ist dann mit ihm, der hat sie sogar mitgenommen nach Amerika, glaub nach Kanada, nee, Kanada war nicht normal, Amerika, nicht Kanada und hat sie mitgenommen aber die Ehe ist nach kurzer Zeit, wieder sie ist dann alleine wieder zurückgekommen, hat ooch nicht geklappt, da hab ich im Stillen so gedacht, warum machen so viele Frauen dat, na ja, ob so viele waren, aber ich hab’s von einigen gehört dass die so, dass, die denken auch. Ich habe nicht gemeint, ich hab die nicht verflucht nun oder, ehm, die Amis oder Engländer oder Franzosen, weil die ja, ick hab zwar im Stillen mal gedacht, als die Bombe, als die, ehm, det waren ja die Amis, die, die, wie heißt diese Bombe, die so schlimm ist, geworfen haben? Und so viele in, drüben in, kaputt gegangen sind?
PS: Die Atombombe.
JP: Wie bitte?
PS: Die Atombombe.
JP: Welche?
PS: Die Atombombe.
JP: Atombombe, wo die Atome die die Menschen, so viele umjebracht haben. Da habe ich ooch jedacht, ja, aber habe ich im Stillen jedacht, ob das nun das einzige Mittel war damals aber nicht inzwischen ist ja, aber geistert ooch dauernt hört man wieder, nicht, aber ich hab’s, aber im Stillen gedacht, ja, hinter, vielleicht war det ooch erst hinterher dass eben dadurch wenigstens der Krieg zu Ende ging, wat ja dann gestimmt hat. Also des war aber eine sehr verflixte Sache, die hab ich ooch nicht so gut jefunden aber ich hätte ooch nicht jewusst, wat man ausserdem hätte machen können, na ja, was soll ich dazu sagen, nicht? [laughs] Det, das, ehm, denn der Krieg, dass der zu Ende wollte, gehen sollte, wollte ich ja in jedem Fall ich auch, das ist, dass ich mit den, die Engländer waren immer zu uns sehr freundlich weil wir viel, ich bin denn später immer mit ins Mommsenstadion, dort mit hingefahren, hatte da auch Vorträge und die kamen und haben uns ooch öfter wat zu essen so gebracht den wir morgens wurden wir schon um fünfer abgeholt mit einer Gruppe im Bus hingefahren, nicht, und haben da Vorträge uns anhören müssen und die waren immer sehr freundlich, ooch im Stadion, nicht. Det waren ooch alle Engländer, weil ja, da gehörte ja zu dieser Teil, nicht, zu Berlin, ehm, also da hab ich, da konnte. Na ja, und die Italiener, mein Name, die waren ja denn ooch erstmal unsere Feinde, da hab ick mal gedacht, ja warum, also hat mir mein Vater mir ja damals schon erklärt, det Schiessen mit gegen einander, warum man, wir sind alle Menschen und ja, mein Vater konnte mich auch immer besser beinflussen, nicht, dat kann ja auch nicht jeder Vater machen mit den Kindern. Na, noch Geschichten?
PS: Nein, nur eine einzige Erinnerung, von der Sie mir erzählt hatten. Sie redeten, erzählten mir vorher einer Episode die mit den Rauchbomben zu tun hatte.
JP: Wie bitte?
PS: Rauchbomben.
JP: Rauch?
PS: Rauchbomben, die ins Haus gefallen sind.
JP: Ja, aber was damit?
PS: Ehm, ja.
JP: Ich hab nur in der Wohnung von meiner Tante, nicht, und auf’n Treppengelände lagen ein Paar Rauchbomben, und die habe ich gegriffen, ick weiss ja nicht, ob die in meiner Hand, ist nüscht explodiert, habe ich gleich runtergeschmissen. Unten da kam so’n Blitz, ick hab den auch aus’m schnell Fenster geguckt, wo überhaupt noch ein Fenster war, die Fenster waren ja alle raus, die Scheiben waren ja auch kaputt und raus. Meine Mutter hatte schon lange immer Pappe vor’s Fenster jemacht weil keine Scheiben da waren und teil runtergeschmissen, wat blieb ihr übrig? ich wusste dass ja nun, hatte mein Vater mir ooch gesagt, wenn es da brennt, dann sind es dat eben Feuerbomben, oder wie det hieß, und die Feurwehr hat ooch nüscht gemacht, die kam ‚43 war’se ja am Anfang noch mal da, nicht, danach is ja auch die Feuerwehr nicht mehr dajewesen, nicht? Als es überall gebrannt hat, nicht. Na ja, aber was meinten Sie sonst mit den Bomben?
PS: Nein, ich dachte, ob Sie mir noch ein Paar Einzelheiten darüber geben konnten über dieses [unclear].
JP: Nee, nee, ich weiss eben bloß dass eben bei anderen war, bei den anderen waren es meistens Sprengbomben, das es gleich gesprengt war und kaputt war, aber bei uns da, dieses, dat war die Erinnerung natürlich dass diese Ruine dann runtergebrannt hat in den Wohnungen aber durch die Rauchbomben, nicht, durch diese Rauchbomben, dadurch ist mir det erstmal klar geworden, das det ooch gab, ich hab immer jedacht, das sind mehr, ich glaube das diese anderen Bomben die Sprengbomben sind höher, von höher während die anderen, diese anderen Bomben niedriger, also nicht von oben, ich weiss es nicht, det hat mich nicht so interessiert. Ich hab nur, das weiss ich, dass ich die noch aufgenommen hatte im Flur und einfach runtergeschmissen hatte weil ich dachte, die können jetzt nicht hier brennen, losbrennen [coughs] wenn wir da auf meinen Vater und ich da vorbei wollen, wieder runter [coughs]. Und da ist ooch unten nüscht passiert weil ja nüscht zu brennen war, war Asphalt eben unten der Boden, wo ich’s runtergeworfen hatte, nicht. Da war’n Baum, ja wir hatten eine schöne Kastanie, eine grosse die da auch stand und daneben also war nur der Baum da und sonst eben nüscht weiter, kein, also dass war ja das habe ich ja nüscht uff Menschen oder uff’s Haus oder irgendwo jeworfen sondern nur erstmal das es von der Treppe da runter kam. Aber wat anderes kann ick, kann ick davon nicht sagen [unclear].
PS: Haben Sie je die Flugzeuge gesehen, die die Bomben abwarfen?
JP: Wie bitte?
PS: Haben Sie je, oder erinnern Sie sich, ob sie je die Flguzeuge gesehen haben, die die Bomben abwarfen?
JP: Ja, wenn wir, wenn wir, wenn ich mit rannte, meine Eltern schon in dem, unten in dem Gleisen im Bahnhof waren, war ich ja immer die letzte, weil ich die Kinder da mitjeholfen hab, fertig zu machen und mit den beiden Kindern, bin ooch hier ran, zum, ins Kirchwarten, nee, Kirchwart nicht, der hat ja mal gesehn, der sagt, du rennst ja schon wieder, nun mach mal, die schiessen doch schon, die werfen doch schon die Bomben ab, guck doch mal! Ick habe det Blitzen nur jesehen, ich hab den, bin ja denn hochjerannt, nicht? Weil ick musste ja auch denn rennen, ich bin ja nicht langsam jegangen. Bloß weil ich die beiden Kinder hatte konnte ja nicht so pesen wie wenn ick alleine gewesen wäre und da hat der Luftschutzwart dann ooch gesagt, du rennst, du rennst nicht hin, du musst dich beeilen, die werfen doch schon ab, hat der ooch gesagt, und guck doch, dreh dich um, muss ich mal, wollte ja vorwärts gehen, hab ich ja nicht so viel dahingeguckt aber ein Mal glaub ich habe ich nur so’n Blitzen denn gesehen, direkt hoch, nicht? Gesehen habe ich eben nur bei meiner Freundin wo die tot da neben mir lag, diesen gelben oder roten Stern von den Russen, dass, da hab ich jesagt, das und das war auch bekannt, dass die doll geschossen haben auf uns von, aber nicht die Amis und auch nicht die Engländer, die warfen eben ab, nicht?
PS: Also, dass die Russen von den Flugzeugen aus auf die Bevölkerung geschossen haben.
JP: Ja, also ich hab’s ja nur dadurch gemerkt, nicht, weil, ehm, weil ich das Sogen noch hörte, nicht? Det sogte ja so’n bisschen, meine Freundin die neben mir stand, det war ja alles in Sekunden schnell, nicht? Der Schuss der fiel sofort und der sauste da vorbei, det ich habe det das noch gesehen, ich dachte, det kann doch ja net sein, aber das waren die Russen weil die viel niedriger waren, nicht, die haben, waren ja nicht so wie die Engländer und Franzosen oder Amerikaner, vor allen Dingen auch net, die denn später denn auch in Tempelhof das Dankeschön, also wat teils Dankeschön für die Kinder den die Schokolade runtergeworfen haben, die Kinder, denn wir hatten die, unseren, die im Büro sassen in der Schule, die ist jünger als ich, ja zehn Jahre oder so, und die hatte, die lebt ja auch noch, die hat freudestrahlend mir denn in der Schule den nächsten Tag gesagt, ich hätte, Frau Petenati, jetzt duzen wir uns aber damals, hatse mich also angesprochen und hat gesagt, ich habe und hat des erzählt, dass sie Schokolade bekommen hatte sogar, sie wäre auch schon ein bisschen grösser als ich und hat Schokolade weil so viele Hände, Kinderhände da auch Schokolade haben wollten von denen, die da oben det runtergeschmissen haben, hätt sie eine Tafel Schokolade erwischt, nicht, und hat sie mir mal noch erzählt. Na ja, so, des war, aber und direkt mit Bomben zu hab ich, man hat denn immer nur Auszügen haben ich denn gehört und gesehen von Leuten, von Soldaten die in den Flugzeugen sassen, die später, ehm, dann von sich sprachen, mit welchen Gefühlen sie dann, eben die Bomben geworfen haben und so. Nur später habe ich manchmal so eine Geschichte mal von der Kirche, weil ich ja manchmal zur Kirche jegangen bin die denn der erzählte ooch dass er immer, er musste ja, die kriegten ihren Befehl, nicht, und mussten det ja machen ob sie wollten oder nicht, der hat es so geschildert auch, nicht? Aber sonst direkt das ich’s gesehn habe, das habe ich nicht. Hatten Sie da Interviews die das direkt gesehn haben? Ich hab manchmal eben nur det Blitzen, weil der Luftschutzwart sagte, sie dir das det an, det blitzt doch schon, die fallen ja schon die Bomben, da sind die schon gefallen aber nicht direkt auf unseren Kopf, ich hab’s immer noch jeschafft bis da unten runter, nicht?
PS: Ehm, Ich habe nur eine letzte Frage für Sie. Es ist wirklich.
JP: Wie bitte?
PS: Ich habe nur eine letzte Frage für Sie. Ehm, wie sehen Sie die Bombardierungen von damals, von heute aus gesehn? Also, wenn Sie jetzt zurückdenken an die Zeit, was denken Sie heute von, von dem was damals passiert ist, von den Bombardierungen Berlins von damals?
JP: Na ja, ich, aber ich, inzwischen wusste ich das, wusste ja, dass das auch zum Kriegsende gewünscht war, nicht, Kriegsende, und Kriegsende war für mich so wichtig dass ich dachte, dieser verdammte Krieg muss zu Ende gehen, ehm, und ich immer für dafür gestanden habe, also da hab ich gar nicht, vielleicht gibt es Leute die da gegen Engländer, Amerikaner und, ehm, auch Einstellungen gehabt haben, dagegen, nicht? Und sagen, unmöglich, und das furchtbar wat die gemacht haben und so, so habe ich nie geredet weil ich mir gesagt habe, die wollten ja nicht uns nur bestrafen sondern eigentlich Hitler, den Krieg beenden, denn geht’s allen vielleicht besser. Habe ich damals schon so’n bisschen gedacht di erste Zeit danach. Und im Grunde war et aber ooch so, oder? Oder gib’s den von ihren, haben Sie da welche die da im Gegenteil sagen sie, wie konnte’se det machen, wie konnten’se da bombardieren oder so?
PS: Unterschiedliche.
JP: Wie bitte?
PS: Es sind unterschiedliche Meinungen.
JP: Unterschiedlich, nicht? Also, ich hab das nie gesagt, weil ich immer gesagt habe, so schlimm, mit Sicherheit gesagt, so schlimm wie es war, natürlich, det habe ick ja gemerkt, wat so passiert auch, nicht? Aber es geht alles, es geht’s ja um den blöden Krieg und ich inzwischen hatte ich ja nur jewusst, durch meinen Vater dass er mir det alles schon früher so erklärt hat, dass eben Hitler eben die ganze Welt und wat der alles machen wollte, alos aber det is ja wieder wat anderes, nicht? Wen mann überlegt wat der Hitler alles wollte, wie der uns, wie der moderne Sachen bauen wollte, bloss, ohgottogottogott, dat hätte ich den umbringen können wen ich den gehabt hätte oder gesehen hätte. Ja, aber det is eben, ja jetzt können’se schon ja nimmer mehr richtig sitzen [laughs]. Aber vielleicht jetzt zum Schluss vielleicht noch doch noch was trinken. Bisschen.
PS: [laughs] Ja.
JP: Wie bitte?
PS: Aber erst möchte ich, ich möchte mit dem Interview jetzt aufhören und erstens mich sehr recht herzlich auch im Namen des International Bomber Command Digital Archive bei Ihnen bedanken für Ihre Zeit und für alle die sehr interessanten Sachen, die Sie mir erzählt haben und mich noch recht herzlich bedanken und ich würde jetzt Schluss machen.
JP: Und wichtig, das könnte aber ich doch, aber das steht ja auch auf der einen Seite, dass ich’s wichtig finde dass man ein bisschen von der Sachen was man noch so weiss ruhig erzählen sollte weil damit, wir haben seit ‚45 keinen Krieg mehr hier in Deutschland und ich will, solange ick denke immer solange, bloß keenen Krieg solange ick noch lebe, keinen Krieg, wir, ich bin so sehr, freue ich mich so dass noch so, nach so langer Zeit, da hatten wir ja noch nie in Deutschland ohne Krieg gelebt, nicht? Und das ist so für mich so wichtig, denn wer liebt Krieg? Und vielleicht gib’s da auch Leute die denken det is, oder junge Leute, denken ja nicht so daran. Aber ich hatte immer öfter Interviews mit Mädchen aus der Oberschule, manchmal waren’s drei sogar, irgendwann waren’s glaub ich vier oder fünf, die dann immer das auch betont haben, die wenigsten gesagt haben, also sie sind so froh, dass sie jetzt in Deutschland, das waren Kinder, Flüchtlingskinder, nicht. Also det heißt, Ihre Eltern kamen, waren nach Berlin aus der Türkei hier nach Berlin jekommen und die dann immer sagen, sie sind so glücklich dass Deutschland eben noch keinen Krieg hatte, hoffentlich sagen die meisten auch da, die sagen denn hoffentlich bleibt es so, nicht und sind es auch meine Ideen und dass solange ich noch lebe, bin ja ooch so alt schon jeworden, ick kann ja wenigstens noch so ein bisschen berichten wenn auch nicht so grafierende Sachen, nun so tolle Sachen berichten aber det wat ick so erlebt habe und noch so in Erinnerung habe, wie schlimm es im Grunde war, nicht? Und, und, ehm, und damit auch junge Leute, wenn’se Interesse haben es nicht vergessen dass das immer passieren kann, nicht, Und es wird ja nun noch, wie viele werden heutzutage noch erschossen [unclear]? Ick kann nicht mehr im Fernsehen, ich kann nicht mehr, da glaube ich, weil Sie fragten nach Ängsten, ick habe nie, eigentlich nie gehäult, oder irgendwie mich aufgerägt oder besonders mich aufgerägt aber wenn ick dann im Fernsehen irgendwie doch sehe von irgendwelchen die des aufgenommen haben, wenn man’n Kind verliert oder irgendwat, da sitze ick manchmal wenn ick denn, ick mache es meisstens wieder dann aus, wiel ick sitze und plötzlich kommen mir die Tränen, dabei bei ganz anderen die mich ja im Grunde gar nichts weiter angehen aber die Situation, warum passiert? Warum schiesst det einfach? Warum wird det Kind da erschossen? Warum werden die erschossen? Warum explodieren die, ooch in China oder wo det war, oder in Japan oder irgendwo wo die Kinder die über Reis, mit Reis zu tun hatten, wo’se vorher Bomben reingeschmissen haben und wo die denn explodieren durch die Bomben weil sie da Arbeit tun mussten, also da dachte ich wie kann man sowas machen? Ja, natürlich kommen dann diese Gedanken immer und aber direkte, wat kann mann machen, nicht? Wat kann mann machen?
PS: Immernhin, ich bedanke mich noch recht herzlich bei Ihnen und ich.
JP: Und wenn’s für die Engländer, ich hab’s ja vorher gesagt dass weil ich nun ein bisschen entfernter bin als, also und ich nicht nur sondern die da mitfahren und da kenne ich jetzt auch keine mehr, weil die immer sehr freundlich waren zu uns und ich ja immer da überhaupt keine Schwierigkeiten hatte, ich hatte auch mit den Amis nicht, bloß det fand ich nicht gut mit den Mädchen, wat ick vorher ja gesagt hatte, nicht? Ihr Deutsche Mädchen, ick hab nie so gehört dass die so voller Engländer, die waren wohl mehr zurückhaltender, und auch weniger als die Amis, oder? Ich weiß nicht. Vielleicht war es so, ich weißnicht, denn da hab ich das nicht so gehört, dafür hab ick immer gedacht, dat ist nicht so nötig aber vielleich ist et ooch nötig, überhaupt alle miteinander, wir leben doch alle auf eener Kugel noch, solange es die Kugel gibt, manchmal, ich mag nicht die Zeugen Jehovas, die sind ja in der Nazi-Zeit ooch eingesperrt worden und jetzt vor kurzem kamen wieder zwei ältere Herren wieder durch, die trauen sich det immer nicht zu sagen, dass sie von Zeugen Jehovas sind, bloß da hab ick mich sehr eingesetzt, nicht für sie und ooch nicht direkt dagegen, gegen einiges von ihnen, dass die ihre Kinder, wenn die in der Schule sind, dass die nicht mal die Gruppen mit den anderen auf Gruppenfahrt gehen dürfen, die dürfen dat nicht, die dürfen det nicht, die dürfen jenes nicht, det sage ich denen immer wenn die mich fragen warum ich det nicht mag, nicht? Weil ich das eben, ja weil ich det nicht so gut finde, nicht, und dass die, auch die, allerdings wat ick ooch nicht gut finde, aber die werden ooch, weil ich immer denke für die, ooch Deutsche Jungs, oder Deutsche werden Junge, ehm, die nach, mit den Islamisten [unclear] machen und einen ooch tot schiessen, da denke ich immer, wie werden die denn nicht von zu Hause mal anders beeinträchtigt oder anders erzogen, aber ist oft genau das Jegenteil, nicht? Denn der Vater sagt so und die Kinder machen’s anders, nicht? [sighs] Ja. So jetzt.
PS: Immerhin.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Jutta Petenati
Description
An account of the resource
Jutta Petenati recollects her wartime life in Berlin while she was a young girl. She recounts various episodes: the black market; removing incendiary bombs from her house; seeking shelter in an underground train station instead of her house basement, which her father deemed unsafe; children evacuation; prisoners of war forced into bomb disposal squads; and bodies of German soldiers hanging from a lamp posts. She reminisces that her father sensed how Hitler’s rise to power would lead to the conflict. She remembers the end of the war in Berlin: Russian shelling; Americans giving away chocolate; a friend being killed by a stray bullet; and how she escaped an attempted rape by a Russian Army officer. She recollects being arrested by the Stasi after the war and remarks how the bombings were at the same time targeting civilians and the regime, and in doing so shortening the war.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Peter Schulze
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2018-06-22
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
02:04:09 audio recording
Language
A language of the resource
deu
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Germany
Germany--Berlin
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
APetenatiJ180622
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1945
anti-Semitism
bomb disposal
bombing
childhood in wartime
civil defence
evacuation
home front
incendiary device
perception of bombing war
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/457/8025/ABendzkoHW180328.2.mp3
3f34e0663e156576dbd332ffeca3a9b0
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Bendzko, Hans-Walter
H-W Bendzko
Hans-Walter Bendzko
Description
An account of the resource
One oral history interview with Hans-Walter Bendzko who recollects his wartime experiences in Berlin.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2018-03-28
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Bendzko, HW
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
PS: Con l’intervista? Vado? Also, bevor wir anfangen, bitte ich Sie folgende Fragen zu beantworten, damit wir sicher sind, dass dieses Interview nach Ihren Wünschen sowie den Bedingungen unserer Sponsoren gemäß registriert wird. Sind Sie damit einverstanden, dass dieses Interview als eine öffentlich zugängliche Quelle aufbewahrt wird, die für Forschung, Erziehung, online und in Ausstellungen verwendet werden kann? Ja oder nein?
HB: Ja.
PS: Danke. Dass dieses Interview unter einer nichtkommerziellen Creative Commons Attributionslizenz, die mit den Buchstaben CC-BY-NC, das heisst, dass sie nicht für kommerzielle zwecke benutzt werden darf, also dass dieses Interview öffentlich zugänglich gemacht wird? Ja oder nein?
HB: Ja.
PS: Danke. Dass Sie als Author des Interview identifiziert werden? Ja oder nein?
HB: Det habe ich nicht verstanden.
PS: Dass Sie der Urheber des Interviews, der Author des Interviews.
HB: Ach so, ja. Ja.
PS: Ja oder nein? Ja?
HB: Ja.
PS: Danke. Sind Sie bereit, der Universität das Copyright Ihres Beitrags zur Verfügung zu stellen, damit es zu jedem Zweck verwendet wird.
HB: Copyright?
PS: Ja, warten Sie. Damit es zu jedem Zweck verwendet werden kann, aber sind Sie auch dessen bewußt, dass es nicht Ihren moralischen Anspruch beeinträchtigen wird, als Author des Interviews identifiziert zu werden, dem Copyright, Design und Patentsgesetz 1988 gemäss? Ja oder nein?
HB: Bisschen kompliziert aber ich sag mal ja.
PS: Danke. Ehm, ich bitte Sie jetzt um fünf Sekunden Schweigen,
HB: Ja?
PS: Weil es der Techniker verlangt.
HB: Ja. [coughs]
PS: Also, dieses Interview wird für das International Bomber Command Digital Archive geführt. Der Interviewer ist Peter Schulze, der Befragte ist Herr Hans-Walter Bendzko. Heute ist der 28 März 2018. Wir danken Herrn Bendzko für dieses Interview. Dieses Interview wird Teil des International Bomber Command Digital Archive, das an der Universität Lincoln angesiedelt und vom Heritage Lottery Fund finanziert wird. Also, Herr Bendzko, konnen Sie mir ertsmal etwas von Ihrer Jugend erzählen und von Ihrem früheren Leben, wo Sie geboren und aufgewachsen sind, Ihre Familie, Ihr Elternhaus.
HB: Ja, bin 1930 in Groß-Berlin geboren. War erst bei meinen Eltern. Als sie sich haben schieden lassen bin in ein Kinderheim gekommen bis 1945 und dann war ich bei meinen Grosseltern und habe Autoschlosser gelernt.
PS: Können Sie mir ein bisschen mehr von Ihren Eltern erzählen, welchen Beruf sie hatten, und so, in welcher Umgebung Sie eben geboren und aufgewachsen sind?
HB: Soweit ich mich erinnere, war mein Vater Buchhalter bei Rheinmetall-Borsig und meine Mutter war Hausfrau.
PS: Wenn Ihnen etwas einfällt, können Sie ruhig frei mir was erzählen.
HB: Ja, müssten mir mal ein Ziel sagen.
PS: Ja, wie war, wie war die, sagen wir die Stimmung so zu Hause während der Nazi-Zeit? Was haben Sie so mitbekommen als Kind?
HB: Tja, was hat man mitgekriegt? Eigentlich ein normales Leben. Mit zehn Jahren bin ich ins Jungvolk gekommen und, wiegesagt, dann war ich im Kinderheim Wannsee. Dann waren wir evakuiert wegen der Bombenangriffe und sind dann so im März glaub ich zurückgekommen nach Berlin. Dann bin ich zu meinen Grosseltern gekommen und habe da meine Lehre angefangen.
PS: Wie war die Zeit im Kinderheim?
HB: Die war eigentlich ganz gut da [unclear], man hat sich gut um uns gekümmert. Und wiegesagt da wir evakuiert waren beim Dorf da bei Spremberg hatten wir hier diese Angriffe, die Bombenangriffe nicht so miterlebt. Hab lediglich einmal, aber det waren Amerikanische Flugzeuge so am Tage fliegen sehen und habe mich gewundert, dass von der Deutschen Luftabwehr nischt passierte, weder Flak noch Jäger und hab dann so bei, sag mal 67 Bomben aufgehört zu zählen.
PS: Erinnern Sie sich noch an etwas über die Bombenangriffe und wie Sie das so erlebt haben?
HB: Also da draussen, bei Spremberg, bei der Evakuierung haben wir weiter nichts erlebt. Und als wir dann nach Berlin zurückkamen, [unclear], da war eigentlich mehr der Angriff der Roten Armee auf Berlin in der Erinnerung. [laughs]
PS: Erinnern Sie sich an Ihre Zeit als Kind, was Sie gespielt haben, und an andere Kinder oder so? Haben Sie irgendwelche Erinnerungen an Ihre Kind, Zeit als Kind?
HB: Nee, eigentlich wüsst ich [unclear], im Kinderheim haben wir immer zusammen gespielt, aber wat det nun noch war, das ist alles gelöscht. Ich gehe nun auf die 88 zu und da ist det eigentlich alles gelöscht.
PS: Haben Sie auch Zeit in, haben Sie auch Zeit in Luftschutzkeller verbracht oder?
HB: Luftschutzkeller, ja, zum Kriegsende, sind wir immer in Keller gegangen, weil ja die Rote Arme immer dichter kam.
PS: Wo waren diese Luftschutzkeller?
HB: Na, wir haben gewohnt in Zehlendorf, Onkel Toms‘ Hütte, Eschershauser Weg.
PS: Erinnern Sie sich ein bisschen an die Umgebung und die Stimmung die damals herrschte, auch unter Kindern?
HB: Wir Kinder haben alles als normal hingenommen, so lange wie die [unclear] funktionierten, ja? Hat sich jeder nach Hause auf’n Weg gemacht und ist in Keller gegangen, mit Eltern, oder Grosseltern oder wo eben grade wohnte.
PS: Und wie waren diese Keller?
HB: Normale Keller, so wie sie heute auch sind, bloss dass sie zum Teil, aber da bin ich mir so unsicher weil ich da viel drüber gelesen hab, die dann so mit Balken abgestützt waren.
PS: Für wie viele Leute war da Platz, also?
HB: Wartense mal, im Keller sassen immer auf zwei [unclear], waren vier, acht Wohnungen, also sagen wir mal so um zwanzig Menschen sassen da immer in einem Keller.
PS: Waren da mehr ältere Menschen, jüngere, Frauen, Kinder?
HB: Na ja, genau, die älteren, die anderen waren ja zur Wehrmacht eingezogen und dann die Frauen und Kinder.
PS: Haben Sie noch Erinnerungen an das Kinderheim, in dem Sie waren?
HB: Ja, das war in Wannsee, Alsenstrasse 12, so eine kleine Villa. Wir waren ungefähr 25 Kinder, hatten eine Köchin, und drei oder vier Tanten und eine Heimleiterin.
PS: Wenn Ihnen noch etwas einfällt, können Sie ruhig frei weitersprechen.
HB: Und in welcher Richtung jetzt noch [unclear]?
PS: Ja noch, etwas anderes eben über das Kinderheim, Erinnerungen oder alles was Ihnen so jetzt einfällt.
HB: Wie gesagt, wir waren ja [clears throat] zwei Jahre evakuiert bei Spremberg und wurden dann nachts von dem Autobus abgeholt und nach Wannsee gebracht. Und sind da denn die letzten Tage zur Schule gegangen.
PS: Können Sie mir noch den Namen wiederholen, wo Sie evakuiert waren?
HB: Der Ort hiess [unclear] bei Spremberg.
PS: Ich habe jetzt den letzten Namen nicht so richtig mitbekommen.
HB: Spremberg?
PS: Ja.
HB: S, p, r, e, m, berg, Spremberg.
PS: Erinnern Sie sich, wie Sie die Zeit verbrachten im Kinderheim?
HB: Wie bitte?
PS: Wie verbrachten Sie Ihre Zeit im Kinderheim? Haben Sie irgendwelche besondere Ereignisse, die Ihnen jetzt einfallen?
HB: Nö, normaler Tagesablauf. Aufstehen, waschen, Zähneputzen, anziehen, frühstücken, dann haben wir so viel wat gespielt. Dann wieder Mittagessen, Mittagsruhe, dann wieder Freizeit, und abends schnell ins Bett gegangen.
PS: Wie war das Kinderheim organisiert, also, wie waren die Zimmer, die Säle?
HB: Dat war ein städisches Kinderheim und wir waren vier Jungs in einem Vierbettzimmer, im ersten Stock.
PS: Bekammt Ihr, habt Ihr irgendetwas mitbekommen vom dem, was zu der Zeit passierte?
HB: Was passierte? Na ja ausser, als Besonderheiten die Fliegeralarme wo man in den Keller musste, war normales Leben, für Kinder im Kinderheim.
PS: Redeten die Erwachsenen im Kinderheim über den Krieg oder?
HB: Nee, wüsste ich, wüsste ich eigentlich nichts. Zumindest kann ich mich nicht erinnern. Vielleicht dass hier irgendwie, als Stalingrad war, det grosse Ding, dass sie da, darüber gesprochen haben, unsere Erzieherin, aber ich glaube wir Kinder haben noch nicht mal Zeitungen gelesen.
PS: Und welche Erinnungen haben Sie an die Bombenangriffe?
HB: Na ja, dass wir im Trainingsanzug zu liegen hatten da in der Nähe vom Bett und sowie dann die Sirenen kamen, Trainingsanzug an und runter in den Keller.
PS: Erinnern Sie sich noch an den?
HB: Wobei, jetzt fällt mir noch ein, 1940 muss es gewesen sein, als die ersten Englischen Nachtangriffe anfingen, da ist eine Stabbrandbombe in ein Zimmer gefallen und die hatte hinten eine Hülse, die wurde abgerissen wennse durch die Dachziegel schlug und fing dann an zu brennen und die ist in ein Kinderbett gefallen und hat da gebrannt. Und auf‘m Nebengrundstück war so eine SHD, die Sicherheits und Hilfsdiensttruppe, die kamen denn und haben dann da gelöscht.
PS: Und das war im Kinderheim.
HB: Das war im Kinderheim, Alsenstrasse 12, in Berlin-Wannsee.
PS: Erinnern Sie sich noch an den Laut der Sirenen, and das Heulen der Sirenen?
HB: Ja, ja, öfter wenn man so Filme sieht, original.
PS: Haben Sie noch andere Eindrücke an die, Erinnerungen an die Englischen Nachtangriffe?
HB: Nee, eigentlich nicht, wir waren ja im Keller. Raus durfte man nicht und gucken. Heim wurde auch weiter nicht getroffen. Viel mehr könnte ich nicht sagen.
PS: Als Sie zurückkamen nach Berlin, was haben Sie vorgefunden? Haben Sie irgendwelche Eindrücke an die Zeit?
HB: Da warte mal, bin dann zu meinen Grosseltern gekommen, in Onkel Toms Hütte und dann in die Lehre gegangen [unclear] musste ich ja eine halbe Stunde laufen, bis dann die Rote Armee kam.
PS: Können Sie mir das noch ein bisschen besser beschreiben?
HB: Den Endkampf, ja?
PS: Ja, die Zeit des Ende des Krieges.
HB: Ja. Ja, die kamen immer dichter und soweit ich mich erinnere, war dann auf einmal Schluss, da hat wohl der Ort Zehlendorf kapituliert und dann zog gegenüber von unseren Wohnblock dieser Eschershauser Weghäuser waren da immer drei Blöcke auf jeder Strassenseite. Da wurde denn gegenüber der Block geräumt, da zogen dann die Sowjetischen Soldaten ein, stellten ihre Fahrzeuge schön ordentlich auf die Rasenfläche und wir Kinder haben dann natürlich mit den Soldaten Kontakt aufgenommen. Da gab’s ja keine Wasserleitung und keine Elektro, kein Gas mehr und dann haben wir gegenüber, da war die Offiziersküche, haben wir dann für den Koch immer Wasser geholt von der Pumpe. Und von den dann haben wir immer, [unclear] mit dem Essen fertig waren, haben wir dann immer so ein Liter Eimer voll Essen gekriegt. [unclear] mit nach Hause genommen haben zu meinen Grosseltern, die waren ursprünglich aus Ostpreussen und haben sich gar nicht rausgetraut.
PS: Haben Sie noch andere Erinnerungen, von denen Sie mir erzählen möchten?
HB: Tja, [unclear], so im Moment weiter nicht, dass wir ausserdem gut mit den ausgekommen sind bis die abgezogen sind, nö, wüsst ich nicht weiter.
PS: Wo wohnten Ihre Grosseltern?
HB: Bitte?
PS: Wo wohnten Ihre Grosseltern?
HB: In Zehlendorf, Onkel Toms Hütte, Eschershauser Weg 27.
PS: Sie erzählten mir vorher von einer Brandbombe, die ins Kinderheim, also eingebrochen ist, eingefallen.
HB: Ja, ja.
PS: Es ist nur einmal passiert?
HB: Ja, ja, gleich am Anfang, 1940. Die Engländer hatten die irgendwie so warscheinlich aus Bündeln rausgeworfen. Dann brannte überall, das waren so Waldgrundstücke, da lagen die überall und da sah man dann so die Flammen von den Phosphor [unclear].
PS: Also es waren Phosphorbomben.
HB: Ja, soweit ich als Laie sagen kann, Termit war nicht, Termit war wohl greller.
PS: Hat es damals, damals hat es keine Opfer gegeben, oder?
HB: Tote oder Verwundete nicht, nee, waren ja alle im Keller.
PS: Erinnern Sie sich ob Sie damals, bei dieser Brandbombe, Gedanken gemacht haben, wer die Bomben abgeworfen hat?
HB: [laughs] War ja klar, nachts kamen die Engländer und am Tag die Amerikaner.
PS: Erinnern Sie sich welche Gefühle Sie damals gegenüber diesen, welche Gefühle Sie damals hatten?
HB: Da war Krieg und jeder hoffte, wir auch, [unclear] dass wir den Krieg gewinnen.
PS: Und haben Sie auch mit den anderen Kinder irgendwie ein bisschen darüber gesprochen? Ich weiss, dass Sie sehr klein waren immerhin.
HB: Nee, nee, nee, nee.
PS: Wieviele Bombenangriffe haben Sie dann miterlebt?
HB: Oh, das kann ich nicht zählen. Ob dann nun jede Nacht oder so, nee, da bin ich überfragt, beim besten Willen, das wüsste ich nicht mehr.
PS: Erinnern Sie sich an den Tag, an dem der Krieg zu Ende war?
HB: Im Berlin, war Kapitulation am zweiten Mai. Die Russen, die Soldaten, die haben dann da gefeiert und für uns war natürlich auch beruhigend, dass nun zu Ende war mit Bombenangriffen und so.
PS: Sie sagten, Sie sind auch im Jungvolk gewesen. Wie erinnern Sie sich an die Zeit?
HB: Ja. Ja, das war da immer in Wannsee, da war ich im Kinderheim, das war denn Sonnabend oder Sonntag, [unclear] unseren Dienst hatten.
PS: Fällt Ihnen noch etwas ein zu dieser Zeit?
HB: Jetzt hier Jungvolkdienst oder was?
PS: Ja.
HB: Na ja, das war diese übliche Form militärischer Ausbildung, würde ich heute sagen, antreten, rechts rum, links rum, marschieren, diesen ganzen Quatsch.
PS: Und wie fanden Sie das als Kind?
HB: Das war interessant, war eine Abwechslung, ja? Jeder wollte ja Soldat werden.
PS: Hatten Sie dann auch Unterricht zu der Zeit?
HB: Ja, wie einen Schulunterricht, ja klar, volles Programm.
PS: Würden Sie gerne noch etwas hinzufügen zu Ihren Erfahrungen mit den Bombenangriffen?
HB: Nee, wüsste ich nicht mehr.
PS: Können Sie mir etwas noch zu der ersten Nachkriegszeit, also zu der Nachkriegszeit erzählen?
HB: Die erste Nachkriegszeit, mit der Ernährung war [unclear] Arbeiterkarte hatte, meine Grosseltern hatten ja nur die Hungerkarte, [unclear] meine Lehrwerkstadt wo ich gelernt hab. Dann haben wir dann erst mit den Kraftfahrern, die Sowjetischen, also [unclear] Autos repariert, kriegten wir da auch Verpfelgung von Russen, bis denn die Amerikaner einzogen.
PS: Erinnern Sie sich an irgendetwas, an die Zeit, als die Amerikaner eingezogen sind?
HB: Die haben erst mal da deutsche Häuser beschlagnahmt und die Leute da rausgesetzt, mussten dann woanders untergebracht werden bis sie denn für die Amerikaner eigene Siedlungen gebaut haben.
PS: Es gab wenig zu essen zu der Zeit.
HB: Ja, ja, war eine ziemlich hungrige Sache da.
PS: Erinnern Sie sich was Sie noch so zu Essen hatten?
HB: Na ja, was so auf Karten zugeteilt wurde. Brot, Margarine, irgendwelche Wurstsorten, Kartoffeln.
PS: Ich wollte Sie dann noch fragen, was denken Sie heute von den Bombenangriffen von damals? Wie sehen Sie das heute?
HB: Tja, war Krieg, mussteste so hinnehmen. Wir haben bombardiert, die anderen haben bombardiert, jeder wollte den Krieg gewinnen.
PS: Fällt Ihnen noch irgendetwas ein, dass Sie mir vielleicht erzählen möchten, entweder zu der Zeit der Evakuierung oder als Sie wieder in Berlin waren? Irgendwelche Kindheitserinnerungen?
HB: Mehr wüsste ich wirklich nicht.
PS: Erinnern Sie sich an irgendwelche, irgendeinen Geruch oder an einen Laut oder etwas, dass Ihnen so geblieben ist von der Zeit?
HB: Neine, keine Erinnerungen mehr.
PS: Gut, ich würde dann jetzt aufhören.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Hans-Walter Bendzko
Description
An account of the resource
Hans-Walter Bendzko reminisces about his wartime experiences as a young boy in Berlin, before being evacuated. Describes his time at Wannsee, being properly looked after while surviving one of the Berlin bombings. Mentions incendiaries falling into a room without hurting anyone. Stresses how children saw war as part of everyday life. Recollects wartime episodes: his time in the Deutsches Jungvolk (described as a departure from daily routine), food shortages, working class ration cards, and the first British night operations in 1940. Mentions the sight of aircraft and wonders why they weren’t fired on by anti-aircraft fire or fighters. Describes the last days of war: seeking refuge from the advancing Red Army in a shelter, the fall of Berlin, contacts with the Russian soldiers, bartering water for food.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Peter Schulze
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2018-03-28
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:30:30 audio recording
Language
A language of the resource
deu
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ABendzkoHW180328
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Royal Air Force
Royal Air Force. Bomber Command
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Germany
Germany--Berlin
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1940
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
anti-aircraft fire
bombing
childhood in wartime
civil defence
home front
incendiary device
perception of bombing war
shelter
Sicherheits- und Hilfsdienst
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/390/6910/AEssigD180320.1.mp3
a4ca92b5f79204af0604c5c307d9b335
Dublin Core
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Description
An account of the resource
One oral history interview with Dieter Essig (b. 1938) who witnessed the 1944-1945 Pforzheim bombings.
Title
A name given to the resource
Essig, Dieter
D Essig
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Essig, D
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2018-03-20
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
PS: Bevor wir anfangen, bitte ich Sie folgende Fragen zu beantworten, damit wir sicher sind, dass dieses Interview nach Ihren Wünschen sowie den Bedingungen unserer Sponsoren gemäß registriert wird. Sind Sie damit einverstanden, dass dieses Interview als eine öffentlich zugängliche Quelle aufbewahrt wird, die für Forschung, Erziehung, online und in Ausstellungen verwendet werden kann? Ja oder nein?
DE: Ja, beginnt ruhig. Ja.
PS: Gut. Danke.
DE: Bitte.
PS: Das dieses Interview unter einer nichtkommerziellen Creative Commons Attributionslizenz, die mit CC-BY-NC das bedeutet, dass sie nicht für kommerzielle zwecke benutzt werden darf, also dass dieses Interview öffentlich zugänglich gemacht wird? Ja oder nein?
DE: Ja, ja.
PS: Danke.
DE: Bitte.
PS: Dass Sie als Urheber und Author des Interviews identifiziert werden? Ja oder nein?
DE: Ja.
PS: Danke.
DE: Bitte.
PS: Sind Sie bereit, der Universität das Copyright Ihres Beitrags zur Verfügung zu stellen, damit es zu jedem Zweck verwendet kann und sind Sie sich dessen bewußt, dass das Ihr moralisches Recht beeintrachtigen wird, als Urheber des Interviews identifiziert zu werden, dem Copyright, Design und Patentsgesetz 1988 gemäss? Ja oder nein?
DE: Ja.
PS: Danke.
DE: Bitte.
PS: Also, jetzt bitte ich Sie um fünf Sekunden Schweigen, weil der Techniker das Moment braucht.
DE: Ja, gern.
PS: Gut. Also, dieses Interview wird für das International Bomber Command Digital Archive durchgeführt. Der Interviewer ist Peter Schulze, der befragte ist Herr Dieter Essig.
DE: Richtig.
PS: Heute ist der 20 März 2018. Wir bedanken uns bei Herr Essig, dass er bereit ist, sich interviewn zu lassen. Ihr Interview wird Teil des International Bomber Command Digital Archive, das an der Universität Lincoln angesiedelt und vom Heritage Lottery Fund finanziert wird. Also, Herr Essig, können Sie mir erstmals von Ihrem Elternhaus erzählen, wo Sie geboren und aufgewachsen sind, also die ältesten Erinnerungen die Sie haben?
DE: Ja, gut, ich bin am 30 April 1938 in Pforzheim geboren und wir lebten in, wir, meine Mutter, mein Vater und ich, und meine Schwester, wir lebten im Norden der Stadt Pforzheim, in einer Mietwohnung. Und ich ging zur, damals hat’s geheissen Volksschule und dann später in das Gymnasium, habe dort das Wirtschaftsabitur gemacht und ging dann zur Stadt 1957 und habe dort die Verwaltungslauftbahn beschritten. Ja. Wollen Sie noch was hören?
PS: Ja. Reden Sie ruhig frei.
DE: Ja, also auch, wie gesagt, mit dem Beginn der Bombenangriffe. Ja, gut, also wie schon gesagt, ich war beim Bombenangriff am 23 Februar 1945 sechs Jahre alt, zwei Monate später wär ich also sieben geworden, am 30 April. Wir haben den grössten Teil unserer Jugend, also wir, meine Schwester und ich, die fünf Jahre älter ist, überwiegend in Luftschutzkeller im Mietshaus zugebracht. Es gab ja viele Alarme um diese Zeit, wir hatten 1944 289 Fliegeralarme und insgesammt 261 Stunden. 1943 waren es noch nicht so viele, da waren es 48 Fliegeralarme und nur 79 Stunden. Aber man muss sich mal vorstellen, dass man also Fliegeralarm, wie gesagt, ich war damals sechs Jahre alt, meine Mutter hat mich in einen Teppich gewickelt wenn Fliegeralarm war, wir sind in den Luftschutzkeller und dort lagen wir auf den Boden, beziehungsweise in solchen Feldbetten und haben dann gewartet bis der Fliegeralarm vorbei war. Wir wussten ja nie was uns erwartet, wenn wir die Haustür aufgemacht haben, hatten, was war passiert. Am, ja, also ich wurde immer wieder gefragt, wie habt ihr eure Jugend zugebracht? Ich muss sagen, wir haben, ich habe einen Teil im Luftschutzkeller zugebracht und waren heilfroh, wenn wir wieder nach draussen konnten und festgestellt haben, es ist noch alles in Ordnung. Im Gegensatz zum 23 Februar, auf den ich nachher noch zu sprechen kommen werde. Die Zeit meiner Kindheit, wir wurden um unsere Kindheit, möchte ich mal sagen, betrogen, wir hatten in dem Sinn keine Kindheit, es war, wie schon erwähnt, aber es war überwiegend Bombenalarm und wir hatten nichts zu spielen. Ich weiss noch, mein Vater war bei der Sparkasse da bekam man zu Weihnacht so wie man bei uns sagt [unclear] so bemalte Bauklötzchen, des war für uns ein Festtag, des kam man sich heute gar nichts mehr vorstellen bei diesen Übermass was die Kinder heute haben und das überhaupt nicht so registrieren und in welchen Wohlstand wir heute leben. Ich möchte nun auf folgendes zurückkommen und zwar, es war nicht nur der 23 Februar sondern es fanden ja, der erste Angriff fand ja auf Pforzheim am ersten April 1944 statt, bei dem etwa 80 bis 100 Flieger die Stadt aus [unclear] Richtung anflogen und eine grosse Anzahl Bomben abwarfen. Diese fielen hauptsächlich auf den Südteil der Stadt, das Rod und den Südteil [unclear], dabei sollen nach Angaben 95 Menschen ums Leben gekommen und 127 Familien obdachlos geworden sein. Am 10 Oktober 1944 abends erfolgte ein schwerer Angriff mit Luftminen auf die Nord und Oststadt folge neben beträchtigen Gebäudeschäden über 60 Menschen kamen dabei ums Leben. Für mich auch noch in Erinnerung war der 24 Dezember 1944, Heiligabend, Zielviertel und Nordstadt waren Ziel eines Grösseren Luftangriffs, neben Gebäudeschäden waren etwa 90 Menschenleben zu begraben, zu beklagen. Ein grösserer Angriff richtete sich in den Mittagsstuden des 21 Januar 1945 hauptsächlich gegen die Oststadt, neben erheblichen Gebäudeschaden waren etwa 58 Todesopfer zu beklagen. Ich werde auch immer wieder gefragt, das will ich an dieser Stelle sagen, ob ich mich tatsächlich noch an diese Zeit erinnern kann. Und ich bin mit mir zur [unclear] gegangen, habe auch meine Schwester gefragt, mein Gedanken gegangen und ja meine Erinnerungen, die beginnen so ungefähr mit dem vierten Lebensjahr. Es kann natürlich unterschiedlich sein aber so ab dem vierten Lebensjahr und wenn man älter wird, je älter man wird desto mehr macht man in Reminiszenzen. Ich kann heute Sachen sagen die ich damals erlebt habe, Sachen die vorgestern waren, die habe ich vergessen. [coughs] Entschuldigung. Nun ich wurde darüber gefragt ob ich traumatisiert sei, ich muss des sagen: ‚Nein‘ und aus einen ganz einfachen Grund. Ich wache nicht nachts schweiß geballt auf, denn die Zeit meiner Jugend die wir im Luftschutzkeller oder draussen verbracht haben, des war für uns Alltag. Wir haben praktisch mit dem Krieg gelebt, wir sind im Krieg aufgewachsen und wir haben, so makaber es klingt, wir haben mit den Toten auf Du und Du gelebt, wir haben sogar mit den Leichen nicht gespielt aber [coughs], wir haben sie auf der Strasse liegen sehen. Nun möchte ich zum eigentlichen Thema kommen, zwar, Entschuldigung [coughs], der 23 Februar 1945. Wir, meine Mutter, meine Schwester, mein Vater war ja noch im Krieg, wir waren im Zentrum also am Markplatz Pforzheim und da hatte meine Oma einen, heute würde man sagen, einen Krämerladen, also, ja, so einen Edeka, und die haben wir ja noch besucht und dann war Voralarm. Meine Mutter, meine Schwester und ich, wir gingen dort wo heute das Rathaus steht, in einen Luftschutzkeller. In diesem Luftschutzkeller waren die Leute dicht gedrängt und es wusste ja keiner, dass so ein schwerer Angriff im Anflug war, im Anmarsch war. Meine Mutter hat diese Leute von der Partei, die streng darüber gewacht haben, dass alles seine Ordnung hat und dass keiner noch rausgeht, gebeten sie mögen doch noch mal aufmachen und und und, und es ist so ein Gefühl das Mütter haben, dass irgendwas in der Luft liegt. Die haben aufgemacht und wir durften noch nach Hause, wir haben vom Marktplatz bis in unsere Wohnung sagen wir mal 10 Minuten, viertel Stunde zu laufen, wir sind also den Schlossberg hochgegangen und da wurden schon die ersten, wir sagen Christbäumchen abgeworfen, es waren solche leuchtende etwas, die des abgestickt haben, wo die Bomben abgeworfen werden sollen. Wir sind also dann in die Wohnung und das heisst nicht in die Wohnung, sondern sind gleich in den Luftschutzkeller und haben abgewartet was sich da tat. Als sich dann der Angriff vorbei war wussten wir ja nicht was passiert war, wir haben die Tür aufgemacht und haben gesehen, die Stadt hat lichterloh gebrannt und meine Mutter hat uns an der Hand genommen und hat gesagt, wir müssten unbedingt in die Stadt in ihre Mutter also die Frau, meine Oma mit’m Spitzereiladen wussten wir nicht was mit ihr passiert war, deren Mann die Schwägerin von meiner Mutter, die waren ja alle noch in der Innenstadt. Wir haben uns also vorgekämpf, wir kamen nicht ganz bis ins Zentrum, am nächsten Morgen, als es dann hell war hat meine Mutter gesagt, wir müssen wieder runter gehen, und da sahen wir, was tatsächlich passiert war, am Schlossberg lagen die verkohlten Leichen, die nur noch die ausgesehen haben wie, entschuldige des Ausdruck, so wie zusammengreschrupfte Katzen. Meine Mutter hat gesagt, wir müssen noch unsere Angehörige finden, wir, die Kinder, meine Schwester und ich, wir haben die Leichen, die am Weg lagen, umgedreht und haben den Oma, Opa undsoweiter gesucht. Es war fürchterlich, über der Stadt lag ein, es brannte ja noch überall und über der Stadt lag ein, ich muss sagen, ein Verwesungsgeruch ganz eigenartig, es brannte noch überall, wir sind Tage später sind wir dann nocheinmal in die Stadt gegangen und in dem Haus, wo der Laden von meiner Oma war, war alles eingestürtzt und die hatten im Keller solche Koks also Briquettes und des brannte noch alles, es war also, es war fürchterlich. Meine Oma die konnte sich retten denn dort bei der, an der Geschäft vorbei, da ist der Fluss ein Stauwerk und da haben sich die Leute reingerettet und haben sich an Balken festgeklammert. Swimmen konnten die ja zum grössten Teils nicht, und da hat man sie dann aus dem eisigen Wasser rausgezogen und da haben wir dann die Oma gefunden, die wurden irgendwo, in einem Krankenhaus eingeliefert. Es gab so gut wie keine Versorgungen, es war also und für mich möchte ich an dieser Stelle sagen, für mich war ein erschreckender Anblick im, wir haben hier ein, heute ist es ein Altersheim, den Martinsbau, in diesen Martinsbau waren junge Mädchen untergebracht, die waren alle so um sechzehn Jahre rum, man hatt immer gesagt, es sind BDM Mädchen, also Bund Deutscher Mädchen, waren es aber nicht was sich herausgestellt hat sondern es waren sogenannte Kreuzmädchen, die hatten am Revers so ein Kreuz, die wurden eingesetzt um Telephon, Telephone zu bedienen. So, wir kamen dazu, also diese Mädchen die waren erstickt, als man diese Mädchen aus dem Keller rausgezogen hat und hatte sie in eine Reihe gelegt, ich weiss nicht wie viele das es waren, vielleicht waren es vielleicht zehn, fünfzehn, muss mal nachschauen, hat man in eine Reihe gelegt, sie lagen da wie lebend, sie waren also erstickt, hatten keine äussere Verletzungen und dann kamen die Eltern und mussten ihre Kinder identifizieren. Das war für mich als sechsjähriger, also das makabrischte was ich jemals erlebt habe. Des war also zum 23 Februar und die Zeit danach, das Aufräumen, das hat also eine ganze zeitlang gedauert. Noch in den 50 Jahren gab es ja auch noch Lebensmittelkarten, wir hatten wenig zu essen, mit dem wenigen, was wir hatten, mussten wir uns immer die Runden rennen. Es war ja dann die Franzosen kamen ja am 8 Februar 1945 und dann kamen die Amerikaner am 28, am 8 Juli 1945. Kapitulation war am 8/5. Ja, als die Franzosen kamen, die haben eine sogenannte Vorhut geschickt, das waren Marrokkaner und die Marrokkaner waren, muss ich sagen, nicht sehr zivilisiert, die haben also auch die jungen Mädchen, wenn sie erwischt haben, vergewaltigt und Meine Mutter hat meine Schwester, also ja, meine Schwester mit Russ im Gesicht eingefärbt damit sie nach alt aussah, damit ihr nix passierte. Wir hatten so gut wie gar nichts zu essen, und als ich mal ab und zu in den Schulen war, da hab ich denn die jungen Kindern oder Schülern mal des einmal geschildert weil es damals war. Wir waren, meine Mutter hat in der Wohnung, im Schrank ein Stückchen Brot ganz krumm gefunden und das war für uns ein Freudenfest. Meine Mutter, wie gesagt, hat mich in ein Kinderwagen gepackt, meine Schwester lief neben her und wir sind von der Nordstadt zu einem Vorort gelaufen, das ist Tiefenbronn, das sind also, na gute zehn Kilometer nach Tiefenbronn, zehn Kilometer zurück und da haben wir ein Paar Kartoffeln bekommen und etwas Milch, die Milch haben wir dann so unterwegs getrunken und die Kartoffeln das war für uns ein Freudenfest. Wir haben uns mit Dingen ernährt, die uns ja die Natur geschenkt hat und das war, was damals natürlich verboten war, wenn die Tannen, die kleinen, die Geschoss, also das kleine Geschoss, der Nachwuchs, das hellgrüne, das haben wir in Tüten eingesammelt und haben des zu Hause ausgekocht zum Honig. Wir haben uns draussen mit Brombeeren und Himbeeren, was der Wald so zu bieten hatte und ich kann mich gut entsinnen, wie wir also auf der Wiese Essbares zusammen gesucht haben, die Natur bietete relativ viel und in dem Zusammenhang eine kleine Episode. Ich ware bei Grundschülern und hab denen versucht zu erklären, dass es also wenn man gar nichts hat zu Essen, das Überleben, dann habe ich zu einem Jungen gesagt, überleg dir einmal wenn du jetzt, du hast Hunger, du hast Durst, hast nix, was machst du dann? Ja, weiss ich ja net. Habe ich gesagt, also, überleg da mal, du kannst hinaus gehn in den Wald, ja, was soll ich im Wald? Ja, ich sag, Entschuldige, jetzt überleg dir mal, was der Wald alles bietet. Du hast, kommst vielleicht an eine Pfütze, an ein Bächlein, ja, aber das ist ja dreckig, ja gut, ok. Also, du hast gar nix, der Junge kam nicht auf die Idee zu sagen, ja also Brombeeren, und dann war, [unclear] überleg da mal scharf und da hat der zur Antwort gegeben: „Dann gehe ich zu meinem Nachbarn“. ich sage das war die beste Antwort die ich jemals erlebt habe, denn dein Nachbar hat nämlich auch nichts zu essen. Das sieht man draus in der heutigen Zeit, also ich bilde mir ein, dass ich einige Tage ohne essen, ohne trinken im Wald durchhalten könnte aber nehmen so mal heut, ein Jungen der net seine Pommes Frites oder seine Burger undsoweiter, fürchterlich. Wir hatten ja auch keine Handys undsoweiter und ich sag immer wieder, auch meinen Kindern die noch relativ jung sind wenn wir einen, nur einen Tag keinen Strom, schalt euch alles ab, einen Tag keine Handy, unvorstellbar, unvorstellbar. Wir hatten zu Hause, da ja des [unclear] keinen Strom hatten, überall waren Kerzen, Kerzen gab’s da nicht überall zu kaufen, wenn wir Kerzen bekamen, dann sind wir also ganz froh gewesen, habe die gehortet. Wasser? heute unvorstellbar, Wasser gab’s ja keines, das Wasser war abgestellt und ja und dann kam immer wieder in der Woche oder ein oder zweimal so ein Fahrzeug wie man das heute hat, auf der Wiese haben, mit so’m grossen, ja, Kanister, und da sind wir mit so einem kleinen Putzeimer hingegangen und hat dort zehn Liter Wasser rausgelassen, ging nach Hause und hat des auf’m Kohleherd abgekocht und dann hatte man für einige Zeit Wasser, an eine Dusche undsoweiter, war gar nicht zu denken. Die erste Wannen[unclear], weiss ich noch wiel mein Vater des war also da sind wir nach [unclear] da gab’s die erste Wanne das man sich in lauwarmes respektives heisses Wasser hat legen können, des waren so die Anfänge und wie ich schon erwähnt hab, die Lebensmittelkarten die gab’s da noch bis in die 50er Jahre. Lebensmittelkarten heisst jas dass jede Familie eine bestimmte Anzahl, so kleine Abschnitte bekam und dann wurde soundsoviel Brot zugeteilt, Mehl, Zucker undosweiter und dann ist man in den Laden gegangen, die haben das abgerissen, da stand also meinetwegen drauf, ein Leib Brot und mit dem hat man also eine ganze Woche auskommen müssen. Meine Tante hat auch so einen Laden gehabt, ich weiss da wie heut, die hat diese Marken, diese abgerissen Marken aufgeklebt und mit denen musst sie dann immer abrechnen das jarnix [unclear]. Das war also die Zeit danach und wie gesagt, die Marokkaner das waren sicherlich nicht, also nix gegen die Marokkaner aber sie waren nicht sehr gebildet. Ich weiss da von einem Marokkaner das er zum ersten Mal ein Fahrrad sah, er hat sich bemüht auch das das Fahrrad keine, Luft [unclear] bestickt war sondern pure [unclear] probiert, da runter gefallen. Die haben, den Leuten die Hasen weggenommen, haben sie geschlachtet und dann kamen die einigen Franzosen, die war also wesentlich, ja, zivilisierter. Und dann kamen die Amerikaner und die Amerikaner das war für uns als Kinder ein A-ha Erlebnis. A-ha Erlebnis aus solchen Gründen, ich weiss noch von einem Amerikaner der zu uns ins Haus kam, mich auf den Arm genommen hat und mir ein Chewing-gum, ein Kaugummi gegeben hat, wir wussten überhaupt nicht was Kaugummis sind, es gab dann meistens auch Schokolade, Cadbury, das war das und vor allen Dingen durften wir bei denen in ihren Jeeps sitzen und das war für uns so des Paradies, das war der Beginn des Lebens. Meine Mutter ging mit ihrer Tochter mal spazieren auf die Höhe, fuhr ein Jeep vorbei und die haben was rausgeworfen und ja und wir sind dann hingegangen wie der weg war, wes war des, der Teil eines Tisches, meine Mutter war also quick strahlend das sie also, den Tisch den haben wir also zelebriert, mit dem sind wir nach Hause gegangen und haben den [unclear]. Des war diese Zeit und ich muss mal sagen, ganz offen und ehrlich, es war für mich, für uns, eine erlebnisreiche Zeit udn zwar wenn ich heute sehe wie ganz, [unclear] aus anderer Erfahrung sagen, [unclear], da geht so und so viel zurück weil’s kein Apetit mehr habe, ich habe zu meinen Kindern immer wieder gesagt, des was da zurück geht, des geht mal in Zukunft von de Menschen erlernt [unclear] und es sind so Dinge was ma heut überhaupt nicht mehr sich vorstellen kann. Also wir leben nun, dass muss ich [unclear] mal betonen, wir leben in einer Überflussgesellschaft und ich wünsche, wenn ich auch in eine Schule komme, das sich des nie mehr wiederholt. Es war also eine schlimme Zeit, es war für uns eine Erkenntnisreiche Zeit und die kann heute, wenn irgendnochwas ubrig ist, vom Mittagessen, dann kann ich das net wegwerfen sondern ich muss dann irgendwie des abends noch verwerten. Ja, des war also so des Konzentrat meiner Jugend.
PS: Ja, ich wollte wissen.
DE: Ja, haben Sie noch spezielle Fragen?
PS: Ja, ich wollte ein Moment zurückgehen zu Ihren ersten Jahren. Alos, haben Sie noch irgendwelche, die allerersten Erinnerungen, haben Sie vielleicht noch ältere Erinnerungen als vor Ihrem vierten Lebensjahr? Ein bisschen die Atmosphaere zuhause, was Ihre Eltern also so machten und auch wie man die Zeit so lebte mit der, also, die Nazi-Zeit?
DE: Ja, Sie erwarten von mir offene, ehrliche Antworten, ja?
PS: Ja, was Sie sagen möchten.
DE: Ja, ja, klar, also, die Zeit, ja, jetzt muss man vorsichtig sein, für mich als sechsjähriger in dem Sinne wenn die Hitlerjugend durch die Strassen marschiert sind mit [unclear] undosweiter, das war für mich immer so ein, wie muss ich sagen, ein erhebendes Gefühl, und habe zu meiner Mutter gesagt, da möchte ich auch mal, zu denen möchte ich auch mal. Wir wussten ja nicht was alles passierte mit der Judenverfolgung undsoweiter, sondern wir haben ja nur den schönen Teil gesehen. Und so war es auch mit meiner Schwester, die hat, die war noch nicht bei der BDM aber die hat da immer gesagt, vor allem Dingen gab’s dann diese Sonnenwendfeier, die Jugend war damals begeistert, denn die Jugend konnte ja gar nicht wissen, was hinter den Kulissen geschah. Weihnachten, Weihnachten kann ich mich noch entsinnen, es war warscheinlich ‚44, weiss net, ‚43, wir hatten ja praktisch nix, Kleinigkeiten, mein Vater war ja noch im Krieg, und ein für mich gravierendes Erlebnis war des. Meine Mutter hat die Geschenke was se da irgendwo bekommen hat, hat sie auf einen Tisch hingelegt und hat des zugedeckt mit Leinentücher und da war für mich, heute würde man darüber lachen, ein Linial, ein Holzlinial, ein viereckiges Holzlinial und da war eingeritzt zentimeter von eins bis zehn, das war ein tolles [unclear], anderes gab’s ja noch nicht zu kaufen und was ich vergessen habe war ja nun so dass, wir hatten ja hier ein Kaufhaus, heute ist Metro, wie sie alle heissen, ein Kaufhaus und dort hat man danach so wieder ein paar Sachen bekommen, allerdings musste jemand dafür Papier abliefern. Wir haben überall nach Papier gesucht und dann sind wir mit dem Papier dort hin und da haben wir also Kleinigkeiten erstanden. Es gab damals die ersten, ja wie kann man sagen, Drop’s hat es geheissen, des war also kleine, zum lutschen, ja, des waren so die Anfänge. Also ich muss nochmal sagen, meine Kindheit also vom viertem bis zum Angriff, da gab’s, also war hier nicht so gravierend, wie gesagt, ich hatte Glück eine altere Schwester zu haben die mich dann immer an der Hand genommen hat, wenn wir irgendwohin gegangen sind und mich, soll ich mal sagen im übertragenden Sinne, eine beschützende Hand uber mich gebreitet hat und hat gesagt: „so, wenn der Krieg vorbei ist alles anders und dann kriegst du auch dein Spielzeug“. Wir haben, aus Vorhangringen haben wir kleine Autos zusammengebastelt. Es gab dann auch hier ein sogennantes Seifenkistenrennen, es war also erheben, Seifenkistenrennen hat man also aus Holz undsoweiter so kleine Autos zusammengebaut und dann fuhr uns hier vom [unclear] Berg runter und da standen die Leut staunend an der Strasse und es gab da als Belohnung irgendwelche Schokolade oder Süssigkeiten, des war so die Anfänge und da kann ich mich dran erinnern und ich bin wirklich froh dass ich diese Erfahrungen, die positive Erfahrungen gemacht habe, was also das Essen betrifft, was die Hygiene betrifft und das ganze Ding. Wir haben als ich dann nachher in die Schule, Oberrealschule ging, auch ein Erlebnis des war, ja, am Marktplatz haben sie also dann so die Leichen ausgegraben in den Luftschutzkellern, ich kam hinzu, oder wir kamen da hinzu wie sie einen Luftschutzkeller freigelegt haben. Auf einem ausgegluhten Petro lag eine, ein Skelett und dieses Skelett hatte noch in der Hand, ein Schlusselbund und das war für mich so ein Erlebnis, diese also sagen muss aber. Auf den Trümmerbergen gab’s einen Trompeter, der hat also an Weihnachten stand der auf den Trümmern und hat also da irgendwelche Weihnachtslieder geblasen. Es gab hier ein, wie kann man sagen, ein Unternehmen, die haben dann später sogenannte Stegware verkauft, des heisst also so Mützen, und Anorack für den Amerikaner, des waren so die Erlebnisse. Als ich in die Schule, ins Gymansium ging, gab’s ja praktisch noch gar nicht, das waren so, in der Innenstadt waren so kleine, so Ständchen aufgebaut gab, wo se irgendwelche kuriose Dinge verkauft haben. Es ist ja net so wie heute, um mal zu sagen, jetzt gehen sie in die Disko oder in ich was weiss ich was, gab’s ja noch nicht. Es war ja in der Nordstadt eine Wirtschaft, da habense da immer Fasching, ja, habense eine Fete heisst ja heut, haben sie Fasching gefeiert und man ist da hingegangen und es war zum Teil bitterkalt und da hat man also seinen Mantel, ist man so in Hotelzimmer gegangen, und da haben sie die Mäntel auf einander gelegt und weil da die Veranstaltung vorbei war, dann hat jeder wieder seinen Mantel gesucht und es kam alles wieder so in Bewegung und ja es war also muss ich sagen eine schöne Zeit. Wie gesagt, meine Kindheit war nichts was also wie zum 13 Februar was weltbewegend war, wie gesagt eben dass man also Hungersnot gelitten hat. Und auch da fällt mir jetzt ein, zum Essen, wie ich schon erwähnt habe, relativ wenig und man hat, meine Mutter, weiss ich noch heut, hat Schnecken eingesammelt, is heute Delikatessen, Schnecken im Häuschen und hat sie in heisses Wasser geworfen und des haben wir gegessen, heut als Delikatesse, damals war’s so dass man also die gegessen hat zum überleben. Des sind so ein Paar markante. Jetzt fällt mir noch mal was ein in dem Zusammenhang. Ich hab am 23, am 30 April Geburtstag und Hitler’s Geburtstag wurde immer gross gefeiert. Des heisst also, [unclear], man musste Fahnen raushängen, also Hitlerfahnen raushängen und dann waren welche da von der Partei die des kontrolliert haben, ob tatsächlich überall die Fahnen raushängen. Und ich hab damals als, vielleicht sagen wir mal funfjähriger, zu meiner Mutter damals gesagt: „Du, ich versteh das net, guck a mal, i krieg kaum was zum Geburtstag und Hitler hatte am 20 April Geburtstag und bei dem hängen da die Fahnen raus“. Des habe ich nie so verstanden das also ein Diktator so gefeiert wird, für mich war des ein Diktator, wenn ich als kleiner hab nix zu essen und nix zu spielen. Es war damals eine totale Überwachung, wir hatten einen, heute heisst es Volksempfänger, also Radio wo man also nur zwei Sender reinbekam, und da hat man davorgesessen und dann kam die Anordnung dass man seine Telefonapparate abliefern musste. Wir haben dann, wor hatten zwei, ich weiss noch heut, wir hatten zwei Telefonapparate, ja, zwei Rundfunkapparate und die haben wir dann also, einen abgeliefert und schon kam da vom Haus der also ein strenger Parteigenosse war und hat gesagt: „Ja, aber zwei Apparate, ihr müsst noch einen zweiten Apparat abliefern“. Es war also eine, wir wurden bespitzelt bis wir das ja keiner negative Erfahrungen machte und und und, also es, in der Bezeihung war es verhältlich eine schlimme Zeit. Aber wir haben das halt miterlebt, wir kannten ja nichts anderes und auch in dem Zusammenhang, noch mal zurückzukommen auf das [unclear], ich sag immer, die Kinder in den armen Ländern, die dort aufwachsen, sind wirklich arme Kinder, aber sie kennen nichts anderes, sie leben mit der Not und essen auf der Strasse, und so war’s auch bei uns, wir haben ja nichts anderes gekannt und des wenn ich des die heutige Jugend erzähl, wenn ich sage, komme immer vor so wie wenn ich erzähle aus Tausend und einer Nacht, so war das damals, das war unsere Jugend. Ja, darf ich noch, wollen Sie noch was sagen?
PS: Ja, ich wollte Sie, zum Beispiel, nach Ihrem Vater fragen.
DE: Ja, gut, mein Vater war einfacher Soldat, er war, er hat mal gesagt, Kradfahrer, die haben also die, die Kradfahrer haben also Motorrad wie Nachrichten zum nächsten Posten gebracht, heut [unclear] Handy oder sonst wohin, und der war im Krieg als, muss man sagen, als einfacher Soldat, Gefreiter, weiss ich noch und der kam erst später aus Gefangenschaft zurück. Ich habe des miterlebt den in dem Wohnhaus wo wir wohnten war eben ein freies Gelände und eines Abends haben sie soundsoviel, kamen soundosviele Gefangene mit dem Transporter, also mit der Bahn haben sie hier Zwischenstation gemacht und haben sie die ganzen PG, also diese deutschen Gefangene in diese Fläche, net getrieben sondern die mussten da übernachten und meine Mutter wollte umbedingt gucken ob dort mein Vater dabei ist und die kam auf die glorreiche Idee, hat sich eine weisse Jacke angezogen und hat mit, ob das Regenschirm war oder sonst was weiss ich nicht, ein rotes Kreuz auf den Rücken gemalt und so hatte sie Zutritt. Mein Vater war nicht dabei aber sie hatte die Gewissheit, dass jetzt alles und er kam erst später aus Französischer Gefangenschaft zurück. Also meine Mutter musste und des betone ich auch immer wieder, sage ich immer wieder, alle Achtung vor Mütter die damals ihre Kinder durch diese schwere Zeit gebracht haben, wo die Väter im Urlaub waren und sie wussten nie, kommt er wieder zurück? Und wenn sie aus dem Luftschutzkeller kamen, wusste sie nie, was ist passiert? Was ist kaputt? Es war eine schlimme Zeit. Als wir, jetzt muss ich erstmal rikapitulieren, als wir am 23 Februar versucht haben in die Innenstadt zu kommen, schon am Bahnhof, am Bahnhof [unclear] war praktisch alles zerstört, zu 80% war alles kaputt, kam uns ein kleiner Junge entgegen und der hat nach seinen Eltern gesucht, der sagte, wo ist meine Mama? Seine Mama warscheinlich blieb sie irgendwo im Bombenhagel. Des sind so Erinnerungen. Also, wie gesagt, die Väter kamen dann erst später, viele kamen aus Russischen Gefangenschaft, ich weiss zum Beispiel einen Lehrer gehabt, der kam erst viel später von aus der Gefangenschaft, aus der Russischen Gefangenschaft zurück. Es hatt also wirklich längere Zeit gedauert, bis des alles wieder einigermassen ins Rolen kam, bis dann wieder, ja, erst nach ‚48, also nach dem die Reichsmark abgeschafft wurde, wurde es also besser, aber bis dahin war’s ein Kampf ums Uberleben. Und nochmal, alle Achtung, weiss net, wie die Mütter des geschafft haben, dass sie ihre hungerde Kinder so über die Zeit gebracht haben. Ja, wenn Sie spezielle Fragen haben dann richten sie. Für mich bleibt schwierig, sagen wir mal so, ohne Fragestellungen zu schildern, klar.
PS: Können Sie mir von Ihrer Schwester erzählen? Die Jahre?
DE: Also wie gesagt, es war für mich, meine Schwester lebt noch, Gott sei dank, die ist fünf Jahre älter, ich war damals also fünf, also zehn, und, ja und die war für mich immer der beschützende Engel, sie hatte genauso wenig zu essen und zu trinken wie ich, ich war viel, oder weniger, einige Male mit älteren Kollegen unterwegs des [unclear] für meine Schwester und einer ganz anderen geschildert, aus einer ganz anderen Sicht, denn der war ja damals zehn Jahre alt, bei war noch der Hitlerjugend, von dem gib’s also Bilder auch in dem Buch vom Herrn Redding, ist schon erwähnt, das ist der Herr Hans Paul Gerstung, der leider Gottes vor einiger Zeit verstorben ist, und wir waren immer zusammen in den Schulen [unclear] immer und der hatt es aus einer ganz anderen Sicht schildern können. Also, meine Schwester, wie gesagt, sie war nicht in BDM rum weil sie, warscheinlich war sie zu jung aber wir waren, wie gesagt, das ganze Ding miterlebt und durchgestanden. Ja, stellen Sie ruhig Fragen, ich bin ja da.
PS: Ja ja, erinnern Sie sich auch ein bisschen wie Ihre Schwester die Bombardierungen miterlebt hat oder wie es an der Schule war oder, ein Bisschen das alltägliche Leben.
DE: Ja, ich meine, das alltägliche Leben, sie ist auch auf [unclear] Schule gegangen, hat Abitur gemacht so wie ich es, des Wirtschaftsabitur und sie hat also eine Banklehre gemacht, sie war irgendwo als Assistentin tätig und hat dann irgendwann mal natürlich geheiratet und hat vier Kinder, wohlerzogene Kinder zur Welt gebracht, von einer schon in jungen Jahren schon Professor war, studiert hat und ja Mann, also mein Schwager der ist vor fünf Jahren gestorben. Und sie lebt jetzt für sich allein. Und hat zu mir immer gesagt, es war eine schlimme, es war eine schöne, enbehrungsreiche Zeit und wir müssen jetzt die jetzliche Zeit geniessen, ohne das irgendwelche Kinder irgendwo rumrennen und das finde ich ganz vernünftig, jetzt haben wir auch so viel durchgemacht und jetzt endlich die letzten Jahre die möchte ich mir in Ruhe gönnen, sie hat sich gesundheitlich wieder stabilisiert und ist also, wie man so schön sagt, wieder top fit. Des ist um von meiner Schwester zu sagen, ich weiss noch ja, die ersten Jahren als sie in die Tanzstunde gegangen ist, es gab hier in Deutschland nur eine, ja, eine Tanzstunde, hetu sind sie numeriert, was weiss ich wie viele und ich weiss noch wie sie vor dem Spiegel stand und wie man halt so, meine Mutter hat irgendwo Stoff her bekommen und da hat man ein Kleid gemacht, Tanzstundenkleid, [unclear] gar nicht mehr anziehen. Ich fällt mir also auch spontan wieder was ein, ich bin Katholisch erzogen und war auch am Anfang Ministrant, so, und als ich zur Kommunion ging, gab es natürlich heute, sind sie also alle [unclear] wenn sie zur Kommunion gehen und und und, und aber damals hat man [unclear] ich weiss noch, des Bild hab ich noch, ein Kommunion, eine Kommunionhose, kurz und eine Jacke dazu und diese Jacke hat meine Mutter gesagt, geh nie in den Regen, geh nie, weil des war ein Stoff den haben sie dunkleblau eingefärbt und wenn der in den Regen gekommen wär, wäre die ganze Farbe weggegangen. Ich habe, damals habe alle zusammengekriegt das war meine erste Uhr, die könnten vielleicht heute im Museum verkaufen, die war, ich weiss gar nicht wo sie ist, man hat Kommunion gefeiert, ja, ganz primitiven Verhältnissen, des sind so jetzt vielleicht, fällt mir vielleicht später mal was ein, aber des war so des Konzentrat, mehr weiss ich auch net, Fragestellung, im Moment nicht. Wie gesagt, wenn Sie noch spezielle Fragen.
PS: Ja, Sie haben mir erzählt dass Sie in einem Luftschutzkeller Schutz gefunden haben in der Nähe des Rathauses.
DE: Ja.
PS: Wie, wo waren, gab es auch andere Luftschutzkeller? Können Sie mir das ein bisschen besser erzählen?
DE: Ja, gute Frage, und zwar in der, bei uns, da wo wir gewohnt haben, keine zehn Minuten weg ist eine Schule, gib’s heute noch, es war die Nordstadtschule, und dann hat sie mal Adolf-Hitler-Schule geheissen und heute heisst sie Nordstadtschule, da war ein, unter anderem ein Luftschutzkeller. In diesem Luftschutzkeller waren heute würde man sagen also Feldbetten, ganz einfache Betten und wenn Voralarm war dann ist man dort rübergerannt. Der Luftschutzkeller war in der Regel aber schon voll, denn da gab es viele Leute die haben dort konstant immer nach dorthin gar nicht mehr nach Haus gegangen und da hat man also dann gebetet das also nix passiert. Das Leben im Luftschutzkeller hat sich folgendermassen abgespielt: Voralarm, schnell in den Luftschutzkeller und was ich positiv mitnehmen, mitnahm war also folgendes. Diese Hausgemeinschaft, was man huete nicht mehr findet, diese unterschiedlichen Art, im Keller haben sie alle zusammen gefunden. Ich weiss noch die wir auf dem Boden lagen, des war eine Frau eines Offiziers, die sich später leider in der Wohnung über uns erschossen hat weil sie vielleicht mit dem nicht mehr zurecht kam, wie sie bei uns kniete und uns mit Decken eingehüllt und gewartet hat bis der Alarm vorbei war. Die Häuser waren ja zusammen gebaut also darüber war [unclear] das nächste und dann das nächste. Da war ein, an dem Mauerwerk, das war mit normalen, mit normalen Steinen gemauert, das sass einer von der Partei, ein sogenannter Luftschutzwart, [unclear] Luftschutzwart, der sass vor diesem kleinen Durchgang, der vielleicht ein Meter hoch war, vielleicht ein Meter zwanzig, und des hat das folgende Bewandniss, wenn bei uns jetzt die Dinge [unclear] undosweiter, dann hat der so ein grosses Beil gehabt mit einen Hammer, dann hätte er des Ding durchgeschlagen diese dünne Wand und dann hätte man da durchkriechen können zum nächsten Haus. Des war ein sogennanter Luftschutzwart, natürlich, [unclear] gekleidet, also ein strenger Parteiangehöriger. Und, wie gesagt, wenn dann der, es war am Angriff Dezember, ja soweiso, wir sind dann wieder hochgegangen in die Wohnung, durch die Detonation undsoweiter waren ja die Schränke umgeworfen, und, so komisch es klingt, eine Schublade von einem Schränkchen war rausgerissen, auf’m Boden lag ein Gesangbuch und in den Büchern hatte man ja früher solche kleine Photos oder was weiss ich was alles mitge, und da neben lag also ein Photo raus[unclear] von einen Angehörigen. Meine Mutter hat gesagt, das ist ein Zeichen dafür dass die, der heute nacht zu Tode [unclear] und das war tatsächlich so. Das sind so Erlebnisse die mir also gesprächsweise immer wieder auftauchen, ja habe schon am Anfang gesagt, wenn man älter wird lebt man in Reminiscenzen und nochmal wenn mir irgendjemand jetzt irgendwo was sagen würde und dann fällt das wieder ein. Ein weiteres makabres Erlebnis, in Pforzheim gab es die Wiederstandsleute und dann kam die Gestapo, Gestapo war’s wohl, und die haben diese Leute auf die Höhe getrieben, so’n grosser Trichter mit Wasser gefüllt und haben die Leute dort durch Genickschuss getötet und haben sie da in den Trichter geworfen und Erde drüber. Ich war dabei als sie dann diese Leute da rausgezogen haben, zum Teil schon verwest, und, ja, es war für mich als Junger ein fürchterlicher und dann den Geruch von den, die wurden dann primitiv eingesargt und die Parteimitglieder, also, ja, die mussten die auf den Schultern auf den Friedhof tragen. Was ich in dem Zusammenhang, wenn ich im Frühjahr in den Wald gehe oder so etwas, dann und die Leute in den Schrebergärten zünden ihre Feuer an, wenn sie ihr Holz undsoweiter verbrennen, dieser Geruch, das habe ich noch in der Nase und zwar, in dem Luftschutzkeller wo wir waren, das habe ich vergessen zu sagen, diese Leute, wir waren die einzigen die rauskamen, alle anderen sind ertrunken oder erstickt. Die konnte man gar nicht mehr alle bergen weil es war die Gefahr das solche, es musste alles relativ schnell gehen. Und dann kamen die mit sogenannten Flammenwerfern und haben die von oben in den Keller gerichtet damit also die, ja, die Leichen verbrannt waren und da hat man Kalk hinterher geworfen und dieser Greuch den habe ich ewig in der Nase, wenn ich halt heute, wie ich schon gesagt hab, da vorbei komme, wo Feuerring gemacht werden, dieser Geruch habe ich ewig in der Nase. Und man konnte ja die Leichen gar net so schnell alle bergen, des war ja am 13 Februar 17 Stück, die hat man dann in Leiterwägelchen undsoweiter haben die Angehörigen die auf den Friedhof und da wurden sie also dann in Massengräbern beerdigt. Man hat, es musste alles relativ schnell gehen, ich weiss noch, bei uns in der Strasse da hat es eine Angehörige gefunden, in der Stadt hat also ein kleines Leiterwägelchen gehabt und da hat die also draufgebettet und die Hände drüber und hat also durch die Stadt gezogen und so zum Friedhof. Es gab ja keine, wie heute, Leichenbestatterer sondern, dass muss ich schon erwähnt hab, relativ schnell gehen, um eine Seuchengefahr zu verhindern. Und, wie gesagt, viele viele Wochen, Monate noch nach dem Angriff, ja, hatt es noch gebrannt. Ja, also wie gesagt, ruhig, haben Sie gern noch Fragen, ich spreche jetzt so ohne Konzept.
PS: Sie redeten eben von den Geruch, den Sie jetzt noch fühlen.
DE: Ja, den habe ich noch in der Nase.
PS: Gibt es noch andere, Gefühle die Sie jetzt noch haben, sagen wir, ich weiss nicht, erinnern Sie sich an den Ton der Sirenen, oder?
DE: Ja, ich weiss was Sie sagen wollen. Der Ton der Sirenen, wenn es immer Probealarm ist, an, wie soll ich das sagen, nicht überfällt mich des, sondern tauch des alles immer wieder auf und wie gesagt, auch der Geruch, das sind Dinge die, die kann man, die verfolgen einen immer wieder und auch nochmal zu dem [unclear], wir, meine Tochter, meine Schwester auch, wir waren abgestumpf, denn wenn sie als Kinder immer wieder mit dem Tod confrontiert werden, meine Mutter sagte: „Guck a mal, jetzt haben sie wir drinnen gefunden und der und der ist noch vermisst“ undsoweiter, dann sind sie irgendwo abgestumpft. Denn, ich muss immer das sagen, jeder Mediziner, jeder Polizist oder wer es auch immer ist, der ständig mit Unfällen zu tun hat, der hat im [unclear] nimmer auch so grosse Gefühle, kann er auch gar net haben und so war’s auch bei uns, wir haben die Toten angesehen und des war’s so. Ja, also wie gesagt, stellen Sie halt Fragen.
PS: Hatten Sie Angst als Sie im Luftschutzkeller waren?
DE: Wir hatten alle Angst, die ganz jungen hatten Angst, denn wir wussten ja nie, was passiert ausserhalb und es war ein erhebendes Gefühl, wenn wir also wie gesagt die Treppen hochgingen, die Tür auf und haben also die frische Luft. Es war eine, dass muss ich nochmal sagen, die Angst hat die Leute in den Kellern, ob des öffentliche Luftschutzkeller waren oder Keller im Haus, hat die Leute irgendwo vereinigt muss da man sagen, die lagen bei einander und heute noch Hausgenossinen, hat man da gesagt, die immer, wenn ich die treffe, ich weiss, das war damals so. Des kann man sich heut gar nicht vorstellen. Heut macht man die Tür zu, der Nachbar interessiert nicht im Grunde, Entschuldigung, gar nicht, mach die Tür auf, mach die Tür zu, aber damals war einer auf den anderen angewiesen, irgendwo sass man, einen Eimer Wasser übrig gehabt hat, denn hat man des geteilt. Heute, uninteressant. Und des war das schlimme, also, Angst hat uns in den Keller immer wieder begleitet denn, ich sag’s zum zichsten Mal, wir waren dann froh, als wir wieder aus dem Keller kamen. Eine Frage noch, die Sie gestellt haben, Luftschutzkeller, es gab ja noch im Stadtgebiet wie viele Luftschutzkeller? Öffentliche Luftschutzkeller, wenn Sie also in der Stadt waren, es war Voralarm, dann sind, die Leute haben schon gewusst wo die Luftschutzkeller sind, sind in die Luftschutzkeller geströmt und haben dort die nächste und ich weiss nicht was zugebracht. Es gab also, ich muss mal sagen, ich weiss nicht wie viel aber in Stadtgebiet eine ganze Menge Luftschutzkeller und ja, und da sind also die Leute, wenn Voralarm war, reingegangen und ja und haben, zum grössten Teil, weiss, natürlich war grad im Stadtzentrum, es sind viele erstickt und auch ertrunken durch des Wasser und ich weiss auch noch als wir, meine Mutter, meine Schwester unterwegs waren und es lagen irgendwo Leichen am Strassenrand, die man da also geborgen hatte, da hat unsere Mutter gesagt: „Guck a mal, die sind erstickt“. Die lagen da und hatten irgendwie geplatzte Lungen, dass heisst also die haben Bluttröpfchen unter der Nase gehabt. Des waren so unsere, aber dass man da grosse Gefühle gezeigt habt, wenn ich mich zurückerinnere, muss ich sagen, nein, man hat des registriert, es war so. Ja. Haben Sie noch Fragen?
PS: Haben Sie eine Ahnung, wie viele Leute in, wie viel Platz da war im Luftschutzkeller, wie viele Leute da bleiben konnten?
DE: Ja, also ich gehe erstmal von der Nordstadtschule aus, gehen Sie, muss mal überlegen, die Nordstadt ist relativ gross, und die Luftschutzkeller waren praktisch überfüllt, da lag Person an Person, habe vorhin grad vergessen zu sagen, da war auch in dieser Nordstadtschule, in dem Luftschutzkeller war also, na, ich würde heute sagen, ein Sanitätsraum, wo man leicht verletzte Leute gebracht hat. Es gab zum Teil kein Licht und da haben, die Decke, [unclear], hat man mit fluorosiriender Farbe gestrichen, dass heisst also, es war also ein Dämmerlicht, wenn Sie des heute jemand sagen das es mit fluorosirender Farbe gestrichen hat, würden die sagen absolut schädlich. So war das und nochmal die Leute in den Luftschutzkeller, da war alles irgendwo vereint, es gab kein, der ist besser gestellt, der ist, sondern man war vereint, man hat zusammen gerückt, es war kalt, man sich gegenseitig gewärmt, und wenn jemand irgendwo was ein bisschen zum Essen gehabt hat, dann wurde des geteilt. So war es in den Luftschutzkellern, oder wie es so schön heisst, im Bunker. Ich kann also nur von der Nordstadtschule sagen und von der, unten im Marktplatz und Marktplatz ist ja also noch ewig, ich sag ja damals, ich sah als sechsjähriger wie die Leute von der Partei, da waren ja immer solche Metall, Metallsprossen in die Wand ingewinkt, also als Leiter wo man also raufgekönnend, oben war also dann eine grosse eiserne Tür und da haben die also streng drauf geachtet, das ja keiner aus dem Dings rauskommt. Wir haben eben in der Nordstadtschule wo ich schon gesagt haben, haben wir heute noch diese schweren eisernen Schutztüren, die zweifach, zwei Riegel haben. Für mich [unclear] Erlebnis, ich spreche jetzt von der Nordstadt, vor den Kellern waren dann, hat man, mit Steinen hat man also so ein Vorbau gezimmert, damit also dort keine Brandbomben und soweiter reinfallen können. Wir haben, in den Bombentrichter haben wir gespielt, ich weiss noch wie heute, damals etwas älteren, die haben die Patronen gesammelt, wir haben die geöffnet, haben des Pulver, des Schwarzpulver auf’n Boden [unclear] angezündet. Gab’s ja wunderschöne Stichflamme. Heute unvorstellbar. Wie ich schon gesagt habe, ein Kamerad der etwas älter war, der hat also damals irgendwie, weiss der Kerl was, mit’m Hammer des aufgeklopft, das Ding is explodiert und hat im also zwei Finger weggerissen. Auch oben [unclear] Stadt, sehe ich noch heut vor mir, war auch ein Junge, wir haben da oben, waren so Brombeeren undsoweiter haben’se gespielt und einen schönen Tages kam er schreienderweise oben runter und er hatte so eine Bombe, hatte sich die Hände verbrannt, ich sehe ihn noch schreinenderweise die Strasse runterrennen, nach seiner Mama zu rufen. Es gab als nach [unclear] noch viele, wie gesagt, von Bomben die man also da gefunden hat und wo man also praktisch mit Handgranaten, die Handgranaten die hat man dann, haben dann [unclear] für die Handgranaten genommen und haben die in Reihen raus, also, des Pulver und haben [unclear] draus gemacht, ich weiss noch, wie man so in buntbemalten, ja, da haben wir also als Tanz [unclear] benützt. Es wurde viel von den Sachen umfunktioniert zu Spielzwecken. Denn nun mal es gab ja heute, damals gab’s ja kein Steckenpferd, damals gab überhaupt nix, man hat mit den notwendigen, wie gesagt, es fällt mir jetzt grad ein, diesen von man des umgebaut hat zu Kreisel mit einer Schnur, und hat also damit gespielt, oder man auf der Strasse, es gab nicht wie heute dieses Riesenaufkommen an Autos, es gab so gut wie keine Autos, zu dem Thema, es gab auch kein Benzin. Man hat also Autos gebaut, die haben hinten so einen grossen Trichter gehabt, Metalltrichter, und da hat man dann mit Holz geschürt und so, wurde Gas erzeugt, und so sind die also durch die Gegend gefahren. Bei uns in der Strasse, wo heute also Autos, Auto fährt, unvorstellbar, da war vielleicht, ich sag mal in der Woche vielleicht zwei oder drei-man Auto, da hat man auf die Strasse solche mit Kreide solceh Dinger gemalt, das hiess also König Kurfürst, König Graf und da hat man dann, es wurde hinter her gehüpft und, ja, es war also diese Zeit aber ich sag’s jetzt wir waren irgendwo glücklicher und ich sehe die heutige Jugend, die, will net sagen alle aber, alle unzufrieden sind und es muss zu Weihnachten und zu Ostern immer noch mehr, wenn ich jetzt seh, das schon vor Tagen jetzt die Osterhasen da angeboten werden, Die Kinder kriegen ihre Osterhasen und sagen Danke, wenn [unclear] sagen’se Danke und dann gibt es auf die Seite und irgendwann werden sie weggeworfen. Des, ja. Des war, ja, sonst fällt mir im Moment spontan gar nichts mehr ein. Des alles liegt an Ihnen.
PS: Sie erzählten mir dass sie also in den Bombentrichtern spielten und sie erzählten mir etwas von den Bauklötzen die sie einmal als Geschenk bekommen haben.
DE: Ja, also die Bombentrichter, die Bombentrichter,die haben sie ja dann gefüllt mit Wasser irgendwann und da, wie kann man sagen, simma [unclear], haben Baumrinde genommen, haben Schiffchen draus geschlitzt und haben die also auf diesen Bombentrichter schwimmen lassen. Und den Bauklötzchen, des hat, ja. es war folgendermassen, da mein Vater bei der Bank war, haben die Kinder, also wir, immer zu Weihnachten was bekommen und zwar so kleine bemalte Holzklötzchen, da hat man dann so Türme hin draus bauen können und und und, alles mögliche. Heute ist es alles mit einer, die Bauklötze mit einer Farbe gestrichen das de auch nichts abfärbt aber damals war’s also so, die waren halt einfach gestrichen mti einer Farbe und wenn man die lange irgendwo [unclear] da ist die Farbe weggegangen, aber es war halt, es war für uns ein Erlebnis. Es gab’s, wie gesagt, sonst nichts, denn wir waren froh über jedes Ding das wir also da bekommen haben. Telephon, natürlich hat’s kein Telephon gegeben, nix, konnte ja gar net sein, ne. Ja, ich warte auf Ihre Frage.
PS: Sie hatten auch die anderen Bombardierungen erwähnt, vor dem 23 Februar ‚45.
DE: Ja.
PS: ‚44, also der erste April ‚44.
DE: Also der erste war am ersten April ‚44. Und, ich habe es grad vor mir liegen, auswendig weiss ich ja net, und zwar, sie schreiben 80 bis 100 feindliche, also Flieger, die die Stadt aus [unclear] Richtung, sollen nach Angaben, 95 Menschen ums Leben gekommen sein. Und Statistisch, 120, 127 Familien obdachlos. Und, wie gesagt, am 10 Oktober’44, abends war also ein schwerer Angriff mit Luftminen. Wir haben, das fällt mir jetzt grad ein, die, es wurden sogenannte, wie soll man sagen, Alluminiumstreifen, haben die Flieger abgeworfen, um die andere, die Angreifer zu irritieren und des haben wir dann gesammelt, also Alluminiumstreifen, die haben wir auf der Strasse eingesammelt. Muss ja aber, muss aufpassen, das net grad wieder Fliegeralarm war, wir waren immer zwischen Luftschutzkeller und Freiheit immer praktisch unterwegs und ich ging also nie in die erste Klasse weil als ich in die erste Klasse gekommen soll, war ja Krieg und ich kam dam also gelich in die zweite Klasse. Des, ja, des hat sich dann irgendwie wieder einreguliert, denn die Lehrer von damals, ich weiss noch ja, Gott hab in Seg, der Rektor der also ein strenger Anhänger des Regimes war, der noch sein Parteiabzeichen da hat hängen gehabt, ja, des war also so, als ich zur Stadt kam, meine Kollegen dann, die kamen ja vom Kriegzeug (?) und waren also zum Teil Zahlmeister, was weiss i was, da herschte auch ein anderer Ton, heute nicht mehr hab vorstellen können, also bei den Fliegeralarm die hat sich hauptsächlich immer wieder unterhalb des Bahnhofs abgespielt haben, in der Nordstadt war’s, ja, die wahr relativ unbeschadet davon gekommen aber, ja, also ich kann nicht in dem Sinn, grad in unserer Umgebund ist eine Bombe in ein Haus gefallen aber am sonsten Nordstadt nix, Südtstadt unterhalb vom Bahnhof ja. Und als wir in der Nacht, muss also nochmal rikapitulieren, wir haben eine Brücke, eine eiserne Brücke die von der Nordstadt über’s Bahngelände führt und da wollten wir also dann in der Nacht drüber gehen, da kam uns einer entgegen und hat geschrien, nicht weiter gehen, hat uns also auch vor dem Tot gerettet, die war genau in der Mitte durchgebrochen. Und dann mussten wir also umkehren und sind dann wie gesagt in die, haben versucht in die Stadt vorzudringen was aber bei der Hitze undsoweiter an diesem Abend, an dieser Nacht nicht mehr möglich war, ja.
PS: Haben Sie noch Erinnerungen aus der Schulzeit?
DE: Aus der Schulzeit, ja, nun also aus der Grundschule, ich habe noch ein Paar Sachen aufgehoben und zwar ja, heut schreibt man mit Kuli oder was weiss ich was alles mögliches, gab’s damals nicht, es gab ein Tintenfässchen und es war auf, und dann hat man also Federn gehabt, Bindelstrich undsoweiter, des war die Schulzeit und ich war schon im Gymnasium, da hatten wir einen Lehrer und heute es war eine ganz tolle Erfindung, wir hatten einen Rechenschieber, Rechenschieber mit dem man also in der geschoben hat, Wurzel aus undsoweiter und dieser Lehrer war ein Promovierter, war ein Techniker und der hat mal gesagt, so jetzt wollen mal gucken, Wurzel aus neun und hat in der geschoben und gesagt, Wurzel ist ungefähr drei. Heute würden wir darüber lachen, des waren so, wir hatten praktisch, ich weiss noch, bin damals in die Grundschule gegangen noch mit einen Schulranzen wo man noch am Schulranzen war eine Schnur und da war ein Schwamm befästigt, da hat man als vorne an der Tafel und da hat man das asugewischt und ja, also, ja, des war so die Schulzeit und wie gesagt richtig los gegangen ist est als ich dann in die nach vier Jahre oder nach drei Jahre Grundschule ins Gymnasium also in die, ja, ging, da lief das alles besser, ganz langsam ja und dann kam ja dann keine Lebensmittelkarten mehr und ja, es ging dann langsam voran aber wie gesagt hat es einige Zeit gedauert und wir haben halt in Pforzheim noch Grundstücke die noch provvisorisch gebaut sind nach der langen Zeit, nach den ‚73 Jahren. Ja, was wollen Sie dann noch wissen? Kann ich Ihnen not mit irgendetwas dienen?
PS: Sie hatten, wann, also sie waren nie in der Schule als Fliegeralarm war?
DE: Nein, nein, ich war nie in der Schule als Fliegeralarm war, meine, sage meine Tochter, meine Schwester die war in der [unclear] Lage dass sie also, als sie auch in die Nordstadtschule ging, dass sie also bei Fliegeralarm zu uns in die Wohnung des geschafft hatte, wie gesat, des sind 8 Minuten zu gehen, ich habe des auch [unclear], wir hatten ja, auch heute, keine Zentralheizung was es alles gibt, meine Mutter hat einen ganz normalen Kohlenofen gehabt und im Keller hatt man dann Briquettes gehabt. Und dann ist sie in den Keller gegangen und hat zwei, drei Briquettes geholt und hat in dem Ofen Feuer gemacht. Dieser Ofen, diese Wärme musste aussreichen für drei Zimmer, Schlafzimmer war sowieso tabu, aber da mussten zwei Räume damit beheizt werden. Auf dem Ofen hat man so gekocht und was weiss ich was denn es gab auch net wie heut, dass man also rahen Feld hat, später hat man immer ein Gas, mit Gas betrieben und da gab’s, so ein kleiner Anzüder, dann hat man des aufgedreht und ist da Gas rausgekommen und da hat man schnell das Feuer hinnehmen müssen das des net explodiert ist und dann hat man auf dem Gasofen, hat man dann gekocht. Des sind so, wie gesagt, meine Erinnerungen, ich weiss noch, man hat natürlich, es wurde, heute geht man in den Laden und man kauft sich Burger oder was das alles gibt, damals war es ja, gab’s des noch nicht so, man hat also selber gekocht, meine Mutter hat gebacken, es war ganz toll was da also gemacht wurde. Meine Spezialität sind also, sind Maultaschen, das kann ich net verheimlichen, und meine Mutter hat dann in der Küche den Teig ausgewält, ich bin also dabei gewesen und da hat sie also und und und, des war die besten Maultaschen die hat man dann gefüllt mit wie, was weiss ich was, des waren so, ja, die Erlebnisse.
PS: Sie hatten vorher etwas angedeutet an Wiederstandsleuten.
DE: Ja, des war ja die, des hab ich jetzt leider, des steht in dem Buch vom Herrn Redding, die Wiederstandsleute wie diese [unclear] waren, die waren ja dann zum Teil hier, wir hatten hier ein Gefängnis heute, ist [unclear] Gefängnis und da waren die, hat man da die Leute inhaftiert und, wie gesagt, wurden dann oben durch Genickschuss getötet. Aber ich weiss net wie viel, aber wie gesagt im Buch vom Herrn Redding steht die Zahl drin, ich weiss bloss dass also die dort raussgezogen hat und das es fürchterlich war und zwar, Arzte ma Rande gestanden haben, mussten die Leute identifizieren oder was weiss ich was. Des waren so die grawierende Erlebnisse aber, sagen wir so, es war für uns Alltag, ein Paar Mal war wurde gesagt, es war für uns Alltag, wir haben praktisch mit Leichen gespielt, es war ja nix anderes. Es war unser Alltag.
PS. Haben Sie noch Erinnerungen an Ihre Wohnung?
DE: Ja, die Wohnung, ja sebstverständlich, jedes Mal wenn ich vorbeilauf kann ich genau sagen wo, die wurden dann. Meine Mutter hat noch bis zu Ihrem Tod dort drin gelebt, es waren Wohnungen da kam man heut kaum noch einziehen, mit natürlich keine Jalousinen sondern normale Rolläden, die waren immer irgendwann gestrichen hat, vom Zeit zu Zeit kam ein Mahler, Tapezzierer, das war also ein ganz tolle Sache, der kam mit einen Wägelchen, ja, hat er also die Wände tapezziert. Und des waren so, wie gesagt, täglich undsoweiter, nix, ewig noch der Ofen wo meine Mutter so schön hochgetragt in den Keller gegangen ist und hat morgens den Ofen in Betrieb gesetzt und kann ich mir nciht vorstellen. Heut geht man hin, dreht den Hahn auf und dan man hat also seine Temperaturen und wenn man dann Öl braucht dann ruft man den Lieferanten an und dann liefert der Ol aber darüber nachdenken, ne.
PS: Wie war es mit der Verdunkelung?
DE: Ja, danke, ja, folgendermassen, da hat man net wie heut Jalousine gehabt sondern man hat, auf eine Rolle war ein schwarzes aus, weiss net was es war, Pergament oder was es so war, oder Leinen schwarz und da runtergezogen, das musste man machen damit die Flieger undosweiter, das die net wussten wo was ist, also des war Vorschrift, dass man hat meine Mutter hat [unclear] hat überall diese Jalousinen, Jalousinen heisst runtergezogen. Schwarz. Und Ich sag nochmal, ich habe noch langezeit diese Fahnenstangen aufgehoben, das war eine normale Holzstange und da dran hing also diese Fahne des Dritten Reiches. Und überall wurde kontrolliert, wehe wenn diese Fahne nicht raushängt hat, da haben wir gesagt, das ist kein Partei Mitgied, also da muss man hinterher gehen. Ja, aber diese Sachen erfährt man erst später, oder tut man erst später aus dem Bewusstsein, denn damals haben wir wohl nix dabei gedacht, dass musste halt so sein und ich habe dann folgenschweres Erlebnis möchte man sagen, des war schon nach ‚45 ein Offizier, habe ich später erfahren, der wollte noch mit seinem Auto, ein alter Opel P4, wollte er noch türmen, abhauen, den hat man, ich weiss noch die Stelle genau, erwischt und hat ihm dann vermutlich erschossen und hat das Auto in Brand gesetzt. Hinzu wie das Auto noch gebrannt hat, ja, als der Mensch noch im Auto brannte. Ich, fällt mir ein das am Rand als wir nach Tiefenbronn liefen durch den Wald hindurch, Pforzheim Tiefbronn tiefer Wald, da waren noch versprengte deutsche Soldaten, die noch geglaubt haben dass es ja, sie wurden noch [unclear] als wir nach Tiefbronn liefen noch so am Graben entlang an der Strasse und da war noch ein deutscher Soldat, der hat noch mit seinem Gewehr, als ein Flieger oben drüber flog, den beschossen, war [unclear] weil er auch noch grad geglaubt hat, dass Deutschland, ja, noch an den Endsieg glaubte. Noch zu dem Zeitpunkt, nach ‚45.
PS: Erinnern Sie sich noch an etwas anderes an das Ende des Krieges? Als der Krieg zu Ende war, also?
DE: Das habe ich Ihnen ja gesagt, die Kapitulation war ja am 8 Mai 1945, ich habe schon mal gesagt, bei uns war des, ob des Franzosen waren oder Engländer, das spielt erstmal keine Rolle, des waren für uns, diese Frage ist aufgetaucht bei einen Gespräche bei dem Herrn Redding in der Buchhandlung, waren diese Franzosen, waren diese Engländer, waren des Befreier oder was waren des? Diese Frage kann sie mir keiner beantworten. Ich weiss es nicht. Die einen sagen, es waren Befreier, sie haben uns befreit vom Dritten Reich, für uns als Jungen, ich habe des net als Befreier umbedingt gesehen sondern es waren Leute, die uns aus einer anderen Welt in eine besseren Welt geführt haben, muss ich so sagen, es gab wieder zu essen, es gab, die Amerikaner waren freundlich und es war so ganz toll. Wir haben ja momentan dieses, net Problem aber, es wurden, auf der Höhe wurden ja Englische Flieger, ja, die mussten notlanden und die wurden dann auch da oben erschossen. Des geht ja nun hin und her und die kommen ja jedes Jahr zu uns, also die Überlebenden und die Nachfolger und es sind dann immer Versöhnungsgespräche und und und. Es waren damals, [unclear] es waren Hitlerjungen die damals, weiss ich nicht so genau, sechzehn Jahre alt waren, als die also dabei waren oder sogar selber diese Flieger erschossen haben. Man hat mir immer wieder die Frage gestellt, die haben sich auch nichts dabei gedacht, die wurden ja, sagen wir mal, manipuliert, haben halt gesagt, guck mal, die haben das gemacht und deshalb, es ist alles eine Gewissensfrage. Und ich sag nochmal, waren es Befreier? Für mich waren’s nicht unbedingt Befreier sondern es kamen Leute ins Land, die uns wohltaten, die uns zu essen gegeben haben, zu trinken, es ging uns besser wie vorher. Ja.
PS: Wo ist das passiert?
DE: Mit den Fliegern?
PS: Ja.
DE: Des ist von Pforzheim, da schreibt momentan ein jungern Mann seine Doktorarbeit drüber, da war es grad, diese Tage wieder so, gestern oder vorgestern in der Presse, so, da wir ein Gottesdienst abgehalten und und und, des war von Pforzheim nach Huchenfeld sind es sechs Kilometer. Da gib’s also grosse Berichte drüber wer wann wo und die jungen Leute, die da beteiligt waren, bei der Exekution, die kamen dann auch, haben im Gefängnis, Zuchthaus so und so viel Jahre abgesessen, also weiss ich nicht aber des war damals so. Wie gesagt, die mussten notlanden. Aber wie gesagt, wenn sie da die Details wissen die kann man also, no problems, die kann man also, in Behalt legen.
PS: Erinnern Sie sich welche, Verzeihung, habe ich Sie unterbrochen?
DE: Was, welche?
PS: Habe ich Sie unterbrochen?
DE: Mit was?
PS: Wollten Sie etwas sagen?
DE: Nein, nein, ich wollte dass Sie fragen, ob Sie noch, weil, wie gesagt, das ist immer schwierig wenn ich bestimmtes Thema vorbereite oder so muss ich etwas nebuläs aus meinem Leben gerichten, desshalb bitte ich Sie, dass Sie noch, wenn Sie noch Fragen haben, die Fragen gern an mich richten?
PS: Wenn Sie jetzt zurückdenken an die Zeit, als Sie ein kleiner Junge waren,
DE: Ja.
PS: Erinnern Sie sich was Sie gegenüber, welche Gefühle Sie damals Sie gegenüber denen, welche Gefühle Sie hatten, gegenüber von denen die Sie bombardierten?
DE: Ja, ich weiss, da kann ich eine gute Antwort draufgeben, also, ob sie gut ist weiss ich net, ich habe, ich hatte und habe keine Animositäten, ich will sagen obwohl der Grossangriff ja bei uns viel zerstört hatt, also wie gesagt des Anwesen von meiner Oma, das heute was weiss ich was, wert wäre, ich habe keine Animositäten, ich kann nicht sagen, die bösen Engländer, die bösen Amerikaner, weil ich jetzt ein Schritt weiterdenken muss, wir, die Deutschen, haben ja bei euch unsoweiter das gleiche gemacht, da müssen die auch uns gegenüber auch einen Hass haben, aber gottseidank hatt sich des alles gelegt, des sind, wir haben uns alle wieder irgendwo versöhnt. Und ich kann nicht sagen, wir, ich, oder, ich konnte nichts dafür und wenn jemand kommt und sagt, wie dieser da geschehen, er sei da selber dran Schuld und die bösen Engländer und Amerikaner wer es auch immer war, dieses, diese Aussagen kann ich nicht teilen. Denn es war auf beiden Seiten es war Krieg und es muss mal eben so respektieren, selbst nach all den Jahren muss ich sagen, ich hatte zu keinen Dings irgendwo, so Engländer, Amerikaner, was auch immer, eine Voreingenommenheit, sondern es sind für mich, wenn sie zu uns kommen, sind für uns Freunde und die jetzt kommen, die Generationen, die Nachfolge, die konnte ja sowieso nix dafür. Und dann will ich es nochmal sagen, diese, sag ich zum zichsten Mal, diese [unclear] zu mir gesagt wurde, ihr habt ja, dass ihr Schuld seit, was weiss ich , Guernica also, Entschuldigung, ich war nicht dabei, [unclear] es war die Generation nach unser, wie die empfinden, weiss ich nicht, ich auf jeden Fall heute, auch als Junge, hatte ich nie irgendwo, es wurde also nie irgendwo Hass gesehen. Meine Mutter hat nie gesagt: „Da guck mal, was die gemacht haben“, weil die eben wussten, dass wir dasselbe, der Deutsche auch gemacht haben. Also es bestand nie, es war nie eine Animosität gegenüber England, [unclear] verstehen, ich glaub dass ist eine Frage, ja, es ihre Frage beantwortet.
PS: Haben Sie noch irgend noch eine andere Erinnerung an den 23 Februar?
DE: Ja, ich habe Ihnen nun den 23 Februar praktisch geschildert, und was eben das entsetzliche war, dass diese Brandbomben, dass die Leute, ich weiss nicht, von Technik, genau von Technik aber das waren ja Phosphorbomben und die Leute sind praktisch auf der Strasse [unclear] geblieben, sind also als neben den [unclear] am Schlossberg, wie gesagt, lagen so und so viel Ding die wirklich vor Brand zusammen geschrumpft waren. Aber ich kann Ihnen noch folgendes sagen, man hat immer von 20000 Toten gesprochen, stimmt aber nicht, es wurde und zwar hat man die Toten von den anderen Angriffen zusammengezählt. Also Ihrer Information, ich hab’s grad da, am 23 Februar, es gab ja viele, hier Ausländer, Gastarbeiter, Fremdarbeiter, Entschuldigung, und in diesem Areal unten am Marktplatz sind also 23 Februar 253 Ausländer ums Leben gekommen. Der Nationalität nach überwiegend Fremdarbeiter. Also wir hatten 253, also die richtige Zahl sind also genau 17600 beim Grossangriff. Und die Zahl 20000 stimmt net denn da wurden die Toten mitgezählt von den vorigen Angriffe. Also, des ist jetzt also festgestellt. Kann man schon googeln was da, ja, bin grad mal schön googeln, ja, also des ist ja, des sind die entgültichen Zahlen. Also, wie gesagt, [unclear], nur wichtig dass jemand Fragen stellt, da kann ich die Fragen aber so aus’m hohlen Magen raus zu schildern mir [unclear] das ist immer schwierig.
PS: Ich wollte Sie noch fragen, wie war die Wahrnehmung der Bombardierung von Pforzheim, wie ist die verarbeitet worden von der Bevölkerung im Laufe der Jahre? In welchem Licht ist sie gesehen worden?
DE: Unterschiedlich, sehr unterschiedlich und zwar ich hab des [unclear] grad gemacht, man hat langezeit gesagt, Pforzheim wurde bombardiert weil Zünder hergestellt wurden. Andere sagten, es wurde systematisch zerstört, [unclear] war flächendeckend, also die Meinungs kann es sein dass flächendeckend das es umbedingt weil sie Zünder hergestellt haben sondern eben dass es flächendeckend war und die Meinung ging natürlich, ist ja ganz klar, die Mehrheit, die Altvorderen, die damals noch jung waren die, ich hab nie irgendwie [unclear] gesagt, die und das undsoweiter kaputtgemacht, man hat es hingenommen ohne irgendwelche Hassgefühle, denn wenn irgendejemand was gesagt hat, daan wurde immer wieder dagegengesagt: „Und was hat ihr gemacht in“, Hitler hat sagt: „Ich werde die Städte ausradieren“. Verstehen Sie, immer, es war ein, es waren gegenseitig aber sagen wir mal Hassgefühle habe ich nie irgendwo erlebt, dass die also mit [unclear] durch die Stadt gerannt sind, haben gesagt, die sind Schuld, nein, des nicht. Ja, Sie können ruhig noch weiterfragen, ich bin da.
PS: Nur noch vielleicht eine letzte Frage, wie war ihr Leben nach dem Krieg?
DE: Mein Leben nach dem Krieg, auch des habe ich auch irgendwo schon [unclear], mein Leben nach dem Krieg, es war eine Zeit wo man also, [unclear] aber es war eine paradiesische Zeit, wirt hatten, wichtig wir hatten zu essen, es gab kein Luftschutzallarm mehr, wir wurden net aus dem Schlaf gerissen, man hatte wieder, einerseits konnte ausgehen, ohne dass man in den nächsten Luftschutzkeller springen musste, wie gesagt, des Ende des war ganz wichtig, nach und nach wieder Sachen kaufen können, Sachen wo man sagen muss, dass kann man gar nicht mehr essen, von Konserven, [unclear] Hamburger irgendwo gekauft oder was weiss ich was, des gab‘s damals so net, sondern es war noch gute Hausmanskost. Was, ich hab so das selber gebacken, der Duft des frischgebackenen Brotes oder des frischen Kuchen und des war halt, es war toll. Des war die Zeit nach 1945 und wie gesagt, es gab da keine Lebensmittelkarten mehr aber ganz wichtig war es, dass man als Kind wieder durchschlafen konnte, weil die Mutter ihn nicht wachgerüttelt hat in den Teppich und dann in den Keller und dann die Angst, wie geht‘s weiter und was macht der Vater der im Krieg ist. Wir haben im Haus eine Frau, deren Mann war auch im Krieg, und des hat irgendwie mit Aberglauben nichts zu tun aber meine Mutter ist mit der zusammengesessen und dann hat man die Eheringe, hat man ein Schnürchen durchgemacht, hat ein Bild vom Ehemann hingelegt und hat des drüber gehalten und vielleicht war es auch Aberglaube. Wenn der Ring dann gependelt hat, dann hat man gewusst, der Vater ist gestorben. Wenn er ruhig war, dann hat man gesagt: „Der lebt noch“. Solche [unclear] ist man zurückgekommen. Des war so.
PS: Hat Ihr Vater ihr erzählt von seinen Kriegserfahrungen?
DE: Die Väter haben in der Regel nix erfahrt, nix erzählt, sie haben also bloss gesagt, dass sie also in Frankreich, dass die [unclear], mein Vater war also einfacher Kradfahrer, hat dass geheissen ja, dass die Altvorderern, die Älteren die besseren, Leutnant, Oberleutnant oder was es alles gibt, dass die ziemlich gehausst hätten. Ich habe eine gute Bekannte gehabt, eine Französin, und die hat mir also berichtet, wie damals die Leute die Deutschen in Frankreich gehasst haben, gewütet haben. Des muss man also auch sehen, also da muss es ziemlich schrecklich zugegangen sein. Also mir hat mein Vater [unclear], er war net irgendwo in der Oberetage, alles miterlebt hat, bloss hat er gesagt, was die, also Oberleutnant., was die da oben gehausst haben, das hat mir eine Bekannte auch erzählt, Französin, dass es also ganz schlimm [unclear], ja, ganz schlimm gehausst haben. So, jetzt muss ich an Handy, wenn Sie noch Fragen haben?
PS: Nein, ich würde sagen, ich würde sagen das reicht. Ich bedanke mich sehr recht herzlich bei Ihnen.
DE: Keine Ursache, wenn Sie dann irgendwie dann noch Fragen haben, wie gesagt, Sie müssen dass noch einsehen, es ist immer etwas schwierig wenn ich [unclear] die Fragen habe, dann kann ich die exakter beantworten, so muss ich aus’m hohlen Magen heraussagen.
PS: Warten Sie. Ich wollte Sie noch fragen, wo war ihr Vater in Frankreich?
DE: Oh, dass Weiss ich nicht genau. [unclear] Frankreich, aber Frankreich, des weiss ich net, hoch [uclear] dreisig Jahren gestorben. Also wenn Sie noch irgendwie diesen [unclear] und dann noch irgendwelche Fragen haben, spezielle Fragen, bin ich jederzeit bereit diese Fragen zu beantworten.
PS: Gut, dann werde ich, für jetzt würde ich sagen, Schluss machen.
DE: Anderthalb Stunden.
PS: Ich bedanke mich sehr recht herzlich bei Ihnen.
DE: Keine Ursache.
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Title
A name given to the resource
Interview with Dieter Essig
Description
An account of the resource
Dieter Essig recollects the 23 February 1945 Pforzheim bombing, which he eyewitnessed at six. Mentions the long hours he spent inside a shelter, describing his wartime years as wasted childhood. Speaks of the 1 April 1944 bombing stressing how he didn’t feel traumatized as death was part of everyday life. Describes crowded air raid shelters and explains wardens’ duties, stressing a strong community spirit and how the sense of impending danger drew people close to each other. Mentions various wartime anecdotes: the gruesome sight of charred corpses looking like shrunken cats; the bodies of young girls who died of suffocation displayed on the streets; a trumpeter playing Christmas songs from atop a pile of rubble; blackout measures; execution of regime opponents and lynching of Allied aircrew. Stresses the wartime hardships he endured, such as food shortage and ration cards, and explains how he resorted to eat snails and wild berries to survive. Describes everyday life under the Nazi regime and mentions how he used to play: building wooden soapbox cars, making small boats out of tree bark and collecting live cartridges. Describes Moroccan vanguards raping girls, harassing people and robbing population, while speaks with affections of friendly American soldiers who handed out sweets. Describes the Allies as those who ushered in a better world for Germany by feeding and helping its citizens.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Peter Schulze
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2018-03-20
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
01:32:13 audio recording
Language
A language of the resource
deu
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AEssingD180302
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Germany
Germany--Pforzheim
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1945-02-23
1944-04-01
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
bombing
childhood in wartime
civil defence
home front
lynching
perception of bombing war
shelter
-
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9c173e93f2f85dfff4ecb6704a84ed55
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Title
A name given to the resource
Jähnichen, Wolfgang
W Jähnichen
Description
An account of the resource
One oral history interview with Wolfgang Jähnichen, a survivor of the 13 February 1945 Dresden Bombing. He recollects various episodes of the firestorm and elaborates on the legitimacy of the attack within the context of the bombing war.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2018-03-14
Rights
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This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Jähnichen, W
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
PS: Bevor wir anfangen, bitte ich Sie folgende Fragen zu beantworten, damit wir sicher sind, dass dieses Interview nach Ihren Wünschen sowie den Bedingungen unserer Sponsoren gemäß registriert wird. Sind Sie damit einverstanden, dass dieses Interview als eine öffentlich zugängliche Quelle aufbewahrt wird, die für Forschung, Erziehung, online und in Ausstellungen verwendet werden kann? Ja oder nein?
WJ: Ja.
PS: Danke. Das dieses Interview unter einer nichtkommerziellen Creative Commons Attributionslizenz, die mit den Buchstaben CC-BY-NC dass heisst das sie nicht für kommerzielle zwecke benutzt werden darf, das dieses Interview öffentlich zugänglich gemacht wird? Ja oder nein?
WJ: Ja.
PS: Danke. Dass Sie als Urheber und Author des Interviews anerkannt werden? Ja oder nein?
WJ: Ja.
PS: Danke. Sind Sie bereit, der Universität das Copyright Ihres Beitrags zur Verfügung zu stellen, damit es zu jedem Zweck verwendet werden kann, und sind Sie aber dessen bewußt, dass es nicht Ihren moralischen Anspruch beeinträchtigen wird, als Urheber des Interviews identifiziert zu werden, dem Copyright, Design und Patentsgesetz 1988 gemäss? Ja oder nein?
WJ: Ehm, ich habe eine Zwischenfrage.
PS: Ja.
WJ: Auf welche Universität bezieht sich das?
PS: Das ist die Universität Lincoln, in England.
WJ: Ist das eine private Universität oder eine staatliche?
PS: Das ist eine staatliche Universität.
WJ: Ok, ich bin bereit, ja. Die Antwort lautet ja.
PS: Danke. Ich füge noch hinzu dass, ich kann Ihnen noch zusätzlich eine E-mail schicken mit weitere Informationen zum Projekt, auch ein Link zu dem Projekt, es gibt schon ein Besucherzentrum und das Archiv wird in einen Monat, knapp einen Monat online [unclear].
WJ: [coughs] Ok.
PS: Ich bitte sie jetzt um fünf Minuten, fünf Sekunden, sagen wir,
WJ: Zeit.
PS: Nein, Schweigen damit der Techniker.
WJ: Ja. Alles klar.
PS: Gut, jetzt, also fangen wir an. Dieses Interview wird für das International Bomber Command Digital Archive durchgeführt, das an der Universität Lincoln angesiedelt und vom Heritage Lottery Fund finanziert wird. Der Interviewer ist Peter Schulze, der befragte ist Herr Wolfgang Jähnichen. Heute ist der 14 März 2018. Wir danken Herr Jähnichen dass er bereit ist, sich interviewn su lassen. Ehm, also, Herr Jähnichen, wenn Sie mir erstmal von ihren früheren Leben erzählen können, wo Sie geboren sind und aufgewachsen, Ihrem Elternhaus, die ältesten Erinnerungen die Sie haben.
WJ: Ja. Ich bin 1939 in Dresden geboren und dort auch aufgewachsen und haben in einen Einfamilienhaus in Dresden Gruna gelebt und habe bei diesem, in diesem Einfamilienhaus auch den Terrorangriff der Britischen Air Force vom 13 Februar 1945 persönlich miterlebt und sehr gut in Erinnerung. Ich bin dann ausgebombt worden, bin anschliessend dann zur Schule gegangen, habe an der Internatsschule des Dresdner Kreuzchores mein Abitur gemacht, Altsprachlich, Latein und Griechisch, habe dann in Hannover auf der Technischen Hochschule studiert Bau- und Verkehrswesen, war dann persönlicher, persönlicher Referent des Vorstandsvorsitzenden der Hamburger Hochbahn, anschliessend Gründungsgeschäftsführer einer Tochtergesellschaft der Rheinischen Bahn, die sich mit U-Bahnbau beschäftigt, war dann Abteilungsdirektor Verkehroberfläche der Hamburger Hochbahn und gleichzeitig Betriebsleiter und Sicherheitsbeauftragter und war bis zu meiner Pensionierung Geschäftsführer der Leipziger Verkehrsbetriebe und in Personalunion des Mitteldeutschen Verkehrsverbundes. Anschliessend bin ich dann, anschliessend bin ich dann selbstständig als Berater von grossen und internationalen Verkehrsunternehmen tätig gewesen und derzeit bin ich ehrenamtlich in sieben Tätigkeiten da. Ich bin Vorsitzender einer grossen Deutschen Partei in einer Stadt mit 50,000 Einwohnern, bin dort Fraktionsvorsitzender, gehöre der Stadtverordnetenversammlung an, bin President eines Rotary-Clubes, bin Mitglied des Vorstandes der Deutschen Ingenieure VDI, bin Lesepate in einer Grundschule auf dem Wedding mit ausschliessich ausländischen Schülern und bin Mitglied vieler vieler andere Gemeinnütziger Gesellschaften, ich hoffe Ihnen damit genügend gesagt zu haben.
PS: Ich wollte vielleicht ein bisschen zurück gehen auf Ihr früheres Leben. Ob Sie mir eben ein bisschen von Ihrem Elternhaus erzählen können, in welcher Umgebung Sie aufgewachsen sind.
WJ: OK, ich bin, ja, ja, ich bin 1939 am zweiten August geboren und mein Vater war Rechtsanwalt, Dr. Hans-Georg Jähnichen, Fachanwalt für Steuerrecht. Und mein Vater wurde, als ich noch nicht ganz zwei Jahre alt war, zum Militär eingezogen und ist dann erst 1948 aus Russischer Kriegsgefangenschaft wieder zurückgekommen. In der Zeit von 1939 bis ‚45 habe ich in Dresden Gruna gelebt, in einem Einfamilienhaus bei meinen Grosseltern mit meiner Mutter und wir sind dort ausgebombt worden am 13 Februar 1945. Über verschiedene kleinere Orte sind wir dann bis zum Herbst, bis November 1945 da überall mal untergekommen und haben dann in Dresden Trachau 1945 im November eine Wohnung bekommen und dort habe ich gelebt bis zu meinem Abitur 1957, was ich an der Internatschule des Dresdner Kreuzchores altsprachlicher Zweig gemacht habe, mit acht Jahre Griechisch und vier Jahre Latein, umgekehrt, acht Jahre Latein, vier Jahre Griechisch.
PS: Wie war die Stimmung zuhause, also wie war, sagen wir, die Wahrnehmung der damaligen Zeit und des Regimes zu hause?
WJ: Ich stamme aus einer Familie die Sozialdemokraten sind, bei Ihnen würde man Labour sagen. Mein Grossvater war in dem Hitlerreich rausgeflogen weil er Sozialdemokrat war, hat dann im Hitlerreich Wiederstand geleistet. Meine Grossmutter hat mich beispielsweise im Kinderwagen gefahren und unter der Matratze hat sie Flugblätter gehabt und die hatt sie da illegal verteilt. Und mein Grossvater hat Wiederstand geleistet zusammen mit der Bekennenden Kirche, das ist eine Art der Evangelischen Kirche in Deutschland, die sich von den Deutschen Christen unterschied, zusammen mit Kommunisten, zusammen mit Zeugen Jehovas und also Wiederständlern. Mein Grossvater hat dann 1945 die Sozialdemokratische Partei in Dresden mitwiedergegründet und hat dann das Buch weggeschmissen als es in der Sowjetischen Besatzungszone zur Zwangsvereinigung von Sozialdemokratischer Partei und Kommunistischer Partei kam mit der Begründung, es kann nicht richtig sein dass die Kommunisten die Ziele und die Sozialdemokraten die Massen stellen. Daraufhin wurde er von den Kommunisten als Sozialfascist bezeichnet, das hat er nie überwunden, mit denen hat er selbst Wiederstand geleistet und deshalb bin ich in meiner Kindheit immer antikommunistisch erzogen worden, aber auch antifaschistisch. Antikommunistisch erzogen worden, Ich war nie Mitglied der Jungen Pioniere oder der Freien Deutschen Jugend, das sind die Jugendorganisationen der Kommunisten in Deutschland.
PS: Was, Ihr Grossvater hat nicht im Ersten Weltkrieg gekämpft.
WJ: Nein, da war er freigestellt, er war Stadtbaudirektor in Dresden.
PS: Was machte Ihre Mutter?
WJ: Meine Mutter war, hatte Gesang studiert und war Gesang- und Oratoriensängerin.
PS: Welche Erinnerungen, habe Sie irgendwelche Erinnerungen als kleines Kind vor dem,
WJ: Terrorangriff. Mein Vater war im Krieg, ich bin bei meinen Grosseltern und meiner Mutter gross geworden. Ich habe in Dresden gelebt, einer Stadt die bis zum 13 Februar ‚45 nie in Kriegsgeschehnisse einbezogen war. Lediglich im Oktober 1944 hat es mal einige ganz kleine Bombenabwürfe gegeben und da kann ich mit entsinnen da sind wir da aus Sensationslust hingeströmt und haben gesehen dass vier oder fünf Häuser kaputtgegangen sind, das war im Oktober 1944. Ich bin dann anschliessend mit meiner Mutter durch die Innenstadt gefahren, wir waren in der Frauenkirche, die ja auch in England sehr gut bekannt ist durch das Kreuz von Coventry und wie gesagt ich war ein wohlbehüteter Junge der, dem es relativ gut ging mit Aussnahme der politischen Überzeugungen und meine Grosseltern haben immer, da kann ich mich auch entsinnen, meine Grossmutter ist eine gebürtige Amerikanerin gewesen die dann einen Deutschen geheiratet hat und in Deutschland gelebt hat, die hat immer verbotenerweise, wir haben als Kinder gesagt, den Bum-Bum Sender gehört, das war BBC London, und das war in Deutschland verboten, da stand die Todestrafe drauf, sie hatt’s trotzdem gehört und ich durfte das als Kind nie wissen.
PS: Was, wie lebte man zu der Zeit, also, haben Sie Erinnerungen von den anderen Kinder, waren Sie in Kontakt mit anderen Kindern?
WJ: Ja, ich habe eine Sandkastenfreundin gehabt, die im Nebenhaus gewohnt hat. Wir haben in der Kriegszeit natürlich alles nur aus Lebensmittelmarken kaufen können aber es ging uns nicht schlecht, wie gesagt, wir wurden allerdings durch die Hitlerpolizei bespitzelt weil meine Grosseltern Sozialdemokraten waren. Wir mussten uns sehr aufpassen. Ich kann mich noch entsinnen, ich habe immer, wenn ich jemandem traf Guten Tag gesagt und man musste damals ‚Heil Hitler‘ sagen und das haben wir in unserer Familie nie gesagt. Und da ging ich mit meiner Mutter mal in Dresden spazieren oder einkaufen und da haben wir gegrüsst und da habe ich gesagt: ‚Guten Tag!‘. Und dann fing dieser Nationalsozialist an über meine Mutter herzufallen, ich war wie gesagt fünf Jahre, um zu sagen: ‚Frau Jähnichen, der Wolfgang, das ist mein Vorname, der muss doch den Deutschen Gruss sagen, ‚Heil Hitler‘ und so. Jedenfalls ich kannte das überhaupt nicht weil wir zuhause immer eben nur Guten Tag gesagt haben. Ich will damit nur mal unsere Einstellung zu dem Faschistischen Staat sagen.
PS: Welche andere Erinnerungen haben Sie an die Zeit?
WJ: Ich habe Erinnerungen dass Dresden eine wunderschöne Stadt war, mit vielen Flüchtlingen, die aus dem Osten gekommen waren, und zwar Anfang des Jahres 1945, als die Rote Armee, di Sowjetische Armee dann nach Ostpreussen und nach Schlesien kam, hatten wir in Dresden, Dresden ist eine Stadt gewesen damals 600,000 Einwohner, die hatte damals im Anfang 1945 statt 600,000 Einwohner eine Milion Einwohner, da waren viele Vertriebene, die aus den deutschen Ostgebieten gekommen sind. Es war eine völlig unzerstörte Stadt, wir haben im Krieg nie etwas erlebt bis dann der schlimme Bombenangriff vom 13 Februar 1942, 1945 kam. Das war ein Dienstag, ein Fassnacht oder Faschingsdienstag, ich kann mich entsinnen, ich war als Indianer verkleidet, wie man eben als Kind da so geht, und meine kleine Sandkastenfreundin war als Prima Ballerina verkleidet und wir haben sehr schön mit einander gespielt. Sind dann jeweils von einander unabhängig abends so gegen, was weiss ich, so gegen zwanzig Uhr zu Bett gegangen und ich wurde dann gegen einundzwanzig Uhr aus dem Schlaf gerissen, geweckt, weil Bombenalarm war aber ich nehme an da werden Sie extra noch Fragen dazu stellen.
PS: Ja, können Sie mir das eben jetzt so erzählen?
WJ: Ja, das kann ich Ihnen gerne sagen. Wie gesagt das war völlig neu für uns, wir hatten nie Bombenalarm in Dresden, das galt so quasi als der Luftschutzkeller Deutschlands, und die Sirenen heulten und ich wurde geweckt und wir sind in den Keller gegangen. In dem Keller, da waren wir drinnen ungefähr von einundzwanzig Uhr bis zweiundzwanzig Uhr dreisig, ohne das etwas passiert ist. Es gab ja mehrere Angriffe in Dresden, der erste Angriff war zwischen einundzwanzig Uhr, was weiss ich, zehn und einundzwanzig Uhr vierzig, so in dieser Zeit, da ist uns nichts passiert. Wohl aber ist die Wohnung meiner Eltern, in der wir nicht mehr wohnten, weil da Flüchtlinge aus Berlin drin waren, die ist total zerstört worden aber das hat uns relativ wenig tangiert denn wir wohnten bei meinen Grosseltern im Einfamilienhaus. Und dann, mein Grossvater war Stadtbaudirektor in Dresden, und er hörte dass die ganze Innenstadt brennt und das furchtbare Zerstörungen in Dresden sein sollen. Und dann, das habe ich nur so gehört von meinem Grossvater, passiert war in dem Stadtteil, in dem ich gelebt habe zum ersten Angriff nichts. Aber es kamen dann gegen Mitternacht, es kann auch ein Uhr gewesen sein, ein zweiter Angriff und diesen zweiten Angriff da wurde auch unser Haus getroffen, wir waren dann auch abermals in den Keller gegangen. Und dann meine Grossmutter war dann mal rausgegangen mitten in diesen Alarm und da sagte sie: ‚Unser Haus brennt! Unser Haus brennt!‘. Und dann sind wir fluchtartig aus dem Haus heraus, das Haus hatte eine schönen, grossen Garten. Und dann hatte ich so eine nasse Decke um, das hatte man damals so, und meine Grossmutter war neben mir und dann kamen Tiefflieger und diese Tiefflieger schossen auf uns. Das habe ich genau gehört und gesehen. Die flogen ganz ganz tief und sie schossen aus, entweder Maschinenpistolen oder Maschinengewehren, das weiss ich nicht. und da rief meine Grossmutter, mein Spitzname war damals Mell: ‚Mell, schmeiss dich hin!‘, da habe ich mich hingeworfen und da zischte es und da hatte ich mich auf Phosphor geworfen. Mir war aber deshalb nichts passiert weil ich eine nasse Decke um hatte aber es zischte, meine Grossmutter hat mich sofort wieder hochgezogen so dass mir also nichts passiert war. Offensichtlich hatten die Engländer auch Phosphor abgeworfen oder Phosphor Bomben abgeworfen und auf so eine Phosphorstelle hatte ich mich geworfen. Als dieser Bombenangriff dann zu Ende war, vielleicht eine halbe Stunde oder sowas dauerte das, die erste viertelstunde waren wir ja noch im Keller und dann brannte das Haus, dann waren wir draussen, sind wir aus der brennenden Stadt geflüchtet. Und ich kann mich entsinnen dass ich mit meiner Mutter und meinen Grosseltern über die Strassen gegangen bin und ich musste dann, wirklich im wasten Sinne des Wortes, über Leichen gehen. Die Strassen waren voller Leichen und wir sind dann in einen Vorort von Dresden, vielleicht zwanzig Kilometer zu Fuss geflüchtet und sind dann bei völlig fremden Leuten untergekommen. Meine Tante, die auch mit im Haus wohnte, konnte nicht da mitkommen, die hat dann am nächsten Tag erlebt, aber wie gesagt, das habe ich nicht erlebt, das habe ich nur durch Erzählen von Ihr, das gegen Mittag des 14 Februar, so gegen dreizehn Uhr, ein Angriff, aber nicht der Royal Air Force sondern der American Air Force stattgefunden hatte, als das brennende Dresden nochmals bombardiert worden ist. Und bei dieser Gelegenheit ist das Wahrzeichen der Stadt, die Frauenkirche, die jetzt wieder aufgebaut worden ist, auch in Schutt und Asche versunken.
PS: Wenn Sie noch etwas hinzufügen, können Sie auch ruhig frei weitersprechen.
WJ: Na das sind, ich bin dann, wir sind dann geflüchtet in ein Vorort, sind von ganz fremden Menschen aufgenommen worden und ich war so verstört als fünfeinhaldjähriges Kind, ich habe 14 Tage kein Wort mehr gesprochen. Meine Mutter hat schon gedacht ich hätte irgendwie einen geistigen Schaden, ich habe 14 Tage kein Wort mehr gesprochen. Mir geht’s heute noch so, wenn Sirenen heulen, läuft mir ein kalter Schauer den Rücken runter. Und ich werde den Geruch des brennenden Dresdens nie aus meiner Nase heraus bekommen, ich werde diese Zeit in bis zu meinem Tode werde ich immer daran denken, das war das bis dahin für mich schlimmste Erlebnis meines Lebens. Und habe an diese Zeit ganz ganz traurige Erinnerungen weil ich praktisch aus einem geborgenen Einfamilienhaus wo wir recht gut gelebt haben trotz des Faschismus, der natürlich schlimm war, da gibt es gar keine Frage, wir mussten also, nur das habe ich als Kind nicht so gemerkt, aber meine Grosseltern, meine Mutter mussten sich immer vor den Nazis vorsehen, das sie nicht angezeigt wurden. Wie gesagt, meine Grossmutter hörte immer BBC London und das war natürlich verboten. Und aber wir haben in dieser Zeit in der andere deutsche Städte, ich denke Hamburg, Berlin, das Ruhrgebiet, Köln und wie auch immer schon zerstört waren, war Dresden nichts, alles intakt. Und erst am 13 Februar 1945 kamen diese schlimmen Angriffe, erst der Engländer und dann der Amerikaner. Ich bin mir bewusst, aber erst, natürlich erst nachdem ich in der Schule war, dass diese Gewalt, die da gegen die Zivilbevölkerung von Dresden ausgeübt worden ist seitens der British Air Force und der American Air Force darauf zurückgeht das Hitlerdeutschland den Krieg angefangen hat und das Hitlerdeutschland auch vorneweg Coventry und Rotterdam, nur mal um zwei Beispiele zu nennen, auch bombardiert hat und das dort ebenfalls Engländer beziehungsweise Holländer ebenfalls gestorben sind und ein ähnliches Schicksal erlitten haben, wie wir es dann, oder wie ich es dann 1945 erlitten habe. Ich sehe deshald den Krieg als eine ganz ganz schlimme, deshalb bin ich auch Sozialdemokrat, eine schlimme Sache an und werde aber nicht hingehen und sagen: ‚Nur die einen sind Schuld, nur die anderen sind Schuld‘, beide sind Schuld, aber den Krieg angefangen haben die Nazis, die natürlich noch viel viel schlimmere Verbrechen auf ihren Kerbholz haben. Ich denke beispielsweise daran dass jeder der Mosaischen Glaubens war, verfolgt und getötet wurde. Mein Vater hatte beispielsweise, er hat, er war Jurist und war mit vielen Juden befreundet und die gingen dann alle im Laufe der Naziherrschaft weg und ich kann mit entsinnen dass meine Mutter mit mir in der Strassenbahn in Dresden fuhr und da durften, das muss ‚42 gewesen sein, durften Juden noch mitfahren, mussten aber auf den Paron stehen, also durften sich nicht auf Sitzplätze setzen. Und da hat meine Mutter, als Solidarität, mit mir sich zu ihren Jüdischen Freunden gestellt und ist ebenfalls nicht in den Wagon hineingegangen sondern hat auf den Paron gestanden und hat mir dann, ich wusste gar nicht warum das ist, hat mir das erklärt was man diesen Jüdischen Mitbürgern für schlimme Sachen seitens der Naziregierung antut.
PS: Ja, ich wollte, wir kommen dann zu einiger dieser Themen wieder zurück, ich wollte jetzt zurück gehen zu einigen Sachen die Sie mir früher erzählt haben.
WJ: Ja bitte.
PS: Zum Beispiel der Luftschutzkeller.
WJ: Ja.
PS: Können Sie mir erzählen, wo war dieser Luftschutzkeller, wie hatten Sie Zugang, Sie und andere Menschen, wie hatten Sie Zugang zu diesem Luftschutzkeller?
WJ: Das war ein Einfamilienhaus und der Keller war als Luftschutzkeller deklariert, das war ein ganz normaler Keller. Wir sind aus dem, wir haben gewohnt im Erdgeschoss und der Ersten und Zweiten Etage und, als dann dieser Bombenalarm kam, sind wir in den Keller gegangen. Und, ja, und da hörten wir immer es krachen, und da Bomben fielen aber wir wussten natürlich nicht wo das war und dann ist ich glaube meine Mutter mal rausgegangen und hat mal geguckt, und hat dann gesehen dass das Haus über uns lichterloh brannte, so dass wir dann aus dem Luftschutzkeller herausgekommen sind, nicht durch die kleinen Luftschutzkellerfenster sondern noch über das Treppenhaus, das heisst, es brannte das Haus nur in der ersten Etage und in der zweiten Etage. Wir sind also noch während des Angriffes, sind wir noch aus dem Haus herausgekommen.
PS: Da gab es keinen Luftschutzwart, der euch hineinließ?
WJ: Es gab mit Sicherheit einen Luftschutzwart der spielte nur keine Rolle. Denn, es war, natürlich musste damals jedes Haus eine Luftschutzeinrichtung haben aber bei uns im Einfamilienhaus war das der ganz einfache Keller. Das hat der Luftschutzwart mit Sicherheit schon einmal begutachtet aber das war ein ganz normaler Keller eines Einfamilienhauses. Und wir sind nicht, weil der Luftschutzwart da irgendwie etwas gesagt hatte, in den Keller gegangen, sondern weil die Sirenen heulten.
PS: Hatten Sie, erinnern Sie sich ob Sie Angst hatten im Luftschutzkeller oder ihre Mutter?
WJ: Ja, ich hatte furchtbare Angst weil dieser Keller ja nur diese kleinen Kellerfenster hatte. Und ich habe richtige Angst gehabt, wenn ich durch diese Fenster raus muss komme ich da überhaupt durch, habe ich eine Riesenangst gehabt. Aber, wie gesagt, ich musste nicht über diese Fenster heraus sondern ich bin ganz normal über die Kellertreppe zur Haustur heraus aber das Haus über uns brannte schon.
PS: Und auch Ihre Mutter hatte Angst oder?
WJ: Mit Sicherheit aber wer hat damals nicht Angst? Das war ja, Sie müssen sich vorstellen Dresden war eine Stadt im Gegensatz zu Hamburg, zum Ruhrgebiet, zu Berlin, die noch nie einen Luftangriff erlebt hatte. Für die Hamburger, so blöd es klingt jetzt, Herr Schulze, war das schon Routine, weil die Berliner hatten praktisch alle zwei Tage so einen Luftschutzangriff, die gingen routinemässig schon in den Keller. Ich kann Ihnen auch sagen, Dresden hatte keine Luftschutzbunker, im Sinne von Hochbauten, wie sie beispielsweise in Berlin und in Hamburg heute noch anzutreffen sind aus Beton, das gab es alles in Dresden nicht. Dresden war eine unbefestigte Stadt. Ich kann mir nur deshalb vorstellen dass Dresden, dass man Dresden bombardiert hat, aus zwei Gründen. Erstens, es war ein Verkehrsknotenpunkt und alles was aus dem Osten kam, aus Breslau [coughs] und Königsberg in Richtung Westen und Süden ging über Dresden. Es war also ein wichtiger Verkehrsknotenpunkt. Zweitens, man wollte die Moral des deutschen Volkes brechen. Man muss fairaweise sagen dass viele Deutsche dem Hitler zugejubelt haben und diese Angriffe, die natürlich Terrorangriffe waren, da gibt es gar keine Frage, aber diese Angriffe sollten auch die Moral der Deutschen brechen, die ja teilweise noch bis kurz vor Kriegsende dem Hitler zugejubelt haben [coughs], man darf ja nicht vergessen dass viele deutsche, wie gesagt, wir gehörten nicht dazu, den, doch den Nazis nahestehend waren.
PS: Konnen Sie mir etwas von den, Sie haben vorher von den Tieffliegern gesprochen.
WJ: Ja, wir kamen aus den Keller raus, das Haus brannte lichterloh, es war also hell obwohl es abends so, nachts so gegen eins war, also es war nach Mitternacht, da man sah alles genau, das Haus brannte, die Nebenhaüser brannten, also es war nicht dunkle Nacht. Es war natürlich dunkle Nacht, aber durch die Brände war natürlich alles hell. Und dann sind wir in den Garten gegangen weil unser Haus brannte und, das habe ich Ihnen gesagt, da kamen die Tiefflieger und da haben wir uns hingeworfen und diese Tiefflieger und das weiss ich definitiv haben auf uns geschossen. Die wissenschaftlichen Forscher sagen: ‚Nein, das ist nicht so‘. Ich kann es aber wirklich bezeugen, dass die auf uns geschossen haben [mimics the noise of a machine gun]. Und das kann nur von oben gekommen sein denn es gab ja keine Panzer und keine Infanterie. Das waren Schüsse, ich kann Ihnen nicht sagen ob es ein Maschinengewehr oder eine Maschinenpistole war, das weiss ich nicht, aber es waren Maschinenschüsse, Maschinengewehrschüsse und die konnten nur von den Flugzeugen kommen weil es ja keine, keine Kampfhandlungen auf der Strasse gab, es gab ja keine Panzer und dergleichen mehr die da irgendwie da in Dresden einmarschiert sind, das ist ja erst, das war ja dann erst die Russen am 7 Mai 1945, aber wir sprechen ja über den 13 Februar.
PS: Sie haben mir auch von Ihrer, sagen wir, von der Erfahrung mit den Phosphorbomben gesprochen.
WJ: Womit bitte?
PS: Mit dem Phosphor.
WJ: Phosphor, ja. Ich habe, da müssen irgendwelche Phosphorbomben abgeworfen worden sein, die allerdings nicht das, also mit Sicherheit hat unser Haus gebrannt dadurch dass Phosphorbomben geworfen worden sind, aber nicht alle Phosphorbomben haben das Haus getroffen. Es sind auch im Garten Phosphorbomben da gefallen, da so genau kann man die ja auch nicht zielen, die sind ja aus grosser Höhe gekommen. Und auf so eine Phosphorbombe habe ich mich hingeworfen weil die Tiefflieger kamen, das heisst also die Phosphorbombe muss schon eher aus grosser Höhe abgeworfen worden sein, ein Teil der Phosphorbomben haben das Haus getroffen, ein Teil nur den Garten. Und auf diese Phosphorbomben die im Garten gefallen waren, auf die hatte ich mich hingeworfen und das zischte und da hat mich meine Grossmutter zurückgezogen und mir ist deshalb nichts passiert weil ich rein profilaktisch eine nasse Decke hatte. Es zischte nur furchtbar, ich habe damals als fünfeinhalbjähriger gar nicht gewusst was Phosphor ist, das haben mir dann erst, haben mir meine Grosseltern und meine Mutter erst erzählt. Ich habe nur gemärkt es zischte und meine Grossmutter hat mich sofort geschnappt und hochgezogen. Aber wir haben uns deshalb hingeworfen weil die Tiefflieger kamen. Ich kann mich auch entsinnen dass wir regerlrecht die Kanzel gesehen haben. Die müssen in einer Höhe, was weiss ich, von fünfzig Meter oder so etwas geflogen sein, aber wie gesagt auf die fünfzig Meter möchte ich mich nicht festlegen, denn ich war damals ein Junge von knapp sechs Jahren und kann das nun nicht so genau schätzen aber es waren Tiefflieger, ich habe die Cockpits gesehen. Und wir sind daraus beschossen worden, nun weiss ich nicht ob wir aus dem Cockpit beschossen worden sind oder aus dem Heck, das weiss ich nicht. Aber wir sind von diesen Tieffliegern beschossen worden. Und zwar mit so, mit Feuerstössen [mimics the sound of the maschine gun] also nicht nur irgendwie mal einen Schuss und so etwas.
PS: Jetzt wo Sie sich an diese Episode erinnern,
WJ: Wie bitte?
PS: Jetzt wo Sie sich an die Vergangenheit erinnern, kommen Ihnen bestimmte Bilder von Gebäuden vor, oder?
WJ: Ja, ja, ich werde nie vergessen wie, also ich kenne natürlich unser Einfamilienhaus im unversehrten Zustand und wir haben ja dann anschliessend in Dresden gelebt und Dresden ist ja erst, zehn Jahre später hat man angefangen wieder Dresden etwas aufzubauen in der Stadt. Die ersten zehn Jahre nach Kriegsende war Dresden eine reine Ruinenstadt in der Innenstadt. Es gab in der Innestadt quasi kein intaktes Haus mehr, in den Vorstädten ja aber in der Innenstadt die Strassenbahn fur durch, im Anfang konnte die Strassenbahn gar nicht fahren, das ist klar, weil ja die Trümmer überall lagen, aber dann nach ungefähr, nach sagen wir mal vierzehn Tagen, drei Wochen fuhr dann die Strassenbahn wieder aber die ganze Innenstadt war ein einziges Trümmerfeld. Und ich kann mich auch entsinnen, wie auf den Altmarkt, der Altmarkt ist der Hauptplatz von Dresden, ich glaube drei oder vier Tage später, Gerüste aus Stahl aufgestellt worden sind wo die Leichen verbrannt worden sind. Man, wir hatten damals als ich Kind war gehört das es in dieser einen Nacht in Dresden 35,000 Tote gegeben hat, neueste Berechnungen haben gesagt es sind nicht 35,000 sondern 25,000 gewesen aber Sie können sich vorstellen und es spielt jetzt keine Rolle ob 25 oder 35,000 Tote da sind, das die lagen ja überall rum und die wurden dann am Altmarkt da aufgestapelt, das war alles abgesperrt und wurden dann dort, ich sag mal, wie ein Freilichtkrematorium dort verbrannt und die Asche dieser dort verbrannten ist dort auf den Heidefriedhof in Dresden in ein Massengrab beigesetzt worden. Jedes Jahr findet am 13 Februar in Dresden eine Gedenkveranstaltung an die Toten des 13 Februar statt, auf dem Friedhof. Leider wird diese Gedenkveranstaltung von der AFD, das ist eine rechtsextremistische Partei, dazu genutzt um hier Stimmung gegen England und gegen die Alliierten zu machen. Natürlich war das nicht schön was da passiert ist, das war ganz ganz schlimm aber diese heute stattfindenden Demonstrationen vergessen immer dass es Deutschland war, was den Krieg angefangen hat.
PS: Also jetzt wollte ich Sie auch nochmal, eben zu diesen Thema wollte ich Sie eben fragen,
WJ: Ja bitte.
PS: Haben Sie noch etwas hinzuzufügen über Ihre, sagen wir, Ihre Ansichten, wie Sie das jetzt, ehm, wie Sie das jetz heute sehen? Zurück auf die Zeit eben.
WJ: Ich, Ja aber da hat sich nichts geändert denn ich komme aus einer Antifaschistischen Familie. Wir haben immer gewusst dass Hitlerdeutschland den Krieg angefangen hat. Und das was uns passiert ist haben wir Deutsche anderen Völkern auch angetan, so das man nicht hingehen kann, das man sagt: ‚Das ist die Schuld der Engländer oder der Amerikaner‘, das ist genauso unsere Schuld die wir als deutsche den Krieg angefangen haben. Wissen Sie, ich bin als Deutscher stolz auf unsere deutsche Vergangenheit, auf Beethoven, Goethe, Schiller, aber ich muss mich auch dazu bekennen, das eben auch es Deutsche waren, Verbrecher waren die den zweiten Weltkrieg ausgelöst haben, die Juden verbrannt haben, alles das, dieses Unrecht ist ja damals von deutschen Boden ausgegangen. Das darf man nicht vergessen bei dieser ganzen Sache. Natürlich ist das ganz ganz schlimm was passiert ist und deshalb sag ich, ich bin ja jetzt ein Mann von achtundziebzig Jahren, desshalb wende ich mich ganz aktiv gegen die Machenschaften der AfD und anderer rechtsradikaler Parteien in Deutschland.
PS: Ich wollte Sie noch fragen, Ihre Erfahrung als Ausgebombter,
WJ: Ja.
PS: Gibt es eine Verbindung zwischen, ehm, hat Ihre Erfahrung als Ausgebombter eine wichtige Rolle gespielt für Ihre Ideale, für Ihre, sagen wir, politische Ideen, gibt es eine Verbindung?
WJ: Ja. Nein, nein, da nicht aber als wir ausgebombt waren, da waren wir natürlich Menschen zweiter Klasse. Das heisst also wir haben keine Wohnung gehabt, wir, es gab ja auch nichts zu kaufen. Wir haben da rumgeirrt, sind dann in der Umgebung von Dresden in einem Kinderheim untergekommen, das heisst ich habe vielleicht ein halbes Jahr oder ein dreiviertel Jahr überhaupt kein Zuhause gehabt, wir haben da mal im Kinderheim geschlafen, mal dort geschlafen, erst dann haben wir durch Zufall eine Wohnung wieder bekommen. Dann natürlich war man als Kind dann, ich sag mal, neidisch auf die die nicht ausgebombt waren. Aber ich bin ja durch meine Eltern immer so erzogen worden, wer Sturm säht, wer Wind säht wird Sturm ernten. Das heisst also, dass hier man nicht von einer Schuld sprechen kann, näturlich ist es für mich schwer zu ertragen oder halte ich es für falsch dass Ihre Queen den Harris ausgezeichnet hat, das halte ich für eine sehr schlechte Art, das ist das einzige was ich den Engländern regelrecht übelnehme. Weil der Bomber Harris das alles angeordnet hat, dass er das machen musste, habe ich Verständnis aber ihn dann noch dafür auszuzeichnen, das halte ich für schlimm gegenüber den Opfern die durch diese Bomber zu Tode gekommen sind. Wie gesagt, den Grund weshalb die Bomber nach Deutschland gekommen sind, der Grund ist in Deutschland zu suchen, das ist richtig, aber trotzdem halte ich es für falsch wenn man so jemandem, der wirklich darauf ausgesehen hatte, drauf abgesehen hatte, die Zivilbevölkerung zu töten, nicht irgendwie ein General Montgomery und so, Hochachtung dafür gibt’s überhaupt nichts, aber der Harris hat ja bewusst die Bevölkerung, das war natürlich eins der Kriegsziele, das muss man sagen, den auszuzeichnen, halte ich für schwer, einen schweren Fehler den die Queen gemacht hat. Wie gesagt, Hochachtung vor Montgomery, Hochachtung vor Winston Churchill, gibt’s überhaupt gar keine Frage, der eine als Militär, der andere als Politiker, haben sich völlig korrekt verhalten. Aber diejenigen die dann diese schlimme Vernichtung der Zivilbevölkerung befohlen haben, die noch auszuzeichnen, dass sie das machen mussten, dafür habe ich auch Verständnis, aber sie noch auszuzeichnen, sie zu adeln, das halte ich für einen ganz ganz gravierenden Fehler den die Queen gemacht hat oder genauer gesagt, den die Berater der Queen gemacht haben, in dem sie die Queen animiert haben, den Harris auszuzeichnen. Dass er seine Arbeit machen musste, dafür habe ich Verständnis, aber ihn dann noch auszuzeichnen das halte ich für falsch. Das wäre dasselbe, als würde man im Mittelalter einen Henker auszeichnen, ein Henker der musste seine Arbeit machen die, die Richter haben das so aufgeordnet, der wird aufgehängt, und der Henker hat das machen müssen aber da wird doch nie jemandem auf den Gedanken gekommen sein, den Henker auszuzeichnen. Also das ist für mich ein ganz ganz schwerer Fehler ihrer Queen gewesen. Die Auszeichnung. Bitte, ich habe vollstes, vollste Hochachtung vor Montgomery, beispielsweise vor Churchill, vollste Hochachtung und das ist auch einen geben musste, der diese Befehle ausgeführt hat, wie Harris, auch dafür habe ich Verständnis, aber ihn noch auszuzeichnen, der wirklich die Bevölkerung da getötet hat, nicht ermordet hat, getötet hat, das halte ich für schwer, einen gravierenden Fehler. Aber ich will nicht derjenige sein, der im Glasshaus sitzt und so tun, als hätten die Deutschen nicht ebenfalls gravierende Fehler gemacht. Natürlich, auch das, nur Sie haben mich gefragt nach meiner Erinnerung.
PS: Gut, also ich, ich würde jetzt Schluss machen.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Wolfgang Jähnichen
Description
An account of the resource
Wolfgang Jähnichen recollects being a five-year-old boy in Dresden at the time of the 13 February 1945 bombing. Gives a vivid account of the attack and recounts various episodes: the time spent with his mother in the cellar used as air raid shelter, being strafed by aircraft, incendiaries, corpses piled up and cremated in the Old Market Square, and the city flooded by refugees. Describes growing up in a socialist environment mentioning different anecdotes: resisting the regime within the Confessing Church, subversive propaganda leaflets, and listening to Radio London. Discusses the political exploitation of the bombing today and criticises the knighthood bestowed on Arthur Harris, comparing the decision to knighting a medieval hangman for just doing his job. Elaborates on the bombing, dubbed as ‘terror attack’, but stresses German responsibility in starting the war. Mentions Coventry and Rotterdam, emphasizing how civilians supported he regime until the end of the war. Describes how the attack shocked and caught everyone off guard because it was completely unexpected, unlike cities like Berlin and Hamburg where air raids had become part of everyday life. Stresses how Dresden was considered an open city, unprepared and undefended. Gives two justifications for the bombing of Dresden: it was a legitimate target as transport hub and the the operation was intended to beak German morale - he was so shocked that he didn’t utter a single word for two weeks. Remembers hardships and homelessness at the end of the war. Tells how the stench of burning Dresden still haunts him, and the sound of the siren still sends shivers down his spine.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Peter Schulze
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2018-03-14
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:51:44 audio recording
Language
A language of the resource
deu
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Germany
Germany--Dresden
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1945-02-13
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Conforms To
An established standard to which the described resource conforms.
Pending review
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AJahnichenW180314
anti-Semitism
bombing
bombing of Dresden (13 - 15 February 1945)
childhood in wartime
civil defence
displaced person
evacuation
home front
incendiary device
perception of bombing war
shelter
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/162/2012/ADraegertH180209.1.mp3
7d2224183e7f8aade3fac374613aa495
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Draegert, Hubert
H Draegert
Description
An account of the resource
One oral history interview with Hubert Draegert, who lived in Berlin and was later evacuated near Wroclaw.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2018-02-09
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Draeger, H
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
PS: Bevor wir anfangen, bitte ich Sie folgende Fragen zu beantworten, damit wir sicher sind, dass dieses Interview nach Ihren Wünschen sowie den Bedingungen unserer Sponsoren gemäß registriert wird. Sind Sie damit einverstanden, dass dieses Interview als eine öffentlich zugängliche Quelle aufbewahrt, die für Forschung, Erziehung, online und in Ausstellungen verwendet werden kann? Ja oder nein?
HD: Ja.
PS: Gut. Das dieses Interview unter einer nichtkommerziellen Creative Commons Attributionslizenz, die mit den Buchstaben CC-BY-NC das bedeutet das sie nicht für kommerzielle Zwecke benutzt werden darf, öffentlich zugänglich gemacht wird? Ja oder nein?
HD: Ja.
PS: Danke. Das dieses Interview an sie zurückzuführen ist? Ja oder nein?
HD: Was heisst zurückführen?
PS: Ja, dass Sie der Author.
HD: Ach natürlich, ja, klar, wer sonst. Ja.
PS: Und dann noch, sind Sie bereit, der Universität das Copyright Ihres Beitrags zur Verfügung zu stellen, damit es zu jedem Zweck verwendet wird, aber dass das Ihr moralisches Recht, als Urheber des Interviews nicht in Betracht nehmen wird nach dem Copyright, Design und Patents Act vom Jahr 1988 gemäß, damit Sie identifiziert werden.
HD: Ja.
PS: Ja?
HD: Ja.
PS: Danke. Jetzt, also, dieses Interview wird für das International Bomber Command Digital Archive durchgeführt. Der Interviewer ist Peter Schulze, der Befragte ist Herr Hubert Draegert. Heute ist der 9 Februar 2018. Ihr Interview wird Teil des International Bomber Command Digital Archive, das bei der Universität Lincoln untergebracht und vom Heritage Lottery Fund finanziert wird. Also, also, lieber Herr Draegert, konnen Sie mir erstmal was von Ihren, von Ihrem Haushalt erzählen, von Ihrer Familie, die, sagen wir, die ersten Erinnerungen die Sie haben.
HD: Also, die ersten Erinnerungen sind im Grunde genommen 1941, als mein Vater, der war da noch nicht Soldat, der wurde erst 1942, als mein Vater mit mir in die Innenstadt, also in die Mitte Berlins ging, um uns anzuschauen wie die Staatsoper Unter den Linden abbrannte oder die war getroffen. Die Staatsoper war eines der ersten Gebaüde mit die in Berlin getroffen wurde und weil mein Vater Musikliebhaber war, hatte der natürlich, jetzt ist er auf die Idee gekommen, dass müssen wir uns angucken. Mal Zwischenfrage, nehmen Sie das jetzt irgendwie auf oder schreiben Sie mit?
PS: Nein, nein, es wird aufgenommen.
HD: Wird aufgenommen, also kann ich flüssig reden.
PS: Ja, ich wollte noch eine Sache hinzufügen.
HD: Bitte.
PS: Wenn sie hören dass ich schweige, das Wichtige ist dass man Ihre Stimme hört und nicht meine.
HD: Aha.
PS: Also, lassen Sie ruhig die Erinnerungen empor.
HD: Fließen, ja. Ok. Also zurück, wir haben besichtigt 1941 den, praktisch die Zerstörung der Staatsoper Unter Den Linden aber das war zu der Zeit noch ein aussergewöhnliches Ereignis, so dass also viele Berliner sich diese Kriegschäden ansehen. Ich erinnere auch einen weiteren Bombenschaden in Kreuzberg, wo mein Vater auch noch mit mir mal hinging, wo ein Eckhaus getroffen wurde und viele Berliner nun also staunten über diese Schäden. Das hat sich natürlich mit der Zeit gegeben als dann die Zerstörung immer mehr Überhand nahm, und das also, sagen wir mal, zum täglichen Lebensablauf gehörte. Die Staatsoper ist insofern interessant, weil Hermann Göring, der damalige Chef der Deutschen Luftwaffe und Chef hier in Berlin, der Ministerpresident des Staates Preußen nun alles dransetzte um dieses Opernhaus, das seiner Aufsicht unterstand, sofort wieder aufzubauen und nun ist was besonderes passiert dass, trotz des Krieges, haben die Nazionalsozialisten alles dran gesetzt dieses Opernhaus wieder aufzubauen, es wurde 1942 in einem Gewaltakt wieder fertiggestellt. Ich erzähl das deswegen weil mein Vater, wie eingangs gesagt, Opernliebhaber mich nun in meine erste Oper schleppte. Das muss also praktisch 1942 gewesen sein, ich war sechs Jahre alt. Ich kann mich an Inhalt wenig erinnern aber ich rieche noch heute den frischen Putz in dem Opernhaus und die Deckengemälde waren auch nicht komplett ausgeführt, es roch alles nach frischem Mörtel, nach frischer Renovierung. Das Ende dieser Oper geschah dann spätestens 1944, wurde sie wieder getroffen und am 3 Februar 1945 war ja der größte Angriff der glaub ich jemals auf Berlin geflogen wurde, wo die ganze Innenstadt in Schutt und Asche ging, zum Beispiel das Berliner Schloss, das jetzt wieder aufgebaut wird, allerdings nur in den aüßeren Formen, aber als grosses Museum eines Tages in Berlin sicherlich ein Höhepunkt darstellt, das war der schlimmste Angriff und auch an den habe ich noch Erinnerungen. Jetzt mache ich erstmal ein Punkt.
PS: ich wollte Sie zurückbringen,
HD: Ja?
PS: Wollten Sie jetzt etwas schon hinzufügen?
HD: Neh, sagen Sie mal jetzt.
PS: Ich wollte Sie Moment noch zurückbringen zu ihrer Familie. Ob Sie mir ein Bißchen erzählen konnen, wo Sie geboren sind, in welchen, in welcher Umgebung Sie aufgewachsen sind und, Vater, Mutter, Geschwister?
HD: Ja, sage ich ganz gerne. Also, ich bin geboren 1936, in Berlin. Wir wohnten im Norden Berlins, im Afrikanischen Viertel, wir hatten eine Dreizimmerwohnung, mein Vater war, [unclear] man sagte damals, Bankbeamte, er lernte in einem Jüdischen Bankhaus in Berlin und insofern war er eigentlich so geprägt dass er nicht in der NSDAP drin war, sondern eben durch diese, durch seine Tätigkeit offensichtlich politisch ein wenig informierter war als manch ein anderer aber er musste dann in ein anderes Bankhaus wiel das Jüdische Bankhaus ja aufgelöst wurde. Wir, mein Bruder ist 1928 geboren, der ist 1944 wurde der Luftwaffenhelfer, dass heisst also mit sechzehn Jahren, fufzehn Jahren glaub ich, wurde der zur Flak eingezogen in Berlin, dass heisst die ganze Klasse wurde eingezogen und ging mit dem Lehrer in eine Geschützbatterie in Berlin-Tegel, wo ich ihn dann als Kind auch besuchte. Meine Mutter war Hausfrau und wir lebten relativ friedlich bis 1943, wo mein Vater eingezogen wurde. Mein Vater ist, hat den Krieg überlebt, er sass in Dänemark und ist dort von den Britischen Truppen in Gefangenschaft genommen worden und hatt seine Kriegsgefangenschaft in England erlebt, in Leeds. Und es gibt die schöne Geschichte von dem Englischen Verhöroffizier der ihn fragte: ‘Sagen Sie mal, Herr Draegert, haben Sie Kinder?’, ‘Ja’, ‘Wie viel?’, ‘Zwei’, ‘Geboren wann?’, ‘1928 und 1936’, Und da sagte er mit einem lächelnden Blick, so erzählte es mein Vater immer: ‘Aha, Herr Draegert, dann haben Sie ein Kind für den Führer gezeugt’. Damit war also klar das [laughs], aber wie gesagt, das Ganze war irgendwo so, dass er eigentlich, als er 1947 nach Berlin zurückkam, gesund aussah, also das ganze gegentiel von dem was man so sah, wenn die armen Kriegsgefangenen aus den östlichen Landern zurückkamen, also sprich Sowjetunion. Ja, mein Bruder, wiegesagt, im, also Luftwaffenhelfer, unsere Wohnung ist nur leicht beschädigt worden, dass hiesst bei den ersten Luftangriffen sind alle Fensterschieben raussgeflogen und ich erinnere noch wie ganze Kolonnen von Glassfirmen bei uns um das Haus sich aufstellten, das war so ein langer Siedlungsblock und es wurden die Scheiben wieder eingesetzt, man wunderte sich warscheinlich ein bisschen, wo man die Hoffnung her nahm, das nur die neuen Scheiben das überleben wurden, es dauerte auch gar nicht lange, war der nächste Angriff da flogen die Scheiben wieder raus und meine Eltern hatten da irgendeinen Herrn in der Familie der uns dann die Fenster mit Pappe oder mit Brettern vernagelte. Es musste ja auch, und das ist meine Kindheitserinnerung, immer scharf drauf geachtet werden, das die Verdunkelung eingehalten wurde, dass heisst wir hatten vor allen Fenstern Rolleaux aus schwarzer Pappe, die abends rechzeitig runtergemacht werden mussten, damit die feindlichen Flieger kein Licht sehen sollten. Es passierte natürlich, dass meine Mutter mit mir irgendwann unterwegs war, ausserhalb Berlins und wir vergessen hatten im Badezimmer das Licht zu löschen, dass heisst in dem Riesenblock war ein Badezimmer, Fenster waren ja relativ klein, was nun nachts hell leuchtete und gross, grosser Ärger, der Blockwart machte meiner Mutter natürlich große Vorwürfe, sowas darf nicht passieren und man hat dann aus der über uns liegenden Wohnung versucht, mit einen langen Teppich es aussen abzudunklen, damit also der Lichtschien die Flieger nicht also auf eine Spur lockt. Das sind so Sachen die ich als Kind immer erlebt habe, andererseits war auf dem Hausflur war immer, standen immer Wassereimer und Beutel mit Sand und die sogenannte Feuerpatsche, ein Begriff der damals neu war, dass heisst irgend einen Stiel mit einen Lappen an und der sollte dann in den Eimer getunkt werden um das möglicherweise entstehende Feuer auszuschlagen, das haben wir nie benutzen brauchen, wir hatten nur eine einzige Stabbrandbombe, die oben durch die Wohnung durchging, das war so eine rechteckige mit einen Eisenkern, die waren uns damals sehr vertraut und wir Jungs sammelten auch Bombensplitter, unter anderem auch diese Eisenkerne. Und diese Bombe schlug auch durch unsere Decke, guckte bei uns oben in der Decke raus und ein behertzter Mann versuchte sie von oben rauszuziehen, übersah dabei dass ein Brand, ein Explosiv-stoff drin war, dass heisst der Mann verblutete in dem Moment und das war eigentlich so die schrecklichste Erinnerung die so unmittelbar ich erlebt habe. Aber ein Feuer enstand nicht, im Endeffekt ist also die Wohnung erhalten geblieben nur durch den zunehmenden Andrang der Bombenangriffe auf Berlin hiess es ja, Müttern mit Kindern, wenn sie nicht gerade in der Produktion wichtig waren, sollten evakuiert werden, dass heisst aufs Land. Und wir hatten dann die Möglichkeit, nach Schlesien, in der Nähe von Breslau, einen Bauernhof zu finden, wo ein entfernter Onkel lebte, und der nahm uns auf und so habe ich, Ende ‘43 bis Ende ’44 in Schlesien gelebt als Kind, im Prinzip sehr friedlich denn man sagte immer, bis dahin kommen die Engländer nicht, oder die Amerikaner. Und so war es wohl auch, es waren nur eigentlich wenige Bombenangriffe auf Breslau und man wusste auch nicht genau oder ich kann es heute nicht sagen, ob es nicht auch Russische Angriffe waren. Jedenfalls man war dort sicher, man lebte dort im Grunde genommen in Frieden und wir fuhren nur ’44, Ende ’44 nach Berlin zurück, um immer mahl zu gucken, steht die Wohnung noch? Es war ja nicht so, dass man immer telefonieren konnte und mit den Nachbarn sprechen konnte, das ging ja alles gar nicht so einfach. Also schauten wir uns die Wohnung an, die Wohnung war belegt mit anderen ausgebombten Menschen, was auch wieder zu Konflikten führten, weil meine Mutter natürlich meinte: ‘Na, wie leben die sich den hier in unserer Wohnung aus?’ undsoweiter. Aber in dem Moment wo wir Weihnachten ’44 hier in Berlin verlebten, mein Vater war natürlich in Dänemark, sass der fest an der Front, da brachen die Nachrichten doch rein oder man hörte ja auch den Englischen Sender, das machte mein Bruder mal, als Luftwaffenhelfer, der wusste damit umzugeben, [mimics the first notes of Beethoven’s 5 Symphony], also BBC und wir wussten also, oder mein Bruder wusste, dass die Russen also eine Offensive gestartet haben von der Weichsel bis an die Oder, also auf den Marsch waren. Am 16 Januar kamen sie ja dann an der Oder an, das heisst also wir kamen nicht mehr zurück nach Schlesien, meine Mutter versuchte es noch, wurde aber in Breslau von Deutschen Soldaten aufgegriffen, die ihr sagten: ‘Na, sagense mal, junge Frau, wo wollense denn hin?’, na dann sagte sie: ‘Na, ich will nach in das, dieses Dorf wo wir waren, in Juliusburg’. Da sagte sie: ‘Sie sind wohl verrückt, da sind die Russen schon’. Also kam sie wieder zurück, konnte sogar mit den Eisenbahnzug fahren, musste nicht also trekken, beziehungsweise laufen, so wie di anderen Flüchtlinge, diese schreckliche Zeit, weil’s ja auch einer der härtesten Winter damals war, im Januar, so dass sie, wir also hier in Berlin blieben, wir hatten alle unsere schönen Sachen, was man so auch hat, Silber und Besteck und Bettwäsche, das hatten wir alles nach Schlesien verlagert um es hier vor dem Bomben zu sichern aber nun war’s weg und nun, die Wohnung hatt’s überstanden aber di Sachen waren weg. So, nun waren wir wieder in Berlin und, ja, dann kam eben die Zeit wo die Bombenangriffe ja doch immer stärker wurden, 3 Februar wie gesagt ’45, einer der schwersten Angriffe. Am 26 Februar hatte ich Geburtstag, da wurde ich neun, war wieder ein schwerer Angriff, ist da als glaub ich Kreuzberg untergegangen. Des schlimme war, das sprach sich auch rum, das die Phosphorbomben die Menschen wenn sie der Phosphor sie traff, dann brannte es auf der Haut, dann ging die zum Teil in die Löschteiche, es gab so Löschteiche in Berlin, oder überhaupt, um Löschwasser für den Brand zu haben, dann tauchten die Menschen unter in diesem Wasser, und wenn sie rauskamen, brannten sie wieder, also das war eine ganz ganz fürchterliche Geschichte diese Phosphorbomben. Wir selber haben hier in unmittelbarer Nähe bei uns einmal eine Luftmine erlebt wo wir also richtig, von man so vom, von der Sitzgelegenheit so ein bisschen hochging, wo der Kalk so aus der, aus dem verstärkten Luftschutzkeller rieselte. Und als Kind hatte man natürlich Angst und die Mutter war bemüht uns zu schützen und wir hatten hier in der Umgebung in einem grossen Strassenbahnhof einen Tiefbunker für Mutter und Kind. Und dann hatten wir also eine Zeit wo wir abends so gegen acht oder weiss ich nicht, mit seinem Köfferchen halben Kilometer liefen, um in diesen Bunker einzukehren, Mutter und Kind und da konnte man schlafen und dann hörte man das auch nicht krachen aber es war immer dieses, diese Neugierde beziehungsweise die Angst wenn man um die letzte Ecke kommt [laughs] steht das Haus noch oder steht es nicht? Wie mann das so in anderen Sachen überlebt hat, ich habe dann auch gesehen, als diese Riesenluftmine die da bei uns runterging, das da hiess immer, da sind achtig Menschen ums Leben gekommen. Die ist so seitlich gegen die Mauer unten wohl eingeschlagen so dass sie den ganzen Sand, der dort als Schutzwall errichtet wurde, zur Seite und dann ist das Haus in sich zusammengestürtzt, einschliesslich Luftschutzkeller und daher diese hohe Anzahl von Toten. Ja, das sind so diese Dinge die im Augenblick, vielleicht machen wir hier mal eine Sekunde Pause und Sie fragen weiter.
PS: Ja, ich wollte Sie zum Beispiel, wir werden ein bisschen dann zurück kommen auf das was Sie mir jetzt kürzlich erzählt haben. Ich wollte wieder noch zurück gehen, zum Beispiel,
HD: Ja?
PS: Sie sagten Sie sind im Afrikaviertel.
HD: Afrikanisches Viertel. Ja?
PS: Können Sie mir ein bisschen erzählen, warum das eben so, diesen Namen trägt, trug und wie das Leben in dem Viertel war?
HD: Also, das ist eine Gegend im Nord-westen Berlins, das ist in den Zwanziger Jahren, Ende Zwanzig, Anfang Dreissig, gebaut worden im Rahmen, man würde heute sagen, sozialer Wohnungsbau, also ein Grosssiedlungsbau und es gab einen berühmten Architekten, dessen Namen heute noch in Berlin eine Rolle spielt, Bruno Taut, die also, Taut, T, A, U, T, die also Siedlungsbauten errichtet hatten, und meine Eltern konnten also 1931 eine frische Wohnung beziehen, erst in der Afrikanischen Strasse, so halt, die heisst heute noch so, und dann sind wir umgezogen in die Togostrasse. Und warum Afrikanisches Viertel? Sie wissen dass Deutschland, oder das Deutsche Reich eigentlich das letzte Land war, was so ein bisschen Kolonialbesitz auch haben wollte, der Deutsche Kaiser und die Deutschen Kolonien war Deutsch-Südwest, Deutsch-Ostafrika, Kamerun und Togo. Und nach diesen ist um die Jahrhundertwende die Gegend hier benannt worden also die Togostrasse, die Swapokmuder, die Windhuker, Transvaal, ach was noch? Wis ich nicht, also jedenfalls, und daher der Begriff Afrikanisches Viertel. Was im Augenblick ein bisschen hier politisch umstritten ist weil, vielleicht wissen Sie es am [unclear], weil es Forderungen gibt bezüglich [clears throat] der Hereros die damals von den Deutschen Kolonialtruppen da vernichtet worden sind, man spricht so von einem ersten Genozid, den es damals gegeben hat und es gibt also jetzt Forderungen, schon seit Jahren immer an die Bundesrepublik hinsichtlich der Entschädigung und in dem Zusammenhang kommt also auch die Frage auf ob, zum Beispiel die Petersallee in Berlin oder der Nachtigalplatz oder die Lüderitzstrasse, das sind alles Begriffe aus der Afrikanischen Kolonialzeit, unbenannt werden sollen in Menschen die also in Afrika eine Rolle gespielt haben. Soweit also Afrikanisches Viertel. Die Gegend selber ist sehr schön und ist auch heute noch schön und dabei ist ein grosser Volkspark, der Volkspark Rehberge. Also wir hatten dort eigentlich eine schöne oder wunderbare Umgebung, wir waren nicht so in der Stadt drin, sie müssen sich also nicht vorstellen, mit Hinterhaüsern oder dergleichen oder enge Wohnbebauung, sondern Ziel war damals sozialer Wohnungsbau: Licht, Luft und Sonne. Punkt.
PS: Wissen Sie überhaupt, wissen Sie ob es zu der Zeit, ehemalige, sagen wir, Kolonialafrikaner im Afrikaviertel lebten, ob also Herero oder andere da lebten oder ob das nur ernannt worden ist aus kolonialen.
HD: Nein. Nur in Erinnerung an das Kolonialreich, ich habe da zu der Zeit keinen farbigen Menschen gesehen, das einzige was man mal als Kind sah das war der berühmte Sarotti-Mohr, wissen Sie was’n Mohr ist, sagt Ihnen das was?
PS: Ja.
HD: Also, der Sarotti-Mohr, sa heisst also das Label der Schokoladenfirma und das haben sie glaub ich heute noch aber es ist auch umstritten und da gibt’s in Berlin die Mohrenstrasse aber das geht auf die Preussische Geschichte zuruck. Man wollte wohl um die Jahrhundertwende hier der, es gibt einen Zoomenschen, Zoo Erfinder in Hamburg, Herr Hagenbeck, der wollte hier in Berlin so einen, wie soll ich sagen, so eine Art, grossen Zoo, afrikanisches Leben hierherbringen, mit wilden Tieren, mit Elefanten undsoweiter, aber durch den Ersten Weltkrieg ist es nichts geworden und dann ist ja Deutschland auch die Kolonien losgeworden im Versailler Vertrag und ich glaube England und Frankreich sind dann an die Stelle getreten.
PS: Jetzt Moment zurück zu Ihrer familie.
HD: Ja.
PS: Wie war Ihre Wahrnehmung des Nationalsozialismus in der Familie? Sprachen Ihre, also sprach man darüber? Als kleines Kind hörten Sie dass Ihre Eltern darüber diskutierten und sprachen? Wie war also die, sagen wir, die Atmosphäre in der Familie?
HD: Also die Atmosphäre war so wie ich ja Eingangs schon schilderte, mein Vater war nur durch seine Berufstätigkeit nicht parteilich, also sagen wir mal, im weitesten Sinne ein Nazi, sondern der hat die Sache sehr nüchtern gesehen und ich kann mich erinnern immer, das wenn der Grossvater auch kam, dass dann die Männer vor dem Radio auch standen während des Krieges und sagen wir mal den Frontverlauf verfolgten. Ich glaub auch sogar dass wir eine Landkarte hatten wo, mit bestimmten Nadeln mit roten Punkten oder weiss ich wie, der Frontverlauf skizziert wurde. Und ich werde immer einen Satz nicht los den mein Vater wohl sagte: ‘Wir verlieren den Krieg’ und vielleicht auf die Frage ‘Warum?’, ‘Wir haben kein Öl’, oder ‘es liegt am Öl’. Das ist mir erst im Nachhinein natürlich klar geworden warum dann die Wehrmacht unbedingt also bis zum Kaukasus vordringen wollte oder bis zu den Ölfeldern, das war mir damals als Kind natürlich nicht so klar, was das zu bedeuten hatte aber so ist die Atmosphäre ungefähr gewesen. Mein anderer Onkel erzählte immer, davon des, der war im Geschaftsleben hier tätig, der ist nicht eingezogen worden weil man ihn brauchte und der hatte wohl Verbindung zu Wehrmachtsangehörigen und der horte mal irgendwie mal eine Geschichte wo dann doch davon die Rede war es müsse also Lager geben in Deutschland wo die Menschen also drangsaliert wurden, zum Beispiel die Juden, hier in Berlin und also, warscheinlich war Auschwitz gemeint oder Birkenau und jedenfalls beim Bier ist dann wohl mal ein Wort gefallen und er erzählte dann auch in der Familie und das habe ich mitgekriegt, das er Schwierigkeiten kriegte weil irgendeiner gesagt hatt: ‘Na, Herr Draegert, sie erzählen da aber Greuelmarchen. Sowas gibt es nicht’. Und der hat wohl lange ringen müssen aber weil er wichtig war, der war Leiter eines Betriebes hier in Berlin, ist er irgendwie mit einem blauen Auge davongekommen und als man ihn dann, und das war ganz spannend eigentlich, das habe ich als Kind natürlich dann bewusst mitgekriegt, als man ihn dann vorlud, jetzt zu einem Büro der Gestapo 1944, ist er am selben Abend am Kaiserdamm, wo er wohnte, ausgebombt worden, dass heisst also, die Bombe schlug so ein dass sie die Vorderfront des Hauses wegriss und wenn man auf dem Kaiserdamm stand, dann konnte man sogar noch die Lampe hängen sehen, und die hängt jetzt heute noch bei mir, jetzt konnte man sagte, da hatt er sich eine schöne Geschichte ausgedacht, nein, die stimmt aber wirklich. Aber der Witz, oder sagen wir man, das Glück für ihn war, dass er nun bei dem angegebenen Termin sagen konnte: ‘Meine Herren, ich bin heute ausgebombt, ich muss mich erstmal um meine Sachen kümmern’. Und da hat man ihn praktisch ziehen lassen, und er ist mit einem blauen Auge davongekommen. Also will sagen, und der dritte Onkel, der sass in Russland, der war dort und weil er früher Bankbeamter war, musste er da irgendwie auch so einen Betrieb leiten oder so, der ist aber durch den Rückmarsch so gekommen dass er in Liepzig in Amerikanischer Gefangenschaft geriet und dadurch auch den Krieg überlebt hat und glücklich war das er nicht in Russische denn das hätte anders ausgehen können, nicht, der war in Berdytschiw in der Ukraine, und da weiss man nicht wie, wie mann dann mit ihm umgegangen wäre. Also, will damit sagen, es war eigentlich eine sehr entspannte Atmosphäre, ich kenne keinen bei uns in der Familie der also mit’na SA Uniform oder sowas rumrannte. Lediglich, ach so, das muss man vielleicht sagen, mein Vater der war im Betrieb, die hatten hier so eine Art Betriebsorganisation, ich weiss nicht mehr wie das hiess, jedenfalls so wie in der DDR gab es so eine Art Werkschutz, und die hatten eine Uniform, und diese Uniform hängt bei uns immer im Schrank. Und nun war mein Vater längst Soldat, er stand also an der Küste Dänemarks und am Skagerrak und gab, hat nie in seinem Leben einen Schuss ab, also der hat Schwein gehabt, er war bei der Kriegsmarine und diese Uniform hängt nun in unserm Schrank und als nun die Russen einzogen in Berlin und man ja nicht sicher war dass die also Wohnung für Wohnung durchsuchten und sagen wir mal nach irgendwelchen Schätzen suchten, wusste man schon, das sprach sich schnell um, wenn die so eine Uniform sehen, dann denken die, Uniform ist Uniform, dann wird derjenige auf der Stelle erschossen. Und meine Mutter nahm rechtzeitig die Uniform, rollte sie zusammen und vesteckte sie im Keller unter den Kohlen, wir hatten noch Ofenheizung, und der Keller war mit Briquettes voll, und da wurden diese militärischen Sachen versteckt. Auch ein Hitler Bild kann ich mich nicht erinnern hatten wir nicht zu hängen, obwohl ich das natürlich von der Schule her kannte, da hingen natürlich überall die Bilder. Also dieses, zu dem Thema Familie. Also Punkt an der Stelle und Sie fragen vielleicht von derweise weiter.
PS: Ja, ich muss sagen, Ich wäre sehr daran interessiert mehr über, seis über ihren Bruder bei der Flak zu hören,
HD: Ja.
PS: Und spater auch über ihren Vater, auch das Thema der Gefangenschaft in Leeds.
HD: England, in Leeds, ja. Also, mein Bruder, wie gesagt, war Luftwaffenhelfer, der ist also, mit fünfzehn, das muss ja ’43 gewesen sein, ’43, wurden die eingezogen, der kam dann plötzlich mit einer Luftwaffenuniform die ihm etwas zu gross schien, also ein, eigentlich ein jämmerliches Bild. Die ganze Klasse ging also aus der Schule raus, wurde in einen anderen Stadtteil, hier in Berlin Tegel, verlagert, dort war eine sogenannte Batterie, und da standen also Luftabwehrgeschütze, Flak nannte man das damals, und auch das Kaliber weiss ich natürlich heute noch, vieles vergisst man aber so’ne Dinger hat man natürlich sich gemerkt, Kaliber 10,5. Und mein Bruder war dann eingeteilt für das sogenannte Funkmessgerät, FuMG wurde das damals abgekürtzt und ich vermute das es so eine Art Vorlaüfer des Radars gewesen, der sass also in so einer Kombüse und hatt dann den Nachthimmel irgendwie beobachtet, heranfliegende Flugzeuge und die Ortung und die anderen Kameraden, die standen neben der Flak und mussten dann auf Grund seiner Anweisung oder Hinweise die Flak ausrichten und wenn dann die Flugzeuge nachts kamen, dann schossen sie also in den Himmel, da war ich natürlich nicht bei aber am Tage, als ich die Batterie besuchen durfte, da erinnere ich noch wie um das Kanonenrohr immer weisse Streifen gemacht wurden, das war also der sogenannte Abschuss. Bei meinem Bruder war es aber nur so, das der da [unclear], das der nun Funk hörte, weil Funkmann war er im Funkmessgerät, hörte der natürlich wie eingangs erwähnt, auch den Britischen Sender und dann den Soldatensender West, den Deutschen Sender. Dass heisst also der war für seine fufzehn, sechzehn, siebzehn Jahre sehr informiert und wenn er hier bei uns zu hause war, dann hörten wir natürlich auch über den Rundfunk hörte er dann und wir mussten immer ganz vorsichtig sein, das darf der Nachbar nicht mitkriegen, und dieses berühmte Trommelzeichen von BBC, das war ja etwas durchdringend, also da musste man schon genau hinhören, aber mein Bruder wusste also wie es geht. Aber dann kam die schreckliche Situation, dass die ganze Batterie anschliesslich Lehrerpersonal nach Jugoslawien versetzt wurde und dann haben wir abends, im Lichterschein der trüben Laterne, es war ja alles abgedunkelt, mussten wir nun zugucken wie die Jungs an einem langen Strick die Kannonen zogen auf Plattenwagen der Eisenbahn und dann fuhren die bei Nacht und Nebel also Richtung Jugoslawien ab und die Mutter weinten natürlich bitterlich und die Jungs machten auch keinen Eindruck dass man das Gefühl hatte, jetzt geht’s in ein grosses Abenteuer. Also mein Bruder war Flakhelfer in Jugoslawien und daher weiss ich nur, kannte ich nur den Begriff der Partisanen, dass heisst also die Jungs waren von Anfang an darauf getrimmt nur im Block zu gehen, nicht alleine, es bestand immer die Gefahr möglicherweise aus dem Hinterhalt irgendwie von Partisanen angegriffen werden. Mein Bruder kam auch zu uns nach Schlesien, also man muss sich vorstellen, so ein sechzehnjähriger, heute, ich weiss nicht wie ein Vater heute denkt, wenn so ein sechzehnjähriger also nur durch die Weltgeschichte fährt, ob er nicht Angst hat. Der fuhr dann durch Halb Europa mit den sogenannten Soldatenzügen oder Urlauberzügen und kam auch nach Schlesien und erzählte immer voller Interesse und wir lauschten natürlich wenn er, sagen wir mal, fuhr ohne Genehmigung, offensichtlich hatte er da den Mut gehabt, ich weiss es nicht mehr so, aber es muss so, leider ist er tot, er kann’s mir heute nicht mehr bestätigen, aber er war also in der Hinsicht mutig, das er sich dann im Kloh des Eisenbahnzuges einschloss wenn die sogenannten Kettenhunde, die habe ich auch erlebt als Kind wenn wir nach Schlesien fuhren, das sind immer Soldaten mit irgendwelchen Schildern auf der Brust, mit’m Stahlhelm auf und so, das müssen wohl SS-Leute gewesen sein, die die Züge kontrollierten und von irgenwelchen Männern natürlich wissen wollten, warum sind die im Zug, haben sie einen Urlaubsschein, müssen sie irgendwo hin oder wie geht das. Also mein Bruder war da sehr couragiert, der hatt das überlebt, kam dann zum Schluss noch nach Prag. Prag war ja so ziemlich lange noch von der Wehrmacht besetzt und der Krieg da war wohl relativ harmlos, hat sich aber dann doch nach Westen dann, also Richtung Deutschland wieder zurückziehen können oder mit der ganzen Truppe, hat es sogar bis Berlin geschafft und nun kommt das besondere: Ende Oktober endete seine Luftwaffenzeit und diese Jungs waren alle vorgesehen für den Offizierslehrgang. Und mein Bruder mit seinem Wissen wusste genau, also wir müssen sehen das wir überleben wie auch immer. Und ich weiss auch dass seine Kameraden zum Teil, da waren welche bei, die bis zum Schluss den Führer verteidigen wollten und die Klasse hatte grosse Verluste. Will sagen, mein Bruder war so pfiffig das er für zwei, drei Monate untertauchte, aber bevor es soweit war, kam sein Batteriechef, also ein Luftwaffenoffizier zu ihm, wieder auf ihn zu und sagte: “Draegert, Sie müssen sich jetzt für eine Einheit entscheiden, wo Sie hin wollen, als Offiziersanwärter. Wenn nicht, dann werden Sie entschieden’. Und wir werden nun dann nachhinein wissen landeten so ne Jungs bei der Waffen-SS, so mindest karteimässig. Und also er ist auf Grund dieser Empfählung dieses Offiziers hatt er sich für die sogenannten Lenkwaffen entschieden, was immer das sein mag, jedenfalls die Lenkwaffenabteilung lag in Giessen und das muss wohl so gewesen sein und so hatt’s mir mein Bruder bestätigt, das Schreiben ist entweder nie angekommen oder aber, und das war seine Vermutung, Giessen war bereits von den Amerikanern besetzt. Das heisst also dieses Thema hatte sich erledigt was aber noch lange nicht bedeutete, dass er jetzt hier in Berlin sicher war. Und ich weiss auch das Nachbarn nachfragten, warum ist Ihr Sohn nicht an der Front bei meiner Mutter, weil meine Mutter sehr sehr ängstlich war und mein Bruder tauchte auch nicht mehr bei uns auf, der hatte irgendwelche Hilfsdienste am Bahnhof mitgemacht, also Koffer schleppen und Betreuung von Flüchtlingen oder solche Geschichten, irgendwie hatte er es geschafft, bis zum Einmarsch der Russen. Und hatt überlebt und war ein ausgesprochen, wie soll ich sagen, konnte mir der Situation offensichtlich so umgehen, dass er in erster Linie an sich dachte und nicht an den Führer, wen ich dass so formulieren darf, er hat dann, das Glück oder Unglück die Russen suchten bei uns im Keller einen jungen Mann der gut sprechen konnte, artikulieren konnte. Das er nun Soldat war haben sie nicht gesehen seine Klammotten alle entsorgt mit seiner kurzen Hose oder wie auch immer und mein Bruder wurde dann von den Russen in Anspruch genommen und zog dann mit denen hier mit einen Lautsprecherwagen durch unsere Wohngegend und dann praktisch der erste Befehl über Rundfunk, nicht über Lautsprecher, ertelit wurde, dass heisst die Menschen wurden aufgefordert die Enttrümmerung vorzunehmen, die Strassen zu saübern undsoweiter und sofort. Meine Mutter hatte wahnsinnige Angst um ihn, dachte jetzt ist so in letzter Minute aber er hatt es überlebt und er hatt auf Grund dieser Erfahrung dann später sogar den Kontakt zum Rundfunk gesucht und hatt dann eine Lehre beim Berliner Rundfunk in Berlin angetreten, im Jahre 1948, ’47 glaub ich, ’47, ja. Ja also, das war mein Bruder. Jetzt wollten Sie noch wissen von meinem Vater.
PS: Ja, also eben, ein bisschen wenn Sie sich etwas erinnern an sagen wir seine Kriegserfahrung, die Zeit wo er eben in Dänemark war und auch etwas erzählt hatt von seiner Gefangenschaft in England.
HD: Ja. Also der sass in Friederickshavn, das ist oben die nördlichste Spitze von Dänemark, er war Marinesoldat ist aber nie auf einem Schiff gewesen, auf Grund seiner Tätigkeit als Bankbeamte war er, sass er, wie es so schon hiess, in der Schreibstube, hatte also immer einen Verwaltungsjob und erzählte halt von irgendwelchen Situationen wo er oben an der Küste stand, er musste auch mal Wache schieben aber da passierte wohl nicht viel. Und ich erinnere, oder wir erinnern uns noch an die Zeit als wir aus Dänemark Packete auch kriegten, dass heisst die Möglichkeit bestand wohl damals auch für die Soldaten dort regelrecht einzukaufen, ich kann mir vorstellen das der das beschlagnahmt wenn sowas hat und schickte uns nach Schlesien also irgendwelche Lebensmittel, das muss wohl prima haben wir ja nun mitgekriegt das in Sachsenhausen, im KZ, die Dänische Währung kopiert wurde und so, die Dänische Wirtschaft unterlaufen wurde, warscheinlich sind die Soldaten mit diesen Geld bezahlt worden und mein Vater lebte da im Prinzip sicher. Jetzt war der Krieg zu Ende, und wenn ich ihn richtig erinnere sind die Engländer gar nicht bis da oben gekommen sondern die Wehrmacht hat kapituliert und die sind mit Sack und Pack von Friedrichshafen durch Dänemark gerollt, mehr oder weniger unangefochten, Richtung Schleswig-Holstein und sind dort von den Briten in Empfang genommen worden, sind dann erstmal nach Belgien weitergeleitet worden. Dort in Belgien hatt er schlechte Erfahrungen gemacht, die Belgischen Menschen sind über die Deutschen Soldaten natürlich hergefallen, haben sie geschlagen und bespuckt, also sowas erzählte er, nun wenn man die Geschichte mit Belgien kennt hat man beinahe schon Verständnis dafür. Also jedenfalls Belgien war nicht gut und sie sind dann verladen worden über den Kanal nach England.0 Und dort war er also Prisoner of War und wieder landete er in einer Schreibstube und war zum Schluss irgendwie Stellvertretender Lagerleiter oder in sowas. Also dem ging’s da, unter allen Umständen, soweit menschlich einwandfrei, ich habe nie ein böses Wort gehört aus der Richtung. Er hatte auch Kontakt mit irgendeiner Englischen Familie in Leeds, aber was daraus geworden ist das weiss ich nicht. Jedenfalls 1947 kommt mein Vater mit einen Riesenseesack hier in Berlin-Grunewald an, mit einen grossen Flüchtlingstransport und die kam auch nicht mehr im Güterwagen an sondern die hatten dann schon ’47 fuhren sie also doch etwas menschlich mit normalen Personenwagen. Mein Vater stieg aus dem Zug, er sah gut genährt aus, also ein Bild des Friedens und für viele Leute doch überraschend, weil man ja die andere Seite kannte. Noch kam ja noch gar nicht so viel aus der Sowjetunion, die blieben ja bis ’55 da. Also, und mein Vater brachte nun Sachen mit aus England in dem Riesenseesack die wir natürlich heiss ersehnten, zum Beispiel Cadbury, seitdem weiss ich was Cadbury ist. Ich weiss nicht ob es heute noch gibt die Schockoladenfirma.
PS: Ja, ja.
HD: Und das zweite war, was ich erinnere war, eine grosse Büchse Nivea, im Nachhinein stellte sich heraus, also Nivea in Hamburg ist wohl erhalten geblieben und hat erstmal für die Engländer produziert, jedenfalls brachte er eine Büchse Nivea mit, und Koffee vor allen Dingen und Tee. Also es war ein Fest des Friedens, meine Mutter war glücklich und im Nachhinein, aber das gilt nicht für mein Vater, wir haben im Umfeld so ein Paar Leute die sind in England geblieben. Also es muss auch Situationen gegeben haben wo, wenn sie keine Familie hier hatten und dort Anschluss fanden in England, offensichtlich sogar in Grossbritannien geblieben sind, also will sagen unter’m Strich mein Vater hat Glück gehabt. Ist nach Berlin zurückgekommen, als Bankbeamter im Westteil der Stadt gab es keine Arbeit mehr, dir Banken waren alle verstaatlicht, beziehungsweise sind aufgelöst worden von den Russen, es war ja hier alles anders. Und langsam entwickelte sich erst die Differenz zwischen Ost und West, Westberlin, Ostberlin und er musste also andere Tätigkeiten ausüben und er ist 1950 kehrte er wieder in das Bankgeschäft zurück, in die Zentralbank also die eine Unterabteilung der Bank der Deutschen Länder war, und später Deutsche Bundesbank in Frankfurt-Main. Aber seine alte Bank, bei der er bis zum Schluss tätig war, bis also, [unclear], ’43, die gab’s nicht mehr, die wurde ja aufgelöst und die war dann später in Frankfurt-Main und da ist er natürlich nicht hingezogen. So, das war mein Vater.
PS: Hatte er Ihnen, also das war, er war in der Gegend von Leeds.
HD: Ja.
PS: Hat er Ihnen irgend, haben Sie noch irgendwelche Erinnerungen das er Ihnen etwas noch erzählte von dem Gefangenenlager wo er war oder etwas das Ihnen so einfällt?
HD: Der war zuständig für die, für irgendwie das Kraftfahrkorps, irgendwie für die Lastwagenverteilung und Organisation von Transporten undsoweiter. Ich hab natürlich aber da müsste ich mal suchen, ich habe sogar noch seine Personalakte die er mitgebracht hat und wir haben mal, oder meine, mein Neffe der lebt jetzt bei London und die haben mal im Englischen also in dieser Organisation nachgeforscht und haben die Unterlagen gekriegt. Alos, wir wissen wie der Fragebogen aussah, aber das werden Sie ja auch alles haben. Nicht, also was er beantworten musste, in welchen politischen Organisationen er war oder nicht war, das haben wir alles, aber aus dem Lager selber. Es war, vielleicht war er auch vorsichtig um, sagen wir mal, nicht den Eindruck zu erwecken, vielleicht manchmal ist er so in Gedanken gekommen, das der eine oder der andere gar nicht so scharf war wenn er zum Beispiel keine Familie hatte nun in das kaputte Deutschland zurückzukehren, wenn er in England eine Möglichkeit des Lebens sah. Bei meinem Vater war das nicht so, der wollte nach Hause natürlich, der wollte uns ja wiedersehen. Familie ist ja gottseidank intakt geblieben, wir haben also auch wenig Kriegsopfer in der Familie gehabt, alle habense irgendwie Schwein gehabt. Ja, nee also, mehr aus dem Gefangenenlager kann ich Ihnen nicht sagen, ich weiss nur dass mein anderer Onkel, der war in Frankreich dann bei den Amerikanern im Gefangenenlager und als die mitkriegten, die Amis, dass der Musiker auch nebenbei war, haben sie ihm ein Cello gegeben und der hat die Gefangenenkapelle organisiert. Also auch der kam eigentlich zurück mit einem sehr offenen Verhältnis zu den ehemaligen Kriegsgegnern.
PS: Ja, dann, jetzt ein bisschen zurück zu Ihnen.
HD: Ja.
PS: Wie, was, welche Erinnerungen haben Sie von der Zeit in der Sie in Breslau evakuiert waren, auf dem?
HD: Bauernhof.
PS: Ja, auf dem Bauernhof Ihres Onkels, wenn ich mich nicht irre.
HD: Ja, ja, der war da Gutsinspektor, wie man das nannte, und da habe ich natürlich die besten Erinnerungen. Weil, ich konnte dann auf dem Trekker mitfahren, ich habe gesehen wie Viehhaltung war, das funktionierte aber, Sie interessieren sich ja für die politischen Dinge, da weiss ich nur eins: das ich meiner Mutter Ärger bereitet habe, warum? Ich bin dort natürlich in die Schule gegangen und die Lehrerin in der Dorfschule die war eine stramme Parteigängerin, sie trug auf ihrer Bluse immer das grosse, relativ grosse Parteiabzeichen, das erinnere ich, und nun kam ich als Berliner in diese Dorfjugend. Und die Jungs die waren natürlich neugierig oder man, mutmass, ‘na, der kommt aus Berlin’ undsoweiter, und da ich hatte wohl zu der Zeit eine ziemlich grosse Klappe, wei man heute sagt, das heisst also als Berliner sowieso und ich erzählte wohl immer lustig von den Bomben in Berlin, zum Beispiel das wir Bombensplitter gesucht haben. Wir Berliner Jungs, jeder hatte eine Zigarrenkiste hier und wenn der Angriff vorüber war am nächsten Tag, dann ging man über die Strasse wenn in der Gegend was eingeschlagen war und man suchte Bombensplitter. Da hatte man einen ganzen Kasten voll und das tauschte man aus, also solche Sachen. Oder diese Kondensstreifen, weiss nicht ob Sie wissen was das ist, die Engländer die warfen so’n Streifen ab, die waren aussen Schwarz und innen silberig, die sollten das Funkmessgerät meines Bruders praktisch irritieren. Und die Dinger landeten wie so’n leichter Regen oder Schneefall auf der Strasse und die sammelten wir ja ein, das sollte man immer abgeben aber das haben wir natürlich nicht immer gemacht. Und diese Geschichten, und von den Bomben und so, wichtigtuerisch, wie man als Kind ist, muss ich wohl erzählt haben. Jedenfalls kam dann, eines Tages, entweder war es der Dorfgendarm oder der Parteimensch aus dem kleinen Dorf zu meiner Mutter oder bestellte sie ein und ermahnte sie, sie solle doch ihr Erziehungsauftrag wahrnehmen, denn der Junge erzählt hier defätistische Sachen. Ja, das hat er nicht zu machen, das hat er zu unterlassen. Also nun kam meine Mutter und dann kam der Onkel dazu, der hatte zwei Jungs die waren im Krieg, an der Front und der sagte: ‘Um Jottes willen erzähl ja nicht wat, det gibt nur Ärger!’. Also, mir, ich kriegte als Kind den berühmten Maulkorb verpasst, des war so’ne Sache. Am sonsten war natürlich, im Nachhinein ist es mir erst auch deutlicher geworden, das wir auch Fremdarbeiter hatten und in der Gegend waren es natürlich überwiegend Polen, die dort auf dem Gut arbeiteten, die waren aber normal untergebracht, ich kann mich nicht erinnern dass sie in irgendeinerweise jetzt drangsaliert wurden. Ich hatte sogar einen Polnischen kleinen Jungen mit dem ich spielte, also das war für mich, also dieser Gegensatz, Deutsche Polen und so war da nicht spürbar. Habe ich nicht erlebt, ja wir waren da also ganz friedlich. Ich habe übrigens jetzt nach vielen Jahren den Weg da zweimal angetreten nach Breslau und hab die alten Stätten besucht, hab auch das Haus wieder gefunden aber ich konnte mich leider nicht so verständlich machen was ich eigentlich wollte, ich wollte eigentlich nur wiedersehen und eigentlich mit den Leuten die jetzt da wohnen ein Versöhngespräch oder überhaupt ein Gespräch führen aber ich hatte dafür, die waren abständig, zurückhaltend, vielleicht im Hinterkopf den Gedanken, der will da einen Anspruch gelten machen oder was, hatte ich ja gar nicht und sie würden die Bude nicht [unclear], ja, bloss es war ein Stück Erinnerung und ein Stück Heimat. Und da meine Mutter aus Schlesien kommt, habe ich ohnehin mal das Gefühl, ich müsste unbedingt mal nach Breslau, ich bin, vielleicht wäre vielleicht auch ein guter Schlesier geworden. Also eine gewisse, ein gewisses Interesse für die verlorenen Gebiete im Osten. Ja, das war also so in Juliusburg, am sonsten sagte ich ja auf dem Bauernhof und das Leben war absolut friedlich. Ach, eins vielleicht noch, das fiel mir, das erinnere ich auch, da kamen mal die beiden Jungs von den Gutsverwalter, der eine war bei der SS, der andere war bei der Luftwaffe, und ich vermute also dem Gespräch nach waren die an der Ostfront, das heisst also in Russland, und mich schmissen sie aus dem Zimmer raus, also die müssen irgendwelche Geschichten erzählt haben, die nicht für Kinder ungeignet waren. Ergebnis war nur, nachdem auch meine Mutter den Befehl kriegte, in der Umgebung Schützengraben zu ziehen, also aussschöppen, Ende ’44. Muss man es mal überlegen, also die Kriegsheeresführung wusste was auf sie zukommt, aber der Bevölkerung der ist es nicht gesagt worden, und meine Mutter musste Schützengraben ausheben. Und da kam das Gespräch auf Onkel August, so hiess der Onkel, der sagte eines Tages mal: ‘Na ja, also, es macht kene Jedanken, wenn die Russen kommen, dan gehen wir über die Oder’, wir waren also, wenn mann jetzt flussabwärts blickt, waren wir rechts der Oder. ‘Dann gehen wir nach links auf die linke Seite in Breslau, und dann’, und der Satz der ist mir im Ohr geblieben, ‘dann hauen wir die Russen zurück’. Na ja, wie es ausgegangen ist wissen wir. Wir haben den Kontakt nach dem Krieg nie wieder aufnehmen können, ich weiss nicht ob die Familie es überlebt hat, was aus den Jungs geworden ist und der Gedanke nun mit den Leuten darüber mal zu reden und so ein bisschen Vergangenheitsbewältigung zu machen, der ist leider gescheitert, ich hatte den Eindruck, die wollten nicht, und, na ja, kann man nichts machen. Also, das zum Thema Schlesien.
PS; Also, ich wollte Sie, wir sind also fast zu Ende, nur noch ein Paar, ein Paar Fragen.
HD: Ja.
PS: Sie hatten mir erzählt das Sie mit Ihrer Mutter Zeit im Bunker verbracht haben.
HD: Ja.
PS: Das war noch in Berlin.
HD: Das war in Berlin, ja.
PS: Welch Erinnerungen haben Sie? Also Sie waren nur mit Ihrer Mutter? Waren da auch andere Familien? Wo war dieser Bunker?
HD: Der Bunker war hier in der Müllerstrasse, also kennen Sie Berlin, sagt Ihnen das überhaupt was?
PS: Ja. Ja, ja.
HD: Ja. Also, Müllerstrasse, das ist so im Nordwesten und das ist ein grosser Strassenbahnhof gewesen, der hatt den Krieg auch überstanden, da ist wenig oder gar nichts kaput gegangen und unter den Hallen der Strassenbahn, da ist während des Krieges dieser Bunker gebaut worden. Zwar ein Tiefbunker und in den musste man dann durch die Bunkerschleusen, diese riesen Eisentüren, vorne war die Luftschutzwarte, die hatten immer so einen besonderen Helm auf und irgendwie Gasmasken umgehängt, das war immer sehr martialisch und da sind wir durchgewackelt und da wurden uns die Raume zugewiesen und da lagen, waren da Pritschen so auf, die Luft war so wie im Bunker so ist, und man sass still und wir Kinder schliefen, und morgens da gab’s auch kein Fruhstück im Bunker oder so was sondern dann wenn die Sonne oder wenn das Licht wieder da war dann, wie gesagt, wurden wir dann geweckt und standen wieder auf und gingen zurück und wir hatten also einen halben Kilometer Weg ungefähr zu hinter, zu absolvieren und dann die Frage: steht’s oder steht’s nicht? Man merkte das im Bunker nichts, kann mich nicht erinnern das man irgendwie, das der Bunker gewackelt hat, wenn da die Bomben einschlugen oder was. Wie gesagt, bei uns im Norden in dieser Ecke, im Afrikanischen Viertel, waren die Schäden nicht so gross. Die Gegend war also nach dem Krieg relativ schnell enttrümmert oder entrümpelt oder die Strassen wieder zugänglich, wir hatten da also ein gewisses Glück muss ich sagen. Erst wenn man dann mal später in die Innenstadt fuhr, dann sah mal eigentlich, das wahre Ausmaß der Zerstörung, da oben war es nicht. Wir hatten ja die grosse Kaserne neben uns, die damals hiess sie Hermann-Göring Kaserne, war eine Luftwaffenkaserne die für uns beim Einmarsch der Russen natürlich die Quelle für Nahrungsmittel war, plötzlich war keine Kontrolle mehr da, die Menschen, wir stürmten also in diese Kaserne und die Läger waren voll mit Lebensmitteln und mit, ich bin durch Kaffebohnen gewatet, oder waren’s Erbsen, jedenfalls wir nahmen mit was wir mitnehmen konnten und raümten da aus und dann zog ja erst die Briten ein. Denn Berlin war ja erstmal von den Russen ganz besetzt, dann kamen im Juli die Amerikaner und die Briten nach und der spätere Französische Sektor wurde ja erstmal Englisch. Die Franzosen kamen ja erst im August zu uns. Und die Engländer haben sich dadurch beliebt gemacht bei uns, das es hiess, neben der Kaserne werden auch unsere Blöcke für die Soldaten benötigt und es bestand die Gefahr, das wir aus den Wohnungen müssten. Es ist aber Gottseidank dann nicht eingetreten. Aber eine zweite Sache erinnere ich noch, die Engländer forderten auf die Leute sollen ihre Klaviere abgeben. Und wie meine Mutter das geschaft hat, das sie die Leute also entweder keine Angaben gemacht hatt oder was, wir haben unser Klavier behalten. Vorher hatten die Russen ja schon unsere Radios abgeholt oder mussten wir abgeben, Telefone mussten wir abgeben und, wie gesagt, das Klavier haben wir ja behalten und die Engländer haben also darauf verzichtet, uns da zu vereinnahmen. Aber dadurch das die nebenan in der Kaserne waren, muss wohl das Starkstromkabel bei uns immer durchgegangen sein, jedenfalls wir hatten, trotz aller Stromsperren und dergleichen Dinge, hatten wir eigentlich während des ganzen Krieges und auch danach immer Strom. Jetzt war die Frage, Strom wurde kontingentiert, man durfte ja nicht so viel, Kraftwerke gaben das ja gar nicht her. Und nun war wieder mein Bruder, der da beim Militär pfiffig wurde und man fand dann Möglichkeiten um den Zähler zu überbrücken. Oder viele Leute gingen dann abends in den Keller um sich was warm zu machen, auf Kosten des Hauses, and die Leitung der Kellerbeleuchtung rangehen, all solche Geschichten nicht. Also, insofern, viele Erinnerungen auch an die Briten und dann, wie gesagt, kamen die Franzosen, insofern haben wir alle drei Besatzungsmächte kennengelernt.
PS: Hatten Sie Angst als Junge in den Bunker, ich meine, können Sie sich erinnern an die Gefühle die Sie hatten?
HD: Neine, ganz im Gegenteil, das war sicher. Der Bunker vermittelte das Gefühl der Sicherheit. In dem Bunker hatten wir keine Angst. Es gab ja noch den grossen Hochbunker am Bahnhof-Gesundbrunnen, da steht ja noch’n Stück, ist ja übrig geblieben weil man’s nicht sprengen konnte wegen der Eisenbahn, und da waren wir auch mal da als wir mal aus der Stadt kamen und vom Bombenangriff überrascht wurden, gingen wir dort in den Bunker und haben dort den Bombenangriff überlebt. Das merkte man ja nicht, das Ding bewegte sich ja gar nicht, also die waren so stabil. Der Bunker bot absolute Sicherheit und wir kamen auch rein, es war ja, man hat manchmal im Nachhinein Geschichten gelesen, das Menschen rein wollten und der Bunker der war überfullt, die haben dann keinen mehr reingelassen oder so, dass habe ich nicht erlebt.
PS: Ihre Mutter gab auch nicht den Eindruck, Angst zu haben?
HD: Nö, eigentlich nicht. Na wir sind ja hingegangen weil uns die Bunker im Grunde genommen Schutz gewährten, nicht?
PS: Erinnern Sie sich an die Bombardierung des 3 Februars? Sie sprachen auch etwas von Phosphorbomben.
HD: Ja, die Phosphorbomben, dass muss in Kreuzberg, muss dass ganz schlimm gewesen sein, wo die Ritterstrasse, so hiess damals, war mit sehr viel Textilfabbrikken und Hinterhof Etagen und da ist ja also tabula rasa gemacht und ein ganzes Stadtviertel ist zerstört worden. Und wie gesagt diese Phosphorbomben mit der, mit den schrecklichen Brandschäden und wer also Phosphor, wenn die Bombe plazte und man kriegte Phosphor auf die Haut, das war ja nicht zu löschen, nicht? Unter Wasser ging die Flamme aus und kam wieder Sauerstoff ran, dann ging das wieder los. Das haben wir insofern, den 3 Februar insofern gesehen weil über Berlin, das ist eigentlich unvorstellbar, aber, eine Wolke hochging, eine schwarze Wolke, wir sind, wir konnten, wir hatten so eine höheren Punkt bei da uns Park und da konnte man und da sind wir raufgegangen als Kinder und konnten über Berlin diese Riesenwolke sehen. Da brannte ja nun das Schloss, die Oper und die ganze Innenstadt ist ja da an einem Tag kaputt gegangen. Das ist ja das was im Nachhinein für uns Leute hier unverständlich war, warum man nicht, warum das Stauffenberg Attentat zum Beispiel nicht geklappt hatt, warum man nicht längst kapituliert hatte, diese sinnlosen Zerstörungen am 3 Februar, 26. Oder Potsdam, wennse darann denken, 14, 15 April ist Potsdam bombardiert worden für nichts und wieder nichts und der Gedanke den Bomber Command ja warscheinlich hatte, ja den Willen der Bevölkerung zu brechen oder, sagen wir mal, Aufstände zu provozieren, das ist ja nicht aufgegangen wie wir ja nun im Nachhinein wissen. Die Bevölkerung ist ja nicht, wir haben ja nicht jetzt gegen die bösen Nazis geschimpft sondern der Feind kam aus der Luft, nicht? So war ja warscheinlich die Denke damals.
PS: Ja, gerade Sie haben einen, sagen wir, Anstoß gegeben auf, sagen wir, die letzte Frage und das ist eben wie Sie, wie Sie eben damals, was Sie damals dachten von den Bombardierungen und auch wie Sie das heute, siebzig Jahre spater, sehen.
HD: Ja, also, wie soll ich sagen, also?
PS: Sie hatten mir, also wenn Sie mir, hätten sie noch etwas hinzuzufügen auf das was Sie mir eben gesagt haben, wie Sie das damals sahen?
HD: Ja, na ja, ich war damals Kind, also wir waren als die, es waren ja so ungefähr, wir sind hier am 24 April befreit worden und in den letzten Tagen gab es also keine Angriffe. Ich glaube Potsdam so am 15 das war das letzte und in dem Moment wo die Bombenangriffe aufhörten und der Krieg zu Ende war, man hatte zwar andere neue Ängste, nicht? Das hing nun wieder mit der Roten Armee zusammen aber da hatte man ja doch das Gefühl, Gott sei dank, dieser Terror, wie man sagte, der Luftterror von oben ist zu Ende. Also das man nun jetzt liebevoll dachte, die Amerikanischen und Englischen Bomber wollen lediglich die Nazis beseitigen, nee, nee, nee, es waren natürlich die Verluste in der Bevölkerung und in der Substanz. Und wenn man heute nun nach Syrien guckt, wie desselbe wiedermachen, diese sinnlosen Zerstörungen, ja, also, wir, die Bombardierung hat offensichtlich den Wiederstand, ja, sogar noch gefördert, nicht? Im eingangs sagte ich ja die Klassenkameraden von meinem Bruder, da waren ja welche bei die haben ja, die wollten ja noch mit der Panzerfaust wollten die ja noch den T34 ja zerstören, nicht? [coughs] [unclear] Entschuldigung [coughs].
PS: Kein Problem.
HD: [coughs] Ja, Herr Schulze, im Augenblick fällt mir nichts weiter ein.
PS: Ja, eben, sagen wir jetzt die allerletzte Frage.
HD: Ja.
PS: Wie sehen Sie, wenn Sie zurückblicken auf die Zeit, jetzt siebzig Jahre nach dem Krieg, wie sehen Sie das, welche Meinungen haben Sie von dem, von den Bombardierungen, von den, welche Gedanken kommen Sie ihnen jetzt?
HD: [coughs] Ja, also, ein Gedanke der mich immer oder uns immer beschäftigt hatt war eben, dass die Bombardierung der Zivilbevölkerung sinnlos war. Man hatte Verständnis, oder hat bestimmt Verständnis gehabt, wenn also Bahnanlagen, Industrienanlagen, das Ruhrgebiet zerstört werden, aber nun gab’s ja tatsächlich und das ist ja durch die Politik im Kalten Krieg so ein bisschen bestätigt worden, als würden in Berlin zum Beispiel bestimmte Areale nicht bombardiert worden sein, nämlich die die unter Umständen in Amerikanischen Besitz waren also AEG am Gesundbrunnen, da ist nichts kaputt gegangen und schräg rüber die Wohnquartiere sind zielgerichtet kaputt gemacht worden. Man konnte sich das als Kind nicht vorstellen oder überhaupt nicht vorstellen das man bombardieren kann, so punktmässig. Oder dann kommt die andere Geschichte hinzu von Wiesbaden, sagt man immer, die Amerikaner haben Wiesbaden nicht kaputt gemacht weil sie wussten dass sie da eines Tages ihre Komandozentrale unterbringen und so ist also Wiesbaden nicht kaputt gegangen aber nebenan die Stadt Mainz die ist natürlich zerstört worden. Also so’ne Sachen hat man schon im Nachhinein bemerkt und gelesen und man hatte damals also das Gefühl man soll persönlich getroffen werden und das empfanden, gluab ich, viele Leute als, ja, will nicht sagen ungerecht, wir haben ja den Krieg angefangen, also von Recht kann man da nicht sprechen aber zumindest im Ergebnis nicht, hat’s nichts gebracht, ja?
PS: Und das ist auch das was Sie sagen sie auch heute denken.
HD: Das allerdings ja. Das muss man immer noch dazu rechnen, ja. Sie wissen ja, der Zeitzeuge ist der Feind des Historikers, wie man so schön heisst. Der Historiker sieht das alles aus seiner Kenntnis und der Zeitzeuge, der bringt natürlich dann immer noch persönliches mit rein. Herr Schulze, was kann ich noch für Sie tun?
PS: Ich habe, sagen wir, nur eine einzige Frage noch. Und das ist wirklich die allerletzte.
HD: Bitte [laughs].
PS: Ich habe Sie schon [unclear] in Betracht genommen.
HD: Nein, nein, das macht, ist interessant mal über die Dinge zu reden.
PS: Erinnern Sie sich ob einige Ihrer Verwandten Erinnerungen an die Zeit haben? Ich weiss nicht ob Ihre Grosseltern oder so etwas miterlebt haben. Das hatt nichts mit den Bombarderierungen zu tun, vom alltäglichen Leben in Berlin.
HD: Das alltägliche Leben, meine, also man hat normalerweise vier Grosseltern, die eine Seite, die Väterliche Seite, lebte in Moabit und da ist die Oma, die hat das mitterlebt, wenn die einkaufen ging, das die Menschen, und zwar hier die Jüdischen Mitbürger, in der Levetzow-Allee zusammen, oder versammelt wurden und dort war, stand wohl auch eine Synagoge und von dort in Kolonnen losmarschierten. Meine Oma will das gesehen haben, will das auch als tragisch oder was auch immer empfunden haben, aber es war halt so eine bleiernde Stimmung in der, das man immer sagte darüber darf man nicht reden oder man kann da auch nicht protestieren es, also meine Oma hat’s gesehen, man kann also nicht sagen wir haben nichts gewusst. Meine anderen Grosseltern, die lebten in Charlottenburg, die sind ausgebombt worden, die hatten dann eine Laube draussen in Britz, also im Süden Berlins und haben dort den Rest ihrer Tage dort verlebt. Mein Onkel, wie gesagt, ist am Kaiserdamm ausgebombt worden und hat, und die Unterlagen habe ich noch, man ging dann zum Bezirksamt und liess sich bescheinigen das man ausgebombt ist und dann kriegte man eine Unterlage und da, und den, einen Bezugsschein für ein Messer, eine Gabel, ein Kochtopf undsoweiter. Und man musste auch aber gleichzeitig eine Verlustanzeige machen und da gibt’s dann natürlich nur die bösesten Geschichten, also bei meinem Onkel steht auch das er zwei Perser Teppiche bei sich hatte und meine Tante hatte einen Edelpelz und irgendwelche Leute haben mir dann mal ausgerechnet, sowiel Perser Teppiche hatt’s auf der ganzen Welt nicht gegeben wie plötzlich nach den Bombenangriffen hier bemängelt worden. So wie wir es ja auch erlebt haben wenn man unterwegs als Turist bestohlen wurde, weiss ich, irgendwo, und Photoapparat weg, dann war das bei der Polizei, immer eine Leika nicht, und immer ein bisschen höher wert, ja. Also, diese Sachen, an die erinnere ich mich natürlich. Und vor allen Dingen wie mein Onkel, der nun Betriebsleiter war und hier mit den Russen auch seine Schwierigkeiten hatte, dann seinen eigenen Betrieb abbauen musste, weil das dann nach Russland alles transportiert wurde, das war schon, aber das ist ja nicht jetzt Ihr Thema.
PS: Gut also, ich, das war alles sehr sehr sehr interessant, was Sie mir erzählt haben und ich würde jetzt damit aufhören, ich glaub ich habe Sie schon genug in Betracht genommen.
HD: Sie können jederzeit wieder anrufen wenn Ihnen etwas einfällt.
Dublin Core
The Dublin Core metadata element set is common to all Omeka records, including items, files, and collections. For more information see, http://dublincore.org/documents/dces/.
Title
A name given to the resource
Interview with Hubert Draegert
Description
An account of the resource
Hubert Draegert remembers his wartime experiences, first in Berlin and then as an evacuee at his uncle’s farm near Wroclaw. He mentions the bombing of the Berlin State Opera and the repeated efforts made to rebuild the gutted building. He remembers the 3 February 1945 bombing, stressing how his neighbourhood was not heavily damaged. He tells of his brother who was drafted as a Luftwaffenhelfer with all his classmates. As a radio operator, his brother listened to the BBC and was therefore always up-to-date on the course of war. Herr Draegert mentions various episodes of his own life as an evacuee: Polish foreign workers; his mother digging trenches as the Russians approached; being reproached by a police officer for spreading defeatist stories at school. He remembers collecting bomb fragments and strips of tinfoil window so as to trade them with other children. He mentions his father working in a Jewish bank before being drafted into the Navy in 1943 and his father's subsequent time as a prisoner of war near Leeds, where he was treated humanely. Hubert Draegert reminisces about the time spent in the shelter with his mum, stressing the sense of safety it provided. He describes the effects of incendiaries on civilians and emphasises how the bombing didn’t turn the population against the regime and were therefore a failure, although factories and transport hubs were, in his eyes, legitimate targets. He describes blackout measures; food rationing; firefighting with domestic implements; and the opportunistic behaviour of civilians. He recollects British soldiers impounding pianos. He reflects on the bombing war, stressing the gap between scholarly interpretations and eyewitness accounts. He emphasises that targets were not always chosen according military priorities but rather the Allies’ post-war agenda.
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
01:13:00 audio recording
Language
A language of the resource
deu
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Wehrmacht. Luftwaffe
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Germany--Berlin
Poland--Wrocław
Germany
Poland
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1945-02-03
1943
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Peter Schulze
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2018-02-09
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ADraegertH180209
bombing
childhood in wartime
civil defence
evacuation
firefighting
home front
incendiary device
Luftwaffenhelfer
perception of bombing war
prisoner of war
shelter
Window
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/78/744/ASimonsohnW170812.2.mp3
73cfe0f9105ae524241bd88ad6f67653
Dublin Core
The Dublin Core metadata element set is common to all Omeka records, including items, files, and collections. For more information see, http://dublincore.org/documents/dces/.
Title
A name given to the resource
Simonsohn, Wilhelm
W Simonsohn
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Fighter planes
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
One oral history interview with Wilhelm Simonsohn (b. 1919), a Luftwaffe pilot.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-04-08
Rights
Information about rights held in and over the resource
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Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
PS: Dieses Interview wird für das International Bomber Command Center durchgeführt. Der Interviewer ist Peter Schulze, der Befragte ist Herr Wilhelm Simonsohn. Heute ist der 4 Juli, 4 August 2017. Wir danken Herrn Simonsohn für die Erlaubnis, ihn interview zu dürfen. Ihr aufgezeichnetes Interview wird Teil des Digitalem Archiv des International Bomber Command Centre werden, das von der Universität Lincoln im Auftrag des IBCC verwaltet und vom Heritage Lottery Fund unterstützt wird. Ihr Interview wird als eine öffentlich zugängliche Quelle aufbewahrt, die für Forschung, Erziehung, online und in Ausstellungen verwendet werden kann. Das Ziel dieses Abkommens ist dafür zu sorgen dass ihr Beitrag dem IBCC Digitalem Archiv hinzugefügt wird, in Übereinstimmung mit ihren Wünschen. Dieser Vertrag ist zwischen der Universität Lincoln („Die Universität“) und den befragten („Sie“) enstanden. Ich, also, wieder noch einmal die drei Fragen. Ich, der Befragte, bestätige dass ich meine Zustimmung zur Aufnahme gegeben habe und das ich hiermit der Universität alle die Urheberrechte für die Verwendung in allen Medien gebe. Ich verstehe dass es nicht meinen moralischen Anspruch beeinträchtigen wird, als Darsteller identifiziert zu werden, dem Urheber, Design und Patentsgesetz 1988 gemäß. Ja oder nein?
WS: Ja.
PS: Danke.
WS: Bitte. So, und jetzt zur Sache.
PS: Nein warte, warten sie bitte. Bitte um Verzeihung.
WS: [unclear]
PS: Nein da sind noch die anderen beiden Fragen. Ich stimme zu, dass mein Name öffentlich mit diesem Interview verbunden wird, aber verstehe dass alle die anderen persönlichen Angaben unter streng vertraulichen Bedingungen gespeichert und nicht an Dritte weitergegeben werden. Ja oder nein?
WS: Ja.
PS: Ich erlaube dass mein Interview online zugänglich gemacht wird. Ja oder nein?
WS: Ja.
PS: Dieses Abkommen wird dem Englischen Gesetz und der Zuständigkeit der Englischen Gerichte unterlegen sein und ihnen ausgelegt sein. So, ehm, ich kann jetzt zu den Fragen kommen.
WS: Ja.
PS: Also, ehm, ich wollte gerne, wir möchten gerne noch etwas zu ihrer Familie wissen, und zu ihren Jüdischen Eltern, also zu ihrem Haushalt wissen.
WS: Ich wurde als, mit zwei Jahren von Eltern adoptiert bei denen der männliche Teil aber ein Jude war. Ich habe ja auch noch einen Jüdischen Namen. Ich habe ab zwei Jahre alt, meine richtigen Eltern habe ich praktisch nie kennengelernt. Ich kenne also nur meine Adoptiveltern, wenn ich von Eltern spreche meine ich [unclear] den diese. Und mein Adoptivvater war ein Jude wenn auch kirchlich getauft und Deutsch nationaler-politischer Gesinnung. Das war’s.
PS: Können sie mir noch ein bisschen mehr erzählen, ich meine wie, wie sich, sagen wir die Geschehnisse.
WS: Ja also, mein Vater war Seeman, der fuhr zur See auf dem P-Linern der Reederei Laiesz. Da kommt jetzt in diesen Tagen aus den USA die Peking nach Hamburg, das ist einer von diesen sogenannten P-Linern der Reederei Laiesz, grosse Seegelschiffe die Salpeter von Iquique von Chile nach Hamburg gebracht haben. Auf diesen P-Linern ist mein Vater gefahren. Er war vor dem ersten Weltkrieg war er an Bord dieser Schiffe. Er hatt sich dann nach dem Ersten Weltkrieg hier niedergelassen in Altona bei Hamburg, also ein Stadtteil von Hamburg jetzt, mit einer Kohlenhandlung. Wir hatten ein Geschäft mit zwei [unclear] und Arbeitsmännern und es ging uns finanziell ging dieser Familie, deren amtliches Kind ja ich geblieben bin da meine Eltern aus biologischen Gründen selbst keine Kinder haben konnten, bin ich in gutbürgerlichen Verhältnissen hier in Hamburg aufgewachsen. Ich habe ein Gymnasium besucht aber nach 1933 ging es dann wirtschaftlich mit uns gleich ab [unclear] das Geschäft meines Vaters boicottiert wurde. Er war ja Jude. Und 1935 waren wir dann wir [unclear] Familie, waren wir finanziell am Ende. Mein Vater, Deutsch-national gesind, wollte nicht auswandern. Er glaubte Hitler sei nur eine kurze Episode und das ginge denn bald vorüber, er dachte nie dann an auswandern. Ich selbst war in der Yachtschule in Blankenese, ein Vorort auch wieder von Hamburg, als junger, als 11, 12, 13, 14jähriger und wir wurden 1934 en block, also die ganzen Jungs in der Yachtschule, in die Hitler-Jugend überführt. Und erst 1935 erfuhr ich das meine Eltern nicht meine leiblichen Eltern sind, sondern meine Adoptiveltern. Das kam dadurch das einer der Jungs bei einem Streit mir den Vorwurf macht: ‘Du bist ja ein Judenlümmel!’ und daraufhin habe ich meinen Vater [unclear] angesprochen und in der Tat hatt sich denn herausgestellt das meine Eltern nicht meine leiblichen Eltern waren. Ich selbst bin dann später eingezogen worden zum Reichsarbeitsdienst 1938 und dann im Herbst 1938 wurde ich zur Wehrmacht eingezogen. Bis dahin also mein Schicksal im Rahmen dieser Familie. Reicht ihnen das jetzt mal?
PS: Ich wollte noch ein Moment wissen was eben nachher mit ihrem Vater passiert ist, wie sich das dann eben.
WS: Ja, ich war im Herbst 1938, im November, drei Tage Soldat, es war also der 3-4 November 1938, da bekam ich dann ein Telegramm von meiner Mutter in dem drin stand, sie hätten, sie, die SS oder wehr, hätten Papa abgeholt. Da war mein Vater an diesem ersten November 1938 tatsächlich von der Gestapo abgeholt worden und [unclear] wurde gebracht in das Konzentrationslager Oranienburg-Sachsenhausen bei Berlin. Mit diesem Telegramm bin ich zu meinem Kompanieschef gegangen und habe um drei Tage Sonderurlaub gebeten, der wurde mir auch gewilligt und ich konnte nach Hause fahren, meine Mutter trösten und habe einen Brief geschrieben an den Gauleiter Kaufmann hier in Hamburg, das ist die höchste politische Instanz gewesen für mich und gerade mit diesem Brief in dem Büro des Gauleiters der mich selbst nicht empfing aber einer seiner Mitarbeiter und nun konnte ich mein Interventionsschreiben ihm übergeben in dem ich aufgeführt hatte welche Deutsch, welche positive Deutsche nationale Gesinnung mein Vater hatte und das er auch im Ersten Weltkrieg Kriegsteilnehmer war und 1935 dafür sogar, und das ist geradezu Paradox, noch im Namen des Führers und Reichskanzlers ein Orden bekommen hat, ein Orden [unclear] noch für Kriegsteilnehmer des Ersten Weltkrieges. Das muss man sich bitte einmal vorstellen, in dem Jahr nämlich 1935 bin ich aus der Hitlerjugend ausgetreten, wir mussten unsere Wohnung verlassen und aus [unclear] Gründen, wir mussten umziehen in ärmliche Verhältnisse, ich musste das Gymnasium verlassen weil wir das Schulgeld nicht bezahlen konnten und mein Vater wurde hier noch als Matrose, obwohl er Nautiker war, bei einer Jüdischen Reederei noch einigezeit [unclear]. Uns ging es dann wirtschaftlich ganz schlecht in dieser Zeit zwischen 1935, November zwischen ‚35 und ’38. Mein Vater ist dann etwa fünf Wochen später nämlich um Weihnachten herum aus’m Konzentrationslager entlassen worden, er kam dann wieder nachhause aber in diese ärmliche Wohnung und er war dann aber seelisch zusammengebrochen. Er hatte keine [unclear] mehr und ist ein Jahr später zuhause, nämlich im Dezember 1939 verstorben. Ich war dann inzwischen also Soldat geworden. Die Geschichte meines Soldatenseins die haben ich ihnen ja glaub ich schon einmal vorgetragen. Hier ist das.
PS: Ja, ich habe dann noch andere drei Fragen für sie.
WS: Ja bitte.
PS: Die erste ist, hat mit dem Episode bei der sie abgeschossen worden sind, am 11-12 mai 1944.
WS: Ja?
PS: Wenn sie mir das ein bisschen besser erzählen konnen, mit ein Paar Einzelheiten.
WS: Ja, wir sind abends von Köln und zwar nach [unclear] um 10 Uhr etwa mit einer Junkers 88, das ist eine zweimotorige Maschine die es auch in einer Nachtjagd Version gab mit Suchgeräten also [unclear]Geräten ausgestattet und entsprechend bewaffnet. Mit [unclear] Brussel – Kanalküste in dieser Nacht mit Einflügen zu rechnen ist und zwar mit Einflügen der Briten mit vorwiegend Halifax und Lancaster, Lancaster vor allen Dingen, die in dem Raum Brüssel-Leopold [unclear] Bomben werfen würden auf Eisenbahnknotenpunkte, das ganze war warscheinlich schon im Vorfeld der Invasion so gedacht das unser Nachschub gestört werden sollte. In diesem Raum zwischen Brüssel und der Kanalküste bin ich dann hin und her geflogen und warscheinlich, in etwa zwischen fünf und sechs tausen Meter höhe, und warscheinlich bei dieser Gelegenheit in einer Richtung und auch zu lange das war also der Grund das mich eine Mosquito in ihrem Funkbordgerät aufnahm, mich verfolgte ohne das ich es wusste, mit meiner Besatzung, wir waren Flugzeugführer, Funker und Mechaniker. Die schossen dann eine Salve von unten nach oben in mein linkes Triebwerk, in den linken Motor und der brannte sofort, das war eine richtige Stichflamme, wir gerieten ins Truddeln, wir sind alle drei aber durch die Bodenlucke ausgestiegen und mit Fallschirm unten gelandet, ein bisschen [unclear] aber doch lebend runtergekommen und sind dann in Brussel-Evere das [unclear] unser Flugplatz [unclear] quasi hingebracht. Das war noch die erweiterte Geschichte meines Abschusses und, aber das ist das bemerkenswerte und da will ich sie bitten wenn sie mich mal in Hamburg besuchen mich daran zu erinnern. Ich habe hier im Flur liegen von einem Holländischen Historiker ist das vollbracht worden die Abschussgeschichte [unclear] Report dieser Mosquitobesatzung habe ich hier in Englisch, die mich damals abgeschossen hat. Und wir waren, meine Frau und ich, wir waren 1980 glaube ich, auf Grund dieser Unterlagen hatten wir Kontakt noch mit einer Witwe die Mosquito [unclear] Flugzeugführer und Navigator und mit der Witwe des Navigators, ein Mike Allen, der war inzwischen verstorben, haben meine Frau und ich in Plymouth noch einen Nachmittag verbracht bei einem sehr guten Gespräch. Das ist wohl die Geschichte meines Abschusses.
PS: Ja, dann noch eine Frage zum, zu dem Thema, sie haben gesagt das als sie flogen, da zielten sie auf die Motoren und nicht auf die Besatzungen.
WS: Ja, es war ja unsere Absichten die Maschinen abzuschiessen und sie daran zu hindern, das ist ja die Logik eines solchen Krieges, darann zu hindern das diese Engländer, diese bösen Briten, bösen [unclear] wenn die unsere Städte zerbombten und in Brand warfen und wir griffen nachts in der Regel ja von unten nach oben an. Wir hatten zwei 2cm Kannonen die schräg nach oben schossen, weil man nachts wenn die Erde dunkel ist von unten nach oben besser sieht [unclear] als von oben nach unten. Da wurde also [unclear] angegriffen und wenn man die [unclear] erkannte überall, die Lancaster hatte ja so eine Spannweite von etwa [unclear] meter wenn man die also erkannte [unclear], dann schoss man auf eine der beiden Tragflächen, wo die Triebwerke sassen, die Lancaster hatte ja vier Triebwerke, auf jeder Seite zwei und [unclear] auf diese [unclear] da schoss man [unclear] war wieder nicht, [unclear] herunter, und [unclear] auch am schnellsten, dass die Besatzung dann eventuell da noch heraus kam, [unclear] noch eine Chance [unclear] oder was abgeschossen wurden. Und auf die Art und Wiese habe ich ja diesen Peter Hinchliffe von den ich schon mal sprach, aus Canterbury haben wir mal kennengelernt bei einem Fliegertreffen das war also einer der, ein Navigator eines Halifax-bombers der ich glaube 1942 war das, [unclear] Köln abgeschossen wurde und am Fallschirm heil unten ankam. Den Namen von Peter Hinchliffe hatte ich ihnen schon genannt.
PS: Ja. Ich habe dann noch genauer gesagt zwei Fragen für sie und dann möchte ich sie nicht länger.
WS: Ja, bitte.
PS: Das erste hatt mit ihrer Gefangenschaft bei den Amerikanern zu tun. Wenn sie mir dass ein bisschen so erzählen können, Einzelheiten wenn sie noch..
WS: Ach ja, das, [laughs] das ist eine Sache für sich. Ich wurde versetzt im Herbst ‚44 im Osten, ich war noch bei der Nachtjagd, zwar in einer Nachtjagdeinheit die die letzten Kriegsmonate und Wochen in Wiener Neustadt und genau in Linz stationiert war. Also ein Gebiet das in April bereits zu Österreich gehöre, wir nannten das ja noch Ostmark, bereits weitgehend von Amerikanern besetzt war. Die Amerikaner kamen von Salzburg im Süden, sie kamen von Passau im Westen und die Russen kamen [unclear] von Wien St. Pölten an die Enns. Der Fluss Enns, der Fluss zwischen Linz und Steyr war die zwischen Amerikaner und Russen vereinbarte Demarkationslinie in Österreich in der damaligen Zeit. Und wir waren mit einer Einheit die hatten noch zwölf Maschinen oder elf Maschinen in Linz und es kam ein Befehl der Luftwaffe, das war ein General Feldmarschal von Greim, der letzte Oberbefehlshaber der Luftwaffe, der sämmtliche Kurierflugzeuge, das sind die [unclear] sogenannten „Fieseler Störche“. Jede unserer Gruppen hatte [unclear] ein Fieseler Storch und diese Fieseler Störche sollten an einen Ort Niederlindach zusammengesetzt werden aus welchen Gründen auch immer und ich war noch [unclear] fuhrer denn ich bekam von meinem Chef Major Zorner den Auftrag mit meinen Fieseler Storch zu einem bestimmten Ort zu fliegen und an diesem Ort, Niederlindach hiess der, habe ich [unclear] gefunden, das ein Sammelplatz sein sollte für die Fieseler Störche. Meine Frau hatte einen Arbeits[unclear]lager in Bregenz am Bodensee und da kamen die Franzosen und sie war schon einige Tage bei mir und ich konnte sie in diesen Fiesel Storch mit an Bord nehmen und so flogen wir beide am 3 Mai ’45, also fünf Tage vor der offiziellen Kapitulation, an einem Dorf bei Steyr bei einem Bauer auf der Wiese mit diesem Fieseler Storch gelandet und so habe ich den Krieg auf eine Lichtung beendet. Am 8 Mai, am 7 Mai kamen die Amerikaner und ich war ja dann inzwischen im Zivil und die Amerikaner haben alle Männer zwischen zwanzig und vierzig etwa dann nach einigen Tagen einkassiert und wir mussten in ein Gefangenenlager marschieren. Dieser Fussmarsch passierte dann auch in der Dämmerung und da bin ich den weggelaufen, da bin ich also entflohen und bin dann gezielt in das Dorf und habe einige Nächte dort im Wald neben den übernachtet. Und nun kommt etwas ganz interessantes. Die Amerikaner hatten offenbar in dieser Gegend logistische Probleme weil die Demarkationslinie, der Fluss Enss zwischen Linz und Steyr eben die Grenze war, die die Amerikaner auf der einen Seite und die Russen auf der anderen Seite nicht überschreiten durften, eben als Demarkationslinie. Das führte dazu das auf der Österreichischen, also auf der Amerikanischen Seite, der Verkehr sich derartig stark verdichtet hatte, mit Panzern und sonstigen Fahrzeugen, das die Amerikaner in dieser Gegend froh waren, jedem Soldaten den sie da aufgabelten die natürlich auch alle schon zivil anhatten, Deutsche Soldaten in ein [unclear]Entlassungslager zu führen, das heisst im Steyr gab es eine Einrichtung wo die Ex-soldaten hingehen konnten und sie wurden, wenn die nicht mehr SS waren, dort entlassen. Sie bekamen eine „D 2-Schein“ das ist dieser berühmte Entlassungsschein. Man wurde untersucht ob man nicht der SS angehört hatte, die hatten ja so eine Tattowierung, man wurde untersucht das man keine Kopfläuse hatte und so weiter und am Ende der Prozedur war man denn entlassen. So bin ich auf diese Art und Weise von den Amerikanern später sogar offiziell entlassen worden. Und konnte dann später, da gab es ja noch einige Umstände, konnte dann später in etwa ende Juli, Anfang August mit meiner Frau auf abenteurlichen Wegen nach Hause fahren. Meine Frau ist in [unclear] zu hause und ich bin in Hamburg zu hause und ich konnte also auch meine Mutter denn im August in meine Arme schliessen und habe am ersten November ‚45, am ersten November ‚45, mein Frau denn also geheiratet. Das ist die Geschichte meiner Gefangenschaft.
PS: Ich fand den letzten Teil sehr rührend, muss ich sagen.
WS: Ich habe sehr viel Glück gehabt.
PS: Ja.
WS: Und Österreich war offenbar bei den Amerikanern irgendwie anders behandelt als das, als im übrigen Deutschen Reich weil Österreich ja mal als [unclear] von Hitler einverleibt wurde und man hat sich den Österreichischen Bevölkerung gegenüber warscheinlich etwas tolleranter verhalten als der übrigen Deutschen Bevölkerung und davon habe ich profitiert weil die Amerikaner ja keine Ahnung hatten das ich ein Hamburger bin und kein Österreicher.
PS: Interessant. Ich habe jetzt nur noch eine Frage für sie.
WS: Ja bitte.
PS: Ehm, es hat, es geht ein bisschen zurück auf das was ich sie das letzte mal gefragt hatte, aber es das war eben um das zu stärken. Über ihre pazifistische Einstellung nach dem Krieg. Das sie mir das noch ein bisschen wieder mal ein bisschen erzählen. Und ihre Einstellung zu den Briten.
WS: Ich bin nach hause gekommen, das sagte ich ja vorher schon, und das Gefühl, das [unclear] Gefühl das wir damals hatten, das war weit verbreitet, war ein Gefühl der Erleichterung, ein Gefühl der Erleichterung weil der Krieg nun zu Ende war, es fielen keine Bomben mehr, es wurden keine Menschen mehr getötet, das [unclear] war vorbei und dieses Gefühl war [unclear] Gefühl. Auf der anderen Seite hatte man dann natürlich auch in Hamburg [unclear] Trümmer, das Leben war viel primitiv, auch die Wohnung meiner Mutter war ausgebombt, wir wurden also sehr [unclear] in der ersten Zeit. Ich hatte noch keinen Beruf erlernt da ja der Krieg dazwischen kam und 1947 wurde eine Volkszählung für die Britische Besatzungszone, das war eben in der Amerikanischen Besatzungszone auch so, eine Volkszählung durchgeführt und an dieser Volkszählung habe ich dann teilgenommen. Und diese Teilnahme an dieser Volkszählung war zugleich mein Übergang zu einer Beschäftigung in unserer Universität in Hamburg, in der Hamburgischen Universität und da habe ich mich beruflich weiterbilden können und war im Laufe der Jahre, das war natürlich ein ganz [unclear], wurde ich Leiter der Personalabteilung an der Universität in Hamburg und wurde später dann ab 1968 das waren dann meine 15 Berufsjahre, wurde ich dann Verwaltungsleiter des Universitätskrankenhauses Hamburg-Eppendorf, das ist ein ganz grosses Klinikum mit über 5000 Beschäftigten [unclear] Sanität [unclear]. Da war ich also dann Verwaltungsleiter und bin dann 1981 pensioniert worden. Und habe dann mit meiner Frau, inzwischen waren Kinder geboren, habe mit meiner Frau mir einen Megakarawan gekauft und wir sind 18 Jahre lang nach meiner Pensionierung, im Herbst [unclear] gefahren durch Frankreich, nach Nordafrika, oder über den Italienischen Stiefel, nach Sizilien, nach Tunesien, 18 Jahre lang haben wir, im Winter eher dort unten unser Reisen [unclear] verbracht. Von diesen Erinnerungen haben ich viele Photographien gemacht, Photos gemacht, von diesen Erinnerungen [unclear] heute noch ein bisschen. Und heute bin ich mit, ich werde im nächsten Jahr 98 so Gott will und heute bin ich noch in der Zeitzeugenbörse, ich gehe in die Schulen, halte Vorträge, beantworte Fragen undsoweiter, über die Nazi Zeit und so, und versuche den Jungen Menschen beizubringen und ihnen [unclear] wie wichtig es doch ist, das die Menschen hier in Europa in Frieden leben und am Beispiel Deutschland ist es ja noch viel das Dank der [unclear] nach 1945, Marshall Plan, [unclear] Union, Wiedervereinigung undsoweiter, das hier hierzurzeit mehr al 72 Jahre hier in Europa, dank dieses Europas, mit unseren unmittelbaren neunen Nachbarn in Frieden leben. Das ist eine Zeitspanne die es für Deutschland in seiner Geschichte in dieser Menge noch nie gegeben hatt. So, da haben sie es. Sind sie noch da?
PS: Ja ja, ich bin noch hier, ja.
WS: Ach ja.
PS: Ja. Also, ich würde jetzt Schluss machen und immerhin ich verbleibe mit ihnen das ich ihnen das Material schicke und das wir noch in Kontakt bleiben.
WS: Ja, das wäre sehr schön.
PS: Und ich hoffe das es die Möglichkeit geben wird, das ich sie besuchen kann. Und, ja, Ich danke ihnen erst recht herzlich mal noch einmal für ihre Zeit und für ihre Geduld.
WS: Ach ja, keine Ursache und wenn sie mal nach Hamburg kommen, dann kommen sie bei mir vorbei, ich habe wie gesagt einen ganzen Akten Unterlagen in Englischer Sprache, also aus Englischen Berichten der 141 [unclear] Group, das ist eine Mosquito Gruppe gewesen und da sind die [unclear] worden. Da habe ich die Unterlagen unter dessen Umständen abgeschossen hat. Die können sie kopieren und die würde ich [unclear]. Wenn sie nach Hamburg kommen.
PS: Danke, danke, vielen Dank.
WS: Gut.
PS: Jetzt erstmal sehr vielen Dank von seiten des ganzen Bomber Command International Archive und wir werden in Kontakt bleiben.
WS: Ich hätte noch, ich hätte nie gedacht das ich mit einem Menschen der diesen [unclear] des Bomber Command vertritt irgend noch in [unclear] weise mich unterhalten kann. Das Bomber Command, das Britische war ja, als wir damals Krieg hatten, ein Rotes Tuch für uns, logischerweise. Wir waren ja Feinde. Und jetzt sind wir, Gott sei dank, sind wir alle in einem Gut.
PS: Ja.
WS: Und haben Frieden und hoffentlich bleibt dieser Frieden erhalten.
PS: Ja, hoffen wir, ja. Noch vielen Dank.
WS: Ja bitte, gern geschehen.
PS: Ich verabschiede mich jetzt bei ihnen und wir melden uns dann. Alos, das Projekt meldet sich dann und schickt ihnen alles.
WS: Gut.
PS: Vielen Dank und ich wunsche ihnen noch einen schönen Abend.
WS: Gern geschehen. Schönen Abend wünsche ich ihnen noch. Auf Wiedersehen.
PS: Tschüss, Auf Wiedersehen.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Wilhelm Simonsohn
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Fighter planes
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Wilhelm Simonsohn remembers his wartime service as a Luftwaffe night fighter pilot. He tells of his adoption by a Jewish family, and the discovery of his father’s background after being lampooned as ‘Jewish scum’ at school. He emphasises family hardships as a consequence of the racial policy of Nazi Germany. He describes how his father, despite being a recipient of a First World War medal, was deported to Sachsenhausen-Oranienburg Concentration Camp and later released. He tells how he used to fire at the engines of British aircraft in flight over Belgium so as to give aircrew a chance to bail out. He recounts being shot down by a Mosquito while patrolling the airspace between Belgium and the Channel coast whilst on the lookout for Lancaster and Halifax bombers. He remembers events at the end of the war: his unit being posted near Linz in Austria; being ordered to ferry a Fieseler Storch to a small airfield; being taken prisoner and later freed by American troops. He stresses his relief of now being on good terms with his former foes, something hitherto unthinkable.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Peter Schulze
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-08-04
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:33:08 audio recording
Language
A language of the resource
deu
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Royal Air Force
Royal Air Force. Bomber Command
Wehrmacht. Luftwaffe
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Germany
Belgium
Austria
Austria--Linz
Germany--Sachsenhausen (Brandenburg)
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1945
Rights
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Type
The nature or genre of the resource
Sound
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ASimonsohnW170812
anti-Semitism
bale out
bombing
Halifax
Lancaster
Mosquito
perception of bombing war
prisoner of war
shot down
-
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Dirks, Heino
H Dirks
Heinrich Dirks
Description
An account of the resource
One oral history interview with Heino Dirks (b.1922), a German firefighter at Jever airbase.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Rights
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Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-06-26
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Dirks, H
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Heino Dirks
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Airplanes, Military--Accidents
Fire fighters
Germany. Luftwaffe
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Peter Schulze
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-06-26
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
01:03:27 audio recording
Language
A language of the resource
deu
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ADirksH160626
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Germany--Jever
Germany--Hamburg
France
Belgium
Germany
Russia (Federation)
Rights
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In accordance with the conditions stipulated by the donor, this item is available only at the International Bomber Command Centre / University of Lincoln. For more information please visit https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/items-not-available-online
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Description
An account of the resource
Heino Dirks recounts his younger life in Jever, his experience as a decorator's apprentice in Wilhelmshaven and his service as a firefighter at Jever Airbase. He recollects the crash of a 37 Squadron Wellington R3263 when on duty and his efforts to extinguish the fire. He chronicles his military life in the Luftwaffe, serving in Belgium, France and Germany until being taken prisoner by the Russians. He recollects his escape from a Russian camp together with a friend and his adventurous journey back home. He reminisces about the bombing of Hamburg, when he went to visit his sister. Herr Dirks recounts the hardships in pre and post-war Germany.
In accordance with the conditions stipulated by the donor, this item is available only at the University of Lincoln.
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Wehrmacht. Luftwaffe
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1940-06-06
1940-06-07
bombing
crash
firefighting
prisoner of war
Wellington
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/8/16/PPfeiferKW1601.2.jpg
0450b59d1d85189add452a3dedb38f49
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/8/16/APfeiferKW160627.1.mp3
c26ca3cc75b7c84732e467d5dd9a806b
Dublin Core
The Dublin Core metadata element set is common to all Omeka records, including items, files, and collections. For more information see, http://dublincore.org/documents/dces/.
Title
A name given to the resource
Pfeifer, Charly
Charly Pfeifer
C Pfeifer
Karl W Pfeifer
Description
An account of the resource
One interview with Karl Wilhelm Pfeifer (b. 1941), a schoolboy in Betzdorf an der Sieg during the war. The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Rights
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Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Pfeifer, KW
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-06-27
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
PS: Lieber Charly,
CP: We can talk English, if you like to.
PS: Nein, es ist besser auf Deutsch. Können Sie mir erstmal ganz einfach ein bisschen von Ihrer Jugend erzählen. Die ersten Erinnerungen die Sie haben.
CP: Ja, die hängen natürlich zusammen mit den Zweiten Weltkrieg, weil, das ja außergewöhnlich, Krieg ist immer außergewöhnliche Situation, und da ich in der Nähe einer Stadt wohnte, in der zum Beispeil, sehr viel militärischer Nachschub über die Eisenbahn verschoben wurde, gleichzeitig gab es dort eine Fabrik für Lokomotiven und Industrie für Reparatur von Lokomotiven undsoweiter. Weil alles was in der Nähe im Krieg zerschossen wurde, wurde dort repariert. Also waren die Alliierten daran interessiert, diese Werke und die Eisenbahn, den Eisenbahnknotenpunkt stillzulegen durch air raids, was sie dann auch gemacht haben. Und ich kann mich dann als Kind in soweit daran erinnern, denn Bombenabwürfe sind ja nun nicht uberhörbar. Dann war es so, das abends und nachts, wenn die Alarmsirenen gingen, wir natürlich aus dem Bett mussten. Meine Mutter, mein Vater hatten schon immer einen gepackten Koffer da stehen. Und dann sind wir los in, entweder einen Bunker, das war aber kein Bunker der extra errichtet wurde, sondern das war ein Stollen von einer ehemaligen Mangangrube, oder aber wir sind, war auch wir bei also in einen Eisenbahntunnel dann nachts. Und… [dog barking] Dann ist klar das nach Bombenangriffen die Stadt dann brannte und ich kann mich erinnern dass meine Mutter mich auf den Arm nahm, weil ich alleine nicht so aus dem Fenster gucken konnte, schauen konnte, und ich dann gedacht habe das die Sonne rot scheint weil der Himmel rot war, aber in Wirklichkeit war das ja nur der Wiederschein des Feuers aus der Stadt.
Speziel kann ich mich erinnern an den Winter 1944-45, wenn wir Kinder spät nachmittags draußen gespielt haben, und es war blauer Himmel, dann konnten wir die Abschüsse der V2 Raketen sehen, weil in unserer Nähe, war nur ein Paar Kilometer weg von uns, war eine Abschussstation für V2 Raketen und im abendblauen Himmel konnte man schön sehen den Kondenstreifen der Rakete und wenn Brennschluss war, sah man nur noch in der Abendsonne den hellen Punkt weiterfliegen. Die wurden damals aber schon nicht mehr in Richtung England geschossen, sondern Richtung Belgien und Holland, weil sich in dem Bereich die Alliierten schon befanden, nach der Normandie. Und das war natürlich für uns Kinder interessant, weil logischerweise wir das ja nicht so als Krieg empfunden haben, weil wir ja nicht direkt da involved, also beteiligt waren, sondern mehr als, ja eine Art von besonderer Ablenkung aus dem Tagesgeschehen heraus. Und wir sind dann, dass weiss ich noch, 1945, sind wir dann von Zuhause weg, weil so viel gebombt wurde, und sind das, aber nicht allzu weit weg, sind wir in so‘n Dorf gezogen, was für Bombardements kein Interesse war, wo also nichts war, keine Industrien und nichts. Da wo ich zum Anfang wohnte war natürlich viel Industrie und dran war man ja interessiert. Und das direkte Ruhrgebiet, das war ja auch nur 80-90 km weg von mir, damals, so dass wir das alles also mitgekriegt haben. Wo ich mich noch dran erinnern kann war dass, sehr oft, abends, wenn‘s dunkel wurde, dunkel war, wir, ein einzelnes Flugzeug kam, wir nannten ihn den eisernen Gustaf und der machte aber nichts anderes, das war der Pfadfinder, der vor wegflog, und dann die sogenannten, wir sagten Christbaüme, Weinachtsbaüme, gesetzt hat, das war also, sah aus wie ein Riesending mit Leuchtkugeln, das also die ganze Gegend erhelte, und das war wie wir, wie ich dann später erfuhr, als ich älter war, dass das kein Schauspiel war, sondern dass das die Zielmarkierung für die Bomber war. Und auch als Kind haben wir natürlich nicht gewusst, sind das nun Englische Bomber, sind das Amerikanische Bomber oder, für uns waren das einfach nur Bomber.
Nachwirkungen von all diesen Dingen, nach den Krieg, als ich dann selber einigermaßen unterwegs war, also selbststandig war. Wir haben sehr viel aus der Natur gelebt damals, das hieß, wir gingen im Herbst, auch Pilze sammeln undsoweiter, und da haben wir zum Beispiel massenhaft nicht explodierte Brandbomben gefunden, Stabbrandbomben, das waren Fehlwürfe, die also die Stadt nicht erreicht haben, sondern in einem Waldgebiet runtergegangen sind. Das könnte ich Ihnen hier auch, ich habe extra deshalb hier Google Earth angeschmissen. Ich kann Ihnen das mal zeigen wo das war. Ok?
PS: Ach ja, können Sie mir sagen wo Sie eben gelebt haben?
CP: Betzdorf an der Sieg, das ist 90 km nordöstlich von Köln. Köln ist für jeden ‚n Begriff. Da bin ich geboren, aufgewachsen und ich bin 1961 erst nach Jever gekommen hier, durch die Luftwaffe. Sonst habe ich da unten gelebt, in dieser Gegend, dicht, dicht zum Ruhrgebiet. Das ist, was ich Ihnen jetzt erzählt hab, ist alles nichts von Jever hier. Jever war nichts los hier. Die Bomben, das weiß ich von Bekannten, die Bomben die hier gefallen sind, waren alles Notwürfe, dass heißt die sie in Bremen nicht so wie Wellington, die sie in Bremen nicht losgeworden sind wegen Wetter, oder Wilhelmshafen vorbeigeworfen haben die hier, aber meistens im Land hier und wo nichts passiert ist. Aber wie gesagt, zu meiner Zeit, da unten ist sehr viel bombardiert worden, weil ja auch alle Flugzeuge, die Bomber, auch in der Nacht, wenn die zum Ruhrgebiet flogen, flogen die immer über uns weg. Weil wir, halt, aus der Luft betrachtet waren wir direkt vor der Haustür, wenn man so will. Denn aus der Luft betrachtet sind ja 80-100 km keine Entfernung. So, und [pauses] ich weiß allerdings, also eben nicht mein Erleben, das weiß ich auch aus der Erzählung meiner Tante, die dort nach wie vor, als wir mal kurzfristig weggezogen waren wegen der Bombenwürfe, die ist dort geblieben und die hat auch erlebt, wie dann die Amerikaner eingerückt sind dort und wo also gegenüber auf den anderen Hügel noch Deutsche lagen und die sich dann gegenseitig da beschossen haben. Hat’s auch noch ein Paar Tote gegeben, liegen noch drei und auch ein Amerikanischer Leutnant liegt noch bei uns in meiner Heimat noch auf den Friedhof heutzutage. Und das ist aber alles relativ schnell gegangen da denn das waren die letzten Kriegstage wo also, die Alliierten rückten vor und die Deutschen rückten nur immer weiter weg. Das war also nicht mehr weiter viel, wiegesagt. Nach dem Kriege dann [waren] wir als Kinder natürlich sehr interessiert an allem. Wir sind also überall hingelaufen, wo abgeschossene Panzer lagen, wo abgeschossene Flugzeuge lagen, weil das für uns Kinder interessant war sowas. Da sind natürlich überall hinmarschiert. In der vicinity, also in der Nähe da wo wir hinlaufen konnten. Und da gab es für uns natürlich einiges zu sehen, für uns Kinder, wir waren ja neugierig, wie, wo, was ist da. Ja, ich bin auch in dieser Gegend zur Schule gegangen. Bin dann nach der Schule, wie in Deutschland üblich, habe ich ‚ne Lehre gemacht und am Ende dieser Lehrzeit von dreienhalb Jahren bin ich dann zur Luftwaffe gegangen. Und hab dann so die Standardausbildung gemacht bei der Luftwaffe, Flugzeugführerschein, Fluglehrerlehrgang, irgendwann Offiziersschule und also was hier, und hab auch sehr viel Ausbildung in America gemacht, war also sehr oft in Amerika drüben, und bin dann 1993 hier in Jever Airbase auch pensioniert worden. Habe mich aber trotzdem immer weiter mit der Luftwaffe beschäftigt. Der Fliegerhorst Jever hier ist so mein zweites Zuhause. Und so ist das auch gekommen, nachdem ich die ersten Verbindungen mit Jack Waterfall hatte, das ich dann diese Geschichten wieder intensiviert hatte. Ich wusste zwar sehr lange schon, ich wusste, seit Anfang der Sechziger Jahre wusste ich, wo die Wellington abgestürtzt war, weil ich kannte den Förster, den Vor-Vorgänger von Carsten Streufert, den kannte ich auch gut, der hat mir das mal eines Tages gezeigt und damals, 1960, war das ja gerade zehn jahre, zwanzig Jahre her und die Baüme waren dann noch nicht so wie sie dann heute sind, das war alles noch gut sichtbar. Und wir haben dann damals auch schon Einzelteile gesammelt die man so noch oberflächlich fand weil wir in den Neunzehnhundertsechziger Jahren noch nicht die, oder überhaupt, wir hatten überhaupt keinen Metalldetector, oder wie wir sagen Minensuchgerät. Heute haben wir natürlich, ich auch, das modernste Gerät. Wenn ich heute da langgehe, piept es an allen Ecken und Kanten, weil immer noch Blechstücke, Munitionen und allesmögliche im Boden leigt. Denn die damalige Luftwaffe im Dritten Reich hat ja nur oberflächlich abgeraümt, die Grossteile die da rumlagen. Alles andere da hat keiner gesucht, was da an Kleinzeug rumliegt. Und deshalb findet da man das heute noch. Und Ich bin mir sicher, da will ich zunächst auch mal hin, dass man an anderen Stellen auch noch genügend findet. Denn südlich vom Flugplatz, die Wellington die ist ja runtergegangen im Upjeeverschen Forst. Noch weiter südlich sind auch welche abgeschossen worden und um die Stellen denke ich hat sich heute noch gar niemand gekümmert. Es ist auch in Deutschland ein bisschen kompliziert weil man, weil offiziell brauche ich ja jedesmal die Genehmiegung vom Landeigentümer, das ich da überhaupt hin gehen darf und normalerwiese müsste ich noch eine Polizeiliche Genemiegung haben, weil ja immer die Gefahr besteht, Munition zu finden und ähnliches. Die brauche ich aber nicht, weil ich Gottseidank Munitionsfachmann bin durch die Luftwaffe und Sprenglizenzen habe und Feuerwehrlizenz, so das ich das eigen verantwortlich machen kann. Aber am sonsten ist das immer mit Schwierigkeiten verbunden, weil viele Landeigentümer sagen nein sie wollen das nicht, das man auf ihrem Land keine Löcher gräbt zum Beispiel. Ja, [pauses] zum Krieg fallt mir natürlich jetzt im Moment so gar nichts mehr ein.
PS: Sie deuteten vorher… Sie haben mir vorher die Bilder gezeigt von der Gegend um Betzdorf und den anderen Ort. Können sie mir das moment noch einmal wieder ein bisschen erzählen, der Ort wo Sie Pilze…
CP: Ich bin aufgewachsen in einem Ort, der heißt Scheuerfeld. Da haben wir letztens erst 1100 Jahre Bestehen gefeiert. Das ist eigentlich ein ganz besonderer Ort. Das war zu der Zeit da unten als ich geboren wurde noch Gebiet der Freien Männer, so nannte man das, änhlich wie hier in Ostfriesland, deshalb heißen die Ostfriesen ja auch die freien Ostfriesen. Und dieser Ort liegt ungefähr zwei Km von der Stadt Betzdorf weg. So dass das letztendlich, wenn ich das aus der Luft betrachte, eine Einheit ist das ganze. [pauses] Ja wie gesagt, da bin ich halt geboren, aufgewachsen und habe das halt erlebt was ich vorhin nun berichtet habe, aus der Kriegszeit, genau in dieser Gegend da.
PS: Sie hatten mir da auch erzählt warum….. Sie hatten da eben etwas von Scheuerfeld und Betzdorf erzählt in Verbindung mit den Bombardierungen.
CP: Ja, genau. Weil in Betzdorf diese Werke waren, Eismann Ausbesserungswerk, Lokomotivenfabrik, also wo Lokomotiven gebaut wurden, und viele, viel Gerät der Bahn, der Eisenbahn war ja zum Teil nach Bombenangriffen nicht mehr zu reparieren also musste man ja auch noch neue Lokomotiven bauen. Und in Betzdorf war ein grosser Rangierbahnhof, wo also Waren, Kriegsmaterial zu Zügen zusammengestellt wurde, die dann halt irgendwohinn an die Front fuhren, und auch mit Kanonen drauf, Panzer, Munitionen, was weiss ich, und deshalb war Betzdorf für die Alliierten vom Interesse, logischerweise Nachschub abschneiden und halt verhindern das noch, durch Bombardierungen, das noch Lokomotiven gebaut or repariert wurden, undsoweiter. Das war ein Hauptgrund warum dort viel bombardiert wurde.
PS: Sind Sie noch in… haben Sie noch Familie in Betzdorf? Und Scheuerfeld?
CP: Nein, nur Bekannte. Schulfreunde. Meine Familie, meine Eltern sind tot und meine Geschwister wohnen überall nur nicht mehr da. Da wohnen nur noch Freunde, Bekannte, keine, keine Verwandtschaft von mir mehr. Wobei ich, wobei muss ich sagen, ich komme ein Mal im Jahr komme ich dorthin. Ich besuch also, einmal im Jahr besuche ich mein Schulfreund da unten. Ich bin ja auch, wie Sie sehen, Jägersman und mein Schulfreund hat auch ein Jagdgebiet da unten und da fahre ich einmal im Jahr zur Jagd da runter und frische die Jugenderinnerungen auf.
Zum Beispiel, habe ich, ich erzählte ja vorhin das wir im Winter da gesehen haben wenn die V2 flog. Da bin ich inzwischen mal gewesen, wo die abgeschossen wurde und das waren ja zum Teil ganz einfache Abschussgebiete. Da hat man einfach mitten im Wald irgendwo ‚ne Betonplatte gegossen, mehr war das nicht, und der Rest war ja alles in LKWs, die dann drumrum im Wald gut getarnt standen und da bin ich zum Beispiel hin gewesen, ein Ort der heißt Bad Marienberg und dort habe ich dann im Wald auch noch so eine Platte, so ne Abschussrampe, so ‚ne Platte gefunden. Das war Bad Marienberg und eine andere Abschusstellung, die war nicht weit davon, die hieß Hachenburg.
PS: Und das waren die V2.
CP: Ja, das war V2. Das wird auch gut beschrieben in einem Buch, das da heißt “Kriegsschauplatz Westerwald”. Da kommt das drin vor und dann gibt‘s aus dieser Gegend noch ein Buch, das hieß, ich erklär das gleich, “Gefrorene Blitze”. Das stammt aus den Volksmund, das heißt, das haben die Leute so gesagt, wenn die V2 ab einer bestimmten Höhe zog die auch Kondensstreifen und genauso wie bei jetzt von den Jets wenn der Kondenstreifen anfangt zu zerfallen, irgendwann zerfiel der natürlich auch und weil der eine Zeitlang da war und sah aus wie ein Blitz, haben die Leute auf den Land das “Gefrorene Blitze” genannt. Und so heißt auch das Buch. “Gefrorene Blitze” behandelt die V2 Stationen im Westerwald. Und das ist ja direkt an meiner Heimat. Ich bin zwar Rheinland-Pfälzer aber der Westerwald grenzte direkt an meiner Heimat dran.
PS: Hat der Freund den Sie hin und wieder besuchen noch Erinnerungen? Haben Sie je noch darüber gesprochen?
CP: Ja, wir haben vorwiegend nur über Nachkriegsdinge gesprochen. Zum Beispiel, wenn wir im Wald waren und Brandbomben eingesammelt haben und sowas. Aber ob er direkt noch aus den letzten Kriegsjahr oder so noch was weiß, oder das letzte Halbjahr, sagen wir mal 1945 Januar bis Mai, das weiß ich nicht, da musste ich ihn ja fragen, weil wir uns weniger darüber unterhalten haben.
PS: Ich weiss jetzt nicht ob ich das aufgenommen haben. Können Sie mir vielleicht noch Moment von dieser Erfahrung mit den Brandbomben erzählen?
CP: Ja, Wie gesagt, Die Brandbomben steckten, das waren die Sechskantstabe, so lang, die stachen einfach den Waldboden, weil sie nicht explodiert waren. Und wenn wir Kinder im Wald waren zu Pilze suchen oder sonst, haben wir die natürlich gefunden. Und neugierig wie wir waren haben wir natürlich auch welche mitgenommen. Weil das war so. Wir haben in diesen Dingern gar keine Gefahr gesehen, weil diese Sachen alle bei uns in der Schule sehr genau beschrieben waren. In der Schule auf den Fluren überall hingen Plakate, „Hände weg von Fundmunition“, und da waren die einzelnen Sachen, die man finden konnte, waren da alle beschrieben und da waren zum Beispeil die Brandbomben auch beschrieben. Und da ich mich zu der Zeit auch schon, was ich heute noch tue, für alle diese Dinge, Waffen und Kriegsmaterial und Sprengstoff und alles interessiere, habe ich also.. Also die Brandbomben da habe ich natürlich nicht mit vier Jahren gesucht, sonder das war in der Zeit wenn wir schon alleine in den Wald gingen um Pilze zu suchen, da war ich zehn, elf, zwölf Jahre alt. Und da hab ich mich also schon sehr für Munition und Sprengstoff und all sowas interessiert. Und das habe ich natürlich später beim Militär alles ausgebaut das ganze.
PS: Und wenn Sie jetzt zurückdenken an die Kriegszeit, gesehen von heute, welche Eindrücke haben Sie?
CP: Sagen wir mal so. Was störend war, war nachts aufzustehen und in den Bunker zu rennen. Am sonsten, für uns Kinder, war das eine interessante Zeit, weil immer was los war. Und dann, man sah Flugzeuge am Himmel und wusste natürlich als Kind noch nicht genau überhaupt nicht wer ist wer, man wusste nur “die mögen sich nicht” weil da geschossen wurde oben, das hörte man ja unten. Von daher war es seine erlebnisreiche, interessante Zeit. Wie gesagt, mal abgesehen vom Bunkerlaufen nachts und änhlichen. Und was natürlich gestört hat, uns Kinder, gegen Ende des Krieges, Kinder haben ja immer Hunger, und Essen war immer weniger gegen Ende des Krieges. Das hat also eine bischen gestört, dass man vom eigenen Magenknurren, nicht nur von der Sirene wach wurde nachts, sondern auch vom eigenen Magenknurren. Aber am sonsten was tagsüber war und was so geschah um uns drum rum, weil ja außer Bombardements direkt am Boden bei uns zu der Zeit keine Kriegshandlungen waren. War ja nix, das war ja alles in der Luft. Und deshalb war es für uns Kinder immer interessant. [pauses] Meine Schwester, das ist ein Phänomen, das müssten aber Psychologen klaren. Meine Schwester ist im März 1945 geboren, das heißt die war bei Kriegsende drei Monate alt. Und das war die Zeit wo also sehr viel Bombardement war, und sehr viel geschossen wurde in der Luft und und und. Was ich später erlebt habe war, da habe ich mich immer gefragt, wie kann das sein. Wenn wir beim Essen sassen, und es kam in der Küche nur eine Fliege angeflogen, da ist meine Schwester vom Stuhl gesprungen und hat sich unterm Tisch versteckt. Obwohl sie das ja eigentlich gar nicht, sie war drei monate alt als das alles passierte. In wieweit man das ganze Getöse im Mutterleib schon mitkriegt weiss ich nicht. Ich sag dass ist ein Fall für irgendein Psychologen, rausszufinden wie sowas kam. Aber meine Schwester brauchte nur eine Fliege sehen die ankommt, irgendwas was in der Luft fliegt, war die verschwunden, weg.
PS: Jetzt wo Sie seit einigen Jahren die Beziehungen, gute Beziehungen zu den Briten haben, wie sehen Sie das ein bisschen alles, ich meine die Bombenkampagne und, ja?
CP: Ja sagen wir mal so. Nicht nur die Engländer und Amerikaner haben gebombt, wir haben auch gebombt. Also beruhte auf Gegenseitigkeit. Deshalb bin ich auf niemandem gram. Und dann, habe ich auch heute den Standtpunkt dass die Welt noch wesentlich besser sein könnte, wenn wir keine Politiker hatten. Denn sehr viele Politiker sind ja Schuld an manch einem Desaster. Und wie man ja jetzt auch sieht in unseren Beziehungen mit den Verwandten der ehemaligen Besatzung und und und, Leute unter sich vertragen sich in der Regel immer gut. Das ist überhaupt kein Thema und ich hätte auch keinen Groll gegen irgendjemandem, was weil das ist halt Krieg. Da fürt nicht nur einer Krieg, sondern da führt auch der andere Krieg. Und da muss man halt rechnen, damit rechnen dass es da Tote und Verletzte gibt, und und und. Nur also ich stehe dem ganzen, und das war auch in der Zeit wo ich in Amerika war, eigentlich positiv gegenüber, weil ich mir sage, die Leute unter sich vertragen sich in der Regel immer gut. Irgendwelche die dann, da gibt es ja ein spezieles Wort für in Deutschland, Scharfmacher, Leute die also solange hetzen, aufhetzen bis der nächste meint er muss mal zum Gewehr greifen. Also ich will das was wir hier machen und deshalb wollen wir das auch für die Zukunft weiter aufrechterhalten. Da bin ich auch mit Jack einig, wir können uns naturlich, alleine schon aus Kostengründen, nicht jedes Jahr treffen hier. Aber wir werden das ganze am Leben erhalten und vielleicht haben ich ja noch die Gelegenheit, wenn meine Gesundheit mir keinen Strich durch die Rechnung macht, noch irgenwelche anderen Absturtzstellen zu erkunden hier und vielleicht noch Kontakt zu anderen Leuten bekommen in England. Denn die Zeit drängt ja. Wir als Zeitzeugen sterben aus und die Englischen Zeitzeugen sterben genauso aus, so dass man irgendwann keinen mehr hat mit dem man über diese Dinge reden kann, den man, weil halt niemand mehr da ist. [pauses] Und Ich habe leider, leider auch in meiner Heimat da unten, wie gesagt, ausser mein Schulkameraden, auch niemanden mehr der so alt ist, dass er mir berichten könnte, den der müsste ja so wie Heino, 94 sein. Und, Ja und ich selber bin auch 75 und viele von meinen Bekannten da unten leben schon gar nicht mehr. Mein Schulfreund, auch 75, Paar noch drum rum, aber es gibt natürlich auch welche die sich im ganzen Leben für sowas gar nicht interessiert haben, die wissen auch nix zu erzählen weil sie das nicht interessiert hat. Und wir wie gesagt, wir haben früher, als Kinder, alles was mit Militär zu tun hatte, was wir gefunden haben im Wald, haben wir mitgenommen, haben wir gesammelt, zum Leidwesen meiner Eltern, den die mochten ja auch keinen Sprengstoff und keine Bomben im Haus haben. Aber ich hatte, wie das früher auch im Land so war, wir hatten neben dem Haus ein Hühnerstall, und änhliches, da immer alles versteckt. Aber wie gesagt, kenne ich leider niemandem da unten der also älter ist und der sagen könnte “Ja, ich habe noch das und das erlebt”.
PS: Wissen Sie von mehreren anderen Absturtzstellen hier in der Gegend?
CP: Ja es müssen noch zwei in der Nähe vom Ems-Jade-Kanal liegen und im Bereich Wilhelmshaven müssen noch welche sein, wo ich aber nicht auf‘m Meter genau kenne, wäre aber herauszufinden.
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Title
A name given to the resource
Interview with Charly Pfeifer
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Peter Schulze
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Charly Pfeifer recounts his experiences of the bombing of Betzdorf an der Sieg, a small town not far from the Ruhr. He explains the strategic importance of the city, due to the presence of locomotive works. He recounts taking shelter from the bombs in a former manganese mine. He remembers the time as a child, when he used to go into the forest looking for mushrooms and finding incendiary devices. He tells that he wasn’t afraid of these objects because at school there were posters with detailed descriptions of the ordnance. He happened to find V-2 ramps hidden in the forest. He explains how it was a very interesting time for children because there was always something happening. The most annoying aspect, he remarks, was being woken up, not only by the air alarm, but also by the rumbling of his own tummy. He recounts seeing Pathfinder aircraft, which they as children used to call 'The Iron Gustav' and when it dropped the target indicators, which they called 'Christmas trees'. He tells about his sister’s weird and unexplainable behaviour. Although she was only three months old at the time of end of the war, later on whenever there was a fly coming into the kitchen, she jumped down from her chair and quickly hid under the table.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-06-27
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Language
A language of the resource
deu
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Germany--Betzdorf
Germany
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:35:31 audio recording
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
APfeiferKW160627
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
bombing
childhood in wartime
civil defence
home front
incendiary device
Pathfinders
target indicator
V-2
V-weapon
Window
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/21/318/Memoro 15299.1.mp3
a3d7e0e8ce8a84c32b431bc99473fbce
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Memoro. Die Bank der Erinnerungen
Description
An account of the resource
18 items. The collection consists of interviews with German bombing survivors originally videotaped by Memoro, an international non-profit project and open archive of audio or video interviews of people born before 1950. The IBCC Digital Archive would like to express its gratitude to Nikolai Schulz (Memoro - Die Bank der Erinnerungen e.V) for granting permission to reproduce and transcribe the testimonies. To see them in their original video form please visit www.memoro.org/de-de/.
The collection was catalogued by IBCC staff
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Memoro. Die Bank der Erinnerungen
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
IS: Mein Name ist Irmgard Schulz, früher hieß ich mal Niemeyer, bin in Hamburh geboren, in Hamburh aufgewachsen. 1943 während der schweren Angriffe wurde meine Mutter mit uns Kindern evakuiert aus Hamburh raus kurz vor der ganz grossen Katastrophe hier. Wir kamen zunächst in die Niederlausitz, es war ja Sommer, war für uns Kinder sehr schön. Wir wurden auf’n Leiterwagen abgeholt am Bahnhof, fuhren durch Felder, das war für ein Stadtkind also ein Erlebnis, war sehr schön. Dann gewohnt haben wir dort auf einem Zimmer, mit meiner Mutter, drei Kinder, bei einem Pastoren im Haus. Meine Mutter war schwanger, ich weiss nicht ob das jetzt so gut ist [laughs] das zu erzählen, und im Garten wucksen Tomaten, das vergess ich nie als Kind, ein grosses Bet Tomaten, meine Mutter hatte so ein Apetit darauf und ist einmal runtergeschlichen und hat sich ein, zwei Tomaten geholt, ich weiss es nicht mehr. Es gab eine Riesentheater mit dem Pastor.
NCCS: Die waren also abgezählt sozusagen, oder?
IS: [unclear] Es gab da ein Klohaüschen auch in diesen Garten und wir Kinder gingen an die, da waren so rankende Weintrauben am Haus, wilde Weintrauben, die hatten wir gleich noch essen können, weil die Folgen waren nicht so gut. Ja, aber für Stadtkinder es war naturlich was. Von dort nach einem Vierteljahr sind wir dann nachdem wir hörten meine Großeltern waren ausgebombt inzwischen, Schwester meiner Mutter mit ihrem Mann auch, die waren in die Altmark hatte es die verschlagen, in ein Dorf namens Milchau [?]. Dann sind wir da, wie wir dahingekommen sind erinnere ich mich nicht, sind wir dorthin gefahren, meine Mutter mit uns Kindern, wir wohnten dann da in einem kleinen Tagelöhnerhaüschen, nannte sich das, mit meinen Grosseltern zusammen, kleines Haüschen mit kleinen Zimmern und meine Tante und Onkel wohnten bei einem anderen Bauern. Das war für uns Kindern soweit ganz schön, ungewohnt, mit Gänsen die hinter uns her liefen, und Teiche mit Entengrüzze in die man dann auch mal rein rutschte aber es war also… Es gab eine Wiese mit Himmelschlüsselchen, das ist bis heute noch meine Lieblingsblume, die ist ja als Blume des Jahres gewahlt worden, noch [unclear] für Loki Schmidt. Und ja, als dann die Amerikaner kamen mit ihren Panzern, hat mein Grossvater [unclear] Angst gehabt hinter’m Haüschen, wir hatten auch einen Garten dabei, mit’n Apfelbaum und mit Blumen, war sehr schön, und Misthaufen und wir hatten dann ein Paar Hühner, ein Schaaf, was mein Vater irgendwann im Urlaub auf’n Fahrrad mitbrachte, junges Schaaf hinten im Kasten, also es war so’n bisschen ländlich alles war sehr schön. Und als die Amerikaner kamen grub mein Grossvater, hinter dem Haüschen war ein kleiner Wald, ein ganz tiefes Loch im Erdboden im Wald und da haben wir uns erstmal alle versteckt als die Panzer dann reinfuhren in dieses Dorf. Na ja, dann kamen vorsichtig wieder raus aus diesem Loch, das das nicht zusammengebrochen war, überhaupt nicht abgestützt war, soweit ich das erinnere. Und die Amerikaner, es wohnten welche in einem, das Haus hatten die glaub ich beschlagnahmt, oberen Stockwerk und wir Kinder sind dann im grossen Bogen naturlich irgendwann, wir waren ja neugierig, da mal rum und sahen also das erste mal ‘n Farbigen Soldaten, die haben uns dann Bonbons runtergeworfen und so, aber wir durften, es wurde uns gesagt nichts annehmen, nichts aufsammeln, das ist uns in hier in Hamburh ja schon erzählt worden wahrend des Krieges weil wenn die [unclear] Tannenbaüme da runterraschelten und was. Ach so, dazu muss ich vielleicht sagen, wir wohnten im Angesicht der Speicherstadt, also mit Blick auf den Hafen, neben der Katherinenkirche. Und dieser Hafen wurde ja bevorzugt bombardiert und da kam also diese Tannenbaüme runter, ich meine die sollten das Radar abdecken [?] oder was so und da war uns schon erzählt worden nichts aufsammeln, alles ist giftig. Wir machten also auch um diese Bonbons ‘n grossen Bogen, zunächst jedenfalls, ich weiss nicht ob wir sie später aufgesammelt haben.
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Title
A name given to the resource
Interview with Irmgard Schulz
Description
An account of the resource
Irmgard Schulz (b. 1935) describes how the harbour of Hamburg was a recurring target during the war. Mentions the use of target indicators and radar countermeasures. Explains how she was been told not to pick up anything, for fear it could be poisoned. Recollects the evacuation to Lower Lusatia and then to the Altmark. Describes life in the countryside and remembers hiding in a deep hole dug by her grandfather when the Americans entered the town with their tanks. Mentions black soldiers giving them sweets, which they had been told not to accept.
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:05:09 audio recording
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Memoro#15299
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Germany
Germany--Hamburg
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1943
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content has been originally published on Memoro – Die Bank der Erinnerungen, which has kindly granted the International Bomber Command Centre Digital Archive a royalty-free permission to publish it as an audio track. To see it in its original video form and read the terms and conditions of use, please visit www.memoro.org and then click on the link to the German section. Please note that it was recorded by a third-party organisation which used technical specifications and operational protocols that may differ from those used by International Bomber Command Centre Digital Archive. It has been published here ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre.
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Language
A language of the resource
deu
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Civilian
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Memoro. Die Bank der Erinnerungen
Type
The nature or genre of the resource
Sound
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An entity primarily responsible for making the resource
Nikolai C C Schulz
License
A legal document giving official permission to do something with the resource.
Royalty-free permission to publish
African heritage
bombing
childhood in wartime
evacuation
fear
home front
radar
target indicator
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/21/316/Memoro 14586.1.mp3
ad4056524d8abf6a4e1b2d27975396f8
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Title
A name given to the resource
Memoro. Die Bank der Erinnerungen
Description
An account of the resource
18 items. The collection consists of interviews with German bombing survivors originally videotaped by Memoro, an international non-profit project and open archive of audio or video interviews of people born before 1950. The IBCC Digital Archive would like to express its gratitude to Nikolai Schulz (Memoro - Die Bank der Erinnerungen e.V) for granting permission to reproduce and transcribe the testimonies. To see them in their original video form please visit www.memoro.org/de-de/.
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Memoro. Die Bank der Erinnerungen
Transcribed audio recording
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Text transcribed from audio recording or document
GS: Na ja, und dann war ich halt bei meiner Tante in Eberbach, bin dort in die Schule gegangen, in Ferien natürlich wieder gern zurück zu meiner Mutter und da habe ich halt immer des Pech gehabt das ich alle grosse Luftangriffe mitgemacht hab, ja. Und da kam noch dazu während des Krieges konnte man ab der dritten Klasse schon praktisch also damals in die höhere Schule gehen. Da hat meine Mutter des packst du also gehst gleich von der dritte Klasse ab.
NCCS: Gleich übersprungen.
GS: Sagte da hast’n Jahr gewonnen. Ich muss sagen, ich war so’n Nachkömmling und hatte sehr alte Eltern. Und des ging dann alles schön und gut aber meine, ich war Jahrgang ’29 und meine Klasse war ’27-’28 Jahrgang und die mußten arbeiten dann in den Ferien, drei Wochen beim Bauer und so, na ich musste dann halt auch. Dann wurde man eingeteilt, dan bin ich von Eberbach drei Kilometer zu nächste Dorf gelaufe, hab dann dort beim Bauer gearbeitet aber jetzt als Stadtkind [pauses] sollte man Kartoffel hacken oder Rüben hacken auf’m Feld, man hatte keine Ahnung.
NCCS: Und es war körperlich anstrengend.
GS: Ja, es war körperlich anstrengend aber man hat versucht und dann wurde man verschimpt wenn man ‘ne Rübe ang’hackt hat. Und dann einmal mußten wir auch Heu machen, war ich dabei, hatte keine Ahnung von Heu, man hat’s alles in der Wochenschau g’sehn wenn die mit’n Wagen so gefahren sind, die saßen oben drauf haben gesungen und so. Und Von Heumachen ich hatte keine Ahnung und hatte, es war Hochsommer, nur ein Sporthemd an und eine Sporthose. Und hatte dann einen Sonnenbrand ganz dicke Blasen auf de Schulter überall. Dann kam ich nach Hause zu meiner Tante, kam meine Kusine die war ein bisschen älter wie ich hat “oh des sitzt so schon” hat mir auf die Blase draufgedrückt, da ist die aufg’sprunge, es war grauenhaft, ich lag dann mit Schüttelfrost im Bett und, man hat das alles überstanden da aber das war schon schlimm.
NCCS: Harte Zeit.
GS: Ja. Na ja und dann war der Krieg vorbei und dann ging’s halt weiter mit der Schule und ich muss sagen wir waren dann alle die dann weitergemacht haben bis zum Abitur waren dann ja in Eberbach es war eine wunderschöne Schulzeit. Wir haben uns dann sehr gut verstanden und haben uns gegenseitig geholfen, wir hatten ja keine Bücher, kaum Papier, nix. Also wir haben dann auch gemeinsam gearbeitet, es war eine wunderschone Schulzeit dann bis zum Abi und wir treffen uns heut noch, die letzten.
NCCS: Ein schöner Gemeinschaftsgeist.
GS: Ja ja.
NCCS: Kein Egoismus.
GS: Nein nein nein. Weil ja wo eben jeder ein Buch oder was gehabt hat, von älteren Brüdern, das wurde dann von allen benutzt oder gemeinsam benutzt das wir alle zusammen eben gearbeitet haben. Und des is, treffen wir uns heute noch, der Rest der noch da ist, der kleine kleine Rest. Aber ich muss sagen auch die ganzen Klassenkameraden dann die waren alle mutterteil als Soldaten im Krieg, die haben fürchterliches erlebt aber es wurde alles verdrängt, es wurde nie drüber gesprochen. [unclear] haben wir’s gesagt wir müssen des verdrängen oder wir haben des verdrängt sonst könnten wir gar net weitermachen.
NCCS: Ganz grosses Thema diese Verdrängung weil man dann ja nicht aufarbeitet.
GS: Man kann’s net aufarbeiten. Man muss es verdrängen [pauses] den wenn’s dann sehn wenn die Leute dann umkommen durch die Bomben und sie sehen die Toten und alles des muss man verdränge, des geht net anders. Wenn ma weitermachen will. Es gab ja auch keine wie heut wenn irgend was is heut sind die Psychologen da die des alles aufarbeiten. Da hatte ja mit jedem arbeiten praktisch müssen, alt und jung, des gab’s halt net. Es wurde verdrängt. Anders, anders anders ging’s gar net. Es waren die schlechten Zeiten aber dann später nach dem Krieg ging’s halt aufwärts, da hatt man dann auch viel schönes dann, man war mit wenig zufrieden und hatt dann auch viel Schönes erlebt, es war halt dann schon eine Gemeinschaft da und..
NCCS: Der Optimismus kam zurück.
GS: Bitte?
NCCS: Die Menschen waren optimistisch.
GS: Ja ja ja.
NCCS: Wir haben dann teilweise die Jugend nachgeholt.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Gisela Schäfer
Description
An account of the resource
Gisela Schäfer (b. 1929) remembers her youth in Eberbach as schoolgirl. Stressed how unlucky she was, having experienced all major bombings in the area. Remembers spending her school holidays as farmhand and emphasises how it was physically strenuous for a city girl who also had no clue of the various tasks. Emphasises the happy time she spent at school after the war, and the long lasting friendships she built with her classmates. Stresses how wartime memories have been repressed because of the impossibility to deal with them.
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:06:04 audio recording
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Memoro#14586
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Germany
Germany--Eberbach
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content has been originally published on Memoro – Die Bank der Erinnerungen, which has kindly granted the International Bomber Command Centre Digital Archive a royalty-free permission to publish it as an audio track. To see it in its original video form and read the terms and conditions of use, please visit www.memoro.org and then click on the link to the German section. Please note that it was recorded by a third-party organisation which used technical specifications and operational protocols that may differ from those used by International Bomber Command Centre Digital Archive. It has been published here ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre.
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Language
A language of the resource
deu
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Memoro. Die Bank der Erinnerungen
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Nikolai C C Schulz
License
A legal document giving official permission to do something with the resource.
Royalty-free permission to publish
bombing
childhood in wartime
home front
perception of bombing war
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/21/220/Memoro 14606.1.mp3
8d3e1cbd9bae99ffee21d313eaaaa8d8
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Memoro. Die Bank der Erinnerungen
Description
An account of the resource
18 items. The collection consists of interviews with German bombing survivors originally videotaped by Memoro, an international non-profit project and open archive of audio or video interviews of people born before 1950. The IBCC Digital Archive would like to express its gratitude to Nikolai Schulz (Memoro - Die Bank der Erinnerungen e.V) for granting permission to reproduce and transcribe the testimonies. To see them in their original video form please visit www.memoro.org/de-de/.
The collection was catalogued by IBCC staff
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Memoro. Die Bank der Erinnerungen
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
EB: Ja, und dann ist, dann kam also, die Russen kamen immer näher, und das wurde aber in dem Deutschen Rundfunk nicht erwähnt, und das die im Grunde schon vor den Toren von Berlin standen, das wusste man im Prinzip auch nicht. Man hörte aber das Radio ab, der Westliche, sogenannte Westliche Rundfunk der kam aus Frankreich und da hatten meine Mutter und ich erfahren das die Russen vor der Tür stehen. Dann wurde unser Haus schwer beschädigt durch [part missing in the original file] jede Nacht Fliegeralarm, jede Nacht, das letzte Jahr in Berlin das war scheusslich, aber das war bei euch auch schlimm nicht, war auch viel Bombardement. Ja, Und dann, wir konnten das Haus nicht mehr bewohnen und dann gab’s die Wahl, entweder hier bleiben, die Russen erwarten mit allen Schwierigkeiten oder weg. Na ja, und dann sind wir das vom Südharz hatte mein Vater entfernte Verwandte und zu denen waren [unclear] zu nächst geflohen aus Berlin weil wie gesagt, wir hatten kein Dach mehr über dem Kopf. Zum Schluss waren nachts bombardierten die Amerikaner und die Engländer tags, also das weiss ich nicht mehr, jedenfalls wurde Tag und Nacht bombardiert. [pauses] Und da fanden wir da haben ich meinen Hund unter’n Arm genommen, neben meiner Mutter das einzige beliebteste Stück und wir sind in den Südharz. Aber ich war, ich hatte keine Angst absolut nicht, das war also erstaunlich. Und ich sagte, Mutti, wir haben da die Schreibmaschine in Berlin, also das ist so wertvoll, es gab doch keine Schreibmaschinen zu kaufen, und ich muss sie doch holen. Und meine Mutter mochte das gar nicht aber ich hab’s gemacht. Da bin ich und im Südharz nach zehn Stunden bin ich angekommen. Alle halbe Stunde kamen die Tiefflieger [makes a wooshing sound] und dann die Paar Mitreisenden, die meissten Leute trauten sich ja gar nicht mehr [pauses] nach Berlin [unclear] wieder zu fahren ich habe dann also diese Schreibmaschine geholt und dann war alle halbe Stunde wurde schwer geschossen mit Maschinengewehren vom Flugzeug aus das waren die Alliierten, entweder die Amerikaner oder die Engländer [clears throat].
NCCS: Engländer.
EB: Bitte?
NCCS: Engländer.
EB: Ja, und dann wohnten wir bei Frau Zwiebelkorn [smiles] den das Haus der Verwandten war auch zerstört, da wurde auch schwer bombardiert, weil da eine Munitionsfabrik in der Nähe war. [pauses] Ja, und habe einfach die Sache abgewartet, war nicht schön, nicht, man wusste, man wusste nur na ja, also die Russen stehen vor der Tür, und auf der anderen Seite sind die Amerikaner, wann werden die zusammenstoßen und wie ist das für uns.
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Title
A name given to the resource
Interview with Eva Brossmer
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Memoro. Die Bank der Erinnerungen
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:04:29 audio recording
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Memoro#14606
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Germany
Germany--Berlin
Description
An account of the resource
Eva Brossmer (b. 1925) remembers the incessant bombing of Berlin by the Allied and explains how she and her mother fled to Südharz trying to avoid the advancing Russians. Explains how German broadcasts did not mention their advance and how she heard the news from French radio stations. Narrates her journey back to Berlin to fetch her typewriter and stresses how it was interrupted by repeated strafing.
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content has been originally published on Memoro – Die Bank der Erinnerungen, which has kindly granted the International Bomber Command Centre Digital Archive a royalty-free permission to publish it as an audio track. To see it in its original video form and read the terms and conditions of use, please visit www.memoro.org and then click on the link to the German section. Please note that it was recorded by a third-party organisation which used technical specifications and operational protocols that may differ from those used by International Bomber Command Centre Digital Archive. It has been published here ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre.
Language
A language of the resource
deu
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1945
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Nikolai C C Schulz
License
A legal document giving official permission to do something with the resource.
Royalty-free permission to publish
bombing
home front
strafing
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/21/49/Memoro 10169.1.mp3
fab50146aa4a614d17bcaebd9df4dd67
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Memoro. Die Bank der Erinnerungen
Description
An account of the resource
18 items. The collection consists of interviews with German bombing survivors originally videotaped by Memoro, an international non-profit project and open archive of audio or video interviews of people born before 1950. The IBCC Digital Archive would like to express its gratitude to Nikolai Schulz (Memoro - Die Bank der Erinnerungen e.V) for granting permission to reproduce and transcribe the testimonies. To see them in their original video form please visit www.memoro.org/de-de/.
The collection was catalogued by IBCC staff
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IBCC Digital Archive
Memoro. Die Bank der Erinnerungen
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
Agnes Stocker: 5. März 1945, hiess es, die Russen werden, kommen näher und wollten die Insel einnehmen. Sie kamen aber momentan nicht über die Dievenow und wir wurden gezwungen, am 5. März alle die Stadt zu verlassen. Wir waren, wurden also evakuiert, mussten uns eine andere Bleibe suchen. Und dann sind wir am 5. März abends auf die Chaussee; und es waren ungefähr bis Swinemünde, bis zum nächsten großen Hindernis, das war die Peene, die wir überqueren müssten, nein die Swine, Entschuldigung, die Swine, die wir überqueren mussten, und die wurde nur mit Schiffen, mit Booten konnten wir übersetzen, dass dauerte natürlich. Und da ist die Stadt, praktisch also wir haben glaub ich nur einen Kilometer in einer Stunde fahren können, war vollkommen verstopft. Und da hat meine Mutter gesagt, nein, sie hat einen Bruder in Kalkofen, das war auf der Strecke, da sind wir abgebogen, dass heisst nicht mit dem Treck, den wollten wir ja mitnehmen, damit ist mein Burder, eine Cousine und meine Schwester, sind bei dem Treck geblieben, wir hatten einen Treck uns gemacht, wo wir auch noch meinen Grossvater mitgenommen haben, der lebte bei seinem Sohn in Hagen. Und ja der ist mit uns dann nach Kalkofen und da hat mein Onkel dafür gesorgt, dass wir mit Booten über das Haff rausfahren konnten nach Ueckermünde. Und in Ueckermünde waren dann wir erst mal ein paar Tage in Kalkofen und dann sind wir rausgekommen und dann haben wir in Ueckermünde auf ein Schiff gewartet damit es, damit wir weiterhin übersetzen konnten, wir wollten nach Neukalen in Mecklenburg. Und das war ein Ort, wo meine Tante aufgewachsen ist und die hatte dort Verwandte und das war unser Ziel. Und am zwölften März war der grosse Angriff auf Swinemünde. Ein grosser Bombenangriff auf Swinemünde Mittags um zwölf. Und da ist, nach den Bombenangriffen, und meine Schwester, also unsere Schwester, und unser Bruder und diese Cousine waren zu der Zeit gerade in Swinemünde. Die sind übergesetzt, die haben so lange gebraucht und die waren gerade in Swinemünde. Und meine Mutter, meine Tante und ich, wir haben in Ueckermünde, das ist Luftlinien-mäßig vielleicht zehn Kilometer weg, und da haben wir das alles mit ansehen müssen, wie viele Bomben gefallen sind undosweiter, und wie die Tiefflieger angekommen sind. Jedenfalls haben wir gedacht das gibt es nicht, das wir, das die drei wenn sie noch in Swinemünde wären, mit den Treck rauskommen. Meine Mutter war restlos fertig, Tante Emi war restlos fertig und ich auch, das haben wir unmittelbar mitterlebt. Die Toten die es dann gab, da ist extra ein Friedhof, das ist der Golm gewesen, also ist auch heute noch der Golm, so eine kleine Bergkupel und da sind, ist ein Friedhof eingerichtet worden, und der war, der ist mit 25000 Toten. Man sprach immer von Dresden, glaub ich, der grösste Luftangriff, aber da waren es noch mehr, so viele Menschen gestorben, die man nicht registriert hat, durch die Flüchtligen, die per Booten über die Ostsee von oben, von der ganzen Küste angekommen sind und, ja, das waren 25000 Tote. Und wir haben dann noch gewartet, ätliche Tage, und auf einmal standen alle drei gesund vor uns, und der Wagen war auch unbeschädigt und die zwei Pferde waren auch unbeschädigt. Sie haben so ein grosses Glück gehabt und sind gut angekommen in Neukalen. Aber da haben wir nur eine Weile gelebt. Wir sind da untergekommen bei Verwandten undsoweiter. Und dann hiess es, die Russen sind über die Dievenow und in Anmarsch. Mussten wir also wieder weg, wir wollten also gen Westen.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Agnes Stocker
Description
An account of the resource
Agnes Stocker (b. 1932) recounts her evacuation from her hometown and the journey to Ueckermünde. Agnes tells how she get separated from her sister, her brother and her cousin (who followed the road to Swinemünde), while she, her mother and her aunt first took refuge at Kalkofen and then took a boat to Ueckermünde. Describes the Swinemünde bombing as seen from Ueckermünde - recalls aircraft strafing, emphasises 25000 casualties and compares this operation to the bombing of Dresden. Agnes explains how the high death toll was due to the number of refugees who had fled from the East coast of the Baltic Sea by boat. She recalls how her sister, her brother and her cousin were caught in the city under attack, her anguish at not knowing their fate, and her relief when she eventually reunites with them.
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2013-11-06
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:06:06 audio recording
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Memoro#10169
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Poland
Germany
Poland--Świnoujście
Germany--Dresden
Germany--Ueckermünde
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1945-03-05
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Memoro. Die Bank der Erinnerungen
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Peter Schulze
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deu
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Type
The nature or genre of the resource
Sound
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The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Creator
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Nikolai C C Schulz
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Royalty-free permission to publish
bombing
childhood in wartime
displaced person
evacuation
home front
strafing
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/21/46/MemoroDE 14947.1.mp3
b9a1d1a023b500101b49561eb5b9c0a9
Dublin Core
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Memoro. Die Bank der Erinnerungen
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IBCC Digital Archive
Memoro. Die Bank der Erinnerungen
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
Am 7, am 7. Oktober wurde ja Dresden ‘s erste Mal bombardiert, und ich hatte eigenartige Weise an dem Tag irgendwie Angst und meine Mutti sagte “ach ich schäle jetzt noch Kartoffeln weil wenn Vollalarm, nach’m Vollalarm können wir ja wieder hoch”. Und ich ging da mit meinem Bruder runter und traf unten einen Jungen aus unserem Haus, der genauso alt war wie ich, also zehn Jahre, und sagte, “Du geh doch bitte mit in Keller, ich hab heute irgendwie so Angst”, und da sagte er “nein das darf ich nicht, ich muss zu meiner Oma und zu meinem kleinen Baby Schwesterchen” und ich hab wirklich gekämpf, wie um sein Leben, “bitte geh doch mit und so weiter, dann lass Dich halt mal von Deiner Oma schimpfen, aber Du gehst jetzt mit”, “nein, ich darf des nicht”. Und der Junge ist dann leider auch ums Leben gekommen, weil er hinterher mir dann Vorwürfe gemacht hat, hätte ich ihn mir dort fester angehalten. Als dann dieser fürchterliche Brand, ne Sprengbombe war’s, in die vierstöckingen Haüser runterkam, war erstensmal ein fürcherlicher Staub, trotzdem kam Staub rein, und dann hiess es, also über den Schutthaufen können wir nicht gehen, vor allem nicht wir Kinder, da gab’s Durch, einen Durchbruch, aus Ziegelsteinen nehme ich an, und da war, war daneben gestanden eine Riesen Wanne, das musste immer der Schutz, dass musste der Schutzwart musste immer hinstellen mit frischem Wasser, und Hacken [?] und Beile zum durchschlagen, und wir mussten auch alle immer ein [sic] Bademantel dabei haben, oder ein Handtuch, damit wir dann den Staub weghalten konnten von unserer [sic] Mund und Nase. Und dann sind wir durch den Durchbruch, es war also ganz komisches Gefühl, in ‘ne fremdes Haus und dann noch einmal durch in Durchbruch und dann kam man auf eine ganz anderen Strassenseite, kam man dann raus und wir liefen dann nach Dresden Neustadt und meine Mutti hatte den Bademantel an und ich hab mich geschämt und sagte “zieh doch den Mantel aus, was sollen den die Leute denken am, am, am Sonnabend Mittags mit Bademantel” und meine Mutti sagte “ist mir alles gleich, Hauptsache weg, Hauptsache weg von Dresden”. Und, und ganz eigenartig ist, was ich auch noch manchmal überleg, meine Enkelin, die ist auch am 7. Oktober geboren, 1990, und da dachte ich mir, eigentlich, wenn’s, wenn’s nach meiner Mutti gegangen wär, waren wir ja gar nicht in Keller, wäre ich eigentlich auch da gestorben, am 7. Oktober. Und da haben wir eben erst vor kurzem wieder debattiert, eigenartig, 7. Oktober.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Gerda Gentner
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Germany
Germany--Dresden
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1944-10-07
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:03:08 audio recording
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Memoro#14947
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Memoro. Die Bank der Erinnerungen
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content has been originally published on Memoro – Die Bank der Erinnerungen, which has kindly granted the International Bomber Command Centre Digital Archive a royalty-free permission to publish it as an audio track. To see it in its original video form and read the terms and conditions of use, please visit www.memoro.org and then click on the link to the German section. Please note that it was recorded by a third-party organisation which used technical specifications and operational protocols that may differ from those used by International Bomber Command Centre Digital Archive. It has been published here ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre.
Language
A language of the resource
deu
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Description
An account of the resource
Gerda Gentner (b. 1934) recalls the first bombing of Dresden on 7 October 1944. Gerda describes how she unsuccessfully tried to persuade a young boy to take shelter with her in the basement and reminisces her feeling when she knew that he had died as result of his determination not to abandon his grandmother. Recollects the explosion of a bomb which shattered the house and describes how she and his mother emerged in city changed beyond recognition, still wrapped in bath robes used to protect from dust. Emphasises the coincidence of her granddaughter being born the same day.
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Nikolai C C Schulz
License
A legal document giving official permission to do something with the resource.
Royalty-free permission to publish
bombing
childhood in wartime
civil defence
home front
shelter
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/718/10113/ABoocockR170406.1.mp3
5648acd3c120cc0d941adb8b4752e30e
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Boocock, Robert
R Boocock
Description
An account of the resource
An oral history interview with Bob Boocock. He trained as a wireless operator and was posted to the Far East with 242 Squadron. He became a prisoner of war at Changi and in Japan.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-04-06
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Boocock, R
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
MC: This interview is being conducted on behalf of the International Bomber Command Centre on Thursday, the 6th of April 2017. The interviewer, interviewee is Robert Boocock, the interviewer is Mike Connock. The interview is being carried out at the home of Mrs Flora Winter at Brant Broughton. Mrs Winter is also in attendance at the interview. Ok, Bob, thanks for agreeing for this interview. What I’d like to do is just explain a bit about where you were born, when and where you were born. When were you born?
RB: 7th of January 1919, isn’t it?
MC: Alright, and whereabouts was that? Where were you born?
RB: [unclear], oh, and where was I born? Newcastle upon Tyne
MC: And you went to school there?
RB: No, my father got a job down in the city of York
MC: And what did your father do?
RB: He operated machines, we had an aeroplane factory in the centre of York, would you believe? Going back a long time and my father worked there and he was a tool maker and that was a small place, a small factory
MC: But that’s where you went to school
RB: But it’s gone now
MC: Yeah, yeah, yeah
RB: It no longer exists.
MC: You went to school in York then, did you?
RB: Yes, I did.
MC: Yeah. You enjoyed your school days? Did you enjoy your school days?
RB: Well, it’s a long time ago. [laughs]
MC: And what, when did you leave school? At what age were you when you left school?
RB: Where?
MC: What age did you leave school?
RB: I left school at, my, it was called the Knavesmire higher grade school when I left that when I was fifteen and I did another year at the York school of commerce which was in, do you know York at all?
MC: No.
RB: Which was in Clifford Street. And I went there for a year and when I was fifteen, I got a job.
MC: And what was that? Doing what?
RB: Well, I’m trying to remember, the first job I had was a part-time one and I was still at school and did you know that I delivered lady’s hats?
FW: Yes, I did, I did [laughs]. [unclear]
RB: And I had a bicycle with a pannier rack and the bag of things were in the front and I got to know York very well, I mean, I’ve forgotten a lot of it now and it’s grown.
MC: So when, at what stage, what, how did you come to join the Air Force? What step, what age?
RB: I was conscripted.
MC: You were conscripted, yes.
RB: And I joined in February, war started in September
MC: ’39, yeah.
RB: And I joined the Air Force, I put my name down for the Air Force and I was called up by the RAF in the following February, that’ll be 1940
MC: So, you’d been in your early twenties then, were you?
RB: Been what?
MC: How old would you be? Nineteen?
RB: Be about sixteen, I suppose.
MC: No
FW: Getting a bit lost here, I think. 1940 you would’ve been twenty-one.
MC: Thank you Flora. Yeah, that’s fine. Yes, so and where did you first when you joined the Air Force, what was your first posting or training, basic training?
RB: Do you have the sheet of paper with all details, Flora?
US: I don’t know, I’m not sure what you’re, I knew you got it somewhere.
RB: I think I have.
MC: You were on the training for a long time?
RB: I went down to London and I went to the Central Telegraph Office which was near St Paul’s and learned the Morse code [laughs]
MC: So, did you get a choice of being, becoming a wireless operator? Did you get a choice of becoming a wireless operator, did they give, or just tell you that you were going to be a wireless operator?
RB: Just a wireless operator, I volunteered for flying duties but there was a great shortage of training facilities in the early days of the war and I was posted to 242 Squadron and Douglas Bader was a previous commandant, I mean, I never met him, he was already a prisoner of war in France, I think, when I joined up
MC: So when you, that was after you’d finished your wireless operator training, was it? You finished your wireless operator training and then you went to 242 Squadron.
RB: I, I can’t
MC: Yeah, where was 242 Squadron? Can you remember whereabouts it was?
RB: I possibly got it upstairs, I’ll just go upstairs and
MC: I’m interested to know where your first posting was when you went to 242 Squadron.
FW: Weren’t you not in London then?
MC: You were in London when you did your training, you say.
RB: Yes, I went to the Central Telegraph Office to learn the Morse code and we had to march down Holborn, I think it was. I was just there for about three months, that will be 19
FW: ’41 I think
RB: 19
FW: ‘40, 1940
RB ’42, maybe
MC: And then, then of course you were posted to 242 Squadron you say.
RB: Yes
US: Did you [unclear] that you were in the Blitz
MC: Alright, yeah, and was that in this country? 242 Squadron? Were they here? In the UK?
RB: I can’t remember where I joined it.
FW: Were you still with 242 Squadron when you went abroad?
RB: Yes, I think so.
FW: Right.
RB: The famous commander of 242 Squadron was
FW: Douglas Bader
RB: Famous flier, and he was a prisoner of war already in France, who would that be?
FW: Douglas Bader
MC: Douglas Bader, yeah, you said Douglas Bader
RB: Douglas Bader
MC: Yeah, you said that
RB: I never knew him of course
MC: No, no
RB: He was already a prisoner of war when I was called up
MC: Yeah, yeah. So, what aircraft did you fly in with 242 Squadron?
RB: Hurricanes
MC: Oh, you flew a Hurricane?
RB: Yes, I mean, I wasn’t flying it,
MC: Alright
RB: I wasn’t a pilot
MC: Oh, you, sorry, you were working on the radio, wireless equipment
RB: Yes, don’t quite know what I was doing, it’s a long time ago
FW: Waiting for a flying boat
MC: So, did you ever fly aircrew? Did you ever fly aircrew?
RB: No, I didn’t
MC: No, you say you were wireless operator
RB: I, as a wireless operator, which was in the bombers and I was sent down to the training school of the post office to learn more scole and I still do it [laughs]
MC: Brilliant, yeah [laughs]. So, when did you get posted overseas then?
FW: First trip in 1941, I think, late 1941, because you were in Java in 1942, weren’t you?
MC: What job were you doing in Java, Bob?
RB: In Java?
MC: Yes
RB: Mainly running away.
MC: [laughs] so how did you get there, did you go by boat? Did you fly?
RB: Yes
MC: You went by boat, did you?
RB: We went by boat and we arrived at Batavia as it was then called, now called Jakarta
MC: Alright, yeah
RB: In the island of Java and I was in Batavia first of all and then [unclear] was a long time
MC: So, how long was the boat trip? How long did it take you to get out there?
RB: Well, we were bound, when we left, we left Gourock in Scotland
MC: Alright
RB: And we were due to go to the Near East but virtually on the day when I was called up, when I was called up?
FW: When you [unclear] the ship, I think. Go on.
RB: My brain is.
MC: Yes, I, many of you on the boat? Quite a large boat, was it?
RB: Oh, it was the Empress of Australia and we were in hammocks
MC: Oh yeah [laughs]
RB: Strung up, down below decks, with this hammock and we endeavoured to get a piece of wood to go across, to open it out because, it was, we were all in tucks of laughter when we were told about this you see, because the deck was about this much above and
MC: Did you have trouble getting into the hammock?
RB: Pardon?
MC: You had trouble getting into the hammock?
RB: Yeah, we were all stretched out in hammocks
MC: Yeah, yeah
RB: And when the shipped rolled one way we rolled the other way, and like that
MC: So you
RB: We should’ve gone to the Near East
MC: Yeah, you said and
RB: But on the day we sailed from Gourock in Scotland, the Japanese bombed Pearl Harbour and therefore our destination was changed. I mean, we were never told where we were going until you got there [laughs]
MC: So, the Japanese bombed Pearl Harbour while you were on the boat, when you were out on the boat
RB: Japanese had bombed Pearl Harbour on the day that I sailed, yes
MC: So we know
RB: When we sailed from Gourock
MC: So we know what day you sailed now, cause that was 7th of December 1941, that was the day the Japanese bombed Pearl Harbour
RB: Well, that was the day I sailed
MC: Yes, 7th of December ’41, yeah, and so, having arrived in Jakarta, in Java, Jakarta, where did you go from there?
RB: Well, I was taken to prison
MC: So, how soon were you taken prisoner after arriving?
RB: Oh, fairly quickly
MC: Oh, really?
FW: About three weeks, wasn’t it?
MC: Is that all? That was [laughs], goodness me!
FW: Because Singapore had fallen
MC: Yes, I know, appreciate that, yes
FW: Singapore fell on his way there and that’s why he went to Jakarta, they were meant to be going to the Near East and then gradually the thing was extended
MC: Yes, so you went
FW: Singapore they couldn’t go to
MC: I understand now that you were originally going, as you say, the Near East but when Singapore fell,
RB: Well, we were bound to Singapore
MC: Yes
RB: But
MC: Because the Japanese took Singapore
RB: Well they, on the, yes, I’ve forgotten the dates but they landed up in Thailand, they didn’t land directly in Batavia, Batavia being Java,
MC: But you were only there for a matter of weeks before you were taken prisoner
RB: Short, for a short time, yes
MC: So you didn’t get the chance
RB: Then we went by boat, called in at Cape Town
FW: This is on the way out
RB: Calling at Cape Town and from there taken by the Japanese I suppose
US: From Cape Town
MC: You went from Cape Town to Java.
RB: Java, yes.
MC: Yes, you finished in Java
RB: Yes
FW: They were meant to be, I’m forgetting the Near East, they were, no, they were meant to be going to the Far East at Singapore, but they couldn’t go to Singapore cause I understand Singapore had fallen
MC: Yes, yes
US: And three weeks after that the Japanese arrived in Java where he was already
MC: So, having been taken prisoner, how many of you were there that were taken prisoner at that time, you know?
RB: Well, in my squadron, 242 Squadron, which was Douglas Bader’s own squadron,
MC: Yes, yes, yes
RB: He was already a prisoner of war in France
MC: Yes, yeah
RB: And
MC: So the whole, getting comoodle, the whole, [unclear] was taken
RB: Yes, yes
MC: Prisoner of war
RB: We were all taken prisoner
FW: Was it something like two hundred and fifty-seven of you in the squadron?
RB: Well, two hundred and fifty I think, well that was a round number
MC: Round about that, yeah
RB: Two fifty, so of that two fifty, my squadron, 242 Squadron, only, I think, fifty-one of us came back
MC: Really? So, what happened when you were taken prisoner, did they, did you stay there? Did they keep you prisoner there or did they move you on?
RB: Oh, we were taken prisoner in Java.
MC: Yes
RB: And we were in Java I thought about eighteen months
MC: Really?
RB: Lovely country [laughs]
MC: Just a shame about the accommodation [laughs]. So what was, how can I put it? What was life like, you know, once you’ve been taken prisoner, how were you, what was, how were you treated?
RB: Pretty harshly, the main problem was shortage of food
MC: They weren’t keen on feeding you then.
RB: Well, it was a rice diet, we never saw bread for three and a half years
MC: So, in Java for eighteen months but you were prisoner of war for three and a half years.
RB: Three and a half years, yes
MC: So, from Java
RB: It takes a lot of remembering
MC: Yeah. No, it’s ok, it’s not a problem, you know, you just take your time. So, you said you were in Java for eighteen months,
RB: Yes
MC: Yes, so you
RB: Then we went to Changi in Singapore
MC: So you were in Changi, were you?
RB: We were in Changi, yes. And Wilf Wooller was there, I don’t know if you ever heard of Wilf [unclear], he was an international rugby player from South Wales
MC: So, in Changi where were you, were you, you were you on working parties? Were you given tasks the joe do?
RB: Yes, we, used to do varying work in Java for the Japanese, under the direction of the Japanese, but they were a bit sappy, I don’t they’d been out of Japan for very long and we had to salute all the Japanese whether they were, privates or generals, not always only generals
MC: Any punishment if you didn’t?
RB: Pardon?
MC: And what happened if you didn’t salute them?
RB: You got your face slapped and it wasn’t a gentle one.
MC: No.
RB: Almost knocked your head off.
MC: So how many were in the camp you were in Changi then?
RB: [unclear]
MC: At Changi, was it a big camp?
RB: Oh yes, Changi was big, yes, it was, and I wasn’t there very long
MC: Oh, you moved on from Changi, did you?
RB: Well, into Japan.
MC: Oh, yeah.
RB: Called in it at, oh Crickey! [laughs]
FW: I can’t [unclear] with this
RB: It’s very difficult to remember, so
MC: It’s alright, so you then finished, you went to Japan then, you were taken to
RB: [unclear]
MC: Really. And whereabouts in Japan were you, can you remember that?
RB: We were in the South Island of Japan called Kyushu and I was there for the rest of the war. It was a coal mining camp we went to
MC: So that where you finished up as a coal miner, coal mining for the Japanese, did you?
RB: Yeah
FW: Fukuoka province, wasn’t it?
RB: Pardon?
FW: Fukuoka province, is that right?
RB: I can’t hear you.
FW: Fukuoka
MC: The name of the place, province.
RB: Kyushu is the island,
FW: Yes
RB: It’s the South island of Japan
FW: Yes, but then Fukuoka, is that the province?
RB: [unclear]
FW: Yeah, well, we’ll just have to skip that
MC: So, you were actually doing mining for the Japanese then? You were mining for the Japanese?
RB: Yes, well, I was in the mining camp.
MC: Yeah
RB: And whether I was fortunate or unfortunate, I was one of only six people who didn’t go down the mine, I mean, I went down once or twice, we were a squad of just six and our job was to push little trucks around on a very narrow gauge railway and we had to take mainly electric motors and pumps to the mine and we used to bring them back to the workshops, we were based on the workshops [laughs].
MC: So, I mean, what was punishment like if you didn’t do what you were told?
RB: Punishments?
MC: Yes
RB: You got your face slapped
MC: Yeah, you said face slapped, you didn’t, how can I put this? You come across any
RB: Almost knocked your head off
MC: More, no more extreme punishments? You didn’t see any more extreme punishments? Any worse, any worse than that? Anything worse than that, Bob?
RB: Not that I saw
MC: So, who was
RB: Except that, we came back from the mine one day and we were in shifts, you see, and we came back on our shift at about half past five and when we came back, there was a crowd of men from the previous shift, they were all on their knees, and I don’t know what they’d done wrong, but they didn’t look very happy
MC: Really, yeah. So the, you mentioned, was it, captain Williams?
RB: Yeah, Peter Williams,
MC: Yeah, was he in Japan with you?
RB: Yes, he was and Peter Williams was a captain in the army
MC: Yes
RB: And he was a first-class officer and I actually visited him once, when I came back home. Captain Peter Williams
MC: Cause you mentioned about how the Japanese pronounced his name.
RB: Wriliam [laughs], wriliam, and they used to come, we were in, I think I’d been a [unclear] with some huts there for the prisoners and Captain Williams represented us, there were also a fairly large number of Dutch people so vetje vellen kan vetje Holland sprate? [laughs]
MC: If I knew what you said, I’d say yes [laughs]
RB: [unclear] Ein bisschen, nie veil. Yeah, he was a good man, I visited
MC: He looked after you
RB: I visited him after the war,
MC: Yes
RB: Some years after the war and his wife gave me a meal at lunch I think, I don’t remember much
MC: Yeah. So you, you talked about the number of people who were on the squadron, and only fifty or so came back
RB: Yeah, there were two fifty I think on the squadron when we left Gourock in Scotland and in the early months of my coming back home I learned that in my squadron only fifty-one man had come back, so it was very heavy
MC: Losses
RB: Losses, yes
MC: Do you know the reasons for those losses?
RB: The what?
MC: The reasons for those losses, why they failed to come back.
RB: Oh well, it was bad treatment, overwork and above all, lack of food. Food was very scarce, and it consisted, never saw bread for three and a half years, just rice and the rice varied sometimes, sometimes it was yellow, sometimes a dark colour, but it was never white like rice in England, never
FW: [unclear]
RB: We had three meals a day of rice of various calling
MC: Lots of other things in the rice, as well as rice
RB: Yeah, well yeah, well the rats in the ship that we went there, you could hear them scratching up in the rafters somewhere which, well, you got used to it,
MC: If you say so, Rob [laughs].
RB: Yeah
MC: So, how do you, so you’re in Japan, how did you get, were you in Japan when the war ended?
RB: Yes
MC: When they dropped the bomb?
RB: Yes, and I was evacuated from Nagasaki which had the second atom bomb dropped, the first one was on Hiroshima
MC: Yeah
RB: And the second one was Nagasaki and we were taken by train from our camp in Kyushu to Nagasaki by train and the swain drew all the blinds, we couldn’t see Japan at all, we got glimpses, that was all and
MC: So, Nagasaki, were you there when they dropped the bomb?
RB: Yes
MC: You were?
RB: Yes, I mean, I wasn’t, no, must get it clear, I was in Japan, I wasn’t at Nagasaki, I was about forty miles away I think but we were evacuated from Nagasaki by the Americans on an American troop ship
MC: So, when you evacuated, I assume you got well fed on the ship
RB: Never so full [unclear]
MC: I can imagine, especially the Americans
RB: Oh, the Americans, it was good food but there was so much of it, you got as much as you wanted. I suppose we got special treatment
MC: Yeah, of course, yes.
RB: Yeah, Oh, Crickey! You’re stirring my memory.
MC: Yeah, yeah, yeah. So, there, obviously you got evacuated by the Americans on their troopship, where did that take you to?
RB: To San Francisco. Went across the Pacific and we went to San Francisco and from there the Americans took us by train up to, is it Toronto, in Canada?
FW: Yeah [unclear] Vancouver?
MC: Yeah, you might have gone up to Vancouver first and then across
US: And then across Canada by train to Toronto, didn’t you?
RB: I went by train from San Francisco
FW: Yes
RB: Up North
FW: Yes
RB: In an American train
FW: Yes
RB: And when we got to the Canadian border, we were transferred to a Canadian train and taken from there across the Rockies, very spectacular, to Montreal and from Montreal down to New York again, back into the United States and I came home, can’t remember
FW: Was one of the [unclear]
RB: Yes, the Empress of Australia
FW: No, no, that’s what you went out on
MC: I think that’s probably, that’s what you went out on I think
FW: I think you came back on either the Queen Mary or the Queen Elisabeth, you always thought it was the Queen Mary
RB: It wouldn’t be the Queen Elisabeth
FW: Well, the Queen Mary you used to talk about
MC: Probably the Queen Mary cause they used to use it as a troopship
RB: I thought it was the Empress of Australia
FW: That’s what you went out on
MC: It’s not, no, so you came back from New York and you came back to the UK from New York. Having got back to the UK, how, I mean, what was life like back in the UK?
RB: Life?
MC: Yeah, how did you manage to settle basically?
RB: Oh yes, well, both my father and mother were alive and
MC: And pleased to see you, no doubt [laughs]
RB: Well, it was incredible, my mother had, was one of five sisters, they had big families and had five sisters and, oh Crickey!
MC: She was pleased to see you, how did she know that you were a prisoner of war?
RB: Oh yes
MC: She did, so, were you able to write home then to her?
RB: Well, I think we had cards and there were fixed sentences
MC: Yes
RB: And you picked a sentence that you wanted to have go back to your parents, I think I’ve still got that
FW: [unclear] somewhere, yes, I’ve been looking after very well here, that sort of thing
RB: Yes
MC: But so, she was aware that you were a prisoner of war.
RB: Oh yes
FW: I don’t think at first
RB: Eh?
FW: I don’t think at first she was.
MC: No, I mean, when you were first taken prisoner obviously, she wouldn’t know
FW: No
MC: Initially what happened to you
RB: Oh, been quite sometime afterwards
MC: So, having got back to the UK, you then obviously, you went back into civilian, you were demobbed once you got back?
RB: Yeah, I mean, before the war I was working for ICI, if that means anything to you
MC: Yeah, ICI, yes, I know ICI, yeah. And what were you doing for ICI?
RB: Well, I went as an office boy
MC: Yes
RB: And I was eighteen at the time, actually I’d worked somewhere else, I can’t remember
MC: That was after you were delivering hats, after you were delivering ladies’ hats
FW: That was just part-time [laughs]
MC: Yeah, I realised that, so, you went back to ICI
RB: Yes
MC: And what did you do when you went back to ICI?
RB: Well, I was a clerk
MC: Yes
RB: In the order section, in the order section of the Northern Region of ICI
MC: Yeah
RB: They divided the country into regions and I, we were in the northern region
MC: And that’s, how long were you with the ICI? How long were you with ICI?
FW: Well, you became a representative, didn’t you? When you got back to England, you became a representative for ICI in the North East.
RB: Can’t hear you from
MC: You were a representative for ICI, were you?
RB: Yes
MC: Yes. And what were you representing, were you, was it chemicals, was it, chemicals? Was it? Cause I know ICI did chemicals. What else did they do?
RB: I was in the Northern Region sales office and we dealt with the customers of ICI and took enquiries
MC: Yes, yes
FW: It was building materials and paints, wasn’t it?
MC: Yeah. Building materials and paints. Building materials and paints and things like that for ICI products.
RB: Yes. Cement was an important product because you can’t build anything without cement and there was a great shortage of it immediately after the war and ICI produced cement from the and it was a sulphuric acid plant and it was called Pioneer cement and we used to deal it by the ton and one of my jobs was allocating cement to our customers in our region so wherever I went, I was very popular in that because cement, you can’t do anything without it when you’re building houses and
FW: People don’t realise now what shortages there were of basic things at that time
MC: No, quite right, yeah. So, what did you after ICI? Where did you go after ICI? Cause you mentioned you had your own business.
RB: Yes
MC: At what stage did you set that business up?
RB: Well, I had a friend, Jack Matthews, did you meet Jack Matthews?
FW: Yes, I did, yes.
RB: Yeah. He only had one leg, he’d lost a leg in the war and he was engineer and we formed a small engineering business, well, just the two of us and I think we gradually increased our employees, at one time we were employing about eighty people [unclear]
MC: [unclear] business
RB: Quite a business, yes, and turnover was close to a million but we never topped a million, that scenario
MC: Some time ago which wasn’t bad
RB: Yes, because cement was like gold and when I became a representative of the company, I was very popular [laughs]
MC: Yeah
RB: Cause I was able to, you know, influence the amount allocated to various customers
FW: Then when you left and started your own business
MC: Yeah [unclear]. Yeah, so your own business was manufacturing, you said, [unclear] plant?
RB: Yes, we started to manufacture gas cutting nozzles, little [unclear] like that
MC: Oh yeah, yeah, yeah
RB: Made out of copper and copper is a difficult material in which you machine, very difficult and we made cutting nozzles for cutting torches
MC: Yes
RB: And then eventually we made the cutting torches. I’ve still got one at home [laughs]. Yes, we made the best in the land
MC: So, then you say you got rid of your business, eventually?
RB: Yes
MC: Was that when you retired or
FW: He didn’t retire
MC: He didn’t retire [laughs]. So you never retired, did you, Bob?
RB: Not really, but the business was sold, now I can’t remember, I’ve got the details [unclear]
MC: Yeah, yeah
RB: I don’t look at them anymore
FW: It was in the nineties or late nineties, I think.
RB: Yes, because the nozzle is only about that big, but made out of copper and we had to drill very fine holes
MC: Yes
RB: And the outer ring provided the temperature at which, if you then applied pure oxygen, which was done through a central hole, that would pierce steel and the ones that we made would cut up to, well, if you use the right cutting nozzle, up to twelve inches
FW: Was a very precision
RB: Interesting
MC: Yes, indeed, yeah, that’s a very skilled job doing that as well
RB: Yeah
MC: Yeah, so, I mean, if I was to sum up, if we look back now, I mean, what’s your feelings about your period in the war, because obviously most of the war you spent as a prisoner of war
RB: Yeah, well, three and a half years out of six
MC: Yeah, yeah, so, what’s your thoughts about how you were treated, what you did, you know, the war itself?
RB: Well, it was a great experience, really
MC: I mean, when you heard that the bomb had been dropped
RB: Well, on the day, the first atom bomb was dropped on Hiroshima
MC: Yeah you said
RB: And the next one was on Nagasaki and we were about forty miles
MC: And you didn’t see anything, you couldn’t see anything
RB: No, but I was evacuated by the Americans from Nagasaki and we were taken
FW: To Manila
RB: Can’t remember
FW: Manila?
MC: Was it Manila?
RB: We were in Manila, yes
MC: Yeah. So you saw a few places then
RB: Yes, but most of the war we were in prison camp
MC: Yeah, of course, yeah
FW: Cause on the day the dropped
RB: I recon if I’d not been taken a prisoner of war, I probably wouldn’t have been here today, because I had volunteered for aircrew, I was a wireless operator,
MC: Yeah
RB: So, I’d be going, flying in very slow aircraft but I didn’t get as far as that
MC: No
RB: Gosh!
MC: So, you was, about the day the bomb was dropped
US: Yes, do tell Mike about the day the bomb was dropped in Nagasaki, what happened to you all. On that day, on the day the bomb was dropped at Nagasaki, tell him what happened to all of you, you were pushed in a tunnel, weren’t you?
RB: Yes
FW: Yes, and explain
RB: Yes, well, we were in a coal mining area
FW: Yes
RB: And we were in coal mining camp
FW: Yes
RB: But I wasn’t hewing coal, I was one of only six men when the bomb dropped
MC: When the bomb dropped, what we are trying to [unclear], when the bomb was dropped, you were on a train.
RB: I was what?
MC: You were on a train.
FW: No,
MC: Alright, they moved, you went into a tunnel? They took you into a tunnel?
RB: No, we
FW: When there was a raid, what happened? When there was an air raid, what happened to the prisoners? What did the Japanese do? Where did they put you?
RB: Oh yes, oh God!
MC: Don’t worry about it, Bob, that’s great, you know. Appreciate what you, I mean, it’s a long time ago
RB: Well, it is a long time ago
MC: And I appreciate what you’ve told us and I thank you very much for agreeing to talk to us, I think we’ve covered most of your life and I think we’ve covered your experiences, I mean, the main thing was your experiences as a prisoner of war and you know, we tried to cover that and how you were treated and, you know, what sort of food you had and all that, so we’ve covered all that and I thank you very much for agreeing to this interview. Thank you very much and thank you Flora.
FW: [unclear]
MC: So this book we’ve got here, Bob, you say you took all around the world
RB: Yes
MC: And you used to read it to the prisoners? This
RB: Yes, they’d come and ask me to read it from it, cause there weren’t a lot of books in the prisoner of war camp in Japan
MC: No, I’m amazed that you had to take it, they allowed you to keep it. Or did you hide it?
RB: Put it in a kit, we had kit bags, not [unclear] cases, kit bags, and it was just a matter of putting it in with all the rest of it and they would probably look at it, couldn’t understand it but nothing wrong with it and put it back
MC: Alright. And so you used to read it to the other prisoners
RB: Yeah, because not many of the other prisoners had books and I had this one which was bought for me by one of my mother’s sisters and I thought at the time fancy giving me SE 2 [unclear]
MC: Poetry book
RB: But really, it was, it was a great
MC: It was a godsend
RB: It was a great book to have
MC: And I’m sure the rest of the prisoners
RB: [unclear]
MC: I’m sure the rest of the prisoners enjoyed it
RB: Pardon?
MC: The rest of the prisoners enjoyed it.
RB: Oh yes, well, they used to come and ask me to read from it.
MC: Yeah
RB: Cause not all of them had taken a book.
MC: I mean, you are going back again, we are covering old ground a bit but going back to what we were saying about Nagasaki and when the bomb dropped, you were saying about how the prisoners were taken in
FW: [unclear]
MC: Yeah, that’s right, Flora, you were saying about prisoners were taken into a tunnel when there was an air raid.
RB: Yes, that was during the war, not after the war
MC: Yes
RB: And we were taken into this tunnel. I mean, they were short of labour, and our labour was very valuable to them, I think and of course, if we were in a tunnel when the Americans invaded, they said, they told us that we would be killed in this huge hole dug outside and that’s where we were going to end up [laughs]
MC: So there were Japanese there with machine guns
RB: Yeah. Yes, with machine, if you can imagine, a round hole, about the size of that window, and we were pushed into there and in front of that there was a wall built. Now, the wall was about four feet, I suppose, from the entrance of the tunnel and on the outside, because there was a wall there, there were two exits or entrances and each of those exits, they put a machine gun, you know, with two or three men manning it I suppose, pointing it at the exit of the tunnel so if we endeavoured to come out, knowing that the Americans were flying over, they could do something about it
MC: And they already had a hole dug for you [laughs].
RB: The big hole was for us [laughs]. So they told us. But of course, the atom bomb stopped all their plans, because there was nothing they dared to do when the Americans arrived but obey orders. And the orders were that if they interfered with us, they would be in trouble. So we had to put on our huts POW in large letters on the roofs of our quarters, POW and the Americans dropped, well, principally, food, that’s what we wanted
MC: Yes
RB: But also clothes, I was walking around in American suntans as they called them
MC: Yeah [unclear], so as far as you were concerned, the dropping of the atomic bomb saved a lot of lives
RB: Yeah, yes
MC: It was
RB: Oh yes, indeed
MC: And shortened the war
RB: Yes and that was my private possession
MC: That poetry book is quite amazing, the fact that you carried it round and to be able to read it to the other prisoners of war, you know, which, I mean, must have been a great help to them as well
RB: Well yes, and a lot of I think were almost illiterate
MC: Yes,
RB: You know, the standard of schooling pre-war was quite minimum compared to what they get today
MC: Yes
RB: And that was an anti book for me and I’ve kept it all that time and it’s very precious to me
MC: I’m sure it is
RB: [unclear] I did, simply by reading it, learn some of the things, forgotten verse,
MC: You said, you remember
RB: When I am dead, my dearest, sing no sad songs for me, plant thou no roses on my chest, nor shady [unclear], shay cypress tree, be the green grass above me, with showers and dewdrops wet, and if thou wilt, remember, and if thou wilt, forget, [laughs], that was printed when I got back home somewhere but there it is, the same one, when I’m dead my dear,
MC: Oh, right
FW: [unclear] Elizabeth Barrett Browning, wasn’t it? [unclear]
RB: See, that and that
MC: Alright, yes
FW: very sad
MC: So, I mean, you, from what you said, I mean, you quoted Robbie Burns
RB: Yes
MC: You know, you obviously remember a lot of the poems
RB: Oh yes
MC: By heart
RB: Yes, Robbie Burns, oh to a mouse, wee, sleeket, cowran, tim’rous beastie, oh the panic’s in thy breastie, I wad be laith to rin an’ chase thee with murd’ring pattle, still mousie, thou are no thy-lane in proving, foresight may be vain, the best-laid schemes o’ mice an’ men, gang aft agley An' lea'e us nought but grief an' pain, for promised joy
For promis'd joy!
MC: I love it, yeah, it’s great. You, earlier on, you spoke in Dutch cause you said you were a prisoner of war with the Dutch?
RB: Yes, Ja, I kann ja bitchen Hon sprate. Nie veil, [unclear]
MC: So you learned quite, you learned, was that, you learned to speak Dutch when you were with the [unclear] prisoners of war?
RB: Yeah
FW: Was that in Java?
MC: Was that in Java?
RB: Yes, Java was Dutch before the war
MC: Of course, yeah
RB: Yeah. And of course, they weren’t so many of them
MC: No, no
FW: And when he speaks Dutch, [unclear] set up because you [unclear] speak in English [unclear] speak Dutch, apparently it’s very good Dutch that he speaks, I think it was some professor of the English school who helped to teach him. One thing you haven’t thought about is how they got from one place to another, it was those hell ships
MC: Yeah, Bob, I mean you, we were just talking about how you moved from one place to another on the ships they called them hell ships? Moving on the ships when you moved from place to place.
RB: Yeah
MC: They called them hell ships? You know, what they were like, the boats they were like when you were moved around.
RB: When we came home, you mean?
MC: No, no
FW: No, when you moved from Java to Singapore and from Singapore to Japan
MC: Japan
FW: That sort, what were the ships like?
RB: We were down in the hold.
MC: Yeah, not very good.
RB: Not very good. And there were rats running on the rafters above us [laughs]
FW: From what he says, they were just like sardines
MC: Yes, and you were packed in tight, were you? You were packed in tight.
RB: Oh yes. Well, the accommodation that I remember, particularly we were in hammocks and I think this must have been in a British ship and we were strung up
MC: Ah, that would’ve been going out or coming back
FW: But this was when you are on the
RB: No, when we came back, we came back by America
MC: Yeah, you said that, yeah. I’m thinking about when you were on the Japanese ships, were you able to lay down or you stood up all the time?
RB: No, we could lie down, but you were touching each other at each side, very crowded. And very hot.
FW: I should think very smelly as well.
RB: Yeah. Yeah, wasn’t very pleasant.
MC: No.
RB: Oh well
FW: [unclear] really, isn’t it?
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Robert Boocock
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Mike Connock
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2017-04-06
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ABoocockR170406
Conforms To
An established standard to which the described resource conforms.
Pending review
Pending revision of OH transcription
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:54:26 audio recording
Language
A language of the resource
eng
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Royal Air Force
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Canada
Great Britain
Indonesia
Singapore
Japan
Indonesia--Java
Japan--Nagasaki-shi
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1941
1942
Description
An account of the resource
Robert Boocock spent three and a half years in Japanese prisoner of war camps. As a young boy, he had a part time job in delivering ladies’ hats. He was conscripted into the Air Force and initially trained to become a wireless operator. After completing his training, he was posted to 242 Squadron on Hurricanes. He then was sent on a ship from Scotland to Java on the 7th of December 1941. Three weeks after getting to Java, he was taken prisoner by the Japanese and sent to a POW camp. From Java he was then sent to Changi and from there to a coal mine in Japan, where he stayed until the end of the war. He was then taken by train from there to near Nagasaki, on the day the bomb was dropped, and evacuated on an American troopship. He gives a detailed account of his experience. Recalls harsh punishment inflicted by the guards and food shortage. Remembers reading a book to the other prisoners in the camp. After the war, he worked for a chemical company before starting his own business.
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
242 Squadron
aircrew
bombing of Nagasaki (9 August 1945)
prisoner of war
wireless operator
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/870/11111/AHextellGJE160104.2.mp3
37d80c475d2be9fba2485ea100ad6789
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Hextell, George
George Joseph Edwin Hextell
G J E Hextell
Description
An account of the resource
An oral history interview with Warrant Officer George Hextell (1141319 Royal Air Force). He flew operations as a flight engineer with 51 Squadron and became a prisoner of war.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-01-04
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Hextell, GJE
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
GH: Yes well, I’m [unclear] Hextell, Hextell, I was a WO, my number 1141319.
MJ: So, how did you manage to get into the RAF then?
GH: How did I manage to get into this? Well, as I say, I was conscription, in 1940, all called up, all the people, the young people, and then I was [unclear] going to be dragged into the army, I thought when I got into the RAF I couldn’t be a pilot, cause I thought, I haven’t got the education for that, I going underground staff cause I worked in a factory, Morris motors, in Birmingham and I went into Birmingham and signed up one Saturday lunchtime, I hadn’t finished my job, and I wanted to know what happened to me cause I was called up after two or three days and posted to Warrington Padgate RAF training station where I did my square bashing and all that stuff and as I say, I hadn’t packed my job and eventually my mother had to get into the factory and tell the bastards I had joined, what did he do that for? They said, you know, there was a job here for him, if he wants it, I thought, no, so I trained as a flight mechanic, cause I was interested in wheels [unclear] and cars and engines and I went to after about three or four months at Padgate I was posted to number 5 school of technical training at Locking in Somerset and I went on a course on engines and aircraft there, you know, and I was there till end of 1941 and I passed out after that was posted to Scotland, Castletown, right up in the north of Scotland, you could almost see Norway, from where we were but we were only there about two or three weeks and [unclear] library, not doing much, any odd jobs and then we were eventually posted, as I say, to number 5 school of technical training Somerset, big long train ride down from up in Scotland and, I was there till the end of 1941 as I say when I got posted to Scotland and all I did, I worked and see all these different engines and aircraft, you know, worked on the Merlin engine, you know, and when I’d finished that they sent me to a maintenance echelon in Kent, [unclear] End, I worked on the maintenance echelon, squadrons came and went but I, we’re always permanent there like, you know, and Spitfires and all I could remember during there the Battle of Dieppe, when they landed in Dieppe in 1942, that was in September, that was disastrous, I remember that morning and I got up early, about five o’clock as something was on but nobody, oh, the second front started but that’s what it was, it turned out to be, Dieppe and they after the German [unclear] headquarters at Lorient and of course a lot of casualties, a lot of Canadian soldiers took part, a lot got killed, lot got captured and [unclear] after that we went to, so Dieppe, we just servicing the Spitfires that’s all, I was an engineman and we just served the Merlin engine up you know and it was good but, stop there for [unclear]. Well it was [unclear] at Gravesend but one day the engineer officer called us all in and wanted to know who wanted volunteer as flight engineers on the four engine aircraft that were coming into service, the Lanc, Halifax and the Stirling and of course there was three of us there, I put me name down for it, and I said, oh I can’t do any [unclear] but I was the only one who passed the medical, we had to go up to Euston House in London, aircrew candidate selection board and they explained to us all about how to fly, you know, [unclear] up and dark nights and flying over the oceans and that, you know and [unclear] and all this kind of thing you know but I went through with it and I was sent to St Athans in South Wales near [unclear], Cardiff and I did a course there and these four engine bombers would come in and they what they wanted to know was, there was a great big crowd of us volunteered and all the chaps going in for the Lancaster, you know, cause it got a famous name but and the squadron leader, I remember, he got us all lined up in the hangar, a big long queue of us and he said to stop any argument about who wants to go on, which was the best aircraft. He divided us up into three and he said that’s it, Stirlings, Halifaxes, Lancasters. Well, I got the Halifax, I went into the Halifax, and that’s how I came to be trained, trained at St Athans. And that’s a while I was posted to Marston Moor into Yorkshire and that was a conversion unit, number ten conversion unit and where pilots and aircrew met up and cause you see the crew I got in eventually had been flying on Whitleys then at St Eval in Cornwall on Coastal Command but they all stuck together and of course I was coming up [unclear] a conversion unit so it was there I turned up with them and became the flight engineer and of course there was seven of us in the crew, pilot, navigator, bomb aimer, rear gunner, mid upper gunner and all like that and that’s how I came to be with 51 Squadron. But it was only [unclear] I don’t know what they’d done before but, quite a bit before we went on our operations but the first operation we went on was mine laying off the Dutch coast, dropping mines in the sea and we used to have a naval officer explaining how important it was just [unclear] dropping it in the right place and the right height and all this kind of thing, that was the first flight I flew but of course I did many, we did many hours [unclear] circuit and bombs training, I mean the pilot was, all the crew was getting trained and I was getting trained as well in [unclear] that’s how I came to be with them but as I say the 51 squadron was only like just four men, and there was not many before, you see, you know a lot of names but I didn’t know many because I wasn’t there that long and I went there in the end of January ’43 and we went on, I went on two bombing raids with a crew, with our crew to Lorient in France and one night I went with my own crew and another time I stood in for somebody who was absent for another crew, they’re all officers, pilots, navigators, they was all officers, and I flew with them and I remember the first night we went on, we got back at about three o’clock in the morning and we couldn’t get back to our [unclear] I was stationed at Snaith in Yorkshire, East Yorkshire and couldn’t get back on our own drome so we had to land at Stowe-in-the-Wold in Gloucestershire and everybody, I think it was the first time I’ve seen these giant four engine bombers, you know, and all the people came out and looked at it, they were a big aircraft it was and after that I came to be [unclear] but as I say we did two operations in Lorient but that’s all I did and I just saw the operation mine laying, two to Lorient and on the fourth operation we did on Dusseldorf on the 27th of January ‘43 and I thought, oh, blimey, that’s done it, cause the briefing officer told us it was a heavily defended area, well we knew that because of all the Ruhr and all the places around there, Essen and all those places, I mean, it’s taken a heavy toll of our aircraft but of course it, well, it didn’t bother me and you know, but I thought we’ll get through it alright. But we were shot down over Holland, got over the North Sea alright into Holland, never heard a word, everything quiet and then next thing, I was sitting, I was standing in the middle of the fuselage, putting a flare in a flare shoot for taking photos with the cameras, you know, when the bombs dropped and whilst I stood there all of a sudden on the starboard side, right that at [unclear] machine gun bullets you know [mimics machine gun fire] couldn’t believe it, you know, couldn’t understand it, [unclear] one side or the other, he caught the port engine which controls all the hydraulics and pumps and that and the aircraft and I thought, oh, that was, looking into the astrodome it caught fire, the wing caught fire and I was horrified and the pilot was trying to save it but the aircraft you know dodged about and that but we were going down and we were all rushing, putting our parachutes on and the next thing I knew was I was flying through the air and the second pilot was a New Zealander, he explained it he could he’s written a little book about from where he came from in New Zealand who landed off, and as we were blown out, I was blown out, there was three of us out of the seven and three escaped, the New Zealander, our wireless operator and myself, the other four chaps got killed, pilot, navigator, the bomb aimer and rear gunner. I’ve never heard a word from them at all. And it was in Mill in Holland, place called Mill and it was five past six took off and from up in Yorkshire, ten past eight I was in a prison cell in Holland. Germans wanted to know, you know, why come bombing our women and children, and all I said, well, for the simple reason that you are coming and bombing our women and children and then of course they [unclear] interrogated me and I was there about a week I think and we went to the Dulag Luft interrogation centre and were there a while. Then they sent us to Amsterdam in a big prison, a big prison or whatever it was, big [unclear] and we were locked up in solitary confinement and had a lot of questions asked, you know, and were there about a week and one Sunday they transferred us from Amsterdam onto a train to take us to in [unclear] was Stalag VIII-B but they renamed it later Stalag 344 because Sagan, the Stalag Luft 3 where the air, the air people, where the aircrew prisoners went, they were full, the two, to many, so I had to go to a Stalag but this was at Lamsdorf in Upper Silesia near the Polish border, what’s the name? [unclear] I think or something like that and that was where I ended up but I know the night we flew, we had a brand new aircraft, it had only come from the manufacturers the day before but it hadn’t got a mid-upper turret [unclear] you got [unclear] hadn’t got a mid-upper turret on this particular one, the wing commander said it will give you more speed and all the rest of it you know and [unclear] he didn’t need a mid-upper gunner, so Taffy Jones, our mid-upper gunner he didn’t fly with us that night, he got away with it but as I say, I mentioned a second pilot, but I forgot to mention that before we took off at six o’clock at night from Snaith and staff come up and the group captain came up with this chap and he was a New Zealander, Jack Cardey and he said, I want this chap to fly with you tonight, he said, it’ll give him a bit of experience and that was the first time we met him and he got on board and that was his experience, he became a POW, and I’ve heard from him once or twice but not lately but yes, that’s how I came to be in Poland. Yes, capacity of the Halifax I think it was eleven hundred and ninty gallons but the first flight engineer, the idea was to run the engines as quickly as possible, to have the throttles open all the time, you know, to give, put [unclear] and get the engines to performing properly and another thing before take-off you were testing your engines before one by one and ramp them up to about three thousand ribs [unclear] a minute and then switch one of the magnetos off, there’d be a drop of one of the rears, I think, what was it so many percent, five percent was it, you were allowed if you that went below that [unclear] was faulty, yes, all the four engines [unclear] two magneto on each side of the Merlin was a marvellous engine [unclear] this is a backdrop somewhere ok, ok for take-off. Yes, it was quite an experience but we got through it alright and as I say with Jack Cardey, second pilot who flew with us, he didn’t act as a pilot, as I say, he was only a passenger, he was more than a passenger than I was. But he was in the Royal New Zealand Air Force and I think he’d come from Wellingtons and flown Wellingtons before. And of course at Snaith where I was stationed, 51 Squadron, they’d done all our operations from there and we hadn’t been there for long, as I say, there was only like just four men squadron up and I didn’t know any of the people that went before, you know, I mean, you just mentioned I knew a lot of people who [unclear], well I wouldn’t know, I think I knew about two, a Canadian, [unclear] Stewart or somebody like that and I know I went to Berlin one night and back or something, Slim Stewart, he was a Canadian, but no, as I say, I didn’t have enough time there to get to know anybody, I knew the group captain Grey, he was a station commander, I was in b flights squadron leader Moore, [unclear] Moore, h flights was name Russell, squadron leader Russell, and quite alright, yes I was, but as I say, we didn’t do many operations but [unclear] good the Germans were, night fighters, defences and that and as I say, we didn’t know this fighter was creeping up on us, never heard a word, never heard a word from the rear gunnery and I was horrified as I stood there and saw the tracer coming through the fuselage, you know, it caught fire, but as I say, we were blown out, that how [unclear] Netherland the cottage to walk up to the door and by [unclear] you do see these [unclear] but I was found myself floating through the air, and I saw lights going out in front of me going round and round a big roulette wheel, always remember it, and I was [unclear] I better pull this, the ripcord and I landed as I thought was a field but it was a bit of a built up area than that and I laid there for a bit I thought [unclear] a fine death or [unclear] something like that you know people come running up the Dutch farmer and he came up to me and I said, where am I? Where am I? And he said, Nederland, Nederland, I thought, where the hell is that, suddenly dropped the Netherlands, you know, and up to his house, he’s got two young daughters, they’re all clever [unclear] they brought [unclear] and money and souvenirs and [unclear] but they said that there was a couple of priests there who [unclear] quickly, they said, we’ll hide this, you know, that [unclear] a parachute and I said, we’ll have to notify the Dutch police, I presume they had to do it with any prisoners, there was a Lancaster shot down in the same area at the same time cause they picked the crew up with us and we were in this Dutch policeman’s house, he’s a Dutch police and I said notify them and he said, well, we’ll have to notify the Germans and they sent a minibus and when they opened up the doors, there was George Farmer, our wireless operator, he was a member of our crew and he’s a New Zealander and also a Lancaster crew as well, I think they were all intact, they picked them up in the same area and next thing I say I was being interrogated at a local station wanted to know where I’d come from, what the squadron was, bomb load was carrying, what [unclear] was and everything else, where you’re stationed, you know, and all that kind of business and yeah and as I say, I spent the night [unclear] and fetched up in front of this chap of the Luftwaffe, he wanted to know every day where we come from and what we were doing and all the rest of it, next thing we went to Dulag Luft [unclear] interrogation the treating of all the and then Dulag Luft, went to Amsterdam and I saw the big army place there, our second pilot, he’s been since the end of the war [unclear] travel I don’t know but I mean [unclear] we’ve been to Holland and we’ve sorted the place out with the war graves commission, we’ve been to the scene where our four chaps were buried because we had to identify them, cause the Germans said, you have to come and identify your crew and that got to [unclear] a church or somewhere and they took us down and there was four wooden coffins and there were the bodies lying in there and I said early, most of identify to let the people know, you know, but I couldn’t look at them because it upset me but [unclear] Farmer, our wireless op, he was thirteen years older than me, a bit more mature and he identified them, apparently they are buried in an air force base but after a while we in Holland that they buried them in this place where we went on a weekend in May and May is a big [unclear] first two or three days in May there were all flags flying out in Holland and, you know, as I know you come from England they will treat you well and really good. [unclear] Well, what I would like to do is to, you mentioned one chap [unclear] where he went to, I want to know how many miles we did from when we came after the camp in 1945 on that march, I mean, the names of the first, we went to Lamsdorf on the 22nd of January 1945, we could hear the Russian gunfire on the Eastern Front [unclear] and an Anson came over the Channel to evacuate the camp and we got ready to move out, we got nothing, bits of food stored up, which we took with us and out to the dark then they found us a barn, they herded us all in this barn, that’s where we slept and that’s we did, [unclear] months and months and as I say, it was the 22nd of January and [unclear] about April time before we never knew where we were like you know, I didn’t know then, I should have loved to know, I know the name of some of the important towns as Gorlitz, went from Lamsdorf to Gorlitz, oh, that was a terrible place, [unclear] Russian prisoners there, they treated them like, well, dogs, [unclear], never forget, filthy place [unclear] about a week and then moved us on the road, we never went to another camp, we went to, I can remember Jena, you know where, there are the famous optical lense [unclear] and what is the other place, where they did the porcelain? In German, Meissen [unclear], Meissen, heard about Meissen ceramic wares, marvellous, innit? [unclear] To plot the route we took and what we covered many miles [unclear] I said, end of January in April ’45 and the Germans got to be [unclear] you know and they used to catch you every morning, every night but I was with three of the [unclear] family wireless operator and we met up with another chap who was a [unclear] bloke some kind of destroyer in the Mediterranean and he decided to leave the company [unclear] like you know and we stayed, they put us in a barn one night and we stayed up there all the next day until it got dark, then we headed across the fields cause one got a compass, we could hear the Russian gunfire on our right in the East we could hear the Allied gunfire, the Americans and British on the left and we headed towards them and I know it was a terrible cold [unclear] in the [unclear] it was one of the coldest winters that I experienced.
MJ: Did you have a coat this time?
GH: Pardon?
MJ: Were you lucky enough to have a coat?
GH: A coat?
MJ: Yeah.
GH: Yes, I had a grey coat, yes, had a grey coat and one of us got a [unclear], a little [unclear] or a little saucepan. And I remember, the next morning when we woke, we [unclear] in this forest, we woke up, decided to have a cup of tea, [unclear] now we had a cup of tea, we lit a fire, made this tea and after a bit we sent a German, young German officer coming across, we thought, [unclear], this is the end, you know, [unclear] come around and put you hands up but all he said, he knew we were British and all he said was, don’t forget to put the fire out when you’re finished cause the smoke will attract aircraft in [unclear] always remembered saying that and we thought, oh, we got away with it, he got his Luger on the side, you know, he could have shot us easy, there’s four of us and the next day we saw a bloke, we were near a village, we saw a bloke with a big loaf of bread, a big cart with a loaf of bread, and we wondered where this bread had come from and we stopped him and asked him and he says, American tanks and troops so many kilometres down there, is the Third American army, the sixth army division, the Third American Army, General Patton and it was they who took care of us, they wanted us to go with them, they got a spearhead going through towards [unclear], come with us, they said, I said, no, we want to go home, we want to get back to England and they took us day by day, with these big six wheeler transport used to bring the supplies in, they took us back a few miles each day towards Paris and that, that’s where we finished up in Paris, one [unclear] did the time, that flew us from Paris to, forget the place now, I remember we had lunch [unclear] fish our fish is the best of all the Sunday lunch I’ve ever known, interrogated as quarter [unclear] as regards the performance of the aircraft, any spies, any stool pigeons, anybody like that, it was a bloke, forget his name, dammit, he was notorious but then I knew all about him and I don’t know what happened to him. But yes that was Lamsdorf for [unclear] yes. As I say, German officers sent for us, sent for me one day and in the main office and there was a German guard behind me walking with his rifle always walking behind you [unclear] shoot me but he wanted to know what my attitude was to the Russians, what my attitude was to the Russians, now they were dead scared of the Russians, yes, dead scared of the Russians, what do you think? I said, [unclear] if they attacked England, you know, I joined up and attacked them like to defend the country [unclear] saying that you know, wanted to know what my attitude was [unclear], I don’t know If I was the only one but they sent me two or three times and I, he was American cause he said to me, he said I’m a goddam American in the German, the German army, you know, and I could say, what are you doing in the German army [unclear] and things like that [unclear] I don’t know but that did happen, yes, want to know what your attitude was, what the British attitude to the Russians were, was alright, the Russians were alright, yes [coughs]. [unclear] to the camp, the barb wire, look out through the barb wire, see the typical German trees and the greenery enough in the spring and summer was nice, in the winter was bloody awful, I mean, there’s a [unclear] and you could hear the dogs patrolling the outside of the guard [unclear] you know, and there are all lights [unclear] and you went in the door of the hut, was a great big bulk kind of thing that they used in the night in case you had to [unclear] you know you couldn’t [unclear] the compound the [unclear] conditions were bloody helpless, just a [unclear] shed with a lot of wooden seats with [unclear], no cover, it’s not awful in the summer, terrible at [unclear] you know and it was whilst speaking earlier about the Dieppe prisoners, the Canadians, a lot of French Canadians killed and I reckoned, the Germans reckoned that our people took the German prisoners and chained them up with the result that we finished up in chains, you could just get under your pocket, handcuff [unclear] and you walk about like that, you sat, you sat [unclear] every morning, detail two or three blokes [unclear] big [unclear] all the chain across and bring them up from the office and then put them on you know, you walk about like that all day and if you wanted to tend to the nightshift, you get somebody of the German to unlock them, [unclear], we did all that, did all that and the parcels, [unclear] they were coming through but of course had always blame the RAF for bombing the railways or the Russians, was always blaming them, [unclear] the parcels, what you expect, we can’t get the transport, you’re bombing the railways and all that business but when we did get them, I mean, used to go down and I mean, I forget what country [unclear] parcel [unclear] us but perhaps put a pair of socks inside, just a pair of socks and [unclear] chocolate and cigarettes and of course the Germans all that when they used to go in the office and collect the parcels, this is a private parcel [unclear] that I [unclear] and cigarettes had stuck in [unclear] any messages inside and things like that you know and yeah and oh there’s a lot of chocolate, well of course that was the currency, soap and chocolate, you could get away with it, if you could bribe the Germans with that definitely and one of the blokes did and then another thing, you could go out on a working party if you wanted, if you felt that way inclined, go out on a working party, you’d pick somebody who looked you like [unclear] same way [unclear] and all this stuff and [unclear] identity, I’d go and [unclear] you [unclear] on a German farm, you know, work on a farm, get food and all that, get as much food as I wanted, you know, [unclear] like that, yeah, but we had the chance to do all that but [unclear] what you do to your [unclear] and I [unclear] by going, you know, to work you’re helping them, if you’re not, you’re not helping them and that was the idea but the parcels obviously they [unclear] parcel pretty good and milk and all that kind of stuff and there used to be one [unclear] every week was the M & V meat and veg bourse, they decided the cook house, the British blokes working in the cook house [unclear] German, they take a tin of meat and vegetable out to you parcel every week and cook it up for you kind of business that used to be great but of course there was a lot of racket going down there with blokes pinching more than one tin and all that, you say lot of that going on meat and veg always [unclear] and but we still lived alright work in twos parcel you get a parcel two a week [unclear] Tuesday or Thursday I think he does and collect the parcel and two of us living on the one parcel for two or three days and they try and get another one [unclear] part of our beds, there’s a little, have a little cupboard and a shelf and tins of this and tins of that and tins the other and cause I remember when [laughs] we had, came over the tannoy that we got load the camp at two o’clock in the afternoon the German commandant came over and he said that, you know, you gotta be ready for two o’clock, it was all queuing [unclear] all blankets and all that, you know, and we got tins of condense milk and all that kind of stuff [unclear] you know I remember I was sick of the bloody[unclear] wouldn’t let it fall under the Germans or under the Russians and, yeah, we took all this food and when they threw us, the first night when they threw us into this barn, great big barn, with straw on the floor and no lights and anything, no [unclear] and nothing like that and I felt sick and I wanted to be sick and I remember I got some new handkerchiefs had been more than seven days before and I was sitting all these handkerchiefs and that, you know, I’ll always remember that, sick as an [unclear], get up the next morning, you don’t know where you are going, what you were doing, I asked for a drink of water, no one would give you one, someone would give you drink of water, others wouldn’t, had promised you some [unclear] potatoes, cooked potatoes in big wicker baskets at the end of the day but you never got at the end of the day, you never got them, cause I [unclear] one or two of the German officers I reported it [unclear] one of them books down there I mentioned his name [unclear] what his name was but what happened I don’t know but they weren’t very, as I say, they never treated us, they never treated us too bad, anybody getting beat up or anything, cause lots of people, as you say, [unclear] to us, French Canadians captured at Dieppe, there were Sikhs and Indians and all kinds of, Palestinians [unclear] a year, the interrogator, he was a Palestinian, [unclear] Zelba, I don’t remember his name, and he used to do all our deals for [unclear], he used to get us a bit more coal to put [unclear] brickets to put on the stove, in the [unclear], you know to keep warm and we used to give him cigarettes and [unclear] and he used to bribe the German guard, he could speak German, he was born in Hamburg, as I say, he joined, he was with the RAF in Cyprus, and when Cyprus fell of course he was captured [unclear] Germany [unclear] collect cigarettes and all that, that’s how we used to get our stuff, listen to the radio every night [unclear] the bulletin come round, anybody caught with radios [unclear] every so often they would come and have a search they turn you all outside on a day like this, they turn outside early in the morning and they’d be out there all the bloody day, turning all your bed was ripped out, all that, you know [unclear] and put in detention, you know, and he ran away and the Jerry guard on a, it was on a Sunday and we was all lined up outside we saw all this going on and he ran away the chap did and the German guard got down on his knees and shot this bloke you know, he told him to halt and all that but he wouldn’t and that was going out on working party, yeah, but of course we gotta a senior British medical officer in the camp and he used to look after and he complained [unclear] and the leader of the camp was a regimental sergeant major [unclear] during some [unclear] and he had the badge at the back of the camp because [unclear] artillery [unclear] once and they always wore the at the back [unclear] he’s a camp leader but, you see, he outer perimeter [unclear] look at the people strolling and on a Sunday afternoon in the summer, I was looking and also he was looking [unclear] and former [unclear] and they had a dance round there and you could study, got to night school and [unclear] did a bit of that but [unclear] a bit smoking and could have a bit of walk now and again, you know, yeah, waiting for the news every night how far the Russians had got, how far, yeah, it was an experience, but as I say, really [unclear] one thing trying to get [unclear] more to do a book on the great escape or something but it was written by the one of them Tornado pilots or navigator who got shot down and of course [unclear] the forty’s war was lighter and he [unclear] but [unclear] I can’t read properly although I do a lot of reading. I met a German air force officer and he stopped and talked to us, spoke perfectly English and he said he was sorry for what we’ve been treated and he got us for that night, he got us in his barracks kind of place, like a German naffy, we [unclear], we could eat a German eat [unclear] in their naffy and he got us some brickets to put on the stove and there was straw on the floor, pallet on the floor, and pack of ten or twenty Polish cigarettes [unclear] concession [unclear] for what we’ve been through and we’ve be going through cause that was a [unclear] German, I remember I loved to know where we went and how many miles w covered, I never got to know that [unclear] laughing but I was a bit more serious on that and of course I combed me hair and do myself up but when our working party went out that was the main gates past the office where all the girls worked, checking identities and that cause look at your photo and, you know, oh that’s not you, you’re somebody else and used to be play the band and then march out and I knew a couple of guards, officers, forget what I was in, was in the cavalry, I was six foot, very look smart when I went out and that was to intimidate the Germans cause I looked a real scruffy lad. I think it was on the route to, perhaps on the route to Lamsdorf and they put us in a waiting room and there was all German soldiers in their uniform sitting, all [unclear] drinking and eating but we had to head up the corner, was about half a dozen or more of us and I remember the pipes was on, was warm in there, I mentioned it was warm and this one German, he says, we’ll make you sweat before long, you know, make it hot for you, always remember that, we were there cornered up in the corner, no sitting at the tables, long long waiting [unclear] the station in the waiting room, no, they wouldn’t let us sit at the table, on the chairs [unclear] on the floor and when they took us to one Sunday lunch on they took us to get on the train to go to across to this camp, all the Dutch people was crowding round us cause we stood there in a circle, was guards there with the rifles just waiting for the train to come and the Dutch people would inquisitive, you know, and I was given just a [unclear] and laughing at the Germans backs, you know, [unclear] that them kind of things, you could see [unclear] definitely.
MJ: On behalf of the International Bomber Command I’d like to thank George Hextell, Warrant Officer, from Squadron 51 for his recording on the 4th of January 2016 at one thirty. Once again, thank you again.
GH: Right.
MJ: And that was one hour and
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Title
A name given to the resource
Interview with George Hextell
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Mick Jeffery
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-01-04
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AHextellGJE160104
Conforms To
An established standard to which the described resource conforms.
Pending review
Pending revision of OH transcription
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:55:04 audio recording
Language
A language of the resource
eng
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Royal Air Force
Royal Air Force. Bomber Command
Description
An account of the resource
George Hextell joined the RAF as a flight engineer and flew operations with 51 Squadron on Halifaxes. After being shot down over Holland, he became a prisoner of war. Gives a detailed account of how his capture, imprisonment and liberation. Describes various episodes from the POW camp Stalag VIIIB: living conditions; food barter; witnessing an attempted escape.
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
France
Great Britain
Poland
Netherlands
France--Dieppe
Poland--Łambinowice
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1940
1941
1942
1945
51 Squadron
aircrew
Dulag Luft
final resting place
flight engineer
flight mechanic
ground crew
Halifax
mechanics engine
mine laying
prisoner of war
RAF Marston Moor
RAF Padgate
RAF Snaith
RAF St Athan
recruitment
shot down
Spitfire
Stalag 8B
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/453/7952/AAn00799-161126.1.mp3
f9b30a813106be7cb07604ec90224c46
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
A survivor of the Cordenons bombings (informant B)
Description
An account of the resource
One oral history interview with an informant who recollects her wartime experiences in Cordenons.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-11-26
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
An00799
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
MDB: Sono Marco Dalla Bona e sto per intervistare [omitted]. Siamo a Cordenons, è il 26 Novembre 2016. Grazie a [omitted] per aver permesso questa intervista. È inoltre presente all’intervista suo nipote Mario De Piero. La sua intervista registrata diventerà parte dell’archivio digitale dell’International Bomber Command Centre, gestito dall’Università di Lincoln e finanziato dall’Heritage Lottery Fund. Prima di cominciare, la prego di rispondere alle seguenti domande, in modo da essere certi che questa intervista venga registrata secondo i suoi desideri nonchè in accordo con le condizioni poste dai nostri finanziatori. È d’accordo che la sua intervista sia conservata in perpetuo come documento liberamente accessibile al pubblico da usarsi per mostre, attività di ricerca, istruzione, nonché come risorsa online?
SML: Eh sì ah, go ditto sì. Sì, bon.
MDB: Sia resa possibile, sia resa disponibile al pubblico mediante una licenza Creative Commons attribuzione non commerciale, indicata come CC-Y-NC il che significa che non potrà essere usata a scopi commerciali?
SML: Sì, bon, aiutame.
MDB: Sia attribuita a lei?
SML: No.
MDB: Eh, ovviamente questo comporta che la sua intervista sarà resa anonima da.
SML: Eh sì.
MDB: Acconsente a concedere all’università il copyright del suo contributo per l’impiego sotto qualsiasi forma ed è consapevole che ciò non preclude il suo diritto morale ad essere identificata come esecutrice ai sensi del copyright, design and patents act del 1988?
SML: Eh sì, anca lì gavemo dito, bon.
MDB: Acconsente di essere fotografata per il Bomber Command Digital Archive?
SML: No, no.
SML: Grazie. Possiamo cominciare. Allora mi racconti se, partiamo da cosa faceva prima della guerra? Da quando è nata?
SML: Prima della guerra, beh, son nata là zò de la zona industriale. La via della zona industriale era solo una casa lunga, come quella là, e due famiglie. La Via Chiavornicco nessun i la conosseva, nessun i la conosseva. I la conossu ades, dopo dela zona industriale. Facevo la contadina, andavo sui campi, sì, a terminare la scuola, la quinta elementare a undici anni e dopo cominciare ad andar sui campi. Anche dopo sposada, sono sposada e vegnuda qua, ho lavorà un do, tre anni e dopo sono andata in cotonificio, qua al Makò a lavorar. E gò lavorà per trent’anni lì finche son andada in pension.
MDB: Dei bombardamenti cosa si ricorda durante la guerra? Il ricordo più, più antico che ha riguardo ai bombardamenti.
SML: Me ricordo dai primi, allora le case non so se conosce le case Gardonio verso la Miduna [Meduna] la sentìu parlar?
MDB: Um hum.
SML: Ben, quelle ultime cinque case là a sinistra, iera tuti fradei del nonno perché la mamma la vegniva da quella famiglia là e la era na xia e la gaveva tanto radicio no pei campi. Mia mama la iutava a cior su un ses de radicio e chi lo porta in piaza a vender, son andada. I capita i altri che se ghe diseva i picchiatelli i caccia, ma i caccia chei andava a bombardar sul Meduna no se li vedeva arivar, te li vedevi, perché iera alti, i vegniva zò così, quando i fazeva questo scherso te sentivi che indava via e mitragliava. Mi iera sul camp, arriva de Via Solde de un ruscel de acqua che l’è ancora là e l’era tanti cespugli de acace però i aveva i sopi veci soto. Cossa io fat? Dai camp che re alt vai drio la riva a sconderme drio de un, ma allora go fà come le rane che le scolta, le pianta la testa e le lassa fuori il corpo. Alora mia, le pallottole per sora, varda, e l’era tutto e i mitragliava con la venti millimetri che le era cussì che mi fasevo i vaseti dei, da meter i fiori dopo. Ma go ciapà tanto de quela paura, ma tanta che no ve digo. La prima che go avù, dopo xè rivà i bombardamenti. Alora speti ades che me concentre qua, i vegniva su per sora dei noialtri là, i vegniva su a gruppi, sette, sette, sette il primo, sette, sette, sette gruppi formava quarantanove eh, sì quarantanove cosi. Allora ge n’era quarantanove qua che i ndava su, i se distacava de zinque minuti, iera queialtri quarantanove che i andava su. E quarantanove, i cominciava anca la mattina alle otto e mezza, i finiva a mezzogiorno che i ndava in Austria. Che se sentiva el terremoto anca qua, quel de l’Africa, quel de l’Austria. E dopo i tornava zò verso Casarsa. Casarsa, dopo un po’ de tempi, i ha mes la contraerea. E coi passava i zentrava da, i na’ ofeso un persona se ha vista fumar che sà brusar e dopo non lo so dove cl’è ndà, perché non è come ades, la television ch’i da tuti i particolari, se saveva per via de voci che l’era cascà. Bon anca lì. Alora i vien su e i va a bombardar a Casarsa una notte, el vardi qua, i balconi i faseva cussì dal lo spostamento de l’aria perché l’era la contraerea là. Bon, dopo i la cambiava, da un posto i l’ha messa quell’altra e avanti. Un giorno me trovo in latteria a aiutar a far formaio e vien su un de quei che andava su ma l’era passà le montagne, la girar e l’aveva il rumor dei motori perché l’era bimotori e il rumor dei motori non l’era quel sano, l’era un rumor malà, alora fora coi der mi e il casaro e quei de la latteria, e su, drio la linda se lo vedeva vegnir zo piano ma pian e se spostava e gà molà le bombe che era qua de sora ve digo che [unclear], le cascave qua avanti, lì del brun. Alora l’era le bombe che doveva portar lì in Germania e l’era quelle, se ge diseva dirompenti perché non le ndava soto, le, quando le tocca tera le scoppiava. E se ne cascade sul cortile de la famiglia qua che la gà copado un ragasso che l’aveva diciannove anni, l’era nome, eh, bon. E dopo lui aveva far su le case il disastro che la famiglia de dove che l’è cascade, l’è vegnuda a dormir qua dopo perché non era possibile andare lì. Anca lì gò ciapava paura de trovar e sgravons. Un’altra volta ie tornado in drio lo stes un ferito e me. Alora a la matina l’era sta tanta piova e se andava la xò de la zona industriale l’era un, tute quelle praterie là, l’era una buona parte della mia famiglia la xò e parenti, ma l’era tanta acqua perché il canale spandeva e veniva su le ninfe, su i busi dopo co vegniva piova l’era un canal. All’une, quasi sempre vegniva su i bombardieri l’una, quasi tuti i lunedì i rivava. Alora avevo da resentar la roba mi che c’avevo quatordesi, quindesi ani, quatordesi ani avevo, a resentar la roba, ho dito:’ ma vai in Miduna’ che la Miduna l’era più lontan, vai lì, vegno su col careto e el cesto dela biancheria che devo lavar, gnanca rivada sul cancel el, [clears throat] el torna indrio un aereo, ferio anche quel e l’ha mollà sette bombe sul crocevia Mario, lì della casa dei miei, cascade tute sul crocevia, tute, el vardi, su un tre metri quadri, tute le sette spolette, e le sette spolette le era cussì e le’veva una vide, le aveva una elica e una vite, tute sette lì l’è cascade. L’è passade per sora la casa, el vardi, i portoni de una stalla che non se aveva ben, chei faseva cussì, il demonio, passate ste sette bombe qua sora. La domenega iera sta piova e se gaveva i pantaloni de mio fradel che quel l’è encora al mondo, mi tuti cussì sula finestra, i ciappa il sol perché se andava via quella volta, se se bagnava, e alora i meteva, sera el balcon che se sugi le gambe de le, le aveva quattordici busi le gambe dale schegge, perché l’è cascade quante sarà, dosento e cinquanta metri, tresento da casa arrivar quà so dove che l’è, adesso presso po’ [unclear].
MDP: Sì, sì, sarà, quattrocento metri.
SML: Alora l’è cascà sette bombe, sei l’è scoppiade, e una no. Facio, quele scoppiade non era dirompenti de qua, l’era quelle che l’è andava soto, e che i veva, da bombardar non so dove mi per l’Austria, la Germania, non se sa dove. I resta una de scopiar, alora ciò andavi, finio, finio l’alarme perché i cessava l’alarme quando che l’era finio, il buso che l’endava soto quella che l’è scoppiada alle undese de sera. L’era fatto, gnance un buso, el segno che soto l’era qualcosa. L’è scopiada alle undese de note, quella bomba lì. L’ha fato un buso che l’era andada soto e tanto, che stava dentro sta casa quà. Ge digo un lavoron de sta bestia, de sta bomba. Anca lì go ciapà paura e dopo non son più andada a lava là perché me pareva sempre che li beve sule spalle da...
MDP: Sta qua non scoppiata era caduta nella, su quelli che andavano a lavare alla roggia
MDB: Sì, perché se andava in Miduna a lavar e dopo in continuo i caccia sul ponte della Meduna coi fioi cussì se capiva se no. Dopo go ciapà paura un’altra volta. L’era sempre un sabato, iera sta piova, i nostri omini, mio papà, me xio, Federico, Giorgio, ti non li ha conosè, sì, Federico, i andava dai xii Gardonio l’ultima casa della Miduna, era che l’era là il trasferimento co pioveva, co l’era la neve, noialtre femine sem a casa che a sabato se puliva i seci de rame, se puliva i cuciari che quela volta ieri i cuciari de oton non iera quei de aciaio de adesso, i quei dei oton i vegniva lustri come. Sentin su la strada un toc-toc drio la casa che la vien avanti che la portava al ponte del Meduna che l’è quella de adesso, un toc-toc de cavai, i feri dei cavai, l’era un caro fat a scalera con quattro cosacchi e quattro cavai. I cosacchi, qua non ghe iera tanti, ma verso, coso, Tolmezzo, i iera tanti cosacchi perché quela volta i ghe aveva promesso che se vinseva la Germania, il Friuli ge lo dava ai cosacchi, a quela gente lì. Era tre ansiani col colbacco, quella non me ricordo e un giovane, non l’aveva niente in testa, un bel fiol zovane. Alora i vien dentro, ciò xè tute femine lì, e se iera quattro, cinque, io non so quante femmine, iera e i domanda fien per i cavai. Allora mia cugina zovine, che l’aveva il marìo soto i inglesi e dopo de Roma, la fa per andar su per la scala, ma: ’no, no,’ el ga dito, ‘faccio io’, e andò su i russi. Adeso te toca darghe quel che i vol e no dir basta e invece i se accontentà de poca roba. Alora el zovane, prima che cominciar a portar fora el fien sul carro, el me fa a mi, me par ancora de veder sto dio qua, sto: ’tu, sposata?’, ‘no’ go dito, el se gira col fien per andar fora sula strada gaveva de andar fora che iera sconto o ciapà de corsa, son ndada là che iera i omini: ’vigni che è i cosacchi, vigni che è i cosacchi’, non podevo nianca respirar co son rivada, per i campi per andar là dai miei xii. I vien a casa de corsa, cosacchi non iè più, i iè dito i è andadi so verso e la zò se vedeva verso il ponte del Meduna allora me xio che era un cazador [unclear] e ghe fa la tira per dove che i va. Cari miei, dopo un po’ che iera andadi zò sentin mitraglia par quà, mitraglia par de là, non se sà se li ha avertidi, sia rivadi per combinazion i picchiatelli, i li ha copadi i cavai e anca omini, tuti sul guado che non ‘ndava il ponte quela volta perché l’era disagià, caminava su l’acqua chi’veva fato il cimento soto aposta, camion tuto, il meso che ‘ndava su verso Udine, i li ha copai tuti quattro, militari e anca i cavai. E alora noi altri mi xio sò par là, chissà se, xio Bebi, ti non te lo gà conosù, no, a l’era un cugin de mio papà, [unclear] assieme, bon, ciapà paura [unclear] non se sà sì sì perché l’era poca distanza in linea d’aria eh, anca lì gà ciapà tanta paura, mi gò ciapà paura anche par i cosacchi, perché i fioi non [unclear] con le femmine, sì quella volta. E dopo coi bombardamenti in continuo, in continuo, che il lunedì iera infallibili, quarantanove, un po’ piu grandi, un po’ piu’ picoli coi quarantanove, lontan, i luccicava co l’era el sol, in quarantanove fin che te li vedeva, e dopo i vegniva zò per Casarsa, e bombardà Casarsa, dopo, dove anca, quà a Pordenon, quà a Pordenon i ha bombardà, sì, verso la stazion, che l’era, e suo pare l’era Romanin amico de mio suocero qua, el diseva, vegniva su le nuvole bianche, guardà feminis quanta lana da filare che l’è lì a Pordenon, se vedeva, eh se vedeva le, le, quelle de picchiatelli anca co iera sette bombe e dopo l’era quel de note che non ne lassava dormir. Eh cossa ghe dixeva lì, el, [sighs] el meteva zò manifestini, el vegniva basso, el passava per sora le case che el feva quel rumor, meteva zò fasci de bigliettini, na volta la metto zò, ‘io sono Pippo, aviatore, no, Pippo, cose, di notte, di giorno lavoro e di notte faccio l’aviatore’, l’era, tute robe in rima chel’meteva zò, anca quel el faseva dano e se l’vedeva un lustro, lì che vedeva il lustro, l’meteva zò e noi eran qua a passar le grave [unclear] gà ciapà tanta paura. Dopo queli de notte anca non le andava veder, se andava sulla stalla perché quella volta là era là el posto. Una notte i vien, i bombarda el Ponte della Meduna e i meti zò i bengai prima, bengai iera dei tubi cussì de acciaio che’i feva il foco e i aveva el paracadute di pura seta che mi andava a veder per ciorli su e l’aveva zà ciorl su il moroso de na mia cugina, bon. E vara, l’era sul nostro cortile te podeva infilar un ago dal lustro, te vedeva le pallottole che le se incrociava ch’i bombardava come, perché il ponte del Meduna l’era su una casa lì dove che l’è el sotopassaggio, ades xè soto prima l’era da sora, appena del sotopassaggio l’è una casa non so cossa che l’era una volta che, e la stava una cugina nostra, e i aveva lì, su quel caseggiato lì, quaranta carabinieri e i faseva tre turni de guardia al Ponte del Meduna perché che’l non andassi i partigiani a farlo scopiar. I si è accort e li è andadi a bombardar là il ponte ma per fortuna non i ha fa danno per i militari. Ben, noialtri con quei altri il suo da far. De not l’era stà la piova sentin un caval che veniva su dal Ponte del Meduna e iei i partisani che col fusil i ciama me xio. Mi e me cugina, andavo a dormir con mia cugina mi, quela che gaveva il mario soto i inglesi. [unclear] ‘chiudete quella finestra altrimenti vi sparo’ mi ho riconoscu la vose des to individuo l’era un ciarlatan. Veniva zò me xio: ‘chi è quel lazaron che me clama per mi nom, el me punta el fusil in mies, fra le sfese del cancel’ ‘aprite’, i verzi, l’è un caro de roba, no i vestiti di carabinieri, ma tutta la, tutto quel che i veva, coverte, i aveva quaranta coverte da casermaggio pesanti, de lana, bele, nove, aveva quaranta de [unclear], alora i porta sù la stala, me papà e me xio, ‘va, va, faghe la tira’, paura, fatege dir cossà i fà, tira fora sula stala invece iera, par furlani e va aiutadi portassi il basco che queglialtri e uno lo butti, te me capisi che parlo cussì? sui pedai di Murans che si andar zò dove che io doveva de andar, aveva dei murari grossi cussì, e barba el dis, ‘so io de sentinella’, l’era un furlan, e arrestadi in quattro ore. Passo la roba, i vestiti, le biancherie, tutto, e i aveva una velocità [unclear] de cursa e una trovà un orologio el saveva che la iera in qualche parte ‘mi ho ves che’ e me a fa, sito, mi o dit niente, e dopo i continua a portar, i metter sui sacchi ste coverte, i le porta zò sul bosco, mi e me cugina a portarghe merenda, mezogiorno e cena per una settimana. Allora un giorno vai zò, go dito adesso [unclear] e dito, giovani, ho dito me de un do siole de quelle lì da farle, i aveva un tascapan de siole decorà ma de quele ma le iera cussì striche non ritagliade che o dito a un mio parente che me fa far un par de sandali. Sì sì, ga dito, ciapa, me le ha date, ho fato i sandali che ho portato anche quando son sposada coi sandali lì. Bon, e dopo i passav, i me ha dato una siarpa, di seta blu, che, e l’aveva delle mezelune sormontade, una meza bianca e una gialla, di seta, a mi che me piaseva cusir, far ste robe qua, me mete per far, el papà: ’scondighe la siarpa che i non si vie qualchedun dei carabinieri che la conossi’ e scondi la siarpa eh, non te pol tirarla fora. Al giorno dopo voio de andar a Pordenon, son andada pel ponte della Meduna e l’è el comandante al braso de una signorina sulla strada che il feva tutte le smorfie. Poi fai i lavori che non so cossa xè de far, torno a casa e ghe dighe, ‘savè che gò trovà el comandante con la signorina là, non li rivedo lì sul cancell!’ Ho dito, l’ho vista, ho dita, a spasso, ho dita, dalla parte là dei carabinieri, Eldis, non è mica mia moglie, neanche la mia fidanzata, Eldis è una partigiana come noi, e allora siamo andati a spasso per far vedere che lori iera do innamoradi, si andava a veder le voci. Perché sa tu dove che iera, [unclear]la vizin de dove xe deso il centro del Meduna che l’é quella casa vecia de contadini?
MDB: Um hum.
SML: Lì da quella casa lì una mattina ia trovà un carabinier in mutandine [emphasises] che i gaveva portà via tutto! Tutto i gaveva portà via! E insomma, gavea portado a magnar, dopo ghe domandar la siarpa e me l’ha data e ho portato a casa quella. Dopo cossà avevi che, ah, i veva un tascapan de prugne secche, ho dito, ‘cos fe’ voi de quella roba lì, dame a mi anche un po’’, i ge domanava a mia cugina, la me diseva: ’a ti te da e a mi non me da nui’ ma dopo quando sem a casa magnassi assieme. Ma anca lì gavemo avudo el nostro da far e dopo i è vegnudi a ciorli, a ciorl la roba. Un qua da Cordenons, pueret, el aveva el papà e do xii, no ansiani, iera i genitori, mandar un toset a disdoto anni col caval a ciorl la roba e menarghe su la roba in montagna che mio papà dopo il ghe ha dito suo padre :’ara che te ha gavudo un buon coraio mandar Toni Fantin’ quel era venuto a ciorl la roba per portarla in montagna e invece le armi chi aveva i carabinieri li aveva sui sa che portava la roba lì de noialtri e i andava su in montagna coi sacchi e le armi chi doveva portar via. Dopo anca tanta paura non solo di aerei di partigiani perché là sò i partigiani li ha fat, mi lo dighi a tuti, i partisiani sò per là i varà fat a po’ no. Allora, [sighs], me par de sofegarme quando che parle dei partigiani,
MDP: [unclear]
SML: I è scampadi, petta come se, non so, prima de rivar al ponte, a destra che l’è quel capannon iera accampadi lì e a sinistra che l’era i terreni de e una volta le iera la fornace lì e i aveva dove ch’i giocava sulla creda e dopo i aveva dei cumuli cussì che noialtri fensi le legne e, i va a accamparse lì, i vien a dormir sula nostra stalla, de note passava la pattuglia tedesca perché se la sentiva parlar, e noi altri si viveva lì. Lì aveva il deposito de, ‘eh doman andar a Pordenon a sequestrar tizio, caio’, allora me papà la mattina buon ora via de corsa a Pordenon, va là de quelli: ’ste attenti che i partigiani’. [sighs] Dopo el vien la disfatta, i ha le armi, i le sconde, ti non te sa là che stava la Maria Egidio, dentro la, l’era in autunno chi aveva taglià il sorgo da far le scove, era mietu cussì li sotte, ala domenica per i fioi, i trova le armi cominsia a sparar. L’ultima casa de Gardonio aveva una pompa artesiana che nissùn sa da dove che la vegniva, la buttava cussì, bassa, e l’era lì mi sia e una sfolata che suo fradel lavorava, l’era impiegato in cartiera, sbassarse perché le pallottole ghe passava per sora. Allora quei de Gardonio là iera andadi via ga dito portè via quelle armi ma non se sa dove che i le gha portade. I le ha portade lassù i diseva de Giovanni Pez del casell che vien zò l’acqua di sera, del Meduna che vien zò l’acqua del canal, vien el 18 di gennaio del ’45, sì, una cugina mia che la ga avù una fia, i me a dit, se andai, i me ga dito, ‘varda che la [unclear] a avù una bambina’, alora bon vegno sò a casa contenta a dirghe col sac de la farina sulla cosa. Co son sulla sponda del canal lì della cartiera, l’è il camion dei cosi, delle camice nere e mi, el comandante de Pordenon el se ciamava, bon, le me pensi, e lo conosù, e vai zò, man man che andava zò trovava sempre camice nere, arriva sul crocevia lì, che vien sò per la nostra strada quei altri che andava zò per, i miei parenti per andar in Meduna e l’è un me zio dalla parte de mio papà, li gà [unclear] iera cussì e ghe, l’era la neve intera, i ghe sparava una volta da una parte, una volta dall’altra le camice nere, che ha da dirne dove che iera i partigiani, dove che l’ha le armi quello el aveva tanta paura, nol saveva nè dei partigiani nè delle armi, ‘non so, mi non so’, il ghe diseva, ma i continuava. Allora mi mollo i carell drio la strada e via de corsa là dei miei, iera de Gardanio perché giera sta la piova e la neve, via de corsa. làla è la sfolata che la iera la morosa del dottor, ginecologo de Pordenon, che l’era quel rinomato, ’Anna, ah lei è il tenente Colombo’, Colombo se ciamava, tenente Colombo lassù del, che l’fa, cossa? Me ciapa la bicicletta che iera sol che le rode quel del moroso che vegniva a trovarla. La va sù e la ghe disi cossa fa tuti qua? Vergognite, va via de qua! Che per sta gente qua, son responsabile mi, le armi le iera, varda là che l’era, dove che l’era le armi. Adessi le portava via e non savessi dove. El fila e va via. Va là su de Giovanni Pes che disevo noialtri che l’era un cugino de mio suocero qua, l’era lui e suo fiol, che suo fiol l’era un partigian de quei che. Ma go ciapà tanta paura, col camion i andadi sù, le pale i veva, i saveva tutti, le camice nere, i ga dito, ades vegni qua, vedè de tirar su quei tre morti che ve sotterrà qua, l’era un tedesco e do italiani ma de quei, no de qua, no iera, i ha fatto tirar su i morti che iera soto e fati caricar, el dis, el fiol, el gaveva paura, [unclear], il giorno prima se vignudo me papà perché mio papà l’era el padrin de cresima, ah santa quanta paura che go ciapà ieri, pensè che mi meti sul camion con mi con lori, e xè andadi via coi tre morti le camice nere e dopo i rivadi qua che i vegnudi su i americani e stada tutta un’altra roba.
MDB: E durante gli allarmi come si sentiva quando suonavano le sirene?
SML: Ah, vara, non te saveva. Intanto se te iera per i campi te doveva vegnir a casa. Una volta se men trovà con una fila de bestie in mezzo ai campi, fortuna che l’era un fosso per scolar l’acqua perché la sò iera argilla e ghe voleva da scolar l’acqua. Andar sotto le piante, sotto le vide tutte ste bestie ma lori le vedeva lo stesso, ma li aveva altri obiettivi, per loro, i ndava sui obiettivi mirati dove che i saveva, diove che iera. Quando ge sonava l’allarme? Te prego che non. A me sorela, quella che l’è morta pel par che l’è do anni i ha fa perder un anno de scola perché non era possibile mandarla a scuola e de note sonava l’allarme e iera da menarla sull’ultima casa là dei nonni che l’era sto foss che lè ancora là, un fos cussì, allora i l’era midù, tutti travi unidi, e i aveva coverto un tocco de fosso, e sovra i aveva midù sacchi dei sabbia in modo che se cascava anche bombe piccole no, non le vegniva sempre sul fossal, ha portarla, sempre, la zò. Sul fienil vigniva tre, quattro de lori, il dottor Moro, quel, quel che l’è
[phone rings]
SML: Allora de note l’ha portà in fossal allora il vegniva il dottor Moro che l’era sul fienil che el vegniva zò a dormir tute le sere qua zò perché l’era sta rastrellamento anca, ai 23 de luglio, petta, i 8 settembre l’è sta la division che il re l’è partì lu e so fiole, ma iera a Napule e dopo l’è vegnù, el fronte l’è vegnu a Roma e dopo de Roma, Cassino. A Cassino l’è stat otto mesi che mi scoltava el bollettino de guerra, dovevo andare ogni sera a comprare el giornal della sera per me e papà. El leseva el bolletino de guerra metevimo tutti da parte tanti, dopo xè rivà mia sorella, ella ga buttà via tutto e la mia cognada. Mi scoltavo sempre el bollettino di guerra. El fronte l’era a Cassino che l’ia buttà zò el coso de Cassino, de San Benedetto, perché i pensava che dentro fossi stà tanti tedeschi inveze ge n’era pochi, iera un pochi de polacchi e basta, non l’era tanti militari, otto mesi l’è stati avanti indrio, finché dopo l’è vegnu che la Germania, el se gà ritirà i tedeschi, iera vegnudi su queglialtri. Dopo cosa gavevo de dire ancora?
MDP: Come ge sonava gli alarmi? Te stavi disendo?
MDB: Sì, quando suonavano, quando suonava gli alarmi, che vi nascondevate nei fossi.
SML: Ah, lì sì nei fossi finché non cessava. Perché i dava il cesso allarme anche de notte. Ma quella volta i n’era qualche gruppo che l’andava sempre su, sempre su. Il a bombardà anche il ponte del Meduna, sì, anca de note, anche a Pordenon i gà metù qualchedun quà de note, verso la stasion perché i tentava, ehm, i posti dove ch’i fermava le fugite, sì, e lì tante volte mi e me sorelle e far perder scola perché non era possibile mandare a scola, ella con la paura che l’aveva.
MDB: E i vostri genitori che cosa vi dicevano per, quando c’erano i bombardamenti?
SML: Cossa? Ste dentro, non ste andar fora. Eh, i bombardamenti, l’era, ma più de tuto non l’era, qual’è stato il danno de quei due offesi aerei, ma il resto l’era il passaggio che i ndava sù, de qua e tornava zò verso Casarsa.
MDB: E i picchiatelli, come mai li chiamavate così?
SML: Perché i picchiava. E i picchiatelli iera bianchi, contro il sole l’era una freccia che la brillava che iera tre, quattro alla volta, se vedeva quattro bombe coi picchiatelli, coi feva cussì mollava le bombe, se li vedeva a corona, le iera picade una drio l’altra.
MDB: Bene, io la ringrazio per questa intervista.
SML: De quel che go potuto dir, mi no. Date ho poche date.
MDB: Ah ben, le date non, diciamo che non solo quelle che importano, importano le sue impressioni.
SML: Vara, tanta paura, tanta. Son stato anche de quei che i è stadi offesi più de quei che dopo, dopo se gà ciapà l’abitudine chin dava su, l’era anca na abitudine vegnuda, noi faseva danno qua ma quei chi iera offesi, eh sì.
MDB: Bene.
SML: Iera offesi. Posso offrirghe?
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Title
A name given to the resource
Interview with a survivor of the Cordenons bombings (informant B)
Description
An account of the resource
The informant remembers wartime episodes in Cordenons and the Pordenone area. Mentions aircraft en route to Austrian targets contrasted by anti-aircraft fire, while she was taking shelter in a ditch. Reminisces the bombing of Casarsa and the Meduna bridge. Recollects wartime episodes: bombs falling in a courtyard and killing a young boy; four Cossacks on a horse-driven cart asking for hay to feed the horses and her worries about the men harassing women; Pippo flying at night and dropping leaflets; hiding men in the barn house during roundups; her uncle being questioned by fascist militia on partisan whereabouts and weapons depots; Carabinieri guarding the Meduna bridge; collecting the silk parachute of the flares.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Marco Dalla Bona
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-11-26
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:37:08 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
AAn00799-161126
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Cordenons
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Temporal Coverage
Temporal characteristics of the resource.
1943-09-08
anti-aircraft fire
bombing
fear
home front
Pippo
round-up
shelter
strafing
-
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/72/719/ARaffinE161210.2.mp3
7bd5f6ab34fcdd7a3037a24972643f55
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Raffin, Ettore
E Raffin
Ettore Raffin
Description
An account of the resource
This collection consists of one oral history interview with Ettore Raffin who recollects his wartime experiences in Cordenons.
The collection was catalogued by IBCC Digital Archive staff.
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-12-10
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Raffin, E
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
MDB: Allora, buongiorno Ettore.
ER: ‘giorno.
MDB: Cominciamo oggi l’intervista per l’International Bomber Command.
ER: Adesso si parla, adesso si parla degli aerei inglesi.
MDB: Sì. Eh, cominciamo l’intervista per
ER: Io ti faccio presente adesso eh, ti spiego.
MDB: Sì, cominciamo l’intervista per l’International Bomber Command.
ER: La linea di ferroviaria
MDB: Sì.
ER: Che va da Mestre da Trieste era tutta così, un coso, e gli inglesi, di notte viaggiavano inglesi e stavano a, come si dice, a guardare, sì a guardare, a mitragliare e a mettere giù bombe sopra la ferrovia perché passavano i mezzi tedeschi, e di quello che mi ricordo così e si chiamava Pippo [emphasises] l’aereo. Era inglese. Viaggiava di notte. Era uno solo. E si davano il turno, si vede faceva certe ore poi e di nuovo un altro tutta la notte era così, protetta, no protetta, era, era, come si dice, quando, quando succedeva, quando vedevo una un coso, la ferrovia, treni correre pieno di militari o pieno di armamenti, loro venivano giù, ma solo, ma solo, e tutte le notti era questa cosa eh. Si chiamava Pippo questo aereo. Già si vede che aveva proprio il suo turno. Uno faceva non so quante ore poi un altro. Poi io te ne dico un’altra. Qui sopra il mio, nostro tetto qua, per giornate intere abbiamo visto gli aerei americani a squadriglie a sei per sei, eh. Succedeva che quando, succedeva che quando, succedeva che quando, uno si guastava allora non proseguiva perché questi aerei andavano tutti in Germania a bombardare. Qui non succedeva niente, qui viaggiavano a sei per sei e venivano, insomma portati dei caccia americani, no, le squadriglie, tutti, tutte si chiamavano fortezze volanti, ecco. E poi succedeva che qui non c’era niente, non c’era contraerea, però, neanche i tedeschi non avevano più tanti, tanto caccia da, portarci, portarsi dietro però era successo, succedeva invece che quando, con il viaggio lungo, perché questi venivano, adesso ti dico dove, di quello che si è saputo. Venivano da, aspetta, aspetta, aspetta un momento che, deve venirmi sai, dunque sì, sì, dall’Oceano Indiano, eh, sai dov’è l’Oceano Indiano? Ecco, sulle isole là, su quell’isola partivano da, tutti questi aerei, sai, ma per una giornata intera sai, eh, e sei per sei, poi succedeva però che col viaggio qualcuno si guastava, sì, o il motore o non so neanche, tornavano indietro e scaricavano le bombe. Però non hanno mai scaricato le bombe sui posti dove c’era abitazione, cercavano di sganciarle sui posti non si può dire che noi non ci ha fatto niente queste cose qua anzi noi dicevamo e ora che cominciamo a vedere gli americani, inglesi, eh? E come la stessa cosa ti dico e qua la scuola nostra avevamo e inglesi e quelli non possiamo dire niente noi, tutta brava gente. Ce n’erano di tutte le razze, sudafricane, neo, aspetta, indiane, Sudafrica, poi, sta’ attento, tutte intorno avevano le colonie, avevano, erano, poi c’avevano insieme i polacchi [cosacchi] anche e qui io ti posso una cosa dei polacchi questa che è stato un periodo che sono venuti i polacchi [cosacchi] qua, e avevano coi cavalli tutti i suoi mezzi e si sono fermati qua e poi sono andati su per San Quirino, forse sono stati mitragliati dai inglesi perché qua gli inglesi aveva più potere degli americani. Poi ti dico della base americana qua. Quando son stata liberata, prima sono venuti gli inglesi a liberarla, poi sono, poco tempo dopo sono arrivati gli americani. Gli americani hanno messo la base, la base aerea di Aviano. E noi possiamo, mai nessun contrasto con loro, sono stati smistati a fare il suo mestiere a noi ah sì anzi avevamo il piacere di vederli. Poi spiegavano questa cosa. Io vado avanti, così capiscono cosa vuol dire, quando abbiamo visto gli Americani inglesi siamo stati molto contenti.
MDB: E quando scattava l’allarme, cosa, cosa succedeva?
ER: Cosa?
MDB: Quando suonava l’allarme, la sirena d’allarme.
ER: Oh, non suonava l’allarme, guardi, niente.
MDB: No?
ER: No, perché qua non bombardavano. Venivano su dall’Adriatico, prima su dall’Oceano Indiano e andavano su, attraversavano l’Africa là, penso là, e poi venivano su la, imboccavano l’Adriatico e su diretti per l’Adriatico, sopra l’Adriatico, non c’era contraerea, non c’era niente e venivano su, e passavano e andavano su diritti su in Germania. Poi il ritorno non veniva giù di qua, andavano in Inghilterra, tornavano a caricarli di nuovo per bombardare, tornare indietro e bombardare. Perché la Germania era rimasta tutta a pezzi, eh!
MDB: Ehm, e prima della guerra, si ricorda cosa faceva, aveva fratelli, sorelle? I suoi genitori cosa facevano prima della guerra?
ER: Oh i miei genitori. Mio papà era in America, mia mamma era qua, abitava qua con le mie sorelle e mio fratello. Però mio fratello non è stato in guerra perché mio fratello, un anno prima che cominci la guerra è stato richiesto in Germania, perché faceva il falegname. Era a Friedrichshaven e là, è sempre stato là fino alla guerra. Ha sempre lavorato in Germania per i tedeschi. Poi quando è venuto indietro, è venuto indietro per la Francia, mio fratello. Però, come ti dico, altre cose. Io ho visto sai cosa anche. Che quando a Trieste, Trieste cercavano di lasciarlo agli slavi, agli iugoslavi. Ed è intervenuto perché il signor Churchill aveva proprio, come si dice, Trieste perché vada in mano agli iugoslavi. Invece sono, poi sono arrivati gli americani. Io ero a Pordenone che avevano messo i treni che venivano arrivavano e gli americani, gli americani hanno bloccato tutto e Trieste è rimasta italiana. Hai capito?
MDB: Ehm.
ER: Dimmi.
MDB: Cantavate qualche canzone, qualche, facevate qualche preghiera durante?
ER: No, no, non si usava qua.
MDB: Ehm, non so, ha qualche altra, si ricorda qualcos’altra, qualcos’altra da raccontarmi riguardo a?
ER: Io posso dire, quello che mi è successo a me.
MDB: Racconti pure.
ER: Dunque un giorno, eravamo quattro di noi, tre erano del ’25, io ero del ’26, era settembre, siamo andati su per la campagna, andavo a prender uva sai, su, dove c’era qualche vigneto. Sul ritorno, sull’incrocio della via maestra, quell’incrocio che è qua su sai, quando vai su verso Via Cervell, quell’incrocio, quando c’è quell’incrocio lì, poi vai su, vai su verso la campagna ma vai dai su vabbè, là succede torniamo indietro a piedi era di domenica [pause] siamo sulla strada, sull’incrocio, vediamo che la via maestra viene una camionetta col mitra, si col mitra, col mitra, colla mitragliatrice sopra coi tedeschi poi c’hann visto [Mimics orders shouted in German] la lingua non si capiva. Si sono fermati lì faceva adesso c’è un giardino lì, faceva angolo così, si sono messi là, sopra eran due quelli lì, uno l’han impiccato in piazza, il giorno dietro, e l’altro è stato ucciso su per Bicon, sai Bicon, sicché fermati solo ti giuro due di loro col mitra ci hann toccato armi non ce ne avevamo e hann detto ‘andate, andate pure’. Sicchè veniamo giù per la Via el Zervell quando siamo con quell’osteria là erano tutti che giocavano a carte. Siamo andati dentro scappate che sono i tedeschi che vanno a rastrellare e io sono andato, lasciato la borsa e sono andato a casa mia. Quando ero a casa mia io ho sentito [makes a machine gun noise] in piazza, adesso ho detto ‘ammazzano qualcheduno!’. Succede che quando, gli altri sono andati, sono i miei amici che eravamo assieme, sono andati ognuno per conto suo, io sono venuto a casa. Ho sentito [unclear] e la figlia, e succede perché dopo quella cosa che è successo dopo l’ho saputa da uno che era in Argentina con me, un mio paesano, che è scappato per poco, per poco. Perché è successo questo: hanno bloccato il cinema, una volta dal cinema in piazza c’era una mula davanti, era una folla, i cancelli erano tutti aperti e il cinema, erano dentro al cinema solo che arrivano i tedeschi e questa, sempre questa camionetta. E tutti cercano di scappare di qua, di là.
MDB: Ci fermiamo un attimo. Allora riprendiamo. Stava raccontando.
ER: Allora succede che questo. Che quando siamo, sì, io sono a casa mia e sento una mitragliata.
Unknown speaker: porta chiusa.
ER: Bene.
Unknown speaker: devo far el giro de qua, porta chiusa.
ER: Uno era, erano diversi partigiani dentro. Sicchè lui, questo qua che ti dico io, era scappato, e l’hanno preso, l’hanno messo sulla camionetta, assieme con quei due che avevano lì uccisi e anche lui dovevano ucciderlo perché avevano trovato la pistola. Questa me la raccontata lui. Sono rimasto quando me l’ha detto ‘lei non porta’. Arrivato lo hanno detto sicchè uno dei partigiani va di dietro per la via Nazzario Sauro con la bicicletta per andare ad avvertire altri partigiani che erano giu’ per cortina o giù di là. Questo quà prende la bicicletta, prende la strada per andare giù in cortina dentro il municipio. Quando in piazza erano lì con la camionetta han visto uno di corso in bicicletta, han cercato di sparargli, ma poi non han potuto perché c’era il municipio però di là era l’altro lato aperto. Quando lui è arrivato ha imboccato la strada per andare giù han cominciato [makes a machine gun noise] hann ucciso. Quello era un Raffin come mi chiamo io. E’ caduto nella canale, c’era la canaletta d’acqua, è caduto là. E così è successo. Hai capito, l’errore?
MDB: E se dovesse descrivere diciamo il periodo con qualche emozione, che cosa, che emozioni userebbe?
ER: Di che, di cosa, non ho capito, non capiso.
MDB: Se dovesse descrivere quel periodo con qualche emozione, tipo paura, tristezza, cosa userebbe?
ER: Sempre paura, caro, sempre paura.
Angela Piccin: Tanta paura, sempre.
ER: Sempre paura.
MDB: [unclear] Un giorno succede che le voci dicevano che sta avvenendo un rastrellamento, e la gioventù sai. Sicché bene mi dice la mia cugina che abitava di là ‘Ettore, ti dico io se c’è qualcuno la mattina presto’. Sai perche’ quando sei giovane, dorme di più la domenica, boh, niente. La domenica dietro, no, l’altra domenica, abbiamo detto, eravamo d’accordo col prete è siamo andati a dormire sopra la chiesa, abbiamo passato la notte là e poi torno indietro, niente.. Va bene, sai, la domenica dopo è successo che erano, son venute sicché mia cugina mi ha avvertito e io sono scappato. Sono andato da mia sorella che c’aveva, sopra il granaio aveva un, come una cameretta col, proprio col balcone e là, son rimasto là. Ma gli altri venivano non so, se c’era a casa mio padre, portavano via mio padre perché se non mi trovavano a me perché c’avevano una lista. E allora è andata liscia. E ho saputo della cosa qua, del, dei tedeschi in quella volta che è stato al cinema uno che mi ha detto, mi ha spiegato, mio paesano, che qua lui, lui era stato preso, sei stato fortunato ho detto perché ‘vara, perche’ era la pelle sicura eh!’ [unclear] Non era, non bisognava avere avvocati, non c’era niente da fare. Ah no.
MDB: Ha qualcos’altro da aggiungere, non so, vuole raccontare qualche altro aneddoto, che si ricorda?
ER: Eh sono quelle che cose, perché sì io non sono mai stato tanto, non andavo tanto in giro io. Perché meno che andavo in giro, eh! Perché dico anche una cosa. Quando sei giovane ti viene neanche la voglia di vedere quelle cose là, perché la prima cosa che mi ha, la prima, la principante è stato che io non andavo fuori di casa però ho sentito che è stato impiccato in piazza questo, ho detto a mia mamma ‘adesso io vado a vedere’ e sono andato di lì piano piano sul difuori e sulla curva la via si vedeva il municipio, si vedeva quello là appeso. E son venuto via perché ero, una roba, perché qua erano i fascisti. Però altra, ti dico un’altra cosa. Però anche i tedeschi, quelli che erano qua, quelli che erano qua alle scuole, per questi portavano rifornimenti sul fronte. Perché giù in Italia c’era il fronte, e quando, e questi loro non facevano niente a noi. E loro avevano un rifornimento del coso, del materiale doveva succedere in guerra. Però ti dico un’altra. Che sono rimasto male anche sai perché? Perché dove c’è il bar dietro al campanile, una volta c’era il consorzio agrario. Lo gestiva mio cognato. Senonché mio cognato un giorno mi dice ’Ettore, vien a darmi una mano’. Che là prendevano su, il girasole sai, io per girarlo, punto in bianco i balconi erano aperti e le scuole, tutto là, fuori da scuola erano due di guardia, due tedeschi, [unclear], viene giù di una piazza vestito da partigiano col mitra e con la bicicletta. Erano gli ultimi giorni della guerra, erano, sì, era per finire. Senonche’ questo qua viene giù, ti chiamano fuori tre di loro, sai, loro perché noi avevamo i balconi al piano terra perché eravamo lì davanti dalla scuola, l’hanno fatto prima gli hanno levato le armi che aveva e poi, sui locali che son di qua, l’han incantonato [?] e poi gli hanno sparato, tre di loro [makes a machine gun noise] è stata paura, caro, quello che mi ricordo. Non posso ricordarmi tutto, sai? Tante cose eh, tanti anni. L’ho detto: di queste qua non mi sono mai dimenticato. Anche degli aerei tutto. Io non ho mai visto tanti aerei come, mi davvero, ma facevano rumore assai, tutta la mattina. [pause] Ciò, andavano sei per sei sai, e tutti carichi eh. E gerano, le fortezze volanti, sono e sarebbero quelli che hanno messo la bomba atomica là in coso, in Giappone, sì, questi era, quel tipo qua, quel tipo qua, di quello che ho sentito. All’inizio era un po’ più grossi di queste. [unclear] Eh, dai caro mio!
AP: Gera una paura, paura per tutto!
ER: Le squadriglie, Madonna! E gera tuti quei aerei la! E sai, son tanti anni, non mi ricordo più tanto, tanti , io non, non mi son mai messo fuori di casa, mai! Io sono sempre stato chiuso qua, o da mia sorella che abitava in Via Nazario Sauro, sono sempre stato, hai capito? Di quello che so io, che perche loro.
AP: Perche quando c’e’ la guerra bisogna esser contenti.
ER: Noi si sapeva le cose, sai perché? Mio cognato aveva una, la radio. Era un portare [?] abbastanza buono. Mettiamo le onde corte e si prendeva London. Faceva tutto [hums the the first notes of Beethoven's 5th Symphony] era, loro ci spiegavano in italiano e se no Radio Mosca prendevamo. E sapevamo certe cose, anche del fronte, tutte ste cose. Quelle erano le cose che non si potevano sapere qua.
MDB: Bene, se non ha altro da aggiungere, io spengo il registratore. Non so, ha qualcos’altro ancora? Si ricorda ancora qualcosa?
ER: Se mi viene in mente, ti chiamo.
MDB: Va bene. Allora io spengo qui, la ringrazio per l’intervista.
ER: Sì.
MDB: E grazie di tutto.
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Interview with Ettore Raffin
Subject
The topic of the resource
World War (1939-1945)
Bombing, Aerial
Description
An account of the resource
Ettore Raffin describes his early life in wartime Cordenons, his father being in America and his brother at Friedrichshafen. Remembers watching masses of aircraft heading north en route to targets in Germany. Maintains that bombers took off from bases in the Indian Ocean. Mentions the frightening presence of "Pippo" which bombed and strafed the nearby railway line. Stresses constant fear and recalls public executions, roundups and anti-partisan repression. Mentions occupation by Cossacks and remembers clandestine short wave radio listening to London and Moscow. Recalls the end of the war and highlights the multinational character of Allied occupation forces.
Creator
An entity primarily responsible for making the resource
Marco Dalla Bona
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-12-10
Contributor
An entity responsible for making contributions to the resource
Peter Schulze
Format
The file format, physical medium, or dimensions of the resource
00:23:07 audio recording
Language
A language of the resource
ita
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
ARaffinE161210
Spatial Coverage
Spatial characteristics of the resource.
Italy
Italy--Cordenons
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Type
The nature or genre of the resource
Sound
Coverage
The spatial or temporal topic of the resource, the spatial applicability of the resource, or the jurisdiction under which the resource is relevant
Civilian
bombing
childhood in wartime
fear
home front
Pippo
round-up
strafing
-
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9afd40e8a7bfb43fb852cb3f8043e75f
https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/files/original/181/2011/ASuchenwirthR160731.2.mp3
3beb82a73fdef1baaffe0d0fe10015b0
Dublin Core
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Title
A name given to the resource
Suchenwirth, Richard
R M A Suchenwirth
R Suchenwirth
Publisher
An entity responsible for making the resource available
IBCC Digital Archive
Date
A point or period of time associated with an event in the lifecycle of the resource
2016-07-31
Rights
Information about rights held in and over the resource
This content is available under a CC BY-NC 4.0 International license (Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0). It has been published ‘as is’ and may contain inaccuracies or culturally inappropriate references that do not necessarily reflect the official policy or position of the University of Lincoln or the International Bomber Command Centre. For more information, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ and https://ibccdigitalarchive.lincoln.ac.uk/omeka/legal.
Identifier
An unambiguous reference to the resource within a given context
Suchenwirth, R
Description
An account of the resource
One oral history interview with Dr Richard Suchenwirth, who served as a Flakhelfer in Pasing, a district of Munich.
Transcribed audio recording
A resource consisting primarily of recorded human voice.
Transcription
Text transcribed from audio recording or document
AH: This is an interview for the International Bomber Command Centre. The interviewers are Lioba Suchenwirth and Anna Hoyles and the interviewee is Richard Suchenwirth.
LS: Ok.
RS: ja.
LS: So how do you wanna start?
AH: Ehm, can you tell me a bit about your early life?
LS: Möchtest Du was erstmal über deine Kindheit und vielleicht dein Elternhaus erzählen?
RS: Ja. Mein Vater war ja ein großer Anhänger Großdeutschlands und er schrieb eine Deutsche Geschichte mit 700,000 Auflagen und. Aber er war eigentlich, und er kannte auch Hitler persönlich ganz gut, aber er war tief skeptisch und ganz gegen den Krieg. Und dann schrieb er noch Dramen, Dido und Karl den Fünften. Und sonst. Ja, ich bin aufgewachsen in Pasing, weitgehend in Pasing, bei München, ein kleiner Ort der am Rand von München, uralter Ort, und da besuchte ich auch ein Gymnasium und da hieß es im Februar 1943, im Februar 1943, wir müssten, [unclear]
LS: Ihr müsst im Februar ‚43, hieß es,
RS: Wir müssten zur Flak, weil in Russland so viele Soldaten gefallen oder verletzt waren, mussten wir ‘43, im Februar ‘43, zur Flak.
LS: Wie alt warst du da?
RS: Da war ich alt fünfzehn Jahre und drei Monate. Und da bin ich also an die Kanonen gekommen, an die Flak-Kanonen 8,8. Wir waren bei der „4/456“, „4/456“. Das war die erste Flak-Batterie bei der ich tätig war, „4/456“.
LS: Was habt ihr gemacht?
RS: Ich hab versucht München vor Angriffen zu bewahren, vor Luftangriffen zu bewahren, aber Erfolg war nicht gut. Im März da war ein großer Angriff auf München, da gab’s viele hundert, dreihundert Tote, über dreihundert Tote, und alle wurden heimgeschickt, ne, zu schauen ob bei ihnen was passiert war. Alle kamen vergnügt zurück, es war nichts passiert. Ich bin nicht nach Hause gegangen weil ich, war ja nicht in München direkt, sondern in Pasing, und dann wurde ich angerufen, soll sofort kommen, die Hochschule, in der mein Vater tätig war, ist abgebrannt.
LS: Und damit auch die Dienstwohnung.
RS: Und damit die Dienstwohnung. Und ich kam also im März 1943 kam ich also Heim, lagen noch unsere Möbeln, waren großteils gerettet worden, standen alle auf der Straße. Es lag Schnee, und ich blieb dann Paar, ein, zwei Stunden hab bisschen mitgeholfen und dann bin ich zurückgegangen. Meine Eltern zogen dann hierher nach Breitbrunn, ein ganz altes Haus, das wurde erst später neu gebaut.
LS: Und sind Leute damit zu Schaden gekommen?
RS: In der Hochschule sind zwei Leute gestorben, einer, beim [unclear] durch Möbel im Treppenhaus, ein andere, ein junger Student, der kam nicht mehr raus, lag im Krankenzimmer. Und er war, im Haus war eine, eine, ach wie heißt die jetzt, eine Bombe eingeschlagen, eine, die erst später erst gezündet hat, die hat erst, nach Stunden hat die erst gezündet, eine, wie heißt die [unclear]
LS: Brandbombe.
RS: Eine Brandbombe ja, aber die hat einen bestimmten Namen. Und ist, war ausgelaufen, hatte oben das ganze Haus mit einem Schlag, brannte die Hochschule ab. Und dann sind wir, sind wir, mit einen Schlag war’s vorbei.
LS: Und als ihr bei der Flak wart, habt ihr auf Flugzeuge geschossen?
RS: Ja haben wir auf Flugzeuge geschossen, mit mehr oder weniger Erfolg, mit mehr oder weniger Erfolg.
LS: Und habt ihr noch was getroffen, oder?
RS: Vierzig Schüler waren wir, vierzig Schüler, und vierzig Schüler waren bei der Flak, und wir wurden da eingesetzt an Kanonen und an verschiedenen Geräten, wurden wir eingesetzt. Erste Zeit wurde ich [unclear] Bunker, habe ich in einem Bunker gearbeitet, das war nicht schlimm. Und auch später hatte ich eigentlich nie Angst. Abgeschossen habe sicher auch Flugzeuge aber nicht sehr viele. Sehr erfolgreich waren wir nicht. Da gab‘s den Witz: Was will ein Mensch zu Tode verurteilt werden? Was haben Sie am liebsten? Am liebsten will er von der Flak abgeschossen [laughs]
[LS explains the answers to AH]
RS: Eine Phosphorbrandbombe war das.
LS Phosphorbrandbombe.
RS: Eine Phosphorbrandbombe, die war explodiert und hat dann sich ausgedehnt und da eine gewisse Warme im Haus war, ist [makes a wooshing noise] abgebrannt.
[LS explains the asnwers to AH]
RS: Also mit fünfzehn Jahren wurde ich Luftwaffenhelfer. Der Kultusminister wollte es nicht haben, aber der Reichsjugendführer Axmann hat sich durchgesetzt und wir kamen zur Flak, mit fünfzehn Jahren zur Flak. Und dann waren wir in der Nähe von München, in Krailling, und dort ist aber uns nichts passiert, aber bei meiner alten, in, am Bodensee war eine Batterie mit Luftwaffenhelfern, da sind zwei, fast die Hälfte, über die Hälfte ist gestorben bei dem Angriff.
[LS explains the answers to AH]
LS: Und wie hast Du dich da gefühlt als du da eingezogen worden bist?
RS: Ich war sehr stolz, war sehr stolz. Dachte kann ich helfen, bisschen die Heimat zu verteidigen. Ich war sehr stolz, proud,
LS: Kann ich mir gar nicht vorstellen.
RS: I feel proud, very proud. Wir waren vierzig aus unser kleiner Schule, vierzig und alle, jeden Tag kam, ein oder zwei Lehrer kamen und unterrichteten unseren ersten Zeit, aber dann kamen sie nicht mehr weil das, hatte keinen Sinn mehr. Wir waren zu oft weg, nachts rausgerufen worden zur Abwehr und zur.
LS: Und wurdet ihr da, was wurde euch denn erzählt, was ihr machen musstet?
RS: Uns, ja [unclear] oft, unser Offizier war sehr nett und vernünftig, den Olan Hoffman, Hofbauer, der war sehr vernünftig und wir hatten auch nette alte Soldaten. Die meisten waren sehr nett, die meisten waren vernünftig. Die meisten wussten natürlich genau dass es nicht viel brachte, aber sie haben eben uns. Wir hatten, wir waren zu….Sechs Kanonen hatten wir zu betreuen. 8,8 cm, sechs 8,8 Geschütze, und die schossen dann immer in Gruppen die schossen dann immer in die Luft und versuchten die Flugzeuge abzudrängen und zu treffen. Viel getroffen haben wir nicht, einiges haben wir getroffen, aber viel getroffen haben wir nicht.
LS: Es waren Engländer, Amerikaner?
RS: Tagsüber Amerikaner. Da kamen die Liberator und die, Liberator war die eine große Maschine. Und nachts kamen die Engländer mit Lancaster und solchen Maschinen an und nachts warfen die ihre Bomben und nachts und die Amerikaner am Tag. Und dann sind wir raus, und nach ungefähr einem Jahr sind wir verlegt worden nach Senftenberg in der Niederlausitz, also oberhalb von Sachsen. Und dort hatten wir dann eine 10,5 Flak-Batterie. Aber wir haben geschossen in die Luft aber es war, kam nicht viel.
LS: Wie lange warst Du insgesamt bei der Flakbatterie, weißt Du das?
RS: Ich war dadurch das ich zum Schluss krank wurde ein halbes Jahr im Lazarett lag, war ich zwei Jahre bei der Flak.
LS: Am Schluss hattest Du Tuberkulose.
RS: Tuberkulose und Hepatitis.
LS: Hepatitis, durch Mangelernährung.
RS: Na ja, natürlich ansteckend.
LS: Aber du warst auch fast verhungert, hast Du gesagt.
RS: Dort, bei der Flak nicht, nein dort nicht. Und dann waren wir beim Lazarett in Senftenberg und war dort halbes Jahr gelegen und dann bin ich von dort nach Hause entlassen worden. Als der Krieg zu Ende war, war ich gerade siebzehn Jahre.
LS: Und als du nach Hause kamst, was hast du denn hier vorgefunden?
RS: Ja hier im Haus, das Haus war ja ganz anders gewesen. Dieses Zimmer hier das ist so alt, das ist über hundert Jahre alt dieses Zimmer. Und sonst waren meine Eltern, meine Großeltern, meine Eltern waren da, meine Großmutter war da, und der Vetter, der Neffe, Georg, Gerhard aus Wien waren da, war also alles proppenvoll, das Haus war proppenvoll mit Leuten.
LS: Aber da fehlte auch jemand, oder?
RS: Mein Bruder Harald ist schon, ist auch, noch im April, noch im März, noch einmal. Er wollte, hat den Amerikanern ergeben wollen und die Amerikaner haben alles an die Russen ausgeliefert. Er war in Altötting. Haben alle an die Russen ausgeliefert und der kam nie wieder zurück [unclear]
LS: Wie alt war der?
R.S.: Der war achtzehn ein halb, neunzehn, neunzehn.
LS: Und als er eingezogen war?
RS: Der war normal, sechzehn, siebzehn Jahre. Ich bin wesentlich jünger gewesen, aber.
LS: An Ruhr ist er gestorben.
RS: An Ruhr. Auf der Heimfahrt von Russland. ER war im Gefangenenlager in Russland und ein Freund der berichtete später noch, das er sich tapfer geschlagen hatte. Wenig, der war alles andere als ein Nazi, er war ganz gegen. Sein Leidensspruch war: Ubi bene, ivi patria. Wo‘s gut ist, das ist deine Heimat.
[LS explains the answers to AH]
RS: Und ich stand ja auch nicht gerade sehr positiv. Ich habe immer einen Schweitzer Sender gehört, einen Schweitzer Sender um Nachrichten zu bekommen. Die Englischen haben wir nicht gehört, zu der Zeit wollten wir nicht, wir wollten keine Feindsender hören.
[LS talks to AH]
RS: Beromünster, hießt der Sender. Beromünster in der Schweiz.
LS: Ach. Un der Englische? BBC?
RS: England haben wir nicht gehört.
LS: BBC? Habt ihr nicht gehört.
RS: Und da kam, war der Krieg zu Ende. Und als die ersten Amerikaner kamen, Amerikaner, fragte mein Vater: ‘Are we occupated?’. Und da antworteten die, zwei Amerikaner waren: ‘No, liberated!’ Und dann ist er drei Jahre lang eingesperrt worden.
LS: Warum ist er eingesperrt worden?
RS: Na ja, er hatte ja einen Hohen Rang bei der SA und war, und sein Buch war sehr verbreitet. Und er war Reichsredner. Und, und, war schon sehr dicht verbunden, obwohl er gar nicht wollte, mit Hitler sehr verbunden. War, ja?
LS: Aber er hat sich aus der Aktienpolitik irgendwann zurückgezogen?
RS: Ja, ja, aus der Aktienpolitik hatte er sich schon zurückgezogen, hat er sich zurückgezogen in Pasing damals, ‘36.
LS: Warum?
RS: Weil er Arbeit genug, andere Arbeit lag ihm mehr als aktiv Politik zu treiben. Und Hitler lag ihm gar nicht, Hitler war ihm sehr wenig sympathisch.
LS: Und das Antisemitische fand er auch nicht gut, oder?
RS: Na ja, also, er war ihm die Kirchenfeindlichkeit, es waren ja alle in der Kirche geblieben natürlich, Katholisch. Und er hatte auch Antisemitisch, wir haben nie eine Wort Antisemitisches von ihm gehört. Das verrückte war ja, als die, als, als, ‘40, die Deutsche Armee in Frankreich, England, Frankreich, Belgien und Holland einfiel, kam unser Dienstmädchen, die kam begeistert: „die Deutsche Kriegsfahne wehte über Rotterdam oder über [unclear]“, da sagte mein Vater, werde ich nie vergessen: „Die machen die gleiche Dummheit noch einmal“.
[LS explains the answers to AH]
LS: Er hatte doch ne, da ist gibt’s eine Episode die hast Du mal erzählt, die fand ich sehr spannend. Er hat eine Hitler-Büste geschenkt bekommen.
RS: Hat er ja gehabt, einziger war von Hitler. Also er hatte kein Bild von Ihm hängen, nur eine Büste und immer wenn er sich geärgert hat, kam ein Paar Mal vor, konnte er die Büste eine Ohrfeige geben.
LS: Abgewatscht.
RS: Abgewatscht. Und so sprach er vom Teppichbeisser Hitler. Er war sehr skeptisch Hitler gegenüber.
LS: Warum Teppichbeisser?
RS: Weil Hitler angeblich, in seinen Wutanfällen, sich auf den Boden geworfen haben soll und in einen Teppich gebissen haben soll.
LS: Und warum war Dein Vater so Großdeutsch, glaubst Du? Hatte es mit der eigenen Vertreibungsgeschichte zu tun?
RS: Nein, also, er war Großdeutsch 1930, wollte sich Österreich wirtschaftlich anschließen an Deutschland. Ein gemeinsames Zollabkommen. Und das haben die Amerikaner, haben die Franzosen und Engländer verhindert und das hat die anderen zur Weißglut getrieben. Sie wollten eben, Deutschland mit Österreich, wie vor 1866. Wie vor 1866 war Deutschland.
LS: Und dein Vater war Österreicher.
RS: Mein Vater war Österreicher. Wiener, Vienna. Ich bin auch Wiener, aber, ach, na ja.
LS: Und wie hat er Hitler kennengelernt?
RS: Er hatte ganz früh Hitler kennengelernt, 1922 schon.
LS: Als er noch in Österreich war [unclear] NSDAP [unclear].
RS: Ja….
LS: Und wie ist Dein Vater, wie ist er dazugekommen die Österreichische NSDAP zu gründen?
RS: Das war in der Politik. Die Politik florierte gerade und hat er das gemacht und ist dann bald ausgetreten aus der Partei.
LS: Ach so, ist er dann ausgetreten?
RS: Ein, zwei Jahre später ist er ausgetreten.
LS: Weist Du warum er ausgetreten ist?
RS: Na ja, er war an einer Jüdischen Schule tätig, die war fast ganz von Juden besetzt und dadurch kam er nicht an Staatsstelle. Und dann bekam er die Staatsstelle und dann ist er, war er glücklich. Paar Jahre ging es ganz gut. Er war an der Hochschule für Bau, Bauhochschule. Dann ist er eben auch nach England, nach Deutschland geflohen.
LS: Er musste fliehen weil die Arbeiterrevolution war in Wien, oder?
RS: Teilweise. Eine Revolution die von den Sozis. Aber auch weil eben die, kam auch diese kleine Nazigruppe, die Dolfuss erschossen hat, und dann ist er geflohen, über die Tschechei.
LS: Und ist er vor den Nazis auch geflohen?
RS: Nein, nein, nein, nein.
LS: Er ist vor den Arbeitern, vor der Arbeiterrevolution geflohen.
RS: Vor der Regierung.
LS: Vor der Regierung. Und die Regierung setzte sich zusammen…
RS: Christlich [unclear]
LS: OK. Und warum musste er fliehen? Weil er mit den Nazis auch zu tun hatte.
RS: Ja, ja, ja. Und dann kam er nach Deutschland, war er erst bei der Reichsschriftungskammer und dann hatte er die Hochschule in Pasing, wurde er Rektor und wurde 1942 aufgehoben und da ist er verbittert gewesen. Professor, Honorarprofessor der Universität war er noch.
LS: Und der Großvater ist über die Tschechei geflohen.
RS: Ja.
LS: War das aufregend, oder?
RS: [Unintelligible] Es sind viele geflohen.
LS: Ok war nicht.
RS: Nein.
LS: Und ihr seid mitgekommen?
RS: Wir sind später geholt worden, später nachgekommen, später nachgeholt worden, später erst.
LS: Und war der eigentlich auch im Ersten Weltkrieg, Großvater?
RS: Er war im Ersten Weltkrieg war er noch Leutnant.
LS: Und was hat er da gemacht? Wo war er da?
RS: Er war in Polen gegen die Russen und dann war er in Südtirol gegen die Italiener. Sette comuni, Sieben Gemeinden, zehn Gemeinden, da war eine kleine Deutsche Minderheit und da war er halt dort gewesen. Als [unclear] Offizier, als Nachrichtenoffizier.
LS: Als Spion?
RS: Nein, nein. Er war viel zu feige.
LS: Er war viel zu feige [laughs].
RS: Nein nein, er war kein Spion. Er hat überall [unclear], wie er glaubte, seine Pflicht erfüllt, gel.
LS: Und was ist nach dem Krieg mit ihm geschehen?
RS: Nach ‘45? War er drei Jahre interniert, erst bei den Amerikanern, dann bei den Engländern, da ging‘s ihn besser als uns. [laughs]
LS: Warum?
RS: Wurde gut ernährt und Zigaretten bekam, und er war Nichtraucher, bekam viel Zigaretten. Zigaretten war die Währung damals. Eine Zigarette fünf Mark.
LS: So viel! Und was hat er mit den Zigaretten gemacht?
RS: Hat [unclear] mir auch mitgegeben. Ich hatte eine Hose gehabt, die unten zugenäht war, so’ne Überfallhose, und die hatte, bis zum Knie steckte sie voller Zigaretten und voller solche Sachen.
LS: Und was hast Du mit den Zigaretten gemacht?
RS: Hab eingetauscht. Eine Schreibmaschine für dreißig Packungen Zigaretten.
LS: Und mit der Schreibmaschine hast Du deine Doktorarbeit dabei geschrieben?
RS: Auch ja.
LS: Und euch, wovon habt ihr gelebt nach den Krieg?
RS: Meine Mutter war ja aus einer Wohlhabenden Familie, und die hatte einen, war Teilhaberin einer Fabrik in Attendorn. Meine Mutter war nicht reich aber wohlhabend war sie gewesen. Die wollte gerne Medizin studieren, da musste ich Medizin studieren.
LS: [laughs] Aber die war eine der ersten Frauen die studiert haben in Deutschland, oder?
RS: Ja angefangen.
LS: Ja [unclear]
RS: Zwei Semester dann musste sie aufhören. Sollte Geld verdienen, weil sie heiraten wollte.
LS: Was hat sie da gemacht? gearbeitet?
RS: In einer Fabrik. In der Fabrik meines Großvaters.
LS: Und, von der Familie eine Tante ist auch bei einer Brandbombe umgekommen, oder?
RS: Zwei Großtanten sind umgekommen durch Brandbomben. Die Tante Lene in Nürnberg und Tante Agnes in [unclear]. Sie hat bis zum Schuss versucht die Bomben rauszuwerfen, die kleinen Bomben konnte man rauswerfen damals,
LS: Mit der Hand,
RS: Mit der Hand. Und die großen Bomben, gegen die waren wir machtlos.
LS: [talks to AH] Wie alt war sie da, ungefähr?
RS: 72.
[LS explains the answers to AH]
RS: [unclear] Hatten wohl noch… hatten wohl noch nach, den letzten Kriegstagen noch schwer beschädigt und, nicht, nicht, unser Haus nicht. Das Haus mit den Großeltern nicht.
LS: Und dann kamen die Amerikaner hierher,
RS: Die Amerikaner, ja.
LS: Die haben gesagt ihr seid befreit worden [laughs],
RS: Ja.
LS: Und haben die dann euer Haus abgenommen oder wie war das?
RS: Was? Das hier?
LS: Hier dieses Haus hier.
RS: Nein, das war so ein schäbiges Haus gewesen, aus sieben Teilen bestehend, wollte keiner haben.
LS: Und die, aber die Franzosen, waren hier eine Zeit?
RS: Die Franzosen waren, die Kriegsgefangenen waren sehr anständig zu uns und die, dann kamen so Plünderer in Pseudouniform und die plünderten alles was gut und brauchbar war.
LS: Was haben sie mitgenommen, zum Beispiel?
RS: Schreibmaschine, Radioapparat, Fotoapparat [unclear]
LS: Und haben die euch bedroht mit Waffen oder..?
RS: Mit Waffen bedroht nicht direkt, sie wollten dass ich das rauftrage zum Auto, das wollte ich nicht und da hat meine Mutter sich da vor mich geworfen und sagte: ‘aber er ist krank, TBC’ und hat es selber raufgetragen. Die Franzosen haben, die Gefangenen waren gut, die waren nett. [unclear] Die Gefangenen standen sehr gut.
LS: Und, Du hattest, also waren Französische Kriegsgefangene hier auch? Hast Du sie kennengelernt?
RS: Ja hier auch.
LS: Die haben hier als Erntehelfer gearbeitet?
RS: Haben bei den Bauern gearbeitet, ja. Ungefähr zwanzig. Die wohnten dann oben in einer [unclear], später. Und da kam abends, kam immer einer, einer zog sich mühsam eine Deutsche Uniform an und fragte; ‘seid‘s alle da?’. Da schrie einer, einer musste immer Oui schreien. Dann war‘s gut. Alle andere waren nicht da, waren unterwegs irgendwo. Nicht alle, aber viele waren unterwegs.
LS: Und was haben sie gemacht?
RS: Freundinnen hatten sie irgendwo.
[LS explains the answers to AH]
RS: War so nicht so ganz ernst der Krieg da.
LS: Und da waren Russische Kriegsgefangene hier auch.
RS: Die Russischen Kriegsgefangene, bei der Flak hatten wir welche. Die mussten die schlechten Arbeiten machen. Zehn hatten wir in der Batterie ungefähr. Zehn Russische Kriegsgefangenen haben uns bei der Flak geholfen.
LS: Du hast so eine Bärenfigur irgendwo.
RS: Ja, ja, das hat, hat ein Russe hat es gemacht, ein Russe hat ihn geschnitzt. Und wo liegt es, weiss es nicht.
LS: Im Schrank.
RS: Ja, ja, richtig.
LS: Und das haben die getauscht für Essen oder für was?
RS: Gegen Brot, gegen Brot.
LS: Hatten die Hunger?
RS: Ja, Hunger, viel Hunger.
LS: Die?
RS: Russen. Es war keiner verhungert. Einer war ausgerissen, der soll erschossen worden sein, habe ich gehört. Nie selber gesehen, auch nie selber gehört. Nach dreisig, vierzig Jahren im Krieg habe ich gehört von einen der bei der Batterie als Luftwaffenhelfer war [unclear]
LS: Und warum hatten die so Hunger? Gab es nicht so viel, oder [unclear]?
RS: Wir hatten alle, die Rationen wurden alle kleiner, aber für die Russen wurden sie noch kleiner. Also gut ging’s ihnen nicht. Und da, haben wir das gemacht, gegen Ringe gemacht und solche Sachen. Und haben dann Getauscht gegen Brot, gegen. Gut mir noch genug gegen Ende des Krieges und Lazarett war js ein halbes Jahr und [unclear]
LS: Wie hat sich denn dein Vater nach dem Krieg gefühlt, oder wie? Hatte er das Gefühl, das er sozusagen, einen historischen Beitrag geleistet hat für diesen Krieg, oder wie?
RS: Ne, er war fester Meinung, er hat ja schon längst angefangen, Dramen zu schreiben, im Krieg schon, eine über Dido, eine über Karl den Fünften, und hat geschrieben, geschrieben, geschrieben. Aber er durfte ja nach 1945 nichts mehr publizieren, und da war’s vorbei. Und er hat dann, aber die Amerikaner haben ihm weitergeholfen und haben ihn arbeiten lassen in Ameri, in Hamburg und in Karlsruhe.
LS: Und seine Bucher wurden noch auf Englisch publiziert, gel, denn in Deutschland durften sie nichts, aber in Amerika schon.
RS: Ja, ja, drei Bücher wurden auf Amerikanisch, auch nach seinem Tod.
LS: Ach, nach seinem Tod wurden wieder welche.
RS: Ja, ja.
LS: Und Großvater hat auch über die Luftwaffe geschrieben.
RS: Er hat drei über die Luftwaffe, eines über die Führungsgestaltung der deutsche Luftwaffe und eines über die Entwicklung der Deutschen Luftwaffe. Drei Bücher hat er geschrieben. Ich hab sie alle hier liegen, kann sie auch zeigen, wenn Du willst.
LS: Die Bücher sind auf Englisch, gel?
RS: Auf Englisch. Auf Amerikanisch.
LS: Ja, Amerikanisch. Und, ehm, weil er doch die NSDAP in Österreich mitgegründet hat, hat er da eine Art historisches Schuldgefühl?
RS: Er mitgegrundet, die NSDAP gab es in Österreich vor der Deutschen NSDAP. Die Tschechische NSDAP. Und er hat sich nie als schuldig gefühlt. Aber er hat sich nie in diesem Sinn schuldig gefühlt.
LS: Und hast Du das Gefühl, wenn Du jetzt so geschichtliche Sachen sich entwickeln siesst, glaubst Du, man hätte eine Art Notbremse ziehen koennen? Also Du nicht..
RS: Also ich weiss nicht. Ich glaube die Geschichte laüft, wie sie laufen will. Mit den Engländer, also als Soldaten, waren Die Engländer sehr fair und anständig, als Soldaten. Sehr unangenehm waren Die Franzosen. Als Kriegs….[unclear] Und die Russen hatten selber nichts Gescheites, gel. Die waren sehr . Den Russen ging es sowieso schlechter als, na ja. Und die Amerikaner waren so neutral.
LS: Von den Amerikanern gab’s immer Kaugummi.
RS: Ja, die Amerikanischen…. Und es waren, Die Neger waren so furchtbar nett, die Neger.
LS: Aber.
RS: Man sagt nicht mehr Neger, ich weiß. Aber die waren so furchtbar nett und Kindern Schokolade geschenkt und Kaugummi und so. Und einer kam immer und ans Klavier sich gesetzt und hat ein Paar drei, vier Klinge und konnte nicht richtig spielen. Und meine Mutter hatte ihn Badehosen angezogen, genäht. Mutter hat ihm Badehosen genäht.
LS: Damit er irgendwie schwimmen gehen kann. Und wie hast Du Dich gefühlt, als Du quasi bombardiert worden bist? Hatte man da persönliche Gefühle auch oder nicht?
RS: ich hatte keine Angst. Ich saß ja im Bunker. Draußen saß…Angst hatte ich keine, nein.
LS: Und eine Wut, das die sozusagen in dein Land kommen?
RS: Nee, überhaupt keine Wut, überhaupt kein Gefühl gehabt. Ich hab’s ja erlebt aber nicht gesehen. Waren natürlich schlimme Sachen aber wir haben, na ja.
LS: Und als ihr das so gehört habt, zum Beispiel über Coventry und Dresden?
RS: Schlimm, ja war sehr schlimm. Coventry, das haben wir auch gehört die Geschichte. Die Bombardierungen von Coventry und dann noch die Angriffe auf London. Haben alle gehört und wir haben eigentlich innerlich Distanz… Weiter dann war der furchtbare Angriff auf Dresden. Und dann wurde eine Stadt wie Würzburg war sehr stark bombardiert. In den letzten Kriegstagen von den Amerikanern weitgehend zerstört. München war zu 40, zu 50% zerstört. München im Laufe von vielen Angriffen.
LS: Und stimmt das dass man die Weihnachtsbomben genannt hat, die Bomben, die da runtergefallen sind?
RS: Nein es ist so. Die den Flugzeugen voraus flogen nachts, flogen, wie heißen die den, jedenfalls, Mosquitos hießen die, die waren sehr, ganz schwach bewaffnet und warfen dann Leuchtkörper ab und dann wussten die wo sie bombardieren sollten. Und das war von Weihnachts….Die warfen das ab und dann wussten die wo die bombardieren sollte. Und die nachfolgenden Bomber haben sich nach den Mosquitos gerichtet und haben da die ganzen Flechtflächen geworfen.
LS: Warum hießen die Weihnachtsbäume?
RS: Nein, die hießen gar nicht so, die hießen nicht Weihnachtsbäume, sondern die waren wie einen wunderschönen Schmuck, hatten wunderschöne Farben. Christbaüme.
LS:Weihnachtslichter.
RS: Ja, so ungefähr. Die Mosquitos vor weg, leichte Flugzeuge, die warfen so kleine Bomben, Leuchtbomben, und dann wussten wir schon wohin, wohin der Angriff ging. Und dann waren… da kamen eben die Bomber, aber es sind schwere Bomben.
LS: Du hast gesagt du hast mal was unanständiges erlebt, als ihr ein Flugzeug mal erwischt habt.
RS: Wir hatten einen Amerikaner abgeschossen und da wollten von uns einige Leuten wollten den Piloten misshandeln, und der Erstleutnant, unser Offizier, trat sofort ein und bot ihm auch eine Zigarette an. Das fanden viele gut aber viele fanden das auch nicht gut.
LS: In wie fern misshandeln?
RS: Wie?
LS: Verprügeln, oder was?
RS: Ja ja.
LS: Also ihr habt ihn gefangen dann auch?
RS: Ja ja.
LS: Der kam mit dem Fallschirm abgesprungen und ihr habt den dann geschnappt.
RS: ja ja.
LS: Und habt ihr auf ihn geschossen wie er mit dem Fallschirm abgesprungen ist?
RS: Also ich persönlich nicht aber es gab einen Oberleutnant, den Namen will ich jetzt nicht nennen, der hat noch etliche Salven auf Ziehfallschirm, abspringenden Soldaten geschossen. Fand ich sehr unfair, ich konnte es aber nicht verhindern, ich war ein kleiner Jungen von fünfzehn Jahre.
LS: und wie fanden die anderen Jungen das, weisst Du das noch?
RS: Weiß ich nicht.
LS: Wurden so Sachen diskutiert, oder durfte man nicht diskutieren?
RS: Die wurden kaum diskutiert, weil das Leben war so ereignisreich, dass wir gar nicht dazu kamen, über die Dinge viel zu sprechen. War zu viel. Dann wurden wir verlegt nach Senftenberg, von München nach Senftenberg, 8,8 zur 10,5 Flak. Und dann bin ich [unclear] gekommen und das war anfangs, na ja. Hatte einen Italiener, der war sehr nett, und den habe ich gedolmetscht. Und er hat mir, na ja. Im Lazarett ging ganz friedlich zu. Was interessiert sie noch?
LS: Ich überlege.
RS: Nach dem Krieg habe ich noch studieren dürfen, studieren können. Gleich nach dem Krieg konnte ich studieren, hatte einen Förderungskurs, ich musste einen Abiturförderungskurs von vier Monaten und dann konnte ich studieren, habe ich angefangen zu studieren und von da an war alles wie gewöhnlich.
LS: Und du warst auch Mangel an Ernährung, zum Beispiel, oder?
RS: Essen, und essen hatten wir sehr wenig, sehr sehr wenig. Mein Vater unter Kriegsgefangenschaft meinem Bruder immer Päckchen mit trockenem Brot geschickt. Über zwanzig Päckchen hat er geschickt. Und meine Großmutter hat daraus Suppen gemacht. Und ich habe….. man merkte es gar nicht mehr, es ging so langsam. Mal wurde es immer weniger, immer weniger und dann haben wir gehungert. Dann habe ich versucht alle Kunstprodukte zu packen, hat mir aber nie geschmeckt, habe ich nie essen können.
LS: Was zum Beispiel?
RS: Zum Beispiel aus Leim und aus Haferflocken, ach aus, was in der Muhle so ubrig blieb.
LS: Holzspäne?
RS: Holzspäne nicht gerade, aber, aber…
LS: Die Spelzen vom Weizen.
RS: War nichts zu essen. aber. Leim war ja auch.
LS: [unclear] ?
RS: Jedenfalls vom Kunstegebilde. Hier gehungert und erst richtig. Und als ich noch…mit dem Studium fertig war, wog ich noch glaub ich siebzig Kilo, zehn Kilo hatte ich verloren ungefähr, zehn Kilo Gewichtsverlust aber es ging noch ganz gut. Zu der Zeit Kriegskrankenhaus wurde operiert…
LS: Hattet ihr Uniformen als Kindersoldaten?
RS: Natürlich, ja, ja. Luftwaffenhelferuniform. Ich habe auch…Leider liegt’s nicht hier oben. Sa ganz gut aus in so einer Uniform. Sollten wir immer HJ Binde tragen aber die haben wir nie getragen. Anfangs immer noch HJ am Arm als wir die Flak verlassen und Heimaturlaub und dann [unclear]
LS: Und warum?
RS: Wir wollten nichts mit HJ zu tun haben.
LS: Warum wolltet ihr nichts mit HJ zu tun haben?
RS: Weil es waren Soldaten.
LS: HJ waren die Kinder, waren die Jugendlichen.
RS: Ja ja.
LS: Und wie waren die Baracken wo ihr wohntet? Oder die Lager?
RS: Ich war in einer Baracke mit neun anderen in einem Zimmer, neun, später drei oder vier. Und da habe ich ein Mädchen kennengelernt, mit der ich noch vor wenigen Monaten telefoniert. Die ist inzwischen Urgroßmutter und ich werde auch bald vielleicht..
LS: Urgroßvater.
RS: Urgroßvater.
LS: Und dann war das ein bisschen für Dich manchmal so ein romantischer Abendteuer, so lauter Jugendliche zusammen? Keine Eltern….?
RS: Ja ja, war spannend, war interessant und spannend. [unclear] Ist keiner bei Fliegerangriffen gefallen. Später sind ungefähr ein viertel gefallen. Und wir waren, kein einziger ist zur Waffen-SS gegangen. Die waren nicht beliebt bei uns.
LS: Und hattet ihr Freizeit dann auch, als ich bei der Flak wart? Hat ihr so richtig zu Dienstzeiten quasi und dann am Wochenende dann heim?
RS: Es ging nicht, wir mussten bereit sein, die mussten kommen. Bei Fliegerangriffen mussten wir da sein. Aber wir waren natürlich, am Wochenende waren einer zu hause und ich war am Neujahr zu hause.
LS: Und durftet ihr am Nachmittag eure Eltern sehen oder so?
RS: Die kamen, natürlich besuchten uns. In der Flakstellung.
LS: Und habt ihr viel gelesen? Aber Du ließt ja immer so viel.
RS: Ich habe viel gelesen aber, natürlich haben wir viel gelesen und haben uns über vieles unterhalten. Aber…
LS: Und wie hat man sonst die Zeit so rumgebracht?
RS: Na ja, Wir machten ja Appell. Der schlimmste war der Vollzähligkeitsappell, das ganze Zeug was wir vom Militär hatten, mussten wir nehmen und um uns herumlegen und dann wurde gesagt „drei Paar Socken, zwei Paar, hier sind sie, alles in Ordnung, ein Hemd, ein Nachthemd’ und Sachen. Und jedenfalls…
LS: Und war es mal langweilig und hat ihr Karten gespielt?
RS: Karten gespielt. Karten nicht viel, aber wurde…. Gespielt.
LS: Und was hast Du gemacht?
RS: Alles mögliche. Vieles und uns unterhalten. Den Schweitzer Sender Beromünster habe ich gehört und da musste ich meinem Vater immer sagen was es Neues gibt und da mussten…
LS: Warum hat er ihn nicht gehört?
RS: Der konnte immer sagen: ‘ich habe keinen Sender’. Überzeugend.
RS: Und in der Schule sprachen wir darüber. Und ich sagte: ‘ich habe heute bei der Putzfrau, bei der Milchfrau das gehört’ und ich wusste wer die Milchfrau war, die hat auch Beromünster gehört.
LS: Und ihr hattet ein Dienstmädchen, und die war Überzeugte Nazi-Anhängerin?
RS: Die war Sozialdemokratin aus Wien, aus Attentan und dann Wien. Und als die Deutsche Kriegsflagge uber Ludwig [or Lublin??] wehte, kam sie begeistert und mein Vater war entsetzt. Und da war eine Polin, die war sehr nett. Hatten zwei Mädchen.
LS: War die Kriegsgefangene die Polin, oder?
RS: Nee, die war so verpflichtet, angeblich. Die hat einmal eine Gans mitgebracht aus Polen.
[LS explains the answers to AH]
RS: Helene.
LS: Ich glaube das war’s dann, Papa.
RS: War’s alles? In drei Jahren habe ich nicht mehr erlebt?
[LS explains the answers to AH]
LS: Mir fallt nichts mehr ein. Aber weisst Du was, wir kommen dann nachher und machen nochmal eine halbe Stunde, ja?
RS: Gut, gut.
LS: Ok.
SECOND INTERVIEW
AH: This interview is being conducted on behalf of the International Bomber Command Centre on the 31 of July 2016. It is the second interview with Professor Richard Suchenwirth, taking place in his home in Breitbrunn, outside Munich. The first interview took place yesterday. The interviewers are Liobe Suchenwirth and Anna Hoyles.
RS: ich kann so schlecht Englisch.
LS: Papa, wir wollten noch wissen von Dir über die Bücher vom Großvater die er über die Luftwaffe geschrieben hat. Kannst du noch ein Bisschen was erzählen dazu?
RS: Drei Bücher hat er über die Luftwaffengeschichte geschrieben, und die sind alle nach seinem Tod in Amerika erschienen. Ich hab alle drei hier.
LS: Auf Englisch erschienen.
RS: Auf Englisch.
LS: Vorüber waren die nochmal?
RS: Die, wer die Führer war der Luftwaffe, wie die Luftwaffe sich entwickelt hat und wie die Luftwaffe überhaupt zustande gekommen ist.
LS: Und wer hat ihm da den Auftrag gegeben, weiß Du das?
RS: War Department in New York,
LS: War Department in New York.
RS: in Washington.
LS: In Washington. Und davon hatte er auch das Geld einfach, also, die haben es auch bezahlt und so.
RS: Ja, die haben und da hat.
LS: Und was hat er dann, und er durfte ja nicht mehr arbeiten so richtig nach dem Krieg?
RS: Ja.
LS: Was hat er gemacht, und wovon hat er gelebt?
RS: Von, erst hat er von Vorträgen gelebt und, hat er lange Zeit, drei Jahre war er ja lang interniert und dann hatt er erlebt, [unclear] die Amerikaner haben viele Jahre ihn [unclear]
LS: Er hat auch was für die Europäische Konstitution geschrieben, oder?
RS: Nein, das weiss ich nicht.
LS: Europäische Verfassung?
RS: Er wollte etwas schreiben, wie heißt es, ich hab’s nicht im Kopf. ‘Europa’s letzte Stunde?’ hiess, Fragezeichen.
LS: So, Vorläufer der EU Geschichte, sowas, nicht.
RS: Ja.
LS: Dann, wollte ich nochmal fragen.
RS: Maria Theresia, [unclear] Buch von Maria Theresia ist [unclear] richtig, sogar nochmal nachgedruckt worden.
LS: Ah ja, genau, das war auch sehr erfolgreich, gell? Der hat fürs Reichskulturministerium gearbeitet nachdem er aus Wien geflohen ist. Was hat er gemacht?
RS: Reichsschriftungskammer. In der Reichsschriftungskammer war er Geschäftsführer, und da flog er Tag aus und dann ging er nach Pasing, da hat er die Hochschule [unclear].
LS: Und warum flog er da raus?
RS: Weil er, dort damalige Reichsschriftungskammerchef ihm nicht gewogen war. Der war ein großer, der war [unclear] hiess der.
LS: Der war so ein großer Nazi, oder. Und war das so was politisches oder was, oder mochten die sich einfach nicht? Oder so ein Bisschen beides?
RS: Erstens, beides, beides.
LS: Dann wollten wir nochmal fragen, wegen dem Harald. Der Harald hat wo gedient? Der wurde zwangseingezogen so wie alle, oder?
RS: Ja, zwangseingezogen. Er war bei der Wehrmacht, war er Oberreiter, hat aber nie ein Pferd gesehen, abgesehen vielleicht vom Kochtopf.
LS: Und wo war der?
RS: Er war in Russland, ganz innen in Russland. Und man hatte ihn das Bein abnehmen wollen und dass wollte er nicht und da musste er nochmal raus. Und da kam er, hat er geflohen von Sankt Pölten mit einem freund, von Sankt Pölten bis Altötting, in Altötting, und da hat er sich den Amerikanern ergeben. Und die Amerikaner haben alle von Altötting über die Donau nach Freyung getan und in Freyung wurde ausgeliefert an die Russen.
LS: Und das war aber nicht…. Das ging gegen die Genfer Kriegskonvention, oder?
RS: Ja.
LS: Und er ist geflohen, dass heißt er ist desertiert.
RS: Ja, es hat sich aufgelöst, die Truppe hat sich aufgelöst. So ungefähr, die Truppe hat sich aufgelöst.
LS: Kannst Du noch etwas von den Namen von deinen Eltern erzählen? Wie die heißen?
RS: Mein Vater hieß auch Richard wie ich. Mein Großvater war ein großer Verehrer von Richard Wagner. Alle drei Richards sind Folge davon: Ich, und mein Vater und vor allem mein Sohn Richard.
LS: Und deine Mutter?
R.S.: Meine Mutter kam aus dem Sauerland, südlichen Westfahlen, und uralte Fabrik, uralte Familie, hat 170 jährigen gefeiert und vorher war sie eine Wohlhabende Bürgerfamilie aus Westfahlen-Sauerland.
LS: Und wie hieß sie?
RS: Anna Elisabeth.
LS: Und wurde Else genannt.
RS: Ja.
LS: Und Deine Schwester, wie hat die den Krieg gelebt, wie hat die den Krieg überlebt?
RS: Hat und der Hermann, die jüngeren Geschwister blieben bei meinen Eltern, blieben bei der Mutter, sie haben eine Ziege gehabt, hatten zwei Ziegen und haben davon gelebt. Und die haben’s gut überlebt, den Krieg.
LS: Deiner Schwester wurde viel Kaugummi geschenkt von den Amerikanern.
RS: Ja, Schokolade wurde geschenkt. Die Amerikaner haben sich hier, die Truppe war sehr anständig, die Kriegstruppe. Und sehr viele Schwarze dabei.
LS: Und Du hast, und die Franzosen haben auf das Klavier geschossen, hast Du mal erzählt.
RS: Die Franzosen haben das Klavier nicht geschossen, sondern mit dem Messer…..
LS: Ach, mit dem Messer zerrissen.
RS: Ja.
LS: Und sag mal, ihr hattet hier verschiedene Leute wohnen in den Haus, und dar war eine Frau die gesehen haben will, wie eine Waffe ins Klo geworfen wurde, ins Latrine. Erzähl mal die Geschichte.
RS: Das war oberhalb, wie mussten raus aus unserem Haus als die Amerikaner, als die Franzosen kamen und da bin ich, wurde ich untergebracht bei einer alten Frau, hier oben, Frau Fischer, und da hat man sie gefragt, ob der Mann keine Waffen gehabt, da hat sie dem Offizier gesagt, doch doch die haben sie ins Klosett geworfen. Und da musste ich’s Klosett ausheben und die Waffe, [unclear] Pistole.
LS: Und wie lange musstest Du da graben?
RS: Na ja, drei Stunden, vier Stunden…
LS: Ein Paar Tage. Es war im Sommer, oder. Musstest Du viel Latrine ausgraben?
RS: Latrine ausgraben, ja.
LS: Und der Großvater, hast Du gesagt, war ein Sprecher für die Nationalsozialisten, oder Vortrag, hat Vorträge gehalten, was genau wie war das?
RS: Er war Reichsredner, Reichsredner gehabt, und hat gelegentlich weit weit überall Vortrage gehalten aber im Krieg schon lange mehr, kaum mehr noch. Da war er in Rumänien, und da war er in Griechenland, und da war er in Estland.
LS: Du hast gesagt, bis 1938 war Großvater, fand Großvater in Hitler ein notwendiges Übel?
RS: Ja. Bis der Anschluss, von Österreich zu Deutschland, Anschluss Österreichs war ihm sehr sympathisch, war ganz in seinem Sinne, und da war er sehr erfreut über Hitler aber nachher ging das Entsetzen über, denn er war für ihn der Teppichbeißer. Hitler soll er, soll in Wutanfällen soll er in den Teppich gebissen haben, Boden geworfen haben und in den Teppich gebissen haben. Stimmt aber nicht gar nicht.
LS: Und fand Großvater sehr lächerlich.
RS: Ja, so war’s gewesen. Da war er Reichstagsabgeordnete aber der Reichstag hatte nichts mehr zu sagen. Reichsredner und….Parteianzeigen …… zu tun.
LS: Irgendwas bekommen, so was bestimmtes?
RS: Nö, nö…..weil er eben lang dabei war, weil er lang dabei war.
LS: Und, also Harald wurde eingezogen….
RS: Frühjahr 1944 wurde Harald eingezogen, kam an die Ostfront, hat einen Knie [unclear] schuss bekommen. Und trotzdem ist geflohen weil die Russen hinter ihm her waren, da kam er ins Lazarett und da wollten sie ihm das Bein abnehmen und er lies es nicht zu, nein er wollte sein Bein behalten, er ließ es nicht zu und da musste er in den letzten Kriegswochen noch in den Krieg und ist wie gesagt in Gefangenschaft geraten, auf Jalta war er.
LS: Und Du meintest dass, Du hast sagst dass wenn sie ihm damals das Bein nicht abgenommen hätten, dann wäre er noch am Leben.
RS: Konnte er lange Zeit noch am Leben gewesen sein.
LS: Ein örtlicher Arzt hat dann was hinterher zu Großvater gesagt über Harald.
R.S.: [unclear]
LS: Nein. Das man hatte auch das verhindern können das er eingezogen wäre. Weißt Du das noch?
RS: Nein. Das Weiß ich nicht.
I.: Sagte dass man hatte ihm noch ….. geben können oder sowas.
R.S.: Das weiß ich nicht.
LS: Weißt Du nicht?
RS: Weiß ich nicht.
LS: Ich danke, Papa.
RS: Bitte.
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Interview with Richard Suchenwirth
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Richard Suchenwirth recalls his wartime memories as a Flakhelfer in Pasing, a district of Munich. He tells of his father who was the author of three books on the Luftwaffe, the founder of the Austrian Nazi Party, a political orator and initial supporter of Hitler’s idea of creating a single German state. He remembers being drafted as a Flakhelfer in February 1943 and the pride he took in defending the city even though anti-aircraft fire was ineffective. He mentions the high death toll of the March 1943 bombing raid, in which his house was destroyed, and tells how Russian forced labourers were deployed at his unit. He recollects being liberated by the Americans, with kind black troops handing out chocolate and his father spending three years as a prisoner of war but being treated humanely. He mentions various episodes of his father’s life: having a bust of Hitler which his father used to slap in moments of rage when he would call Hitler a ‘carpet chewer’. He mentions various wartime anecdotes; two aunts who died in different bombing raids; the capture and attempted lynching of an American pilot; food rationing; bartering cigarettes for a typewriter; an incendiary device hitting his house. Richard Suchenwirth describes how his brother, a Wehrmacht soldier on the Eastern front, was taken prisoner by the Americans and then handed over to the Russians.
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Anna Hoyles
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2016-07-30
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ASuchenwirthR160730, ASuchenwirthR160731
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anti-Semitism
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Hitler, Adolf (1889-1945)
home front
incendiary device
Luftwaffenhelfer
lynching
prisoner of war
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Cothliff, Ken
Ken Cothliff
K Cothliff
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486 items in 12 sub-collections. The collection concerns Ken Cothliff's research on 6 Group Bomber Command and contains an interview with Adolf Galland, documents and photographs. Sub-collections include information on 427 Squadron, 429 Squadrons, Gerry Philbin, Jim Moffat, Reg Lane, Robert Mitchell, Steve Puskas and logs from RAF Tholthorpe.
The collection has been donated to the IBCC Digital Archive by Ken Cothliff and catalogued by Nigel Huckins.
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2015-10-20
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Cothliff, K
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Interview with Adolph Galland
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General Adolph Galland remembers his early life and subsequent career as a Luftwaffe pilot. Recounts various episodes: flying gliders as a young boy; changes in Luftwaffe fighting tactics during the Spanish civil war; the Luftwaffe refraining from engaging Fighter Command as to bomb London; arguments he had with Herman Göring and other high-ranking officers over the conduct of war. Explains how the Allies day and night operation strategy forced the Luftwaffe to build up a night-fighter force, previously non-existing. Tells of his brothers and their military careers. Remembers his encounter with Group Captain Douglas Bader. Compares technical performance of German and British aircraft, particularly Fw 190, Me 262 and Spitfire. Discusses the downsides of the planned 162 aircraft. Remembers the struggles to turf wars to rebuild the Luftwaffe at the end of both World Wars.
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Peter Schulze
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Royal Air Force. Bomber Command
Royal Air Force. Fighter Command
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Great Britain
Germany
France
Spain
Norway
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Russia (Federation)
Germany--Hamburg
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Interviewer: General Galland, on behalf of everyone at the Yorkshire Air Museum, may I thank you for granting us this interview. It is greatly appreciated.
AG: Ok. It is my pleasure.
I: I may start with the first question. Is there a military tradition in your family?
AG: Not at all. My, we came, my family came from France, we were Huguenots. And one of this Frenchmen who came over, one Galland was, was a French captain, the chivalry, it was the only [unclear] we have as military.
I: Right. When did you first fly in an airplane?
AG: Oh, I did fly my first time when I was sixteen. I flew in gliders, not very far from my home there were some, an area in which gliding course was done. And I started there in ’20, ’28, I was sixteen years old.
I: I understand you set a record in your gilder.
AG: Ja, that’s right, that’s right. A record in endurance. This area did not have very high mountains, there were only hills and I did for more than two hours, two hours twenty minutes, something like this. This was an area record.
I: Ok.
AG: With my own plane. I got a plane when I finished, [unclear]Schule, I finished
UI2: Like University.
AG: Ja.
I: When did you decide to become a professional pilot and how did you achieve this?
AG: I did it all during my schooltime. Before I left school, I decided to be a commercial pilot and I told this one Sunday, walking with my father outside and he asked me: ‘What do you want to be later on?’. And I said: ‘I want to be a commercial pilot in an airline’. ‘Ah’, he said, ‘don’t you want to study?’. I said, ‘No, I want to make my exam as a professional pilot’. And he said. ‘You can do this, but I have not learned that this is a profession. You can teach me, do you expect a regular fee or do you fly for tips?’
[UI laughs]
AG: You can see how the times have changed. Now the airlines, they don’t like this joke. But they are making a lot of money also. And it is a fine profession. Also today, I think so.
I: So you then go from the airline directly into the Luftwaffe?
AG: No. The first year, at the end of the first year we were told that this was a commercial pilot school. The students were offered to become military pilots. We were told, commercial pilot doesn’t have good aspects for the future, but we will soon have military pilots and you can decide to switch over to the military career. I didn’t like this very much but there was no other questions. This was a strong invitation.
I: [laughs] There must have been many applications to become a professional pilot in those days.
AG: For the commercial side or the military?
I: For the military.
AG: For the military. No, we didn’t have any military organisation at that time at all, everything was, inexistent, was private, commercially or private or it was camouflaged, military.
I: The black Luftwaffe.
AG: The black Luftwaffe did start already in these days.
I: Yes.
AG: But most of the pilots were trained in Russia as you know, Lipezk, a Russian base, we had an agreement with Russia and we trained our people there.
I: Were you there?
AG: No, I have not been there. When Göring came in power, he cancelled this agreement with Russia and he started with Italy an agreement on a similar base. So, I was in the first group which was sent to Italy to be trained there, militarywise. We did not learn too much there in Italy. This agreement was not based on a good understanding between Göring and Balbo, maybe they had language problems, so the Italians did believe we were beginners and we knew already to fly. I remember one day, a French acrobatic pilot that had set up a record [unclear] inverted, invertedly and for two hours or so and we at this time did make acrobatics also there. So I decided when I was, when it was my turn to fly, I went up and go this way, I moved around the airfield all the time invertedly. To make a joke then they sent another airplane up, dropped down [laughs].
I: [laughs] Did you break the record?
AG: No [laughs]. I didn’t have fuel for this. I flew for ten minutes or so, but I showed.
UI2: What type of aircraft were you flying at that time, sir?
AG: Italian aircraft.
UI2: Italian aircraft. Macchi and [unclear].
I: When the Luftwaffe was formed officially in 1935, what was your first unit and what aircraft did you fly?
AG: When I had finished the training, I was ordered to go to the first fighter group which was built close to Berlin, in Döbritz. This was the first group of the fighter wing Richthofen, of the new fighter wing Richthofen. So, I came to this wing as, I was lieutenant, but I was released as Leutenant and we were installed again as Kettenführer.
I: Flight Commander.
AG: Ja, something like this. But, very soon later die Tarnung, the camouflage was taken away and we were made Lieutenants again.
I: I see. You would fly the Heinkel 51?
AG: No, at this time we had the Arado 65. And then we had the Arado 68 and then came the 51.
I: Heinkel 51.
AG: The second group later was set up in Jüterbog, south of Berlin, as the second group that have the 51s already.
I: Did you have any flying accidents in the early days?
AG: [laughs] I had many accidents and many damages. Sometimes they called me the millionaire of the new Luftwaffe, it was for the value of the airplanes I had damaged or destroyed.
[All laugh]
AG: But this was overdoned a little bit. I had one terrible accident, with a Stieglitz, with a biplane by doing acrobatics. I was very good in acrobatics and I had to train for flight demonstrations, which were set up in different towns and I had to show there acrobatics in the Stieglitz. And in this case I had modified the horizontal stabilizer in order to get better flight conditions in inverted flights, but this resulted that the aircraft did have a complete [unclear] conditions in spin. And I couldn’t recover, I could not recover the plane from spin earlier enough so I hit the ground in this position about 45°, this was a terrible accident.
I: I understand that after that [unclear] you are very good at passing eyetests.
AG: [laughs], ja, it is true. In this case I had, the plane had an open cockpit and I had glasses and I destroyed one eye with a splinter from [unclear] glasses and I had a damage on the eye and this resulted in a shorter sight of this eye. And I knew I had to pass a new physical and so to be sure I learnt the numbers and the, was ist Buchstaben?
I: Letters.
AG: The letters. I learned the letters from the table and I knew them by memorising them and I passed my exam very fine. [laughs]
I: The doctors they were bewildered.
AG: Yes [laughs]
I: [laughs]. Yes Can you tell us something about the airfighting in Spain with the Condor legion and just how much influence did Mölders have on evolving tactics for the Luftwaffe?
AG: [clears throat] Mölders became my successor as squadron leader and he, my squadron was equipped with 51s and we did ground attacks. And we were very successful in, we were helping the army, the Spanish army in their advances. Mölders arranged to change the missions to real fighter missions and so his, my other squadron was equipped then with 109s and Mölders started then to find a new tactic. He really invented the open flying formation, finger-four formation and he also had set up a, set up the methods to train the pilots in this way. So we flew in a very open formation, two planes at the same altitude, about onehundred, onehundredfifty meters apart
I: Apart.
AG: From the other and we moved all the time this way in the air in a very open formation. And this had the advantage that the number two could see also, could observe the airspace. In a close formation, number two and number three are seeing nothing, nothing but the guide only. So the next two they are flying from here to there also in this open formation. And this was really invented and explored by Mölders, this is his merit, is no question. By the way, was later on also a very good formation leader. We have pilots, and another example is Hartmann, Hartmann was not a leader at all, he could only fly by his own, and many pilots, Udet was also such a pilot, couldn’t lead a formation, I was told. Mölders once told me: ‘I will tell you one thing, you can become a Richthofen, you can become a new Richthofen, I wanted to be a Boelcke’, this means he wanted to fly with his head, so he was convinced that he was taktisch. And he was [unclear].
I: Did you ever fly the Heinkel 112?
AG: No, I was there when these people were doing [screams] this, the Olympic heroes there but I could not, I could not be pleased by looking at the athletics. So I decided to sell my ticket, sold it. I went up to Warnemünde or in the North, on the East Sea and I did chase Swedish girls, was more pleasant.
I: We have heard of your reputation. [laughs] Is another Galland legend. Did you ever fly the Heinkel 112?
AG: No.
I: Would it have been a better fighter than the Messerschmitt 109?
AG: Ja, ja, it’s no question, would have been a much better fighter than the other plane but the plane was more expensive to be built. The wing profile was changing all the time. The wing of the 109 was much more, much easier to build and for much less money to build. And this was one of the reasons why it has been decided in favour of the 109. Especially the undercarriage of the 109 was very narrow and the plane did have a terrible tendency to loop, to break out in taking off and landing, specially with crosswind. The aircraft lost an unbelievable number of planes by, of 109s by accidents during the war.
I: Would the extra range of the Heinkell had been an advantage to you in the battle of Britain?
AG: Of course, it would have been, would have been an advantage, but it wouldn’t have been decisive. The outcome of the battle would have been more or less the same because the Luftwaffe was not build and was not equipped for a battle like battle of Britain, was not build for strategic airwar. The Luftwaffe was for defense, for air defense and also for helping the army.
I: Tactical support.
AG: Ja, tactical support.
I: After Dunkirk, and the fall of France, did you think that the Luftwaffe could win the battle of Britain?
AG: No, we did not believe this, we did hope it but we learned very soon that this was not possible. Lord Dowding was a very, very cleaver man in guiding his fighters the right way and he did not use the fighters so much as Göring did. He was a much better tactician than Göring. There’s no question.
I: And yet he was sacked, he was discharged shortly after the battle of Britain by the High Command.
AG: Yes. Dowding?
I: Downing.
AG: But he came back.
I: Yes. Well, he was never honoured as he should have been for his part in the battle of Britain. Because mainly of Leigh-Mallory.
AG: Ah ja. This are [unclear] conditions and we learned during the battle that Dowding was a very, very cleaver man and Göring had the intention, first to bring the English Fighter Command down and then to bomb England and bomb London by using this medium bombers we had, the Heinkel 111 mostly [unclear] we had the Junkers 88. But the [clears throat] the Stukas had to withdrawn from the battle very soon because they detect high losses, they could not be escorted [unclear]. So the next decision in favour of the Stukas was a mistake. Another mistake was the set up of the 110 formations, what we called Zerstörer, destroyer. It was supposed to be an escort fighter, but a twin-engine fighter aircraft cannot be compared with a single engine fighter. Is always less maneuvrable and has not the acceleration, he has better armament but in fact the 110 as an escort fighter had to be escorted by single engine fighters and we had to withdraw first the Stukas, Junkers 87, and then the 110 from the battle they could not stand the too high losses.
I: Did this come as a major shock to the crews of the 110s?
AG: Ja, it was a shock, but we knew that it would come. We knew this from exercises. Before the war. We could learn in this maneuvers that the Stuka and the 110 would not, would not be used for long time to [unclear] because the performance were not. Performance were compared to single engine fighters were too low.
I: Your famous comment about the, to Göring about the Spitfires, giving you a squadron of Spitfires, you feel that perhaps would not have made the difference either?
AG: Göring came during the battle of Britain with this special train in the Pas-de-Calais and he ordered Mölders and myself to come. And he blamed us for half an hour for not performing the escort. Our bombers wanted to have the fighters sitting on their wing, on their wing tips but by doing this with the 109 we could not stay, we could not fight, we needed speed and this, our speed was not higher than the bomber formation speed, with outside bomb, so the bombs were hanging there. We had to cross over the and below the formation, but was a higher speed and the bombers did not like it. And Göring blamed us, we should sit on their wing tip, we should not leave this position, we should defend the bombers, and I told him we can only defend the bombers by being aggressive, by being offensive, we have to attack the enemy fighters. And this we can only do when we have a higher speed. And Göring said: ‘Don’t talk such a bla bla, you have the best fighter of the world, the Messerschmitt 109 and everybody knows it, this world war I fighter aircraft’. And finally after half an hour he finished this blaming and he asked Mölders: ‘What can I do to improve the fighting capacity of your wing commanders at this time?’. And Mölders said he wanted to have the Messerschmitt 109 with the more powerfull Daimler-Benz 605 M engines, that was an engine with a higher capation [unclear] and this octane 100 fuel. And Göring said to his aide: ‘Take a note, Mölders will get the first engines’. And then he said: ‘What can I do for your wing?’. And I said: ‘Please Reichsmarschall equip my wings with Spitfires’. [laughs] I do not know, what gave me the courage. [all laugh] Göring was standing there, he was unable to say anything. He looked at me, he turned around and [unclear], trying to restrain.
I: That is legend, sir, it is legend now.
AG: But, I never did get the Spitfire. Mölders did get the engines, but I never got. But I was not punished, [unclear], I was not punished, I expected.
I: You were respected for us. In your opinion, if Leigh-Mallory had controlled 11 Group with his big wing tactics and Keith Park had controlled 12 Group in the battle of Britain, the two group commanders, do you think the outcome would have been the same?
AG: Ja, this is, as I said, true English question. I know this and I believe it would have been good to have a bigger formation than only one wing, only one squadron. But not the only group in one wing. So wings with forty, more or less, forty aircraft or twenty to forty, that would be the best in my opinion.
I: Why were Messerschitt 109s not fitted with dropable fuel tanks during the battle of Britain?
AG: That was a real mistake, absolutely was forgotten or they were not available, we have used in Spain already as I told you, but for the 109 we did not, we did not [unclear]
I: And yet it would have helped your range.
AG: It would have helped but we would have, had to drop the tanks already when we came over England.
I: Yes.
AG: Because the dogfight, fighter against fighter, with drop tanks ist not very [unclear]. So later on when we got them, Göring extended an order not to drop the tanks, only when we were attacked.
I: One of the major factors was that the Luftwaffe didn’t concentrate its attack on the communications network and particularly the radar stations. Why was that so?
AG: A mistake.
I: Again a mistake.
AG: Absolutely a big mistake.
I: You knew about them.
AG: Ja, we knew of them, we had photos and it was a mistake. It was a mistake to finish the attack against Fighter Command was a mistake also, we should have continued. Ensure the british fighters did not come up when we came only by fighter. We had to use some bombers to go with us, to drop some bombs, to force the british fighters to come up. But to switch over from the battle against Fighter Command to the attacks on London was a terrible mistake.
I: How would you compare the Messerschmitt 109e with the Mark I Spitfire and Hurricane? I believe yours actually had Mickey Mouse on its, why did you have Mickey Mouse as your logo?
AG: When I was in Spain, Mickey Mouse had just come up everywhere and one of the pilots already in operations had the Mickey Mouse. And I did like this, I said, I will take the Mickey Mouse also, modified it a little bit and then I was told I should not use the Mickey Mouse because it was an American.
I: Yes, quite.
AG: Toy and this did make me decide to have it at all, to keep it and I kept it all the time.
I: Yes, indeed.
AG: I still today in my car [laughs].
I: And how do you think the 109 compared to the Spitfire then? The 109e?
AG: The e was not the best, the g was later better, g4. The Messerschmitt was, besides bad conditions in taking off and landing, based on this narrow undercarriage. The Me 109 had only one advantage, that was the fuel injection of the engine. We could easily use, manoeuvre was negative g, [unclear]
I: Yes.
AG: And the engine would drive perfectly, would not stop. We knew it was the carburator immediately when you get negative g and it stops. So, we could, when we were fired, we dropped only the nose down, and always more down and we could escape. This was a advantage. In other flying conditions both types, the Spitfire and the 109 were more or less equal. Acceleration. Manouvreability was better in the Spitfire, the Spitfire had a lower wingload, had a lower wingload and was better in manoeuvre, but acceleration were more or less the same.
I: Yes. I understand, Sir, that you had three brothers who were also fighter pilots with the Luftwaffe. Did they see service throughout the war with you?
AG: Ja, Ja. First came my younger brother to my wing. He started as a anti-aircraft and he was unhappy there, I took him out and he got a special training and then he came to my wing. And he became very soon a very capable, very good fighter pilot, very good. He had in his time 57 victories between b7, four-engine B-17s, was a high number. And he got the Ritterkreuz, this decoration we had. And my younger brother, the youngest brother, he had some difficulties, he came also from the anti-aircraft and had also a special training. I took him in my wing and in the beginning he had very high difficulties and he asked me to help him. So, I went with him to his 109 and he was sitting in the aircraft, immediately I saw he was sitting in the wrong way in the cockpit. When you had not the right position, then, the, what is when you are shooting?
I: Gunsight.
AG: Gunsight. Gunsight. He was sitting wrong behind the gunsight and this resulted in a mistake of his balance, of his shooting.
I: Yes.
AG: So, I corrected this [unclear] he got in the aircraft and from one day to the other he shot up.
I: Really?
AG: He was so happy. I also. He was a very young fellow, he died with twentythree years, he had 17 victories. And the elder one, he was, was a bad fighter. He was really a bad fighter, he wasn’t able to do anything, he was hopeless, so I managed to get him to the air reconnaissance 109. He flew there but he was not successful [unclear].
I: Did the two other brothers today survive the war with you?
AG: Only the elder, only the elder one but in the mean time he died also. Ten years ago.
I: Alright. I understand that at one time your crew chief was actually given a rocket for saving your life. What’s the story behind that?
AG: He one time did install an additional
I: Armour plate
AG: Plate,
I: Armour?
AG: Armour, armour plate behind me. And this armour blade went over my head and he didn’t tell me when I crossed the cockpit and were taking off, I shut the roof and I hit my head terribly and I blamed him: ‘You did not tell me you installed this’. ‘Wait, when I’m back I will tell you something’. And during this mission, I was shot down and I got an impact on this plate, exactly on this plate. [everybody laughs] So I didn’t blame him, I gave him zweihundert Marks and a special leave.
I: Yes. There is one well-known photograph of your Messerschmitt with a modification of a gunsight. It’s a well-known photograph.
AG: Was a mistake.
I: Was it?
AG: Was absolute a mistake. I thought I could use it for shooting on a longer distance but I learned immediately it is good for nothing, it wasn’t even good to identify the planes. When you have a plane in front, sometimes it is difficult to decide is it 109, or is it Spitfire. So, I thought when I looked through this, I can make it out [unclear] you cannot get it concentrated in anything so I decided to get [unclear]. But this aircraft, many times it has been photographed and many times on many photos it appears with the gunsight. We had not, we had a simple gunsight I have to [unclear] this was a fixed gunsight but what we had needed was a gunsight which was directed by
I: Gyro,
AG: BY gyro,
I: By gyroscope.
AG: By gyro. This we have needed terribly. We got it finally late in ’44 but it didn’t work properly. So this was an advantage on the british you had this gyroscopic gunsight, which made shooting in terms much easier.
I: Without Operation Barbarossa, the attack on the Soviet Union in 1941, would the American 8th Air Force and Bomber Command, in your opinion, have been able to sustain the bomber offensive?
AG: No, no. We were already so much beaten at this time, we would have more fighters available for the air defense and the losses would have been higher on the other side but we could, would not have been able to stop the air offensive. The western allies, the English, the British, they did a very clever thing, to split up the air offensive in day and night offensive and the british concentrated completely on the night. This was very clever, very clever. So, we had to build up a nightfighter airforce, nightfighter force, which did not exist at the beginning of the war. Göring said: ‘Nightfighters? We don’t need them. It will never be a night bombing’. So, when he made the decision, it was a decision, it was [unclear] this. He did not accept anything what was critical or negative of the airforce, everything was first class what he did.
I: Were you ever in charge of the night fighters?
AG: Ja, I was in charge and this after the catastrophe of Hamburg. In this case, Kammhuber, general Kammhuber was responsible for the night fighters and he was a very stupid man, he didn’t fly himself and he gave orders which the night fighters didn’t accept anymore. He was using one night fighter against the incoming bombers and he could only guide one fighter. And at this time, when the Bomber Command switched over to the bomber stream, all the night fighters wanted to follow the stream, they could see it by night, depending from the visibility but with lighting from the ground and with the fire over the towns, our night fighters could see the bomber stream and by the bombers they shoot their fire, they could follow this stream but Kammhuber did not allow our night fighters to go with the stream, to follow. So, they came, the night fighters came to me and they said: ‘You must help us. Our commander, Kammhuber, he bind us on one radar, in the range of one radar, in a circle of 120 km, he bind us and we want to follow’. We used Window the first time in Hamburg and this did lead to a complete catastrophe of Kammhuber’s tactic. So I had to tell this Göring and Kammhuber was released of the [unclear] and he went over to fleet commander, airfleet commander North, 5th airfleet.
I: In Norway.
AG: Norway. And he blamed this on me, Kammhuber, they said. He didn’t say to me but he was convinced I had originated this trouble. And I had, so we had not a very good relationship [unclear]. And after the war Blank was the first man who did set up the beginning of the air force and Blank wanted to have me as the first commander of the air force. And he invited me to come and talk to me and he said: ‘I did not want to have high ranking officers of World War I in the new air force, they are too old. So, everybody has voted for you, you should be the first commander of the air force, when you accept it’. And I said: ‘I am coming from Argentina, I have no idea what is going on here, I must be, first get a complete information what is done, what is planned and so on’. And then finally this was done and I decided to go up to do it, that [unclear] did say this to Blank. Then came a stop on the rebuilding of our new air force because the French blocked, they blocked this, was the European Defense Committee, Community and [unclear] came up this time. And the French did stop the European Defense Committee. So, and this was one time delayed and then this time Kammhuber came as the first commander of the air force because Blank did change against Strauss, Strauss being Bavarian he brought Kammhuber with him, who was also Bavarian and he was [unclear] over. Kammhuber did build up the air force. Was a nice story. When Kammhuber was in charge of the night fighters, I had to see him in order to use his night organisation also during daytime. Kammhuber did denie this completely, he said: ‘No, I have set up for the night fighters and you are day fighter, and they will set up your organisation, radar and everything’. And I said: ‘No, that is not true, we are not so rich that we can do this. This is a hotel with a hotel organisation, we have a night porter and a day porter, you are the night porter, I am the day porter’. We blamed for hours, we could not convince, and then he said: ‘ [unclear] I will show a complete new radar installation I have just set up’. And we went in his car, a big Mercedes, open Mercedes, his big flag as commanding general on front and there was a soldier of the infantry [unclear] He blocked us and said: ‘Your passport’. Kammhuber said: ‘Don’t you know me?’ ‘No. Passport’. [unclear] said: ‘Do you know this flag? I am your commanding officer’. He said: ‘This can be said by everybody. Passport.’ Kammhuber made a head like this and finally he said: ‘Do you know him?’. He looked at me and said: ‘Ah, I believe I have seen him on a [unclear], on a newspaper, in front of a newspaper, a big photo. I think that this is Major Mölders, then you can go’. [unclear] He was [unclear] also, Major Mölders.
I: I’ve been asked by some of the veterans who flew from the Yorkshire fields, where we are from, from 5 Group and 6 Group veterans, what were your feelings towards the night bomber crews, when you were general of night fighters?
AG: I didn’t understand too much about night fighting, I must say this, I’m a complete day fighter, and [coughs] we had a saying as dayfighters: the night is not good for fighter pilots, the night is good for bitches, but not for fighters. But really this was a good organisation and also the guiding systems we had in the night fighters they were very fine, very very fine. And the night fighters did have a better fighter, leading fighter, guiding organisation than any fighters had but they did not need it.
I: This was Wild Boar and Tame Boar.
AG: Ja.
I: After the raid on Schweinfurt-Regensburg, did you think the 8th Air Force could be stopped by the Luftwaffe?
AG: No, I did not believe this, there were too many mistakes done and too many things were not performed. When Hamburg occurred, everybody, Göring did call a big meeting and all important men were present at this meeting. There was a unique opinion, we have now to change the priority and we have to give the air defense first priority. And we have to stop everything else but we have to concentrate all our power on air defense. Göring was convinced and he decided to bring this up to Hitler immediately. This meeting was in Hitler’s headquarters, Wolfsschanze in East Prussia. So Göring went to Hitler. He came back after one hour, he was completely destroyed, he broke down in his quarter and finally he ordered [unclear] and myself to come and he said: ‘Hitler has not accepted our plan. Hitler has decided to build up a new attack air force, a new bomber air force to bomb England. Bombing can only be stopped by bombing, not by air defense’. And he had explained this to me and Hitler has right. He fall down completely, he is right as he is always right. The way through air defense is too far away and we were stopped, we were blocked from continue bombing aim. So Peltz, general Peltz, a young fellow was made the attack guidance, the attack commander in England. This was immediately after Hamburg.
I: 1943.
AG: Ja. Unbelievable, unbelievable.
I: Was this the beginning of what they call the Bedeker Raids?
AG: Ja.
I: Where they used the Bedeker Atlas to bomb.
AG: Ja.
I: May I ask you general?
AG: Göring was not stupid, he was a clever man. He knew this was wrong, but he has never resisted Hitler. When Hitler gave an order, he immediately was of the same opinion, because Göring was not a man for combat, was not a man for fight, was not a man for war. Göring wanted to continue his life as the most richest man in Europe, he wanted to be brilliant and he didn’t like the war at all.
I: Without a western front to defend, could Operation Barbarossa have succeded?
AG: Could?
I: If Germany had not been fighting on two fronts, could you have succeeded with the attack on the Soviet Union?
AG: With the attack on the Soviet Union. It is difficult to decide but we were close to win the battle, but we have been blocked again by beginning the offensive against Russia by the Italians. When you have the Italians as your allies, you have 50% of the war already lost, you we can be sure. [UI and UI2 laugh] Really. The Italians have started the war in Africa, so this did force us to go to Africa. Then, Germany wanted to take over Malta. Mussolini said: ‘No, Malta, we will take over. You can take Greece’. And we took Greece with much losses and it was not good for nothing, I know. And the Russian campaign has been delayed by the Italians again, this time by the war in the Balcans, by attacking Albania. And we had to go to the Balcans. This [unclear] a delay of half a year. Again our allies deterred us. So I still am going to say, if we could have won the war, I think we could have broken the power of Russia, we could have. We were close to Moskow and if we would have started half a year earlier, everything would have been much more in favour.
I: A huge country of course.
AG: Ja.
I: You were a pallbearer at the funeral of Ernst
AG: I knew the war was lost, was probably or was not to be won, there is a difference, already in 19, in the second war Russian campaign, this was
I: 1942. 1942.
AG: 1942. In this year I remember conversations I had with the chief of staff of the Air force, Jeschonnek, who told me: ‘You can believe me the war cannot be won anymore’. I said: ‘I agree competely’. But we were not allowed to talk about this, to tell this anybody. And we, ourselves, we fighters, young people, we knew the war could not be won anymore but we hoped, did heartly hope, that the war could be brought to an better end. This means, the unconditional surrender condition, this was something we are fighting against up to the last man.
I: You were a pallbearer at the funeral of Ernst Udet. When did you realise that he had committed suicide and what are your memories of Udet?
AG: When we at the funeral of Udet, we were told by Göring, Göring could difficultly close his mouth if he wanted to talk. So, he did tell us what has happened and some weeks, three weeks before, I was with Udet one night in the special train of Göring in East Prussia. And Udet was completely broken, completely broken, he was blamed to be responsible for the armament which were not going up and [unclear] and this was true. Udet was responsible for the development, for test, and for armament, for building, for the industry, and this he could not do, he was not able to do this at all, he could not organise the industry and he did not have the help to do this correctly. And therefore, he missed completely, lost completely this order to build up the industry. But this was not the responsibility of Udet, this was the responsibility of Göring to make him responsible for this. There were other people, Milch is an example, was absolutely more capable to do this and the production went up when Milch took over the post of Udet. So, is this the answer?
I: What are your memories of him as a person?
AG: Oh, he was a wonderful man. He was a wonderful, charming man, he was an artist. He was joking, he was very much liked by everybody. He was a great flier, pilot and you could have a lot of joke with him. And we did have.
UI. Yes.
AG: He did like the whiskeys.
I: And the ladies?
AG: Also.
I: [laughs] I understand that Douglas Bader was a guest of Geschwader 26 for a while.
AG: Ja. I have the date here when he was shot up, that was in 1943. There was an incoming English Royal Air Force attack, Blenheims with escort of Spitfires, and we had a big fight over the Pas de Calais. This was my wing and the wing Richthofen, but in this case only my wing 26 was involved, we did shot down I think 6 Spitfires and 2 or 3 Blenheims, I shot a Blenheim down. And I shot, I combat also with Spitfires but I think [unclear] off 3 Blenheims and 6 Spitfires downed. And in the afternoon one of my group commanders phoned me and said: ‘We have shot down one incredible man, an English wing commander, by the name Bader, he said, Bader said wanted only to be called Bader. He has two wooden legs and you must invite him to come immediately, bring him my invitation. And Bader had to bail out and he left one of his wooden legs in the Spit and the Spit landed with out him and my mechanics could repair this wooden leg a little bit. So, I was called some days later, Bader can come now and visit you. And I did send him my biggest car and a good looking, first Lieutenant. Bader came on. I had informed myself a little bit about him and it was absolutely a great impression, from the first moment, this stepped on his two wooden legs. And Bader said to me: ‘Can you send a message to our side that I am safe in your hands and I wanted to have a second set of my legs, which I have in my [unclear] and a good pipe and tobacco’. I said:’ Yes, I will try it’. So, then I phoned Göring in the evening and said: ‘We have Wing Commander Bader here, a man with two wooden legs, unbelievable man, sympathic and [unclear] the rules [unclear] immediately’. And I said: ‘We wanted, or he, he wanted that we communicate to the other side, to the English side, he is in our hands and he wants to have a spare legs’. And Göring said: ‘You can do this, we have done this in world war one, many times, you can do this, I like this, I like this’, the meaning was [unclear]. So, we put it on the way of the international sea rescue. It was confirmed from the other side, I communicate this to Göring and he said: ‘How do you want to do this?’ I said: ‘We are waiting now that the English [unclear] and then we make a proposal, we make an open space with an airfield and we guarantee a safe landing and coming to our side and of course we will make some photos’. [laughs]
I: Doctor Goebbels [laughs]
AG: This, our message was confirmed through the other side and nothing happened two, three days and then came in the same way, in the same way, the same frequency, a message: in this present attack we are doing, we drop not only bombs, we drop also a case with the spare legs from Bader. They dropped our airfield [unclear], no, not [unclear], Saint-Omer, dropped a case with a parachute, I have photos of this, there were the spare legs, that was not very nice, we were disappointed. So Bader many time has visited me, for tea and then I showed him the aircraft from my wing and showed especially mine, my 109 and he wanted to step out, he mounted the cockpit immediately with his wooden legs, this is unbelievable. And as he was sitting in the aircraft, Heidi, you must being the photos, and he said, I showed him everything, explained [unclear] please can you start the engine [all laugh] all around the place, only around the place. I said, no wing commander, let’s stop this nonsense because I have two 109s for my own personal use and if you take off I would have to follow you. And I would have to shot at you again and I do not want to do this. He was laughing. Of course he has never expected that we would start it. Then he was brought back to the hospital and he made an escape from the hospital, on the sheets from the prisoners, he did borrow the sheets and came down from the second floor to the ground and the last sheet did broke and he did fall down and he hurt one leg again and he had to go the hospital. So, he was immediately captured again. When I heard this, that he had escaped again, I was [unclear] because I had shown him to much [unclear]. I would have had [unclear] perhaps but he came back and he did make another escape. This man was unbelievable.
I: On that engagement when Bader was shot down by your Geschwader, there was another pilot and our research indicates that you shot him down and he lives in Sheffield, which is quite near to the Yorkshire museum. He is still alive today and he sends his best wishes to you.
AG: Oh, thank you. That was on this occasion?
I: Yes. Buck Kassen was his name and he was shot down and made prisoner of war the same time as Douglas Bader. And we interview him as part of this tape.
AG: What is the name of this Spitfire pilot shot down in?
I: [unclear]
AG: My victory 56. He calls himself your victory 56.
I: [unclear]
FS: I’ll take some.
I: May I ask you why did most of the Luftwaffe’s very high scoring aces, such as Hartmann, Barckhorn, Rall, why did they fly the Messerschmitt 109 rather than the Focke Wulff 190?
AG: In the beginning, the 190 was not available, the 190 was only available for wings from April ‘43, so up to this date they could only use the 109. The 190 came later, it was not, was not ready for being used by the operational units.
I: But even later, even later many of the aces still preferred the 109.
AG: Maybe. I personally flew the 190 the last months of the war and my latest was the 262 of course.
I: Yes.
AG: But the 190 was much better for attacks on bombers. The 109 was absolutely better for fighting fights against fighters. Danke. The 190 had a lot of protection against the bomber fighter, the Spit [unclear] engine gave you a feeling of safety.
I: Why did the death of one man, general Wever, bring about the scrapping of the german strategic bomber program and what were Göring’s and Jeschonnek’s views after the battle of Britain?
AG: Wever was an army general but as an army general he had a great understanding for air war and Wever was also a follower of Douhet, this Italian general, the inventor of the strategic air war. And Wever did promote the four-engine big bomber, he did promote this. Unfortunately, he killed himself in a flying accident. He started a Heinkel 70 with the rollers blocked in Dresden, came down immediately. If he would have lived perhaps we would have had a four bomber air force also. I believe this. But then Udet went to the States and he was convinced by the American navy air force, which were, they were using these dive bombers, and Udet was convinced by them that was the way for people which have not big reserves on raw material, like Germany, to get the same result by picking up pinpoint targets. And really Udet did influence the air force, the top air force men, including Göring, that this was the way for Germany to have the Stukas instead of the four-engine bomber. [unclear] we can get the same result if we had the power station of a big plant or we destroyed your plant. This is the same result. So, at this time, an order was given that all the German aircraft, even the twin-engine Junkers 88, could have been used, should have been used in dive attacks. Also the Heinkel 177, which was the German four-engine bomber, in which two engines were blocked, bound together, they should also go in dive-bombing, which was a mistake, of course.
I: When you were promoted to general in charge of fighters, sir, how old were you? You were a very young man, I believe. And how do you feel about succeeding Mölders?
AG: 29, 29 years and I was practically the immediate successor of Mölders.
I: How did you feel about that, sir?
AG: I was not happy, I was absolutely unhappy in these days because I wanted to continue as wing commander. I was very unhappy in this position. I wanted to fight, only to fly. I already upset with, myself with Göring when I was made wing commander, because I did believe I so much paperwork to do that I could not fly anymore. My intention was to fight.
I: Hitler awarded you the Germany’s highest award for bravery, the diamonds to your knight’s cross following your 94th victory. But I understand there was more to it than just the diamonds. You had quite a collection of diamonds in the end.
AG: Ja. The first diamond I got was the Spanish cross with diamonds. That was a german award very nice with diamonds in the middle. This was awarded, I think, nine times.
I: [unclear]
AG: And next I got the diamonds to the oak leaves to the knight’s cross. And when I got this, Göring did had not seen it before and I was sitting in Göring’s train [unclear] and Göring looked at me and said: ‘Are these the diamonds the Führer gave you as highest german award?’. I said ja. ‘It cannot be’, he said, ‘take it off’. I took it off and gave them to him [unclear]. ‘Terrible, terrible, The Führer knows everything, knows every carrier of the [unclear], of the german army, the german, he knows the complete trajectory, every gun, but diamonds, he has no idea, not enough. I tell you, these are splinters. Little splinters, these are not diamonds. Give it to me, I will, I have a jewelier in Berlin, who will make you another set. You will see what diamonds are looking like’. So I took it off and gave it to him. Some weeks later, I was ordered to come to his house in Carinhall. ‘Galland, look at here, this are the splinters of Hitler, these are the diamonds of Göring, who knows about diamonds?’. So, he gave me both sets back, I had now twice. Then, he must have told this to Hitler because some weeks later I was asked to see Hitler and Hitler said: ‘My dear Galland, finally I’m in a position to award you with the final edition of [unclear] decoration. Look at this’. He gave me this case. ‘Take a look, [unclear]’. I did not know for what is this order to come, I had the diamonds from Göring, the big ones. And he said: ‘Can you see the difference? These are splinters’. ‘This is obsolete’. ‘No, you can wear this every day. They are expensive, the big ones here. When you are flying daily, take the other ones. The splinters’. I was about to explode. He gave me both sets back, I did three times now. And then came a time, I was so upset with Göring, I had so big fights with him. And he had in one big meeting in Munich Schleissheim, there were about forty officers in this meeting and he blamed the fighters in a terrible way. He said we were not anymore brave, we were scapegoats and good for nothing, we were decorated highly at the beginning of the war and we did not pay for it. And most of the pilots had with lies made their high decorations over England. When he said this, I took my decoration off, I was sitting opposite to him and hit it on the table. Göring finished this meeting and he tried to calm me down, but I said: ‘No, you should refuse this [unclear]’. I said: ‘Göring, I cannot do it, I cannot do it, [unclear] I cannot take my decoration on anymore’. And I did hang this number three [unclear] in my office in Berlin and this Olympic game installation and hang it on the neck of the wooden [unclear]and It was hanging there, I didn’t take my decoration for, I think, five months. And then Hitler one day saw a photo of mine on a newspaper, Berliner Illustrierte, and said:’Why is Galland not showing his decoration?’. And Hitler was told the Royal Air Force was bombing Berlin. And Hitler said: ‘You should [unclear] immediately and get a new [unclear]. I had to see Hitler without. And Hitler said finally: ‘Bad luck, but you have a new set’. But this is was number four. [laughs] And by the end of this war I was wearing this number four and I took this as prisoner of war with me, until we were asked to take it away. But I could keep this with me and [unclear] till today. That is the only set. The other sets, one was burned, two sets, [unclear] was liberated at the end of the war by the americans,
I: They might be somewhere in America still, probably.
AG: I talked to one man who has one set.
I: Really? Amazing story. You were responsible for the fighter screen when the Gneisenau and Scharnhorst and Prinz Eugen made the famous Channel dash. How was this success achieved under the eyes of the RAF?
AG: I was made responsible for this fighter escort, is true and I was in a meeting with Hitler and Hitler at the end of the meeting he took me away and said: ‘Do you believe this operation can be performed?’ And I told him: ‘It is possible, but the first condition, first and most important condition is complete, this operation is completely secret. And the English should not know about the operation, should not know when is going on and so on, completely secret and Hitler said: ‘Yes, I agree 100%’. ‘But’, I said, ‘there is a lot of risk in war’. Hitler said: ‘In all my operations, the last years, the biggest risk was the [unclear], it was true, he always was playing with this risk, in an incredible [unclear]. Hitler agreed and when the operation were prepared very much in detail and seriously, very seriously. And I invented the callname, the codename for this operation.
I: Really?
AG: I invented Donnerkeil. This was not accepted by the navy. The navy called it, what was it?
I: Cerberus.
AG: Cerberus, Cerberus, they called it Cerberus. And this was good and in so far as the British secret service knew about this was [unclear], not in detail but they knew, we were preparing it. They did believe this were two different operations, they did not bring the two operations together, so this was an advantage. And then our highest chief of the communication, Martini, he did use for the first time a big system of disturbing the English radar and this disturbation gave the English the impression we were coming in with big [unclear], with big offensive formations and this did help a lot. And the weather did help a lot, it was a miserable weather and on the English side, not in France, nothing, this did help us also. So, we had finally the success based on a lot of luck, lot of luck and our fighters were brave, fighting very very brave. I remember I had my two brothers in this operation and they told me.
I: And a very british Victoria cross was ordered in that operation too. What are your memories of the ace Hans-Joachim Marseille? And how did you regard him as a fighter ace, in comparison to Hartmann?
AG: In my book, the virtuoso, [unclear] but he was a single fighter, also was not a [unclear], nobody could follow him, he did fly like Richthofen, more than Richthofen
I: As a loner, as we would say.
AG: He was not able to guide four fighters there. And he got so impacts I think in his last [unclear] and he did make a mistake by escaping from the aircraft. He didn’t make a [unclear] but he did in the beginning. And was pulling out and he hit the tail. Later, I personally did escape twice by our new method took the nose up, engine down, nose up and then we pushed the bottom very strongly unclear], the aircraft did make this motion and in this situation the pilot was ejected really, the pilot was flying up ten meters, thirty feet and this was this [unclear] method risky.
AG: Ja, we’re finished now.
I: We could move to the end of the war. So, Germany’s experience with jet fighters where of course the Messerschmitt 262 was the first operational combat jet fighter in the world. Do you feel that that aircraft, if it had been available in sufficient numbers in 1943, could have altered the bombing offensive? And what was it like to fly? What was it as an aeroplane?1
AG: I’ve known this airplane I think in June ‘43 the first time and I have made a report on this, I have a copy of this. On Saturday the 22 of May ’43. I’ve flown this aircraft in Ausgburg, taking off in Ausgburg, is a Messerschmitt plant and this a report about this first flight addressed to Feldmarschal Milch. He was responsible man for armament and for development. And I am saying, this aircraft [unclear] us complete new tactical possibilities, this is a revolution and I recommend therefore to stop the messerschnitt 262 development completely and to take this out of the plan. Concentrate only on the Focke Wulff 190 D development and all capacity and concentrate from now on to the 262. This will give us greatest chances supposed that the allies, the Americans and the English [unclear] continuing their operation on piston, only on piston driven fighter base and bombers. WE knew that they were also developing the Meteor and did not know when they were ready. But the 262 would have given us the biggest chance if we would have the time. The development of this project was stopped and delayed, later delayed by order of Hitler, because he was of the opinion that the war was shortly before to be won and developments would take more than one year to be finished, would come too late [unclear]. That was his argument. And without this [unclear] development, which was done by Messerschmitt and by Henkel, was done without being known by Hitler, was done in secret [unclear] of Hitler. Only in the last months of the war, when the aircraft was there, when the RAF made this first light tests, and this report, then he decided to use it only, only as [unclear] against the invasion. This is the aircraft, with which I will fight the forthcoming invasion, he said in my presence, this is the aircraft. I order this aircraft to not be used in any other form and should not be imagined in another operation as [unclear].
I: What was your opinion, sir, of the two other jet fighters that did see operational service or limited, the 162, the Heinkel 162 and of course the incredible Messerschmitt 163 Komet, the jet, rocket jet fighter?
AG: The 163, the rocket fighter was already under development and I knew about this and this would have been a compliment for the anti-aircraft, only for the defense of certain objects, like the derrick oil plants. I was of the opinion that this plane could be used for this object protection with a certain success. It would have been that a lower flight plane target with flight time, with power was only 6 or 8 minutes but the aircraft was then so high up that it could make one or two attacks and then go down. This was only an additional aircraft for the air defense but the 162, this was a political development. It was supposed to set the Hitler
I: Hitler Youth.
AG: Hitler Youth on these planes then only with the training of gliders, which was completely wrong, completely wrong, I was against this development because I said youngsters cannot fly this plane with success, this is absolutely impossible. Secondly, the engine BMW 003 is not so practical, [unclear] that it can be used only one engine on one aircraft, we need two engines. And certainly the 163 with this engine behind the pilots and without the exit seat, this would result, every pilot who tried to bail out would land in the engine. So, I have fought against this plane because the concept was only based on a political wrong thinking, absolutely wrong thinking. And this should have been performed and executed by a, the youngsters and responsible for this was the fieldmarshal or the general, colonel general Keller.
I: From the first world war.
AG: Ja, from the first world war. And I took Keller with me to Nowotny on the day in which there was a , was shot down, hit the ground. In order, my intention was to show him what a jet operation does mean, more complicated than this and at the end of the war, when I was leading my JW 44 in Munich Ried, two or three handful of this 162 came to me and said we want to fly with you. They didn’t have any success at all. So this was, the 162 was a complete wrong concept from the beginning. A political development.
UI. We’re getting near the end, sir, but can you very briefly tell us about JV 44? Is it correct that all the pilots have the night’s cross?
AG: No, no, this is not correct. We had several pilots with the knights cross and most their officers and at the end of the war, pilots who were in hospitals or were in, wie heisst das [unclear]? the recovery stations, they came to me and said:’We want to be, we want to fly under you’, they all said: ‘we want to fight the end of the days with you’. And I have accepted this. So, in the last week or two last weeks, I only accepted such pilots who wanted to continue to fly. Pilots who said, [unclear] for family reasons or something like this and I do not want to fly anymore, he could do this, he would not be punished at all. This were only Freiwillige, free will pilots, [unclear]
I: Volunteers.
AG: Volunteers, volunteers. And Steinhoff had this terrible accident, he was the man who was responsible for operations in my group 44, strong and he believes he had hit a [unclear]. I believe he pushed the wrong button, Steinhoff was used to take off with flaps in and only when he reached, came close to the take off speed, then he dropped the flaps, this [unclear] a little bit [unclear] the take off. But in the Messerschmitt are two buttons, one is for undercarriage, one is for flaps and they are close together, you can see on old cockpits. I think, yes, he pushed the undercarriage. Then he tried to take off, he made a jump, restored its speed, came down with too early engines about 2000 feet after he came lifted from the ground, came down, he hit the ground and burned out.
I: Did you see the crash?
AG: Ja. I was number one, he was number four in my wing. This was the last, my last mission. Finnegan believes he should, this American guy, he came, I shot down two more others in this mission and I didn’t know if the second one was already finished so I made a turn, looked at this [unclear] and [unclear] gave me some shots [unclear].
[All laugh]
I: Five more questions.
AG: Finnegan or when the Americans say, you were shot down by Finnegan, that is not true, I could manage to get home, one engine was hit, ja, that is correct but I could manage to come down and manage a perfect landing with one engine on my base on which I had taken off, is not a victory.
I: Not at all, an American-type victory.
UI2: Unconfirmed probably.
[All laugh]
I: Five more questions, if I may. You are now 82 years of age?
AG: Ja, unfortunately.
I: How do you feel about the events of 55 years ago, during the battle of Britain, when you were fighting for your life, all this time, all this long distance from battle, how do you feel?
AG: At this time when this had happened, we did never believe we would survive. Even in the last days of the war, when I flew the 262, I didn’t believe I would survive the war. I was real ready with my life, had a good life and [unclear] success, [unclear] success in my life and I always wanted to be better than others and I got the feeling to be better than others [unclear]. So, I am thankful for my life and I think it was an extraordinary class of life which I performed. And I thank God for being with you now and have survived all situations. And I have the experience of what I say. I have had so much responsibility during my military life and when I saw the terrible destructions of the allied airwar in Germany and I saw the people who did suffer in such terrible form, I had only the wish and the intention to fight up to the last minute in order to compensate, not to win the war.
I: General Adolf Galland, this has been a real pleasure, sir, we greatly appreciate it. Thank you. Marvellous sir.
I: Thank you sir. You are part of aviation history.
AG: [unclear]
I: Yes, yes, we do, we have some presentations for you.
I: On the way here, sir, I had to pinch myself to make sure that it is real, that I am meeting Adolf Galland. A small gift, sir, on behalf of the Yorshire air Museum.
AG: Thank you.
I: Our air museum plan.
AG: I’ve got quite a collection already.
Unknown interviewer: General Galland, on behalf of everyone at the Yorkshire Air Museum, may I thank you for granting us this interview. It is greatly appreciated.
AG: Ok. It is my pleasure.
I: I may start with the first question. Is there a military tradition in your family?
AG: Not at all. My, we came, my family came from France, we were Huguenots. And one of this Frenchmen who came over, one Galland was, was a French captain, the chivalry, it was the only [unclear] we have as military.
I: Right. When did you first fly in an airplane?
AG: Oh, I did fly my first time when I was sixteen. I flew in gliders, not very far from my home there were some, an area in which gliding course was done. And I started there in ’20, ’28, I was sixteen years old.
I: I understand you set a record in your gilder.
AG: Ja, that’s right, that’s right. A record in endurance. This area did not have very high mountains, there were only hills and I did for more than two hours, two hours twenty minutes, something like this. This was an area record.
I: Ok.
AG: With my own plane. I got a plane when I finished, [unclear]Schule, I finished
UI2: Like University.
AG: Ja.
I: When did you decide to become a professional pilot and how did you achieve this?
AG: I did it all during my schooltime. Before I left school, I decided to be a commercial pilot and I told this one Sunday, walking with my father outside and he asked me: ‘What do you want to be later on?’. And I said: ‘I want to be a commercial pilot in an airline’. ‘Ah’, he said, ‘don’t you want to study?’. I said, ‘No, I want to make my exam as a professional pilot’. And he said. ‘You can do this, but I have not learned that this is a profession. You can teach me, do you expect a regular fee or do you fly for tips?’
[UI laughs]
AG: You can see how the times have changed. Now the airlines, they don’t like this joke. But they are making a lot of money also. And it is a fine profession. Also today, I think so.
I: So you then go from the airline directly into the Luftwaffe?
AG: No. The first year, at the end of the first year we were told that this was a commercial pilot school. The students were offered to become military pilots. We were told, commercial pilot doesn’t have good aspects for the future, but we will soon have military pilots and you can decide to switch over to the military career. I didn’t like this very much but there was no other questions. This was a strong invitation.
I: [laughs] There must have been many applications to become a professional pilot in those days.
AG: For the commercial side or the military?
I: For the military.
AG: For the military. No, we didn’t have any military organisation at that time at all, everything was, inexistent, was private, commercially or private or it was camouflaged, military.
I: The black Luftwaffe.
AG: The black Luftwaffe did start already in these days.
I: Yes.
AG: But most of the pilots were trained in Russia as you know, Lipezk, a Russian base, we had an agreement with Russia and we trained our people there.
I: Were you there?
AG: No, I have not been there. When Göring came in power, he cancelled this agreement with Russia and he started with Italy an agreement on a similar base. So, I was in the first group which was sent to Italy to be trained there, militarywise. We did not learn too much there in Italy. This agreement was not based on a good understanding between Göring and Balbo, maybe they had language problems, so the Italians did believe we were beginners and we knew already to fly. I remember one day, a French acrobatic pilot that had set up a record [unclear] inverted, invertedly and for two hours or so and we at this time did make acrobatics also there. So I decided when I was, when it was my turn to fly, I went up and go this way, I moved around the airfield all the time invertedly. To make a joke then they sent another airplane up, dropped down [laughs].
I: [laughs] Did you break the record?
AG: No [laughs]. I didn’t have fuel for this. I flew for ten minutes or so, but I showed.
UI2: What type of aircraft were you flying at that time, sir?
AG: Italian aircraft.
UI2: Italian aircraft. Macchi and [unclear].
I: When the Luftwaffe was formed officially in 1935, what was your first unit and what aircraft did you fly?
AG: When I had finished the training, I was ordered to go to the first fighter group which was built close to Berlin, in Döbritz. This was the first group of the fighter wing Richthofen, of the new fighter wing Richthofen. So, I came to this wing as, I was lieutenant, but I was released as Leutenant and we were installed again as Kettenführer.
I: Flight Commander.
AG: Ja, something like this. But, very soon later die Tarnung, the camouflage was taken away and we were made Lieutenants again.
I: I see. You would fly the Heinkel 51?
AG: No, at this time we had the Arado 65. And then we had the Arado 68 and then came the 51.
I: Heinkel 51.
AG: The second group later was set up in Jüterbog, south of Berlin, as the second group that have the 51s already.
I: Did you have any flying accidents in the early days?
AG: [laughs] I had many accidents and many damages. Sometimes they called me the millionaire of the new Luftwaffe, it was for the value of the airplanes I had damaged or destroyed.
[All laugh]
AG: But this was overdoned a little bit. I had one terrible accident, with a Stieglitz, with a biplane by doing acrobatics. I was very good in acrobatics and I had to train for flight demonstrations, which were set up in different towns and I had to show there acrobatics in the Stieglitz. And in this case I had modified the horizontal stabilizer in order to get better flight conditions in inverted flights, but this resulted that the aircraft did have a complete [unclear] conditions in spin. And I couldn’t recover, I could not recover the plane from spin earlier enough so I hit the ground in this position about 45°, this was a terrible accident.
I: I understand that after that [unclear] you are very good at passing eyetests.
AG: [laughs], ja, it is true. In this case I had, the plane had an open cockpit and I had glasses and I destroyed one eye with a splinter from [unclear] glasses and I had a damage on the eye and this resulted in a shorter sight of this eye. And I knew I had to pass a new physical and so to be sure I learnt the numbers and the, was ist Buchstaben?
I: Letters.
AG: The letters. I learned the letters from the table and I knew them by memorising them and I passed my exam very fine. [laughs]
I: The doctors they were bewildered.
AG: Yes [laughs]
I: [laughs]. Yes Can you tell us something about the airfighting in Spain with the Condor legion and just how much influence did Mölders have on evolving tactics for the Luftwaffe?
AG: [clears throat] Mölders became my successor as squadron leader and he, my squadron was equipped with 51s and we did ground attacks. And we were very successful in, we were helping the army, the Spanish army in their advances. Mölders arranged to change the missions to real fighter missions and so his, my other squadron was equipped then with 109s and Mölders started then to find a new tactic. He really invented the open flying formation, finger-four formation and he also had set up a, set up the methods to train the pilots in this way. So we flew in a very open formation, two planes at the same altitude, about onehundred, onehundredfifty meters apart
I: Apart.
AG: From the other and we moved all the time this way in the air in a very open formation. And this had the advantage that the number two could see also, could observe the airspace. In a close formation, number two and number three are seeing nothing, nothing but the guide only. So the next two they are flying from here to there also in this open formation. And this was really invented and explored by Mölders, this is his merit, is no question. By the way, was later on also a very good formation leader. We have pilots, and another example is Hartmann, Hartmann was not a leader at all, he could only fly by his own, and many pilots, Udet was also such a pilot, couldn’t lead a formation, I was told. Mölders once told me: ‘I will tell you one thing, you can become a Richthofen, you can become a new Richthofen, I wanted to be a Boelcke’, this means he wanted to fly with his head, so he was convinced that he was taktisch. And he was [unclear].
I: Did you ever fly the Heinkel 112?
AG: No, I was there when these people were doing [screams] this, the Olympic heroes there but I could not, I could not be pleased by looking at the athletics. So I decided to sell my ticket, sold it. I went up to Warnemünde or in the North, on the East Sea and I did chase Swedish girls, was more pleasant.
I: We have heard of your reputation. [laughs] Is another Galland legend. Did you ever fly the Heinkel 112?
AG: No.
I: Would it have been a better fighter than the Messerschmitt 109?
AG: Ja, ja, it’s no question, would have been a much better fighter than the other plane but the plane was more expensive to be built. The wing profile was changing all the time. The wing of the 109 was much more, much easier to build and for much less money to build. And this was one of the reasons why it has been decided in favour of the 109. Especially the undercarriage of the 109 was very narrow and the plane did have a terrible tendency to loop, to break out in taking off and landing, specially with crosswind. The aircraft lost an unbelievable number of planes by, of 109s by accidents during the war.
I: Would the extra range of the Heinkell had been an advantage to you in the battle of Britain?
AG: Of course, it would have been, would have been an advantage, but it wouldn’t have been decisive. The outcome of the battle would have been more or less the same because the Luftwaffe was not build and was not equipped for a battle like battle of Britain, was not build for strategic airwar. The Luftwaffe was for defense, for air defense and also for helping the army.
I: Tactical support.
AG: Ja, tactical support.
I: After Dunkirk, and the fall of France, did you think that the Luftwaffe could win the battle of Britain?
AG: No, we did not believe this, we did hope it but we learned very soon that this was not possible. Lord Dowding was a very, very cleaver man in guiding his fighters the right way and he did not use the fighters so much as Göring did. He was a much better tactician than Göring. There’s no question.
I: And yet he was sacked, he was discharged shortly after the battle of Britain by the High Command.
AG: Yes. Dowding?
I: Downing.
AG: But he came back.
I: Yes. Well, he was never honoured as he should have been for his part in the battle of Britain. Because mainly of Leigh-Mallory.
AG: Ah ja. This are [unclear] conditions and we learned during the battle that Dowding was a very, very cleaver man and Göring had the intention, first to bring the English Fighter Command down and then to bomb England and bomb London by using this medium bombers we had, the Heinkel 111 mostly [unclear] we had the Junkers 88. But the [clears throat] the Stukas had to withdrawn from the battle very soon because they detect high losses, they could not be escorted [unclear]. So the next decision in favour of the Stukas was a mistake. Another mistake was the set up of the 110 formations, what we called Zerstörer, destroyer. It was supposed to be an escort fighter, but a twin-engine fighter aircraft cannot be compared with a single engine fighter. Is always less maneuvrable and has not the acceleration, he has better armament but in fact the 110 as an escort fighter had to be escorted by single engine fighters and we had to withdraw first the Stukas, Junkers 87, and then the 110 from the battle they could not stand the too high losses.
I: Did this come as a major shock to the crews of the 110s?
AG: Ja, it was a shock, but we knew that it would come. We knew this from exercises. Before the war. We could learn in this maneuvers that the Stuka and the 110 would not, would not be used for long time to [unclear] because the performance were not. Performance were compared to single engine fighters were too low.
I: Your famous comment about the, to Göring about the Spitfires, giving you a squadron of Spitfires, you feel that perhaps would not have made the difference either?
AG: Göring came during the battle of Britain with this special train in the Pas-de-Calais and he ordered Mölders and myself to come. And he blamed us for half an hour for not performing the escort. Our bombers wanted to have the fighters sitting on their wing, on their wing tips but by doing this with the 109 we could not stay, we could not fight, we needed speed and this, our speed was not higher than the bomber formation speed, with outside bomb, so the bombs were hanging there. We had to cross over the and below the formation, but was a higher speed and the bombers did not like it. And Göring blamed us, we should sit on their wing tip, we should not leave this position, we should defend the bombers, and I told him we can only defend the bombers by being aggressive, by being offensive, we have to attack the enemy fighters. And this we can only do when we have a higher speed. And Göring said: ‘Don’t talk such a bla bla, you have the best fighter of the world, the Messerschmitt 109 and everybody knows it, this world war I fighter aircraft’. And finally after half an hour he finished this blaming and he asked Mölders: ‘What can I do to improve the fighting capacity of your wing commanders at this time?’. And Mölders said he wanted to have the Messerschmitt 109 with the more powerfull Daimler-Benz 605 M engines, that was an engine with a higher capation [unclear] and this octane 100 fuel. And Göring said to his aide: ‘Take a note, Mölders will get the first engines’. And then he said: ‘What can I do for your wing?’. And I said: ‘Please Reichsmarschall equip my wings with Spitfires’. [laughs] I do not know, what gave me the courage. [all laugh] Göring was standing there, he was unable to say anything. He looked at me, he turned around and [unclear], trying to restrain.
I: That is legend, sir, it is legend now.
AG: But, I never did get the Spitfire. Mölders did get the engines, but I never got. But I was not punished, [unclear], I was not punished, I expected.
I: You were respected for us. In your opinion, if Leigh-Mallory had controlled 11 Group with his big wing tactics and Keith Park had controlled 12 Group in the battle of Britain, the two group commanders, do you think the outcome would have been the same?
AG: Ja, this is, as I said, true English question. I know this and I believe it would have been good to have a bigger formation than only one wing, only one squadron. But not the only group in one wing. So wings with forty, more or less, forty aircraft or twenty to forty, that would be the best in my opinion.
I: Why were Messerschitt 109s not fitted with dropable fuel tanks during the battle of Britain?
AG: That was a real mistake, absolutely was forgotten or they were not available, we have used in Spain already as I told you, but for the 109 we did not, we did not [unclear]
I: And yet it would have helped your range.
AG: It would have helped but we would have, had to drop the tanks already when we came over England.
I: Yes.
AG: Because the dogfight, fighter against fighter, with drop tanks ist not very [unclear]. So later on when we got them, Göring extended an order not to drop the tanks, only when we were attacked.
I: One of the major factors was that the Luftwaffe didn’t concentrate its attack on the communications network and particularly the radar stations. Why was that so?
AG: A mistake.
I: Again a mistake.
AG: Absolutely a big mistake.
I: You knew about them.
AG: Ja, we knew of them, we had photos and it was a mistake. It was a mistake to finish the attack against Fighter Command was a mistake also, we should have continued. Ensure the british fighters did not come up when we came only by fighter. We had to use some bombers to go with us, to drop some bombs, to force the british fighters to come up. But to switch over from the battle against Fighter Command to the attacks on London was a terrible mistake.
I: How would you compare the Messerschmitt 109e with the Mark I Spitfire and Hurricane? I believe yours actually had Mickey Mouse on its, why did you have Mickey Mouse as your logo?
AG: When I was in Spain, Mickey Mouse had just come up everywhere and one of the pilots already in operations had the Mickey Mouse. And I did like this, I said, I will take the Mickey Mouse also, modified it a little bit and then I was told I should not use the Mickey Mouse because it was an American.
I: Yes, quite.
AG: Toy and this did make me decide to have it at all, to keep it and I kept it all the time.
I: Yes, indeed.
AG: I still today in my car [laughs].
I: And how do you think the 109 compared to the Spitfire then? The 109e?
AG: The e was not the best, the g was later better, g4. The Messerschmitt was, besides bad conditions in taking off and landing, based on this narrow undercarriage. The Me 109 had only one advantage, that was the fuel injection of the engine. We could easily use, manoeuvre was negative g, [unclear]
I: Yes.
AG: And the engine would drive perfectly, would not stop. We knew it was the carburator immediately when you get negative g and it stops. So, we could, when we were fired, we dropped only the nose down, and always more down and we could escape. This was a advantage. In other flying conditions both types, the Spitfire and the 109 were more or less equal. Acceleration. Manouvreability was better in the Spitfire, the Spitfire had a lower wingload, had a lower wingload and was better in manoeuvre, but acceleration were more or less the same.
I: Yes. I understand, Sir, that you had three brothers who were also fighter pilots with the Luftwaffe. Did they see service throughout the war with you?
AG: Ja, Ja. First came my younger brother to my wing. He started as a anti-aircraft and he was unhappy there, I took him out and he got a special training and then he came to my wing. And he became very soon a very capable, very good fighter pilot, very good. He had in his time 57 victories between b7, four-engine B-17s, was a high number. And he got the Ritterkreuz, this decoration we had. And my younger brother, the youngest brother, he had some difficulties, he came also from the anti-aircraft and had also a special training. I took him in my wing and in the beginning he had very high difficulties and he asked me to help him. So, I went with him to his 109 and he was sitting in the aircraft, immediately I saw he was sitting in the wrong way in the cockpit. When you had not the right position, then, the, what is when you are shooting?
I: Gunsight.
AG: Gunsight. Gunsight. He was sitting wrong behind the gunsight and this resulted in a mistake of his balance, of his shooting.
I: Yes.
AG: So, I corrected this [unclear] he got in the aircraft and from one day to the other he shot up.
I: Really?
AG: He was so happy. I also. He was a very young fellow, he died with twentythree years, he had 17 victories. And the elder one, he was, was a bad fighter. He was really a bad fighter, he wasn’t able to do anything, he was hopeless, so I managed to get him to the air reconnaissance 109. He flew there but he was not successful [unclear].
I: Did the two other brothers today survive the war with you?
AG: Only the elder, only the elder one but in the mean time he died also. Ten years ago.
I: Alright. I understand that at one time your crew chief was actually given a rocket for saving your life. What’s the story behind that?
AG: He one time did install an additional
I: Armour plate
AG: Plate,
I: Armour?
AG: Armour, armour plate behind me. And this armour blade went over my head and he didn’t tell me when I crossed the cockpit and were taking off, I shut the roof and I hit my head terribly and I blamed him: ‘You did not tell me you installed this’. ‘Wait, when I’m back I will tell you something’. And during this mission, I was shot down and I got an impact on this plate, exactly on this plate. [everybody laughs] So I didn’t blame him, I gave him zweihundert Marks and a special leave.
I: Yes. There is one well-known photograph of your Messerschmitt with a modification of a gunsight. It’s a well-known photograph.
AG: Was a mistake.
I: Was it?
AG: Was absolute a mistake. I thought I could use it for shooting on a longer distance but I learned immediately it is good for nothing, it wasn’t even good to identify the planes. When you have a plane in front, sometimes it is difficult to decide is it 109, or is it Spitfire. So, I thought when I looked through this, I can make it out [unclear] you cannot get it concentrated in anything so I decided to get [unclear]. But this aircraft, many times it has been photographed and many times on many photos it appears with the gunsight. We had not, we had a simple gunsight I have to [unclear] this was a fixed gunsight but what we had needed was a gunsight which was directed by
I: Gyro,
AG: BY gyro,
I: By gyroscope.
AG: By gyro. This we have needed terribly. We got it finally late in ’44 but it didn’t work properly. So this was an advantage on the british you had this gyroscopic gunsight, which made shooting in terms much easier.
I: Without Operation Barbarossa, the attack on the Soviet Union in 1941, would the American 8th Air Force and Bomber Command, in your opinion, have been able to sustain the bomber offensive?
AG: No, no. We were already so much beaten at this time, we would have more fighters available for the air defense and the losses would have been higher on the other side but we could, would not have been able to stop the air offensive. The western allies, the English, the British, they did a very clever thing, to split up the air offensive in day and night offensive and the british concentrated completely on the night. This was very clever, very clever. So, we had to build up a nightfighter airforce, nightfighter force, which did not exist at the beginning of the war. Göring said: ‘Nightfighters? We don’t need them. It will never be a night bombing’. So, when he made the decision, it was a decision, it was [unclear] this. He did not accept anything what was critical or negative of the airforce, everything was first class what he did.
I: Were you ever in charge of the night fighters?
AG: Ja, I was in charge and this after the catastrophe of Hamburg. In this case, Kammhuber, general Kammhuber was responsible for the night fighters and he was a very stupid man, he didn’t fly himself and he gave orders which the night fighters didn’t accept anymore. He was using one night fighter against the incoming bombers and he could only guide one fighter. And at this time, when the Bomber Command switched over to the bomber stream, all the night fighters wanted to follow the stream, they could see it by night, depending from the visibility but with lighting from the ground and with the fire over the towns, our night fighters could see the bomber stream and by the bombers they shoot their fire, they could follow this stream but Kammhuber did not allow our night fighters to go with the stream, to follow. So, they came, the night fighters came to me and they said: ‘You must help us. Our commander, Kammhuber, he bind us on one radar, in the range of one radar, in a circle of 120 km, he bind us and we want to follow’. We used Window the first time in Hamburg and this did lead to a complete catastrophe of Kammhuber’s tactic. So I had to tell this Göring and Kammhuber was released of the [unclear] and he went over to fleet commander, airfleet commander North, 5th airfleet.
I: In Norway.
AG: Norway. And he blamed this on me, Kammhuber, they said. He didn’t say to me but he was convinced I had originated this trouble. And I had, so we had not a very good relationship [unclear]. And after the war Blank was the first man who did set up the beginning of the air force and Blank wanted to have me as the first commander of the air force. And he invited me to come and talk to me and he said: ‘I did not want to have high ranking officers of World War I in the new air force, they are too old. So, everybody has voted for you, you should be the first commander of the air force, when you accept it’. And I said: ‘I am coming from Argentina, I have no idea what is going on here, I must be, first get a complete information what is done, what is planned and so on’. And then finally this was done and I decided to go up to do it, that [unclear] did say this to Blank. Then came a stop on the rebuilding of our new air force because the French blocked, they blocked this, was the European Defense Committee, Community and [unclear] came up this time. And the French did stop the European Defense Committee. So, and this was one time delayed and then this time Kammhuber came as the first commander of the air force because Blank did change against Strauss, Strauss being Bavarian he brought Kammhuber with him, who was also Bavarian and he was [unclear] over. Kammhuber did build up the air force. Was a nice story. When Kammhuber was in charge of the night fighters, I had to see him in order to use his night organisation also during daytime. Kammhuber did denie this completely, he said: ‘No, I have set up for the night fighters and you are day fighter, and they will set up your organisation, radar and everything’. And I said: ‘No, that is not true, we are not so rich that we can do this. This is a hotel with a hotel organisation, we have a night porter and a day porter, you are the night porter, I am the day porter’. We blamed for hours, we could not convince, and then he said: ‘ [unclear] I will show a complete new radar installation I have just set up’. And we went in his car, a big Mercedes, open Mercedes, his big flag as commanding general on front and there was a soldier of the infantry [unclear] He blocked us and said: ‘Your passport’. Kammhuber said: ‘Don’t you know me?’ ‘No. Passport’. [unclear] said: ‘Do you know this flag? I am your commanding officer’. He said: ‘This can be said by everybody. Passport.’ Kammhuber made a head like this and finally he said: ‘Do you know him?’. He looked at me and said: ‘Ah, I believe I have seen him on a [unclear], on a newspaper, in front of a newspaper, a big photo. I think that this is Major Mölders, then you can go’. [unclear] He was [unclear] also, Major Mölders.
I: I’ve been asked by some of the veterans who flew from the Yorkshire fields, where we are from, from 5 Group and 6 Group veterans, what were your feelings towards the night bomber crews, when you were general of night fighters?
AG: I didn’t understand too much about night fighting, I must say this, I’m a complete day fighter, and [coughs] we had a saying as dayfighters: the night is not good for fighter pilots, the night is good for bitches, but not for fighters. But really this was a good organisation and also the guiding systems we had in the night fighters they were very fine, very very fine. And the night fighters did have a better fighter, leading fighter, guiding organisation than any fighters had but they did not need it.
I: This was Wild Boar and Tame Boar.
AG: Ja.
I: After the raid on Schweinfurt-Regensburg, did you think the 8th Air Force could be stopped by the Luftwaffe?
AG: No, I did not believe this, there were too many mistakes done and too many things were not performed. When Hamburg occurred, everybody, Göring did call a big meeting and all important men were present at this meeting. There was a unique opinion, we have now to change the priority and we have to give the air defense first priority. And we have to stop everything else but we have to concentrate all our power on air defense. Göring was convinced and he decided to bring this up to Hitler immediately. This meeting was in Hitler’s headquarters, Wolfsschanze in East Prussia. So Göring went to Hitler. He came back after one hour, he was completely destroyed, he broke down in his quarter and finally he ordered [unclear] and myself to come and he said: ‘Hitler has not accepted our plan. Hitler has decided to build up a new attack air force, a new bomber air force to bomb England. Bombing can only be stopped by bombing, not by air defense’. And he had explained this to me and Hitler has right. He fall down completely, he is right as he is always right. The way through air defense is too far away and we were stopped, we were blocked from continue bombing aim. So Peltz, general Peltz, a young fellow was made the attack guidance, the attack commander in England. This was immediately after Hamburg.
I: 1943.
AG: Ja. Unbelievable, unbelievable.
I: Was this the beginning of what they call the Bedeker Raids?
AG: Ja.
I: Where they used the Bedeker Atlas to bomb.
AG: Ja.
I: May I ask you general?
AG: Göring was not stupid, he was a clever man. He knew this was wrong, but he has never resisted Hitler. When Hitler gave an order, he immediately was of the same opinion, because Göring was not a man for combat, was not a man for fight, was not a man for war. Göring wanted to continue his life as the most richest man in Europe, he wanted to be brilliant and he didn’t like the war at all.
I: Without a western front to defend, could Operation Barbarossa have succeded?
AG: Could?
I: If Germany had not been fighting on two fronts, could you have succeeded with the attack on the Soviet Union?
AG: With the attack on the Soviet Union. It is difficult to decide but we were close to win the battle, but we have been blocked again by beginning the offensive against Russia by the Italians. When you have the Italians as your allies, you have 50% of the war already lost, you we can be sure. [UI and UI2 laugh] Really. The Italians have started the war in Africa, so this did force us to go to Africa. Then, Germany wanted to take over Malta. Mussolini said: ‘No, Malta, we will take over. You can take Greece’. And we took Greece with much losses and it was not good for nothing, I know. And the Russian campaign has been delayed by the Italians again, this time by the war in the Balcans, by attacking Albania. And we had to go to the Balcans. This [unclear] a delay of half a year. Again our allies deterred us. So I still am going to say, if we could have won the war, I think we could have broken the power of Russia, we could have. We were close to Moskow and if we would have started half a year earlier, everything would have been much more in favour.
I: A huge country of course.
AG: Ja.
I: You were a pallbearer at the funeral of Ernst
AG: I knew the war was lost, was probably or was not to be won, there is a difference, already in 19, in the second war Russian campaign, this was
I: 1942. 1942.
AG: 1942. In this year I remember conversations I had with the chief of staff of the Air force, Jeschonnek, who told me: ‘You can believe me the war cannot be won anymore’. I said: ‘I agree competely’. But we were not allowed to talk about this, to tell this anybody. And we, ourselves, we fighters, young people, we knew the war could not be won anymore but we hoped, did heartly hope, that the war could be brought to an better end. This means, the unconditional surrender condition, this was something we are fighting against up to the last man.
I: You were a pallbearer at the funeral of Ernst Udet. When did you realise that he had committed suicide and what are your memories of Udet?
AG: When we at the funeral of Udet, we were told by Göring, Göring could difficultly close his mouth if he wanted to talk. So, he did tell us what has happened and some weeks, three weeks before, I was with Udet one night in the special train of Göring in East Prussia. And Udet was completely broken, completely broken, he was blamed to be responsible for the armament which were not going up and [unclear] and this was true. Udet was responsible for the development, for test, and for armament, for building, for the industry, and this he could not do, he was not able to do this at all, he could not organise the industry and he did not have the help to do this correctly. And therefore, he missed completely, lost completely this order to build up the industry. But this was not the responsibility of Udet, this was the responsibility of Göring to make him responsible for this. There were other people, Milch is an example, was absolutely more capable to do this and the production went up when Milch took over the post of Udet. So, is this the answer?
I: What are your memories of him as a person?
AG: Oh, he was a wonderful man. He was a wonderful, charming man, he was an artist. He was joking, he was very much liked by everybody. He was a great flier, pilot and you could have a lot of joke with him. And we did have.
UI. Yes.
AG: He did like the whiskeys.
I: And the ladies?
AG: Also.
I: [laughs] I understand that Douglas Bader was a guest of Geschwader 26 for a while.
AG: Ja. I have the date here when he was shot up, that was in 1943. There was an incoming English Royal Air Force attack, Blenheims with escort of Spitfires, and we had a big fight over the Pas de Calais. This was my wing and the wing Richthofen, but in this case only my wing 26 was involved, we did shot down I think 6 Spitfires and 2 or 3 Blenheims, I shot a Blenheim down. And I shot, I combat also with Spitfires but I think [unclear] off 3 Blenheims and 6 Spitfires downed. And in the afternoon one of my group commanders phoned me and said: ‘We have shot down one incredible man, an English wing commander, by the name Bader, he said, Bader said wanted only to be called Bader. He has two wooden legs and you must invite him to come immediately, bring him my invitation. And Bader had to bail out and he left one of his wooden legs in the Spit and the Spit landed with out him and my mechanics could repair this wooden leg a little bit. So, I was called some days later, Bader can come now and visit you. And I did send him my biggest car and a good looking, first Lieutenant. Bader came on. I had informed myself a little bit about him and it was absolutely a great impression, from the first moment, this stepped on his two wooden legs. And Bader said to me: ‘Can you send a message to our side that I am safe in your hands and I wanted to have a second set of my legs, which I have in my [unclear] and a good pipe and tobacco’. I said:’ Yes, I will try it’. So, then I phoned Göring in the evening and said: ‘We have Wing Commander Bader here, a man with two wooden legs, unbelievable man, sympathic and [unclear] the rules [unclear] immediately’. And I said: ‘We wanted, or he, he wanted that we communicate to the other side, to the English side, he is in our hands and he wants to have a spare legs’. And Göring said: ‘You can do this, we have done this in world war one, many times, you can do this, I like this, I like this’, the meaning was [unclear]. So, we put it on the way of the international sea rescue. It was confirmed from the other side, I communicate this to Göring and he said: ‘How do you want to do this?’ I said: ‘We are waiting now that the English [unclear] and then we make a proposal, we make an open space with an airfield and we guarantee a safe landing and coming to our side and of course we will make some photos’. [laughs]
I: Doctor Goebbels [laughs]
AG: This, our message was confirmed through the other side and nothing happened two, three days and then came in the same way, in the same way, the same frequency, a message: in this present attack we are doing, we drop not only bombs, we drop also a case with the spare legs from Bader. They dropped our airfield [unclear], no, not [unclear], Saint-Omer, dropped a case with a parachute, I have photos of this, there were the spare legs, that was not very nice, we were disappointed. So Bader many time has visited me, for tea and then I showed him the aircraft from my wing and showed especially mine, my 109 and he wanted to step out, he mounted the cockpit immediately with his wooden legs, this is unbelievable. And as he was sitting in the aircraft, Heidi, you must being the photos, and he said, I showed him everything, explained [unclear] please can you start the engine [all laugh] all around the place, only around the place. I said, no wing commander, let’s stop this nonsense because I have two 109s for my own personal use and if you take off I would have to follow you. And I would have to shot at you again and I do not want to do this. He was laughing. Of course he has never expected that we would start it. Then he was brought back to the hospital and he made an escape from the hospital, on the sheets from the prisoners, he did borrow the sheets and came down from the second floor to the ground and the last sheet did broke and he did fall down and he hurt one leg again and he had to go the hospital. So, he was immediately captured again. When I heard this, that he had escaped again, I was [unclear] because I had shown him to much [unclear]. I would have had [unclear] perhaps but he came back and he did make another escape. This man was unbelievable.
I: On that engagement when Bader was shot down by your Geschwader, there was another pilot and our research indicates that you shot him down and he lives in Sheffield, which is quite near to the Yorkshire museum. He is still alive today and he sends his best wishes to you.
AG: Oh, thank you. That was on this occasion?
I: Yes. Buck Kassen was his name and he was shot down and made prisoner of war the same time as Douglas Bader. And we interview him as part of this tape.
AG: What is the name of this Spitfire pilot shot down in?
I: [unclear]
AG: My victory 56. He calls himself your victory 56.
I: [unclear]
FS: I’ll take some.
I: May I ask you why did most of the Luftwaffe’s very high scoring aces, such as Hartmann, Barckhorn, Rall, why did they fly the Messerschmitt 109 rather than the Focke Wulff 190?
AG: In the beginning, the 190 was not available, the 190 was only available for wings from April ‘43, so up to this date they could only use the 109. The 190 came later, it was not, was not ready for being used by the operational units.
I: But even later, even later many of the aces still preferred the 109.
AG: Maybe. I personally flew the 190 the last months of the war and my latest was the 262 of course.
I: Yes.
AG: But the 190 was much better for attacks on bombers. The 109 was absolutely better for fighting fights against fighters. Danke. The 190 had a lot of protection against the bomber fighter, the Spit [unclear] engine gave you a feeling of safety.
I: Why did the death of one man, general Wever, bring about the scrapping of the german strategic bomber program and what were Göring’s and Jeschonnek’s views after the battle of Britain?
AG: Wever was an army general but as an army general he had a great understanding for air war and Wever was also a follower of Douhet, this Italian general, the inventor of the strategic air war. And Wever did promote the four-engine big bomber, he did promote this. Unfortunately, he killed himself in a flying accident. He started a Heinkel 70 with the rollers blocked in Dresden, came down immediately. If he would have lived perhaps we would have had a four bomber air force also. I believe this. But then Udet went to the States and he was convinced by the American navy air force, which were, they were using these dive bombers, and Udet was convinced by them that was the way for people which have not big reserves on raw material, like Germany, to get the same result by picking up pinpoint targets. And really Udet did influence the air force, the top air force men, including Göring, that this was the way for Germany to have the Stukas instead of the four-engine bomber. [unclear] we can get the same result if we had the power station of a big plant or we destroyed your plant. This is the same result. So, at this time, an order was given that all the German aircraft, even the twin-engine Junkers 88, could have been used, should have been used in dive attacks. Also the Heinkel 177, which was the German four-engine bomber, in which two engines were blocked, bound together, they should also go in dive-bombing, which was a mistake, of course.
I: When you were promoted to general in charge of fighters, sir, how old were you? You were a very young man, I believe. And how do you feel about succeeding Mölders?
AG: 29, 29 years and I was practically the immediate successor of Mölders.
I: How did you feel about that, sir?
AG: I was not happy, I was absolutely unhappy in these days because I wanted to continue as wing commander. I was very unhappy in this position. I wanted to fight, only to fly. I already upset with, myself with Göring when I was made wing commander, because I did believe I so much paperwork to do that I could not fly anymore. My intention was to fight.
I: Hitler awarded you the Germany’s highest award for bravery, the diamonds to your knight’s cross following your 94th victory. But I understand there was more to it than just the diamonds. You had quite a collection of diamonds in the end.
AG: Ja. The first diamond I got was the Spanish cross with diamonds. That was a german award very nice with diamonds in the middle. This was awarded, I think, nine times.
I: [unclear]
AG: And next I got the diamonds to the oak leaves to the knight’s cross. And when I got this, Göring did had not seen it before and I was sitting in Göring’s train [unclear] and Göring looked at me and said: ‘Are these the diamonds the Führer gave you as highest german award?’. I said ja. ‘It cannot be’, he said, ‘take it off’. I took it off and gave them to him [unclear]. ‘Terrible, terrible, The Führer knows everything, knows every carrier of the [unclear], of the german army, the german, he knows the complete trajectory, every gun, but diamonds, he has no idea, not enough. I tell you, these are splinters. Little splinters, these are not diamonds. Give it to me, I will, I have a jewelier in Berlin, who will make you another set. You will see what diamonds are looking like’. So I took it off and gave it to him. Some weeks later, I was ordered to come to his house in Carinhall. ‘Galland, look at here, this are the splinters of Hitler, these are the diamonds of Göring, who knows about diamonds?’. So, he gave me both sets back, I had now twice. Then, he must have told this to Hitler because some weeks later I was asked to see Hitler and Hitler said: ‘My dear Galland, finally I’m in a position to award you with the final edition of [unclear] decoration. Look at this’. He gave me this case. ‘Take a look, [unclear]’. I did not know for what is this order to come, I had the diamonds from Göring, the big ones. And he said: ‘Can you see the difference? These are splinters’. ‘This is obsolete’. ‘No, you can wear this every day. They are expensive, the big ones here. When you are flying daily, take the other ones. The splinters’. I was about to explode. He gave me both sets back, I did three times now. And then came a time, I was so upset with Göring, I had so big fights with him. And he had in one big meeting in Munich Schleissheim, there were about forty officers in this meeting and he blamed the fighters in a terrible way. He said we were not anymore brave, we were scapegoats and good for nothing, we were decorated highly at the beginning of the war and we did not pay for it. And most of the pilots had with lies made their high decorations over England. When he said this, I took my decoration off, I was sitting opposite to him and hit it on the table. Göring finished this meeting and he tried to calm me down, but I said: ‘No, you should refuse this [unclear]’. I said: ‘Göring, I cannot do it, I cannot do it, [unclear] I cannot take my decoration on anymore’. And I did hang this number three [unclear] in my office in Berlin and this Olympic game installation and hang it on the neck of the wooden [unclear]and It was hanging there, I didn’t take my decoration for, I think, five months. And then Hitler one day saw a photo of mine on a newspaper, Berliner Illustrierte, and said:’Why is Galland not showing his decoration?’. And Hitler was told the Royal Air Force was bombing Berlin. And Hitler said: ‘You should [unclear] immediately and get a new [unclear]. I had to see Hitler without. And Hitler said finally: ‘Bad luck, but you have a new set’. But this is was number four. [laughs] And by the end of this war I was wearing this number four and I took this as prisoner of war with me, until we were asked to take it away. But I could keep this with me and [unclear] till today. That is the only set. The other sets, one was burned, two sets, [unclear] was liberated at the end of the war by the americans,
I: They might be somewhere in America still, probably.
AG: I talked to one man who has one set.
I: Really? Amazing story. You were responsible for the fighter screen when the Gneisenau and Scharnhorst and Prinz Eugen made the famous Channel dash. How was this success achieved under the eyes of the RAF?
AG: I was made responsible for this fighter escort, is true and I was in a meeting with Hitler and Hitler at the end of the meeting he took me away and said: ‘Do you believe this operation can be performed?’ And I told him: ‘It is possible, but the first condition, first and most important condition is complete, this operation is completely secret. And the English should not know about the operation, should not know when is going on and so on, completely secret and Hitler said: ‘Yes, I agree 100%’. ‘But’, I said, ‘there is a lot of risk in war’. Hitler said: ‘In all my operations, the last years, the biggest risk was the [unclear], it was true, he always was playing with this risk, in an incredible [unclear]. Hitler agreed and when the operation were prepared very much in detail and seriously, very seriously. And I invented the callname, the codename for this operation.
I: Really?
AG: I invented Donnerkeil. This was not accepted by the navy. The navy called it, what was it?
I: Cerberus.
AG: Cerberus, Cerberus, they called it Cerberus. And this was good and in so far as the British secret service knew about this was [unclear], not in detail but they knew, we were preparing it. They did believe this were two different operations, they did not bring the two operations together, so this was an advantage. And then our highest chief of the communication, Martini, he did use for the first time a big system of disturbing the English radar and this disturbation gave the English the impression we were coming in with big [unclear], with big offensive formations and this did help a lot. And the weather did help a lot, it was a miserable weather and on the English side, not in France, nothing, this did help us also. So, we had finally the success based on a lot of luck, lot of luck and our fighters were brave, fighting very very brave. I remember I had my two brothers in this operation and they told me.
I: And a very british Victoria cross was ordered in that operation too. What are your memories of the ace Hans-Joachim Marseille? And how did you regard him as a fighter ace, in comparison to Hartmann?
AG: In my book, the virtuoso, [unclear] but he was a single fighter, also was not a [unclear], nobody could follow him, he did fly like Richthofen, more than Richthofen
I: As a loner, as we would say.
AG: He was not able to guide four fighters there. And he got so impacts I think in his last [unclear] and he did make a mistake by escaping from the aircraft. He didn’t make a [unclear] but he did in the beginning. And was pulling out and he hit the tail. Later, I personally did escape twice by our new method took the nose up, engine down, nose up and then we pushed the bottom very strongly unclear], the aircraft did make this motion and in this situation the pilot was ejected really, the pilot was flying up ten meters, thirty feet and this was this [unclear] method risky.
AG: Ja, we’re finished now.
I: We could move to the end of the war. So, Germany’s experience with jet fighters where of course the Messerschmitt 262 was the first operational combat jet fighter in the world. Do you feel that that aircraft, if it had been available in sufficient numbers in 1943, could have altered the bombing offensive? And what was it like to fly? What was it as an aeroplane?1
AG: I’ve known this airplane I think in June ‘43 the first time and I have made a report on this, I have a copy of this. On Saturday the 22 of May ’43. I’ve flown this aircraft in Ausgburg, taking off in Ausgburg, is a Messerschmitt plant and this a report about this first flight addressed to Feldmarschal Milch. He was responsible man for armament and for development. And I am saying, this aircraft [unclear] us complete new tactical possibilities, this is a revolution and I recommend therefore to stop the messerschnitt 262 development completely and to take this out of the plan. Concentrate only on the Focke Wulff 190 D development and all capacity and concentrate from now on to the 262. This will give us greatest chances supposed that the allies, the Americans and the English [unclear] continuing their operation on piston, only on piston driven fighter base and bombers. WE knew that they were also developing the Meteor and did not know when they were ready. But the 262 would have given us the biggest chance if we would have the time. The development of this project was stopped and delayed, later delayed by order of Hitler, because he was of the opinion that the war was shortly before to be won and developments would take more than one year to be finished, would come too late [unclear]. That was his argument. And without this [unclear] development, which was done by Messerschmitt and by Henkel, was done without being known by Hitler, was done in secret [unclear] of Hitler. Only in the last months of the war, when the aircraft was there, when the RAF made this first light tests, and this report, then he decided to use it only, only as [unclear] against the invasion. This is the aircraft, with which I will fight the forthcoming invasion, he said in my presence, this is the aircraft. I order this aircraft to not be used in any other form and should not be imagined in another operation as [unclear].
I: What was your opinion, sir, of the two other jet fighters that did see operational service or limited, the 162, the Heinkel 162 and of course the incredible Messerschmitt 163 Komet, the jet, rocket jet fighter?
AG: The 163, the rocket fighter was already under development and I knew about this and this would have been a compliment for the anti-aircraft, only for the defense of certain objects, like the derrick oil plants. I was of the opinion that this plane could be used for this object protection with a certain success. It would have been that a lower flight plane target with flight time, with power was only 6 or 8 minutes but the aircraft was then so high up that it could make one or two attacks and then go down. This was only an additional aircraft for the air defense but the 162, this was a political development. It was supposed to set the Hitler
I: Hitler Youth.
AG: Hitler Youth on these planes then only with the training of gliders, which was completely wrong, completely wrong, I was against this development because I said youngsters cannot fly this plane with success, this is absolutely impossible. Secondly, the engine BMW 003 is not so practical, [unclear] that it can be used only one engine on one aircraft, we need two engines. And certainly the 163 with this engine behind the pilots and without the exit seat, this would result, every pilot who tried to bail out would land in the engine. So, I have fought against this plane because the concept was only based on a political wrong thinking, absolutely wrong thinking. And this should have been performed and executed by a, the youngsters and responsible for this was the fieldmarshal or the general, colonel general Keller.
I: From the first world war.
AG: Ja, from the first world war. And I took Keller with me to Nowotny on the day in which there was a , was shot down, hit the ground. In order, my intention was to show him what a jet operation does mean, more complicated than this and at the end of the war, when I was leading my JW 44 in Munich Ried, two or three handful of this 162 came to me and said we want to fly with you. They didn’t have any success at all. So this was, the 162 was a complete wrong concept from the beginning. A political development.
UI. We’re getting near the end, sir, but can you very briefly tell us about JV 44? Is it correct that all the pilots have the night’s cross?
AG: No, no, this is not correct. We had several pilots with the knights cross and most their officers and at the end of the war, pilots who were in hospitals or were in, wie heisst das [unclear]? the recovery stations, they came to me and said:’We want to be, we want to fly under you’, they all said: ‘we want to fight the end of the days with you’. And I have accepted this. So, in the last week or two last weeks, I only accepted such pilots who wanted to continue to fly. Pilots who said, [unclear] for family reasons or something like this and I do not want to fly anymore, he could do this, he would not be punished at all. This were only Freiwillige, free will pilots, [unclear]
I: Volunteers.
AG: Volunteers, volunteers. And Steinhoff had this terrible accident, he was the man who was responsible for operations in my group 44, strong and he believes he had hit a [unclear]. I believe he pushed the wrong button, Steinhoff was used to take off with flaps in and only when he reached, came close to the take off speed, then he dropped the flaps, this [unclear] a little bit [unclear] the take off. But in the Messerschmitt are two buttons, one is for undercarriage, one is for flaps and they are close together, you can see on old cockpits. I think, yes, he pushed the undercarriage. Then he tried to take off, he made a jump, restored its speed, came down with too early engines about 2000 feet after he came lifted from the ground, came down, he hit the ground and burned out.
I: Did you see the crash?
AG: Ja. I was number one, he was number four in my wing. This was the last, my last mission. Finnegan believes he should, this American guy, he came, I shot down two more others in this mission and I didn’t know if the second one was already finished so I made a turn, looked at this [unclear] and [unclear] gave me some shots [unclear].
[All laugh]
I: Five more questions.
AG: Finnegan or when the Americans say, you were shot down by Finnegan, that is not true, I could manage to get home, one engine was hit, ja, that is correct but I could manage to come down and manage a perfect landing with one engine on my base on which I had taken off, is not a victory.
I: Not at all, an American-type victory.
UI2: Unconfirmed probably.
[All laugh]
I: Five more questions, if I may. You are now 82 years of age?
AG: Ja, unfortunately.
I: How do you feel about the events of 55 years ago, during the battle of Britain, when you were fighting for your life, all this time, all this long distance from battle, how do you feel?
AG: At this time when this had happened, we did never believe we would survive. Even in the last days of the war, when I flew the 262, I didn’t believe I would survive the war. I was real ready with my life, had a good life and [unclear] success, [unclear] success in my life and I always wanted to be better than others and I got the feeling to be better than others [unclear]. So, I am thankful for my life and I think it was an extraordinary class of life which I performed. And I thank God for being with you now and have survived all situations. And I have the experience of what I say. I have had so much responsibility during my military life and when I saw the terrible destructions of the allied airwar in Germany and I saw the people who did suffer in such terrible form, I had only the wish and the intention to fight up to the last minute in order to compensate, not to win the war.
I: General Adolf Galland, this has been a real pleasure, sir, we greatly appreciate it. Thank you. Marvellous sir.
I: Thank you sir. You are part of aviation history.
AG: [unclear]
I: Yes, yes, we do, we have some presentations for you.
I: On the way here, sir, I had to pinch myself to make sure that it is real, that I am meeting Adolf Galland. A small gift, sir, on behalf of the Yorshire air Museum.
AG: Thank you.
I: Our air museum plan.
AG: I’ve got quite a collection already.
I: I’m quite sure you must have.
AG: Thank you.
I: The history of our county town of York. You to have a look at.
AG: Oh ja.
I: We have to sign it.
AG: You know there is a collection of signatures there.
I: Yes. We are going to sign these as well.
I: These are other people at the museum.
AG: Oh ja.
I: Would you be so kind as to sign some bits for ourselves, sir?
AG: Ja.
I: [unclear]I’m quite sure you must have.
AG: Thank you.
I: The history of our county town of York. You to have a look at.
AG: Oh ja.
I: We have to sign it.
AG: You know there is a collection of signatures there.
I: Yes. We are going to sign these as well.
I: These are other people at the museum.
AG: Oh ja.
I: Would you be so kind as to sign some bits for ourselves, sir?
AG: Ja.
I: [unclear]
bombing
Fw 190
Goebbels, Joseph (1897-1945)
Goering, Hermann (1893-1946)
Hitler, Adolf (1889-1945)
Ju 88
Me 109
Me 110
Me 163
Me 262
perception of bombing war
Spitfire